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diretto contro le immagini. Cosa ci sar� di male in queste? Le icone di ogni tipo
non sono il mondo, rappresentano solo una determinata comprensione del mondo e del
rapporto con questo. E' evidente che l'accusa di iconoclastia evochi alcune
associazioni negative: chi non si ricorda, anche senza volere, della cos� tanto
pubblicizzata barbarie dei talebani che, davanti agli occhi del mondo intero,
usavano i cannoni per ridurre in briciole statue di Buddha di valore storico? La
barbarie, qui, per�, risiede nella mancanza di sincronia storica. A quanto pare,
pu� essere di "valore storico" - nel senso di un'opera d'arte del museo o di un
artefatto protetto in quanto patrimonio storico - solo un oggetto che si trova gi�
da tempo spogliato della sua devota venerazione e che, perci�, non pu� risvegliare
in maniera immediata affetti positivi, n� negativi, ma solo sensazioni estetiche
dissociate ed interesse antiquario, in un senso che �, del resto, gi�
specificamente moderno.
Com'� evidente, per i talebani le statue di Buddha non costituivano simili oggetti
di interesse storico o estetico ma, semmai, i simboli immediatamente minacciosi ed
ingombranti nella contingenza dei principi nemici da superare. Il fatto che
venissero trattati anche cos� - in termini oggettivi di pura barbarie, e non di
atto rivoluzionario e nemmeno liberatore - si deve unicamente alla circostanza per
cui i talebani non rappresentano un movimento trascendente, una nuova forma di
stare in societ� o un futuro dell'umanit�, dal momento che essi stessi non sono una
cosa diversa da un prodotto di decomposizione della stessa modernit�: cos� come
tutti i fondamentalismi contemporanei, pseudo-religiosi o etnici, costituiscono una
regressione tanto paurosa quanto distruttiva; come se ad una parte dell'umanit�
tornassero a crescere le code, o i peli in tutto il corpo.
Gli � che, indipendentemente dal continuum negativo delle relazioni di feticcio,
non pu� esistere un "progresso" positivo delle relazioni sociali verso stadi
"superiori", ma non pu� nemmeno esistere un "regresso" a situazioni anteriori;
l'impulso reazionario rappresenta sempre solamente un momento della crisi in seno
alla rispettiva formazione, ed il regresso pu� assumere sempre e solamente i tratti
fantasmaticamente irreali di un essere non morto. In questo caso si tratta,
pertanto, di un'iconoclastia non solo asincrona, ma anche astorica, meramente
regressiva.
Tuttavia, questo non cambia il fatto che qualsiasi vera rottura storica, qualsiasi
rivoluzione mentale e sociale, qualsiasi forza storica pregna di un futuro, in seno
alle relazioni di feticcio ha dovuto sempre accompagnarsi ad una qualche forma di
iconoclastia, poich� diversamente il nuovo non sarebbe stato capace di imporsi sul
vecchio. Se San Bonifacio abbatt� la quercia di Donar, se i protestanti gettarono
fuori dalle loro chiese i santi cattolici, o se Voltaire attacc� la chiesa nel suo
insieme al grido di guerra "Schiacciate l'infame", le immagini e i simboli
dell'epoca da abbattere sono sempre stati rimossi senza piet�. Non esiste un
qualche motivo per supporre che, nel limite storico delle relazioni di feticcio in
generale, le cose potrebbero andare in modo diverso con la modernit� e con le sue
icone. Proprio perch� non oltrepassiamo la forma di una sintesi sociale
feticizzata, la lotta pi� o meno feroce per uscire da tale forma dev'essere
accompagnata, da parte sua, da una colonna sonora iconoclasta.�
( Robert Kurz, da �Tabula Rasa - Fino a che punto � auspicabile, necessario o
lecito criticare l'Illuminismo � - Krisis n�27 - Novembre 2003 )
TABULA RASA
- Fino a che punto � auspicabile, necessario o lecito criticare l'Illuminismo -
di Robert Kurz
Inimicizia o eredit�?
