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Filosofia politica
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Società editrice il Mulino

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ISSN: 0394-7297 quadrimestrale DESCRIZIONE » PRESENTE IN » 83.103.115.150
Filosofia Società editrice il Mulino ALTRI DETTAGLI »

Idem
Indice del numero 1, 2018, aprile
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ISBN: 978-88-15-27630-8 | Annata: XXXII | RDF

Thomas Casadei
Editoriale. Concordia e conflitto
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2018 
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1, 2018 (aprile)
2017 Materiali per un lessico politico europeo: «concordia» Ricordami su questo
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La concordia come concetto politico. Da Aristotele a Rawls e
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2015 Teologia delle religioni nel Quattrocento. La concordia in Niccolò Il Mulino adotta e
da Cusa e Giovanni Pico della Mirandola SCARICA
3, 2015 (dicembre)
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pp. 29-46, DOI: 10.1416/89150
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1, 2014 (aprile) CITA


2013

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Concordia e corporativismo cattolico nel romanticismo tedesco mesi)
pp. 63-76, DOI: 10.1416/89152 SCARICA

Martino Sacchi, Il
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concetto di «polizia» in
Foucault. Nascita del
sistema carcerario e
Roberto Gatti DETTAGLI
Patriottismo costituzionale e oltre dell'identifcazione
pp. 77-94, DOI: 10.1416/89153 SCARICA moderna.

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Francesco M. De Sanctis,
Remo Bodei sulla
Damiano Palano DETTAGLI
manutenzione della
Il fantasma della concordia. L'«homo democraticus» nel disagio
della teoria democratica SCARICA soggettività moderna.
pp. 95-114, DOI: 10.1416/89154
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Pierpaolo Cesaroni, Il
concetto politico fra storia
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Gli zingari e il catasto della ragione: tra critica e geopolitica Anacronismi.
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, Schede.
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Andrea Mossa, «Nomos»
e spazio politico. La
Mattia Di Pierro DETTAGLI
replica di Hannah Arendt a
Claude Lefort e l'interpretazione di Machiavelli. Una riscoperta Carl Schmitt.
del politico tra potere e conflitto SCARICA
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Carlo Galli, Nichilismi a
CITA confronto: Nietzsche e
Schmitt.

Note e discussioni , F. Tönnies, La teoria


sociale di Spinoza (I.
Auguste Comte DETTAGLI Consolati); Cesare
Lettera a Reşid-Pasha
Luporini politico, a cura di
pp. 153-156, DOI: 10.1416/89157 SCARICA
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Petrini, Vita quotidiana (C.
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Davide De Sanctis DETTAGLI
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Auguste Comte a Mustafa Reşid Pasha. Islam, religione positiva
Palano); L. Scuccimarra,
e potere spirituale SCARICA
pp. 157-172, DOI: 10.1416/89158 Proteggere l'umanità (D.
CITA Taranto).

Dario Gentili, Critica


Materiale bibliografico politica: una genealogia.

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L. Baccelli, Bartolomé de Las Casas (Th. Casadei); A. Anter, Max [continua...]
Weber und die Staatsrechtslehre (F. Ferraresi); Lessico SCARICA
postdemocratico, a cura di S. Cingari - A. Simoncini (S. Visentin)
pp. 173-182, DOI: 10.1416/89159 CITA

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Francesco Borghesi

TEOLOGIA DELLE RELIGIONI


NEL QUATTROCENTO
LA CONCORDIA IN NICCOLÒ DA CUSA
E GIOVANNI PICO DELLA MIRANDOLA

Religions’ theology in the Fifteenth Century. The concord in Nicholas of Cusa


and Giovanni Pico della Mirandola

This article analyses the notion of concord in the work of Nicholas of Cusa (1401-1464)
and Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494), showing how it relates to the «dis-
course on peace» proposed by both thinkers and addressing its historical ties to and
differences from the idea of toleration.

Keywords: concord, peace, Nicholas of Cusa, Giovanni Pico della Mirandola

1. Un problema aperto
Trattare di concordia significa avvicinarsi a un termine che non ha ancora con-
osciuto una concettualizzazione paragonabile, per esempio, a quella di cui ha
potuto beneficiare la nozione di tolleranza. Con «concordia» sembra che per
lo più ci si riferisca a un’idea obliterata dal pensiero contemporaneo e in parti-
colare dal linguaggio della politica, mentre in passato, soprattutto nel pensiero
romano, medievale e poi umanistico, questa parola, prima in latino, poi anche
in volgare, ha conosciuto una grande diffusione, rappresentando un ideale di
superamento delle difficoltà sociali, fossero esse sul piano politico o religioso,
attraverso una volontà attiva di raggiungimento del consenso attraverso il ri-
conoscimento delle differenze d’opinione.
Per spiegare in breve una storia tanto lunga bisogna ricorrere a un’immagine
che possa simbolizzare il percorso di tale ideale.

Francesco Borghesi, School of Languages and Cultures. A18, The University of Sydney,
NSW 2006 (Australia) – francesco.borghesi@sydney.edu.au

FILOSOFIA POLITICA 1/2018, pp. 29-46 ISSN 0394-7297 © Società editrice Il Mulino
Francesco Borghesi

1.1. Una visione trecentesca


A Siena, tra il 1338 e il 1339, Ambrogio Lorenzetti dipinse la cosiddetta «Sala
della Pace» con una serie di immagini intese a rappresentare le idee di buono
e cattivo governo. I due affreschi si trovano ancora oggi sulle pareti della Sala
e illustrano sia i princìpi di entrambi i tipi di governo sia i rispettivi effetti sulla
città e sul contado circostante. Su una delle pareti più corte, una serie di figure
allegoriche danno vita ad una vera e propria teoria visuale del buon governo:
nella sezione superiore, a sinistra, la Sapienza regge una bilancia, che la sot-
tostante figura della Giustizia tiene in equilibrio con il contributo di due angeli
che gestiscono ognuno uno dei due piatti della bilancia (simboli, a loro volta,
della giustizia distributiva e commutativa).
Dai due piatti della bilancia tenuti in equilibrio dalla Giustizia scendono
due corde, che vengono unite e intessute dalla Concordia. La fune che risulta
dall’intreccio delle due corde è trasmessa dalla Concordia a ventiquattro per-
sonaggi rappresentanti la cittadinanza senese, i quali, a loro volta, se la passano
di mano in mano sino a che non giunge ad un grande personaggio all’opposta
estremità dell’affresco, seduto in trono e vestito dei colori della città di Siena
(bianco e nero): il Bene Comune. Ai suoi piedi si trova il simbolo della città
(una lupa che allatta due gemelli), mentre le virtù cardinali (con l’aggiunta della
Pace e della Magnanimità) lo circondano e le virtù teologali lo sovrastano1.
Oltre che per l’innegabile bellezza, questo affresco risulta di particolare in-
teresse per la raffigurazione dell’immagine della Concordia in esso contenuta.
Come è stato notato, mentre Saggezza, Giustizia e Bene Comune sono collegati
attraverso la bilancia e le corde che si dipartono dai suoi piatti in una iden-
tica relazione di dipendenza e derivazione e il Bene Comune ha l’ambivalente
aspetto di un re giudice, «completamente nuova come rappresentazione è la
figura della Concordia che porta in grembo una lunga cassetta da carpentiere,
da cui emerge una pialla», con sopra inciso il suo proprio nome2.
Secondo quanto sostenuto da Chiara Frugoni, mentre la corda è intesa
a simbolizzare un contrasto con la sega della Divisione – raffigurata mentre
dilania il proprio corpo –, che occupa un posto precipuo nell’affresco posto di
fronte al cosiddetto «Buon Governo» e raffigurante i vizi caratterizzanti un cat-

1
La letteratura su questo affresco di Lorenzetti è vasta e ne riferisco in maggior dettaglio
nel mio For the Good of All. Notes on the Idea of Concordia during the late Middle Ages, in
«Italian Poetry Review», 2010 [ma pubblicato nel 2012], n. 5, pp. 225-226, nota 17. Va però
notato che la mia lettura è debitrice in particolare all’interpretazione di C. Frugoni, Una
lontana città. Sentimenti e immagini nel Medioevo, Torino, Einaudi, 1983, pp. 137-210, e, più
recentemente, alle letture che dell’affresco ha dato a varie riprese Pierangelo Schiera, di cui,
da ultimo, si vedano: P. Schiera, Il Buongoverno «melanconico» e la «costituzionale faziosità»
della città, in «Scienza & Politica», 2006, n. 34, pp. 93-108, e Id., La misura del bene comune,
Macerata, Edizioni Università di Macerata, 2010, pp. 7-33.
2
C. Frugoni, Una lontana città, cit., pp. 146-147.

