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Distribuzione del reddito e del lavoro

di Cataldo Marino

Da quando in Italia abbiamo un Governo cui partecipa il M5S – forza


politica che io ho votato con una certa convinzione, ma ancor più per
la mancanza di una credibile alternativa di sinistra - sento ogni giorno
discutere sui media e sui social dei tre provvedimenti sui quali questo
movimento politico e la Lega hanno imperniato la loro azione: il
reddito di cittadinanza, l’età di pensionamento e l’immigrazione.
Sono problemi di cui ho già parlato ampiamente in precedenti articoli
del blog. Solo che in quel periodo si trattava di semplici ipotesi di
lavoro, mentre ora siamo chiamati a valutare precise disposizioni
legislative. La qual cosa mi induce a riprenderli e a fare delle rapide
puntualizzazioni.

1) Confermo la mia piena condivisione dell’idea che, oggi come nel


1929, viviamo una crisi di sovrapproduzione - così come preconizzata
teoricamente da Marx già nel XIX secolo – e che per superarne gli
aspetti socialmente deleteri (disoccupazione e povertà di larghi strati
della popolazione) si debbano riprendere le misure keynesiane adottate
da Franklin Delano Roosevelt negli Stati Uniti a partire dal 1933. (V.
recensione del film “Furore”, qui pubblicato il 5 gennaio 2012).
Per uscire dalla crisi occorre che cresca la domanda globale di beni e
servizi, e il reddito di cittadinanza sostenuto dal M5S va in questa
precisa direzione. Anche se la Germania, in virtù delle sue esportazioni
sembra per ora non risentire della stasi della domanda interna e impone
a tutti i partner europei precisi limiti alla spesa pubblica, questa è la
strada da percorrere.
Si sa però che ‘c’è una misura in tutte le cose’ (est modus in rebus) e,
secondo questo principio, il decreto approvato dal Governo ha forse
sbagliato in una cosa non di poco conto. Se gli attuali salari di larghe
fasce di persone occupate si aggira sui 900-1000 euro mensili, non si
possono dare 780 euro – sia pure limitatamente a 18 mesi – a coloro
che non hanno lavoro.
Proprio per questo motivo nell’articolo ‘Reddito di cittadinanza’ del
15 marzo 2013 (*) avevo proposto un reddito minimo di sussistenza di
500 euro. Una maggiore prudenza nella determinazione dell’importo,
pur assicurando ai disoccupati vecchi e giovani l’eliminazione della
povertà assoluta, avrebbe ridotto l’impatto sui conti pubblici, avrebbe
evitato contrasti troppo forti con gli altri Paesi europei e stabilito un
rapporto più equo fra chi tutte le mattine va a lavorare e chi – pur
cercando disperatamente un lavoro – è costretto a rimanere a casa. Con
questa correzione, chi lavora disporrebbe comunque di un reddito che
è il doppio di chi è in cerca di lavoro, e ciò eviterebbe la ‘convenienza’
di persone poco scrupolose ad approfittare del giusto provvedimento.
Plaudo, nonostante questo errore, all’azione del giovane capo del M5S
(mi stupisce molto l’intelligenza e la lucidità di questo ragazzo di 31
anni!), perché con questo decreto passa un principio che nessuna forza
politica d’ora in avanti potrà più trascurare: nelle società
industrializzate e informatizzate la povertà assoluta dei disoccupati è
inaccettabile sotto il profilo morale e… pericolosa sotto il profilo
sociale.
Per molte delle mie considerazioni, attuali e anteriori, su questo
problema sono debitore ai principi keynesiani e alle preziose indagini
sociologiche del Prof. Domenico De Masi.

2) Sull’età di pensionamento avevo esposto le mie idee in un articolo


pubblicato su questo blog il 7 ottobre 2012 dal titolo “Lavoro; strategie
a confronto“. Riassumo, in modo grossolano: anticipando il
pensionamento da 60 a 50 anni lo Stato dovrebbe annualmente
rifondere all’Inps delle cifre insostenibili per i conti pubblici e, per
contro, spostando il pensionamento da 60 a 70 anni, diminuisce il turn
over dei lavoratori accentuando la crisi occupazionale.
Aggiungo oggi però che non si può stabilire un’età di pensionamento
per tutte le categorie. Nei lavori creativi si può, e si vuole, andare
avanti il più possibile - e il nostro Camilleri, pur novantenne e ormai
cieco, non vorrà mai smettere di scrivere - mentre l’operaio, che sta
per anni dietro una macchina, o l’insegnante, che sta per anni davanti
a 25 testoline agitate dalle tempeste sentimentali e ormonali, giunto a
60 anni normalmente… non ne può più.
Cosa ancora più importante è che il passaggio dall’attività lavorativa
alla quiescenza non dovrebbe essere istantaneo (fino al giorno x e poi
basta) ma graduale. Se a 50 anni si lavora tranquillamente per otto ore
al giorno, a 60 si potrebbe lavorare per 6 ore al giorno, a 65 per quattro
ore al giorno e a 70 per due ore al giorno. Dopo i 70 anni decida lui…
in base alla passione e al suo personale stato di salute.
3) Anche per l’immigrazione ho già detto che è una questione di
misura: l’Italia può accogliere 20.000 immigrati l’anno e integrarli
come si deve, con un lavoro dignitoso ed equamente retribuito, in
modo da non incidere sul livello generale dei salari. Non ne può invece
accogliere cinquecentomila l’anno, perché questi si sommerebbero ai
5.000.000 di poveri, incrementando a dismisura quello che Marx
chiamava ‘l’esercito industriale di riserva’. Detto esercito è funzionale
alla massimizzazione dei profitti degli imprenditori, ma non al popolo.
Sugli effetti dell’esercito industriale di riserva io ho denunciato
soprattutto la delocalizzazione (l’impresa va dove il costo della
manodopera è molto più bassa), mentre il Prof. Diego Fusaro ha
concentrato la sua attenzione proprio sulle cause e gli effetti della
immigrazione. Ma, come argomentato da entrambi - lui ad alto livello
in tv e nei convegni ed io in questo modesto blog – delocalizzazione e
immigrazione sono facce della stessa medaglia, che implicano lo
sfruttamento cinico dei lavoratori.

(*) “Bisognerà anche affrontare il problema del ‘quantum’. Se oggi il


salario medio netto di un lavoratore è di 1.000 euro e la stessa somma
dovesse essere pagata dalla collettività a chi per motivi soggettivi o
oggettivi resta inattivo, non ci sarebbe più alcuna spinta a cercare
lavoro. Teniamo anche presente che l’elevato tenore di vita di cui si è
goduto in Italia dagli anni Settanta in poi, ha abituato le nuove
generazioni a una certa mollezza nei costumi e che comunque, se si
può avere un dato reddito anche non lavorando, anche fra gli adulti
pochi saranno quelli che sceglieranno di sacrificarsi per esso. Un
amico residente in Svizzera, dove i sussidi per le categorie disagiate
sono presenti, mi raccontava di un suo conoscente che ha
volontariamente lasciato il lavoro per dedicarsi ad attività… più
piacevoli.
Penso che un sussidio di 500 euro mensili consentirebbe di far fronte
ai bisogni primari e che il suo costo per il bilancio dello Stato sarebbe
pesante ma in fondo sostenibile.”
www.ilsemedellutopia.blogspot.com/2013/03/reddito-di-
cittadinanza.html

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