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«aegyptus» 98 (2018), pp.

37-69

Fra «protagonismo del demonico» e «diacosmesi in fieri»:


in margine a un recente libro sul Papiro di derveni

sul Papiro di derveni, scoperto nel 1962 e più volte èdito in questi anni
(1), esistono numerosi studi particolari, concentrati via via su aspetti papiro-
logici, filologici, antropologici, religiosi. Mancava invece un lavoro di sinte-
si, che componesse le varie prospettive in un organico quadro. il libro di ValE-
Ria Piano, Il Papiro di Derveni tra religione e filosofia, Firenze, olschki, 2016,
colma questo vuoto. l’opera ha ricevuto autorevoli consensi. Gábor Betegh
parla di «splendid book», di «superb piece of scholarship», di «careful critical
© 2018 Vita e Pensiero / Pubblicazioni dell’università Cattolica del sacro Cuore

discussions», di «fascinating in-depth examination», di «superb papyrological


skills», di «milestone» (2). non è da meno alberto Bernabé, altro noto top schol-
ar di problematiche orfiche e «lettore in fieri» del libro della Piano, della qua-
le ricorda la «gran pericia en las técnicas de la papirología», la «soltura en el
uso de los métodos de la filología», la «competencia, sensatez y brillantez», e
l’«enorme rigor» (3). al coro si aggiunge ora Marco antonio santamaría, che

(1) R. Janko, The Derveni Papyrus: An Interim Text, «ZPE» 141 (2002), pp. 1-62; F. JouR-
dan, Le Papyrus de Derveni, Paris 2003; G. BEtEGh, The Derveni Papyrus. Cosmology, Theology
and Interpretation, Cambridge 2004; M. toRtoRElli Ghidini, Figli della terra e del cielo stellato,
napoli 2006, pp. 163-254; The Derveni Papyrus, edited with introduction and commentary by
t. kouREMEnos, G.M. PaRássoGlou, k. tsantsanoGlou, Firenze 2006 (= kPt); Poetae epici
Graeci. Testimonia et fragmenta, vol. ii, 3: Musaeus, Linus, Epimenides, Papyrus Derveni, in-
dices, edidit a. BERnaBé, Berolini et novi Eboraci 2007 (= a. BERnaBé, PEG, ii, 3); R. Janko,
Reconstructing (Again) the Opening of the Derveni Papyrus, «ZPE» 166 (2008), pp. 37-51; Early
Greek Philosophy, vol. Vi: Later Ionians and Athenian Thinkers, part 1, edited and translated by
a. laks, G.W. Most, Cambridge (Mass.) - london 2016 (= a. laks, G.W. Most, EGP); Der
Papyrus von Derveni, eingeleitet, übersetzt und kommentiert von M.E. kotWiCk, basierend auf
einem griechischen text von R. Janko, Berlin - Boston 2017.
(2) tutto questo si trova nella Preface al libro stesso della Piano, scritta appunto da Betegh.
Come si apprende a p. 108 nota 86, la Piano sta per pubblicare lavori in collaborazione con Be-
tegh. E anche con Bernabé.
(3) a. BERnaBé, Recensione a Piano 2016, «Cuadernos de Filología Clásica» 27 (2017),
pp. 301-303.
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usa espressioni come «decisive breakthrough», «perspicacious analyses», «bril-


liant formulations» (4).
a p. XXiV della Premessa la Piano ringrazia «Walter lapini per gli appor-
ti preziosi su singoli aspetti del testo greco». sono lusingato dalla menzione,
ma smentisco senz’altro di aver dato apporti di qualunque genere a questo li-
bro (5). a meno che con «apporti» non ci si riferisca alle correzioni da me ese-
guite su un articolo preparatorio inviatomi da terzi nell’agosto 2016 e uscito sul
nr. 197 della «ZPE» (6); ma erano segnalazioni di refusi o rettifiche di sermo
criticus del tipo lacunam statuit per lacuna statuit (p. 9, app. col. iV 2); potius
per potium (p. 9, app. col. iV 13); vestigia dispiciuntur per vestigia dispicitur
(p. 14, app. col. Vi 2), eccetera (7). Ritengo necessaria questa precisazione non
perché io sia ostile ai ringraziamenti (di cui anzi i miei articoli e libri abbonda-
no), ma perché in tempi come i nostri, in cui è invalsa la pratica sciagurata di
valutare per referenze, autocertificazioni e vox populi, anche i vecchi cari ac-
knowledgements delle prefazioni, se non vengono gestiti con cura, rischiano di
trasformare gli εὐχαριστούμενοι in scudi umani e la gratitudine in polizza in-
fortunistica – se non in una chiamata di correità.
Ma passiamo al libro. il libro costituisce (insieme con l’edendo Rotolo e te-
sto) (8) la summa degli studi della Piano sul Papiro di derveni: esso è venuto
costruendosi negli anni, fin dalla tesi di laurea, dunque non si tratta di un lavo-
ro messo su in fretta e sotto la sferza di un editore impaziente. nonostante ciò,
esso avrebbe avuto molto da guadagnare da un’ulteriore incubazione. la quale
avrebbe permesso, se non altro, di ridurre il numero degli errori di greco, mec-
canici e non meccanici, insolitamente alto per gli standard del Corpus dei Papi-

(4) M.a. santaMaRía, Recensione a Piano 2016, «Bryn Mawr Classical Review», 2018.
07.38.
(5) E infatti nessun «apporto» viene ricondotto a me. Molti sono gli studiosi che l’autrice
menziona qua e là come fonte di consigli, suggerimenti e contributi di vario genere; invece il
mio nome, a parte la Premessa, in questo libro non compare mai.
(6) V. Piano, P.Derveni III-VI: una ricostruzione del testo, «ZPE» 197 (2016), pp. 5-16.
(7) a volte mi spinsi a migliorie sintattiche, sconsigliando costrutti come «monuit ut litt. ε
vestigiis non congruat» (p. 9, app. col. iV 2); e a migliorie di vocabolario italiano, sconsigliando
(senza però essere molto ascoltato, a giudicare da quanto vedo ora nel libro) l’uso di «problema-
tiche» per «problemi», di «pregnante» per «importante», e così via; comunque, nulla più che un
lavoro da correttore di bozze.
(8) il volume Rotolo e testo, nr. 17 della serie «studi e testi per il Corpus dei Papiri Filo-
sofici Greci e Latini», doveva uscire prima del Papiro di Derveni tra religione e filosofia, nr. 18,
ma poi, per motivi non chiari, ha perso la primogenitura. si veda oltre, nota 89.
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ri Filosofici. naturalmente non faremo un dramma dei vari οἴνον, οἴδε, χαίρε,
ὑπερήται, λήναι, εἶτε, ὧσπερ, τοῦς, τὴς, oppure ἔνεκεν, ἀπάντων, ἔδραν, οὐκ
ὑμᾶς, oppure ἁμαθία, αἱδουμένους, ὁρθώματα, oppure Λυσέυς, ἐυχαῖς, ecc.;
tutti questi casi (decine) mettiamoli pure sul conto di titivillo e della tastiera
unicode. Ma il discorso non vale per τάγος, βουλομένος, καταλάμβανω, ἀναριθ-
μοί, νυκτίπολοι, νυκτίπολοις, φασμάτα, μητήρ, παρατιθεμένοι, παραβιαζο-
μένοι, νομιζόμενοις, νενόμισθαι, ἑρμηνευούσι, ἰατροτεχναί, μετεωρόλογοι,
ἐθέντο (9), ecc.; oppure per πηνιχρός, φρηνί, ἑρμενεῦον, τελεουμένους, τε-
λευσθῶσιν, ἀφροδιάζειν, Ταγενισταί, Ἔφαιστος, Ἡταιρεία, ’Αρεθοῦσα, Στε-
σίμβροτος, Εὐβυλεύς, Φερσεφόνι (10). oppure per le voces nihili come ὀμφα-
λά (p. 229 nota 128) (11) e ’Αθήνα (pp. 294 e 295); o per ἑός definito «prono-
me» (p. 307), o per φρένες trasformato in maschile (p. 296 nota 81); o per gli
errori di concordanza (12), di sintassi (13), di metrica (14), di accentazioni nel-
le enclitiche (15).
la Piano italianizza «far connaître» (p. 115 nota 108), «du language» (p.

(9) Lege ταγός (p. 15 nota 46), βουλόμενος (p. 177 nota 127), καταλαμβάνω (p. 180 nota
143 e p. 181), ἀνάριθμοι (p. 201), νυκτιπόλοι (pp. 220 e 221 nota 92), νυκτιπόλοις (p. 220 nota
89 bis), φάσματα (p. 236 nota 155), μήτηρ (p. 244 nota 170), παρατιθέμενοι (p. 284 nota 32),
παραβιαζόμενοι (p. 288 nota 47), νομιζομένοις (p. 115 nota 107), νενομίσθαι (p. 298 nota 88),
ἑρμηνεύουσι (p. 294 nota 70), ἰατροτέχναι (p. 302), μετεωρολόγοι (p. 303 note 105 e 107), ἔθεντο
(p. 99 nota 64).
(10) Lege πενιχρός (p. 151 nota 58), φρενί (p. 327), ἑρμηνεῦον (p. 256 nota 5), τελουμένους
(p. 128 nota 147), τελεσθῶσιν (p. 354 nota 11), ἀφροδισιάζειν (pp. 262 nota 14 e 311 nota 7),
Ταγηνισταί (p. 47 nota 150), Ἥφαιστος (p. 100 nota 70), Ἑταιρεία (p. 11 nota 24), Ἀρέθουσα
(p. 12 nota 31), Στησίμβροτος (p. 286 nota 39), Εὐβουλεύς (p. 50), Φερσεφόνῃ (p. 50).
(11) il fatto che ὀμφαλά sia seguìto a ruota da una citazione da a. henrichs può far credere
che l’errore sia suo. Ma henrichs scrive correttamente ὀμφαλοί.
(12) i sottintesi di διὰ τῶνδε, διὰ τόνδε e κατὰ τόνδε sono ’Ερινύων, θεόν e ’Ορφέα, non
’Ερινύες, θεός e ’Ορφεύς (p. 78); il vocativo di oreste non è ’Ορέστης (p. 147 nota 48); a μάγος
non può corrispondere μηχανορράφον (pp. 222-223), a ἐπιστήμην non può corrispondere φρόνη-
σις (p. 326 nota 50); a p. 305 nota 111 il sottinteso non deve essere νοῦν, ma νοῦς: probabilmente
la Piano si è fatta ingannare da λεπτότατον.
(13) Cf. p. 244 nota 170 ἑαυτοῦ μητήρ, che, accento a parte, non esiste in rerum natura.
(14) non più che innocue distrazioni sono φύσεως per φύσεος in EuR., Tr., 886 (p. 300 nota
94) e la schematizzazione del dattilo come ‒ ‒ ⏑ a p. 159 nota 84. diverso è il caso di μητρὸς ἑᾶς
ἤθελεν μιχθήμεναι ἐν φιλότητι, esametro impossibile in sé e a torto attribuito a sider (p. 243 nota
167), o della grafia Αἰδωνεύς in luogo di ’Αϊδωνεύς a p. 285 nota 34 (l’esametro non ha mai lo
spondeo in quinta sede ove la dieresi possa evitarlo).
(15) E.g. p. 316 ὅ τι ἐστιν per ὅ τί ἐστιν (non sbagliano, o sbagliano meno, kPt, p. 97, che
hanno ὅτι ἐστίν); p. 321 Μοῖρα τε per Μοῖρά τε.
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379), «at the centre» (p. 345) (16); alterna ipercorrettismi come «nichoma-
chean Ethics» (p. 326 nota 52), «lokroi Epyzephyroi» (p. 389) (17), Hel(ectra)
(p. 405), a grafie ruspanti come «Virg(ilius)» (p. 94 nota 38), hammerstaed (p.
78) (18), «panteon» (p. 265), «university of Pensilvania» (p. 382); elimina le
y in «Eutiphron» (p. 304 nota 110) (19), «thucidides» (p. 405); «dionisiac»
(p. 369); «Gregori» (p. 374); e viceversa ne mette una abusiva in cysta (p. 229
nota 128), volendo traslitterare κίστη ma avendo in mente il κύσθος. Prodigio-
sa la varietà delle ibridazioni: italiano-latino (p. 396 «Fragmenta filosofica»),
italiano-inglese (p. 359 «odissey», p. 369 «Greco-Roman»), italiano-spagnolo
(p. 365 «el dio solitario», p. 366 «el papiro di derveni»), spagnolo-latino (p.
360 «Editiones Clásicas», ibid. «misticismo y religiones mystericas»), francese-
latino (p. 377 «démosthènes», p. 389 «Empédocles») (20). teognide (Θέογνις)
è latinizzato Theognides; lo storico Xanto diventa Xantia; atamante diventa
atamanto, aristònoo diventa aristone (21). nell’ottava indicazione bibliogra-
fica di p. 360 ci sono quattro errori in quattro righi (22), nella penultima di p.
393 sono sbagliate cinque parole su otto. imbarazzanti le storpiature «aeropa-