30
La concordia in Cusano e Pico

tivo governo, «l’arnese [la pialla della Concordia, N.d.A.] è simbolo evidente
della facoltà di questa virtù di appianare ogni discordia»3.
In sostanza, come si può intuire, la pialla posata in grembo alla Concor-
dia – vestita di bianco come l’immagine della Pace che si trova nell’altra metà
dell’affresco – assegna a essa la facoltà di intervenire sui dissensi cittadini e,
concretamente, di appianarli per condurre la cittadinanza ai fini ultimi del
buon governo: la pace e il bene comune. Nella rappresentazione di Lorenzetti,
la Concordia è, quindi, un agente attivo «produttore» di consenso civico, un
mezzo destinato all’ottenimento del fine più elevato della vita cittadina: il bene
comune. Ed è anche un mezzo che, se utilizzato in modo appropriato, può
creare le condizioni necessarie per l’armonioso svilupparsi di una società: la
pace procurata dalla stabilità politica.

2. Concordia
Non è possibile affermare che tale visione possa avere direttamente influenzato
Niccolò Cusano e Giovanni Pico della Mirandola, e non è questo il punto.
Si possono, però, sottolineare due elementi significativi su cui riflettere men-
tre si ipotizza come l’ideale affrescato da Lorenzetti possa avere rappresentato
un’aspirazione presente oltre i confini delle mura senesi e diffusa nella cultura
politica, religiosa e filosofica del Quattrocento.
Sul piano più generale della cultura umanistico-rinascimentale, è stato no-
tato ripetutamente come quello della concordia sia da considerare quasi alla
stregua di un topos che pervade i pensieri di un buon numero di umanisti e
ritorni con notevole frequenza in testi di generi anche molto diversi.
Basti ricordare come in alcuni tra i maggiori studiosi della cultura filoso-
fica umanistica il riferimento alla concordia sia frequente, a volte addirittura
in maniera implicita. Infatti, in molti scritti di Eugenio Garin, così come in
quelli di Cesare Vasoli, il richiamo alla concordia come elemento portante del-
la cultura filosofica quattrocentesca torna frequentemente, mentre, come c’è
chi, in modo circoscritto, ha parlato di tendenze concordiste nel platonismo
fiorentino, a James Hankins si deve l’ipotesi che l’idea di concordia filosofica
possa costituire un vero e proprio luogo comune tra i filosofi umanisti4.

3
Ivi, p. 147. Sul significato del simbolismo della corda e sull’utilizzo delle sue etimo-
logie, si vedano almeno R. Ruini, Un invito alla concordia: il motivo del «tirare la corda» dai
classici al Quattrocento volgare, in Id., Quattrocento fiorentino e dintorni. Saggi di letteratura
italiana, Firenze, Phasar Edizioni, 2007, pp. 83-94, e S. Toussaint, Quasi lyra: corde e magia.
Nota sulla lira nel Rinascimento, in Il teatro del cielo. Giovanni Bardi e il neoplatonismo tra
Firenze e Parigi, a cura di A. Magini e S. Toussaint, Lucca, Cahiers Accademia, 2001, pp.
117-132.
4
Si vedano per lo meno: E. Garin, Raffaello e la «pace filosofica», in Id., Umanisti artisti
scienziati. Studi sul Rinascimento italiano, Roma, Editori Riuniti, 1989, pp. 171-186; Id., Pla-
tonismo e aristotelismo: dalla comparatio alla concordia, in Id., Il ritorno dei filosofi antichi.
Ristampa accresciuta del saggio Gli umanisti e la scienza, Napoli, Bibliopolis, 1994, pp. 79-95;

31
Francesco Borghesi

Al di là dell’allegoria dipinta da Lorenzetti, in cui si possono ammirare


le fattezze di una Concordia impersonificata, rimane il fatto che la concordia,
come idea politica e filosofica, non conosce concettualizzazione nel corso della
prima età moderna, nonostante la vasta diffusione di cui il termine riuscì a go-
dere sia in latino sia in volgare.
L’analisi delle posizioni dei due teologi di cui qui si tratta aggiunge un con-
tributo al chiarimento di una nozione che appare ancora sfuggente.

2.1. Niccolò da Cusa


Di Niccolò da Cusa si è fatto notare come la genesi del De pace fidei (1453) sia
legata tanto alla storia interna della meditazione metafisica dell’autore quanto
al suo impegno di uomo di Chiesa, di diplomatico e di sostenitore di una po-
litica ecclesiale conciliatrice ed irenistica, volta a fronteggiare e risolvere i gra-
vissimi problemi della societas christiana sempre sull’orlo di crisi irreparabili. Il
filosofo che scrive quell’operetta è, infatti, lo stesso autore che, più di vent’anni
prima, nel De concordantia catholica, aveva elevato l’accorato appello alla santa
e necessaria riforma della Chiesa, alla restaurazione della pura auctoritas spiri-
tualis, nella prospettiva esaltante dell’unità di tutte le genti nella fede dell’Evan-
gelo; e che, poi nel 1446, nella Coniectura de ultimis diebus, aveva confermato la
sua fede escatologica nella radicale purificazione della Christianitas per opera
di alcuni eletti. Ma è anche il consigliere e l’amico di Niccolò V, partecipe di
alcune sue iniziative di pacificazione e che mai ha abbandonato le sue speranze
in un futuro di «concordia» e di universale consensus, senza cedere neppure
al panico scatenato dalla caduta di Costantinopoli, […] senza mai accettare la
tradizionale identificazione dei Turchi e, in genere, dei musulmani, con l’antico
terrore dell’Anticristo5.
Il De pace fidei, infatti, viene composto in un momento di preoccupazione
epocale per gli intellettuali cristiani ed è da considerare la risposta di Cusa-

C. Vasoli, Dalla pace religiosa alla «prisca theologia», in Firenze e il Concilio del 1439, Conve-
gno di studi, 29 novembre – 2 dicembre 1989, a cura di P. Viti, Firenze, Olschki, 1994, pp.
3-25; J. Hankins, Plato in the Italian Renaissance, Leiden-New York, Brill, 1990, I, p. 64, n.
79; F. Purnell, Jr., The theme of philosophic concord and the sources of Ficino’s Platonism, in
Marsilio Ficino e il ritorno di Platone. Studi e documenti, a cura di G.C. Garfagnini, Firenze,
Olschki, 1986, II, pp. 397-415, in cui l’autore, a p. 409, fa riferimento a «tendenze concordi-
ste nel platonismo fiorentino». Più di recente il problema è stato affrontato in modo molto
stimolante da M. Pellegrini, Umanesimo. Il lato incompiuto della modernità, Brescia, Morcel-
liana, 2015, pp. 159-214. Sulla questione degli appelli alla concordia nella Firenze medicea,
si veda R. Ruini, Letteratura e politica nella Firenze del primo Quattrocento: l’esilio e il ritorno
di Cosimo de’ Medici, in Id., Quattrocento fiorentino e dintorni. Saggi di letteratura italiana,
Firenze, Phasar Edizioni, 2007, pp. 49-82.
5
C. Vasoli, De Nicolas de Kues et Jean Pic de la Mirandole à Jean Bodin. Trois «colloques»,
in Jean Bodin, Actes du Colloque Interdisciplinaire d’Angers, 24 au 27 Mai 1984, Angers,
Presses de l’Université d’Angers, 1985, I, pp. 259-260.