Come non ci si aspetterebbe altrimenti, l'approfondimento della critica radicale
della filosofia borghese dell'illuminismo si confronta con un ampio spettro di
resistenza in seno all'assistenza critica della societ� (quello che una volta era
un movimento sociale, ora relegato da una nuova riflessione teorica al ruolo di
assistenza), la quale, come conseguenza di un viaggio di trasformazione del
pensiero preesistente alla critica sociale emancipatrice, frattanto divenuto
obsoleto, sembrava essersi sviluppata, per cos� dire, sulla base di una riflessione
teorica pura - in termini concreti, sulla negazione del pensiero illuminista, delle
sue giustificazioni filosofiche e delle sue ideologie, in una nuova dimensione,
critica del valore - e sembrava aver acquisito, al pi� tardi a partire dall'11
settembre, un'attualit� immediata insperata in relazione al processo di crisi reale
della societ� globale capitalistica. Questo avveniva precisamente nello stesso
momento in cui questo nuovo livello di riflessione si apriva, in quanto necessit�
immanente di riflessione teorica, alla coscienza mondiale borghese officiale,
ricordandosi - con una militanza di crisi che arrotava i denti - dei fondamenti dei
suoi "valori occidentali" del XVIII secolo, al fine di legittimarsi nella guerra
dei fantasmi contro i loro stessi propri demoni.
La critica radicale dell'ideologia illuminista, dotata di una nuova qualit�, non
pu�, perci�, essere percepita, nella situazione di una relativa calma sociale, come
"pensiero interessante" nell'ambito del gioco delle biglie dell'esoterismo
borghese; innanzitutto, si manifesta, in forma immediata, come una dichiarazione di
guerra al livello pi� elevato di astrazione teorica. E diventa cos�, in modo
altrettanto inaspettato, allo stesso tempo, un casus belli a quello stesso livello
in seno alla sinistra residuale di ispirazione marxista; e lo � molto pi� di quanto
lo sia gi� stata la critica del lavoro. Gli � che una parte di quel che rimane
della sinistra radicale, perlomeno in Germania, ha scoperto, grazie all'impressione
causata dalla scalata della barbarie in seno alla societ� globale di crisi, le sue
radici e la sua patria intellettuale nella modernit� occidentale, sentendosi ora in
debito, con una maggior quota di fanatismo, di un omaggio solenne - che supera il
catechismo democratico ufficiale - al cosiddetto illuminismo in quanto punto di
partenza e di arrivo di tutto il pensiero emancipatore "lecito", denunciando
qualsiasi intenzione di pizzicare le vacche sacre dell'Occidente come se fosse una
complicit� suppostamente reazionaria con la barbarie, "fascista", come il frutto di
una nostalgia irrazionale della "idiozia della vita rurale", come la ricaduta negli
"orrori della natura" precedenti alla modernit�, ecc..
Questo squillo di tromba borghese di sinistra ed illuminista, che ancora una volta
tenta di tirare tutti i fili del pi� che obsoleto pensiero ideologico della storia
del movimento di modernizzazione capitalista, evidentemente ormai non pu� essere
pi� preso completamente sul serio in termini intellettuali. Potremmo considerare
allo stesso modo, sul piano della riflessione teorica sulla societ�, i commenti
proferiti dal Papa in occasione della Pasqua sullo stato del mondo, o i documenti
provenienti da Al-Quaeda. Ma la pressione ideologica � talmente forte e le radici
del pensiero illuminista sono talmente profonde che, "nell'ora dell'afflizione",
proprio in quei rappresentanti della sinistra che appaiono essere portatori di una
riflessione a livello teorico, non sembra imporsi un acutizzazione della critica
radicale ma, al contrario, la difesa della "eredit� borghese" che ha
approssimativamente lo stesso valore del patrimonio di villette a schiera fordiste
insopportabilmente brutte, oramai decrepite fino al punto di non poter pi� essere
riparate, ed il cui finanziamento non � mai stato completamente rimborsato.
Ma anche nei sobborghi della posizione che assume il punto di vista di dichiarare
inevitabile la separazione dall'illuminismo, e la rinuncia alla sua eredit�, si
coltivano simultaneamente forti dubbi rispetto alla necessit� di una rottura chiara
ed inequivocabile. L'addio assume i tratti di un'esagerata cortesia,
accompagnandosi ad una raffica di lusinghe talmente interminabili che, al
contrario, potrebbero sorgere dubbi sul suo carattere di addio. La discrezione
diplomatica pu� arrivare ad un punto in cui, ad aspettare, morremmo di fame
sull'uscio, oppure ad un punto in cui continuiamo a limare la dichiarazione di
guerra per cos� tanto tempo senza riuscire mai ad inviarla. In ogni caso, si sa che
anche la critica dell'illuminismo dichiarata come necessaria, � accompagnata da
molti pi� scrupoli che, per esempio, la critica del lavoro. Sembra che qui si
tocchi un punto molto doloroso. Secondo l'analisi del testo -se fosse applicabile
ai processi rivoluzionari in seno alla teoria critica - si parlerebbe senza dubbio
di una "linea di resistenza".
