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�Voglio riferirmi qui, per ora, solo al concetto di iconoclastia, di attacco

diretto contro le immagini. Cosa ci sar� di male in queste? Le icone di ogni tipo
non sono il mondo, rappresentano solo una determinata comprensione del mondo e del
rapporto con questo. E' evidente che l'accusa di iconoclastia evochi alcune
associazioni negative: chi non si ricorda, anche senza volere, della cos� tanto
pubblicizzata barbarie dei talebani che, davanti agli occhi del mondo intero,
usavano i cannoni per ridurre in briciole statue di Buddha di valore storico? La
barbarie, qui, per�, risiede nella mancanza di sincronia storica. A quanto pare,
pu� essere di "valore storico" - nel senso di un'opera d'arte del museo o di un
artefatto protetto in quanto patrimonio storico - solo un oggetto che si trova gi�
da tempo spogliato della sua devota venerazione e che, perci�, non pu� risvegliare
in maniera immediata affetti positivi, n� negativi, ma solo sensazioni estetiche
dissociate ed interesse antiquario, in un senso che �, del resto, gi�
specificamente moderno.
Com'� evidente, per i talebani le statue di Buddha non costituivano simili oggetti
di interesse storico o estetico ma, semmai, i simboli immediatamente minacciosi ed
ingombranti nella contingenza dei principi nemici da superare. Il fatto che
venissero trattati anche cos� - in termini oggettivi di pura barbarie, e non di
atto rivoluzionario e nemmeno liberatore - si deve unicamente alla circostanza per
cui i talebani non rappresentano un movimento trascendente, una nuova forma di
stare in societ� o un futuro dell'umanit�, dal momento che essi stessi non sono una
cosa diversa da un prodotto di decomposizione della stessa modernit�: cos� come
tutti i fondamentalismi contemporanei, pseudo-religiosi o etnici, costituiscono una
regressione tanto paurosa quanto distruttiva; come se ad una parte dell'umanit�
tornassero a crescere le code, o i peli in tutto il corpo.
Gli � che, indipendentemente dal continuum negativo delle relazioni di feticcio,
non pu� esistere un "progresso" positivo delle relazioni sociali verso stadi
"superiori", ma non pu� nemmeno esistere un "regresso" a situazioni anteriori;
l'impulso reazionario rappresenta sempre solamente un momento della crisi in seno
alla rispettiva formazione, ed il regresso pu� assumere sempre e solamente i tratti
fantasmaticamente irreali di un essere non morto. In questo caso si tratta,
pertanto, di un'iconoclastia non solo asincrona, ma anche astorica, meramente
regressiva.
Tuttavia, questo non cambia il fatto che qualsiasi vera rottura storica, qualsiasi
rivoluzione mentale e sociale, qualsiasi forza storica pregna di un futuro, in seno
alle relazioni di feticcio ha dovuto sempre accompagnarsi ad una qualche forma di
iconoclastia, poich� diversamente il nuovo non sarebbe stato capace di imporsi sul
vecchio. Se San Bonifacio abbatt� la quercia di Donar, se i protestanti gettarono
fuori dalle loro chiese i santi cattolici, o se Voltaire attacc� la chiesa nel suo
insieme al grido di guerra "Schiacciate l'infame", le immagini e i simboli
dell'epoca da abbattere sono sempre stati rimossi senza piet�. Non esiste un
qualche motivo per supporre che, nel limite storico delle relazioni di feticcio in
generale, le cose potrebbero andare in modo diverso con la modernit� e con le sue
icone. Proprio perch� non oltrepassiamo la forma di una sintesi sociale
feticizzata, la lotta pi� o meno feroce per uscire da tale forma dev'essere
accompagnata, da parte sua, da una colonna sonora iconoclasta.�
( Robert Kurz, da �Tabula Rasa - Fino a che punto � auspicabile, necessario o
lecito criticare l'Illuminismo � - Krisis n�27 - Novembre 2003 )

TABULA RASA
- Fino a che punto � auspicabile, necessario o lecito criticare l'Illuminismo -
di Robert Kurz

La critica radicale deve lottare contro l'inerzia apparentemente schiacciante


dell'esistente che si � sedimentato nella coscienza generale e, di conseguenza,
anche nella sfera teorica della societ�; e non solo sul piano della riflessione in
quanto tale, ma anche su quello delle abitudini e dei preconcetti intellettuali,
dell'immaginazione e degli ideali, cos� come delle limitazioni istituzionali, dei
limiti imposti attraverso i tab�, ecc.. E' importante, quando si tratta di
formulare una critica radicale della stessa critica radicale, rivoluzionarla,
dotarla di un nuovo paradigma. In tale contesto si colloca il problema della
resistenza di attrito al potere, poich� in questo caso la sedimentazione di
qualcosa di esistente dev'essere doppiamente superata : da un lato, va superata
nella coscienza generale della societ� ufficiale e, dall'altro, in seno alla
coscienza generale della critica, esercitata fino a quel momento, che si pretende
di trasformare. La sociologia della conoscenza, di diversa provenienza, dimostra in
che misura - nello sviluppo della scienza, e anche nello sviluppo della teoria
critica, sia per quanto riguarda la sua relazione con la scienza ufficiale, sia sul
suo stesso proprio terreno - siano in azione fattori e motivazioni del tutto
divergenti dalla mera riflessione pura, dalla ricerca della verit� e dall'onest�
intellettuale. Il postulato di Weber, circa l'esenzione del giudizio di valore, e
quello di Habermas, nel senso del discorso esente dal dominio, sono ugualmente
illusori. Nelle condizioni della relazione di feticcio in generale e della
soggettivit� concorrenziale capitalista in particolare, si presentano ostacoli alla
riflessione, non solo sul piano del contenuto, ma anche a livello di riferimenti.
Qui si applicano leggi tacitamente presupposte per quel che riguarda la
reputazione, si difendono identit�, si sviluppano antipatie, si esprimono
idiosincrasie e si risolvono rivalit�. Esiste qualcosa di simile ad un'etichetta
teorica che stabilisce ci� che � "serio" e "scientifico", "in conformit� ai
requisiti di metodo", ecc., e quello che non lo �. Cos� non si stabilisce solo una
frontiera formale, ma tale frontiera viene estesa anche ai contenuti; non solo si
coltiva una mera correttezza del tratto sociale, ma si difende anche un senso
comune. Tanto la scienza ufficiale quanto la teoria critica, nel loro rispettivo
status quo, serrano le fila contro intrusi ed arrivisti, in niente diverse,
rispetto a questo, da qualsiasi altra istituzione borghese e societ� ermetica; ci
si difende tanto dai dilettanti e dai ciarlatani quanto dai rinnovatori e dai
rivoluzionari, visto che non si distingue necessariamente fra gli uni e gli altri.
"L'errore di grammatica" incontra inizialmente, invariabilmente, un rifiuto
veemente. Ma, ovviamente, esistono vari gradi di comportamenti difensivi. Si parte
da quello che ancora viene considerato come appena sopportabile o che viene solo
considerato marginale, eccentrico, ecc., e si arriva a tracciare una pura, e
semplicemente insopportabile, grande parentesi.
Tuttavia, da parte sua, anche ogni movimento rinnovatore o rivoluzionario si
presenta come discontinuo e frammentato. Un anticipo d'avanguardia non raggiunge la
superficie della coscienza sociale come se fosse un nuovo paradigma, finalmente
imposto nella sua versione e forma primitica. Ed il movimento avviene in modo non
uniforme, non simultaneo: perch� un trasformazione riesca a raggiungere il suo
obiettivo, sono necessari numerosi tentativi. Questo conduce, sempre nuovamente, a
conflitti, necessari ed inutili, spesso angoscianti. Anche la stessa critica
trasformatrice non segue inevitabilmente solo punti di vista conoscitivi o un puro
percorso verso la verit�. E neppure tutti accompagnano ogni movimento, alcuni si
mettono di lato, altri incontrano un confine dove forse non c'� confine alcuno.
Quando � "abbastanza" e dov'� il punto in cui si arriva "troppo lontano", be'
questa � cosa che ancora dev'essere rivelata.
Non � raro che un rifiuto si manifesti soprattutto come una critica formale e
stilistica. Ogni diatriba che vada oltre i confini preesistenti si trova associata
ad una sorta di allegria della scoperta e ad un certo gesto aggressivo, nel quale
si riflette l'auto-affermazione del nuovo contro l'inerzia paralizzante del
vecchio. E quasi tutte le battaglie di ritirata teorica cominciano con la comparsa
dei portatori di dubbi che perdono il gusto per l'impeto dell'attacco, mentre gli
altri si lasciano convincere dalla nuova teoria critica, arrivando ad identificarsi
per mezzo delle loro stesse domande proprio con l'ulteriore sviluppo acutizzatosi.
La coscienza deterrente, al contrario, che rifiuta la critica trasformatrice per
principio, o che non desidera seguirla a partire da un determinato punto,
preferendo restarne fuori, comincia ad infastidirsi, secondo il caso, "alla buona
maniera borghese", con stile suppostamente "trionfalista", con impeto aggressivo,
con la formulazione polemica, con l'esagerazione, con la "unilateralit�", con i
modi teorici di comportarsi a tavola, ecc..
Nello sviluppo della teoria critica del valore oltre il "marxismo" c'� stato,
finora, soprattutto il passaggio attraverso la critica categoriale del lavoro che
ha causato un blocco identitario ed una campagna formale di diffamazione da parte
di quelli rimasti indietro: "Ora siamo arrivati troppo lontano", era il subtesto di
un discorso al contrario il quale si serviva di argomenti in tutto e per tutto
somiglianti a quelli abitualmente utilizzati dalle guardie accademiche locali e di
distretto contro qualsiasi tesi rivoluzionaria. I critici del lavoro perci�
dicevano agli ontologhi marxisti del lavoro: "non abbiamo letto" Marx (o, in ogni
caso, non lo abbiamo letto in forma adeguata), che il procedimento sarebbe "impuro"
in termini metodologici e filologici, che le contraddizioni interne alla teoria di
Marx sarebbero solo "costruite", essendo la contestualizzazione storica, a ben
vedere, "inammissibile", ecc.. La negazione pura e dura della categoria del
"lavoro", tutto meno che relativizzante, provoc� anche nei commentatori - ben
intenzionati, ma in parte ancora fedeli al marxismo del movimento operaio - per
cos� dire la furia della relativit�. Quanto pi� poveri ed apologetici erano i
contro-argomenti che si riferivano al contenuto, tanto maggiore era la veemenza con
cui i loro autori si rifugiavano nell'arroganza delle note a pi� di pagina, nello
stile dei professori inveterati di liceo: "Cos� non si pu� lavorare con l'assunto".
Come � stato dimostrato finora, nei punti focali dello sviluppo della teoria
critica del valore possono insorgere difficolt� inaspettate, che possono assumere
tanto la forma di smarrimento della critica, quanto la forma di blocchi identitari.
Il percorso di arresto sembra manifestarsi, innanzitutto, nella crescente tendenza
ad un sorta di apatia e di equilibrio accademico, che potrebbe a sua volta
innescare un'acutizzazione apodittica tanto pi� veemente, dall'altro lato. Ma,
mentre le questioni non vengono formulate con sufficiente chiarezza e, perci�, i
confini non vengono definiti con precisione, non si pu� formulare una delimitazione
pi� definita ma, semmai, promuovere una controversia. L'impeto polemico non deve
indurre in una persona - invertendo semplicemente il blocco identitario - il blocco
a priori da parte sua di ogni anti-critica che si misura con la critica con pretese
trasformatrici, e negare il carattere discorsivo dell'elaborazione teorica. Un mero
progredire senza una qualsivoglia resistenza sarebbe fatale, perch� la
trasformazione della critica verrebbe cos� defraudata di un'istanza riflessiva
imprescindibile. Non tutta la relativizzazione agisce come un freno, e neppure
tutte le riparazioni che invocano la complessit� sono reazionarie sul piano
teorico. Anche l'esitazione pu� essere produttiva, anche sfidare l'ostinazione pu�
portare alla luce del giorno nuove conoscenze. E anche il blocco identitario ha la
sua importanza, sebbene infelice, che costringe la critica trasformatrice a dotarsi
di acutezza e precisione terminologica. Infine influiscono anche sulla complessit�
dell'elaborazione teorica, le differenze di temperamento e relative ad un modo di
procedere che non implichi a priori un'opposizione ostile (e che molte volte viene
solo scambiata per un risentimento aperto, a causa di una mancanza di riflessione e
di auto-riflessione a quel livello).
Col progredire della critica trasformatrice che va oltre le forme di pensiero e di
attuazione della modernit� produttrice di merci si pone, sempre nuovamente, la
vecchia questione: Che cosa � cosa? Cos'� un blocco identitario e che cos'� una
riparazione produttiva, oppure che cos'� una rottura in termini di contenuti e che
cos'� solo uno stile differente, o ancora che cos'� un'apologetica e che cos'� una
diversificazione necessaria della critica? Tali questioni non possono essere decise
all'inizio, per decreto o per idiosincrasia, ma solamente "nelle cose in s�",
ossia, mettendo in risalto il contenuto, sia attraverso il metodo discorsivo che in
modo apodittico, sia in termini polemici che per mezzo della relativizzazione.
Nella stessa misura in cui l'anti-critica diventa identitaria, e quindi
apologetica, in quel che dice rispetto all'oggetto sociale della critica, pu�
accadere che non possa essere raggiunta da nessun'argomentazione; ma � lecito avere
sufficiente fiducia nella dinamica stessa del movimento trasformatore, che sapr�
superare tutti i tentativi di frenarlo e riuscir� a raggiungere la sua destinazione
storica.
In questo senso, � facile vedere come il percorso della "distruzione creatrice" del
vecchio paradigma della critica sociale, categorialmente legato al suo oggetto, non
sia ancora in alcun modo terminato. Eppure c'� da uccidere molte vacche sacre.
Soprattutto, riguardo ai temi essenziali del cosiddetto Illuminismo, di questo
movimento filosofico del XVIII secolo, in cui la costituzione del mondo moderno e
del suo sistema produttore di merci viene messa in scena come riflessione positiva,
permeando e determinando fino ad oggi, implicitamente o esplicitamente, non solo
l'apologetica ruminante ma anche la critica ugualmente inconsistente e ruminante.
Specialmente sotto quest'aspetto, la distruzione radicale dei concetti non pu�
essere moderata, e dev'essere portata in modo coerente fino in fondo.
Indubbiamente, nella critica dell'illuminismo in generale, ancor pi� di quanto
avvenga rispetto alla critica del lavoro, in particolare, quello che � in causa �
il patrimonio di famiglia della coscienza borghese, inclusi i suoi derivati, o
appendici, "di sinistra" o "marxisti". Pertanto, quel che conta �, da una parte, il
passare minuziosamente in rivista tutti i suoi angoli e le sue fessure,
argomentando con estrema cautela, tenendo conto di tutti i suoi livelli e non
lasciando aperta nemmeno una porticina di servizio per una qualche insidiosa
apologetica. Questo, tuttavia, non pu� significare, in alcun modo, una rinuncia
alle tesi esacerbatrici, anzi. Gli � che, dall'altra parte, la critica
dell'illuminismo deve attuare in maniera particolarmente aggressiva, dal momento
che solo in questo modo si arriva alla sorgente di ogni paralisi e cecit� del
pensiero emancipatore della modernit�. La domanda decisiva � questa: Che cos'� che
rimane del pensiero della modernit� borghese, e che cosa dev'essere abolito senza
piet�? In altre parole: Fino a dove pu� e deve arrivare, alla fine, la dura
negazione? La questione centrale, in tale contesto, � il destino del pensiero
illuminista. C'� o no qualcosa da salvare nel pensiero illuminista? In caso
affermativo, che cosa, e in caso contrario, quali sono le implicazioni?
L'analisi che segue si riferisce ad argomentazioni in parte pubblicate (e
debitamente segnalate), in parte orali ed interne, alcune esplicite, altre
implicite o virtuali, in parte espresse nel circuito ristretto della stessa critica
dell'illuminismo, in parte al di fuori di questo, oppure che, in modo generale, si
trovano all'ordine del giorno nella sfera teorica, in relazione a questo problema
della portata e della "ammissibilit�" della critica radicale dell'illuminismo, con
pretese di emancipazione. Si tratta di definire con maggior chiarezza la logica
della negazione radicale, nella sua relazione fondamentale con le innegabili
conquiste della storia, e scoprire le strategie difensive del "soggetto
occidentale" maschile.