32
La concordia in Cusano e Pico

no alla notizia della caduta di Constantinopoli. Il 29 maggio 1453 la capitale


dell’Impero Romano d’Oriente veniva conquistata dall’esercito ottomano gui-
dato dal sultano Maometto II. La notizia si diffondeva rapidamente attraverso
tutto il continente europeo e l’evento veniva ricevuto come un fatto tragico:
la caduta di un impero e l’affermarsi di un nuovo potere, quello musulmano,
percepito come un nemico mortale per tutto l’Occidente.
In un clima di disperazione generale Cusano si immagina come si possa
giungere alla pace in una situazione tanto critica mettendo a confronto i rap-
presentanti di diciotto diverse confessioni e facendoli dibattere sulla possibilità
di conseguire un accordo atto a riconciliare le differenze dottrinali che li ten-
gono divisi.
L’opera inizia così:

Le notizie sulle crudeltà e sevizie compiute ultimamente dal re dei Turchi a


Costantinopoli ed ora pervenute a conoscenza di un uomo che una volta aveva
visitato quelle regioni, lo infiammarono di tale fervor verso Dio da indurlo a
pregare, con molti gemiti, il Re dell’universo affinché, mosso dalla misericordia,
volesse alleviare la persecuzione che infuriava più che mai a causa delle diverse
usanze religiose. Ora accadde che, dopo qualche giorno, forse in seguito ad
una diuturna e continua meditazione, quest’uomo devote ebbe una visione che
gli fece intravvedere come, attraverso il concorso di alcuni uomini sapienti ed
esperti in tutte quelle divergenze riscontrabili nelle religioni del mondo, si po-
tesse trovare un certo facile accordo di massima, che potesse costituire una base
appropriata e legittima per stabilire la pace perpetua nella religione6.

L’uomo in questione è Cusano stesso che, oltre che autore, affida a se stesso
anche il ruolo di testimone e narratore del dibattito tra saggi, riguardo al quale
tira le somme in questo modo:

Terminata la discussione tra i sapienti delle nazioni su questi argomenti, venne-


ro presentati parecchi libri degli autori più insigni di ogni lingua che scrissero
sugli usi religiosi degli antichi, come ad esempio Marco Varrone per i latini e
Eusebio per i greci – il quale ha raccolto e descritto le varie usanze religiose –, e
molti altri autori. E dopo avere esaminato tali libri, si scoprì che tutte le diver-
genze riguardano piuttosto i riti che il culto dell’unico Dio. Da tutti gli scritti
confrontati tra loro risultò che tutti gli uomini, fin dall’inizio, hanno sempre

6
N. Cusano, Opere religiose, a cura di P. Gaia, Torino, UTET, 1971, p. 619. Nell’origina-
le latino: «Fuit ex hiis, quae apud Constantinopolim proxime saevissime acta per Turkorum
regem divulgabantur, quidam vir zelo Dei accensus, qui loca illarum regionum aliquando
viderat, ut pluribus gemitibus oraret omnium creatorem quod persecutionem, quae ob diver-
sum ritum religionum plus solito saevit, sua pietate moderaretur. Accidit ut post dies aliquot,
forte ex diuturna continuata meditatione, visio quaedam eidem zeloso manifestaretur, ex
qua elicuit quod paucorum sapientum omnium talium diversitatum quae in religionibus per
orbem observantur peritia pollentium unam posse facilem quandam concordantiam reperiri,
ac per eam in religione perpetuam pacem convenienti ac veraci medio constitui», in Id., De
pace fidei cum epistula ad Ioannem de Segobia, I, a cura di R. Klibansky e H. Bascour, London,
Warburg Institute, 1956, pp. 3-4. I corsivi, qui e di seguito, sono miei.

33
Francesco Borghesi

presupposto un solo Dio e l’hanno venerato in tutte le forme cultuali, sebbene


il popolo semplice non avvertisse questo, perché distolto dal potere avverso del
principe delle tenebre7.

E concludendo:

Ed in questo modo si concluse nel cielo la discussione, fatta su basi razionali,


circa la concordia delle religioni. Il Re dei re comandò poi ai sapienti di ritor-
nare in terra per condurre i popoli all’unità del vero culto, ed incaricò i mini-
stri angelici di guidarli e assisterli. Comandò inoltre ai sapienti di portarsi, con
pieni poteri, a Gerusalemme quale centro universale, per accogliere, a nome
di tutti i popoli, l’unica fede e fondare su questa una pace perpetua, affinché,
attraverso tale pace, il Creatore dell’universo, benedetto nei secoli, fosse eter-
namente glorificato. Amen8.

Il dialogo, che ha il tono e anche lo stile di una preghiera, viene inviato


all’amico Giovanni da Segovia, tra l’altro canonico della Cattedrale di Toledo
e professore di teologia all’Università di Salamanca, nonché assertore del con-
ciliarismo e traduttore del Corano, convinto come Cusano che l’unico modo
efficace per contrastare l’avanzata musulmana fosse il dialogo tra le religioni.
La formula religio una in rituum varietate9 che esso proponeva riprendeva la
tematica dell’unità nella molteplicità proposta nelle precedenti opere metafisi-
che, trasferendola sul piano pratico del consenso interreligioso.
Cusano fa culminare il dialogo a Gerusalemme e include tra le sue fonti le
più importanti discussioni platoniche e neoplatoniche su gerarchia e dialettica
basandosi sul pensiero di Platone, dello pseudo-Dionisio Aeropagita e di Bo-
naventura da Bagnoregio, ma anche sull’idea tanto greca quanto cristiana della
polis come luogo d’attuazione ideale della concordia religiosa.
La formula cui si è fatto riferimento sopra – religio una in rituum varie-
tate – esprime la tesi centrale del De pace fidei: la pluralità dei culti religiosi è
costitutiva di una fede unica. In questo senso, Cusano letteralmente prega per
l’abbandono del tradizionale motivo dell’appello alla conversione di coloro che

7
Ivi, pp. 672-673. Id., De pace fidei, cit., XIX, p. 62: «Postquam cum sapientibus natio-
num haec sic pertractata sunt, producti sunt libri plurimi eorum qui de veterum observantiis
scripsere, et in omni lingua quidem excellentes, ut apud Latinos Marcus Varro, apud Grae-
cos Eusebius qui religionum diversitatem collegit, et plerique alii. Quibus examinatis omnem
diversitatem in ritibus potius compertum est fuisse quam in unius Dei cultura, quem ab
initio omnes praesupposuisse semper et in omnibus culturis coluisse ex omnibus scripturis
in unum collectis reperiebatur, licet simplicitas popularis saepe per adversam tenebrarum
principis potestatem abducta non adverteret quid ageret».
8
Ivi, p. 673. Id., De pace fidei, cit., XIX, pp. 62-63: «Conclusa est igitur in caelo rationis
concordia religionum modo qui praemittitur. Et mandatum est per Regem regum ut sapien-
tes redeant et ad unitatem veri cultus nationes inducant, et quod administratorii spiritus illos
ducant et eis assistant et deinde cum plena omnium potestate in Iherusalem quasi ad centrum
commune confluant et omnium nominibus unam fidem acceptant et super ipsa perpetuam
pacem firment, ut in pace creator omnium laudetur in saecula benedictius. Amen».
9
Ivi, p. 630.