Nelle discussioni avvenute finora - che non si riferiscono solo al "come" ma, in
fondo, invariabilmente anche al "che cosa" della necessaria critica
dell'illuminismo, ancor prima di arrivare al punto di definire i contenuti - sono
emersi due temi di relativizzazione, o forse di anti-critica. Da un lato, si dice
che la critica dell'illuminismo deve tenere sempre a mente che essa stessa proviene
dal pensiero illuminista, e che fa parte dello stesso. Dall'altro lato, si afferma,
come un'altra deduzione che proviene dalla stessa riparazione, che il pensiero
illuminista � talmente ampio da contenere la sua propria critica. Questo,
nonostante il suo conformarsi alla critica dell'illuminismo sulle questioni del
dettaglio, suona gi� quasi come un addio all'addio, prima ancora che venga chiarita
con maggior dettaglio la relazione oggettuale dell'addio.
Evidentemente, � difficile negarlo: la difficolt� di un approccio critico
all'illuminismo consiste nel fatto che qualsiasi relazione, anche critica, con
esso, dev'essere determinata o contaminata dall'illuminismo e dal suo modo di
pensare e dal suo apparato concettuale. Dopo tutto le tematiche essenziali
dell'illuminismo non sono solo alcune idee equiparate ad altre idee, n� una scuola
di pensiero equiparata ad altre scuole di pensiero, n� determinati temi equiparati
ad altrettanti temi, n�, tanto meno, il paradigma di pertinenza di una disciplina
scientifica particolare, o storica, equiparato ad altri, ma, semmai, il modus di
tutte le idee, di tutte le scuole di pensiero, temi e paradigmi in generale nel
mondo moderno a partire dal secolo XVIII. Una vera critica radicale
dell'illuminismo, perci�, � possibile solo se non fa riferimento solamente a questo
o a quel contenuto particolare del pensiero illuminista, ma se distrugge allo
stesso tempo il modus, la forma, il metodo o l'approccio fondamentale di questo
pensiero, portando allo scoperto la sua meccanica interna.
Un aspetto importante di questo pensiero � la categoria di "progresso" o -
parlando in maniera pi� neutra e, per cos� dire, "metodica" - di "sviluppo";
quest'aspetto si trova maggiormente "sviluppato" nell'architettura del pensiero
sistemico di Hegel. Questo modo di pensare si avvale dell'evidenza logica per cui
tutte le cose e tutte le relazioni di questo mondo sono finite e avanzano in un
processo inserito nel tempo. Tuttavia, a questa banale evidenza viene associata,
come un passeggero clandestino, una precisa valutazione positiva, secondo cui per
prima cosa gli stadi di sviluppo posteriori sono necessariamente "pi� elevati" e
"migliori", nonostante che in linea di principio si potrebbe verificare
precisamente il contrario; e, in secondo luogo, che la dinamica dello sviluppo �
supportata da un principio ontologico positivo, ossia, che invariabilmente essa
trasporta, o porta con s�, "qualcosa" che non pu� essere rifiutata.
Questa valorizzazione non � in alcun modo obbligatoria, ma � diventata parte
integrante del concetto moderno di sviluppo. La connotazione positiva di questo
concetto serve, tuttavia, un disegno ideologico, segnatamente quello
dell'apologetica della socializzazione del valore e della rispettiva forma di
soggetto, e dei suoi protagonisti filosofici, ossia, proprio quegli illuministi
che, per cos� dire, in questo modo vogliono rendere impermeabile il posizionamento
del loro oggetto sociale, come proprio, in seno alla storia. Si pretende di
spingere qualsiasi critica dell'illuminismo dentro la favola della lepre che corre
in gara con la tartaruga. Di conseguenza, il primo requisito di una critica
realmente trascendente dell'illuminismo, e che ne possa rompere la prigione
categoriale, consiste nel negare la logica illuminista dello sviluppo, ossia, nel
mettere allo scoperto il trucco grossolano della tartaruga e nel non rendersi
disponibile a giocare secondo le sue regole. Il suo essere modernit�, ossia, il
livello pi� recente delle formazioni sociali feticiste, non fa ancora s� che
rappresenti necessariamente uno stato sociale "pi� elevato", n� che contenga
necessariamente un momento emancipatore degno di essere conservato.