Inimicizia o eredit�?
Come non ci si aspetterebbe altrimenti, l'approfondimento della critica radicale
della filosofia borghese dell'illuminismo si confronta con un ampio spettro di
resistenza in seno all'assistenza critica della societ� (quello che una volta era
un movimento sociale, ora relegato da una nuova riflessione teorica al ruolo di
assistenza), la quale, come conseguenza di un viaggio di trasformazione del
pensiero preesistente alla critica sociale emancipatrice, frattanto divenuto
obsoleto, sembrava essersi sviluppata, per cos� dire, sulla base di una riflessione
teorica pura - in termini concreti, sulla negazione del pensiero illuminista, delle
sue giustificazioni filosofiche e delle sue ideologie, in una nuova dimensione,
critica del valore - e sembrava aver acquisito, al pi� tardi a partire dall'11
settembre, un'attualit� immediata insperata in relazione al processo di crisi reale
della societ� globale capitalistica. Questo avveniva precisamente nello stesso
momento in cui questo nuovo livello di riflessione si apriva, in quanto necessit�
immanente di riflessione teorica, alla coscienza mondiale borghese officiale,
ricordandosi - con una militanza di crisi che arrotava i denti - dei fondamenti dei
suoi "valori occidentali" del XVIII secolo, al fine di legittimarsi nella guerra
dei fantasmi contro i loro stessi propri demoni.
La critica radicale dell'ideologia illuminista, dotata di una nuova qualit�, non
pu�, perci�, essere percepita, nella situazione di una relativa calma sociale, come
"pensiero interessante" nell'ambito del gioco delle biglie dell'esoterismo
borghese; innanzitutto, si manifesta, in forma immediata, come una dichiarazione di
guerra al livello pi� elevato di astrazione teorica. E diventa cos�, in modo
altrettanto inaspettato, allo stesso tempo, un casus belli a quello stesso livello
in seno alla sinistra residuale di ispirazione marxista; e lo � molto pi� di quanto
lo sia gi� stata la critica del lavoro. Gli � che una parte di quel che rimane
della sinistra radicale, perlomeno in Germania, ha scoperto, grazie all'impressione
causata dalla scalata della barbarie in seno alla societ� globale di crisi, le sue
radici e la sua patria intellettuale nella modernit� occidentale, sentendosi ora in
debito, con una maggior quota di fanatismo, di un omaggio solenne - che supera il
catechismo democratico ufficiale - al cosiddetto illuminismo in quanto punto di
partenza e di arrivo di tutto il pensiero emancipatore "lecito", denunciando
qualsiasi intenzione di pizzicare le vacche sacre dell'Occidente come se fosse una
complicit� suppostamente reazionaria con la barbarie, "fascista", come il frutto di
una nostalgia irrazionale della "idiozia della vita rurale", come la ricaduta negli
"orrori della natura" precedenti alla modernit�, ecc..
Questo squillo di tromba borghese di sinistra ed illuminista, che ancora una volta
tenta di tirare tutti i fili del pi� che obsoleto pensiero ideologico della storia
del movimento di modernizzazione capitalista, evidentemente ormai non pu� essere
pi� preso completamente sul serio in termini intellettuali. Potremmo considerare
allo stesso modo, sul piano della riflessione teorica sulla societ�, i commenti
proferiti dal Papa in occasione della Pasqua sullo stato del mondo, o i documenti
provenienti da Al-Quaeda. Ma la pressione ideologica � talmente forte e le radici
del pensiero illuminista sono talmente profonde che, "nell'ora dell'afflizione",
proprio in quei rappresentanti della sinistra che appaiono essere portatori di una
riflessione a livello teorico, non sembra imporsi un acutizzazione della critica
radicale ma, al contrario, la difesa della "eredit� borghese" che ha
approssimativamente lo stesso valore del patrimonio di villette a schiera fordiste
insopportabilmente brutte, oramai decrepite fino al punto di non poter pi� essere
riparate, ed il cui finanziamento non � mai stato completamente rimborsato.
Ma anche nei sobborghi della posizione che assume il punto di vista di dichiarare
inevitabile la separazione dall'illuminismo, e la rinuncia alla sua eredit�, si
coltivano simultaneamente forti dubbi rispetto alla necessit� di una rottura chiara
ed inequivocabile. L'addio assume i tratti di un'esagerata cortesia,
accompagnandosi ad una raffica di lusinghe talmente interminabili che, al
contrario, potrebbero sorgere dubbi sul suo carattere di addio. La discrezione
diplomatica pu� arrivare ad un punto in cui, ad aspettare, morremmo di fame
sull'uscio, oppure ad un punto in cui continuiamo a limare la dichiarazione di
guerra per cos� tanto tempo senza riuscire mai ad inviarla. In ogni caso, si sa che
anche la critica dell'illuminismo dichiarata come necessaria, � accompagnata da
molti pi� scrupoli che, per esempio, la critica del lavoro. Sembra che qui si
tocchi un punto molto doloroso. Secondo l'analisi del testo -se fosse applicabile
ai processi rivoluzionari in seno alla teoria critica - si parlerebbe senza dubbio
di una "linea di resistenza".
Nelle discussioni avvenute finora - che non si riferiscono solo al "come" ma, in
fondo, invariabilmente anche al "che cosa" della necessaria critica
dell'illuminismo, ancor prima di arrivare al punto di definire i contenuti - sono
emersi due temi di relativizzazione, o forse di anti-critica. Da un lato, si dice
che la critica dell'illuminismo deve tenere sempre a mente che essa stessa proviene
dal pensiero illuminista, e che fa parte dello stesso. Dall'altro lato, si afferma,
come un'altra deduzione che proviene dalla stessa riparazione, che il pensiero
illuminista � talmente ampio da contenere la sua propria critica. Questo,
nonostante il suo conformarsi alla critica dell'illuminismo sulle questioni del
dettaglio, suona gi� quasi come un addio all'addio, prima ancora che venga chiarita
con maggior dettaglio la relazione oggettuale dell'addio.
Evidentemente, � difficile negarlo: la difficolt� di un approccio critico
all'illuminismo consiste nel fatto che qualsiasi relazione, anche critica, con
esso, dev'essere determinata o contaminata dall'illuminismo e dal suo modo di
pensare e dal suo apparato concettuale. Dopo tutto le tematiche essenziali
dell'illuminismo non sono solo alcune idee equiparate ad altre idee, n� una scuola
di pensiero equiparata ad altre scuole di pensiero, n� determinati temi equiparati
ad altrettanti temi, n�, tanto meno, il paradigma di pertinenza di una disciplina
scientifica particolare, o storica, equiparato ad altri, ma, semmai, il modus di
tutte le idee, di tutte le scuole di pensiero, temi e paradigmi in generale nel
mondo moderno a partire dal secolo XVIII. Una vera critica radicale
dell'illuminismo, perci�, � possibile solo se non fa riferimento solamente a questo
o a quel contenuto particolare del pensiero illuminista, ma se distrugge allo
stesso tempo il modus, la forma, il metodo o l'approccio fondamentale di questo
pensiero, portando allo scoperto la sua meccanica interna.
Un aspetto importante di questo pensiero � la categoria di "progresso" o -
parlando in maniera pi� neutra e, per cos� dire, "metodica" - di "sviluppo";
quest'aspetto si trova maggiormente "sviluppato" nell'architettura del pensiero
sistemico di Hegel. Questo modo di pensare si avvale dell'evidenza logica per cui
tutte le cose e tutte le relazioni di questo mondo sono finite e avanzano in un
processo inserito nel tempo. Tuttavia, a questa banale evidenza viene associata,
come un passeggero clandestino, una precisa valutazione positiva, secondo cui per
prima cosa gli stadi di sviluppo posteriori sono necessariamente "pi� elevati" e
"migliori", nonostante che in linea di principio si potrebbe verificare
precisamente il contrario; e, in secondo luogo, che la dinamica dello sviluppo �
supportata da un principio ontologico positivo, ossia, che invariabilmente essa
trasporta, o porta con s�, "qualcosa" che non pu� essere rifiutata.
Questa valorizzazione non � in alcun modo obbligatoria, ma � diventata parte
integrante del concetto moderno di sviluppo. La connotazione positiva di questo
concetto serve, tuttavia, un disegno ideologico, segnatamente quello
dell'apologetica della socializzazione del valore e della rispettiva forma di
soggetto, e dei suoi protagonisti filosofici, ossia, proprio quegli illuministi
che, per cos� dire, in questo modo vogliono rendere impermeabile il posizionamento
del loro oggetto sociale, come proprio, in seno alla storia. Si pretende di
spingere qualsiasi critica dell'illuminismo dentro la favola della lepre che corre
in gara con la tartaruga. Di conseguenza, il primo requisito di una critica
realmente trascendente dell'illuminismo, e che ne possa rompere la prigione
categoriale, consiste nel negare la logica illuminista dello sviluppo, ossia, nel
mettere allo scoperto il trucco grossolano della tartaruga e nel non rendersi
disponibile a giocare secondo le sue regole. Il suo essere modernit�, ossia, il
livello pi� recente delle formazioni sociali feticiste, non fa ancora s� che
rappresenti necessariamente uno stato sociale "pi� elevato", n� che contenga
necessariamente un momento emancipatore degno di essere conservato.
Una volta che questo trabocchetto della configurazione iniziale � stato messo a
nudo, l'inimicizia emancipatrice verso l'ideologia apologetica dell'illuminismo pu�
essere formulata senza alcun vincolo, e anche con la dovuta durezza. In questo
caso, le relativizzazioni aprioristiche sopra riferite assumono un aspetto
peculiarmente paradossale. Ovviamente, una critica radicale dell'illuminismo pu�
essere criticata in quello che sono i suoi contenuti, e deve avvenire in modo
argomentativo, ma non deve cominciare col dover dimostrare la possibilit� della
propria esistenza. La questione aprioristica della possibilit� della sua esistenza
corrisponde al trucco da bifolco della tartaruga che non prende nemmeno in
considerazione l'ipotesi di partecipare alla gara reale. Dal punto di vista stesso
della critica, il paradosso consiste proprio nel trasformare s� stessa, a priori,
in una stupida lepre che fa sue le condizioni dell'oggetto della sua critica, e
minaccia in tal modo di smentire la sua qualit� di critica.
Una critica che, prima di ogni cosa, si interroga se abbia il diritto di esistere,
d� di s� un'immagine zoppicante. Da quando in qua si d� inizio all'inimicizia con
l'affermazione di una fratellanza di sangue, e si comincia l'addio con la
dichiarazione della rispettiva impossibilit� a darselo, e la critica radicale con
la constatazione che essa stessa � da sempre contenuta nel suo oggetto? Il pensiero
illuminista come riflessione teorica dell'astrazione del valore ha solamente
l'ampiezza sufficiente ad assorbire e ad "abbracciare" tutti gli oggetti, le
necessit�, le idee o le epoche, nella misura i cui gli stessi vengono assimilati
alla logica del valore e, in questo modo, annichiliti nella loro stessa qualit�. La
critica di questo funzionamento della capacit� di assorbimento universale solo
apparente, per�, non solo non � contenuta in questo pensiero ma � resa quasi
impossibile perfino da essere pensata. In tale misura, l'idea di questa critica �,
gi� nella sua prima forma embrionale astratta, l'inizio della fine del pensiero
illuminista; tuttavia, lo � solo nella misura in cui non venga relativizzata a
priori e revocata nel modo paradossale che abbiamo descritto.
Dopo tutto, se io so che l'oggetto della mia critica - oggetto che ho tutte le
ragioni per superare - mi trattiene con ogni fibra, il mio impulso dovrebbe essere
quello di scrollarmi di dosso le catene, e non quello di assicurarmi della forma
confortevole di una simile prigione. L'alfa e l'omega della critica che merita il
suo nome pu� essere solamente la negazione. Se, e in qualche misura, dell'oggetto
della negazione pu� rimanere qualcosa che possa essere conservato - e che cosa
potrebbe essere questo qualcosa - pu� essere constatato solo a posteriori, solo
dopo il passaggio dal processo negatore. Gli argomenti topici dell'anti-critica e
della relativizzazione, per�, suggeriscono un modo di procedere diametralmente
opposto: secondo essi, la seriet� e la difendibilit� argomentativa della critica
dell'illuminismo dovrebbe essere comprovata dal fatto che, a priori, prima di
qualsiasi confronto con l'oggetto in s�, si postuli che la critica pu� e deve
esistere solo se essa conserva "qualcosa" dell'oggetto, o se da sempre si muove
nell'ambito di questo oggetto.
A ben vedere, una simile posizione pu� essere assunta solamente se il punto di
partenza non � dato dall'assolutezza della critica, bens� dall'assolutezza di
quello che si vuole conservare, preceduto dall'affermazione, dalla "volont� di
salvare" (quasi una "mania di salvare"); se non si procede in maniera
offensivamente negatrice, ma difensivamente positivizzatrice e se la critica
radicale dell'illuminismo viene vissuta, nella realt�, innanzitutto come spaventosa
e quasi vessatoria, allora, in tal modo, la critica rischia di essere recuperata
dalla concezione, affermativa a priori e leggittimatrice, del pensiero illuminista.
Di certo, quello che qui dev'essere negato per principio non � un oggetto esterno,
come forse, nonostante tutti i processi di interiorizzazione, potrebbe ancora
essere considerata la categoria del lavoro. Qui si tratta del modo di vedere e di
trattare il mondo, del modo di pensare il proprio pensiero, si tratta di abolire la
forma di mediazione della coscienza che in un certo qual modo (sebbene masochista)
appare essere l'Io sociale stesso. Per tutto questo, la sfiducia del pensiero
critico rispetto a s� stesso non ha pi� giustificazioni. Ma cosa significa, in
questo contesto, l'avvertimento pronunciato con il dito indice stranamente alzato:
Tieni a mente, o critico, che tu stesso sei una creatura dell'illuminismo, che sei
necessariamente carne della carne di quello contro cui ti rivolti? Se � cos� - ed
evidentemente � anche cos� - la critica deve di fatto diffidare di s� stessa. Ma in
che modo? Certo non nel senso di dover temere che forse � "andata troppo lontano",
ancora prima di avere davvero cominciato!
L'ideologia illuminista non pu� essere uccisa alla stesso modo in cui si vorrebbe
uccidere una vecchia zia maligna e prepotente, di cui tuttavia si desidera
l'eredit�. Fra tutte le considerazioni generali sul modus sociale, bisogna mettere
per iscritto: Non c'� niente da ereditare, c'� solo da sbarazzarsi da qualcosa. E
sbarazzarsene per bene.

Le icone dell'illuminismo
Continua ad esserci qualcosa di strano nel fatto che l'atteggiamento della critica
dovrebbe diventare improvvisamente umile proprio quando comincia ad essere messo in
causa il patrimonio ancestrale. Laddove le tappe precedenti della critica del
valore venivano definite "rinfrescanti", ora vengono lette come "dubbie" o
"disgustose", per non dire "delicate". Chiss� perch�, improvvisamente si sente
odore di incenso. A quanto pare, ci stiamo avvicinando senza il dovuto rispetto per
il santuario, dove all'improvviso si esige che si porti rispetto al migliore. China
il capo, piega il ginocchio; e non dimenticare mai e poi mai di consegnare le armi
al guardaroba, perch� nel tempio non si trascinano durlindane, n� si giocherella
con i revolver.
La venerazione � un sentimento essenzialmente religioso; e nella maggior parte
delle religioni esistono, come oggetti esteriori di venerazione, idoli o icone.
Questa relazione pu�, evidentemente, essere trasposta anche alla storia, sotto
forma di un'iconografia, o di un'agiografia, intellettuale o politica. Le relazioni
di feticcio hanno sempre le proprie gallerie di antenati, le proprie immagini di
santi ed i propri oggetti di devozione, che hanno poco a che vedere con un rispetto
per le relazioni personali, e molto a che vedere con un'auto-integrazione
superstiziosa in un contesto tradizionale irriflesso. Qualsiasi scuola
convenzionale di pensiero, qualsiasi epoca dove c'era una situazione di dominio,
qualsiasi Stato e qualsiasi istituzione, e perfino qualsiasi club calcistico, ha in
un certo qual modo le sue icone, i suoi padri fondatori, i suoi ideologhi, i suoi
eroi, le nostre signore, ecc.. La rottura con una determinata relazione o con un
determinato contesto �, perci�, necessariamente, anche e soprattutto, una rottura
con la sua forma specifica di devozione. Ed � questo che, non ultimo, pone dei
limiti al pensiero emancipatore; limiti che non sono solo cognitivi.
Indubbiamente, anche lo stesso illuminismo rappresenta una rottura con un
determinato tipo di devozione, e perfino, in un certo modo, una rottura con tutto
quello che prima della sua epoca veniva designato come religione, ossia, la
coscienza del feticcio delle vecchie civilt� agrarie. Nella sua critica
dell'acutizzarsi della critica dell'illuminismo, Anselm Jappe usa questo fatto per
invertire i termini della questione: "Ma c'� un punto in cui la critica
dell'illuminismo sembra davvero restare profondamente illuminista, e perfino pi�
illuminista dello stesso illuminismo: stiamo parlando del desiderio di far tabula
rasa, dell'iconoclastia, della rottura con tutte le tradizioni. Se possiamo solo
'girare le spalle, con rabbia e disgusto, a tutto il ciarpame intellettuale
dell'Occidente...' quello che ci rimane allora � davvero ripartire da zero senza
poterci basare su qualcosa che provenga da prima" (Una questione di punti di vista.
Note relative alla critica dell'illuminismo, in Krisis 26/2003).
Voglio riferirmi qui, per ora, solo al concetto di iconoclastia, di attacco diretto
contro le immagini. Cosa ci sar� di male in queste? Le icone di ogni tipo non sono
il mondo, rappresentano solo una determinata comprensione del mondo e del rapporto
con questo. E' evidente che l'accusa di iconoclastia evochi alcune associazioni
negative: chi non si ricorda, anche senza volere, della cos� tanto pubblicizzata
barbarie dei talebani che, davanti agli occhi del mondo intero, usavano i cannoni
per ridurre in briciole statue di Buddha di valore storico? La barbarie, qui, per�,
risiede nella mancanza di sincronia storica. A quanto pare, pu� essere di "valore
storico" - nel senso di un'opera d'arte del museo o di un artefatto protetto in
quanto patrimonio storico - solo un oggetto che si trova gi� da tempo spogliato
della sua devota venerazione e che, perci�, non pu� risvegliare in maniera
immediata affetti positivi, n� negativi, ma solo sensazioni estetiche dissociate ed
interesse antiquario, in un senso che �, del resto, gi� specificamente moderno.
Com'� evidente, per i talebani le statue di Buddha non costituivano simili oggetti
di interesse storico o estetico ma, semmai, i simboli immediatamente minacciosi ed
ingombranti nella contingenza dei principi nemici da superare. Il fatto che
venissero trattati anche cos� - in termini oggettivi di pura barbarie, e non di
atto rivoluzionario e nemmeno liberatore - si deve unicamente alla circostanza per
cui i talebani non rappresentano un movimento trascendente, una nuova forma di
stare in societ� o un futuro dell'umanit�, dal momento che essi stessi non sono una
cosa diversa da un prodotto di decomposizione della stessa modernit�: cos� come
tutti i fondamentalismi contemporanei, pseudo-religiosi o etnici, costituiscono una
regressione tanto paurosa quanto distruttiva; come se ad una parte dell'umanit�
tornassero a crescere le code, o i peli in tutto il corpo. Gli � che,
indipendentemente dal continuum negativo delle relazioni di feticcio, non pu�
esistere un "progresso" positivo delle relazioni sociali verso stadi "superiori",
ma non pu� nemmeno esistere un "regresso" a situazioni anteriori; l'impulso
reazionario rappresenta sempre solamente un momento della crisi in seno alla
rispettiva formazione, ed il regresso pu� assumere sempre e solamente i tratti
fantasmaticamente irreali di un essere non morto.
In questo caso si tratta, pertanto, di un'iconoclastia non solo asincrona, ma anche
astorica, meramente regressiva. Tuttavia, questo non cambia il fatto che qualsiasi
vera rottura storica, qualsiasi rivoluzione mentale e sociale, qualsiasi forza
storica pregna di un futuro, in seno alle relazioni di feticcio ha dovuto sempre
accompagnarsi ad una qualche forma di iconoclastia, poich� diversamente il nuovo
non sarebbe stato capace di imporsi sul vecchio. Se San Bonifacio abbatt� la
quercia di Donar, se i protestanti gettarono fuori dalle loro chiese i santi
cattolici, o se Voltaire attacc� la chiesa nel suo insieme al grido di guerra
"Schiacciate l'infame", le immagini e i simboli dell'epoca da abbattere sono sempre
stati rimossi senza piet�. Non esiste un qualche motivo per supporre che, nel
limite storico delle relazioni di feticcio in generale, le cose potrebbero andare
in modo diverso con la modernit� e con le sue icone. Proprio perch� non
oltrepassiamo la forma di una sintesi sociale feticizzata, la lotta pi� o meno
feroce per uscire da tale forma dev'essere accompagnata, da parte sua, da una
colonna sonora iconoclasta.
A questo proposito, in un certo senso sta accadendo con l'illuminismo semplicemente
la stessa cosa che l'illuminismo, da parte sua, ha fatto con le icone della
coscienza premoderna, seppure, evidentemente, nel suo tempo, ha dovuto cominciare a
rivoltarsi contro quello che era carne della sua carne. Tuttavia, rivoltarsi, ora,
allo stesso modo, contro l'illuminismo, non costituisce n� una ripetizione n� una
caricatura del modo di procedere illuminista, nella misura in cui per il suo
oggetto si tratta questa volta di distruggere lo stesso illuminismo insieme alle
sue icone, come momento costitutivo della religione secolarizzata, o metafisica
reale, della relazione del valore e della dissociazione. Allo stesso modo, per la
sua posizione, in ogni caso non si tratta di un'attivit� specificamente
illuminista, in quanto parliamo di iconoclastia come tale. Il fatto � che atti
simili hanno accompagnato i movimenti rivolzionari in ogni epoca storica.
Eppure esiste una differenza importante per quel che riguarda le iconoclastie
precedenti. Gli � che le icone dell'illuminismo sono di un'indole diversa rispetto
agli idoli ed agli oggetti storici di devozione. In un senso ancora molto pi�
eminente di quanto lo sia, per esempio, il dio islamico, l'essere metafisico reale
del valore non consente alcun ritratto di s�, alcun oggetto palpabile di devozione
e alcuna oggettivazione, che non sia la mistificazione banale del denaro.
L'astrazione reale si fa beffe di tutti i simboli e di tutte le immagini
secondarie, � soddisfatta di s� stessa come vuota astrazione, mentre tutte le
espressioni sensibili e simboliche e tutte le rappresentazioni fisiche gli servono
solo da scenario materiale indifferente. In termini immediati, le icone
dell'illuminismo sono, perci�, di una natura tanto astratta quanto quello che
rappresentano: non si tratta di immagini nel vero senso, ma di figure di
riflessione, teorico-filosofica e positivista, della relazione del valore e della
dissociazione. In questo si esprime anche l'oggettivazione della nuova, pi� recente
ed ultima forma di feticcio e delle relative esigenze di sottomissione.
Le qualit� di astrattificazione (astrazione reale), secolarizzazione ed
oggettualizzazione, escludono il tentativo di un'iconoclastia personale od
oggettuale nei confronti dell'illuminismo. Sarebbe solo ridicolo procedere, per
esempio, alla distruzione solenne dei busti di Kant. Le divinit� intellettuali del
pantheon borghese maschile non costituiscono oggetto di una venerazione
superstiziosa nella loro figura personale immediata o nelle relative repliche, ma
sono solo portatori del contenuto affermativo della riflessione.
Per questo, si rivela inadeguata anche un'altra associazione che talvolta si impone
quando viene emessa l'accusa di iconoclastia, mi riferisco segnatamente al ricordo
dell'autodaf�. Questo atto che pu� essere sempre e solamente una barbarie, nella
storia delle formazioni di feticcio solo raramente si � accompagnato a dei meri
atti iconoclasti da parte delle forze progressiste; piuttosto, nella storia
dell'Occidente cristiano si � trattato soprattutto dei tentativi della reazione di
spegnere, letteralmente, pensieri sentiti come rivoluzionari. Ci � stato chi ha
detto, con ragione, che chi brucia libri brucia anche persone.
La critica dell'illuminismo, tuttavia, per essere rivoluzionaria e non reazionaria,
non solo non pu� coincidere con l'autodaf�, e a causa della sua iconoclastia
specifica non pu� riferirsi a una qualche grossolana oggettualit�, ma soprattutto
in virt� del fatto che si tratta di iconoclastia nei limiti delle relazioni di
feticcio in generale, non pu� inserirsi in questo continuum. Del resto, quello che
� all'ordine del giorno � la rottura proprio con questo genere di relazione,
escludendo di per s� qualsiasi tipo di mero fanatismo e, con esso, qualsiasi
volont� di distruzione meramente esteriore ed oggettualizzata. Infatti, in tal
senso si rende ancora inevitabile che la critica dell'illuminismo, come disputa sul
piano del feticcio, si accompagni a momenti di iconoclastia. Tuttavia, nella sua
funzione di critica del feticismo nel suo insieme - che non crea alcuna relazione
nuova di feticcio - si distingue anche qualitativamente da tutte le iconoclastie
precedenti. Sia per il suo oggetto, come per la sua intenzione, la critica radicale
della qualit� negativa del feticismo specificamente moderno, che ci porta nel suo
insieme in maniera catastrofica verso i limiti della "preistoria" - nel senso dato
a questo termine da Marx - esige che si superi ogni tipo di vincolo simbolico
esteriorizzato che si trova sottratto alla riflessione. Solo dove una forma di
feticismo viene sostituita da un'altra, l'iconoclastia pu� avvenire sotto forma di
un letterale attacco alle immagini, o pu� perfino provocare la reazione per cui
vengono bruciati libri o persone.
La critica dell'illuminismo deve distruggere la devozione della modernit�, la
quale, tuttavia, si manifesta in forma immediata sotto forma di devozione nei
confronti della forma sociale e della sua forma di riflessione. E' proprio in
questo senso che avvengono i perpetui salamelecchi davanti ai filosofi e
soprattutto davanti a Kant, cos� come essi vengono eseguiti in forma rituale dai
teorici tanto liberali quanto conservatori e di sinistra, con ramificazioni che
arrivano anche al cuore della sinistra radicale, e perfino alla stessa critica
dell'illuminismo. I bastioni avanzati di questa fortezza di devozione sono
costituiti da determinate pietose bugie che, da parte loro, si trovano situati in
forma aprioristica a monte di qualsiasi tipo di contenuto, e che devono far s� che
la critica cada nel vuoto prima ancora di cominciare.
In questo modo, per esempio, l'attacco polemico all'illuminismo e alle rispettive
icone viene respinto in forma mezzo ironica, a met� pietosa e inadeguata, in quanto
gli sembra che si maltrattino i morti in generale. Pietosa, in conformit� col
vecchio detto: De mortuis nil nisi bene - che sarebbe come dire che questo
costituisce una profanazione dei cadaveri, dei cimiteri e dei monumenti; qualcosa
che un teorico decente non farebbe mai. Ed un po' ironica, sebbene in maniera
forzata: in fondo, il mondo non � molto che ha superato quei tempi, il
condizionamento di un Kant gi� oggi non esiste pi� - e sei tu che stai dando
grucciate agli zoppi; e questo non sta bene per chi si attribuisce un atteggiamento
colto e riflessivo.
Se e quando tutto questo viene riferito ai condizionamenti storici, lo si trova
implicitamente associato alla ricaduta nella logica illuminista dello sviluppo. Il
messaggio subliminale di questa anti-critica che dice che "nel suo tempo" fu
semplicemente "il turno" di Kant di esprimere le sue opinioni, dal momento che esse
rappresentavano un determinato livello (supposto come necessario) dello sviluppo
del pensiero riflessivo o del "progresso teorico"; oggi, naturalmente sarebbe
andato molto pi� lontano, ma in fondo non si pu� attaccare la storia in quanto
tale. E cos� Kant appare, ancora una volta, come architetto di un edificio del
pensiero che forse non deve essere demolito; ossia, la continuit� invece della
rottura. Oppure, in maniera paradossale, la rottura appare anch'essa rotta; come
una rottura che ha gi� smesso di esserlo.
Poi � chiaro che non si pu� criticare la storia in quanto tale; ma si pu�, semmai,
criticare la storia nella misura in cui questa � presente. Il fatto per cui Kant �
tutto meno che un cieco, presentandosi innanzitutto - per mezzo della sua
architettura elaborata di un'opera d'arte teorica integrale di affermazione pura e
dura - come un avversario vivo, e ben vivo, in quanto la forma di riflessione da
lui resa esplicita si � radicata fino all'incoscienza nel pensiero quotidiano di
un'umanit� capitalista. Questo fatto decisivo viene solo ammesso in una maniera
singolare, che consiste nell'affermazione per cui, proprio per questo fatto, la
critica radicale dovrebbe "riconoscere" la coscienza riflessiva di Kant in maniera
rispettosa, per arrivare a spiegare la forma tuttavia socialmente sedimentata di
questa riflessione. Invece di affrontarlo e regolare i conti con Kant, diviene il
vettore e l'ideologo di questa forma di pensiero e di azione comunque incosciamente
oggettivata, in maniera tanto polemica ed aggressiva quanto adeguata al carattere
distruttore del mondo di questa forma di pensiero e di azione.
Una variante di questa falsa devozione in seno alla critica dell'illuminismo,
consiste nell'attestare agli illuministi in generale, e a Kant in particolare, che
in un certo qual modo essi si sarebbero gi� smentiti da s� soli, a causa delle loro
contraddizioni interni, a causa della loro argomentazione aporetica e
dell'insostenibilit� delle loro conclusioni; e l'indegna "polemica postuma" perci�,
in fondo, manca di argomenti, visto che non possiamo ormai criticare questi
signori, tanto pi� che essi stessi, "oggettivamente", avrebbero gi� criticato s�
stessi. Se le mere contraddizioni interne e l'insostenibilit� - oppure una "brutta
fine" - fossero criteri della critica, in tal caso Nerone sarebbe stato il primo
critico del principio imperiale, e Hitler, il primo antifascista. Qui viene di
nuovo assunto implicitamente un punto di vista oggettivista che lascia fuori la
qualit� specifica della critica in quanto "negazione non autorizzata", e che vede
l'elemento negativo unicamente nella "realizzazione" oggettiva "della storia" il
solo che dev'essere espresso - ossia, ancora una volta, e pi� che mai, una ricaduta
nella logica interna dell'illuminismo. Kant, con la sua franchezza e coscienza di
una riflessione affermativa della condizione del mondo, non anticipa alcuna
critica, cos� come, per esempio, non l'anticipa de Sade con la sua propaganda
sfacciata della tortura degli esseri umani e della volont� di distruggere (cos�
come, in maniera generale, Kant e de Sade rimangono figure imparentate, che daranno
una mano alla costruzione della medesima logica di astrazione reale).
La critica del valore come critica dell'illuminismo non ha il minimo motivo di
affrontarlo in maniera devota ed oggettivista secondo una simile tematica,
contrariamente a quello che succede, per esempio, nel caso dello svezzamento
polemico del marxismo del movimento operaio; piuttosto il contrario. La polemica
teorica contro l'intero complesso del pensiero illuminista e la sua ideologia deve
diventare la polemica pi� aspra mai vista. In questo, e solo in questo senso, si
applica alla critica dell'illuminismo, mai come prima nella storia, la parola
d'ordine temeraria: Iconoclastia ora!