(16) l’originale ha «center». la pericope proviene da una citazione da Betegh ed è erronea


anche in altri due punti. il Betegh esalta ὅλωι τῶι θυλάκωι la «carefulness» e la «meticolousness»
della Piano (pp. Xi, Xii, XV, XViii), ma non sempre ne beneficia. lo stesso càpita a santamaría
e a Bernabé (si veda sotto, note 20 e 22).
(17) nell’articolo di Q. Quagliati, dal cui titolo la dicitura è tratta, sta correttamente scritto
«lokroi Epizephyrioi».
(18) semplificata nella parte finale anche la grafia di Bouché-leclercq: cf. pp. 94 note 39 e
43; 100 note 67 e 68; 362.
(19) «Eutiphron» perde anche una h su due, come «Rhadamantys» a p. 54 e «chton-» a p.
376.
(20) Visto che il libro parla di teogonie e di Macedonia ogni tre per due e utilizza di continuo
bibliografia francese, specie di taglio antropologico, ci si poteva sforzare di almeno accentare
correttamente «macédonienne» e «théogonie» (cf. invece p. 392), o di dissociarsi dal «détienne»
di R. turcan (p. 397), restituendo allo studioso la grafia deaccentata. duramente vessato il Bé-
rard, che in una sola nota (la 113 a p. 33) diventa colpevole di un «Eretrie» (leggi Erétrie) e di
due «heroon» (leggi hérôon). la morìa di accenti colpisce anche Martín hernández (pp. 217 nota
69, 242 nota 164), san Cristóbal (pp. 361 bis, 386), Mattéi (p. 369), lévy (p. 381), e persino il
reviewer santamaría (p. 391), che pure non manca di elogiare la scrupolosità dell’autrice (Re-
censione a Piano 2016, cit.).
(21) Rispettivamente pp. 405, 406, 44 nota 147, 13 nota 33 («aristone celebre guardia di
alessandro»; celebre appunto: ragione di più per scrivere giusto).
(22) la vittima è Bernabé, ammiratore dell’«enorme rigor»; altre vittime stafford 2008
(«practise» per «practice»), torjussen 2010 («saarbrüchen» per «saarbrücken»); lane Fox 2011,
Prag 1984 e Rolley 2006 («Verghina» per «Vergina»), ecc.
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go» per areopago (pp. 33 nota 113; 145 note 37 e 38 bis) e βιοθάνατοι per
βιαιοθάνατοι (cf. pp. 133 bis e nota 5; 149 nota 51 bis; 260 nota 12) (23), non-
ché la confusione ex sonitu fra kourotrophoi ed epikouroi (24) e fra ἑκάστων
ed ἐσχάτων (25). invece che cosmopoietico scrive sistematicamente «cosmo-
poieutico» (e.g. p. 158 «azione cosmopoieutica», p. 342 «principio cosmopoieu-
tico»; che sarebbe come dire filosofo peripateutico, calcolo aritmeutico, atleu-
tica leggera); definisce il re di Persia «imperatore» (p. 223 nota 101) e «forze
armate» l’esercito di serse (p. 194).
in EuR., Hel., 1013-1016 ἐμπεσών va riferito a νοῦς, non a γνώμη (26).
nella distinzione porfiriana fra λέξις, καιρός ed ἔθος, il significato di ἔθος non
è «costume» (p. 287), ma «consuetudine» (differenza in altri casi non decisi-
va, ma in questo sì). i versi trasmessi da sEXt., AM, iX, 15-16 non parlano di
«sregolatezza alimentare» (p. 272 nota 36), ma di cannibalismo. il dio evirato
di SVF ii 1088 non è Crono naturalmente, ma urano (p. 313) (mal compresa
una nota di Von aRniM, iii, p. 218, rr. 38-39; bene invece il duFouR: cf. ChRy-
siPP. FR. 1096, ii, p. 554). lo στέφανος menzionato in ath., XV, 672f e 674d
non riguarda il Prometeo incatenato (p. 212 nota 56) ma il Liberato. Posidippo
nel Sigillo non parla affatto di «tornare nella sua città natale per esservi sepolto»
(p. 54). «studio storico antropologico» si scrive con il trattino (p. 369), «antico-
persiano» senza trattino (p. 221 nota 94) (27). del verso sofocleo μυδῶσα κηκὶς
μηρίων ἐτήκετο (Ant., 1008) viene data l’assurda traduzione «il grasso mandava
fumo dalle cosce» (p. 100 e nota 70) e la traduzione è attribuita (almeno sembra)

(23) l’ultima di queste occorrenze si trova in una citazione da k. tsantsanoGlou, The


First Columns of the Derveni Papyrus and Their Religious Significance, in a. laks, G.W. Most
(edd.), Studies on the Derveni Papyrus, oxford 1997, pp. 93-128: 100, che però ha correttamente
βιαιοθάνατοι (p. 260 nota 12).
(24) Cf. p. 181. Partendo da Eraclito B 94 dk ’Ερινύες μιν Δίκης ἐπίκουροι ἐξευρήσουσιν
la Piano discute il «sottile legame fra dike, Eris ed Erinni proprio in nome di Ὅρκος, ovvero di
quella personificazione del giuramento che Esiodo aveva descritto come potenza castigatrice in-
sieme a dike, e il cui legame con le Erinni è sancito dal ruolo quasi di kourotrophoi». Probabil-
mente la Piano, nel citare in prossimità il frammento eracliteo e i versi delle Opere da 218 in poi,
ha confuso Ἐρινύες ἐπίκουροι con l’assonante (ma totalmente estraneo) εἰρήνη κουροτρόφος di
Op., 228.
(25) se ne dirà più avanti, a proposito di col. V 4-6.
(26) il passo pare inteso bene nel testo (p. 299) e male nella nota (la nr. 93), dove si afferma
che il nous «possiede una capacità di intendimento (γνώμη) immortale che proviene da e ritorna
nell’etere, altrettanto immortale». È il nous che «ritorna», non la gnome.
(27) del quale sono a torto private la adam-Veleni a p. 397 e la Pirenne-delforge alle pp.
230 nota 132; 231 note 135-136; 232 nota 141 ecc.
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a Franco Ferrari, che invece scrive correttamente «il grasso delle cosce colava»
(28); a p. 151 confonde tradizione manoscritta con tradizione medievale. a p.
157 nota 75 attribuisce al Coxon una congettura a Parmenide B 12, 4 dk che
appartiene al Mullach (29). a p. 222 travisa malamente la frase οἱ δεινοὶ μάγοι
τε καὶ τυραννοποιοί (Plat., Resp., 572e), facendo di τυραννοποιοί un predicato
di μάγοι (30), mentre in realtà μάγοι e τυραννοποιοί stanno sullo stesso piano
e dipendono dal subito successivo οὗτοι, omesso nella citazione (31): «questi
abili maghi e facitori di tiranni». sempre a p. 222 nota 97 scambia il plurale
μαγοφόνια con il singolare μαγοφονία (che sarebbe stato μαγοφονίη, visto che
ci troviamo in una citazione da Erodoto). a p. 109 mette in parallelo il fr. 1 dk
di Eraclito, in cui si denuncia l’impossibilità di comprendere il logos dopo aver-
lo ascoltato τὸ πρῶτον, «per la prima volta», con i rr. 1-3 della col. XX del
P.derveni, in cui si afferma che il significato dei rituali «non può essere còlto
nello stesso momento in cui li si osserva o li si ascolta per la prima volta». la
base del raffronto è la limitazione «per la prima volta»; che però, disgraziata-
mente, nel papiro non c’è (l’accostamento dunque non solo è forzato, ma nep-
pure sussiste). su ath., Xi, 115, 506e-f + Xi, 119, 508d-e scrive: «Eufreo di
oreo, filosofo accademico che, stando a quanto ci dice Caristio, acquisì una tale
posizione di forza nella corte di Perdicca iii da organizzare la ‘compagnia del
re’ in modo che non si potesse più ‘accedere alla sua mensa senza sapere di geo-
metria e filosofia’» (p. 352). la Piano confonde un personaggio con un altro:
colui che acquisì la posizione di forza non è il filosofo platonico Eufreo, bensì

(28) Sofocle. Antigone, Edipo re, Edipo a Colono, a cura di F. FERRaRi, Milano 1982, p. 133.
(29) la congettura è πάντηι, scritto (volutamente) senza iota mutum dal Coxon, ma già pre-
sente in Fragmenta philosophorum Graecorum, collegit F.W.a. MullaCh, vol. i, Parisiis 1860
(rist. aalen 1968), p. 127, sia con iota (nel testo) sia senza iota (nella nota ad loc.). non c’è al-
cuna ragione per cui la lezione debba cambiare proprietario.
(30) Così testualmente: «con il prosperare della rivalità persiana [si intenda: con l’intensi-
ficarsi della rivalità nei confronti della Persia], la figura dei magi finì col cristallizzarsi in un coa-
cervo di tratti denigratori che li dipingevano come mendaci tecnici del sacro, spesso implicati nel
funzionamento della macchina reale, tanto da essere definiti ‘terribili facitori di tiranni’ (Plat.,
Resp., 572e οἱ δεινοὶ μάγοι τε καὶ τυραννοποιοί). un ritratto di questo tipo è attestato in nume-
rose testimonianze greche successive a Erodoto, che vanno dall’attacco di Edipo a tiresia…»,
ecc.; la Piano qui travisa anche il senso nell’insieme, come si dirà più avanti, nota 70.
(31) a p. 117 n. 116 e a p. 119 n. 123 si incontrano altre due citazioni, entrambe dal Cratilo,
tagliate in modo tale da far sospettare che il senso non sia stato capito: cf. rispettivamente 396d
κινδυνεύει οὖν ἐνθουσιῶν οὐ μόνον τὰ ὦτά μου ἐμπλῆσαι τῆς δαιμονίας σοφίας, ridotto a
κινδυνεύει οὖν ἐνθουσιῶν […] μου ἐμπλῆσαι τῆς δαιμονίας σοφίας; e 404b Δημήτηρ μὲν φαίνε-
ται κατὰ τὴν δόσιν τῆς ἐδωδῆς διδοῦσα ὡς μήτηρ Δημήτηρ, a cui è stato sottratto un κεκλῆσθαι.
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Filippo, che ebbe da Perdicca una fetta di territorio macedone, premessa alla
sua futura potenza (32). a p. 270 si legge che per anassagora e diogene di
apollonia l’ἀήρ è «l’elemento principe del κόσμος», con probabile scambio
anassagora-anassimene (33).
Ma veniamo a uno dei punti qualificanti del libro: la constitutio textus delle
prime sei colonne del papiro (34).
la prima cosa che si nota, con tutto il rispetto per l’«enorme rigor» di cui
parla Bernabé, è che raramente una lezione viene trascritta nel corso del libro
in meno di due o tre modi diversi. Ecco alcuni esempi (35):

(32) l’equivoco della Piano sembra nato dalla lettura frettolosa (il sintagma «posizione di
forza» è un possibile indizio di dipendenza) della traduzione di R. ChERuBina 2001, in Ateneo.
I Deipnosofisti, traduzione e commento su progetto di l. CanFoRa, vol. ii, libri Vi-Xi, Roma
2001, p. 1258: «Eufreo […] persuase il re ad assegnare a Filippo una parte del suo territorio. Qui
egli si costruì una posizione di forza e, quando Perdicca morì, fu pronto a sfruttare la potenza di
cui già disponeva per prendere il potere»: ἔπεισεν [scil. Εὐφραῖος] ἀπομερίσαι τινὰ χώραν Φι-
λίππωι. διατρέφων δ’ ἐνταῦθα δύναμιν, ὡς ἀπέθανε Περδίκκας, ἐξ ἑτοίμου δυνάμεως ὑπαρχού-
σης ἐπέπεσε τοῖς πράγμασι.
(33) si ammette comunemente, a partire da W. BuRkERt, La genèse des choses et des mots.
Le papyrus de Derveni entre Anaxagore et Cratyle, «études Philosophiques» 25 (1970), pp. 443-
455, che la coppia anassagora + diogene (con Eraclito) è filosoficamente la più significativa
per il Commentatore di derveni: cf. M.l. WEst, The Orphic Poems, oxford 1983, p. 80; C.h.
kahn, Was Euthyphro the Author of the Derveni Papyrus?, in a. laks, G.W. Most, Studies, cit.,
pp. 55-63: 62; G. BEtEGh, The Derveni Papyrus, cit., pp. 183, 279, 295, 346; M.E. kotWiCk,
op. cit., p. 268; ma non per via dell’aria-principio, ché anzi da questo punto di vista vi sono sen-
sibili differenze fra i due, come evidenzia R. Janko, The Physicist as Hierophant. Aristophanes,
Socrates and the Authorship of the Derveni Papyrus, «ZPE» 118 (1997), pp. 61-94: 82: «anaxa-
goras believed that air/nous is in animate objects only […], whereas diogenes held that all
things participate in air». anassagora afferma (come anassimene, archelao e diogene di apol-
lonia) che l’anima è ἀερώδης (a 93 dk) e che all’inizio l’aria e l’etere avvolgevano tutto l’esi-
stente (B 1 dk, e cf. B 12 dk), ma non mette l’aria al livello di un’ ἀρχή. se dunque parliamo
di aria-ἀρχή, come fa la Piano a p. 270, la coppia significativa diventa diogene + anassimene:
cf. ancora G. BEtEGh, The Derveni Papyrus, cit., pp. 183, 264, 279, 295, 311. osservo di passata
che Janko parla di diogene come di un «seguace» di anassagora ma anche come di un «allievo»
(R. Janko, The Physicist, cit., p. 66; id., Parmenides in the Derveni Papyrus: New Images for a
New Edition, «ZPE» 200 (2016), pp. 3-23: 3). non so donde attinga quest’ultima notizia. a me
consta che diogene fu contemporaneo di anassagora e influenzato da lui ma non allievo. la tra-
dizione, con scontato anacronismo, gli dava come maestro Anassimene.
(34) Constitutio adottata quasi senza modifiche da laks e Most nella loro edizione loeb
del 2016 (EGP).
(35) naturalmente staremo ben attenti a non far passare per contraddizioni della Piano le
differenze fra il testo citato nella sua propria edizione e quello citato secondo edizioni di altri.
44 WaltER laPini

iiibis 5: p. 74 χ]οαὶ σταγόσιν̣ vs. p. 132 χ]οαὶ σταγόσιν (36); iiibis 7: p.