34
La concordia in Cusano e Pico

pratichino riti diversi e per la necessità, anche storica, di considerare la verità


dell’altro come un fatto positivo.
Cusano, nel riflettere sulle ragioni per cui la religione storicamente aveva
portato alla guerra e posto in contrasto molte popolazioni, si era convinto che
esistesse un «cielo di ragione» (caelum rationis), nel quale la comprensione del-
la verità religiosa è propagatrice di pace.
Il suo punto di partenza, da un punto vista filosofico, è che la nozione di
Dio, della vicinanza a Dio, implica felicità, amore e unione, mentre tutto ciò
che è distante da Dio è transitorio, discorde e fragile. Di conseguenza, egli po-
stulò che la varietà dei riti (varietas rituum) non può costituire l’essenza della
fede, ma, piuttosto, l’accessus all’unità e alla pace. Per provarlo passò in rasse-
gna tutti i gruppi religiosi a lui noti, dai Boemi ai Musulmani, facendo notare
come in ognuno di essi fosse implicata la medesima venerazione della verità.
Da ciò concluse che la religione non può dividere – considerato che ciò è
contrario al vero –, ma anzi è dotata di un potere unificatore, perché il fatto che
Dio sia adorato in tutto il creato non può che essere frutto della volontà divina.
La pluralità, dunque, non è una maledizione, bensì una benedizione.
Come ha fatto notare Davide Monaco,

poiché non è possibile esprimere Dio o la verità attraverso modi di espressione,


qualunque essi siano, che sono e restano sempre finiti e contratti, è utile per
meglio testimoniarne l’infinità moltiplicarli. La varietà dei culti religiosi non è
un limite, non assume un valore negativo, ma un valore positivo in quanto rap-
presenta una manifestazione dell’incomprensibilità e della trascendenza di Dio
e allo stesso tempo il modo migliore con il quale all’uomo è possibile cogliere
e testimoniare l’infinità. […] La pluralità delle espressioni positive e dei culti
religiosi trova pertanto il suo fondamento nella trascendenza di Dio: Dio pur
rivelandosi come sempre ulteriore, da ricercare, infinito. Suscita una inesauri-
bile ricerca di nuovi tentativi di esprimere il suo mistero.

E prosegue:

Si tratta ancora una volta di una declinazione della particolare dialettica tra
l’Uno e i molti, tra la verità e le prospettive, elaborate dal cardinale. Come la
pluralità dei molti, delle contrazioni dell’Uno, delle creature, anche la varietà
dei riti e dei culti religiosi, senza dimenticare la molteplicità dei nomi divini,
esprime meglio l’infinità, l’inesauribilità, l’inoggettivabilità di Dio. Non solo la
molteplicità non è in contrasto con l’unità, ma nell’ambito del finito è la miglio-
re espressione della sua infinità10.

Bisogna porre l’accento sulla forma dialogica, cui è affidato il potere tra-
sformativo dell’opera: è essa a conferire al colloquio tra saggi il dinamismo
necessario per mettere a confronto punti di vista differenti e puntare ad un su-
peramento delle divergenze. Ciò significa che il dialogo cusaniano si configura

10
D. Monaco, Cusano e la pace della fede, Roma, Città Nuova, 2013, p. 133, da cui sono
tratte entrambe le citazioni.

35
Francesco Borghesi

come un intervento a favore della pace e che la fede deve essere intrinsecamente
discorsiva11. È dunque centrale nel dialogo la convinzione dell’autore che le di-
verse religioni siano in grado di raggiungere un punto d’incontro in una verità
condivisa e universale, trovando così una soluzione ai conflitti religiosi12.
Cary Nederman ha sottolineato come Cusano abbia costruito un ponte tra
le differenze nazionali che erano allora un aspetto ampiamente accettato del
pensiero medievale e le differenti pratiche religiose. Egli si mette nell’ottica
che, considerato il carattere permanente delle differenze sociali, la concordia
religiosa può essere raggiunta solamente attraverso la varietà dei riti. Nel De
pace fidei viene così invertito un principio dell’universalismo cristiano: siccome
le nazioni esistenti non potranno mai essere ridotte ad un singolo ordine uni-
versale, molti aspetti di confessioni anche divergenti vanno rispettati in nome
della pace13.
L’utopia cusaniana di una concordantia differentiarum non mira, dunque,
ad una uniforme uguaglianza, così come ad una indistinta armonia tra le reli-
gioni. Essa, come ha sottolineato Maurizio Merlo, «non può essere intesa come
semplice risultato di un patto, di un equilibrio o compormesso provvisorio
[…] E tuttavia essa dev’essere facilis, fattibile […], in quanto regia via pacis
che persegue l’unità»14.
Il medesimo studioso ha anche affermato che tale unità sia da intendersi
non tanto come principio opposto alla molteplicità e come un elemento di essa,
quanto piuttosto come un’unità che coincide con la molteplicità stessa. E su
questa unica fede che i saggi che che si incontrano a Gerusalemme devono
basare la pace permanente (pax perpetua) che deve essere raggiunta in nome di
Dio e che partecipa dell’eterno e del tempo15.

11
A. Benjamin, Who Were the Faithful? Nicolas of Cusa’s De Pace Fidei, in «Theoria. A
Journal of Social and Political Theory», in corso di pubblicazione.
12
Sull’elemento dialogico in Cusano si veda la ricerca di Marica Costigliolo, che, oltre
ad insistere su di esso, individua come categoria essenziale dell’opera cusaniana la differenza:
M. Costigliolo, Islam e cristianesimo: mondi di differenze nel Medioevo. Il dialogo con l’Islam
nell’opera di Nicola da Cusa, Genova, Genova University Press, 2012; Ead., Uso di esempi
pagani in Marsilio da Padova e Nicola da Cusa, in «Rivista di ascetica e mistica», 2013, n. 4, pp.
1251-1273; Ead., The Western Perception of Islam between the Middle Ages and the Renais-
sance: the Work of Nicholas of Cusa, Eugene, OR, Pickwick Publications, 2017. Quest’ultima
monografia è la versione inglese accresciuta del volume pubblicato nel 2012.
13
C.J. Nederman, Worlds of Difference: European Discourses of Toleration, c.1100-c.
1550, University Park, PA, Penn State University Press, 2000, p. 87.
14
M. Merlo, Introduzione, in N. Cusano, Congetture di pace. Scritti irenici, a cura di M.
Merlo, Tirrenia (Pisa), Edizioni del Cerro, 2003, pp. XXII-XXIII.
15
Ivi, p. XXIII. Si vedano anche: G. Santinello, Niccolò Cusano e l’utopia dell’unità
culturale e religiosa nel Quattrocento, in «Archivio di filosofia», 1985, n. 53, pp. 381-391; W.
Heinemann, Einheit in Verschiedenheit. Das Konzept eines intellektuellen Religionen-friedens
in der Schrift De pace fidei des Nikolaus von Kues, Altenberge, Christlich-Islamisches Schrif-
tum, 1987; W.A. Euler, Unitas et Pax. Religionsvergleich bei Raimundus Lullus und Nikolaus
von Kues, Würzburg-Altenberge, Echter Verlag-Telos Verlag, 1990; S.F. Aikin, J. Alexander,
Nicholas of Cusa’s De pace fidei and the Meta-exclusivism or Religious Pluralism, in «Inter-

36
La concordia in Cusano e Pico

E ha aggiunto che

[s]e la rivelazione cristiana […] pare a Cusano essere l’unica vera religione divi-
namente rivelata, al contempo, essa si presenta come religione specifica accanto
ad altre. Religio pare essere mero nome plurale di una molteplicità di religiones,
che tutte consuonano «nel loro richiamarsi, oltre ogni segno meramente este-
riore, a un razionale culto interiore inteso come conoscenza spirituale dell’u-
nico vero Dio» […], trascendente e infinito, mai esauribile in una esclusiva
rivelazione, in religioni e teologie determinate. Così, nel motivo dell’una religio
ogni pretesa di assolutezza e unicità è disciolta nella molteplicità necessaria
delle diverse religiones […] Questa ambivalenza della formula dell’una religio
pare poter preservare ancora in precario equilibrio sia la tradizionale visione
prospettico-apologetica del cristianesimo in quanto unica «vera» religione,
«origine», di tutte le altre, sia un pensiero che individua nell’inesauribile mol-
teplicità delle manifestazioni dell’Uno il criterio della miglior rappresentazione
dell’Irrappresentabile16.