Una volta che questo trabocchetto della configurazione iniziale � stato messo a
nudo, l'inimicizia emancipatrice verso l'ideologia apologetica dell'illuminismo pu�
essere formulata senza alcun vincolo, e anche con la dovuta durezza. In questo
caso, le relativizzazioni aprioristiche sopra riferite assumono un aspetto
peculiarmente paradossale. Ovviamente, una critica radicale dell'illuminismo pu�
essere criticata in quello che sono i suoi contenuti, e deve avvenire in modo
argomentativo, ma non deve cominciare col dover dimostrare la possibilit� della
propria esistenza. La questione aprioristica della possibilit� della sua esistenza
corrisponde al trucco da bifolco della tartaruga che non prende nemmeno in
considerazione l'ipotesi di partecipare alla gara reale. Dal punto di vista stesso
della critica, il paradosso consiste proprio nel trasformare s� stessa, a priori,
in una stupida lepre che fa sue le condizioni dell'oggetto della sua critica, e
minaccia in tal modo di smentire la sua qualit� di critica.
Una critica che, prima di ogni cosa, si interroga se abbia il diritto di esistere,
d� di s� un'immagine zoppicante. Da quando in qua si d� inizio all'inimicizia con
l'affermazione di una fratellanza di sangue, e si comincia l'addio con la
dichiarazione della rispettiva impossibilit� a darselo, e la critica radicale con
la constatazione che essa stessa � da sempre contenuta nel suo oggetto? Il pensiero
illuminista come riflessione teorica dell'astrazione del valore ha solamente
l'ampiezza sufficiente ad assorbire e ad "abbracciare" tutti gli oggetti, le
necessit�, le idee o le epoche, nella misura i cui gli stessi vengono assimilati
alla logica del valore e, in questo modo, annichiliti nella loro stessa qualit�. La
critica di questo funzionamento della capacit� di assorbimento universale solo
apparente, per�, non solo non � contenuta in questo pensiero ma � resa quasi
impossibile perfino da essere pensata. In tale misura, l'idea di questa critica �,
gi� nella sua prima forma embrionale astratta, l'inizio della fine del pensiero
illuminista; tuttavia, lo � solo nella misura in cui non venga relativizzata a
priori e revocata nel modo paradossale che abbiamo descritto.
Dopo tutto, se io so che l'oggetto della mia critica - oggetto che ho tutte le
ragioni per superare - mi trattiene con ogni fibra, il mio impulso dovrebbe essere
quello di scrollarmi di dosso le catene, e non quello di assicurarmi della forma
confortevole di una simile prigione. L'alfa e l'omega della critica che merita il
suo nome pu� essere solamente la negazione. Se, e in qualche misura, dell'oggetto
della negazione pu� rimanere qualcosa che possa essere conservato - e che cosa
potrebbe essere questo qualcosa - pu� essere constatato solo a posteriori, solo
dopo il passaggio dal processo negatore. Gli argomenti topici dell'anti-critica e
della relativizzazione, per�, suggeriscono un modo di procedere diametralmente
opposto: secondo essi, la seriet� e la difendibilit� argomentativa della critica
dell'illuminismo dovrebbe essere comprovata dal fatto che, a priori, prima di
qualsiasi confronto con l'oggetto in s�, si postuli che la critica pu� e deve
esistere solo se essa conserva "qualcosa" dell'oggetto, o se da sempre si muove
nell'ambito di questo oggetto.
A ben vedere, una simile posizione pu� essere assunta solamente se il punto di
partenza non � dato dall'assolutezza della critica, bens� dall'assolutezza di
quello che si vuole conservare, preceduto dall'affermazione, dalla "volont� di
salvare" (quasi una "mania di salvare"); se non si procede in maniera
offensivamente negatrice, ma difensivamente positivizzatrice e se la critica
radicale dell'illuminismo viene vissuta, nella realt�, innanzitutto come spaventosa
e quasi vessatoria, allora, in tal modo, la critica rischia di essere recuperata
dalla concezione, affermativa a priori e leggittimatrice, del pensiero illuminista.
Di certo, quello che qui dev'essere negato per principio non � un oggetto esterno,
come forse, nonostante tutti i processi di interiorizzazione, potrebbe ancora
essere considerata la categoria del lavoro. Qui si tratta del modo di vedere e di
trattare il mondo, del modo di pensare il proprio pensiero, si tratta di abolire la
forma di mediazione della coscienza che in un certo qual modo (sebbene masochista)
appare essere l'Io sociale stesso. Per tutto questo, la sfiducia del pensiero
critico rispetto a s� stesso non ha pi� giustificazioni. Ma cosa significa, in
questo contesto, l'avvertimento pronunciato con il dito indice stranamente alzato:
Tieni a mente, o critico, che tu stesso sei una creatura dell'illuminismo, che sei
necessariamente carne della carne di quello contro cui ti rivolti? Se � cos� - ed
evidentemente � anche cos� - la critica deve di fatto diffidare di s� stessa. Ma in
che modo? Certo non nel senso di dover temere che forse � "andata troppo lontano",
ancora prima di avere davvero cominciato!