74 ἑκάστο`ι΄ϲο[ vs. p. 93 ἑκαστο`ι̣΄ϲο[ (37); iiibis 8: p. 74 πλ]έ̣ογ γέγρα[φε vs.
ibid. πλ]έογ γέγρα[φεν.
iii 5: p. 76 εἰσὶν] δὲ vs. p. 137 εἰσὶ ] (38) δὲ; iii 5-6: p. 76 ] δὲ | [δ]αίμονες
vs. p. 73 δὲ | δ]αίμονες; iii 7: p. 77 θεῶν vs. p. 265 θ̣εῶν; iii 7: p. 77 δ̣ [ ..(.)]ι
vs. ibid. δ̣ [ικη]ι̣ (39) vs. p. 143 δ̣ [ικηι]; iii 7: p. 77 υ[ vs. ibid. υ̣ [ (40); iii 8: p.
77 θ̣ ..[ vs. ibid. θρ̣α̣[ vel θη̣ [ (41).
iV 4: p. 78 τα̣ [κτὸς ....]ν̣δε vs. p. 173 nota 111 τα̣ [κτὸς ......]ν̣δε; iV 4: p.
78 τα̣ [ vs. p. 173 nota 111 τα̣[ («tracce di τ̣α[»); iV 5: p. 78 τ̣ὰ κοινὰ vs. p. 176
τὰ κοινὰ (42); iV 9-10: p. 78 τὰ δὲ] ὑπελάμ̣[μανε | ὅπως μὴ εὖρος ὑπερ]βατὸμ
ποῆι vs. p. 265 τὰ δὲ] ὑπελάμ̣[μανε] | ὅπως μὴ εὖρος [ὑπερ]βατὸμ ποῆι; iV
10: p. 78 κ[.......(.)]α̣ vs. p. 79 κ[......(.)]α̣ (la prima sequenza è nel testo, la
seconda in apparato; ma da una parte le lettere mancanti sono 7 o 8, dall’altra
6 o 7); iV 11: p. 78 ]. .ι θυο̣ .[ vs. pp. 75 e 79 ]. .ι θυο.[ (43).
V 4: pp. 80 e 239 πάριμεν̣ vs. p. 80 πάριμεν (44); V 4: pp. 80 e 102 ἐπε-

(36) la lezione è al r. 17 della pagina, appunto la p. 132. Vi si esamina la versione di R.


Janko, Reconstructing, cit., p. 45, ma anche in Janko il -ν finale è sottopuntato.
(37) la Piano stampa l’accento su alpha e con ciò rende ἑκάστοις l’unica soluzione possi-
bile. dunque non c’era ragione di usare il sigma lunato: la parola è completa.
(38) lo spazio abusivo fra lo iota e la parentesi ha preso il posto dell’efelcistico? Così par-
rebbe dal confronto con p. 76.
(39) a. laks, G.W. Most, EGP, p. 382, in apparato, attribuiscono alla Piano la lezione con
iota sottopuntato.
(40) Ma perché non ὑ[ o ὑ̣[? la lettera è certamente un’iniziale di parola. non si vede per-
ché negare l’aspro in questo caso e concederlo a ὁρ[ di p. 81, app. V 12, e a p. 113 nota 102.
(41) a. laks, G.W. Most, EGP, p. 382, in apparato, attribuiscono alla Piano la prima delle
due varianti, con theta sottopuntato.
(42) la citazione di p. 176 è anch’essa ‘diplomatica’ (come il contesto chiarisce), e dunque
la Piano non era dispensata dalla sottopuntatura. lo stesso dicasi per p. 113 nota 102, col. V 6
τί ἀπιστοῦσι e per p. 184, col. V 8 ἁμαρτίης̣ (si veda subito sotto, nel testo).
(43) alle pp. 75 e 79 si dà per certo l’omikron. differenza minima, senza dubbio; ma non
tanto che la Piano non le rivendichi con un legi (di contro ad ]α̣ιθ̣ υο̣.[ di kPt). la Piano lascia
uno spazio indebito fra iota e theta: evidente assist per una voce di θύειν.
(44) Questa seconda lezione è in apparato ed è attribuita a k. tsantsanoGlou, art. cit., p.
94, ma erroneamente, perché anche tsantsanoglou mette il punto sotto il -ν. inoltre: a p. 81 la
traduzione della Piano di V 4-5 presuppone virgola dopo ἐπερωτήσοντες, come nel testo stam-
pato a p. 239, e non dopo πάριμεν, come in quello di p. 80. altro caso in XV 16, dove πήξας è
fatto precedere dalla virgola (virgola esegetica naturalmente, non meramente pausativa) a p. 315
nota 17 ma non a p. 333 nota 82 (la seconda nota rimanda alla prima, quindi non si tratta di testi
diversamente costituiti).
FRa «PRotaGonisMo dEl dEMoniCo» E «diaCosMEsi IN FIERI» 45

ρ[ω]τ̣ή̣σ̣ο̣ν̣τ̣[ες vs. p. 239 ἐπερ̣[ω]τ̣ή̣σ̣ο̣ν̣τ̣[ες; V 5: p. 80 μαντευομέν[ων ἕν]ε-


κεν vs. p. 239 μαντευομένων [ἕν]εκεν; V 4: p. 81 ἀπιστ]ῆ̣ σ̣α̣[ι] Ja2 vs. p. 103
ἀπισ]τ̣ῆσ̣ [̣ αι] Ja2 (45); V 6: p. 80 τί ἀ[πισ]τοῦσι vs. p. 113 nota 102 τί ἀπιστοῦ-
σι; V 6: p. 80 οὐ γινώσ[κο]ν̣τε̣ ̣ς̣ vs. p. 113 nota 103 οὐ γινώσ̣ [κο]ν̣τε̣ ̣ς̣; V 8: p.
80 ἁμαρτ`ί̣΄ης̣ vs. p. 81 ἁ̣μαρτ`ί΄ης̣ (46) vs. p. 184 ἁμαρτίης̣; V 9: p. 80 καὶ vs.
p. 184 κ̣αὶ; V 9: p. 80 οὐ] μ̣α̣ν̣θ̣[άνο]υ̣ σιν vs. p. 112 nota 95 οὐ] μανθάνουσιν
vs. p. 113 nota 102 οὐ μ̣αν̣ θ̣ [̣ άνο]υ̣σιν; V 10: p. 80 ἀπ̣ [ι]στίη vs. p. 104 ἀ[πι]στίη
vs. p. 113 nota 102 ἀ[π]ιστίη; V 10: p. 80 κἀμα[θίη vs. pp. 104 e 113 nota 102
κἀμα̣ [θίη; V 12: p. 80 καὶ ορ[ vs. pp. 81 e 113 nota 102 καὶ ὁρ[; V 13: p. 80 ]ην
ἀπιστί[ην vs. p. 113 nota 102 ]ην ἀπιστίην.
Vi 1: p. 81 εὐ]χ̣α̣ὶ ̣ vs. pp. 82 (la prima occorrenza del r. 6) e 103 εὐ]χ̣α̣ὶ; Vi
1: p. 81 θυσ[ί]αι̣ vs. p. 103 θυσ[ί]α̣ ι vs. pp. 201 e 226 θυσ̣ [ί]αι̣ vs. p. 250 θυ-
σ[ί]αι; Vi 1: pp. 81, 191, 196 μ[ειλ]ί̣σσ ̣ ο̣ υσι vs. pp. 82, 133, 134 μ[ειλ]ί̣σ̣σ̣ο̣υ-
σι vs. p. 199 e nota 28 μ̣ [ειλ]ί̣σ̣σ̣ουσι; Vi 2: pp. 81, 191, 202-203 δ̣αίμο̣νας
ἐμ[ποδών vs. p. 257 δ̣αίμονας ἐμ[ποδών (47); Vi 4: p. 81 θ̣ υσ[ία]ν̣ vs. p. 200
θ̣ υσ[ίαν]; Vi 4: p. 81 τούτου̣ vs. p. 200 τ̣ούτου̣ ; Vi 4: p. 81 π̣[ο(ι)οῦσ]ι̣[ν] vs. p.
82 π̣ο[(ι)οῦσ]ι̣[ν] vs. p. 238 π[ο(ι)οῦσ]ι̣[ν]; Vi 5: p. 81 οἱ μά̣ [γο]ι vs. p. 122 no-
ta 129 οἱ μά̣ [γο]ι̣ vs. p. 200 οἱ̣ μά̣ [γο]ι; Vi 5: p. 81 ὡσ̣ περεὶ vs. p. 122 nota 129
ὡ̣ σπερεὶ vs. p. 238 ὡ̣ σ̣περεὶ vs. p. 242 nota 164 ὡ̣ [σ]περεὶ; Vi 8: p. 81 ἀν]ά̣ ριθ-
μοι̣ vs. p. 202 ἀν]ά̣ ριθμοι.
l’obiezione che qui un profano potrebbe sollevare, che cioè le differenze
si riducono principalmente alle sottopuntature, alle spaziature, al fuori-dentro
di lettere singole, non ha valore nei casi delicati come il nostro, in cui piccoli
dettagli hanno grandi conseguenze; tanto più che la Piano adotta la linea seve-

(45) la citazione corretta è la prima: cf. R. Janko, Reconstructing, cit., p. 50.


(46) Chiosato con «recte leg. Ja2» [Ja2 = R. Janko, Reconstructing]. Ma a cosa si riferisce
«recte»? la Piano condivide la sottopuntatura del sigma, ma non quella del primo alpha; e mette
il sottopunto allo iota, che invece Janko ritiene di vedere con chiarezza. la «rettitudine» di Janko
consiste dunque nel fatto di leggere lo iota invece che introdurlo ex novo come fa tsantsanoglou
(che scrive ἁ̣μαρτ⟨ί⟩ης̣); lettura «retta» ma comunque non precisa. Per non fuorviare il lettore
occorreva scrivere «-`ί΄ης̣ Janko». l’ ἁ̣μαρτ⟨ί⟩ηϲ̣ di tsantsanoglou viene trascritto dalla Piano
con il sigma lunato, mentre tsantsanoglou usa quello normale. non si capisce perché innovare:
la parola è completa, e la lettera finale (in chiusura di rigo, peraltro) non è asportabile.
(47) a p. 152 nota 59 si legge – due volte – δαίμονες ἐμ[ποδών, dove giustamente vengono
cassati i sottopunti, perché la parola è adattata alla sintassi ed è riferita ai rr. 2-3 e non solo al r.
2. a p. 188 invece è stampato δαίμον̣ες ἐμπο[δών, che, come si vede dalla sottopuntatura e dalla
collocazione della quadra, è la lezione accolta dalla Piano al r. 3; una lezione però diversa da
quella presentata nel testo, che è δαίμον̣ες ἐμπο[δίζουσι.
46 WaltER laPini