Il vero oggetto della critica negatoria


Ora, in Anselm Jappe, l'accusa di iconoclastia si trova inserita in un contesto
associativo assai pi� ampio, caratterizzato da temi come "far tabula rasa" ecc.. Il
tentativo di rigirare la frittata vede il carattere illuminista della critica
soprattutto nel fatto che, a suo giudizio, questa logica implicherebbe: "rottura
pura e dura, a partire da domani niente pi� sar� come prima". E' avvenuto gi� nel
passato che gli attacchi alle immagini si riferissero sempre solo a determinati
simboli, e non a "tutto"; insomma, la rottura con la devozione illuministica della
modernit� pu� solo riferirsi al modo feticista di pensare e di agire, e non in modo
generale ad ogni e a qualsiasi prodotto di tutta la storia precedente. Quindi si
tratta di un qui pro quo se, nell'ambito dell'equiparazione di una critica
dell'illuminismo radicale e "iconoclasta" allo stesso illuminismo e alla sua
relativa logica, leggiamo quanto segue: "Chi � posseduto dall'idea di poter fare
tutto meglio e di essere capace di ricreare il mondo sulla base della ragione
stessa, o di ci� che si ritiene lo sia, � facile che dia espressione alla �hibris�
ed al meccanicismo della societ� industriale della merce, per la quale il mondo non
� altro che il materiale col quale in forma pura si pu� realizzare la merce nella
sua migliore valorizzazione. Di conseguenza, i movimenti rivoluzionari degli ultimi
210 anni, nella loro qualit� di espressione pi� concentrata della logica
illuminista, hanno anche portato al parossismo la concezione di un inizio del tutto
nuovo (e cos� riuscivano pi� simpatici in confronto ai riformisti che insistevano
nel considerare che molto di quello che proveniva dal passato meritava di essere
salvato); � stato questo il caso della Rivoluzione francese con il suo nuovo
calendario, lo � stato di quella russa con �l'uomo nuovo�, o di quella spagnola,
nel corso della quale Buenaventura Durruti vaticin� che il proletariato avrebbe
ereditato solo rovine, ma che questo non lo spaventava, � stato il caso della
rivoluzione culturale cinese con il suo rifiuto dei "quattro vecchi: idea, cultura,
usi e costumi" e con le sue orge di distruzione. Le riforme di Atat�rk, che
interessavano perfino la scrittura e la lingua, nel nome della famiglia e del
calendario ufficiale, hanno costituito un altro esempio. Invariabilmente, il nuovo
Stato voltava le spalle, 'pieno di rabbia e disgusto', a tutto il ciarpame del
passato al fine di creare un mondo nuovo a sua immagine e somiglianza".
Qui, i momenti iconoclastici sono mischiati con una caratteristica fondamentale del
pensiero illuminista e della logica moderna della valorizzazione, che non si
riferisce ad una mera manifestazione della rottura trasformatrice, ma alla forma
distruttiva, specificamente moderna, di riproduzione. Ma quello che qui viene messo
nello stesso sacco dev'essere attentamente distinto. La rottura, immancabilmente
iconoclastica, con la devozione verso uno stato che si cerca di superare, � sempre
un assunto temporale e tematicamente limitato, legato ad un determinato, e niente
affatto permanente, processo transitorio.
Per�, la rottura illuminista ha liberato e scatenato, col principio di
valorizzazione, un programma demoniaco di distruzione del mondo che si svolge in
forma permanente come forma di riproduzione: la dissoluzione del mondo sensibile
nell'astrazione reale della forma del valore. Per questo, i momenti pi�
iconoclastici della rottura borghese e rivoluzionaria con la societ� agraria sono
stati quasi insignificanti ed innocui, per quanto riguarda i loro aspetti
distruttivi, se si paragonano alla realizzazione riproduttiva permanente del
capitalismo sulle sue proprie fondamenta, al di l� delle transizioni rivoluzionarie
di un tempo. Il moderno sistema produttore di merci � la prima societ� che, nel suo
"normale" funzionamento quotidiano, produce pi� devastazione di qualsiasi altra
nascita, compresa la propria, di una nuova formazione del passato, per quanto
difficile tale nascita sia stata.
Dopo tutto � un po' strano accusare la critica di una tale logica riproduttiva di
distruzione, e della rispettiva forma di riflessione - critica che si accompagna ad
un empito iconoclasta contro il corrispondente eroismo intellettuale
dell'illuminismo - di produrre in ultima analisi un programma identico che avrebbe
come fine addirittura quello di estinguere tutti i contenuti culturali: "Ci sono
motivi in abbondanza per girare le spalle all'illuminismo, con un sentimento di
rabbia e di noia. Ma non necessariamente a tutto �l'Occidente�. Cosa si vuole dire
con questo? Ai suoi filosofi? Un tale atteggiamento � assai spesso giustificato. Ma
anche alla sua musica? Alla sua letteratura? All'architettura tradizionale?"
(Jappe, ibidem).
La catena associativa dell'anti-critica e della relativizzazione sembra che si
chiuda su questo punto: Chi rifiuta l'illuminismo in maniera radicale ed
iconoclasta, cos� viene suggerito, non solo vuole distruggere, alla maniera dei
talebani, simboli validi ed oggetti d'arte, ma vuole danneggiare la storia
culturale ed intellettuale nella sua totalit�, censurare la letteratura secondo le
modalit� di una sorta di indice papale e proibire la fruizione della musica di
Beethoven o di Mozart; a ben vedere, vuole abolire forchetta e coltello e, in
maniera generale, "ritornare all'et� della pietra". La palla pu� essere rinviata al
mittente, visto che questo genere di anti-critica in regime di libera associazione
evidentemente � stata da sempre proprio la specialit� della coscienza borghese, ed
aveva la funzione di prestare alla vergogna della modernit�, la benedizione del
progresso e della necessit�. Aveva la stessa forma, quello che hanno sostenuto gli
apologisti, sia contro i luddisti "macchinoclasti" dell'inizio del XIX secolo sia
contro i critici dell'energia nucleare alla fine del XX secolo: si vuole tornare
alla natura, alla selve, al macaco; in sostanza, si nega, insieme alla nostra
logica d'azione, la ruota, l'alfabeto, l'arte della fuga di Bach e la puleggia.
Ma sicuramente il nocciolo della questione non consiste nel rimandarsi la palla.
Qual � esattamente il problema che si nasconde dietro questa catena di associazioni
e di contro-accuse rispetto al desiderio di tabula rasa? Sembra che ci sia un fatto
indiscusso, considerato necessario da entrambe le parti, nel contesto della critica
della logica illuminista, per cui questa logica, come derivato e come forma di
riflessione del principio capitalista della valorizzazione, ha messo in moto una
ruota di Juggernaut che macina e annichila tutti i contenuti culturali, tutti i
momenti di una "buona vita" e perfino le basi biologiche naturali del pianeta. Il
pomo della discordia consiste evidentemente nel sapere a che cosa pu� e deve
riferirsi la critica di questa forza distruttiva senza essere, da parte sua,
distruttiva. Che cosa deve, pertanto, essere per certo criticato, negato, distrutto
a sua volta e superato per fare in modo che si fermi la distruzione in corso?
Le formule controverse della "spazzatura intellettuale dell'Occidente" e dei
"guidatori di bulldozer" devono aver provocato la ribellione di tutti gli
architetti di interni del buon gusto nel campo della critica del valore esercitata
finora. Avviene, tuttavia, che sia chiaramente ed inequivocabilmente indicato a
cosa si riferiscano tali formule. Non si riferiscono ad un "tutto", n� ad ogni e
qualsiasi creazione umana e naturale (come fa la logica del valore con il suo
potenziale distruttivo), ma in maniera molto determinata si riferiscono alla forma
auto-riflessiva del principio di distruzione stesso, segnatamente alle "rovine
inabitabili della soggettivit� occidentale" (Robert Kurz, Ragione sanguinosa. 20
Tesi contro il cosiddetto illuminismo ed i "valori occidentali", in: Krisis
25/2002). Continua a sorprendere e a lasciare perplessi come questo riferimento
chiaro venga allargato, in regime di libera associazione, alla musica e
all'architettura, alle forze produttive e alle conquiste di ogni tipo, cos� come
alla cultura in termini generali. A quanto pare, qui c'� bisogno di fare qualche
chiarimento.
Non � neanche accettabile che le metafore forti e polemiche possano essere ritenute
responsabili di simili interpretazioni peggiorative, in modo tale che
l'associazione abbandona l'oggetto realmente designato, a causa del loro "suono" e
perch�, del resto, potrebbero spaventare, a causa del loro inasprimento polemico, i
rappresentanti che si presume siano disposti a discutere; quelli, ad esempio,
provenienti dalla cerchia dei seguaci ortodossi di Adorno. Tutto quello che non
piace e che non si conosce bene "suona" sempre precisamente nel modo che si vuole
sentire al fine di facilitare il rifiuto, facendo passare come "inosservato" tutto
quello che renderebbe difficile lo stesso rifiuto, perfino se � l'oggetto stesso.
Esiste una specie di modo borghese per discutere (inclusa soprattutto la parrocchia
pentecostale adorniana, fattasi affermativa) che, col pretesto delle abitudini
linguistiche e dello stile e dei suoi modi, pretende di stabilire determinati
limiti protetti da tab�, delimitare le loro propriet� e proteggere la loro identit�
insieme a quelle loro due icone, senza dover affrontare la disputa circa il
nocciolo della questione.
Non ci soffermiamo, pertanto, sulle catene associative delle interpretazioni
peggiorative, ma unicamente ed esclusivamente sul vero enunciato, che pu� essere
controllato nero su bianco, al fine di arrivare apertamente al cuore della
questione. Tale cuore � la forma moderna del soggetto, borghese e strutturalmente
maschile. Questo � ci� che, a ben dire, � in questione, e non la musica,
l'architettura ed ogni tipo di contenuto culturale, ecc.. Perci�, la discussione
dev'essere centrata precisamente su questo punto, e non su qualcosa di diverso con
cui avrebbe a che vedere, nel migliore dei casi, in forma indiretta e mediata, o
che addirittura non avrebbe alcuna rilevanza per la questione.
Se questa forma borghese del soggetto della modernit� dev'essere sradicata insieme
alle sue radici, radicalmente negata e superata in modo definitivo ed
inappellabile, oppure no - � questo il punto. La posizione contraria consiste nel
presumere che tale forma di soggetto conterrebbe, in quanto tale, dei momenti
emancipatori che dovrebbero essere "recuperati", di modo che, dopo essere passati
attraverso la critica, rimarrebbe "qualcosa", forse perfino di essenziale, di
questa forma di soggetto. Il che, naturalmente, ridurrebbe la critica ad un fatto
mezzo apologetico e la convertirebbe, innanzitutto, in un "progetto di salvezza".
Salvare oppure abolire, questo � il problema. Oppure salvare un poco ed abolire
altrettanto, e quanto � "un poco" rispetto al resto, e sotto quale aspetto?
La forma del soggetto non � altro se non questo modus generale della relazione di
valore moderna e capitalistica, la forma generale di pensare ed agire della
socializzazione del valore. Si tratta qui, da una parte, di questa forma che si
presenta agli individui come contesto generale dominatore autonomizzato o come
totalit� feticista del "soggetto automatico" (Marx) oggettivato: il principio
formale astratto e incredibilmente vuoto di contenuto, il cui movimento spontaneo,
implacabile ed oggettivato che strazia, sotto la forma di questa ruota di
Juggernaut della valorizzazione del valore, la natura e la societ�. Ma dall'altra
parte, questa forma � anche e simultaneamente quella dei portatori di azione
individuale ed istituzionale; e, in quanto tale, essa costituisce, nel senso pi�
stretto, la forma del soggetto o la "forma soggetto". Questa forma dei portatori di
azione, da parte sua, � strutturalmente maschile e dissociatrice: il soggetto della
logica del valore e della dissociazione.
In quanto processo, il divenire di questa forma di soggetto pu� essere fatto
risalire fino alla "economia politica delle armi da fuoco" dei primordi della
modernit� e al loro potenziale distruttivo; ma come costituzione e come forma di
riflessione teorica cosciente la si pu� trovare solo nell'illuminismo, e con
diversi accenti. Cos�, l'illuminismo scozzese ed anglosassone, per esempio nei
teoremi di un Adam Smith o di un Jeremy Bentham, mette in evidenza soprattutto
l'aspetto economicista reale di un tale soggetto, la figura dell'homo oeconomicus,
cos� come la forma globale del "soggetto automatico" (in Adam Smith, la "mano
invisibile" del mercato). L'illuminismo francese - da Montesquieu a Rousseau e
perfino ai predicatori della virt� della rivoluzione del 1789 - tuttavia, si
concentra pi� sull'aspetto statale e giuridico, nella figura dell'homo politicus
della modernit�. L'illuminismo tedesco, infine, con Kant sulla linea del fronte ( e
con Hegel in un certo qual modo a completare l'architettura del sistema ), ripudia
la forma astratta del soggetto, che si trova alla base di questa apparente polarit�
tra homo oeconomicus ed homo politicus, in quanto tale, come forma essenziale, cos�
come le sue conseguenze sistemiche, in una maniera tanto positivista quanto
sostenitrice militante di una difesa aggressiva.
Se la costituzione oggettiva e propria della societ� reale risale originariamente
alla "economia politica delle armi da fuoco", in vigore approssimativamente a
partire dal XV secolo, i momenti filosofico-ideologici della sua costituzione
primordiale si possono trovare - prima del rispettivo perfezionamento concettuale
nel discorso illuminista - non solo nel protestantesimo dei primordi della
modernit�, ma possono farsi risalire, sotto certi aspetti, perfino all'antichit�
greco-romana. Detto questo, per�, dev'essere chiaro che l'antichit� non pu�
semplicemente essere incorporata a posteriori nel processo costitutivo moderno;
dapprima, questo ha cercato l� solo gli elementi apparentemente adeguati creando
cos�, in primo luogo, la comprensione moderna dell'antichit�. Come presunta
continuazione di una "civilt�" del valore e della dissociazione, il cosiddetto
Occidente � evidentemente una costruzione storica fatta dallo stesso illuminismo.
Nella misura in cui questa costruzione, e la sua ideologia di legittimazione che
risale fino all'antichit� occidentale, ha concorso alla costituzione della forma
del soggetto moderno, capitalista, maschile e intriso dell'ideologia del valore e
della dissociazione, allora si pu� parlare con qualche giustificazione di una
"forma del soggetto occidentale". Ed � facile dimostrare che la forma di
riflessione ideologica di questa relazione, gi� a partire dal protestantesimo, ma
definitivamente con l'illuminismo, si definisce essenzialmente per mezzo
dell'oggettivismo e della misoginia, per mezzo dell'omofobia, del razzismo e
dell'antisemitismo aperto o latente.
Si tratta pertanto, unicamente ed esclusivamente della negazione, o del grado o del
"come" e talvolta perfino del "perch�" della negazione di questa forma del
soggetto, e bisogna insistere su questo punto tanto pi� implacabilmente dal momento
che questo piano primario della critica (contrariamente alla critica delle
affermazioni formali secondarie del marxismo del movimento operaio) - nello
sviluppo che la teoria critica del valore ha raggiunto fino ad oggi - semplicemente
non � stato ancora in alcun modo disboscato in maniera soddisfacente. La critica
della forma del soggetto, di questa "forma soggetto" cos� come � stata adottata dal
marxismo del movimento operaio che lo ha prelevato dal pensiero borghese - dal
momento che anche in Adorno la si trova definita in maniera abbastanza equivoca e,
in fin dei conti, torna ancora ad essere affermata, e a comportare, ancora oggi,
connotazioni positive per la sinistra - non � stata portata fino in fondo, nemmeno
lontanamente, in modo soddisfacente e conseguente, come critica del nucleo della
forma moderna del feticcio.
Un primo anticipo teorico in direzione di una critica fondamentale del soggetto
(Robert Kurz, Dominio senza soggetto. Per il superamento di una critica sociale
riduttiva, in Krisis 13/1993) non ha poi avuto seguito nel contesto della critica
del valore. Questo si deve soprattutto al fatto che la relazione tra i sessi come
relazione di dissociazione sistematicamente non viene contemplata dall'elaborazione
teorica della critica del valore. La critica del valore e la critica della
dissociazione si stanno sviluppando in parallelo e in un modo in larga misura non
mediato. Com'� proprio della relazione di dominio della modernit� carica di
connotazioni sessuali e, con essa, della struttura della maggior parte delle scuole
moderne di pensiero, il contesto della critica del valore � stato in origine
un'associazione maschile, da cui deriva il fatto che l'elaborazione teorica si
trovi ad essere fortemente segnata dall'oggettivismo e dotata di una caratteristica
contemplativa. (Nota: Anche in questo saggio del 1993, viene gi� indicato il
contenuto affermativo della riflessione kantiana, la quale continua ancora ad
essere integrata in una storia intellettuale segnata da uno sviluppo progressivo
della "conoscenza", per mezzo del quale si mantiene un momento di
quell'iconizzazione che nasconde il modus oggettivista. In quanto componente della
stessa costituzione, per�, la riflessione kantiana deve diventare oggetto di una
critica radicale anzich� di un "riconoscimento" del suo contenuto riflessivo; solo
allora potr� essere infranta la positivizzazione del soggetto di conoscenza
maschile, e fedele alla logica di dissociazione, che ancora si mantiene attivo in
Adorno.)
Tuttavia, non si pu� esercitare una critica radicale del soggetto senza includere
sistematicamente la critica della dissociazione nella critica del valore, facendola
finita cos� una volta per tutte con le tendenze oggettivistiche pi� proprie al
pensiero delle associazioni maschili. E' in tal senso che dobbiamo riflettere sulla
nostra provenienza in maniera cosciente ed inequivocabilmente esplicita (non
limitandoci, in qualche modo, a presupporla, con una strizzata d'occhio, come
qualcosa di scontato) e nutrire una certa diffidenza riguardo allo stesso processo
di elaborazione teorica nei confronti della sterpaglia non ancora sufficientemente
ripulita del modus dell'ideologia illuminista. La relazione di dissociazione � la
relazione centrale della moderna costituzione del feticcio che in primo luogo rende
in qualche modo possibile una relazione di valore. Dal momento che la forma del
soggetto si trova essenzialmente determinata dalla dissociazione sessuale, essa non
pu� essere criticata, in maniera fondamentale, nel modus di elaborazione teorica
strutturalmente "maschile", vincolato a questa stessa forma di soggetto, in quanto
si tratterebbe di una mera critica apparente che non pu� non essere superficiale (o
che, comunque, dovrebbe essere verificata caso per caso).
Questo modo "maschile" di elaborazione teorica moderna � stato senza dubbio fondato
dalla filosofia dell'illuminismo, che cos� non si limita in alcun modo a riflettere
un oggetto "oggettivo" e casuale, per cos� dire, in maniera neutra e contemplativa;
essa lo rappresenta unicamente nel suo proprio modus, la cui azione si prolunga
fino all'attualit� e (almeno nei primordi) perfino all'interno della critica del
valore delle associazioni maschili. In primo luogo, la filosofia illuminista ha
contribuito anche alla costituzione del soggetto moderno, strutturalmente
"maschile" e distruttivo sotto ogni aspetto, cos� come solamente i processi
strutturali ciechi, insieme alla riflessione apologetica, costituiscono interamente
il processo storico reale. Allo stesso tempo, la costituzione filosofica della
"forma soggetto" non configura, in alcun modo, solo un aspetto dell'illuminismo -
la cui sottrazione critica, una volta avvenuta, lascerebbe un qualche elemento
positivo e redentore nel suo nucleo - ma costituisce l'essenza della totalit� del
pensiero illuminista che deve quindi essere respinto in maniera corrispondentemente
essenziale.
La critica della dissociazione, la critica del soggetto e la critica
dell'illuminismo costituiscono un'unit� indivisibile, dal momento che non �
possibile alcuno di questi momenti senza gli altri due. Ed � in una maniera
corrispondente, che prescinda dalle semplificazioni abusive, che la critica deve
procedere se vuole completare un nuovo paradigma critico del valore e della
dissociazione - il che non equivale alla conclusione dell'elaborazione teorica in
termini generali, ma unicamente alla conclusione preliminare della "distruzione
creativa" del vecchio paradigma. Possono e devono esistere, senza dubbio, diverse
posizioni, accentuazioni ed aspetti nel contesto della teoria critica del valore e
della dissociazione; ma non possono esistere fianco a fianco, in una casualit�
quasi postmoderna, dal momento che sono irrimediabilmente opposte le une alle
altre, prima di essere vicendevolmente compatibili ad un livello fondamentale, cosa
che significa anche che devono avere un carattere di legame comune.
Una coesistenza pacifica con il modus dissociativo "maschile" dell'elaborazione
teorica, � esclusa. Per la forma del soggetto moderna, capitalista e "occidentale",
che in ogni caso esiste gi� solo nelle rispettive forme di decadenza, non deve
svilupparsi niente che per mezzo dell'emancipazione dalla coazione distruttrice del
mondo - che � la socializzazione del valore - possa costituire una seria
alternativa. Probabilmente questo non solleva polemica; ma si dice che in questo
caso la critica del soggetto non solo dovrebbe essere mantenuta coerente, ma
dovrebbe anche essere delimitata con cautela, in termini concettuali, nei confronti
di altre questioni che riguardano le conquiste culturali dell'umanit� in maniera
generale. Insomma, bisogna fare tabula rasa della forma del soggetto capitalista ed
occidentale e del legame con la forma di feticcio in termini generali, ma, proprio
per questo, non di ogni e qualsiasi cosa che l'umanit� ha prodotto fino ad oggi
nonostante il suo legame feticistico e per mezzo di esso.