L'ideologia illuminista non pu� essere uccisa alla stesso modo in cui si vorrebbe
uccidere una vecchia zia maligna e prepotente, di cui tuttavia si desidera
l'eredit�. Fra tutte le considerazioni generali sul modus sociale, bisogna mettere
per iscritto: Non c'� niente da ereditare, c'� solo da sbarazzarsi da qualcosa. E
sbarazzarsene per bene.
Le icone dell'illuminismo
Continua ad esserci qualcosa di strano nel fatto che l'atteggiamento della critica
dovrebbe diventare improvvisamente umile proprio quando comincia ad essere messo in
causa il patrimonio ancestrale. Laddove le tappe precedenti della critica del
valore venivano definite "rinfrescanti", ora vengono lette come "dubbie" o
"disgustose", per non dire "delicate". Chiss� perch�, improvvisamente si sente
odore di incenso. A quanto pare, ci stiamo avvicinando senza il dovuto rispetto per
il santuario, dove all'improvviso si esige che si porti rispetto al migliore. China
il capo, piega il ginocchio; e non dimenticare mai e poi mai di consegnare le armi
al guardaroba, perch� nel tempio non si trascinano durlindane, n� si giocherella
con i revolver.
La venerazione � un sentimento essenzialmente religioso; e nella maggior parte
delle religioni esistono, come oggetti esteriori di venerazione, idoli o icone.
Questa relazione pu�, evidentemente, essere trasposta anche alla storia, sotto
forma di un'iconografia, o di un'agiografia, intellettuale o politica. Le relazioni
di feticcio hanno sempre le proprie gallerie di antenati, le proprie immagini di
santi ed i propri oggetti di devozione, che hanno poco a che vedere con un rispetto
per le relazioni personali, e molto a che vedere con un'auto-integrazione
superstiziosa in un contesto tradizionale irriflesso. Qualsiasi scuola
convenzionale di pensiero, qualsiasi epoca dove c'era una situazione di dominio,
qualsiasi Stato e qualsiasi istituzione, e perfino qualsiasi club calcistico, ha in
un certo qual modo le sue icone, i suoi padri fondatori, i suoi ideologhi, i suoi
eroi, le nostre signore, ecc.. La rottura con una determinata relazione o con un
determinato contesto �, perci�, necessariamente, anche e soprattutto, una rottura
con la sua forma specifica di devozione. Ed � questo che, non ultimo, pone dei
limiti al pensiero emancipatore; limiti che non sono solo cognitivi.
Indubbiamente, anche lo stesso illuminismo rappresenta una rottura con un
determinato tipo di devozione, e perfino, in un certo modo, una rottura con tutto
quello che prima della sua epoca veniva designato come religione, ossia, la
coscienza del feticcio delle vecchie civilt� agrarie. Nella sua critica
dell'acutizzarsi della critica dell'illuminismo, Anselm Jappe usa questo fatto per
invertire i termini della questione: "Ma c'� un punto in cui la critica
dell'illuminismo sembra davvero restare profondamente illuminista, e perfino pi�
illuminista dello stesso illuminismo: stiamo parlando del desiderio di far tabula
rasa, dell'iconoclastia, della rottura con tutte le tradizioni. Se possiamo solo
'girare le spalle, con rabbia e disgusto, a tutto il ciarpame intellettuale
dell'Occidente...' quello che ci rimane allora � davvero ripartire da zero senza
poterci basare su qualcosa che provenga da prima" (Una questione di punti di vista.
Note relative alla critica dell'illuminismo, in Krisis 26/2003).
Voglio riferirmi qui, per ora, solo al concetto di iconoclastia, di attacco diretto
contro le immagini. Cosa ci sar� di male in queste? Le icone di ogni tipo non sono
il mondo, rappresentano solo una determinata comprensione del mondo e del rapporto
con questo. E' evidente che l'accusa di iconoclastia evochi alcune associazioni
negative: chi non si ricorda, anche senza volere, della cos� tanto pubblicizzata
barbarie dei talebani che, davanti agli occhi del mondo intero, usavano i cannoni
per ridurre in briciole statue di Buddha di valore storico? La barbarie, qui, per�,
risiede nella mancanza di sincronia storica. A quanto pare, pu� essere di "valore
storico" - nel senso di un'opera d'arte del museo o di un artefatto protetto in
quanto patrimonio storico - solo un oggetto che si trova gi� da tempo spogliato
della sua devota venerazione e che, perci�, non pu� risvegliare in maniera
immediata affetti positivi, n� negativi, ma solo sensazioni estetiche dissociate ed
interesse antiquario, in un senso che �, del resto, gi� specificamente moderno.