rior, annettendo cruciale importanza anche alle diaphorai paleografiche più


labili. le righe degli apparati critici delle coll. 0-Vi nel complesso non ammon-
tano a più di qualche decina, eppure le difformità sono pressoché continue: «le-
git» e «leg.», «praebet» e «praeb.», «littera» e «litt.», «vide(n)tur» e «vid.»,
«fortasse» e «fort.», «coniec.» e «coni.», «monente» e «mon.», «distinx.» e
«dist.». il rigo è «lin.», «linea» e «versus»; la fine del rigo è «fin.», «in fine»,
«ad fin.» e «ad finem». le proposte congetturali vengono presentate talvolta
come «x y», talvolta come «x coniec. y», talvolta come «x tempt. y» e talvol-
ta come «x prop. y». l’acronimo kPt (= kouremenos + Parássoglou + tsan-
tsanoglou) viene considerato ora plurale (pp. 78, 80 e 82 «huc traxerunt et su-
biunxerunt kPt») ora singolare (p. 79 «monente kPt»). Ma le incoerenze del
testo greco e dell’apparato non sono che aspetti di un’incoerenza più generale,
la stessa che produce uno sregolato andirivieni di forme con dieresi e di forme
senza dieresi, di iota ascritti e sottoscritti, di accenti in difetto o in eccesso. Per
non parlare dei compendi, dei troncamenti e dei criteri di citazione, che posso-
no cambiare nel giro di un paio di pagine (cf. p. 292 nota 65 e p. 294 nota 70
«sync. Chron. 140c i, p. 282 dind.» vs. «sync. 140c i, p. 282 dindorf»), o
anche in una stessa pagina o in una stessa nota (e.g. la nr. 69 di p. 155 «iamb.
VP 6.31» vs. «iamb. VP, 266»), o fra un rigo e l’altro (e.g. «Plu.» e «Plut.» a p.
109 nota 90 rr. 1-2) o persino all’interno di uno stesso rigo («Pi.» e «Pind.»
a p. 100 nota 67 r. 1). lo Jacoby è «FGrhist» ma anche «FGrh»; ippolito è
«hipp. Ref.» (p. 344 nota 116) ma anche «hipp. Haer.» (p. 285 nota 34). ari-
stotele è «arist.» ma anche «aristot.» (p. 155 nota 69). Empusa è Empusa
ma anche Empousa (pp. 235-236 note 151, 156, 157). l’Agamennone è «A.»
(p. 147 nota 46) ma anche «Ag.» (p. 227 nota 120); le Fenicie sono «Ph.» (p.
119 nota 123) ma anche «Phoen.» (p. 100 nota 68). atanasio è agios ma an-
che aghios (nelle due didascalie a p. 61). la rivista di harvard è «hsCPh» (p.
360) ma anche «hsPh» (pp. 376, 391, 392, ecc.) e «hPh» (p. 392). in un rigo
e mezzo la disgiuntiva vel passa ad aut e poi torna a vel (48). nella stessa nota
«slanciarsi» è scritto prima ἀίσσειν e poi ἀΐσσειν (nota 35 a p. 285). nella stes-
sa pagina e nello stesso frammento Eraclito dice αἰεί e ἀεί (p. 109 e nota 88)
(49). «aesch.» è conteso fra Eschilo ed Eschine (50).

(48) Cf. p. 141 nota 26 «ἐκχω]ρ̣ο̣ῦ̣σι vel ὑστε]ρ̣ο̣ῦ̣σι (col. iii 6), ο]ὐδέ̣κο̣ τ̣[ε σχολήν aut
ἀργίην aut ὕπνον τ]η̣ρ̣ο̣ῦ̣σ̣ι̣ (...) δει]νοί vel ἀ[νδρός».
(49) si tratta di B 1 dk. le varianti sono entrambe attestate: la prima in Clemente, la secon-
da in ippolito.
(50) di solito vince il primo, ma a p. 145 nota 38 la spunta l’oratore.
FRa «PRotaGonisMo dEl dEMoniCo» E «diaCosMEsi IN FIERI» 47

anche se stacchiamo l’occhio dal dettaglio per guardare all’insieme, l’im-


pressione non cambia: il testo e gli apparati della Piano offrono la tipica facies
del lavoro stratificato e scoordinato, con continui ripensamenti, confusioni, di-
strazioni. Prendiamo la col. V 1 a p. 80. la Piano stampa «]δ̣ [.]υ̣ δ̣ει.[» e anno-
ta: «]δ̣ [.]υ̣ δ̣ει.[ legi ex pap(yro) et scripsi mon(ente) Ja(nko 2002), qui Ἅι]δο̣ υ
δει̣ν̣[ά suppl. fortasse recte». Scripsi, dice la Piano; ma in realtà ciò che scrip-
sit coincide con ciò che legit. Probabilmente in una versione precedente del
passo l’inizio di V 1 conteneva integrazioni; poi le integrazioni furono tolte,
mentre la nota restò tale e quale. o ancora iii 4, un punto su cui ritorneremo
fra poco: la Piano stampa «] η̣ α̣λ̣[ .........]ρ̣» (p. 76) e annota «]η̣ α̣λ̣[ legi, ad fin.
ἀλάστω]ρ̣ coni. Most, an ἢ̣ ἄ̣ λ[λως ἀλάστω]ρ̣?» (p. 77). altrove con «ad fi-
nem» si segnala effettivamente la fine del rigo (iiibis 8 «fin.»; iii 3 «ad fin.»;
iii 7 «in fine»; iV 6 «in fine versus»; V 3 «ad finem»; iV 9 «in(itio/um)); qui
invece c’è ancora una lettera dopo ρ̣. Evidentemente in qualche ur-apparato
l’«ad finem» precisava la posizione di ἀλάστωρ all’interno della lacuna, non
del rigo (51). lo conferma indirettamente la Piano stessa, che a p. 73, giunta
a trattare della Soluzione 2, ipotizza un alastore più a sinistra e uno più a destra:
ἢ̣ ἀ̣ λ̣[άστωρ e ἢ̣ ἄ̣ λ̣[λως ἀλάστωρ. a p. 77, in iii 7, la Piano stampa δ̣ [ ..(.)]ι
π̣ ά̣ντας e traduce «(secondo giustizia vel a Giustizia?) […] tutti […]», con un
omissis di troppo. di nuovo è evidente la stratificazione: in un primo tempo la
Piano indica la lacuna come nel testo, poi la riempie, ma non rimuove l’invo-
lucro, cosicché il vuoto convive pacificamente con ciò che lo occupa.
si parlava di usi incoerenti nell’apparato critico – o «fil(ologico)», come la
Piano preferisce dire a p. 140 nota 23 e a p. 192 nota 4 – ma ci sono anche usi
sistematici. solo che questi ultimi sono ancora più discutibili. Mi riferisco per
esempio a congruere costruito con il dativo anziché con cum e l’ablativo (il che
va benissimo, ma solo quando non ci sono ambiguità) (52); oppure al sintagma
malle potius (pp. 77 e 312 nota 9), che può giustificarsi in due modi: (1) se si
è Plauto o Cicerone, o livio, o Cornelio nepote, o Plinio, come forma raffor-
zata; (2) se non si è Plauto, Cicerone, ecc., come dimenticanza del fatto che
malle ha già un comparativo al suo interno (malle = magis + velle).

(51) anche C. Vassallo, Recensione a Piano 2016, «aegyptus» 97 (2017), pp. 267-275:
269, sembra capire come me, allorché scrive: «dividerei la sequenza di lettere η̣αλ̣ [̣ in η̣ α̣λ[̣ ; ac-
cogliendo, anziché alla fine, all’inizio della lacuna [corsivo mio] la seconda parte della conget-
tura ἢ̣ ἄ̣λ̣[λως ἀλάστω]ρ̣».
(52) spesso però ci sono: si veda per esempio p. 79, app. al r. 7: cosa vuole dire «vestigiis
litterae μ congruentibus»? «litterae μ» è genitivo o dativo?
48 WaltER laPini

Con il latino, in verità, neanche gli altri dervenisti si coprono di gloria: si


vedano e.g. «hoc in poemati», «ῥέα ut adverbium intellecto», «ad stratum
alium», nonché il genitivo «litterae alterae» e lo strabiliante «imprimavit»
(«stampò») di Richard Janko nelle edizioni del 2002 e del 2008 (53); oppure
«apud auctoribus», «in ludibus victor», «interdictum carnis edendi», «in ritis
Bacchicis», «laudat tria versus», «de plantibus crescentibus», «in corpum redi-
re», «gratias ago doctis viribus», «multae auctoris doctrinae similes sunt illis
quibus stoici exposuerunt, quod difficile explicandum est», «vaticinata est eum
olympo potiendum», «ex paene sophocleo [lege ex penu sophocleo] haec pe-
tita esse coni. Bergk», «ab hecataeo abderita, non Mylesio [sic] cum errans
scripsit kern» («come sbagliando scrisse il kern») di alberto Bernabé nei
suoi PEG del 2004, 2005 e 2007 (54).

(53) in ordine R. Janko, The Derveni Papyrus, cit., pp. 30, 44; e Reconstructing, cit., pp.
44, 50; e ancora The Derveni Papyrus, cit., p. 44. a dire il vero, Janko non è proprio incensu-
rabile nemmeno nel greco: cf. e.g. Recontructing, p. 44, dove nell’apparato a i 9 scrive «φάνειε
possis» (che però non esiste: possis φήνειε semmai); oppure The Derveni Papyrus, p. 38, dove
per la col. XiX 11-12 stampa (nel testo) la sequenza ὅτι πολλ[ῶν ἐόντων ἀρ]χ̣ῶμ μία ἀρχὴ κρα-
τεῖ κτλ., dicendo (in apparato) di averla ricavata da «ts1», cioè dalle note di tsantsanoglou alla
traduzione di a. laks, G.W. Most, A Provisional Translation of the Derveni Papyrus, in iid.,
Studies, cit., pp. 9-22: 18 nota 52. in questa nota 52 tsantsanoglou azzardava: «though the of-
fices (magistracies) are many, one prevails over all». Janko volge il temptamen di tsantsanoglou
dall’inglese al greco, ma si dimentica che ἀρχῶν richiede οὐσῶν, ἐουσῶν o ἐουσέων, non ἐόντων.
E l’errore si fa strada: lo ritroviamo in F. JouRdan, op. cit., p. 19 (traduzione); G. BEtEGh, The
Derveni Papyrus, cit., p. 40 (apparato); M. toRtoRElli Ghidini, op. cit., p. 216 (testo); a. BER-
naBé, PEG, ii, 3, p. 237 (apparato). E che di errore si tratti non c’è dubbio (tutti i traduttori, Janko
compreso, parlano di rulerships, offices, pouvoirs, Ämter: a nessuno, come è giusto, è venuto in
mente di far derivare ἀρχῶν da ἀρχός anziché da ἀρχή). nel testo adottato dalla kotwick per
l’edizione del 2007, Janko sceglie su questo punto una lezione affatto diversa e quindi elimina il
vecchio errore; ma ne commette altri, come la proposta di leggere un (inesistente) dativo χειρ̣[σίν
in iX 10 (apud M.E. kotWiCk, op. cit., pp. 78 e 179). C’è persino un caso, nella produzione der-
venistica di Janko, in cui lo studioso traduce male se stesso: nel suo The Physicist, cit., del 1997,
p. 68, egli rende il Περὶ τῶν ἐν Ἅιδου di Protagora con «On the terrors in Hades», e più tardi,
nel Parmenides, cit., del 2016, p. 19, lo ritrasferisce in greco nella forma Περὶ τῶν ἐν Ἅιδου
δεινά (sic).
(54) Rispettivamente Poetae epici Graeci. Testimonia et fragmenta, ii, 1: Orphicorum et
Orphicis similium testimonia et fragmenta, edidit a. BERnaBé, Monachii et lipsiae 2004 (= PEG,
ii, 1), p. 1; Poetae epici Graeci. Testimonia et fragmenta, ii, 2: Orphicorum et Orphicis similium
testimonia et fragmenta, edidit a. BERnaBé, Monachii et lipsiae 2005 (= PEG, ii, 2), pp. Viii
(e 466), 1, 169 (e 182), 312, 356; PEG, ii, 3, p. 117; PEG, ii, 1, p. X; PEG, ii, 3, p. 172; PEG,
ii, 1, pp. 12, 207, 269.
FRa «PRotaGonisMo dEl dEMoniCo» E «diaCosMEsi IN FIERI» 49