Immettendosi in una tradizione di atteggiamenti positivi nei confronti del-
la varietà delle confessioni religiose, il De pace fidei prosegue ciò che il breve e
incompiuto Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano di Pietro Abelardo
(1079-1142) non era riuscito a conseguire e fa avanzare le istanze già proposte
da Ramon Llull (1216-1316) nel Libro del gentile e dei tre savi, in cui le tre re-
ligioni monoteistiche – ebraica, cristiana e musulmana – sono fatte oggetto di

national Journal for Philosophy of Religion», 2013, n. 74, pp. 219-235; K. Alfsvåg, Divine
Difference and Religious Unity: On the Relation Between De Docta Ignorantia, De Pace Fidei
and Cribratio Alkorani, in Nicholas of Cusa and Islam: Polemic and Dialogue in the Late
Middle Ages, a cura di I. Christopher Levy, R. George-Tvrtkovic´, e D. Duclow, Leiden, Brill,
2014, pp. 49-67; P. Valkenberg, Una Religio in Rituum Varietate: Religious Pluralism, the
Qur’an, and Nicholas of Cusa, in Nicholas of Cusa and Islam, cit., pp. 30-48.
16
M. Merlo, Introduzione, cit., pp. XXIII-XXIV, in cui l’autore cita dal saggio di G. Let-
tieri, Nicola da Cusa e l’ambiguità della rivelazione, in In spirito e verità. Letture di Giovanni
4, 23-24, a cura di P.C. Bori, Bologna, EDB, 1996, p. 96. Meriterebbero una trattazione a
parte le questioni riguardanti la tolleranza in Cusano e il relativo problema storiografico,
limitandomi a segnalare alcuni contributi di rilievo: H.-B.-G.-F., Pax Christiana: Friedensvi-
sionen und Toleranz bei Cusanus, Pico, Erasmus, in Die Zweite Schöpfung der Welt. Sprache
Erkenntnis, Anthropologie in der Renaissance, Mainz, Matthias-Grünewald-Verlag, 1994, pp.
199-213; M. Watanabe, Nicholas of Cusa and the Idea of Tolerance, in Id., Concord and Re-
form: Nicholas of Cusa and Legal and Political Thought in the Fifteenth Century, a cura di T.M.
Izbicki – G. Christianson, Aldershot, Ashgate, 2001, pp. 217-226; l’incompiuto J. Decorte,
Tolerance and Trinity, in Conflict and Reconciliation: Perspectives on Nicholas of Cusa, a cura
di I. Bocken, Leiden-Boston, Brill, 2004, pp. 107-117; e, infine, M. Watanabe, Cusanus, Islam
and Religious Tolerance, in Nicholas of Cusa and Islam, cit., pp. 9-19. Lo stesso discorso vale
per il concetto di repraesentatio, al cui riguardo sono da menzionare almeno: H. Hoffmann,
Repräsentation. Studien zur Wort- und Begriffsgeschichte von der Antike bis ins 19. Jahrhun-
dert, Berlin, Duncker & Humblot, 1974 (trad. it., Rappresentanza-rappresentazione. Parola e
concetto dall’antichità all’Ottocento, Milano, Giuffrè, 2007, pp. 345-389); e M. Merlo, Vin-
culum concordiae. Il problema della rappresentanza nel pensiero di Nicolò Cusano, Milano,
Franco Angeli, 1997.

37
Francesco Borghesi

una trattazione congiunta nonché di una disamina accurata. Nel Libro vengono
proposte le più chiare formulazioni dell’ideale lulliano di una pace raggiunta
attraverso la coincidenza di unità umana e unità divina a tramite l’eliminazione
di ogni differenza e opposizione nell’attenimento della sola concordia, e sono
questi gli aspetti teorici che Cusano svilupperà ulteriormente.

2.2. Giovanni Pico della Mirandola


Che Giovanni Pico della Mirandola avesse in mente di organizzare, nel 1487,
quello che egli stesso definiva un «concilio»17 denota una preoccupazione an-
che politica che merita attenzione e che è da porre in relazione al progetto
mancato di una «concordia» di cui scrive a più riprese18. Come ha notato Mar-
co Pellegrini,

il conte di Mirandola sognò di fare dell’Italia e di Roma, culla della Chiesa


cattolica, lo scenario di un’analoga disputa [analoga a quelle tra docenti viste
durante il suo soggiorno parigino del 1485, N.d.A.], di portata incomparabil-
mente superiore. Essa non avrebbe preso ad oggetto una questione particolare,
ma sarebbe stata finalizzata a sciogliere il più doloroso nodo dell’esistenza col-
lettiva: la discordanza di vedute che intercorre tra gli uomini e che è causa delle
loro mortali inimicizie. Mosso dall’intento di svellere la radice teologica che sta
dietro l’aggressività umana, il magnanimo principe si ripropose di organizzare
quello che in termini odierni si definirebbe un forum mondiale delle religioni.
Un incontro pensato quale preambolo della riconciliazione tra le grandi fami-
glie monoteiste dell’epoca, […] nonché tra esse e il retaggio religioso dell’an-
tichità classica19.

A cui si può aggiungere quanto sostenuto da Raphael Ebgi:

l’accumulo di una gran mole di conoscenza e lo studio approfondito di ogni


scuola è condizione necessaria, ma non sufficiente, per portare a termine il di-

17
A differenza di Cusano, che aveva partecipato sia al concilio di Basilea del 1433 sia a
quello di Ferrara-Firenze svoltosi tra il 1438 e il 1439, Pico, che non avrebbe avuto la possi-
bilità di intervenire ad un concilio ecumenico, ne organizza, in qualche modo, uno a proprio
uso e consumo, cioè esclusivamente da dedicarsi al dibattimento dell’ipotesi concordista da
lui stesso avanzata.
18
E. Garin, Giovanni Pico della Mirandola: Vita e dottrina, Firenze, Le Monnier, 1937;
Id., Le interpretazioni del pensiero di Giovanni Pico, in L’opera e il pensiero di Giovanni Pico
della Mirandola nella storia dell’Umanesimo. Convegno internazionale. Mirandola, 15-18
settembre 1963, Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, 1965, I, pp. 3-33; Id.,
Ricordando Giovanni e Gianfrancesco Pico della Mirandola, in «Giornale critico della filosofia
italiana», 1995, n. 74, pp. 5-19; C. Vasoli, De Nicolas de Kues et Jean Pic de la Mirandole à
Jean Bodin. Trois «colloques», cit., pp. 253-275. Ora si veda anche, sulla questione della con-
cordia tra Platone e Aristotele: D. Buzzetti, Note su platonismo e logica in età umanistica, in
«Dianoia», 2012, n. 17, pp. 99-116.
19
M. Pellegrini, Umanesimo, cit., pp. 188-189.

38
La concordia in Cusano e Pico

segno di pax philosophica. Il filosofo, infatti, non si può limitare a sovrapporre


astrattamente i diversi pensieri, ma deve essere «abile» nella difficle arte di
elaborare le differenze in un disegno unitario; egli, cioè, non può accantonare
le diversità, o smussarne le asperità, piuttosto deve «lavorarle» in modo tale
che esse non collidano le une con le altre, ma si compongano in «pitagorica
amicizia». Non si tratta di una concordia oltre la discordia, insomma, ma di una
concordia nella discordia20.

Non ci è dato sapere se, al pari di Erasmo, Giovanni Pico fosse quasi osses-
sionato dalla eliminazione della guerra e l’allontanamento dei conflitti armati,
ma certo viveva nello stesso clima tragico e sanguinoso e, con ogni probabilità,
la sua inclinazione etica voleva aspirare a un traguardo non molto diverso. Se
si può affermare, come è stato autorevolmente fatto, che per Savonarola oc-
cuparsi in anni non lontani della nuova costituzione di Firenze fu un atto non
tanto politico, quanto soprattutto d’amore (mistico, si dovrebbe aggiungere)
per la città in preda ad un radicale e difficile cambiamento21, si potrebbe anche
proporre l’immagine di un Pico che scende in campo per difendere un’umanità
che vede minacciata da un nemico interno, tanto insidioso, quanto difficile da
allontanare: la discordia. Un’umanità che trova quindi in se stessa l’ostacolo
principale che si frappone tra di essa e il vivere civile.
Del resto, Eugenio Garin aveva già spiegato che:

L’unità della verità, la continuità della speculazione, l’unicità del Maestro, l’i-
dentità della luce divina, postulano per Pico la concordia. La quale viene da lui
puntualmente ritrovata in una specie di storia critica della filosofia impegna-
ta a illustrare la magia dell’unità attraverso la varietà degli atteggiamenti. Ma
l’unità che si svela nel pensiero filosofico non è che un aspetto dell’unità che
si rivela nella tradizione religiosa, nell’universa realtà. […] La pace filosofica
corrisponde a una pacificazione mondana, universale, in quanto sul terreno
umano, attraverso l’opera umana, i molteplici aspetti della realtà si connettono
e si compenetrano. L’uomo è un Dio terreno non perché empiamente usurpi il
trono del vero Dio, ma perché, simile a Dio, è un puro esistere capace di farsi
nodo partecipe di tutte le essenze22.