Com'� evidente, per i talebani le statue di Buddha non costituivano simili oggetti
di interesse storico o estetico ma, semmai, i simboli immediatamente minacciosi ed
ingombranti nella contingenza dei principi nemici da superare. Il fatto che
venissero trattati anche cos� - in termini oggettivi di pura barbarie, e non di
atto rivoluzionario e nemmeno liberatore - si deve unicamente alla circostanza per
cui i talebani non rappresentano un movimento trascendente, una nuova forma di
stare in societ� o un futuro dell'umanit�, dal momento che essi stessi non sono una
cosa diversa da un prodotto di decomposizione della stessa modernit�: cos� come
tutti i fondamentalismi contemporanei, pseudo-religiosi o etnici, costituiscono una
regressione tanto paurosa quanto distruttiva; come se ad una parte dell'umanit�
tornassero a crescere le code, o i peli in tutto il corpo. Gli � che,
indipendentemente dal continuum negativo delle relazioni di feticcio, non pu�
esistere un "progresso" positivo delle relazioni sociali verso stadi "superiori",
ma non pu� nemmeno esistere un "regresso" a situazioni anteriori; l'impulso
reazionario rappresenta sempre solamente un momento della crisi in seno alla
rispettiva formazione, ed il regresso pu� assumere sempre e solamente i tratti
fantasmaticamente irreali di un essere non morto.
In questo caso si tratta, pertanto, di un'iconoclastia non solo asincrona, ma anche
astorica, meramente regressiva. Tuttavia, questo non cambia il fatto che qualsiasi
vera rottura storica, qualsiasi rivoluzione mentale e sociale, qualsiasi forza
storica pregna di un futuro, in seno alle relazioni di feticcio ha dovuto sempre
accompagnarsi ad una qualche forma di iconoclastia, poich� diversamente il nuovo
non sarebbe stato capace di imporsi sul vecchio. Se San Bonifacio abbatt� la
quercia di Donar, se i protestanti gettarono fuori dalle loro chiese i santi
cattolici, o se Voltaire attacc� la chiesa nel suo insieme al grido di guerra
"Schiacciate l'infame", le immagini e i simboli dell'epoca da abbattere sono sempre
stati rimossi senza piet�. Non esiste un qualche motivo per supporre che, nel
limite storico delle relazioni di feticcio in generale, le cose potrebbero andare
in modo diverso con la modernit� e con le sue icone. Proprio perch� non
oltrepassiamo la forma di una sintesi sociale feticizzata, la lotta pi� o meno
feroce per uscire da tale forma dev'essere accompagnata, da parte sua, da una
colonna sonora iconoclasta.
A questo proposito, in un certo senso sta accadendo con l'illuminismo semplicemente
la stessa cosa che l'illuminismo, da parte sua, ha fatto con le icone della
coscienza premoderna, seppure, evidentemente, nel suo tempo, ha dovuto cominciare a
rivoltarsi contro quello che era carne della sua carne. Tuttavia, rivoltarsi, ora,
allo stesso modo, contro l'illuminismo, non costituisce n� una ripetizione n� una
caricatura del modo di procedere illuminista, nella misura in cui per il suo
oggetto si tratta questa volta di distruggere lo stesso illuminismo insieme alle
sue icone, come momento costitutivo della religione secolarizzata, o metafisica
reale, della relazione del valore e della dissociazione. Allo stesso modo, per la
sua posizione, in ogni caso non si tratta di un'attivit� specificamente
illuminista, in quanto parliamo di iconoclastia come tale. Il fatto � che atti
simili hanno accompagnato i movimenti rivolzionari in ogni epoca storica.
Eppure esiste una differenza importante per quel che riguarda le iconoclastie
precedenti. Gli � che le icone dell'illuminismo sono di un'indole diversa rispetto
agli idoli ed agli oggetti storici di devozione. In un senso ancora molto pi�
eminente di quanto lo sia, per esempio, il dio islamico, l'essere metafisico reale
del valore non consente alcun ritratto di s�, alcun oggetto palpabile di devozione
e alcuna oggettivazione, che non sia la mistificazione banale del denaro.