Gli artefatti della storia


Tuttavia, non intendo negare che la questione della delimitazione della critica del
soggetto in s�, a fronte del principio di tabula rasa della logica del valore e
della dissociazione, abbia una sua legittimit�. Per quanto poco sia accettabile
l'atto di "rileggersi dal principio" il vero riferimento alle metafore demolitrici,
bisogna anche riconoscere allo stesso tempo che una tale delimitazione ancora non
si trova completata con il mero riferimento all'oggetto dell'impeto demolitore,
ossia, la forma del soggetto maschile, capitalista e occidentale. L'unica domanda
legittima che si riesce ad isolare � la seguente: Qual � la relazione tra la forma
del soggetto - e, con essa, quella della rispettiva negazione - ed i contenuti
culturali, nel senso pi� ampio, della storia umana? Questi contenuti, possono
essere designati come artefatti della storia, sia moderna che premoderna. Si tratta
di prodotti di ogni tipo, intellettuali e materiali, di cosiddette forze
produttive, di tecniche culturali nel senso pi� lato, di "potenziali" che sono
stati il risultato della storia del confronto umano e sociale con la materia
terrena e con l'esistenza fisica, ma anche con s� stessi, con la forma stessa dello
stare in societ�, cos� come coi problemi metafisici riguardo la propria
provenienza, riguardo la morte, ecc..
Per il momento, bisogna mantenere l'accento sul concetto di contenuto. Si tratta di
contenuti (anche le forme artistiche architettoniche ecc. possono qui essere
considerate come contenuti) che, pur essendo soggetti ai dettami di una
determinazione formale sociale feticistica e, quindi, di una forma di coscienza (la
forma del soggetto della modernit�), non si riducono ad essa. Fa parte dell'essenza
della "storia delle relazioni di feticcio", il fatto che i contenuti non coincidano
con la forma, che la forma ed il contenuto entrino in mutua opposizione e che i
contenuti finiscano sempre per adattarsi alla forma, come nel letto di Procuste,
fino alla loro distruzione.
Questa tensione ed opposizione fra la forma ed il contenuto evidentemente non
significa che i contenuti (culturali) di qualsiasi tipo siano sempre di per s�
"buoni", o che siano, in rapporto alla coazione formale, da sempre la parte
migliore dell'esistenza, autonomi nei confronti della forma e sempre chiaramente
separabili da questa. Nonostante tutta la tensione, la forma del feticcio permea,
colora e conferisce il suo conio ai contenuti che, da parte loro, non solo possono
alterare tale forma, ma possono anche romperla; questo lo si trova illustrato in
maniera pi� chiara nella nota formulazione di Marx - ma applicabile solamente al
capitalismo moderno - secondo la quale le "forze produttive" (contenuto)
romperebbero le "relazioni di produzione" (forma). Cos� come con questo non viene
determinato (contrariamente alla stessa opinione di Marx) qualsivoglia giudizio di
valore di per s� positivo del contenuto, ma solamente la sua forza esplosiva, la
stessa cosa � valida in termini generali per la relazione tra i contenuti culturali
e le forme sociali in seno a quella che � stata fino ad oggi la "storia delle
relazioni di feticcio".
Per esempio, sar� difficile invocare la mutilazione sessuale delle bambine come
"contenuto culturale" positivo, e ancor meno come un meraviglioso potenziale di
resistenza da parte di una cultura agraria pre-moderna ancora non contaminata dalla
relazione di valore, contro le vergogne moderne; visto che, in maniera generale, le
relazioni di feticcio pi� antiche sono altrettanto relazioni di violenza e
dominazione, e devono essere perci� negate nella loro forma di coscienza che
include dominio, soggezione ed auto-soggezione, con la medesima durezza con cui si
nega la forma moderna del soggetto. La critica radicale di questa forma reca in s�
la critica radicale di tutte le forme di feticcio preesistenti. Da sempre e fino ad
oggi, la relazione asimmetrica tra la forma (forma di coscienza come forma di
pensiero e di azione) ed il contenuto ha portato, nella "storia delle relazioni di
feticcio", anche a determinazioni distruttive di contenuto, repressive e auto-
repressive, senza che per questo ogni e qualsiasi contenuto dovesse essere soggetto
a questa, o solo a questa qualit� negativa.
Tuttavia, anche i contenuti - le potenziali e positive conquiste culturali di
questa storia - che non possono essere puramente e semplicemente negati, recano in
s� per sempre le stimmate delle condizione del loro futuro che non pu� essere
rimosso, specialmente in quelle situazioni in cui tali potenzialit� vengono
necessariamente proiettate su un'umanit� liberata dalle strutture feticistiche di
coazione. E' in tal senso che dovr� essere intesa, nella prospettiva della critica
del valore e della dissociazione e della critica dell'illuminismo, il celebre passo
di Walter Benjamin: "Come da sempre � usanza, il bottino viene innalzato nel corteo
trionfale. Viene designato con il nome di patrimonio culturale. Rispetto ad esso,
il materialista storico dovr� essere un osservatore distaccato. Perch� tutto il
patrimonio culturale che egli abbraccia con lo sguardo, per lui ha immancabilmente
una provenienza cui non riesce a pensare senza orrore, dal momento che la sua
esistenza � dovuta non solo agli sforzi dei grandi geni, ma anche alla schiavit�
del lavoro anonimo dei loro contemporanei. Niente di quello che assomiglia al
patrimonio culturale costituisce un documento della cultura senza essere
simultaneamente un documento della barbarie" (Walter Benjamin - Tesi di Filosofia
della Storia).
In realt�, questo punto di vista pu� essere invocato unicamente per il cosiddetto
materialismo storico, il quale altro non � se non la proiezione della dialettica
specificamente capitalista sulla storia, e la positivizzazione di questa nel
continuum di un "progresso" cui presiede una logica di formazione. Dopo la rottura
con l'eredit� dell'illuminismo, il problema si presenta in maniera totalmente
differente. La rottura con la forma del soggetto capitalista implica
necessariamente la rottura generale con le relazioni di feticcio in seno alla
societ�. Un'umanit� liberata in tal senso si trova di fronte ad un gigantesco
deserto di macerie di contenuti passati di ogni tipo, a partire dai quali essa deve
creare - sulla spinta della necessit�, in parte attraverso l'appropriazione, in
parte attraverso il ripudio, e probabilmente accompagnata da un enorme sforzo di
"riciclaggio" - un rapporto differente con la natura e con s� stessa.
Il suddetto deserto di macerie non � evidentemente il risultato di un'iconoclastia
perpetrata dalla critica dell'illuminismo ma, semmai, dallo stesso illuminismo,
dalle forze distruttive del capitalismo e dalla sua furia distruttiva,
probabilmente potenziata ancora una volta di pi�. Il recupero selettivo dei
contenuti, d'altra parte, � inevitabile in termini sia logici che pratici; un
regresso ad Adamo ed Eva, una tabula rasa della storia, sul piano dei contenuti,
sarebbe del tutto impossibile. Anche all'interno delle relazioni di feticcio,
nessuna rottura col passato, nemmeno quello illuminista e capitalista, potrebbe
spazzare via "tutto" e ricominciare da un tempo zero virtuale, per quanto cieca
fosse stata la rabbia con cui si sarebbe compiuta tale rottura; in passato, in
realt�, gli artefatti della storia sono sempre stati appropriati, raggruppati e
reindirizzati. Nel punto di rottura della storia delle relazioni di feticcio, le
cose non si sono svolte in modo diverso, con l'unica differenza che la stessa
questione ora si pone in un quadro mutato e in maniera molto pi� cosciente.
Del resto, si possono gi� sviluppare alcuni criteri, a partire da quelli di cui si
� detto qui fino a questo punto. Cos�, l'appropriazione degli artefatti della
storia precedente non rimuover� n� nasconder� la provenienza barbara degli stessi,
conservandola, nel senso di Benjamin, come "memento" [Eingedenken]. In secondo
luogo, quest'appropriazione viene accompagnata da un processo di ripudio, proprio
perch� non esistono contenuti "innocenti", ed una determinata parte degli stessi si
trova, in tal modo, inquinata dalla forma che, cos� come (e insieme a) la forma,
devono essere completamente negati. Ma questo - e cos� siamo arrivati al terzo
punto - dev'essere ancora messo in piatti puliti; perci� non pu� esistere un
qualche modello astratto e generale di selezione, che alla fine non
rappresenterebbe, da parte sua, altro che una forma di feticcio. Infine, e in
quarto luogo, non pu� esistere, per questo stesso motivo un qualche preconcetto
rispetto ad una divisione dei contenuti in moderni e pre-moderni; e questo non pu�
avvenire, n� nel senso che gli artefatti premoderni non possono essere scoperti e
non si pu� attribuire ad essi una forma nuova, e neppure nel senso inverso per cui
gli artefatti moderni dovrebbe essere rifiutati in blocco in quanto capitalisti,
ossia che dovrebbe essere fatta tabula rasa da questo punto di vista. Insieme alla
forma di feticcio, un qualsiasi apriorismo astratto e generale in relazione ai
contenuto non avrebbe alcun effetto come criterio.
In questo ambito si possono distinguere tre livelli, o manifestazioni, di artefatti
della storia: opere di riflessione intellettuale e, in senso pi� lato, filosofica
(inclusa la riflessione religiosa, politica, ecc.); prodotti artistici di tutti i
generi e nelle varie aree e forma (musica, letteratura, pittura, architettura,
ecc.); ed infine abbiamo le tecniche culturali e produttive nel senso pi� ampio.
Mentre non esiste una separazione netta tra questi livelli e manifestazioni, siamo
in grado di poter affermare, in relazione alle opere intellettuali ed artistiche,
che esse sono impossibili da riprodurre, nel senso pi� stretto della creazione di
contenuti (contrariamente alla loro riproduzione meramente tecnica); si tratta di
monumenti. Gi� non siamo pi� capaci di pensare come Aristotele o Sant'Agostino, e
neppure completamente come Marx; ma possiamo leggere le loro opere e conoscere i
loro pensieri, seppure da una posizione storica differente. Allo stesso modo, non
possiamo produrre musica come quella dei canti gregoriani, come le composizioni di
Mozart o di Beethoven, o come la "musica popolare" (anonima) chiamata tradizionale,
dal momento che tutti questi stili musicali si trovano associati ad un tempo
determinato e al rispettivo relazionarsi con il mondo; ma possiamo suonare queste
musiche, ascoltarle e, in un certo modo, goderne, prenderne degli elementi per
introdurli in altri contesti ecc.. Le tecniche culturali e produttive, al
contrario, a causa della loro stessa natura vengono concepite per essere
tecnicamente riproduttive, ma naturalmente anch'esse possono essere sottomesse ad
un ulteriore sviluppo (o addirittura abolite).
Cosa ci dice questo in rapporto alla forma di coscienza feticista in generale, e in
rapporto alla forma moderna del soggetto in particolare? Tutti questi contenuti ed
artefatti sono apparsi nel contesto di una determinata forma di feticcio, ma la
loro concordanza con una tale forma non � la stessa, n� essi sono necessariamente
costituiti in maniera simile. Certamente i prodotti intellettuali sono i primi a
costituire frequentemente, in maniera del tutto immediata, la forma di feticcio e
la relativa affermazione come forma della riflessione. In questo senso si tratta,
per cos� dire, di monumenti negativi. Come tali non possono venire aboliti, dal
momento che la loro distruzione, o la "proibizione" di trarre conoscenza da essi,
costituirebbe, alla fine, una ricaduta nelle relazioni di coazione feticistica.
Oltre le forme di feticcio non pu� essere pi� proibito alcun contenuto. La
distruzione di questi monumenti negativi del pensiero, da parte sua, consiste nel
rifiutarli intellettualmente e praticamente. In questo caso, essi si conservano
allo stesso modo in cui i prodotti anti-umani delle architetture autoritarie del
passato vengono preservati come una sorta di memorie. Ora, lo stesso avviene, in
maniera molto particolare ed in forma accresciuta, con le opere dell'illuminismo,
ed � tanto pi� cos�, quanto pi� chiaramente concordano, o coincidono direttamente,
con la costituzione della forma del soggetto capitalista, maschile e dissociatrice.
Possiamo leggere Kant con la stessa attitudine con cui visitiamo lo spazio delle
convenzioni del partito nazista a Norimberga. Tuttavia, quanto pi� il pensiero del
passato si � concentrato su contenuti culturali, estetici, naturali, ecc., e si �
dibattuto circa i problemi corrispondenti, tanto meno esso ha coinciso con la forma
di riflessione del soggetto del feticcio e tanto meno � stato influenzato dalla
"tabula rasa" della critica del soggetto. Nel pantheon della filosofia illuminista,
questo assai spesso non ha portato molto lontano dalle contraddizioni e dalle
aporie di tale pensiero che hanno rivelato la sua mancanza di veridicit� ed il suo
carattere apologetico. Ma, del resto, dovrebbe esser preso sul serio, e non
"saltato", l'enunciato secondo cui "L'epoca dell'illuminismo non si riduce in alcun
modo all'illuminismo" (Robert Kurz - Ontologia negativa. Le eminenze brune
dell'illuminismo e la metafisica storica della modernit� - in Krisis 26/2003
[N.d.T.: di prossima traduzione]); vale a dire, che non si esaurisce nel pensiero
illuminista della forma di riflessione della soggettivit� borghese. Quanto pi� si
allontana lo sguardo dal pantheon degli illuministi, tanto pi� si manifestano
momenti contrari ed antagonisti che non possono essere equiparati alla reazione
immanente della controriforma borghese ed al romanticismo. Quel che unisce il
pensiero romantico e controriformista allo stesso illuminismo in un'identit�
negativa e polare, � precisamente il riferimento positivo comune - solamente
connotato ed accentuato in forme diverse - alla "forma soggetto" che costituisce un
inquinamento comune della forma. Nella misura in cui si tratta di negazione
fondamentale di questa forma, il contro-illuminismo non sfugge allo stesso verdetto
emesso nei confronti dell'illuminismo, del quale costituisce un mero derivato.
Tuttavia, dappertutto, dovunque il pensiero raggiunge il limite della forma del
soggetto maschile e permeata dalla logica della dissociazione in quanto tale, ed ha
il coraggio di affrontare i contenuti poco compatibili con tale forma, esso pu�
contenere questo o quell'elemento positivo del quale ovviamente non deve fare
"tabula rasa", senza che questo voglia dire che pu� sostituire la critica del
soggetto, oggi necessaria, o che questa possa essere composta a partire da questi
elementi. In tal senso, l'investigazione della dissidenza storica (ossia,
trasversale all'opposizione apparente borghese ed immanente tra l'illuminismo ed il
contro-illuminismo) costituisce un campo importante, in una teoria storica ed in
una storiografia critica del valore e della dissociazione, e critica
dell'illuminismo, che deve ancora essere messa in evidenza (materiali su questa
tematica si possono trovare nelle investigazioni storiche femministe che fino ad
ora sono state in gran parte ignorate dalla critica del valore). Ma su di questo
non pu� essere costruita un qualche lignaggio tradizionale ed una galleria degli
antenati della critica, ma si possono solo rendere visibili le tracce di una non-
concordanza defunta. In questo modo si possono incontrare, tanto nel pensiero
moderno come in quello premoderno - e con ogni probabilit� preferibilmente nelle
sue ramificazioni collaterali e dissidenti - momenti di riflessione di una storia
della sofferenza delle relazioni di feticcio. Questo si applica tanto pi� ai
contenuti artistici, che non coincidono con le riflessioni filosofiche
dell'illuminismo nell'affermare la forma di feticcio e che da sempre hanno dato
espressione alla sofferenza causata da tale forma; ma non per questo sono state
risparmiate in alcun modo dall'inquinamento maschile e sono state permeate dalla
logica di dissociazione. Dopo tutto non � stato invano che Adorno ha voluto
scoprire nell'arte una possibile roccaforte del possibilmente "non identico", anche
se l'arte, come sfera separata del processo di vita residuo della societ�, in
questo suo stato in fondo separato si incontrava gi� contaminata dalla forma. Anche
sotto quest'aspetto bisogna indagare e rivelare le contraddizioni e segnalare la
tensione tra il contenuto e la forma del soggetto, senza affermare il contenuto
come neutro o come privo di influenze esterne, ed apparentemente innocente.
Rispetto ai riferimenti ai contenuti filosofici ed artistici, a condizione che si
tratti di monumenti, la loro esistenza continuata, positiva o negativa, pu�
sembrare relativamente poco problematica. Tuttavia non � la stessa cosa che avviene
con quegli artefatti della storia che, sotto forma di tecniche culturali e di
produzione, continuano a venire applicate nella pratica o ritornano, nel contesto
di un rinnovamento critico, con lo statuto di riscoperte, integrando il processo
reale di riproduzione e di vita. Sotto questo punto di vista, si pone il problema
della negazione critica dei contenuti, o della loro manutenzione o del loro
ulteriore sviluppo in una direzione del tutto diversa.
Da una parte, il riferimento ai contenuti ha qui un significato perfettamente
esistenziale ai fini dello sviluppo ulteriore della societ�, dipendendo dalla
decisione che viene presa. Visto che non si tratta di meri monumenti - ma, semmai,
e in maniera assai immediata, di questioni pratiche e, anche, della vita - non
possono continuare ad essere negative, e possono solo essere abolite nella loro
negativit�, cio�, cessare di esistere puramente e semplicemente. In caso contrario
possono unicamente essere recuperate, in quanto considerate positive o necessarie,
aggregate in forme nuove ed ulteriormente sviluppate.
Dall'altra parte, non pu� avvenire per questo stesso motivo che gli artefatti della
storia, nella loro forma in termini di contenuto di tecniche culturali e di
produzione, coincidano senza eccezioni con la forma del feticcio, sotto il cui
dominio erano stati prodotti. La fabbricazione della birra e la fermentazione del
vino sono state inventate da millenni, probabilmente in Mesopotamia, ma noi non
siamo obbligati ad avere la forma della coscienza sociale delle antiche culture
dell'Asia Minore, n� dobbiamo credere nel suo pantheon, per essere capaci di
riprodurre tali tecniche per quanto riguarda le loro caratteristiche fondamentali.
La stessa cosa si applica ovviamente alla scrittura, cos� come a molte altre cose.
Si legger� e si scriver� fino alla fine dei giorni. Numerose tecniche culturali e
di produzione, conoscenze naturali, matematiche, ecc., sono state trasmesse e
sviluppate attraverso forme di feticcio molto diverse, e lo stesso certamente si
applica anche ad una societ� liberata dalle catene della forma del soggetto. Per
quanto poco, i contenuti siano indipendenti dalla forma sociale, non � affatto vero
che possono essere rappresentati, necessariamente ed assolutamente, solo in quella
forma.
Soprattutto in relazione agli artefatti capitalistici, un "programma di abolizioni"
dovrebbe certamente abbracciare un ambito assai ampio, dal momento che
l'inquinamento capitalista delle cose, per mezzo della forma, ha avuto un progresso
sorprendente. Nonostante tutto, anche in relazione agli artefatti capitalistici nel
senso pi� ampio, questo non pu� significare che bisogna avviare un programma di
tabula rasa. C'� tanto poca necessit� di abolire la bicicletta e la torcia
elettrica insieme alla forma del soggetto maschile del valore e della
dissociazione, quanto quella di abolire la chiusura-lampo (o sar� perch� i bottoni
sono pi� erotici da aprire?). E perch� dovrebbero scomparire il telefono o Internet
oppure, in maniera generale, l'uso dell'elettricit�? Oppure determinate tecniche
mediche, anche se i fondi pensione e gli ospedali hanno finito per essere forme di
restrizione e di alienazione? L'abolizione del trasporto individuale, a sua volta,
non deve necessariamente significare che nessuno, e in nessun modo, torni ad usare
un motore a combustione interna.
Sicuramente, le forze produttive capitalistiche sono aggregate e socializzate in
misura molto superiore a tutte quelle precedenti; ogni tecnologia individuale si
trova inserita in un pi� ampio contesto di concatenamento. E, in accordo con
l'astrazione del valore, che nega ogni sensualit�, questo contesto costituisce allo
stesso tempo un sistema di forze distruttive. Tuttavia, questo non pu� voler dire
che si rifiuta di per s� ed in blocco ogni e qualsiasi aggregazione di tecnologie,
di abilit� e di conoscenze. Cos� facendo, si andrebbe a configurare una negazione a
sua volta totalitaria, secondo il medesimo principio di una logica che pretende di
far tabula rasa dei contenuti, senza passare per l'inversione del feticismo ingenuo
delle forze produttive del marxismo del movimento operaio. La negazione dei
contenuti e degli artefatti non pu� cominciare in forma aprioristica,
indipendentemente dalla definizione di tali contenuti. Anche le aggregazioni e i
contesti di concatenamento devono essere rivisti uno ad uno, tenendo conto delle
loro specificit�, selezionati, raggruppati, in parte negati ed in altra parte
ricomposti in maniera diversa.
La critica, o al contrario il recupero, dei contenuti, degli artefatti della
storia, pu� essa stessa sempre solo tornare a riferirsi ai contenuti, ossia, essere
specifica rispetto ad essi, dipendente dalle qualit� e, per determinati motivi, mai
puramente astratta in generale in relazione alla forma del soggetto. La padella di
teflon non pu� essere rifiutata perch� � un prodotto collaterale della tecnologia
spaziale capitalistica e, quindi, del complesso militare ed industriale e, in forma
generale, della forma del soggetto borghese; per� dovrebbe essere evidentemente
rifiutata se fosse cancerogena. Tuttavia, non se ne pu� far derivare nessuna
teoria, sotto pena di essere solamente la "teoria della padella di teflon", la
quale, per mancanza di generalizzabilit�, non potrebbe essere una teoria. Anche le
aggregazioni dei processi di produzione industriale, delle diverse reti di
informazioni e delle tecnologie di gestione non sono di per s� cos� unidimensionali
e monolitiche per cui si possa emettere un verdetto indipendentemente dalla
penetrazione, dalla selezione, ecc., dei loro rispettivi contenuti se non sulla
base di alcuni enunciati aridi ed aprioristici sulla concatenazione della forma con
il contenuto. Cos�, il problema in questione pu� essere, per ora, riassunto nella
formula: tabula rasa s�, in particolare della forma del soggetto che si regge sulla
logica del valore e della dissociazione (cos� come della forma di coscienza solo
dissociata e, quindi, ridotta e connotata in maniera femminile); tabula rasa,
pertanto, della generalit� astratta o dell'astrazione reale che viola l'esistenza
e, in maniera generale, della forma di relazione di feticcio. Tabula rasa no, al
contrario, per quel che concerne i contenuti, gli artefatti della storia. In questo
senso non esiste una definizione univoca, ma solo un processo di trasformazione, di
selezione, di rifiuto e di ulteriore sviluppo, di penetrazione critica senza
positivizzazione o negativizzazione assoluta.
N� possiamo, perci�, rifiutare per principio i contenuti o gli artefatti della
storia solo perch� sono stati prodotti, in maniera generale, da una forma di
coscienza feticista e, nella modernit�, dalla forma del soggetto. N�, tuttavia, pu�
essere invece giustificata minimamente la forma del soggetto e, in fin dei conti,
"salvata" perch� ha eventualmente creato, in maniera generale, contenuti ed
artefatti da adottare. Una tale cosa non sarebbe molto pi� intelligente
dell'argomento della coscienza del progresso fordista, secondo il quale i nazisti
non potevano poi essere cos� male visto che avevano costruito l'autostrada; anche
se determinati artefatti del capitalismo - contrariamente all'autostrada - possono
venire trasformati, in una societ� post-feticista.