20
R. Ebgi, Saggio introduttivo, in G.Pico della Mirandola, Dell’ente e dell’Uno, a cura di
R. Ebgi con la collaborazione di F. Bacchelli, Milano, Bompiani, 2010, p. 85.
21
C. Leonardi, Introduzione, in G. Savonarola, Verità della profezia. De veritate pro-
phetica dyalogus, a cura di C. Leonardi, traduzione di O. Bucci, Firenze, SISMEL – Edizioni
del Galluzzo, 1997, p. XVI. A p. XV si legge: «La concezione politica di Savonarola è nella
eredità di Tommaso d’Aquino […] in questo senso il bene comune è più grande del bene di
uno solo. Il fine della politica non è il potere […], ma è il bene comune storico. […] Savon-
arola [...] pone il ben vivere come fondamento e il beato vivere come finalità non solo alla
persona ma allo stesso bene comune». Sarebbe azzardato pensare che le idee di Giovanni Pico
sulla società del suo tempo non fossero troppo dissimili?
22
E. Garin, L’umanesimo italiano. Filosofia e vita civile nel Rinascimento, Roma-Bari,
Laterza, 1993 [19521], p. 125.

39
Francesco Borghesi

Giovanni Pico pone quindi il superamento dei contrasti storici come mez-
zo per giungere alla pax unifica: nel caso in cui le autorità religiose fossero state
in grado di accettare in via preliminare l’ipotesi della presenza nell’intelletto
umano della capacità di armonizzare ogni fede e ogni cultura, si sarebbe potuto
procedere all’accertamento di tale disposizione antropologica, che è anche una
verità teologica23.
Anna De Pace ha sottolineato come per Giovanni Pico l’essere umano sia
una sintesi di tutte le sostanze. L’anima umana ha una posizione distinta nella
gerarchia dell’essere a causa della sua medietas, che si giustifica con la com-
presenza in essa di tutti i livelli ontologici e al contempo per la sua intrinseca
libertà da ognuno di essi24. È questo il senso dell’uomo «camaleonte», capace
per dote naturale di trasformarsi in forme più elevate o infime nella catena
dell’essere, e questo potere trasformativo è ciò che meglio distingue la liber-
tà umana25. Tale plasticità della natura umana dipende da una libertà divina.
L’uomo è teurgo di se stesso, come ha sostenuto Stéphane Toussaint, il quale ha
dato una definizione vivida del progetto di Giovanni Pico: «tout concept est un
fruit, toute pensée est un arbre, planté dans un sol sacré»26, rimarcando come
mistero e ragione siano intimamente collegati nella ricerca pichiana.
L’uomo della Oratio pichiana, composta nel 1486, è opus indiscretae ima-
ginis27, una creatura senza immagine, o dall’immagine indeterminata, e per
questo immagine di Dio, un Dio che si nasconde nell’oscurità (Pico parla an-
che di «solitaria caligine del Padre»)28: la vocazione dell’uomo è dunque di
attraversare e trascendere ogni immagine, percorrendo, come ha mostrato Pier
Cesare Bori, «una “via” in tre stadi: la trasformazione etica (azione), la ricerca
intellettuale (contemplazione), e la perfezione finale nell’identificazione con la
Realtà ultima»29. Bori aggiunge che secondo «Pico, questo paradigma è univer-
sale perché può essere trovato in ogni tradizione a lui nota: cristiana, ebraica,
ellenistica, egizia-ermetica, caldaica...»30.

23
M. Pellegrini, Umanesimo, cit., p. 190.
24
A. De Pace, La scepsi, il sapere e l’anima. Dissonanze nella cerchia laurenziana, Milano,
Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto, 2002, pp. 252-253.
25
F. Borghesi, For the Good of All. Notes on the Idea of Concordia during the late Middle
Ages, cit., p. 232.
26
S. Toussaint, L’esprit du Quattrocento. Le De Ente et Uno de Pic de la Mirandole, Paris,
Honoré Champion, 1994, p. 124.
27
G.Pico della Mirandola, Discorso sulla dignità dell’uomo, a cura di F. Bausi, Parma,
Guanda, pp. 8-10.
28
Ivi, pp. 12-13: «Et si nulla creaturarum sorte contentus, in unitatis centrum suae se
receperit, unus cum Deo spiritus factus in solitaria Patris caligine, qui est super omnia con-
stitutus omnibus antestabit».
29
P.C. Bori, Universalismo come pluralità delle vie, in «Filosofia politica», 1998, n. 3, p.
464 (ora anche in Id., Universalismo come pluralità delle vie, Genova-Milano, Marietti 1820,
2004, pp. 43-44).
30
Ivi, p. 44.

40
La concordia in Cusano e Pico

Nella stessa Oratio, Giovanni Pico descrive il proprio approccio, che si


potrebbe definire dossografico, nel modo seguente:

Coloro, infatti, che si sono consacrati interamente a una qualsiasi delle scuole
filosofiche, aderendo per esempio a Tommaso o a Scoto, e che ora godono di
grandissimo favore, possono mettere alla prova la loro dottrina nella discus-
sione di poche questioni. Io però mi son dato queste regole: non giurare sulle
parole di nessuno, spaziare per tutti i maestri di filosofia, esaminare ogni pagi-
na, conoscere tutte le scuole. Pertanto, dovendo io trattare di tutti i filosofi (af-
finché, se per difendere una particolare dottrina avessi tralasciato le altre, non
sembrassi vincolato a quella), non potevano non essere molteplici le questioni
presentate complessivamente riguardo a tutti, anche se poche ne venivano pro-
poste singolarmente intorno a ciascuno di essi. Né questo mi venga imputato,
di giungere come ospite dovunque la tempesta mi spinga. Da tutti gli antichi fu
infatti osservata questa norma, di passare in rassegna ogni genere di scritti, non
tralasciando di leggere alcun libro che potessero procurarsi31.

Mentre nel più tardo Heptaplus (1489) chiarisce:

Qui è il sommo premio, qui la vita eterna, qui la sapienza che i dotti di questo
mondo hanno ignorato: nell’essere ricondotti da ogni imperfezione del molte-
plice all’unità, attraverso il legame inscindibile con Colui che è la unità stessa32.

Si può vedere come si vengono a delineare alcuni temi portanti: il ritorno


moderno all’antico, la lettura pluralistica e l’allargamento del quadro biblico,
l’accostare azione e contemplazione, e, in particolare, il tema di un monoteismo
inclusivo. Si è fatto notare come nel progetto di pace filosofica e concordia affi-
dato da Pico alla sua Oratio e alle Conclusiones nongentae – alle quali la Oratio
sarebbe dovuta servire da introduzione – siano presenti evidenti limiti quando

31
G.Pico della Mirandola, Discorso sulla dignità dell’uomo, cit., pp. 84-85: «Qui enim se
cuipiam ex philosophorum familiis addixerunt, Thomae videlicet aut Scoto (qui nunc plu-
rimum in manibus) faventes, possunt illi quidem vel in paucarum quaestionum discussione
suae doctrinae periculum facere. At ego ita me institui, ut, in nullius verba iuratus, me per
omnes philosophiae magistros funderem, omnes scedas excuterem, omnes familias agnosce-
rem. Quare, cum mihi de illis omnibus esset dicendum, ne, si privati dogmatis defensor
reliqua posthabuissem, illi viderer obstrictus, non potuerunt, etiam si pauca de singulis pro-
ponerentur, non esse plurima quae simul de omnibus afferebantur. Nec id in me quisquam
damnet, quod me quocunque ferat tempestas, deferar hospes. Fuit enim cum ab antiquis
omnibus hoc observatum, ut, omnes scriptorum genus evolventes, nullas quas possent com-
mentationes illectas preterirent».
32
G.Pico della Mirandola, Heptaplus, Expositio septima de felicitate, quae est vita ae-
terna, Proemium libri septimi, in Id., De hominis dignitate, Heptaplus, De ente et uno e scritti
vari, a cura di E. Garin, Firenze, Vallecchi, 1942, pp. 336-337: «Haec est tota merces, haec
est vita aeterna, haec est sapientia quam sapientes saeculi non cognoverunt, ut ab omni mul-
titudinis imperfectione redigamur in unitatem per copulam indissolubilem cum eo qui est
ipsum unum».