L'astrazione reale si fa beffe di tutti i simboli e di tutte le immagini
secondarie, � soddisfatta di s� stessa come vuota astrazione, mentre tutte le
espressioni sensibili e simboliche e tutte le rappresentazioni fisiche gli servono
solo da scenario materiale indifferente. In termini immediati, le icone
dell'illuminismo sono, perci�, di una natura tanto astratta quanto quello che
rappresentano: non si tratta di immagini nel vero senso, ma di figure di
riflessione, teorico-filosofica e positivista, della relazione del valore e della
dissociazione. In questo si esprime anche l'oggettivazione della nuova, pi� recente
ed ultima forma di feticcio e delle relative esigenze di sottomissione.
Le qualit� di astrattificazione (astrazione reale), secolarizzazione ed
oggettualizzazione, escludono il tentativo di un'iconoclastia personale od
oggettuale nei confronti dell'illuminismo. Sarebbe solo ridicolo procedere, per
esempio, alla distruzione solenne dei busti di Kant. Le divinit� intellettuali del
pantheon borghese maschile non costituiscono oggetto di una venerazione
superstiziosa nella loro figura personale immediata o nelle relative repliche, ma
sono solo portatori del contenuto affermativo della riflessione.
Per questo, si rivela inadeguata anche un'altra associazione che talvolta si impone
quando viene emessa l'accusa di iconoclastia, mi riferisco segnatamente al ricordo
dell'autodaf�. Questo atto che pu� essere sempre e solamente una barbarie, nella
storia delle formazioni di feticcio solo raramente si � accompagnato a dei meri
atti iconoclasti da parte delle forze progressiste; piuttosto, nella storia
dell'Occidente cristiano si � trattato soprattutto dei tentativi della reazione di
spegnere, letteralmente, pensieri sentiti come rivoluzionari. Ci � stato chi ha
detto, con ragione, che chi brucia libri brucia anche persone.
La critica dell'illuminismo, tuttavia, per essere rivoluzionaria e non reazionaria,
non solo non pu� coincidere con l'autodaf�, e a causa della sua iconoclastia
specifica non pu� riferirsi a una qualche grossolana oggettualit�, ma soprattutto
in virt� del fatto che si tratta di iconoclastia nei limiti delle relazioni di
feticcio in generale, non pu� inserirsi in questo continuum. Del resto, quello che
� all'ordine del giorno � la rottura proprio con questo genere di relazione,
escludendo di per s� qualsiasi tipo di mero fanatismo e, con esso, qualsiasi
volont� di distruzione meramente esteriore ed oggettualizzata. Infatti, in tal
senso si rende ancora inevitabile che la critica dell'illuminismo, come disputa sul
piano del feticcio, si accompagni a momenti di iconoclastia. Tuttavia, nella sua
funzione di critica del feticismo nel suo insieme - che non crea alcuna relazione
nuova di feticcio - si distingue anche qualitativamente da tutte le iconoclastie
precedenti. Sia per il suo oggetto, come per la sua intenzione, la critica radicale
della qualit� negativa del feticismo specificamente moderno, che ci porta nel suo
insieme in maniera catastrofica verso i limiti della "preistoria" - nel senso dato
a questo termine da Marx - esige che si superi ogni tipo di vincolo simbolico
esteriorizzato che si trova sottratto alla riflessione. Solo dove una forma di
feticismo viene sostituita da un'altra, l'iconoclastia pu� avvenire sotto forma di
un letterale attacco alle immagini, o pu� perfino provocare la reazione per cui
vengono bruciati libri o persone.
La critica dell'illuminismo deve distruggere la devozione della modernit�, la
quale, tuttavia, si manifesta in forma immediata sotto forma di devozione nei
confronti della forma sociale e della sua forma di riflessione. E' proprio in
questo senso che avvengono i perpetui salamelecchi davanti ai filosofi e
soprattutto davanti a Kant, cos� come essi vengono eseguiti in forma rituale dai
teorici tanto liberali quanto conservatori e di sinistra, con ramificazioni che
arrivano anche al cuore della sinistra radicale, e perfino alla stessa critica
dell'illuminismo. I bastioni avanzati di questa fortezza di devozione sono
costituiti da determinate pietose bugie che, da parte loro, si trovano situati in
forma aprioristica a monte di qualsiasi tipo di contenuto, e che devono far s� che
la critica cada nel vuoto prima ancora di cominciare.
In questo modo, per esempio, l'attacco polemico all'illuminismo e alle rispettive
icone viene respinto in forma mezzo ironica, a met� pietosa e inadeguata, in quanto
gli sembra che si maltrattino i morti in generale. Pietosa, in conformit� col
vecchio detto: De mortuis nil nisi bene - che sarebbe come dire che questo
costituisce una profanazione dei cadaveri, dei cimiteri e dei monumenti; qualcosa
che un teorico decente non farebbe mai. Ed un po' ironica, sebbene in maniera
forzata: in fondo, il mondo non � molto che ha superato quei tempi, il
condizionamento di un Kant gi� oggi non esiste pi� - e sei tu che stai dando
grucciate agli zoppi; e questo non sta bene per chi si attribuisce un atteggiamento
colto e riflessivo.