La rottura ontologica: la defeticizzazione


La controversia intorno ai contenuti riproduttivi, che gi� in questa fase si
manifesta in una discussione virtuale SU un processo di esame, di selezione, di
rifiuto o di appropriazione, non pu� porsi, in base ai suoi oggetti, a livello di
una generalizzazione astratta. Gli � che gli oggetti del mondo, gli oggetti della
natura e della societ�, non si incontrano, essi stessi, in uno stato di generalit�;
questo stato viene sempre imposto loro solamente dalla forma sociale del feticcio.
Rispetto al contenuto, esiste solo lo stato definito di quello che � individuale e
particolare, ovvero il generale non esiste come qualcosa di astratto, ma solo come
generalit� interiore in seno ad una determinata area oggettuale; per esempio, la
generalit� relativa alla relazione col dominio vegetale ed al modo di rapportarsi
agli esseri viventi vegetali - un livello in cui esistono determinati punti in
comune, ma senza che essi costituiscano, nel reale, una generalit� assoluta o
astratta. E questo per non parlare di un ordine ancora superiore, come quello che �
stato prodotto unicamente dalla forma di feticcio totalitario della socializzazione
del valore.
Con ci� viene anche data un'indicazione riguardo quello cui si riferisce il
dibattito che va oltre le relazioni di feticcio: precisamente la definizione
concreta dei contenuti, la ponderazione ed il processo di ricerca a questo
riguardo, e non le definizioni astratte e generali della vita in societ�, che per
allora saranno sparite dal processo di vita reale.
Certamente, la rottura con la forma delle relazioni di feticcio costituisce, in
generale, qualcosa di simile ad una rottura ontologica. In tal senso si pu� dire
con Walter Benjamin che quello che � in causa � "far saltare il continuum della
storia", anche se ci sono delle riserve riguardo al termine religioso benjaminiano
di "messianico". In ogni caso, l'ultima cosa che pu� essere in causa � la creazione
di un "uomo nuovo", per cos� dire prelevato dalla provetta di una sorta di meta-
modernizzazione. L'ideologia dello "uomo nuovo" � una costruzione positiva, una
cattiva utopia del come dev'essere l'uomo, per di pi� con criteri che sono
facilmente decifrabili come stimmate della coazione attraverso la forma del valore
e della dissociazione e delle loro pretese totalitarie. Il far saltare il continuum
delle relazioni di feticcio, al contrario, � in s� puramente negativo; si tratta
unicamente di sbarazzarsi di qualcosa, in particolare della forma di coazione di
una generalit� formale astratta, che viola qualsiasi riferimento ai contenuti.
Questa negativit� della liberazione � una liberazione per mezzo di una
manipolazione disinvolta della qualit� propria dei contenuti di ogni tipo. Nasce
cos� solo attraverso la negazione svolta sotto la cappa positiva di un criterio
che, rispetto ai contenuto, giustamente non trasmette una qualche pretesa
totalitaria, non edificando in tal senso una qualche muraglia cinese fra passato e
futuro. In questi contenuti si iscrivono gli stessi esseri umani, tanto nel loro
essere divenuti quanto nel loro divenire, nella loro diversit�. Ma rimane la
consapevolezza del fatto che le malattie e le sofferenze, seppur possono essere
mitigate, non possono essere abolite nella loro totalit�; e che la la morte pure
pu� essere rinviata, ma non pu� essere definitivamente superata. Quello che � in
gioco � l'abolizione delle sofferenze inutili prodotte dalla stessa societ�, il
modo adeguato di affrontare i contenuti sia naturali che storico-sociali; e non la
positivit� astratta e distruttiva di un mondo totalmente nuovo come risultato
unicamente dell'arroganza dell'imperativo della valorizzazione e della sua forma
vuota ed autoreferenziale.
La rottura ontologica, il "far saltare il continuum" della storia precedente, non
crea alcun "superuomo" nietzschiano, cos� freddo, cos� superiormente inumano e, in
ultima analisi, pazzo, e che pu� rappresentare solamente l'apoteosi del soggetto
sottomesso alla logica del valore e della dissociazione. La rottura, nella sua
negativit�, � molto pi� modesta, ma proprio per questo possiede una maggior
copertura: non contiene altro che la defeticizzazione e, con questa, la
deformalizzazione della coscienza sociale. La vecchia forma della generalit�
astratta non viene sostituita da alcuna forma nuova, n� il vecchio principio �
rimpiazzato da uno nuovo.
La coscienza sociale deprincipalizzata non � altro che la coscienza, il sapere e la
sensibilit� dell'homo sapiens esistente, ma senza l'anello di ferro di una
relazione di coazione costituita per schiacciargli la testa. Le istituzioni di una
societ� defeticizzata, i "consigli", non eseguono pi� un principio formale
(l'autogestione sulla base della produzione di merci sarebbe una contraddizione in
s�) ma negoziano senza previ requisiti formali la diversit� qualitativa degli
oggetti e della loro riproduzione. L'istanza della forma organizzata dello stare in
societ� degli individui e, con essa, la sintesi della riproduzione, si presenta
come una coscienza viva, aperta e non conclusa, con un riferimento libero agli
oggetti; e non gi� come una forma chiusa e morta che pesa sulla coscienza come un
incubo. E quest'incubo, dopo il suo attraversamento della storia della
modernizzazione, ha finito per rendersi visibile nella sua forma finale di
decadenza e, per cos� dire, "matura" per la sua abolizione. In tal senso, la
defeticizzazione significa anche una deritualizzazione della societ�, dal momento
che qualsiasi relazione feticizzata di coazione si accompagna a rigidi rituali, a
tutti i livelli in cui l'alienazione si traduce in comportamenti grotteschi, siano
essi atti di sottomissione religiosa o sia il rituale oggettivato alla cassa del
del supermercato, all'ufficio anagrafe o ad un colloquio per l'assunzione di
personale.
La necessit� ontologica
Ora, il problema ontologico, allo stato attuale della riflessione, sembra
consistere propriamente nel fatto che non si distingue fra negazione assoluta della
forma e il libero riferimento, scevro da apriorismi, ai contenuti (anche a quelli
che costituiscono un retaggio del passato). Dacch� c'�, la forma del soggetto non
costituisce un fenomeno esteriore, dal momento che � permeato dal riferimento al
contenuto nella sua totalit�. L'apologia e l'affermazione pi� o meno chiara di
questa forma "falsa" dell'Io � accompagnata da una necessit� ontologica che vuole
in qualche modo scommettere sulla falsa continuit� della coscienza la quale, per�,
potrebbe essere solo una continuazione della medesima forma con cui di deve
rompere.
Sempre all'interno della critica, questa necessit� ontologica si presenta come
compulsiva verso la costruzione di una logica positiva dello sviluppo, di una
galleria di antenati, di una sequenza generativa, in cui una persona possa in
qualche modo inserirsi. Il pensiero illuminista approfitta di questa necessit� per
difendere la sua affermazione governata dalla logica del valore e della
dissociazione. E anche da qui che proviene la grande paura di causare il collasso
del pensiero illuminista. Si vuole avere sotto i piedi un terreno storico. Si
scopre che l'ultima cosa che possa offrire la rottura ontologica con la "storia
delle relazioni di feticcio" � la manutenzione di questo terreno.
I contenuti culturali in quanto artefatti della storia, anche positivi, non sono
suscettibili di costituire un terreno simile a causa della loro definizione
specifica. Nella loro specificit�, separati e divenuti relativamente indipendenti
dalla rispettiva coscienza sociale che li ha prodotti o che li recupera
(dall'agricoltura fino alla forma lirica del sonetto), essi continuano a non essere
altro che oggetti morti, oppure tecniche e ricette disconnesse. Solamente la
coscienza, che non pu� essere altro che sociale, d� vita agli artefatti,
inserendoli in un contesto storico-sociale. Tuttavia � a questo livello di
coscienza che deve avvenire la rottura ontologica che non si riferisce
primariamente agli artefatti, ma alla stessa forma di coscienza. Diversamente, tale
rottura non pu� avvenire di per s� sulla base di un riferimento positivo a
determinati artefatti della storia, dal momento che non riesce nemmeno a inserirsi
in questo campo. Una societ� liberata dalle relazioni di feticcio pu� e deve
recuperare artefatti sotto i pi� diversi aspetti, ma non � in questo che consiste
la rottura.
Per questo mi sembra che si tratti di un mero malinteso se Anselm Jappe afferma, in
riferimento a determinati artefatti della storia come se fossero "miglioramenti
nell'ambito dell'agricoltura o della navigazione o del trasporto ..." e, per
esempio, "progressi culturali, come il raffinarsi del senso ritmico nello sviluppo
del lirismo europeo a partire dal 1100" oppure, da un'altra parte, la "architettura
tradizionale": "L'Uomo che non obbedisce alla forma del valore non �, pertanto, una
mera cosa del futuro, dal momento che esiste gi�, seppure sotto forma
frammentaria". Questi frammenti dispersi, per�, non hanno vita propria, non
potendosi comporre a partire da un qualche Uomo posteriore alla forma del valore,
se non come omuncolo degli artefatti, potenziali e realizzati.
Non mi costa ammettere che anche dalle societ� agrarie premoderne potrebbero essere
recuperati molti momenti individuali per una "buona vita" che il capitalismo ha
distrutto, a partire da una concezione del tempo dotata di riferimenti concreti
invece che astratti e lineari, fino ad un'architettura corrispondente alle misure e
alle necessit� umane, invece di un'architettura diventata astratta al fine di un
funzionalismo subordinato ai dettami del valore. Ma non � qui che risiede il
problema. Gli � che questi frammenti dispersi non possono costituire un filo
conduttore verso la rottura ontologica con la forma di feticcio, e neppure il
terreno per un'altra forma di socializzazione. N� la positivizzazione, n� la
negazione di determinati artefatti e contenuti riesce ad avvicinarsi al vero
problema. I movimenti che si limitano a protestare, qui contro l'energia nucleare,
l� contro il traffico individuale e laggi� contro l'inquinamento dell'aria, senza
affrontare la forma del soggetto e della riproduzione in quanto tali, hanno una
portata troppo limitata, similmente a quanto avviene con l'impulso contrario che
consiste nel migliorare le realizzazioni positive di una possibile buona vita, come
passeggiare in campagna qui o le realizzazione estetiche laggi�.
Il problema della rottura con la forma di feticcio e di soggetto viene solo
ritardato se Jappe, al posto dell'illuminismo, trasferisce alla societ� agraria
premoderna la stessa necessit� ontologica e si limita cos� a mettere con i piedi
per aria la logica illuminista. In questo modo, si vuole evitare la rottura
ontologica per mezzo della dislocazione, caratterizzata quasi da un romanticismo
agrario, sul terreno ontologico di un passato anteriore. In quanto tale, Anselm
Jappe formula la sua anti-critica della critica radicale dell'illuminismo,
contrariamente agli apologeti della modernit�, non tanto per l'illuminismo quanto
per salvare la societ� agraria premoderna come ambito di riferimento in gran parte
positivo, e quasi come modo di scartarsi dalla critica dell'illuminismo;
quest'empito sembra prevalere nei gruppi post-situazionisti in Francia. Il
rimprovero di voler fare tabula rasa viene rivolto, sotto questo punto di vista,
soprattutto all'inclusione, nella critica radicale dell'illuminismo, di una critica
non meno radicale di tutte le forme di feticcio pre-moderne; cosa che, per�, �
inevitabile.
Diventa qui evidente un deficit complementare dell'anti-critica della critica
radicale dell'illuminismo, tanto nella versione apologetica dell'illuminismo,
quanto nella sua controparte ispirata al romanticismo agrario. Per il pensiero che
si schiera con l'ideologia dell'illuminismo e della modernizzazione, la rottura con
la societ� agraria costituisce l'albeggiare positivo di un movimento di liberazione
che, seppure possa contenere in s� rotture strutturali, nel corso del suo ulteriore
sviluppo, in quanto tale, dev'essere perseguito sul terreno ontologico, una volta
conquistato. Nella misura in cui si concede che � necessaria una rottura con
l'illuminismo e con la forma del soggetto, tale attitudine rimane senza
conseguenze, non essendo altro che un'affermazione irrilevante. Jappe semplicemente
inverte questa logica e vede il peccato originale proprio in questa rottura
illuminista e moderna, che basterebbe ora annullare per mezzo della rottura con la
modernit� per riuscire a recuperare il vero giardino ontologico del "progresso"
situato nelle culture premoderne. La concessione per cui evidentemente bisogner�
rompere "in qualche modo" anche con la forma premoderna del feticcio conserva
anch'essa, ugualmente, lo statuto di affermazione senza conseguenze.
Tuttavia, con questo non ci si guadagna niente. Entrambe le opzioni passano a lato
del vero problema della rottura e rimangono all'interno della continuit� storica
negativa. Ci� � dovuto al fatto che, in entrambi i casi, la logica necessaria della
tabula rasa della rottura con la forma del feticcio e del soggetto viene oscurata e
confusa con la questione del riferimento, molto meno inequivocabile, agli artefatti
della storia.
La circostanza per cui l'ideologia della modernizzazione non dev'essere superata
pu� essere riconosciuta anche nelle sue forme pi� riflesse, e ancora parzialmente
critiche dell'illuminismo (per esempio di provenienza adorniana), dal fatto che non
si riferisce a determinati artefatti, "potenziali" e realizzati dalla modernit�, in
quanto allo stesso tempo nascondono la negativit� della forma del soggetto permeata
dalla logica maschile della dissociazione, al fine di piegare e sovvertire la
critica radicale di quella forma.
L'ideologia del romanticismo agrario, al contrario, pu� essere identificata, da
parte sua, per il non riferirsi positivamente a determinati artefatti, "potenziali
e realizzati dalla premodernit� sopraffatta dal capitalismo (in che misura questo
avvenga, tuttavia, in forma troppo ingenua, deve essere ancora chiarito in
riferimento al contenuto) ma nel lasciarle, allo stesso tempo, in una maniera molto
somigliante alla negativit� delle forme del feticcio premoderne, nell'ambito
dell'indefinito, di modo da poter sempre riprenderle con piacere per evitare, in
ogni caso, la critica radicale.
Comunque, il rifiuto apparentemente evidente di una logica di tabula rasa non
definita a sufficienza riguardo al suo riferimento, pu� in tal modo convertirsi, in
maniera indiretta, in apologia della forma. E in quanto non pu� avvenire, in nessun
modo, un regresso alle forme premoderne, il momento apologetico della forma,
contenuto in questo tipo di argomentazioni, minaccia, in fin dei conti, di
limitarsi ad aggirare in maniera involontaria il soggetto che obbedisce alla logica
del valore e della dissociazione (nel campo della teoria: il soggetto oggettivista
e maschile re dei filosofi).
La posta in gioco, in realt�, nell'anti-critica - contro la logica della tabula
rasa della critica radicale dell'illuminismo - non sono questi o quegli altri
artefatti (moderni o premoderni), le realizzazioni culturali, ecc., ma �, invece,
la forma sociale della coscienza, cosa che diventa perfettamente evidente quando
Jappe denomina come criterio positivo non solo qualche potenziale, conoscenza,
ecc., individuale, ma, improvvisamente, un "essere" della storia (premoderna): "Non
esiste una natura che possa essere invocata come punto di riferimento, e di fronte
alla quale, la falsit� della societ� delle merci si possa rivelare come tale, e
molto meno esiste una natura che possa servire da insediamento normativo nel senso
di un punto di partenza, rispetto al quale sarebbe un peccato qualsiasi
allontanamento. Ma esiste una 'natura' nell'ambito dello sviluppo dell'umanit�.
Cos� come si pu� parlare di una 'ontologia negativa' (anche se una simile
espressione, in fondo, costituisce un ossimoro) nell'ambito delle relazioni
storiche di feticcio - ossia, di circostanze che, non essendo associate all'uomo in
quanto tale, possono essere ritrovate pi� o meno in tutte le forme della
'preistoria' fino ad oggi - si pu� parlare anche di una 'natura' immanente alla
storia. Quest'essere 'sociale e sensibile', che oggi si difende dagli oltraggi del
capitalismo, rimane, per quanto riguarda l'essenziale, in una sorprendente costanza
ed uniformit�, dalla rivoluzione neolitica fino alla vigilia della rivoluzione
industriale. E' questo contesto che pu� essere definito come 'naturale'..."
(Jappe).
Qui, improvvisamente, non si parla pi� di determinati contenuti "buoni" e di
artefatti in quanto frammenti dispersi, ma della continuit� di un "esistere" che
pu� essere concepito solo come continuit� di una forma di coscienza pre-moderna ed
agraria che, tuttavia, dev'essere negata come feticista rispetto alla sua
controparte moderna. Se la "falsit�" della societ� delle merci non pu� essere
misurata per mezzo dei frammenti sparsi sotto forma di artefatti premoderni, assai
meno lo si potr� fare per mezzo della forma di coscienza di un "essere naturale
sociale" permoderno. Gi� la scelta delle parole rimanda a quella "seconda natura"
della coercizione formale impossibile da essere positivizzata con intenti
emancipatori e resa parametro. Senza dubbio il livello di forma costituisce, come
tale, una caratteristica comune che non riunisce solo le diverse forme premoderne
in quanto, insieme a loro, anche la forma moderna rientra in una tale costituzione;
ma quest'ultima � unica ed � esclusivamente negativa.
Se Jappe si riferisce, a questo proposito, al momento di non concordanza degli
individui con le relazioni di feticcio, soprattutto con la relazione moderna, a me
pare che ci sia anche qui un malinteso. E' vero che questa non concordanza esiste,
ma esiste unicamente in relazione alla rispettiva forma di feticcio e alle
rispettive condizioni di sofferenza. Essa mostra come gli individui non si
riassumano nelle condizioni della forma. Ma questo fatto non pu�, in alcun modo,
essere separato come definizione positiva indipendente dalla sua mediazione con la
negativit� delle relazioni di feticcio, ed essere trasformato in un "essere
ontologico" della premodernit�, sopra il quale si possa edificare qualunque cosa.
Anche se esiste la non concordanza, non esiste un simile essere.
La sofferenza non � un essere. Una sofferenza vissuta pu� diventare punto di
partenza e parametro negativo della critica, ma non costituisce un essere proprio
che possa venire invocato indipendentemente da quello di cui si soffre, come
fondamento essenziale positivo. In questo caso ci troveremmo proprio davanti ad una
costruzione ideologica di una "natura umana" che dovrebbe solo essere dissotterrata
dal seppellimento abusivo fattone dagli illuministi e dai moderni, anche se questo
substrato, nell'opinione di Jappe, dev'essere da parte sua un prodotto storico in
un continuum che, per�, sarebbe quasi a-storico, prolungandosi fin dal neolitico.
Cos� torniamo evidentemente a mettere in atto la mera inversione della stessa
ideologia illuminista che alla fine voleva anche dissotterrare la "natura umana",
da sempre capitalista, dai seppellimenti premoderni.
Un altro malinteso in Jappe, relativo a questo contesto consiste nell'identificare
il fatto che gli individui non riassumono la forma, e la loro sofferenza in questa
condizione, con "l'area dissociata"; e per di pi� quest'ultima con il suo "essere"
premoderno. Da un lato, per�, la dissociazione � emersa solo nella modernit�,
insieme alla forma del soggetto, anche se determinati momenti a posteriori, e
provenienti dalle societ� premoderne (relazioni patriarcali fra i sessi), possono
essere riconosciuti come elementi che hanno contribuito a tale dissociazione.
Dall'altro lato, la dissociazione costituisce, per la stessa ragione, solo il
rovescio della costituzione capitalista. Perci�, il dissociato, nel suo stato
ridotto, � altrettanto negativo della forma del soggetto, e a maggior ragione non
pu� servire da fondamento e da parametro positivo. Il grande inferno del processo
di valorizzazione capitalista non pu� essere criticato dal giardino del piccolo
inferno familiare dissociato, e ancor meno a partire dal punto di vista immaginario
di un essere agrario caratterizzato da laghi di sangue. Ed infine, ma non ultimo,
il principio materno sarebbe, come fondamento ontologico della libert�, un fiasco
altrettanto orrendo del principio del lavoro. Insieme alla "mascolinit�", bisogna
abolire anche la "femminilit�". Specialmente da questo punto di vista, la parola
d'ordine �, pi� che mai: Iconoclastia ora! Tutto ci� evidentemente significa che la
critica radicale non pu� avere un parametro positivo aprioristico - del quale non �
mai sicura - non risultando mai "solo per s�" e non potendo necessariamente e in
nessun modo essere "derivata" da un qualche fondamento ontologico. La necessit�
ontologica � impossibile da soddisfare. Solo attraverso la negazione, come
possibile conseguenza (ma, n� necessaria n� garantita) della sofferenza pu� essere
raggiunto uno stato positivo qualitativamente nuovo, nella conversione positiva
della propria negazione (che non � riferita ovviamente ad un "tutto", ma alla forma
del soggetto e alla forma della dissociazione); tuttavia, questo non pu� avvenire
in virt� del fatto che la negazione possa, da parte sua, appoggiarsi gi� in uno
stato positivo, ad un fondamento ontologico, ad una definizione essenziale.
Hannibal Lecter, o il "potenziale" della capacit� di mantenere la distanza
A quanto pare, l'inversione della logica illuminista, dotata delle tracce di un
romanticismo agrario, costituisce innanzitutto una specialit� francese, laddove
invece la rimanente apologetica della forma minaccia assai meno di scegliere questa
deviazione, rispetto al distinguere e conservare un qualche momento positivo in