41
Francesco Borghesi

lo si intende come un convergere verso l’uno in cui le differenze vengono eli-


minate troppo velocemente33.
Bori fa però notare come

[i]l tema della concordia diventa più interessante se si tratta invece di una
«pace», di una «unità» che non comporta tanto il convergere sui contenuti,
quanto il procedere di pari passo verso una meta riconosciuta identica, nono-
stante la diversità dei nomi34.

In sostanza, se Dio permette la varietà delle religioni, questa varietà deve


avere una ragione e gli uomini devono accettarla. Ma, come è già stato doman-
dato, poteva il Cristianesimo accettare una pluralità delle vie35? Da un lato,
se qualche decennio prima, Cusano aveva risposto negativamente, affermando
l’unità della via nel primo prologo della Cribratio Alkorani (Esame critico del
Corano, 1460-61), mezzo secolo dopo, nella sua Utopia (1516), Thomas More
appoggia l’idea della compresenza di varie forme religiose unite da uno stesso
fine da raggiungere percorrendo diverse vie36.
Secondo Bori, tra Cusano e More si trova Pico:

la tesi è che la prima […] parte del Discorso costituisca una formulazione del
tema della pluralità delle vie. Il compito della dignità umana è di raggiungere
l’assoluto, attraverso itinerari iniziatici (mysteria) differenti nel contenuto, ma
isomorfi nella struttura tripartita, e accomunati nel fine. […] la preoccupazione
immediata di Pico non è quella di sostenere tolleranza o pluralismo […], ma
piuttosto di mostrare la positività del secondo momento, quello contemplativo
e «teorico», adducendo una varietà di tradizioni convergenti. Tuttavia nella
sostanza della sua argomentazione l’idea della pluralità dei percorsi iniziati-
ci emerge con forza e evidenza: pluralità di itinerari che scorrono paralleli, a
causa dell’analoga struttura interna di ciascuno di questi, esemplificati con il
cristianesimo, con l’ebraismo, con la tradizione greca (misteri eleusini, Socrate,
misteri delfici, Pitagora), e infine con la tradizione Zoroastriana: tutti con una
identica meta. Alle origini di questa importante acquisizione teorica – la plu-
ralità delle vie – sta il bilinguismo dell’umanesimo religioso pichiano, e cioè la
compresenza in Pico […] di due lingue, quella biblico-cristiana […], e la lingua
dei «misteri», della theologia prisca37.

33
P.C. Bori, Pluralità delle vie. Alle origini del Discorso sulla dignità umana di Pico della
Mirandola, Milano, Feltrinelli, 2000, p. 86.
34
Ivi, p. 87.
35
Ibidem.
36
Ivi, p. 88.
37
Ivi, p. 89. Sulla concordia pichiana sarà bene tenere presenti anche le letture di: P.R.
Blum, Eintracht und Religion bei Giovanni Pico della Mirandola, in Suche nach Frieden: Poli-
tische Ethik in der Frühen Neuzeit II, a cura di N. Brieskorn e M. Riedenauer, Stuttgart,
Kohlhammer, 2002, pp. 29-46; P.R. Blum, – G. Damschen – D. Kaegi – M. Mulsow – E.
Rudolph – A.G. Vigo, Einleitung, in G.P. della Mirandola, Über das Seiende und das Eine.
De ente et uno, a cura di P.R. Blum, G. Damschen, D. Kaegi, M. Mulsow, E. Rudolph, A.G.
Vigo, Hamburg, Felix Meiner, 2006, pp. IX-XXXVII; G. Busi, Giovanni Pico and the Ideal of

42
La concordia in Cusano e Pico

Se si accetta tale posizione38, un elemento importante da indagare rimane


il metodo di lettura usato di Giovanni Pico nell’affrontare testi di generi molto
diversi e scritti in differenti lingue, lingue che in alcuni casi il Conte non era
in grado leggere senza aiuti. Il problema da affrontare diventa dunque quello
della sua metodologia di lavoro: a cosa gli serviva la Cabbala? chi lo aiutava a
leggere i testi ebraici e arabi (e altri) che non poteva affrontare autonomamen-
te? Come si pone il discorso del metodo pichiano in relazione al suo progetto
di concordia?
Non sono domande nuove, bensì quesiti cui la ricerca più recente nell’am-
bito degli studi pichiani sta iniziando a dare risposte convincenti e a getta-
re luce su aspetti della biografia pichiana sinora rimasti in secondo piano. Si
pensi anche solo agli studi sulla cosiddetta cerchia ebraica di Pico39, o a quelli

Concordia Discors: Disharmony as a Way to Esoteric Wisdom, in Constructing Tradition. Means


and Myths of Transmission in Western Esotericism, a cura di A.B. Kilcher, Leiden-Boston,
Brill, 2010, pp. 293-302.
38
Ho discusso alcune questioni che emergono da questa posizione in F. Borghesi, Inter-
pretations, in G.P. della Mirandola, Oration on the Dignity of Man, a cura di F. Borghesi, M.
Papio, M. Riva, Cambridge-New York, Cambridge University Press, 2012, pp. 52-65.
39
Di particolare rilievo è la collana intitolata The Kabbalistic Library of Giovanni Pico
della Mirandola, diretta da Giulio Busi e pubblicata da Nino Aragno, di cui sono usciti sinora
cinque volumi: The Great Parchment, a cura di G. Busi, con S.M. Bondoni e S. Campanini,
Torino, Nino Aragno, 2004; The Book of Bahir, a cura di S. Campanini, Torino, Nino Aragno,
2005; M. Recanati, Commentary on the Daily Prayers, a cura di G. Corazzol, Torino, Nino
Aragno, 2008; Y. Giqatilla, Book of Punctuation, a cura di A. Martini, Torino, Nino Aragno,
2010; The Gate of Heaven, a cura di S. Jurgan e S. Campanini, Torino, Nino Aragno, 2012.
Di Michela Andreatta sono da vedere gli studi su Gersonide: Gersonide, Commento al Can-
tico dei Cantici nella traduzione ebraico-latina di Flavio Mitridate. Edizione e commento del
ms. Vat. Lat. 4273 (cc. 5r-54r), a cura di M. Andreatta, Firenze, Olschki, 2009; M. Andreat-
ta, Subverting Patronage in Translation: Flavius Mithridates, Giovanni Pico della Mirandola
and Gersonides’ Commentary on Song of Songs, in Patronage, Production and Transmission
of Texts in Medieval and Early Modern Jewish Cultures, a cura di E. Alfonso e J. Decter,
New York-Turnhout, Brepols, 2014, pp. 165-198; Ead., Filosofia e cabbalà nel Commento al
Cantico dei cantici di Levi ben Geršom tradotto in latino per Giovanni Pico della Mirandola, in
Pico e la cabbalà, a cura di F. Lelli, Firenze, Olschki, 2014, pp. 69-91. Di Flavia Buzzetta è da
segnalare: Liber de homine, a cura di F. Buzzetta, Lavis (TN), La Finestra, 2015. Di Fabrizio
Lelli si vedano, tra gli altri: Y. Alemanno, Hay ha-`olamim (L’immortale). Parte I: la Retorica, a
cura di F. Lelli, Firenze, Olschki, 1995; E.H. ben Binyamin da Genazzano, La lettera preziosa
(Iggeret hamudot), a cura di F. Lelli, Firenze-Nîmes, Giuntina-Éditions de l’éclat, 2002; F.
Lelli, Prisca Philosophia and Docta Religio. The Boundaries of Rational Knowledge in Jewish
and Christian Humanist Thought, in «Jewish Quarterly Review», 2000, n. 91, pp. 53-100;
Id., Jews, Humanists, and the Reappraisal of Pagan Wisdom, Associated with the Conception
of Dignitas Hominis, in Hebraica Veritas? Christian Hebraists and The Study of Judaism in
Early Modern Europe, a cura di A.P. Coudert e J.S. Shoulson, Philadelphia, PA, University of
Pennsylvania Press, 2004, pp. 49-70; Id., Poetic Theology and Jewish Kabbalah in Fifteenth-
Century Florentine Speculation: Giovanni Pico della Mirandola and Elijah Hayyim ben Benja-
min of Genazzano, in «Studia Judaica», 2008, n. 16, pp. 144-152.