Se e quando tutto questo viene riferito ai condizionamenti storici, lo si trova
implicitamente associato alla ricaduta nella logica illuminista dello sviluppo. Il
messaggio subliminale di questa anti-critica che dice che "nel suo tempo" fu
semplicemente "il turno" di Kant di esprimere le sue opinioni, dal momento che esse
rappresentavano un determinato livello (supposto come necessario) dello sviluppo
del pensiero riflessivo o del "progresso teorico"; oggi, naturalmente sarebbe
andato molto pi� lontano, ma in fondo non si pu� attaccare la storia in quanto
tale. E cos� Kant appare, ancora una volta, come architetto di un edificio del
pensiero che forse non deve essere demolito; ossia, la continuit� invece della
rottura. Oppure, in maniera paradossale, la rottura appare anch'essa rotta; come
una rottura che ha gi� smesso di esserlo.
Poi � chiaro che non si pu� criticare la storia in quanto tale; ma si pu�, semmai,
criticare la storia nella misura in cui questa � presente. Il fatto per cui Kant �
tutto meno che un cieco, presentandosi innanzitutto - per mezzo della sua
architettura elaborata di un'opera d'arte teorica integrale di affermazione pura e
dura - come un avversario vivo, e ben vivo, in quanto la forma di riflessione da
lui resa esplicita si � radicata fino all'incoscienza nel pensiero quotidiano di
un'umanit� capitalista. Questo fatto decisivo viene solo ammesso in una maniera
singolare, che consiste nell'affermazione per cui, proprio per questo fatto, la
critica radicale dovrebbe "riconoscere" la coscienza riflessiva di Kant in maniera
rispettosa, per arrivare a spiegare la forma tuttavia socialmente sedimentata di
questa riflessione. Invece di affrontarlo e regolare i conti con Kant, diviene il
vettore e l'ideologo di questa forma di pensiero e di azione comunque incosciamente
oggettivata, in maniera tanto polemica ed aggressiva quanto adeguata al carattere
distruttore del mondo di questa forma di pensiero e di azione.
Una variante di questa falsa devozione in seno alla critica dell'illuminismo,
consiste nell'attestare agli illuministi in generale, e a Kant in particolare, che
in un certo qual modo essi si sarebbero gi� smentiti da s� soli, a causa delle loro
contraddizioni interni, a causa della loro argomentazione aporetica e
dell'insostenibilit� delle loro conclusioni; e l'indegna "polemica postuma" perci�,
in fondo, manca di argomenti, visto che non possiamo ormai criticare questi
signori, tanto pi� che essi stessi, "oggettivamente", avrebbero gi� criticato s�
stessi. Se le mere contraddizioni interne e l'insostenibilit� - oppure una "brutta
fine" - fossero criteri della critica, in tal caso Nerone sarebbe stato il primo
critico del principio imperiale, e Hitler, il primo antifascista. Qui viene di
nuovo assunto implicitamente un punto di vista oggettivista che lascia fuori la
qualit� specifica della critica in quanto "negazione non autorizzata", e che vede
l'elemento negativo unicamente nella "realizzazione" oggettiva "della storia" il
solo che dev'essere espresso - ossia, ancora una volta, e pi� che mai, una ricaduta
nella logica interna dell'illuminismo. Kant, con la sua franchezza e coscienza di
una riflessione affermativa della condizione del mondo, non anticipa alcuna
critica, cos� come, per esempio, non l'anticipa de Sade con la sua propaganda
sfacciata della tortura degli esseri umani e della volont� di distruggere (cos�
come, in maniera generale, Kant e de Sade rimangono figure imparentate, che daranno
una mano alla costruzione della medesima logica di astrazione reale).
La critica del valore come critica dell'illuminismo non ha il minimo motivo di
affrontarlo in maniera devota ed oggettivista secondo una simile tematica,
contrariamente a quello che succede, per esempio, nel caso dello svezzamento
polemico del marxismo del movimento operaio; piuttosto il contrario. La polemica
teorica contro l'intero complesso del pensiero illuminista e la sua ideologia deve
diventare la polemica pi� aspra mai vista. In questo, e solo in questo senso, si
applica alla critica dell'illuminismo, mai come prima nella storia, la parola
d'ordine temeraria: Iconoclastia ora!
Fonte: EXIT!
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