le nuove letture della Piano costituiscono secondo Betegh un «impres-


sive progress» (55). Vediamole:
iii 4 ]η̣ α̣λ̣[ (ma già esisteva la lettura ]η̣ λ̣α̣τ[̣ ); iii 5 ]ε̣τε̣ ι̣ σ̣ ̣ ι ̣ (ma già ]ε̣τε̣ ι̣ δ̣ ̣ ι)̣ ;
iii 8 υ̣ (altri ι̣); iV 2 ]κδοῦναι (ma già ]κ̣δο̣ ῦ̣ ναι); iV 6 ἴδ[ι]α (ma già ἴδ̣[ι]α); iV
7 ἥλιο̣ [ς (ma già ἥλι̣[ος); iV 7 ]μ̣ου (ma già ].ου kPt e prima ancora ]μ̣ου le-
bedev [si veda oltre]); iV 11 ]..ιθυο̣ .[ (ma già ]α̣ ιθ̣ υο̣ .[); iV 14 ]....[.]ιζ̣[ (già
].ι̣π̣α̣ισ̣ ̣ ε̣[); V 1 ]δ̣[.]υ̣δ̣ει.[ (ma già ]δο̣υ δει̣ν̣[); V 4 ἐπερ[ω]τ̣ή̣σ̣ο̣ν̣τ[̣ ες (ma già
ἐπερ̣[ω]τ̣ή̣σ̣ο̣ντ̣ ε̣ ς̣ ̣ e ἐπερ̣[ω]τ̣ήσ̣ [οντες); V 5 ]δ̣ ο̣κ̣ᾶ̣ν;̣ V 6 ἐν (altri ἄ̣ ρ’̣ , ἄ̣ ν,̣ ἐ̣ξ)̣ ; V
6 γινώσ[κο]ν̣τε̣ ς̣ ̣ ἐ̣νύ̣ ̣ π̣νια (ma già γινώσ̣ [κοντες ἐ]ν̣ύ̣πνια); V 8 ὑπό τ̣[ε γὰρ] (ma
già ὑπό [τε γὰρ]); Vi 4 ἕνεκεν̣ π̣ [ο(ι)οῦσ]ι̣[ν] (ma già ἕνεκε[ν] π̣[οιοῦσ]ι̣[ν]);
Vi 9 κ̣[ατὰ τ]αὐτὰ (ma già κ̣[ατὰ τὰ] α̣ὐτὰ); Vi 15 φ̣ο̣β̣ου[.
il progresso non sembra così «impressive», sia perché le soluzioni che già
non circolassero negli apparati precedenti si riducono a ]δ̣ο̣κ̣ᾶ̣ν̣ di V 5 e φ̣ο̣βο̣ υ[
di Vi 15, sia perché talvolta, come in iV 14, l’unica novità rispetto al passato
è la presa d’atto (e tanto valeva dichiararlo) che leggere è in sostanza impossi-
bile (56). Quanto alle conseguenze che la Piano trae da queste letture, i recenso-
ri parlano di risultati originali, di «ingenious supplements» (57), eccetera. sarà.
io però non so quanto sia plausibile un greco in cui si possono incontrare anche
quattro periodi di fila senza particelle connettive (58); in cui gli articoli e le con-
sonanti efelcistiche (59) vanno e vengono come càpita; in cui i vocaboli pren-
dono accezioni che altrove non hanno. Qualche esempio:
– iiibis 6-7 θυσίαι | δὲ ἀ]βίαστο̣ [ι «sacrifici non violenti» (pp. 74-75). Ma

(55) G. BEtEGh, Preface, cit., p. XVi.


(56) Perciò al posto della Piano avrei di molto limitato l’uso della formula legi, tecnicamen-
te esatta ma eccessiva in casi come iV 7, V 4, V 6, V 8, ecc.
(57) G. BEtEGh, Preface, cit., p. XViii.
(58) si veda la col. Vi da δαίμονες ἐμποδίζουσι a μύσται Εὐμενίσι, pp. 81-82. la rarità delle
particelle, dice R. Janko, The Derveni Papyrus (Diagoras of Melos, Apopyrgizontes logoi?): A
New Translation, «Class. Philol.» 96 (2001), pp. 1-32: 15, va accettata come un fatto normale,
tipico della prosa arcaica. Ma nelle colonne più leggibili le particelle sono molto più numerose
e regolari: come si spiega? Gli asindeti sono, come spesso nei testi ipomnematici, dovuti alla
presenza dei lemmi (cf. M.E. kotWiCk, op. cit., pp. 121, 144, 298, 303, e soprattutto 169), e quin-
di ‘normali’ solo dalla col. Vi in poi.
(59) assenti in iii 5 μ]έ̣τ̣ε̣ι̣σ̣ι̣ ἑκ[άς; iii 6 ]ρ̣ο̣ῦ̣σι [ὡς δέ; iV 9-10 ὑπελάμ̣[μανε ὅπως; Vi 3
ἐμπο[δίζουσι ὡς; presentissime invece dove non servono: iii 5 [εἰσὶν] δέ (che diventa [εἰσὶ] δέ
a p. 137); iiibis 5 σταγόσιν̣ [καί. diverso il caso di Vi 7, dove sembra che ci sia pausa forte tra
i due labbri dello iato (come in Vi 3: ma Vi 3 è ricostruito). lo ionico usa l’efelcistico meno di
altri dialetti, ma l’autore di derveni non scrive in ionico, nonostante i molti ionismi.
50 WaltER laPini

βιάζεσθαι non indica la violenza che si fa al porco o alla giovenca e che non
si può fare al miele o al latte. la θυσία ἀβίαστος potrebbe essere, al limite, la
θυσία che avviene senza costrizione, in cui nessuno obbliga un altro a θύειν;
o in cui non è necessario usare βία per costringere la vittima a farsi scannare.
situazioni ovviamente assurde. il sacrificio non violento come lo intende la Pia-
no è la θυσία ἀναίμακτος, o la θυσία di ἄψυχα e simili. si noti anche l’amena
petizione di principio con cui la Piano conclude la disamina su iiibis: «una co-
lonna così costituita farebbe inevitabilmente riferimento a pratiche sacrificali»
(p. 75). Per forza, visto che è lei a integrare ἱερά del r. 5 e θυσίαι del r. 6.
– iiibis 7-8 ἐπ]ὶ | πλ]έ̣ογ γέγρα[φε «ha scritto (scil. orfeo più di tutti?)» (p.
74). in apparato si fanno due proposte: (1) ἑκάστο`ι΄ς ὅ[σιον ὕμνον ὥς [sic] ἐπ]ί;
(2) ἑκάστο`ι΄ς ὅ[σαπερ ’Ορφεὺς ἐπ]ί. la traduzione è «a ciascuno (un inno san-
to secondo quanto) ha scritto (scil. orfeo più di tutti?)»; una traduzione che fa
convivere assurdamente entrambe le alternative, sia ὅ[σιον ὕμνον sia ὅ[σαπερ.
E non si capisce da cosa venga fuori «secondo quanto», se da ὡς o da ὅσαπερ
o da un’incestuosa combinazione dei due. un greco stralunato e triballico, che
non può funzionare neppure come exempli gratia. (si aggiunga che «più di
tutti» corrisponde semmai a ἐπὶ πλεῖστον).
– iii 4 δαίμ]ω̣ γ γίνετα[ι ἑκά]στωι ἵλ̣ε[̣ ως] ἢ̣ ἄ̣λ[̣ λως ἀλάστω]ρ̣ «un demone
è per ciascuno benevolo o, [altrimenti, vendicatore]» (pp. 76-77, 136, 170). le
integrazioni da ἵλ̣ε[̣ ως] in poi, pur proposte solo nell’apparato, sono implausi-
bili; e nulla ovviamente si guadagna dall’artificiosa punteggiatura adottata nel-
la resa italiana (60). un ἄλλως seguìto da una predicazione ha valore continua-
tivo e non oppositivo, come e.g. in XEn., Cyn., 12, 4 δυστυχήσαντος δὲ οἰκείου
στρατοπέδου ἐν χωρίοις ὑλώδεσι καὶ ἀποκρήμνοις ἢ ἄλλως χαλεποῖς; [aRi-
stot.], Meteor. IV, 379b ὀπτώμενον ἢ ἑψόμενον ἢ σηπόμενον ἢ ἄλλως θερμαι-
νόμενον; MaRC. auR., Xi, 9, 1 ἐπὶ τῆς πρὸς τοὺς κωλύειν ἐπιχειροῦντας ἢ
ἄλλως δυσχεραίνοντας πραιότητος; iaMBl., De myst., 3, 16 des Places σημεῖον
δὲ τὸ πολλάκις εὑρίσκεσθαι αὐτὰ ἀκάρδια ἢ ἄλλως ἄμοιρα τῶν κυριωτάτων
μερῶν; [dEMEtR.], De eloc., 289, 1 Radermacher πρὸς τύραννον ἢ ἄλλως
βίαιόν τινα διαλεγόμενοι; dio ChRys., Or., 7, 110 βλαβεραὶ (...) ἢ ψυχῆι ἀσχη-
μοσύνην τε καὶ ἀνελευθερίαν ἐντίκτουσαι ἢ ἄλλως ἀχρεῖοι καὶ πρὸς οὐδὲν
ὄφελος εὑρημέναι κτλ.; sEXt., HP, ΙΙ, 229 ἤτοι ψευδῆ ἢ ὡμοιωμένην ψευδεῖ

(60) su questo sventurato passo si è pronunciato ora anche C. Vassallo, rec. cit., p. 269,
che penserebbe a ἢ̣ ἀ̣λ̣[άστωρ πῦ]ρ̣; un’integrazione difficile da capire, almeno per me.
FRa «PRotaGonisMo dEl dEMoniCo» E «diaCosMEsi IN FIERI» 51

ἢ ἄδηλον ἢ ἄλλως ἀπρόσδεκτον, eccetera (61). l’«altrimenti» che la Piano


cerca (e con lei i fedeli laks e Most) non è ἄλλως, ma εἰ δὲ μή.
– iii 5-6 εἰσὶν] δὲ | [δ]αίμονες οἳ κατὰ [γῆς ο]ὐδέκοτ̣’ [ἐκχω]ρ̣ο̣ῦ̣σι (op-
pure [ὑστε]ρ̣οῦ̣ σ̣ ι) «vi sono demoni sottoterra che non si ritirano (tardano) mai»
(pp. 76-77, 139) (62). Ma questa traduzione presuppone un altro testo, e cioè:
εἰσὶν δὲ δαίμονες κατὰ γῆς οἳ οὐδέκοτε κτλ. (63). alle pp. 139-140 si torna a
parlare di «demoni sottoterra» nell’inconfondibile senso di οἱ κατὰ γῆς, cioè
stabilmente legati al mondo infero. E anche il «parallelo puntuale» di aRistoPh.,
Ran., 1529 δαίμονες οἱ κατὰ γαίας citato a p. 139 nota 21 presuppone οἱ κατὰ
γῆς. dunque delle due l’una: o la Piano non vede la differenza fra οἵ e οἱ, op-
pure è passata da una soluzione all’altra dimenticandosi di uniformare (64).
– iii 6-8 ] | θεῶν ὑπηρέται δ̣[..(.)]ι π̣άν̣ τας υ[...............(.)]ι | ε̣ἰσὶν ὅπωσ-
περ ἀ[νδρὸς] ἀδίκου̣ θ̣ . .[...............(.)]νοι «come?] servitori degli dèi (secon-
do giustizia vel a Giustizia?) […] tutti […] sono come […] di un uomo ingiu-
sto» (pp. 76-77). al r. 6 propone e.g. ὡς δέ; al r. 7 θεῶν ὑπηρέται δ̣[ίκη]ι π̣άν̣ τας
ὑ̣[βριστὰς ἐκτινόμενο]ι (oppure ὑ̣[βριστὰς oppure διώκοντες oppure ἐκδιδόασι
κα]ί); al r. 8 ε̣ἰσὶν ὅπωσπερ ἀ[νδρὸς] ἀδίκου̣ θρ̣ά̣[σους κολασταὶ δει]νοὶ (vel
θη̣[ρευταὶ .........(.)]νοὶ). traduzione: «ma quali servitori degli dèi nel punire
(vel perseguitare?) (65) tutti i tracotanti secondo giustizia, sono…» + «sono