43
Francesco Borghesi

sulla frequentazione pichiana del testo coranico40. Si tratta di ricerche della


massima importanza e delle quali bisogna sottolineare l’impatto sull’immagine
«tradizionale» di Giovanni Pico, che ne risulta modificata in maniera significa-
tiva, arricchendosi di dettagli nuovi sulle modalità pichiane di lettura dei testi,
nonché di informazioni su personaggi di notevolissimo interesse e sino a tempi
recenti scarsamente noti come Flavio Mitridate, Yohanan Alemanno, Eliyyah
Hayyim ben Binyamin da Genazzano e Menahem Recanati.
La portata del cambiamento è ancora tutta da verificare, ma, per conclude-
re, si ponga mente alle possibilità che apre quanto recentemente proposto da
Giacomo Corazzol:

mi sembra che ci siano sufficienti prove indiziarie per suggerire 1. che in Oratio
∫∫ 10-23 si possa riconoscere una trasposizione allegorica dell’interpretazione
anagogica dei versetti relativi alla creazione dell’uomo (Genesi 1.26 e Genesi
5.1-2) elaborata da Recanati nel suo Commento alla Torah sulla base di alcuni
passi dello Zohar e del Bahir, 2. che, in grazia del particolare statuto da lui
assegnato alla cabala, Pico vedesse in quelle dottrine delle nozioni divinamente
rivelate circa l’origine e la «struttura» dell’anima umana, le quali, concepite nel
quadro della trasmissione del sapere che, già abbozzato da Proclo, era stato
adottato e elaborato da Gemisto e da Ficino, consentivano, ai suoi occhi, di
rilevare la comune divina origine – e, dunque, la concordia – delle dottrine
sull’anima di Platone e Aristotele: opportunamente corretti e interpretati, in-
fatti, secondo Pico, Platone (con la sua teoria secondo la quale l’anima con-
templa in se stessa il divino e, dunque, ogni cosa) e Aristotele (con la sua teoria
secondo la quale l’anima dell’uomo riunisce in sé le anime delle altre creature)
avevano affermato la stessa cosa – l’essere l’uomo epitome di tutto il creato: ciò
che soltanto la qabbalah rendeva manifesto era il significato profondo (ovvero
connesso con l’intima natura della divinità) di tale idea; ciò che Pico credeva
di aver scoperto era che tale nozione non fosse che uno dei cardini della divina
teologia rivelata da Dio a Mosè sul Sinai41.

40
A.M. Piemontese, Il corano latino di Ficino e i corani arabi di Pico e di Monchates, in
«Rinascimento», 1996, n. 36, pp. 227-273; Id., Pico, Moncada e Abdala Sarracenus nella Ora-
tio de hominis dignitate, in Flavio Mitridate mediatore fra culture nel contesto dell’ebraismo
siciliano del XV secolo. Atti del Convegno internazionale di studi, Caltabellotta, 30 giugno-1
luglio 2008, a cura di M. Perani e G. Corazzol, Palermo, Officina di Studi Medievali, 2012,
pp. 105-136; B. Grévin, Une témoin majeur du role des communautés juives de Sicile dans la
préservation et la diffusion en Italie d’un savoir sur l’arabe et l’Islam au XVe siècle: le notes
interlinéaires et marginales du «Coran de Mithridate» (ms. Vat. Hebr. 357), in Chrétiens, juifs
et musulmans dans la Méditeranée médiévale. Études en hommage à Henri Bresc, a cura di
B. Grévin, A. Nef e E. Tixiere, Paris, De Boccard, 2008, pp. 45-56; Id., Flavius Mithridates
au travail sur le Coran, in Flavio Mitridate mediatore fra culture nel contesto dell’ebraismo
siciliano del XV secolo. Atti del Convegno internazionale di studi, Caltabellotta, 30 giugno-1
luglio 2008, a cura di M. Perani e G. Corazzol, Palermo, Officina di Studi Medievali, 2012,
pp. 27-46.
41
G. Corazzol, Le fonti «caldaiche» dell’Oratio: indagine sui presupposti cabbalistici della
concezione pichiana dell’uomo, in «Accademia», 2013, n. 15, p. 58.

44
La concordia in Cusano e Pico

2.3. Conclusioni?
Le conclusioni che è lecito trarre da un discorso tanto complesso non possono
che essere provvisorie. Si può far notare come tanto in Cusano quanto in Pico
ci sia un’assonanza nell’atteggiamento sapienziale (e, direi, anche mistico) con
cui entrambi si pongono nei confronti del problema della pace tra i popoli, così
come in entrambi il discorso concordista si poggi su un continuo confronto con
i testi sacri e si collochi metodologicamente in una posizione che ad un’iniziale
spinta ideologica volta a superare le differenze intende far seguire una verifica
filologica dalla quale non si può prescindere. Entrambi sembrano imboccare
una via che voglia affrancarsi dal fenomeno unicamente religioso per abbraccia-
re un percorso spirituale cui sia consentito superare le differenze in un afflato
etico e contemplativo42. In entrambi si pone la difficoltà di voler perlustrare un
percorso etico senza contravvenire alla lealtà nella tradizione biblica.
Seppure sia necessario fare le debite distinzioni e valutare attentamente la
posizione di chi ha sostenuto che «la proposta teorica cusaniana contenuta nel
De pace fidei non è assimilabile a quella di altri pensatori del suo tempo, come
[…] all’idea di una pluralità di percorsi possibili sincronicamente che prose-
guono paralleli e che conducono l’uomo al divino secondo quanto sostenuto da
Giovanni Pico della Mirandola»43, bisogna anche ammettere che la posizione
pichiana possa risentire di un influsso cusaniano proprio per via di una sensibi-
lità inquieta che mira ad un accordo delle differenze.
Entrambe le proposte teoriche, inoltre, escludono gli assunti dell’idea di
tolleranza, che, presupponendo un’indifferenza in merito ai contenuti delle cre-
denze religiose, si pone in modo negativo nei confronti dell’altro. Se la proposta
teorica del De pace fidei «sin dal titolo – in cui il genitivo fidei va inteso nel suo
senso oggettivo – sembra contrassegnata più che dall’idea di una pace nonostante
la fede, da quella di una pace della fede, ossia in cui è dalla stessa fede che nasce
e deriva la pace»44, sia in Cusano sia in Pico è palese il riconoscimento del valo-
re aggiunto derivato dalle diverse e molteplici espressioni dell’esperienza reli-
giosa: la pluralità delle confessioni è conditio sine qua non dell’aspirazione all’u-
nità concorde, che è conseguibile solamente attraverso l’esperienza della prassi
dell’incontro, testuale e non, e del dialogo interreligioso. Come ha sostenuto
Jacques Dupuis, «[n]on può essere molto promettente, infatti, una riflessione
teologica a distanza, ossia un discorso “sugli altri” senza averli incontrati e ascol-
tati, senza essere stati a contatto con la loro vita religiosa e “ferma credenza”»45.

42
P.C. Bori, Universalismo come pluralità delle vie, cit., p. 461.
43
D. Monaco, Cusano e la pace della fede, cit., pp. 140-141.
44
Ivi, p. 143.
45
J. Dupuis, Il cristianesimo e le religioni. Dallo scontro all’incontro, Brescia, Queriniana,
2002, p. 33. Il fatto che io forzi un poco le parole di Dupuis, da me riadattate anche nel brano
che precede la citazione, adeguandole a circostanze storiche solo per certi versi affini a quelle
da lui prese in considerazione, è dovuto alla convinzione che le finalità del discorso siano, da
un punto di vista teorico, le medesime.

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