seno alla stessa forma moderna del soggetto. In Germania, la reazione consistente
nel ricorso al romanticismo agrario � molto pi� screditata che altrove, dal momento
che viene considerata un momento centrale dell'ideologia nazista; e nemmeno i
neonazisti ci vogliono avere a che fare. Qualsiasi ideologia naturale ed agraria
pu� essere presentata, di per s�, come "fascista", ed una tale squalifica, nella
Repubblica Federale Tedesca degli anni ottanta, non solo � diventata l'argomento
principale per distinguersi dai Verdi, da parte della sinistra radicale, ma si �
anche convertita (insieme all'accusa di antisemitismo) in un'arma di denuncia in
seno alla stessa sinistra.
Questa grossolana "critica ideologica" � per lo pi� marginale rispetto
all'argomento ed � da molto tempo degenerata nell'autismo della politica
identitaria di una fauna sterile; in tal senso non si pu� non dare ogni ragione a
Jappe. I nazisti sono stati assai pi� gli ideologhi di una modernizzazione
fordista, che inculcava un'individualit� astratta, che agrari romantici e
protettori della natura. E' questo ci� che non riesce a vedere la sinistra tedesca,
essa stessa posseduta dall'ideologia della modernizzazione, per la quale il
concetto di modernit� appartiene al vocabolario di una devozione da sempre positiva
rispetto all'illuminismo. Mentre esistono numerosi punti di intersezione fra
l'ideologia del sangue e del suolo, la dottrina razziale e l'antisemitismo, da una
parte, ed il romanticismo agrario e l'ideologia della natura, dall'altra, le due
cose non sono identiche. In realt�, la terminologia nazista proviene principalmente
dal culturalismo specifico del romanticismo tedesco e dalle corrispondenti
ideologie tedesche, e da esse deriva e si situa su un piano di riferimento e di
astrazione totalmente diverso da quello della critica ecologica di una Greenpeace
che - seppure rimanga irriflessa in quello che dice rispetto alla forma sociale e
non vada sufficientemente lontano con il suo falso immediatismo - non pu� in alcun
modo venire accusata di essere compatibile con il nazionalsocialismo. I settori
borghesi devoti dell'illuminismo della sinistra radicale tedesca, fedeli
all'ideologia della modernizzazione e contrari al romanticismo agrario, che
intendono sottrarsi alle idee verdi ed ecologiche facendo ricorso ad una simile
denuncia economica, da parte loro si arrendono al falso immediatismo e alle false
alternative della socializzazione del valore se, attraverso una mera inversione
ideologica, quasi festeggiano la distruzione capitalistica dei fondamenti naturali
come se fosse un "fatto antifascista". Con ci� dimostrano solamente che si trovano
talmente fuori dalla critica emancipatrice del lavoro astratto quanto i romantici
agrari o i democratici verdi, o i pragmatisti di Greenpeace. Non � stato per niente
a caso che una gran parte di questa sinistra modernizzatrice sia diventata,
conseguentemente all'imbarbarimento nella crisi mondiale della terza rivoluzione
industriale, sostenitrice dell'imperialismo globale democratico ed occidentale,
soccombendo ad un'ideologia bellicistica di odio nei confronti del terzo mondo in
disgregazione, usando invettive razziste.
Non � questo il luogo per analizzare in dettaglio errori e volgarit� di questa
sinistra filo-occidentale che ha gi� cessato di esistere. Quello che � essenziale �
che la falsa critica - abusivamente semplificata da questa sinistra -
dell'ideologia della natura, e del romanticismo agrario che a questa si trova
associato, viene accompagnata da un'apologia quasi fanatica della forma moderna del
soggetto capitalista (e, insieme a lui, della generalit� astratta e distruttiva in
riferimento al mondo). Questo momento centrale finora nascosto di tutta la
devozione della sinistra all'illuminismo si � manifestato apertamente nelle
violente dispute seguite all'11 settembre. Ed � precisamente qui che dobbiamo
cercare il vero casus belli che rende impossibile qualsiasi mediazione e che marcia
verso la linea del fronte delle posizioni incompatibili. Qualsiasi apologia, anche
minima, della forma moderna del soggetto, soggiacente alla logica del valore e
della dissociazione, deve essere rifiutata per principio, e con la stessa veemenza
con cui si rifiuta l'apologia reazionaria delle forme di feticcio premoderne, o la
costruzione propria del romanticismo agrario di un "essere" positivo premoderno
della seconda natura. La "forma soggetto" non costituisce un fondamento ontologico
positivo dell'emancipazione, come non lo costituiscono le forme di coscienza delle
societ� agrarie. Riguardo a questo punto, la linea della tabula rasa dev'essere
rigorosamente mantenuta.
La mancanza di chiarezza che, a questo proposito, si estende fino all'interno dei
dibattiti della critica del valore e della dissociazione, si trova strettamente
associata al concetto di "potenziale". Nella misura in cui questo concetto si
inquadra in quella definizione che tenta di concepire come gli artefatti della
storia nel senso pi� lato possono essere trattati solamente come potenziali mentre,
in quanto contenuti, possono essere evidenziati in questa o quella maniera nella
forma del feticcio, ed essere inquadrati in un contesto sociale alterato. Le
capacit� di rappresentazione simbolica dei toni (notazioni musicali) o del
trattamento siderurgico del ferro, similmente sono potenziali, cos� come ci� che
rende possibile il trapianto di un rene e la produzione di un microprocessore,
ecc.. Potenziali simili non devono, tuttavia, essere confusi con la struttura della
forma di feticcio come forma di pensiero e di attuazione negativa e distruttiva.
Attraverso questa forma, nonostante la sua cecit� e la sua distruttivit�, possono
essere sviluppati contenuti che non si riassumono del tutto, o nella sua totalit�,
in tale forma, e che possono venire trasformati in altri riferimenti; ma la forma
stessa si mantiene, in quanto tale, puramente negativa, in quanto le sue modalit� e
strutture non costituiscono un qualche "potenziale" trasformatore.
Apparentemente, questa delimitazione concettuale � rimasta finora estremamente
sfuocata, in una maniera per cui specialmente il concetto di "potenziale" - che,
contrariamente agli artefatti palpabilmente materiali, non viene percepito
separatamente dalla forma del soggetto - appare come portatore di un concetto
apologetico relativamente a tale forma. Cos�, per esempio, la capacit� di distacco,
speciale o accresciuta, dell'uomo moderno, viene rivendicata come se fosse un
potenziale della forma del soggetto che sarebbe da salvare, in riferimento
esplicito o implicito al paradigma del presunto "processo di civilizzazione"
(Norbert Elias).
Contro questo argomento � necessario invocare da subito gli stessi motivi che
vengono invocati contro l'argomento del "potenziale" dell'individualit� astratta
moderna. In primo luogo, la capacit� di distacco in quanto tale, cos� come anche
l'individualit� in quanto tale, non � una realizzazione specifica della modernit�.
Cos� come con la costituzione di una "seconda natura", si trova stabilita, in modo
generale, una relazione dell'uomo individuale con la forma sociale e, insieme a
questa, con l'esistenza dell'individualit�, anche l'umanizzazione stabilisce in
generale una relazione di distacco tra i membri della societ�. Senza capacit� di
distacco non si d� cultura; nemmeno all'et� della pietra. La presunzione di una
pura e semplice "mancanza di distacco" di ogni e qualsiasi societ� pre-moderna �,
come la presunzione complementare della relativa "mancanza di individualit�", pura
ideologia borghese ed illuminista che vede tutta l'umanit� anteriore al XVII secolo
a vegetare nel crepuscolo indifferenziato dello "attaccamento alla natura", solo
per poter giustificare in qualche modo la barbarie e la stupidit� specifica della
forma moderna del soggetto come se fosse un "progresso".
Tuttavia, come l'individualit�, anche la capacit� di distacco si ritrova in tutte
le relazioni di feticcio sotto l'incantamento di una forma sociale compulsiva.
Questo incantamento non � diminuito nella forma moderna del soggetto, ma si �
potenziato in maniera insopportabile. Si tratta per la precisione di liberare tanto
l'individualit� quanto la capacit� di distacco dalla forma del soggetto e, insieme
a questa, dall'incantamento di qualsiasi forma di feticcio. Questo corrisponde
decisamente al contrario dell'opzione per cui si vuole attribuire, proprio alla
stessa forma del feticcio del soggetto, una capacit� di distacco "salvifica"
specifica, vista come realizzazione positiva.
Infatti, la capacit� di distacco "aumenta", nella forma moderna del soggetto
assoggettata alla logica del valore e della dissociazione, solo in un senso
puramente negativo, principalmente per dare luogo alla relazione astratta fra
soggetto ed oggetto che mette in atto la pulsione di morte del soggetto del valore.
Questo pu� essere dimostrato per mezzo dei simboli contemporanei popolari del
"male". Le peggiori, e pi� orribili, caratteristiche del soggetto del valore e
della dissociazione si riflettono assai spesso - fin dalla comparsa dell'industria
culturale capitalista, nel XX secolo - in forma mascherata e involontaria
nell'immaginazione della cultura "pop". Specialmente i mostri ed i megacriminali
super-umani, sempre creati e ricreati, gettano una determinata luce sullo stesso
soggetto borghese, considerato come "buono", e lo fanno in particolare rispetto ala
suo presunto "potenziale".
Riguardo al famigerato "potenziale" della capacit� di distacco specificamente
moderna e borghese, ultimamente viene rappresentata dall'industria culturale in una
maniera tanto impressionante quanto poco appetibile nella figura cannibalesca di
Hannibal Lecter. In una recensione del nuovo adattamento cinematografico di questa
materia, si legge a tal proposito: "Si scopre che quello che inquieta nella figura
dello psichiatra assassino non risiede esattamente nel suo carattere
implacabilmente malvagio, ma piuttosto nella sua ambivalenza, nelle due anime che
coabitano nel medesimo petto in modo incredibilmente armonioso, e che trovano la
loro espressione in entrambe le parti del nome Hannibal Lecter: il lato
hannibalistico e animale, rude, impulsivo e distruttivo che, come un gemello
siamese, si accompagna sempre ad una ragione che appare molto kantiana (!) - una
ragione addomesticatrice che si eleva sopra tutto quello che � sensibile ed
impulsivo e che analizza la ferocia che sta al suo fianco in maniera fredda ed
esente da emozioni. Lectorizza. Gli omicidi feroci di Hannibal, il cannibale,
quindi, giustamente, non possono essere classificati come i crimini efferati di uno
psicopatico impunibile, ma si manifestano all'osservatore inorridito come azioni
coscienti e perfettamente controllate che in ogni momento sono subordinate alla
lettura minuziosa dell'intellettuale Lecter..." (Alexandra St�heli, �Red Dragon�
oder Hannibal zum Hors-de�oeuvre). Non poteva essere descritta meglio la logica e
la relazione con il mondo del soggetto del valore e della dissociazione. E' cos�
che oggi si "ama", � cos� che si costruiscono case, � cos� che si viaggia e si fa
colazione, � cos� che si fa riferimento alla storia. Tuttavia, il lato
"cannibalesco" descritto come "impulsivo", forse non costituisce la base naturale
che viene "razionalmente lectorizzata" dalla forma priva di contenuti, ma bens� �
il lato sensibile ed impulsivo in uno stato di "lectorizzazione"; e questo �
abbastanza orrorifico. La forma vuota ed autosufficiente dell'astrazione del valore
e della logica della dissociazione � e rimane assolutamente trascendente a fronte
di ogni e qualsiasi contenuto sensibile e sociale, ed anche in relazione al
sentimento pi� intimo e alla sessualit�.
La "capacit� di distacco" qui si trasforma in un abisso incolmabile. Si tratta, da
una parte, di quel distacco che Procuste assume di fronte ai suoi simili umano e,
dall'altra parte, del distacco in rapporto a tutto il mondo e alla totalit� delle
cose di cui soffre Tantalo. In ultima analisi, il soggetto del valore, retto dalla
logica maschile della dissociazione, si dimostra del tutto incapace di qualsiasi
relazionamento. Il carattere assoluto del distanziamento, tuttavia, d� luogo ad una
mancanza di distacco altrettanto assoluta, in un groviglio di radici autistiche,
che rendono l'oggetto dell'affetto, diventato impossibile, pronto per finire
letteralmente in padella. L'impossibilit� di far valere l'oggetto o la persona, in
quanto altro e con qualit� proprie, porta all'incorporazione immediata come ultima
ratio. Alla fine, la relazione da sempre fallita viene liquidata facendola passare
per la via pi� naturale. E' in questo che consiste la vera dialettica del soggetto
del valore. E, nella misura in cui il proprio Io � sensibile ed impulsivo, pu�
essere dominato solamente in una forma auto-cannibalistica. La pulsione di morte
capitalistica pu� essere descritta anche come il processo di un auto-cannibalismo
progressivo.
Questa logica pu� essere benissimo accompagnata da dimostrazioni di una sensibilit�
culturale borghese. All'inizio di "Red Dragon", troviamo Hannibal Lecter ad un
concerto di musica classica, dove la sua sua raffinata sensibilit� culturale gli
permette di distinguere la stecca che scappa ad un violinista troppo mediocre. La
disapprovazione del conoscitore fa s� che questo non tardi ad associare il lato
sgradevole dell'intervallo con quello che � utile per il benessere corporale. E' un
peccato che quel musicista sia troppo ben nutrito. Cos�, Hannibal si rivela
doppiamente conoscitore. Si potrebbe trovare una metafora migliore per la relazione
moderna fra l'intelletto ed il denaro, per il punto di vista della borghesia colta,
per tutta l'estetica illuminista del tempo libero e per tutto il mecenatismo
capitalista?
Credo che Hannibal Lecter, come immagine del soggetto del valore, costituisca un
simbolo degli estremi che non possono essere uguagliati dalla realt�. Ma non �
questo quello che succede: gli Hannibal Lecter tuttavia esistono realmente e
fisicamente. Nel dicembre del 2002, il pubblico tedesco venne sorpreso dal caso del
"cannibale di Rotenburg". I dettagli, in linea di principio, non sono meno
appetitosi della rimanente realt� capitalista: "Ci sono stati giorni in cui il
gentile Armin M. si prendeva cura del rottweiler e dei pony dei vicini. Giorni che
beveva un caff�, che beveva la sua birra nella taverna, che serviva al tavolo
durante la festa di famiglia di un collega. E oggi, un giorno in cui ha squartato
un essere umano e ha mangiato la sua carne. Armin M., dice oggi il psicologo della
polizia, � psichicamente sano (!)... Quello che � accaduto durante la primavera
dello scorso anno nel seminterrato di un edificio storico a Rotenburg lascia
attoniti gli investigatori della polizia. E distoglie lo sguardo dai pi� oscuri
recessi di Internet, dove innumerevoli concittadini apparentemente normalissimi
condividono le loro perversioni sotto forme sempre pi� grossolane. Fino a quando il
gioco si fa serio. Fino a quando viene superato l'ultimo limite... Il 9 di marzo
del 2001, lo specialista in microprocessori J�rgen B., di 43 anni, era pronto a
fare un tale passo, aveva venduto la sua automobile, aveva redatto un testamento,
aveva preso un giorno di ferie (!)... Molti indizi fanno credere che il poco
appariscente ed organizzato J�rgen B., equipaggiato del solo suo cellulare e con
qualche migliaio di marchi tedeschi, si sia recato direttamente... a Rotenburg per
visitare una persona che aveva conosciuto in rete... Nella sua casa isolata, a
Rotenburg, era gi� da molto tempo che Armin M. aveva preparato tutto. Dopo la morte
di sua madre, quattro anni prima, si era fatto costruire due stanze nel
seminterrato. Una di queste stanze divenne il luogo della mattanza. L�, Armin M.,
che nei giorni lavorativi normali forniva assistenza per i computer di una banca,
mise l'ingegnere di Berlino davanti ad una videocamera. J�rgen B. si spogli�, poi
lasci� che Armin M. gli tagliasse il pene. La ferita venne cauterizzata
professionalmente. In seguito, l'anfitrione cerc� di mangiare il pene insieme alla
sua vittima. Davanti alla videocamera, l'ex-soldato poi uccise a pugnalate,
colpendolo al collo, il suo visitatore, quindi appese il cadavere per i piedi e lo
smembr�. Poi, Armin M. mise nel congelatore la carne che era stata suddivisa in
porzioni individuali." (Conny Neumann, Sven R�bel, Wilfried Voigt, "Ich will dich
schlachten", in: Der Spiegel 51/2002).
E non manca nemmeno un clich� dell'uomo e del soggetto deformato della
dissociazione borghese: esperto di computer, volontario e conformista (per compiere
il bad trip verso la morte, la vittima prende le ferie, affinch� tutto sia
conforme, si trova di fatto "psichicamente solo" secondo gli standard capitalisti,
cosa che nessuno pu� attestare con maggior competenza dello psicologo della
polizia, ha una casa storica traboccante buon gusto, probabilmente un eldorado per
gli architetti di interni), � un ex-soldato (sergente) e, in termini familiari, �
profondamente segnato dalla normalit�: "Il padre era nella polizia, il fratello era
andato via di casa e divent� lui il capo-famiglia. Armin M. rimase con la madre e
si prese cura di lei fino alla sua morte" (ibid.).
Almeno per quel che riguarda le fantasie, non si tratta in alcun modo di
un'eccezione assoluta. Nella normalit� post-moderna manca poco perch� simili figure
siano un fenomeno di massa, avendo gi� stabilito una sorta di moda: "Quel che �
certo � che M. dopo aver ucciso il berlinese di 43 anni, and� a cercare altre
vittime. Rispose a vari forum di cannibali sulla rete (!), per esempio, in agosto,
al messaggio di Michael 'dalla Germania' che offriva il suo corpo: '24 anni, un
metro e 85, 75 chili. Sei interessato?' 'Franky' era interessato. 'Voglio ucciderti
e mangiare la tua buona carne!' E a settembre scriveva ad H�nsel che era in cerca
di un 'macellaio radicale': 'Voglio ucciderti secondo ogni regola d'arte, voglio
squartarti e mangiarti tutto insieme ad altri amici cannibali. Il tuo macellaio di
prima qualit�'. Il 7 settembre del 2001, un certo Bernd conosciuto come
�darmopfer@gmx.de� gli fece sapere che desiderava essere mangiato vivo... Le molte
migliaia di offerte nei recessi di Internet non hanno limiti. Neppure quando si
tratta di torturare e di mangiare esseri umani, specialmente se sono giovani e
magri... Ma � diventato di moda anche che gli amanti delle torture sanguinolente e
perverse cerchino club di amanti inoffensivi dove si nascondono dietro le etichette
di innocui. Cos� presunti cannibali andranno a conversare sotto la categoria di
'Aldi Fanclub' (N.d.T.: Aldi � una catena di discount tedesca, principale
concorrente di Lidl)... Per circa due anni, una piattaforma particolarmente
selvaggia � stata il campione dichiarato di simili rappresentazioni. L� era
possibile trovare il particolare video di una coppia che andava nuda a squartare un
cadavere, divertendosi in particolar modo con i suoi genitali. Oppure filmati di
incidenti con riprese di vittime con arti recisi - filmati provenienti
apparentemente dagli archivi della polizia. Nel frattempo, per�, ormai non � pi�
all'altezza della sua cattiva fama. Ormai � qualcosa per zoticoni, dicono i pi�
duri... Cosa spinge gli essere umani verso simili fantasie, che cosa spinge alcuni
a passare alle vie di fatto? Psicologi e criminologi cercano di spiegare, nel caso
di Armin M., qualcosa che non ha spiegazioni... E il caso avr� i suoi fan... 'Non
sono poche le persone, in Germania', dice il criminologo di Wiesbaden, Rudolf Egg,
'che pagherebbero molto denaro per vedere i video che la polizia sequestra'..."
(ibid.)
E una cosa in tutto somigliante a quello che avviene con gli autori di attentati
suicidi e con gli autori di uccisioni indiscriminate: per ciascuno che passa
all'azione, corrispondono milioni che giocano, nella loro immaginazione, con una
tale idea o che per lo meno vogliono divertirsi con le immagini dell'horror. A ben
vedere, il cannibalismo e l'auto-cannibalismo rappresentano solo delle varianti
delle uccisioni indiscriminate, in preda a furia omicida. Qui pontifica la stessa
logica di distruzione e di auto-distruzione simultanee. Ed � certamente lo stadio
finale delle associazioni dopo-lavorative quello che celebrano gli "amici
cannibali" quando si incontrano per la mattanza come chi va ad eseguire musica da
camere o a giocare con i trenini nel seminterrato dedicato ai passatempi. L'uomo
che mangia insieme al suo macellaio il proprio pene tagliato come se fosse l'ultimo
pasto del condannato simbolizza solo l'Uomo ad alto rendimento della nuova economia
che si sacrifica sull'altare dell'economia industriale e a cui questo atto
conferisce il massimo valore.
Il soggetto-oggetto moderno raggiunge qui la sua manifestazione ultima, ancora
pensabile, che completa il suo auto-smontaggio in una forma terribile. Si tratta
della misura estrema di distacco in relazione al mondo, il cui rovescio consiste in
un distacco ugualmente estremo in rapporto a s� stesso. In forme differenti,
rispettivamente, anche un Adolf Eichmann o l'autore dell'attentato di Oklahoma
City, Timothy McVeigh, rappresentano la "capacit� di distacco" costituita dalla
relazione di valore e di dissociazione. Gli � da tempo che il simbolo ha preso
vita, e l'horror che si annida nel fondo del soggetto competitivo si manifesta ogni
volta sempre pi� immediatamente alla superficie degli individui nel contesto di
crisi mondiale del sistema produttore di merci. La dissoluzione dell'Io che si
spezza sotto il peso della forma del soggetto nell'economicismo reale della forma
vuota appare come il mostro, come Alien che incombe da dentro qualsiasi borghese.
Quello che interessa � mantenere la compostezza e non macchiare la tovaglia! Sia
per quanto riguarda la capacit� di distacco del soggetto del valore, sia per quanto
riguarda il "potenziale emancipatorio".