(61) la Piano adduce hERod., V, 8, 4 ἔπειτα δὲ θάπτουσι κατακαύσαντες ἢ ἄλλως γῆι κρύ-
ψαντες, definendolo «un buon parallelo» per l’accezione da lei voluta (V. Piano, P.Derveni III-
VI, cit., p. 7). invece è pessimo, poiché neanche questo ἄλλως significa «altrimenti» (se non nelle
traduzioni ‘pigre’ e au pied de la lettre). il suo vero senso è «simply», «merely» (R.W. MaCan,
Herodotus, vol. i, london - new york 1895, p. 157; J.E. PoWEll, A Lexicon to Herodotus, Cam-
bridge 1938, p. 16).
(62) nell’articolo P.Derveni III-VI, cit., dello stesso anno (2016) ma precedente al libro, la
Piano preferiva l’ordine inverso: «non tardano vel si ritirano» (p. 6).
(63) la traduzione vera del greco costituito dalla Piano sarebbe «vi sono demoni che sotto-
terra non si ritirano (tardano) mai». Però non si vedrebbe lo scopo della restrizione, a meno di
non immaginare un’esistenza parallela di demoni di superficie che – a differenza dei loro colleghi
κατὰ γῆς – possono anche ritirarsi o tardare.
(64) E infatti in P.Derveni III-VI, cit., p. 6, il testo era οἱ κατὰ γῆς, inserito però nella dubbia
sequenza καὶ οἱ] δὲ | δαίμονες οἱ κατὰ [γῆς. Viene anche da chiedersi perché mai l’anonimo do-
vrebbe specificare che i demoni non tardano, quasi che esistesse un’alternativa. Essi tarderanno,
eventualmente, quando il colpevole è vivo (la numinum vindicta non è sempre immediata), ma
qui si parla di aldilà, e quando il colpevole giunge nell’aldilà non c’è ragione per cui i demoni
non dovrebbero aggredirlo subito.
(65) «Perseguitare secondo giustizia» (δίκηι) ha poco senso; la Piano avrà voluto dire «per-
seguire».
52 WaltER laPini

proprio come punitori della tracotanza di un uomo ingiusto» (pp. 73-74). Que-
ste integrazioni sono fatte in uno stile particolarmente sgraziato e con una
grammatica particolarmente borderline. Ma, soprattutto, sembra che la mano
destra non sappia cosa fa la sinistra, poiché ὡς e ὅπωσπερ difficilmente posso-
no convivere, non solo nella stessa frase, ma anche in due frasi contigue (cf. P.
Derveni III-VI, p. 8). in ὅπωσπερ κολασταί inoltre non capisco ὅπωσπερ (se
puniscono sono punitori, punto e basta). da escludersi δίκηι, almeno nel senso
voluto dalla Piano, il cui richiamo a Plat., Criti., 112e τὴν Ἑλλάδα δίκηι διοι-
κοῦντες è pertinente solo in apparenza, poiché lì δίκηι dipende da διοικεῖν ed
è uno strumentale, mentre qui andrebbe a formare con ἐκτίνεσθαι un nesso che
secondo la Piano vorrebbe dire δίκην λαμβάνειν, ma che più probabilmente non
vuole dire nulla. È da notare infine che il testo della Piano non prevede articoli
né davanti a θεῶν né davanti a ὑβριστάς né davanti a θράσους. il che mi sembra
impensabile: d’accordo che si tratta di exempli gratia, ma non possiamo far par-
lare l’anonimo come i pellirosse dei film americani.
– V 4-6 αὐτοῖς πάριμεν̣, [εἰς τὸ μα]ντεῖον ἐπερ[ω]τ̣ή̣σο̣ ν̣ τ̣ [̣ ες] | τῶμ μαντευο-
μέν[ων ἕν]εκεν, εἰ θέμι[ς προσ]δ̣ο̣κ̣ᾶ̣ν̣ | ἐν Ἅιδου δεινά «per loro (?) entriamo
nella sede oracolare per chiedere, a vantaggio di quanti richiedono il responso
(vel in merito alle cose vaticinate), se è lecito aspettarsi cose terribili nell’ade»
(pp. 80-81, 102) (66). la Piano, giustamente secondo me, intende τῶμ μαν-
τευομένων come maschile (pur non escludendo il neutro) (67). Ma, se è maschi-
le, non sta in piedi che i beneficiari dell’ ἐπερωτᾶν siano rammentati due volte,
prima con αὐτοῖς e poi con τῶμ μαντευομένων ἕνεκεν (68). su προσδοκᾶν +

(66) sulla punteggiatura di questi righi si veda sopra, nota 44.


(67) la critica si divide: optano per il neutro a. laks, G.W. Most, A Provisional Transla-
tion, cit., p. 11; F. JouRdan, op. cit., p. 5 e nota 2; G. BEtEGh, The Derveni Papyrus, cit., p. 13,
e altri; preferiscono il maschile k. tsantsanoGlou, art. cit., p. 97; M. toRtoRElli Ghidini, op.
cit., p. 189; F. FERRaRi, Rites without Frontiers: Magi and Mystae in the Derveni Papyrus, «ZPE»
179 (2011), pp. 71-83: 74, ecc.; Janko è ondivago: nel 2001 (Diagoras of Melos, cit., pp. 19-20)
sceglie il neutro (e nel 2005 si pente: Recensione a Betegh 2004, «Bryn Mawr Classical Review»,
2005.01.27, nota 10: «i mistakenly took τῶμ μαντευομένων as neuter»), nel 2002 il maschile,
nel 2016 il neutro (seguìto da M.E. kotWiCk, op. cit., p. 73). il passivo di μαντεύεσθαι è raro e
usato in genere solo per le forme non equivocabili del tipo τὰ μεμαντευμένα o τὰ μαντευθέντα.
nonostante le traduzioni correnti (Platon, t. X: Timée, Critias, texte établi et traduit par a. Ri-
Vaud, Paris 1925, 19632, p. 199; Platone. Timeo, introduzione, traduzione e note di F. FRontE-
Rotta, Milano 2003, p. 357), e nonostante l’apparenza, considero maschile e non neutro il μαν-
τεύεσθαι di Plat., Tim., 72b προφῆται δὲ μαντευομένων δικαιότατα ὀνομάζοιντ’ ἄν.
(68) lo notava anche R. Janko, Diagoras of Melos, cit., p. 20 nota 84.
FRa «PRotaGonisMo dEl dEMoniCo» E «diaCosMEsi IN FIERI» 53

δεινά la Piano scrive: «un parallelo di particolare interesse a tal proposito è of-
ferto da Platone, in un passo del Filebo in cui verbo e aggettivo compaiono pro-
prio in relazione ai terrori oltremondani: Plat., Phil., 20b δεινὸν μὲν τοίνυν ἔτι
προσδοκᾶν οὐδὲν δεῖ τὸν ἐμέ, ἐπειδὴ τοῦθ’ οὕτως εἶπες· τὸ γὰρ βούλει ῥηθὲν
λύει πάντα φόβον ἑκάστων πέρι» (69). Veramente nel Filebo non si parla di ter-
rori oltremondani, né di aldilà in genere; e men che meno in questo passo, il
cui tema è la distinzione fra i tipi di ἡδονή e i tipi di ἐπιστήμη. la «paura» è
un’iperbole giocosa, la solita coquetterie ironica di socrate. la Piano ha evi-
dentemente confuso ἑκάστων con ἐσχάτων (70), peraltro aggravando il grosso-
lano errore con la reinterpretazione del termine ἔσχατος alla luce dei suoi svi-
luppi moderni (71).
– iV 7-8 ἥλιο̣[ς κόσ]μ̣ου κατὰ φ̣ύσιν ἀνθρω[πηΐου] ε̣ὖρος ποδός [ἐστι, ] |
τὸ μ̣[έγεθο]ς̣ οὐχ ὑπερβάλλων «il sole del cosmo, secondo (la sua?) natura, è
dell’ampiezza di un piede umano» (pp. 78-80; cf. pp. 156, 174-176, 183). su
questa pericope viene costruita – e attribuita a Eraclito – una teoria vagamente
fumettistica secondo cui il sole (credat Iudaeus Apella) si espanderebbe come
una specie di rana esopica e sarebbe per questo punito dalle Erinni. nel fr. 94
dk di Eraclito quale lo conosciamo da Plut., De ex., 604a risulta evidente
(stando almeno al contesto della citazione) che il sole verrà punito per altri
motivi: perché sconfinerà, soverchierà, eccederà e così via. la questione è com-
plessa e non possiamo approfondire (72). Possiamo però notare che l’integra-

(69) V. Piano, P.Derveni III-VI, cit., p. 14.


(70) non è questa l’unica volta in cui la Piano cita dei passi senza controllarli. un altro ca-
so a p. 222: Plat., Resp., 572e οἱ δεινοὶ μάγοι τε καὶ τυραννοποιοί, una frase di cui non solo la
studiosa stravolge la sintassi (si veda sopra, nota 30), ma di cui travisa anche il senso generale,
dato che intende «facitori di tiranni» in rapporto «al funzionamento della macchina reale», e
quindi, immagino, nel senso di fautori, sostenitori, alleati dell’autocrazia persiana. non si accor-
ge che Platone usa τυραννοποιοί con valore figurato, intendendo i cattivi compagni che fanno
di tutto per suscitare nei giovani l’indisciplina e la sfrenatezza.
(71) anche a p. 103 il passo del Filebo è definito «parallelo stringente». M.a. santaMaRía,
Recensione a Piano 2016, cit., crede sulla parola alla Piano e anzi rilancia: «προσ]δ̣ο̣κ̣ᾶ̣ν̣ | ἐν
Ἅιδου δεινά has some close parallels» (si noti il plurale).
(72) Fra i dervenisti il dibattito è acceso: pensano alle dimensioni del sole k. tsantsano-
Glou, G.M. PaRássoGlou, Heraclitus in the Derveni Papyrus, in a. BRanCaCCi, F. dEClEVa
CaiZZi, M.s. FunGhi et AL., Aristoxenica, Menandrea, fragmenta philosophica, Firenze 1988,
pp. 125-133: 132; F. FERRaRi, Frustoli erranti. Per una ricostruzione di P.Derveni coll. I-III,
in Papiri filosofici. Miscellanea di studi VI, stCPF 16, Firenze 2011, pp. 39-54: 45-46. darei
senz’altro ragione a chi parla di percorso e/o durata, come M. toRtoRElli Ghidini, op. cit., pp.
233-234.
54 WaltER laPini

zione κόσ]μ̣ου non è della Piano ma di lebedev (73). dunque va bene scrivere
«legi», ma l’aggiunta «supplevi monente lebedev» (p. 79), con cui lo studioso
russo viene declassato da primus inventor a mero precursore, è quantomeno
ingenerosa; per non dire degli apparati di P.Derveni III-VI, p. 9: «κόσ]μ̣ου
conieci», e di laks e Most, EGP, p. 383: «κόσ]μ̣ου Piano», in cui del povero
lebedev sono cancellate anche le tracce (74). Ma la cosa veramente grave qui
è la resa di ἥλιος κόσμου con «sole del cosmo», affatto implausibile per forma
e per concetto (75); tanto che in questo caso la Piano viene eccezionalmente
abbandonata persino da laks e Most (EGP, p. 383).
– iV 9-10 τὰ δὲ] ὑπελάμ̣[μανε | ὅπως μὴ εὖρος ὑπερ]βατὸμ ποῆι «egli
supponeva [queste cose perché (scil. il sole) non] rendesse superabile [la sua
ampiezza]» (pp. 78 e 80). Premesso che tutta la frase mi pare priva di senso
(non meno nella versione italiana che in quella inglese di laks e Most, EGP,
pp. 384-385), ritengo erroneo addurre XXii 13-14 come pezza d’appoggio per
il cambiamento di soggetto che la Piano postula fra ὑπελάμμανε (orfeo) e ποῆι
(il sole). Così la studiosa stampa e traduce XXii 13-14 καλε[ῖτ]αι γὰ[ρ] | καὶ
«Δηιὼ» ὅτι ἐδηϊ[ώθ]η ἐν τῆι με̣ίξει· δηλώσει δὲ̣ [ὅτ]αν | κα̣τὰ τὰ ἔπη̣ γέν̣[ηται]
«viene detta anche ‘deio’ dal fatto che fu lacerata durante l’unione; questo lo
chiarirà (scil. orfeo) quando, secondo il racconto, costei sarà nata» (76). una
traduzione priva di senso. si intenda invece: «(orfeo) lo spiegherà quando sarà
arrivato ai versi (dedicati a questo argomento)» (77). dunque δηλώσει e γένη-

(73) a.V. lEBEdEV, Heraclitus in P.Derveni, «ZPE» 79 (1989), pp. 39-47: 39.
(74) Caso analogo in XXiV 4, dove a. laks, G.W. Most, EGP, p. 428, attribuiscono a «Ber-
nabé-Piano» il ritocco «ε⟨ἰ⟩ρῆσθ̣αι, che appartiene invece a G. RiCCiaRdElli, Orfismo e inter-
pretazione allegorica, «Boll. dei Class.» iii s., 1 (1980), pp. 116-130: 126 (cf. G. BEtEGh, The
Derveni Papyrus, cit., p. 50; R. Janko, Recensione a KPT 2006, «Bryn Mawr Classical Review»,
2006.10.29), anzi a R. MERkElBaCh, Der orphische Papyrus, «ZPE» 1 (1967), pp. 21-32: 30.
non vale la pena di questionare su un restauro di così modesta entità, ma ove si decida di indicarne
un inventor, tanto vale indicare quello giusto (e le fonti per accertarsene non mancavano).
(75) a.V. lEBEdEV, art. cit., p. 39, faceva dipendere κόσμου da un ἄρχει integrato al r. 6; R.
Janko, Parmenides, cit., p. 18, e M.E. kotWiCk, op. cit., p. 73, lo fanno dipendere da φύσιν: «il
sole secondo la natura del cosmo»; altri hanno optato per ἑαυτοῦ o ἑωυτοῦ: «il sole secondo la
sua natura» (tsantsanoGlou, art. cit., p. 94; F. JouRdan, op. cit., p. 4; M. toRtoRElli Ghidini,
op. cit., p. 186), altri altro.
(76) V. Piano, P.Derveni III-VI, cit., p. 12. non si capisce perché ἐδηϊώθη sia scritto con la
dieresi e Δηιώ no. dato che la volontà del commentatore è quella di dedurre il nome dal verbo,
il minimo che possiamo fare è scriverli uguali. E comunque, se si scrive Δηιώ senza dieresi, per-
ché «deio» e non «deo»?
(77) la Piano non è l’unica a fraintendere: come lei R. Janko, Diagoras of Melos, cit., p.
FRa «PRotaGonisMo dEl dEMoniCo» E «diaCosMEsi IN FIERI» 55