La distruzione di chi tutto distrugge


Prendiamo pertanto congedo dall'illusione di voler imputare alla forma del soggetto
in quanto tale un qualche potenziale positivo e "redentore". Concentriamoci
sull'organizzare, da un lato, il dibattito concreto e mirato al contenuto, intorno
alla selezione, l'appropriazione o la negazione dei potenziali, in termini di
contenuti, degli artefatti della storia. Questo si riferisce, di gi� e soprattutto,
alla questione delle forze produttive nel senso pi� ampio, alla relazione specifica
tra la forza produttiva e la forza distruttiva nella modernit� produttrice di
merci. E concentriamoci, simultaneamente, dall'altro lato, sul far avanzare la
critica radicale della forma moderna del soggetto e della riproduzione, per fare
davvero tabula rasa a questo riguardo. In tal senso bisogna definire la coerenza di
un procedimento che voglio chiamare logica della negazione.
Questa logica, in fondo, � molto semplice, ma � oscurata dall'indefinizione della
relazione tra forma e contenuto. La societ� del valore e della dissociazione
rappresenta in s� un programma di tabula rasa; essa � in s� una negazione, finendo
segnatamente per essere la negazione brutale di tutto il mondo sensibile e sociale.
Si tratta unicamente di liberare il mondo da questa diabolica negazione
oggettivata. L'emancipazione costituisce sempre la liberazione da qualcosa di
negativo, rendendo cos� in maniera molto determinata, la negazione emancipatrice,
una negazione della negazione. In questa misura, quello che � in questione �
precisamente fare tabula rasa della logica capitalista della tabula rasa. Non si
tratta di nient'altro. Com'� noto, Kant � stato definito, con un misto di
ammirazione e di orrore di anticipazione, come il "distruttore del tutto"
filosofico. Questa caratterizzazione pu� essere benissimo presa alla lettera,
poich� il raziocinio di Kant non rappresenta altro che la forma riflessiva pura del
soggetto del valore, della dissociazione e dell'illuminismo, e non la sua critica.
La critica, se pretende di esser seria, consiste quindi proprio nel radere al suolo
lo stesso "distruttore di tutto" e, come conseguenza pratica, a sua volta, la
"distruzione di tutta" la societ� reale.
Ora, � del tutto evidente che la distruzione del distruttore di tutto non pu�
costituire, essa stessa, una distruzione di tutto, dal momento che il distruttore
del tutto non � puramente e semplicemente "tutto", sebbene egli (la sua logica) sia
proprio la tendenza a diventare tutto e, con ci�, dissolvere il mondo nel vuoto
della forma, per distruggerlo nella sua qualit� sensibile. La stessa distruzione
del distruttore del tutto � identica alla salvezza del "tutto", nella misura in cui
possa essere negata la distruzione del tutto illuminista e capitalista. Si tratta
di avere la capacit� di distacco di fronte alla capacit� di distacco capitalista, e
allo stesso tempo prendere le distanze ugualmente da una forma reale e radicale. La
capacit� di distacco capitalista, anteriore e fondata, � un puro potenziale
distruttivo, ed elogiarla come positiva e trasformabile significa proprio mancare
la distanza decisiva e tradire i veri potenziali. Solamente la negazione
emancipatrice della negativit� capitalista produce una tale libert� positiva del
trattamento adeguato della qualit� propria dei contenuti, invece di continuare ad
esporre quest'ultimi alla distruzione del tutto, proprio della logica del valore e
della dissociazione. Da qui si rende evidente la sofisticazione e la distorsione
dei fatti che fondamentalmente accuserebbero la negazione emancipatrice di non
essere in fondo altro che una "distruzione del tutto" - dal momento che vuole
distruggere il distruttore del tutto! Che altro pu� voler dire questa anti-critica
se non difendere in maniera indiretta la forma del soggetto o la forma del feticcio
in termini generali e, con esse, il distruttore del tutto? L'argomento stranamente
associativo procede dall'immaginare il mondo solo nei modi della logica della
dissociazione perch�, diversamente, tutto finirebbe suppostamente per essere
niente, cosa che, tuttavia, ne fa conseguire di voler conservare almeno un momento,
proprio di quella logica che realmente converte "tutto" in "niente". Siamo qui
davanti ad una negazione della negazione perfettamente rovesciata - nel caso della
negazione quanto meno parziale della negazione emancipatrice - ossia, il tentativo
di bloccare i distruttori del distruttore del tutto, al fine di salvare "qualche
cosa" di questo distruttore, un qualche "potenziale" che sempre e di nuovo potrebbe
solo rivelarsi come momento della distruttiva devastazione del tutto. Una
negativit� assoluta che si definisce come positiva totalitaria, segnatamente di
quel soggetto maschile del valore e della dissociazione cui va dato il colpo di
grazia, e nient'altro. E su questo, in ogni caso, non ci pu� essere alcuna
relativizzazione, e quindi non possiamo evitare di prendere una decisione chiara.
Il soggettivo nella critica del soggetto ovvero la dialettica dei bravi ragazzi
Cos� come la costituzione sociale del feticcio in generale, e la forma moderna del
soggetto in particolare, rappresentano una relazione paradossale, cos� anche lo
scuotimento liberatorio da tale forma deve avere in qualche modo a che fare col
paradosso. Questo potrebbe essere foriero di confusione, visto che la stessa forma
del soggetto, in quanto "nemico", non � tanto facile da levare dal mondo in quanto
oggetto esteriore, dal momento che tale forma non � solo interiore, ponendosi nei
confronti degli individui alienati sempre allo stesso tempo come un potere esterno.
Anche a tal proposito bisogna affinare la logica della negazione in termini
concettuali per non lasciare alcuno spazio all'apologetica.
In questo modo si pu� far valere - con una qualche correttezza, contro
l'argomentazione sviluppata fino a questo punto - che essa stessa fa conto di non
essere ancora l'argomentazione di un soggetto, pur essendo un soggetto che formula
la critica di questa forma. Alla fine � questo che costituisce il momento
paradossale di questa costellazione. Ora, evidentemente, non si pu� n� si deve
negare che � proprio questo lo stato delle cose. Ma cosa ne consegue? L'anti-
critica potrebbe continuare a dire, con una qualche giustezza: nasconditi, fai
conto di essere gi� al di l� della forma del feticcio, di non essere pi� un
soggetto maschile governato dalla logica della dissociazione, e fai conto di
formularne la critica, per cos� dire, "dal di fuori". Quindi, non atteggiarti a
"quello "che sta sopra alle cose", come meta-femminista e come avversario del
soggetto, allora - ma per che cosa?
Infatti c'� da chiedersi dove voglia arrivare una simile anti-critica. Se quello
che � in causa � la difficolt� a far "saltare", insieme al continuum storico delle
relazioni di feticcio, anche la forma del soggetto dotata di logica maschile della
dissociazione, allora il problema pu� essere solo quello di sapere con quali mezzi
ed in che modo saremo liberi da questa "gabbia di ferro" della forma. Una
discussione su questo tema non potrebbe acquisire nessuna particolare rilevanza,
trattandosi solamente di un dibattito sulle modalit�, sulle tattiche, sui modi di
affrontare e, soprattutto, sul modo di rappresentazione teorica di un obiettivo
comune indiscutibile. In fondo, ci troviamo solo all'inizio della critica del
soggetto e della dissociazione, e del suo modo di riflessione teorica, in un modo
tale che la nostra rappresentazione di questa critica non pu� essere altro che
contaminata da questo modo.
Ma se a tutto questo non si trova associata una qualche proposta sul come far fuori
il soggetto del valore e della dissociazione, al momento finiamo solo per avanzare
nella rappresentazione teorica della critica radicale - fermo restando l'accusa
precedente - e per librarci in aria senza risolvere niente, rendendo la cosa
tutt'al pi� passibile di essere interpretata. Non c'� un messaggio implicito, ma
potrebbe essere: non si pretende di attaccare seriamente la forma del soggetto in
tutti i suoi aspetti come se questo fosse in qualche modo possibile! Dopo tutto
questo non � possibile, perci�, "accettalo", non cercare di essere chi non sei, e
che tutti noi non siamo! Riposati un poco e, a proposito: "qualcosa" del soggetto
deve esserci, qualsiasi cosa esso sia... E con questo torniamo, per�, alla
questione del principio di negazione. Non � possibile essere un poco incinta e cos�
non si pu� praticare un po' di critica del soggetto. In realt�, c'� qualcosa da
dire sulle modalit� della trasformazione. E' chiaro che non pu� essere assunta una
posizione sociale reale che vada al di l� della determinazione formale
profondamente radicata negli individui, questo � evidente. Ma si pu� per� ben
stabilire un punto di partenza immanente ed un percorso della critica e della
trasformazione. Che gli individui non siano ostaggio della forma di feticcio "come
le formiche nel formicaio" (Anselm Jappe) lo si avverte, e avviene come sofferenza.
Bisogna segnalare una sofferenza permanente nella relazione tra i sessi dominata
dalla dissociazione, che in ultima analisi mostra l'incapacit� di qualsiasi
relazionamento. La sofferenza � il punto di partenza concreto. Il trattamento di
questo contenuto empirico pu� costituire una posizione virtuale "del lato esterno":
vale a dire la riflessione critica del proprio relazionarsi sessuale e sociale.
Sarebbe ridicolo negarci questa possibilit� e voler relegare nell'irrealt�
l'esistenza stessa di una tale critica.
"Virtualit�" qui non significa, nel senso postmoderno, l'indifferenza di un "va
bene tutto", oppure scavare la differenza fra realt� e rappresentazione mediatica,
ma l'auto-percezione distaccata e critica in seno alla realt� capitalistica ancora
non superata e costituita dalla logica del valore e della dissociazione; ossia,
qualsiasi assunzione di un distanziamento a fronte della "capacit� di
distanziamento" distruttiva capitalista.
"Virtuale" in questo senso � quello che � la critica nella sua essenza, poich� alla
fine si tratta della negazione, per cos� dire mentale, di una situazione reale
ancora non superata. Una persona si pu� ancora trovare "intrappolata" in questa
situazione, in termini reali, ma la nega sulla base della sua esperienza di
sofferenza, cio�, assume una posizione trascendente in termini ideali o virtuali,
in cui la critica vuole diventare prassi. Il concetto postmoderno della virtualit�
vuole dire decisamente il contrario, ossia la mera sostituzione della critica con
un'altra "percezione" della realt�.
La posizione virtuale della critica, in questo senso niente affatto postmoderno,
permette, da una parte, che si dia inizio ad un processo, certamente difficile, di
trasformazione pratica, a partire dal proprio comportamento quotidiano fino alla
rivoluzione delle istituzioni sociali. Tuttavia, il fatto che questo processo
pratico evolva in modo contraddittorio, discontinuo, ecc. non modifica il fatto che
la posizione virtuale della critica permetta, dall'altra parte, che nel campo
relativamente indipendente della teoria, la logica della critica della forma del
soggetto si sviluppi gi� nei suoi principi fondamentali, e che si formuli con tutta
l'acutezza dovuta ed in tutti i suoi aspetti essenziali; anche se questa critica
non pu� essere esaustiva, dal momento che incontra la sua forma definitiva solo
nelle esperienze della pratica negatoria. Qui si rende visibile il momento in cui
bisogna capovolgerla, mediante la trasformazione della cesura borghese della
riflessione critica sull'opposizione fra teoria e prassi.
L'argomento appena espresso - se e nella misura in cui appare all'orizzonte di
un'anti-critica meramente difensiva - si rivolge, tuttavia, proprio contro
l'elaborazione teorica della posizione virtuale della critica e, anzi, perfino
contro la possibilit� della critica stessa. Come argomento, per la sua parte
teorica, costituisce gi� l'embrione di una qualche apologia della forma soggetto.
Questo implicherebbe una decisione in relazione ad un conflitto che si svolge
all'interno del petto lacerato della logica maschile della dissociazione. Gli � che
l'esperienza della sofferenza non deve in alcun modo guidare "oggettivamente" la
posizione della critica; una tale esperienza pu� anche portare - specialmente a
partire da una posizione "maschile" - ad un'affermazione compensatoria della
situazione stessa di sofferenza, che fra le altre cose si alimenta della supremazia
strutturale maschile: in termini pratici, facendo della dissociazione la sua vita
quotidiana; in campo teorico, nella forma di quella regalit� filosofica che non si
manifesta unicamente come postura, ma si � oggettivizzata nel proprio modus
teorico.
Giacch� si soffre, che avvenga almeno nella falsa coscienza della riflessione a
vantaggio di chi sta sopra la parte dissociata. E' questo il vero "atteggiamento di
chi sta al di sopra delle cose"! La coscienza della presunta superiorit� anche
nella sofferenza e attraverso la sofferenza, offre la compensazione che sul piano
sessuale immediato si presenta come eterosessualit� irriflessa, e dal punto di
vista sociale e teorico come affermazione quasi naturale del soggetto della
dissociazione. Ossia, in termini pratici e quotidiani, e ancora di pi� sotto la
forma teorica oggettivistica e contemplativa: il lato di Tantalo � compensato dal
lato di Procuste, e dietro questi � gi� in agguato ... Hannibal Lecter. Ora, con
questa definizione della contraddizione e delle sue possibili implicazioni non �
ancora stabilita una chiara distribuzione dei modi di comportamento. Chi sviluppa
in forma coerente la critica teorica, quindi pu� ancora agire nella pratica di
tutti i giorni e del relazionamento in una forma in gran parte caratterizzata dalla
logica maschile della dissociazione. E viceversa: chi ha imparato, sotto molti
aspetti, nella pratica quotidiana o nel contesto dei movimenti sociali, ad evitare
comportamenti propri della logica della dissociazione, nell'ambito
dell'elaborazione teorica pu� sempre, nonostante tutto, aggrapparsi con le unghie e
coi denti al modus della dissociazione e, con esso, all'apologia della forma del
soggetto (o a qualcuno dei suoi momenti). Evidentemente, sono possibili anche altre
combinazioni. La situazione, in quanto situazione di contraddizione, si pu�
risolvere unicamente in un movimento contraddittorio. Qui, tuttavia, ci interessa
solamente la formulazione della critica radicale. E quello che succede � questo: il
fatto che, in termini di pratica sociale, non abbiamo ancora superato la forma del
soggetto impregnata dalla logica della dissociazione, non � un argomento contro la
formulazione della critica teorica di tale forma. Ed ancor meno serve da argomento
perch� non si "possa" o non si "debba" formulare questa teoria in maniera
conseguente. E serve ancora meno come argomento per cui "qualcosa" di questa forma
del soggetto "dovrebbe" essere mantenuta per ragioni di emancipazione, ed innalzata
da parte di una societ� posteriore a forma di valore.
Esiste ancora un altro aspetto di questa possibile anti-critica. A tal fine, si
possono cambiare le carte in tavola e dire: nella stessa misura in cui in questo
modo, secondo il principio della tabula rasa, abbatti la miseria della forma
soggetto e la miseria dell'essere maschile dissociato, stai denunciando
involontariamente te stesso come soggetto maschile dotato di tutti gli attributi
della militanza e di tutta l'armatura della forma. Quello che vuoi �, per cos�
dire, dissociare implacabilmente la dissociazione e pavoneggiarti posando a super-
soggetto.
Ma un simile argomento equivarrebbe ancora una volta a rifiutare e a distorcere
l'inevitabile logica della negazione emancipatrice. Se continuiamo in questo
travisamento, alla fine non potremo pi� negare ed aggredire le situazioni formali
negative. Gli � che di fatto una negazione ed un superamento attivo non sono n�
pensabili n� eseguibili se la critica della forma del soggetto non ha, essa stessa,
un momento soggettivo, in quanto la stessa critica della forma nasce solo a partire
dalla forma del soggetto, in quanto conseguenza della sofferenza, che viene
sottomessa ad un trattamento emancipatorio.
Per poter muovere guerra contro qualcuno o qualcosa, una persona deve porsi ancora
sullo stesso terreno. Per occuparsi della salute della forma, bisogna vincerla, per
cos� dire, con le sue stesse armi. Il lato soggettivo della critica del soggetto �
imprescindibile in quanto � parte dialettica della negazione. Proprio in questo
senso non dobbiamo limitarsi ad ammettere passivamente che purtroppo ancora non
siamo riusciti a superare la forma del soggetto, ma dobbiamo volgere attivamente
una tale immanenza contro la sua stessa forma.
Questo non significa affatto che la negazione ed il suo oggetto siano identici, e
che anche la negazione dovrebbe essere o relativizzata o rifiutata nella sua
totalit�. Una simile caratterizzazione sarebbe solamente espressione della mancanza
della volont� o della mancanza della capacit� di riflettere profondamente sulla
logica della negazione emancipatrice. La critica radicale rimane "soggettiva"
unicamente perch�, e nella misura in cui, si dirige contro la stessa forma del
soggetto, ossia, del suo potenziale negatorio nei confronti del principio reale
negativo, contro il quale (e unicamente contro il quale) dev'essere rivolto il
momento soggettivo come elemento consapevolmente distruttivo. Questo significa che,
contro il soggetto distruttivo e caratterizzato dalla forma del valore e dalla
logica della dissociazione, non � (ancora) possibile una relazione diversa che
rispetti l'altro e che tenga conto della logica propria delle cose, ma � possibile
solo la sua logica distruttiva, proprio per distruggere la distruzione.
Evidentemente non si tratta di assassinare l'assassino o di violentare il
violentatore, ma di fermare le uccisioni e le violenze (anche nel senso pi� ampio e
figurato dello sviluppo capitalista delle forze distruttrici), il che non pu�
essere fatto senza un momento di "contro-distruzione", che perderebbe la sua ragion
d'essere solamente in una societ� liberata dalla forma del feticcio e, insieme ad
essa, dalla forma del soggetto. La disoggettivizzazione, al contrario, �
un'attitudine riferita fin dall'inizio ai contenuti della relazione con il mondo.
Per questo, il processo di transizione dovr� volgere, da una parte, il momento
soggettivo contro lo stesso soggetto e in pi�, allo stesso tempo, dovr� sviluppare
nei confronti degli oggetti e delle relazioni sociali quei momenti in cui non sia
gi� pi� soggettivo. Proprio per questo, il momento soggettivo, negatorio ed
emancipatore contro lo stesso soggetto, non � in alcun modo identico a questo,
ossia, alla forma del soggetto e alle sue rispettive conseguenze: se quest'ultimo
si relaziona col mondo in maniera soggettiva e negatrice, e con s� stesso in modo
positivizzante, il primo invece si relaziona, in forma esattamente inversa: col
mondo in maniera non-soggettiva e facendo riferimento al contenuto, mentre si
confronta in modo soggettivo e negatorio con la forma del soggetto in quanto tale.
Questo significa diventare soggettivi immediatamente in maniera negativa e
trasformatrice contro quello rispetto a cui invece il soggetto, secondo il suo
concetto stesso, non pu� essere soggettivo che in senso proprio e positivo, ma
sempre solo come oggetto di un'auto-oggettivazione; e con questo, contro tutto
quello che rimane sempre nascosto nell'angolo morto della sua auto-percezione:
ossia, soggetto solo nel senso dell'abolizione del soggetto; ed � esclusivamente
per un tale fine, per un tale atto e per un tale momento storico al punto di svolta
dialettico, che la soggettivit� diventa essenziale. Cos� facendo, per� -
capovolgendo la negazione della relazione col mondo e dell'auto-relazione negativa
degli individui - la forma del soggetto costituisce una soggettivit� che non � gi�
pi�. L'errata e precipitosa "rinuncia" al momento soggettivo, proprio sotto
quest'aspetto, in realt� non sarebbe altro che una "rinuncia alla rinuncia", ossia,
solamente la posa di un'autodefinita mancanza di soggetto in rapporto alla
distruzione della forma; posa che in realt� vuole lasciare incolume tale forma di
soggetto.
Dopo tutto, il soggetto, in qualche modo, � gi� sempre un oggetto nella sua auto-
oggettivazione; � per questo che ci si pu� sempre ritirare dal lato dell'oggetto,
quando la situazione diventa seria. Quanto pi� soggettivo, tanto pi� oggettivo:
sono piccolo, il mio cuore � puro, e in esso non entra nessuno, salvo lo spirito
del mondo. Non sono mai stato il soggetto, sempre solamente l'oggettivit�, e
possiamo essere tanto pi� soggettivi nel senso borghese banale. Proprio questa
capacit� di camuffamento del soggetto della dissociazione dev'essere spezzata
brutalmente, senza cerimonie, anche se la cosa provochet� un casino considerevole e
macchier� la tovaglia.
Pertanto, bisogna arrivare al giorno in cui l'uomo e la donna insieme "saranno
uomini", e bisogna investire contro la mascolinit� dissociatrice; questo deve
avvenire usando la medesima mancanza di considerazione che caratterizza lo stesso
soggetto del valore quando suole voler consumare col minimo sforzo possibile.
Sarebbe un'illusione, senza alcuna speranza di realizzazione, pensare che la forma
del soggetto possa essere in qualche modo superata, o anche solo mitigata, senza
questo passaggio attraverso la negazione dura e aperta. Se il capitalismo, come
forma di riproduzione, non pu� essere riconvertito in un trattamento vegetariano
del mondo, la stessa cosa si applica al soggetto di tale forma. Il predatore
dev'essere abbattuto. E qui falliscono tutti gli stratagemmi e i filosofemi cinesi
pi� simili ai consigli della nonna nel loro propagandare cose come "l'azione per
mezzo dell'inazione", raccomandandoci di aspettare sulla sponda del fiume, in
postura contemplativa, che il nemico passi da solo sotto forma di cadavere, senza
alcun colpo o sparo. Indipendentemente dal fatto che ci sia qualcuno con cui si
possa fare cos�, sicuramente questo qualcuno non � la forma del soggetto. L'anti-
critica rivolta contro l'elemento soggettivo della critica del soggetto viene a
cadere da s� sola, dal momento che proprio la sua rinuncia a questo momento
soggettivo farebbe fallire il tentativo di far conto di trovarsi oltre la forma del
feticcio e oltre la forma del soggetto; come se nel bel mezzo della forma del
soggetto, ed in relazione ad essa, potessimo dedicarci con facilit� ad essere non-
soggetti. Con questo, comunque, non si arriverebbe a nessuna trasformazione, ma
solamente ad una "assenza dell'Io" - nel senso di Hannah Arendt, sempre in agguato
sul fondo della "forma soggetto" - che si manifesterebbe attraverso le peggiori
atrocit�. Il "desiderio di non dover essere un soggetto" - soprattutto quando si
riferisce proprio a non dover essere soggettivi contro il proprio soggetto - non �
altro che un desiderio di lottare per essere e rimanere un soggetto della
dissociazione maschile senza dover soffrire la tortura inerente ad una tale
situazione: stare "in cima" - preferibilmente nella posizione permanente del
missionario - senza doversi sentire "in cima", poter sentirsi superiori senza dover
portare il fardello della superiorit�. In tal modo, per�, l'anti-critica
corrispondente, diretta contro la soggettivit� della critica radicale del soggetto,
non pu� essere vista dalla prospettiva della critica solamente come deficienza e
mancanza di conseguenza, ma dev'essere vista anche come difesa attiva del soggetto
stesso della dissociazione. Per questa difesa non esiste, dopo tutto, solo
l'opzione dell'attuazione, blindata, dell'affermazione pura e semplice, nella quale
il soggetto "assume" di essere e di voler essere quello che �. Anche sul piano
della relazione diretta fra sessi non esiste solo il maschio medio, ma esiste,
ugualmente e di nuovo, anche il bravo ragazzo, l'uomo del gruppo maschile che per
vie fraudolente si vuole dotare di un'emancipazione che non gli appartiene. E'
questo l'etero duro e puro della dissociazione che ha rinchiuso, insieme al panico,
i suoi impulsi omosessuali debellati nella caverna del subconscio - com'� sempre
accaduto - ma che adorna la sua esteriorit� con le decorazioni dell'omosessualit� e
della femminilit�; che neppure un albero di Natale. Questo tipo di uomini gioca
solamente con gli attributi della femminilit�; non per superare la situazione di
dissociazione, ma per cementarli in una forma particolarmente perfida. E' l'uomo
che vuole essere al cento per cento "mascolino" e appropriarsi per giunta del
"femminile", ossia, vuole "avere tutto"; cos� come, all'inverso, la donna che vuole
"avere tutto", la professione e la carriera, inclusa la concorrenza agguerrita, e
allo stesso tempo una "femminilit�" dissociata, famiglia, figli ed una vita
casalinga borghese. Cosa che evidentemente pu� andar solo male su entrambi i
fronti, dal momento che, come si sa, non esiste una vita vera in seno a quella
falsa.
In questo luogo non intendo n� posso preoccuparmi dei problemi connessi ai
comportamenti pratici nei rapporti quotidiani tra i sessi che non possono essere,
in alcun modo, risolti nella prima linea di un approccio teorico. Per prima cosa,
quello che qui sta in causa � la forma in cui la "dialettica dei bravi ragazzi" si
pu� presentare nella discussione teorica, rispetto alla critica del soggetto o al
suo rifiuto o denuncia. Come apologeta teorico positivizzatore del soggetto, il
bravo ragazzo - che riflette l'anima della dissociazione allo stesso modo in cui
l'economista riflette l'anima della merce - potrebbe seguire la strategia di
assumere il ruolo dell'innocenza perseguitata; cos� come l'antisemita si presenta
sempre come perseguitato e messo in mezzo dagli ebrei. Il soggetto della
dissociazione sotto la copertura della "femminilit�" vorrebbe accusare - in maniera
del tutto simile alla negazione dura della forma del soggetto - la logica della
tabula rasa della critica del soggetto di agire in maniera troppo "mascolina" ed
aggressiva, di non aver abdicato alla "mascolinit�", ecc.. Con ci�, evidentemente i
fatti verrebbero rovesciati e, paradossalmente, la negazione del soggetto verrebbe
sovvertita facendo riferimento proprio alla critica del soggetto. Contro tutto
questo bisognerebbe mobilitare la vecchia parola d'ordine degli autonomi,
"sensibilit� e durezza": sensibilit� verso i contenuti e le relazioni, durezza
contro la forma del soggetto - e si chiede, per favore, di non confondere una cosa
con l'altra!