ται sono riferiti allo stesso soggetto, orfeo (78), e il passo non ha alcun valore
di parallelo.
– Vi 2-4 ἐπ̣[αοιδὴ δ]ὲ̣ μάγων δύν[α]ται δ̣αίμο̣νας ἐμ[ποδὼν] | γι̣[νομένο]υ̣ς
μεθιστάν̣αι. δαίμον̣ες ἐμπο[δίζουσι ὡς | ψυχαὶ τιμωροί «l’incantesimo dei magi
ha il potere di allontanare i demoni che sono di ostacolo; i demoni sono d’osta-
colo come anime in cerca di vendetta» (pp. 81-82). anche ammesso che alcuni
di questi supplementi siano inevitabili, il quadro nel complesso non regge. si
era detto prima che i demoni non si ritirano mai, qui invece si scopre che farli
ritirare è possibile: p. 237 «allontanamento dei δαίμονες ἐμποδών». Bene. Poi
però a p. 188 nota 159 non si parla più di allontanare i demoni, bensì di renderli
benevoli. Poiché μεθιστάναι vuol dire «spostare, rimuovere», le operazioni sa-
ranno due: trovandosi pressati da tutti questi demoni, innanzitutto i magi li man-
dano via, dopodiché, fatto spazio, li rendono benevoli. non si sa cosa succeda
poi: se i demoni restino dove sono o tornino a farsi sotto (79). spiegazione an-
cora diversa a p. 201: «i μάγοι assumono un atteggiamento di espiazione men-
tre compiono il sacrificio, così da annullarne l’azione di impedimento [scil. dei
δαίμονες ἐμποδών] e, di conseguenza, favorirne il processo catartico». Con il
che la situazione diventa veramente demenziale.
Che cosa pensare di queste ricostruzioni, di queste integrazioni? Più che
greco vero, sembra italiano tradotto. la Piano dice che l’anonimo si esprime in

29 = The Derveni Papyrus, cit., p. 45; G. BEtEGh, The Derveni Papyrus, cit., p. 47, ecc.: meglio
di tutti M.E. kotWiCk, op. cit., p. 78: «es wird klar werden, wenn sie (scil. die Vereinigung) im
Gedicht vorkommt».
(78) a meno che δηλώσει non sia impersonale; il che non è da escludere. Ma la tesi della
Piano non ne guadagnerebbe.
(79) non pochi studiosi, a dire il vero quasi tutti, assegnano al nostro μεθιστάναι un doppio
significato: da una parte «mandare via» e dall’altra «trasformare», i.e. da cattivi a buoni, quindi
«ammansire»: cf. a. laks, G.W. Most, A Provisional Translation, cit., p. 11; k. tsantsanoGlou,
art. cit., pp. 98 e 112; F. JouRdan, op. cit., p. 6 e nota 3; a. BERnaBé, On the Rites Described and
Commented Upon in the Derveni Papyrus, Cols. I-VI, in i. PaPadoPoulou, l. MuEllnER (edd.),
The Derveni Papyrus. Proceedings of the Derveni Papyrus Conference at the Center for Hellenic
Studies, July 7-9, 2008, «Classics@» 5 (2011), pp. 19-52: 39, ecc. osservo che (1) il criterio dei
significati compresenti viene usato in modo troppo corrivo nell’esegesi dei passi difficili del pa-
piro, spesso con risultati discutibili: penso in particolare a M. sCERMino, P.Derveni coll. XIII-
XVI: un mito, due frammenti, un rompicapo, in Papiri filosofici. Miscellanea di studi VI, stCPF
16, Firenze 2011, pp. 55-90, che analizza XVi 3 βασιλέως αἰδοίου mettendo insieme tutti e due
i significati di αἰδοίου e ricavandone un riferimento a «un re ritenuto ‘venerando’ proprio in vir-
tù dei propri αἰδοῖα» (?) (p. 77); (2) se l’oggetto del μεθιστάναι è qualcuno «che sta fra i piedi»,
l’accezione astratta non è la più intuitiva.
56 WaltER laPini

maniera dura e rozza, ma spesso è lei a farlo esprimere così. E infatti nelle co-
lonne meno rovinate, diciamo dalla Xii in poi, gli articoli e le particelle acqui-
stano una loro regolarità (80), i discorsi cominciano a tornare, e la qualità della
lingua, pur fra le tante incertezze di ricostruzione e di esegesi, si dimostra ben
superiore a quella di un defixor o di un triviale lamellaro. le vere assurdità non
si incontrano nelle parti materialmente esistenti, ma in quelle ricostruite (81).
non solo alcune conclusioni della Piano, ma anche alcuni ragionamenti
destano profonda sorpresa. Qualche esempio:
– a p. 96 la traduzione χ]οαὶ σταγόσιν̣ = «libagioni in gocce» (iiibis 5),
ancorché in mancanza sia di adeguati paralleli sia di interna verosimiglianza
(«in gocce» si dice κατὰ σταγόνα(ς)), viene accolta da tutti e quindi anche dalla
Piano; la quale però, a ulteriore difesa di questa scelta, aggiunge che la pericope
«è restituita da una evidenza paleografica tale da non poter essere messa in di-
scussione» (p. 97). Verissimo. Ma è vero altresì che χ]οαὶ σταγόσιν̣ è preceduto
e seguito da vaste lacune, e che le parole, come le persone, non stanno insie-
me solo perché sono vicine (82). Quanto all’evidenza paleografica, anche θεὰ
Πηληϊάδεω è ben attestato, però non vuol dire «la dea del Pelide».
– a p. 132 il testo della col. iii (nella ricostruzione di Janko) è così com-
mentato: «difficoltà grammaticali sorgono dalla struttura sintattica dei rr. 3-4.
la vicinanza di un predicato verbale al singolare (γίνετα[ι) e di uno al plurale
(τιμῶσιν̣) al r. 3 rende difficile ripristinare un testo dotato di senso, a maggior
ragione vista la breve lacuna tra τιμῶσιν̣ e [.(.)]ι̣ρη̣ ̣ λ[̣ , che, oltre a determinare
un asindeto piuttosto duro, non consente di integrare il testo così da produrre
un cambio di soggetto. Probabilmente anche per questo motivo Janko ha con-
cordato τιμῶσιν̣ con il nominativo plurale che compare a fine di frase (χ]οαὶ

(80) E alcuni studiosi, in genere coloro che meno si accaniscono nei rifacimenti a oltranza
dei textus deperditi, lo riconoscono senza reticenze: e.g. F. JouRdan, op. cit., p. 13 nota 6, che
evidenzia attenzione e consapevolezza da parte dell’anonimo nella distribuzione dei μέν e dei δέ.
(81) non per colpa della Piano e basta, sia chiaro. in XViii 1, R. Janko proponeva un δέ in
quarta posizione: φάμενος [εἶπε]ν τὴν δ[ὲ γῆν] καὶ τἆλλα (The Derveni Papyrus, cit., p. 36, in
apparato); proposta poi opportunamente ritrattata (Recensione a Betegh 2004, cit.); in iV 4, C.
Vassallo, rec. cit., p. 269 propone da ultimo ἆρ’ οὐ τά[ξις πάντω]ν δὲ κόσμος, con un δέ anco-
ra più eccentrico. E si vedano le ricostruzioni di Ferrari alle coll. i 6 e iii 5, con rispettivamente
quattro apostrofi su sette parole (ὧδ’ ἐπέθηκ’ ἐνταῦθ’ εὐχῆς ἵν’ ἀμφὶ Ἐρινύων) e addirittura quat-
tro su sei (ἐξώλε’ ἀσινέ’ ὃς ἔτεισ’ ἕκαστ’ Ἐρινύσι), non proprio attraentissime.
(82) E infatti si è cercato da parte di taluno di creare intorno a σταγόσιν almeno un abbozzo
di contesto discorsivo: k. tsantsanoGlou, art. cit., p. 96: «choai poured down in drops»; F. FER-
RaRi, Frustoli erranti, cit., p. 47: «le libagioni sono versate in gocce» (χ]ο̣αὶ στα̣γόσιγ̣ [χ]έον̣[ται).
FRa «PRotaGonisMo dEl dEMoniCo» E «diaCosMEsi IN FIERI» 57

σταγόσιν̣), postulando un ordo verborum non proprio usuale». non è chiaro


perché uno spazio di cinque lettere non permetterebbe un cambio di soggetto
(fra ὄρσε e ὀλέκοντο di Il., i, 11 le lettere sono cinque, e fra ἔοικε e λεύσσετε
di Il., i, 119-120 zero), né perché τιμῶσιν non potrebbe essere un dativo, né per-
ché avremmo «un ordo verborum non proprio usuale». Fra τιμῶσιν e χοαί stan-
no fra le 30 e le 33 lettere. altrettante ne conto, anzi qualcuna di più, fra
inizio verso e soggetto in Il., i, 353-354 τιμήν πέρ μοι ὄφελλεν ’Ολύμπιος ἐγ-
γυαλίξαι | Ζεὺς ὑψιβρεμέτης, dove la disposizione delle parole è normalissi-
ma. l’argomento del soggetto in clausola ha valore solo per chi ragioni sul gre-
co come farebbe sull’italiano. anche in thuC., ii, 43, 6, per dire, abbiamo un
soggetto in clausola, solo che il soggetto occupa almeno i due terzi del periodo,
da ἔχοντι in poi: ἀλγεινοτέρα γὰρ ἀνδρί γε φρόνημα ἔχοντι ἡ μετὰ τοῦ μαλα-
κισθῆναι κάκωσις ἢ ὁ μετὰ ῥώμης καὶ κοινῆς ἐλπίδος ἅμα γιγνόμενος ἀναί-
σθητος θάνατος.
– a p. 78 la Piano stampa ἆρ’ οὐ τα̣[κτὸς ....]ν̣δε κόσμος; «non è forse or-
dinato il cosmo […]?», e commenta: «sebbene manchino occorrenze di τα[κτός
in ambito cosmologico, le attestazioni di termini corradicali, soprattutto del-
l’opposto ἄτακτος/ἀτάκτως abbondano in un contesto come il nostro; cf. e.g.
aristot. Cael. 300b18; dl iii 76 7» (P.Derveni III-VI, p. 10). temo che la stu-
diosa non afferri la natura del problema. non è in discussione la congruità di
τάσσειν, bensì della forma τακτός, al posto della quale ci aspetteremmo ταχθείς
o τεταγμένος o altro simile: perciò invocare i corradicali non serve. Euripide
non ha scritto un Ἱππόλυτος καλυπτός, né Menandro una Περικαρτή. E chi usa
fero fers non è detto che usi anche latu.
– a p. 192 la Piano dichiara di preferire l’integrazione εὐχαὶ καὶ θυσίαι (Vi
1) a χοὴ καὶ θυσίαι sia per motivi paleografici sia per motivi «morfo-sintat-
tici». in realtà la differenza è di stile: la prima lezione è più uniforme, l’altra
meno. a p. 333 nota 84 parla della correzione di ὅς in οὗ in Xiii 4 di F. Ferrari
(83) come di un rimedio a una «anomalia sintattica». a torto: la sintassi va bene
anche con ὅς; l’anomalia viene dopo, e riguarda il costrutto ἐκθορεῖν + accusa-
tivo. a p. 139 nel commentare ἑκὰς ’Ερινύων definisce ἑκάς «avverbio spazia-
le». impropriamente: qui si tratta di preposizione. Ci sono poi dei casi in cui il
commento linguistico sconfina nel surreale, e.g. alle pp. 138-139, dove viene
messo in dubbio il significato di «where, in which place» assegnato da lsJ a
ἵνα περ di Il., XXiV, 381-382 ἠέ πηι ἐκπέμπεις κειμήλια πολλὰ καὶ ἐσθλὰ |
ἄνδρας ἐς ἀλλοδαπούς, ἵνα περ τάδε τοι σόα μίμνηι e Od., Xiii, 363-364 ἀλλὰ

(83) F. FERRaRi, From Orpheus to Teiresias, «ZPE» 186 (2013), pp. 57-75: 61.
58 WaltER laPini