Non esiste una dialettica dell'illuminismo. Al di l� del concetto hegeliano di


Aufhebung
Queste riflessioni, tuttavia, riguardano anche la comprensione - fino ad ora
positiva - della dialettica nelle teorie della critica sociale. Quando, per
esempio, Adorno ed Horkheimer parlano di una "Dialettica dell'Illuminismo",
certamente non si riferiscono ad una dialettica delle forme e dei contenuti, cio�,
alla negazione della forma distruttiva (forma del soggetto) e alla trasformazione
positiva dei contenuti culturali. Per esempio, si parla solo a margine delle famose
"forze produttive". Gli ideologhi della "Scuola di Francoforte" hanno una chiara
percezione del fatto che il richiamo a determinati artefatti, ai potenziali per
quanto riguarda i contenuti, alle tecniche, ecc. sarebbe solo banale nel contesto
della problematica sollevata, e passerebbe solo a lato della questione. Quando si
parla della "Dialettica dell'Illuminismo", ci si riferisce essenzialmente ad una
relazione, o ad un processo, che avviene all'interno della forma del soggetto. E'
proprio in questo che consiste il carattere contraddittorio e la mancanza di
coerenza del loro pensiero: da un lato vedono nell'astrazione reale che
caratterizza a priori tale "forma soggetto", la tendenza alla distruzione ed alla
dissoluzione di tutto il mondo sensibile, avvicinandosi cos� alla critica della
forma in quanto tale. Ma, dall'altro lato, continuare ad affrontare la costituzione
di questa forma come l'originale e vero punto di partenza per l'emancipazione, fa
s� che il loro pensiero rimanga impigliato in un'aporia irrisolvibile.
Tuttavia bisogna ammettere che, in un tale contesto, la "Dialettica
dell'Illuminismo" di Adorno ed Horkheimer rimane estremamente negativa. Non fanno i
conti della serva per poter arrivare ad una "critica light del soggetto", ma
assumono un'aporia che per loro non ha soluzione. Vedono il potenziale di
emancipazione, ma solo nel passato irrecuperabile del soggetto, mentre nel presente
appare loro come caratterizzato essenzialmente dallo sviluppo del potenziale
distruttivo. In tal misura, la teoria critica sfocia senza dubbio nel pessimismo
culturale, il quale, dopo tutto, non costituisce solamente una specialit� del
pensiero anti-illuminista di destra, ma � anche una possibile conseguenza dello
stesso pensiero di sinistra che si trova ancora attaccato alla logica
dell'illuminismo, dal momento che la sua riflessione � arrivata solo ad una certa
altezza. Del resto, questo risultato � molto pi� onesto dei ragionamenti di tutti i
pappagalli di Adorno i quali invocano positivamente il soggetto (soprattutto dopo
l'11 settembre), e che capovolgono ancora una volta questa dialettica, e nella sua
agonia intendono assegnare di nuovo alla forma del soggetto capitalista quel
potenziale liberatorio che Adorno ed Horkheimer avevano visto sparire gi� quasi
sessant'anni fa.
L'aporia pu� essere risolta solo attraverso la constatazione che non esiste una
dialettica dell'illuminismo e che il soggetto moderno come tale dev'essere definito
come puramente negativo (dal momento che in fondo l'illuminismo non significa altro
che la riflessione positiva di tale forma). Se si dovesse parlare di una dialettica
storica in un senso nuovo, completamente differente, che sia critica del valore e
della dissociazione, per prima cosa si potrebbe unicamente trattare della relazione
di contraddizione tra forma e contenuto; e, in secondo luogo, questa definizione si
riferirebbe a tutta la precedente "storia delle relazioni di feticcio" e quindi non
potrebbe essere una "dialettica dell'illuminismo" specifica. La comprensione
moderna della dialettica si riferisce, tuttavia, solo alla dialettica formale del
soggetto e dell'oggetto e, in fin dei conti, alla relazione col mondo del soggetto
del valore e della dissociazione, e alla relazione di questo con s� stesso. Ed in
tal senso convenzionale, la dialettica come qualcosa di emancipatorio, dev'essere
rifiutata a monte; essa pu� solamente essere riferita in forma negativa al processo
immanente di distruzione di s� stessa e del mondo della forma soggetto.
Nella sua "dialettica negativa", Adorno non smette di dire cose che in un certo
modo vanno nel senso giusto; per esempio, quando nella prefazione afferma di
ritenere che il suo compito consista nel "rompere con la forza del soggetto
l'inganno della soggettivit� costitutiva". Ma qui egli arriva solamente al limite
della sua aporia, senza risolverla, poich� il concetto di "forza del soggetto", nel
suo riferimento puramente negativo alla forma soggetto, qui � concepito in maniera
meramente implicita, senza mai diventare esplicito. La necessaria adozione della
soggettivit� contro lo stesso soggetto non viene messa in evidenza, in quanto tale,
nella sua definizione puramente negatoria, ma rimane intrappolata nel riferimento
positivo alla "libert� autoritaria del soggetto", il quale soggetto deve poi sempre
liberarsi sul terreno dello stesso soggetto non superato, come conseguenza
distruttiva dello stesso. Cos� la ragione di questo stesso soggetto dev'essere
accusata, incessantemente, di "proibire questo sviluppo verso la libert� che �
contenuto nel suo concetto stesso". Ma fatto sta che in un tale concetto, e nella
realt� che � alla sua base, non esiste "libert�" alcuna, ma solo la coercizione
feticista formale.
Detto in altri termini: si suppone che questa "forza" sia negatoria senza che essa
neghi l'essenziale. La soggettivit� negatoria contro il suo stesso soggetto non
viene intesa come un superamento trasformatore del soggetto ma, in fondo, come la
sua (vana) auto-cura, cosa che ci potrebbe ricordare le famigerate "forze di
autoregolazione del mercato". In questo modo,la negazione inconseguente finisce per
tornare a produrre aporia mediante assalti sempre nuovi e torturanti, per esempio
quando leggiamo: "Il dominio universale del valore di scambio sugli esseri umani,
che impedisce a priori ai soggetti di essere soggetti, e che riduce la soggettivit�
stessa ad un mero oggetto, rimanda ad un principio generale il quale dichiara di
istituire il predominio del soggetto attraverso il dominio della mancanza di
verit�".
Qui, la negativit� del valore di scambio appare definitivamente come esterna al
soggetto, almeno nel desiderio, di modo che questa auto-oggettivazione realmente
contenuta nel concetto di soggetto dev'essere immaginata come passibile di venire
sottratta dal soggetto, il quale continua ad essere inteso come positivo, a
condizione che gli venga sottratto il valore di scambio - come se solo in questo
modo potesse o "dovesse" essere istituito il vero "predominio del soggetto". Ad
ogni passo, Adorno torna ad inciampare nella stessa aporia, dal momento che non �
possibile arrivare, nemmeno a caro prezzo, ad una definizione chiaramente negativa
e trasformatrice della formazione del soggetto contro il soggetto, dovendo la
negazione rimanere sempre sul terreno ontologico dello stesso soggetto positivo. In
questo modo, lo stesso Adorno, nonostante la sua polemica contro la necessit�
ontologica, non riesce ad andare oltre questo luogo dell'ontologia, che �
precisamente l'ontologia del soggetto (illuminista).
Quello che qui manca � la negazione della negazione in senso emancipatore,
segnatamente la negazione della negazione del mondo compresa nella sua stessa forma
del soggetto. A ben dire, Adorno vuole negarla, ma mom appena si appoggia ad un
concetto positivo indeterminato della forma del soggetto, egli comincia a cadere,
incessantemente, nella negazione capovolta della negazione emancipatrice. Cos�, in
fin dei conti, non sfugge alla dialettica sistemica chiusa da Hegel, nella quale la
negazione della negazione significa sempre e a priori affermazione della forma del
soggetto e negazione del mondo sensibile.
Nella dialettica marxista volgare, la dialettica hegeliana viene continuata, senza
alcuna rottura nella sua logica positiva, con la sola differenza che questa viene
riferita all'ugualmente volgare materialismo delle forze produttive e delle
condizioni della produzione, invece che all'idealismo oggettivo dello spirito del
mondo e della storia della sua alienazione. In questo caso si crea l'apparenza per
cui la negazione della negazione si riferisce ad un processo storico continuo, ora
in versione materialista, dove una formazione risulta necessariamente da un'altra,
quindi la nega, e cos� porta ancora con s� un poco di essa, in particolare le
rispettive "forze produttive materiali" che sarebbero diventate troppo strette per
la vecchia formazione.
Ma cos� come in questa logica si trova contenuto, inalterato e non compreso, il
vecchio concetto illuminista del progresso e dello sviluppo, pienamente messo a
punto da Hegel come momento della stessa costituzione borghese (invece della Storia
nel suo complesso), allo stesso modo sfugge ai dialettici "materialisti" che essi
mantengono cos� inalterata anche la logica della forma capitalista del soggetto.
Gli � che, indipendentemente dal fatto che si tratti della versione oggettiva ed
idealista o che si tratti della sua variante materialista: la negazione dialettica
della negazione significa, nella realt�, la continuit� della forma del soggetto che
continua ad essere contenuto, in forma implicita, dalla versione materialista. La
negazione hegeliana della negazione � da sempre una negazione della negazione
emancipatrice, anche prima che questa venisse formulata come tale.
Mere forze produttive, artefatti, contenuti disparati, tecniche, ecc., non possono
costituire alcuna dialettica, cosa che sempre viene conseguita attraverso la forma
della coscienza. Solo nella sua acutizzazione, come forma moderna del soggetto,
questa coscienza costituisce una dialettica soggettiva ed oggettiva, la cui
struttura e dinamica Hegel ha messo in evidenza in forma affermativa. Il soggetto,
tanto come forma degli individui, quanto come "soggetto automatico" del movimento
sociale totale - che in Hegel appare come spirito del mondo, volont�, ecc. - si
incontra, implicitamente contenuto, anche nella versione materialista, come
portatore irriflesso dello "sviluppo delle forze produttive". In entrambi i casi,
esso costituisce il vero supporto della dialettica e della negazione della
negazione, designata come Aufhebung.
Nel suo famoso e triplice significato, il concetto di Aufhebung corrisponde
esattamente tanto alla metafisica illuminista della storia promossa a teoria dello
sviluppo, quanto anche al requisito, associato a questa, di un movimento spontaneo,
solo immanente, del soggetto del valore e della dissociazione.
Com'� noto, Aufhebung significa, in primo luogo, l'atto di proteggere o conservare
(Aufbewahrung oder Konservierung): � qui che si trova codificata l'identit�
continua, che viene mantenuta a dispetto di ogni alterazione del soggetto del
movimento di sviluppo (precisamente, quello dello spirito del mondo di Hegel e
quello del "soggetto automatico" della valorizzazione del valore di Marx, inclusa
la riflessione cosciente del soggetto, maschile e contemplativo, della conoscenza,
che vi si trova associato). Questo soggetto rimane unito a s�, a dispetto della sua
disposizione a tornare a s� stesso come qualcosa che deve essere "per s�".
In secondo luogo, Aufbehung significa elevazione (H�herheben), l'atto di ascendere
ad un nuovo grado, sia dello sviluppo oggettivo che della conoscenza (che per Hegel
sono la stessa cosa). Il ritorno del valore e del soggetto del valore
all'alienazione, attraverso un'identit� mai superata, avviene come processo di un
"divenire per s�" a livelli sempre pi� elevati, finch� non viene raggiunto lo
stadio finale illuminato dalla forma "riflessa in s�" e della sua coscienza "in s�
e per s�", cosa che � di fatto identica all'annichilimento del mondo, l'Armageddon
della storia dell'imposizione capitalista.
In terzo luogo, Aufhebung designa anche in un certo qual modo l'eliminazione
(Beseitigung) o il superamento (�berwindung), pi� precisamente non del protagonista
di tutto questo spettacolo, ossia, del soggetto. Ci� che viene eliminato poco a
poco ed a livelli sempre pi� elevati, � il mondo ed il riferimento sensibile ad
esso. Il soggetto formale vuoto, o la "forma soggetto", al contrario, non si trova
nella prospettiva di una rottura, ma solo e sempre nella prospettiva della
continuit�, cos� come essa gli viene garantita dagli altri livelli del significato
del concetto di Aufhebung. La riconversione materialista di questo concetto da
parte del marxismo non altera un tale carattere auto-affermativo ed intrecciato
all'identit� del valore del movimento dell'Aufhebung; e questo alla fine
corrisponde al carattere affermativamente immanente, che si riferisce al mero
riconoscimento nella forma, del marxismo del movimento operaio.
Come il movimento immanente, anche il risultato � tautologico: alla fine della
linea non troviamo una rottura con la forma del soggetto e con la logica del valore
e della dissociazione, ma troviamo la "coscienza riflessa in s� stessa" della
stessa forma del soggetto, la sua stessa coscienza positiva, ossia, la
realizzazione oramai cosciente della costituzione feticista, finora solo naturale.
E questa sarebbe la fine abbastanza ingloriosa della storia, l'Aufhebung della
coscienza del feticcio in s�, il paradosso di un'incoscienza cosciente. Nella
versione marxista, si tratterebbe del "venire a s�" delle categorie capitaliste
sotto forma di Stato operaio, della supposta immobilit� delle categorie come
"riflesse in s�" e, nella realt�, dello stato del mondo fisicamente in rovina. A
livello del soggetto della conoscenza, sarebbe lo Stato del re dei filosofi
"riflesso in s�" che pu� concordare con tutto dal momento che sa tutto e che non
deve fare niente di sua propria iniziativa; ossia, in un certo qual modo � entrato
nel nirvana della contemplazione di s� stesso.
In quanto concetto positivo della critica, il concetto di Aufhebung si applica solo
alla storia dell'imposizione immanente, allo sviluppo della relazione del valore e
della dissociazione, sul suo stesso terreno e nell'ambito dei limiti della sua
identit� feticista, essendo cos� solo un altro nome per la "modernizzazione", o per
la progressiva definizione del mondo in termini di valore e per la progressiva
dissociazione fino allo sviluppo della pulsione di morte in essa contenuto, contro
l'esistenza stessa. Perci� non si tratta di un concettualismo, arbitrario ed
estremista, che riguarda una mera discussione intorno alle parole, ma quello che
qui � in causa � la cosa in s�, quando rifiutiamo il concetto di Aufherbung
(superamento), usato fino ad oggi in maniera non problematica nei testi critici del
valore e della dissociazione, per parlare invece di �berwindung (sostituzione) e di
Bruch (rottura).
Il che sarebbe anche il fine della dialettica moderna, la sostituzione del
movimento soggetto-oggetto che sfocia nell'autodistruzione. In tal senso, la
"dialettica dell'illuminismo" non sarebbe la contraddizione tra un contenuto in s�
emancipatore del soggetto ed il suo rovescio distruttivo - che in questo senso non
esiste - ma non sarebbe altro che il movimento spontaneo del soggetto, che in s� da
sempre � distruttivo; movimento questo che dev'essere fermato. La continuit�
identitaria della forma del soggetto dev'essere spezzata, per far saltare i vincoli
della logica illuminista e sfuggire al suo potenziale di induzione alla cecit�.
Ceterum censeo subjectum delendum esse.

- Robert Kurz - Pubblicato su Krisis n�27 Novembre 2003

Fonte: EXIT!

http://obeco.planetaclix.pt/

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