χρήματα μὲν μυχῶι ἄντρου θεσπεσίοιο | θείομεν αὐτίκα νῦν, ἵνα περ τάδε τοι
σόα μίμνηι. Questo ἵνα περ «sembra avere, soprattutto nel passo iliadico, anche
la valenza di congiunzione completiva […]. Per il passo odissiaco, invece, la
resa del congiuntivo con un valore indipendente ed esortativo potrebbe essere
avvalorata dalla costruzione precedente: ἀλλὰ χρήματα μὲν μυχῶι ἄντρου
θεσπεσίοιο | θείομεν αὐτίκα νῦν, ἵνα περ κτλ.». È un modo di ragionare sbalor-
ditivo. nel passo dell’Iliade la «valenza» (come alla Piano piace dire) di con-
giunzione completiva non è in competizione con l’accezione locale (esistono
le relative finali, le relative consecutive, ecc.); e nel passo odissiaco va da sé
che il congiuntivo μίμνηι non può essere allo stesso tempo subordinato e indi-
pendente, o finale ed esortativo (!?); non vedo inoltre in che modo la «costru-
zione precedente», cioè in sostanza la proposizione che fa perno su θείομεν,
valga a supportare la resa «indipendente ed esortativa» di una subordinata fina-
le. (non entro volutamente nella questione dei nomi in dentale maschili e fem-
minili trattata a p. 96 e nota 16).
un fenomeno frequente nel libro della Piano è che anche le letture più in-
certe, le ipotesi più vaghe, le mere proiezioni, diventano, con l’andare delle pa-
gine, certezze, fatti, punti fermi su cui costruire ulteriormente. Prendiamo il già
ricordato iii 4: prima una lettura dubbia: ηαλ; poi un’integrazione ancora più
dubbia: ἢ ἄλλως ἀλάστωρ; poi la conclusione, data nonchalantemente per acqui-
sita e utilizzata come ὁρμή per altre avventure nello spazio: «dopo aver affer-
mato [corsivo mio] che il demone personale può essere benevolo o meno…»
ecc. (p. 148). oppure V 10, sull’«importante equivalenza fra ἀμαθία e ἀπιστία
affermata a chiare lettere [corsivo mio] nella colonna V 10 ἀπ[ι]στίη δὲ κἀ-
μα̣[θίη ταὐτόν» (p. 112). a chiare lettere non direi, visto che ταὐτόν, per quan-
to plausibile, è interamente ricostruito. o ancora Vi 1 μ[ειλ]ί̣σσ ̣ ο̣ υ̣ σι: «può con-
siderarsi sicur[o], come mostra anche l’accordo delle varie edizioni» (p. 199
nota 28). in verità siamo sicuri solo del μ iniziale e della desinenza. E poi che
argomento sarebbe quello dell’accordo delle edizioni? o infine XXiii 12 τῶ[ι]
ὕδα[τι] ὅ̣λ[̣ ως τίθη]σ̣ι ’Αχελωΐου ὄνομ̣[α (84), in cui τίθησι è detto integrazione
«pressoché certa» (p. 89 nota 25). io tutta questa certezza non la vedo, dato che,

(84) la lezione corretta è ’Αχελῶιον ὄνομ̣[α. la Piano scrive’Αχελωΐου perché si confonde


con il rigo precedente, dove il nome sta appunto al genitivo (con dieresi, perché siamo in un esa-
metro e la prosodia la richiede). Caso simile a p. 188, dove è stampato δαίμον̣ες ἐμπο[δών per
confusione tra due righi consecutivi (Vi 2 e Vi 3) e a p. 321: «e dunque Zeus chiamò questo sof-
fio Moira». il soggetto non è Zeus ovviamente, ma orfeo. E i versi, indicati come il 2 e il 3 della
col. XiX, sono sì il 2 e il 3, ma della col. XViii, che si trova nella pagina a fronte.
FRa «PRotaGonisMo dEl dEMoniCo» E «diaCosMEsi IN FIERI» 59

quand’anche di τίθησι si leggesse qualcosa di più dello iota finale, la forma at-
tesa sarebbe τίθησιν (85).
dal fr. 14 dk la Piano ricava «la constatazione da parte di Eraclito di una
loro [scil. dei νυκτιπόλοι, μάγοι, ecc.] effettiva convivenza e condivisione di
concezioni e prospettive religiose nella Efeso del tempo» (p. 241). Ma il testo
dice solo νυκτιπόλοις μάγοις βάκχοις λήναις μύσταις (…). τὰ γὰρ νομιζόμενα
κατ’ ἀνθρώπους μυστήρια ἀνιερωστὶ μυεῦνται (86): sapere che cosa si pensas-
se nella Efeso del tempo credo vada oltre le nostre possibilità. in V 9-10 οὐ]
μ̣α̣νθ̣ ̣ [άνο]υ̣σιν [οὐδὲ] π̣ιστεύουσι l’oggetto del μανθάνειν e del πιστεύειν non
c’è e non sappiamo cosa sia; ma la Piano disinvoltamente spiega: «non com-
prendono e dunque non credono alle manifestazioni del divino nella sua intera-
zione con l’umano (V 8-10)» (p. 248). a p. 299 afferma che il Papiro di derve-
ni e i vv. 1013-1016 dell’Elena di Euripide mettono in evidenza «le stesse ten-
sioni fra etica, escatologia e cosmologia». il passo euripideo è questo: καὶ γὰρ
τίσις τῶνδ’ ἐστὶ τοῖς τε νερτέροις | καὶ τοῖς ἄνωθεν πᾶσιν ἀνθρώποις. ὁ νοῦς |
τῶν κατθανόντων ζῆι μὲν οὔ, γνώμην δ’ ἔχει | ἀθάνατον εἰς ἀθάνατον αἰθέρ’
ἐμπεσών, ma non vedo dove sia la cosmologia (voleva dire fisica?) e neanche
dove siano le tensioni.
non sarà fuori luogo notare infine che quanto la Piano è indulgente verso
le proprie posizioni, tanto è inflessibile verso le altrui. la studiosa si concede
possibilismi, sovrainterpretazioni e forzature di ogni genere, ma non esita a boc-
ciare il δαίμο]σ̣ι̣ [δ’] ἑκάστοι̣ς di Ferrari, che avrebbe, fra le altre cose, il difetto
di essere «altamente congetturale» (p. 131 nota 1); o a respingere ὅπωσπερ +
congiuntivo, sempre di Ferrari, osservando che ὅπωσπερ congiunzionale non
è attestato (p. 138) – salvo poi assumere come certo, alla pagina dopo, un ἑκὰς
Ἐρινύων = ἄνευ ’Ερινύων senza minimamente curarsi di documentare questo
senso di ἑκάς τινος = ἄνευ τινός (87). Vede la pagliuzza χοή vs. θυσίαι di Vi 1,
inatteso singulare cum plurali (88), e non vede la trave ἵλεως vs. ἀλάστωρ in
iii 4, che è asimmetria ben più grave. È un atteggiamento fastidioso, e che si

(85) E infatti M.E. kotWiCk, op. cit., p. 98, stampa τίθη]σ̣ι⟨ν⟩ Ἀχελῶιον (testo di Janko).
(86) il frammento proviene da ClEM., Protr., 22, 2 (i, 16 st.) ed è di confini incerti. adotto
la versione lunga, ma è probabile che solo le parole da τὰ γὰρ νομιζόμενα in poi appartengano
effettivamente a Eraclito.
(87) Quello che la Piano a p. 138 chiama «parallelo interno», XXV 3-4 ἑκὰς ἀλλήλων (cf.
anche P.Derveni III-VI, cit., p. 7), non lo è affatto, perché il senso è diverso: «lontano da».
(88) le obiezioni «morfo-sintattiche», come la Piano le chiama a p. 192, possono riferirsi
solo a questo. si veda sopra.
60 WaltER laPini

registra un po’ dovunque in questo libro, sia nelle sezioni poste sotto il segno
di dinos e anapnoè, sia soprattutto, come è ovvio, nelle sezioni testualistiche.
abbiamo detto che la Piano si occupa solo delle coll. 0-Vi. in realtà forni-
sce qua e là anticipazioni anche su alcuni punti delicati delle colonne succes-
sive, sulle quali la studiosa intende ritornare in varie sedi e soprattutto nel vo-
lume Il rotolo e il testo, il nr. 17 della serie «studi e testi del Corpus dei Papiri
Filosofici», posposto al nr. 18 per non meglio chiarite «ragioni editoriali» (89).
Vedremo che cosa ci riserverà questa attesissima opera. le premesse purtrop-
po non sono incoraggianti, come si può evincere anche dai pochi esempi qui
sotto:
– Vii 11 διδάσκειν τοὺς τὴ]ν ἀκοὴν [καθαρεύο]ντας «dare insegnamenti a
coloro che purificano l’orecchio» (p. 120 nota 127): confonde καθαρεύειν con
καθαίρειν.
– XV 9-10 οὐκ ἐξ ἑτέρ̣[ων] | ἕτερ’ ἀλλ’ ἕτε̣[ρ’ ἐκ τῶν αὐτῶν: traduce in due
modi diversi ed entrambi inesatti: p. 311 nota 8 «realizzò […] non le cose da
altre cose, ma le cose dalle stesse», e p. 337 «produce le cose non le une dalle
altre, ma le altre dalle stesse», dove dà a ἑτέρων il significato di ἀλλήλων (fa-
cendo dire all’anonimo un’insensatezza) (90).
– XVi 3-6 πρωτογόνου βασιλέως αἰδοίου· τῶι δ’ ἄρα πάντες | ἀθάνατοι
προσέφυμ μάκαρες θεοὶ ἠδ̣ὲ θέαιναι | καὶ ποταμοὶ καὶ κρῆναι ἐπήρατοι ἄλ̣λα
τε πάντα, | ἅ̣σσα τότ’ ἦγ γεγαῶτ’, αὐτὸς δ’ ἄρα μοῦνος ἔγεντο: intende προσέ-
φυν sia come «crescere su» (p. 337 nota 95) (91) sia come «ri-crescere su» (p.

(89) Così appunto sta scritto a p. iX nell’Avvertenza dei curatori: «ragioni editoriali». Che
è come dire: sono fatti nostri. Ma sono fatti anche del lettore, messo nelle condizioni di dover
giudicare il sequel di un film non visto. su questo punto anche i recensori manifestano qualche
fastidio: cf. a. MaRChiando, Recensione a Piano 2016, «asdiwal» 12 (2017), pp. 201-203: 203;
e soprattutto s. BussÈs, Recensione a Piano 2016, «Class. Rev.» 68 (2018), pp. 331-333: 332:
«it should be noted that Piano’s book precedes the as yet unpublished original version of her text
‘per ragioni editoriali’. Conclusive evidence drawn from the unpublished vol. 17 occurs in a num-
ber of places, which renders the volume seemingly founded on evidence that cannot be checked».
(90) Cf. M. toRtoRElli Ghidini, op. cit., p. 209. la frase vuol dire: «not different things
from different ones, but different ones from the same» (R. Janko, The Derveni Papyrus, cit., p.
31; G. BEtEGh, The Derveni Papyrus, cit., p. 33); «(und zwar) nicht aus anderen (dingen) andere
(dinge), sondern andere [aus denselben]» (M.E. kotWiCk, op. cit., p. 85).
(91) Così R. Janko, Diagoras of Melos, cit., p. 25; a. BERnaBé, The Derveni Theogony:
Many Questions and Some Answers, «harv. st. Class. Philol.» 103 (2007), pp. 99-135: 109; M.a.
santaMaRía, Critical Notes to the Orphic Poem of the Derveni Papyrus, «ZPE» 182 (2012), pp.
55-76: 72 e 75; M.E. kotWiCk, op. cit., p. 87, ecc.
FRa «PRotaGonisMo dEl dEMoniCo» E «diaCosMEsi IN FIERI» 61

336 nota 92 «ricrebbero su»; p. 337 «ricresce sopra») (92), quasi fossero la
stessa cosa; e senza neanche prendere in considerazione l’accezione più ovvia
di προσφῦναι, cioè «appiccicarsi, aderire» (93), che, se teniamo presente il di
poco successivo μοῦνος ἔγεντο, è forse l’unica possibile in questo contesto (94).
– XViii 1-2 τὴν δὲ Μοῖρα]μ φάμενος [δηλοῖ] τήνδ[ε γῆν] καὶ τἆλλα
πάν[τ]α̣ εἶναι | ἐν τῶι ἀέρ̣ι ̣ [πνε]ῦμα ἐόν «dicendo ‘Moira’ intende che tutte le
altre cose sono nell’aria che è soffio» (p. 317): concorda l’accusativo πνεῦμα
ἐόν con il dativo τῶι ἀέρι (95).
– XXii 1-6 πάν̣[τ’ οὖ]ν ὁμοίω[ς ὠ]νόμασεν ὡς κ̣άλλιστα ἠ[δύ]ν̣ατο, | γι-
νώσκ̣ ων τῶν ἀνθρώπων τὴμ φύσιν, ὅτι οὐ̣ πάντες | ὁμοίαν ἔχουσιν οὐδὲ θέ-
λουσιμ πάντες ταὐτά· | κρατιστεύοντες λέγουσι ὅ τι ἂν αὐτῶν ἑκάστωι | ἐπὶ
θ̣υμὸν ἔλθηι, ἅπερ ἂν θέλοντες τυγχάνωσι, | οὐδαμὰ ταὐτά, ὑπὸ πλεονεξίας, τὰ
δὲ καὶ ὑπ’ ἀμαθίας «dunque denominò ogni cosa come meglio poteva, cono-
scendo la natura degli uomini, poiché non l’hanno tutti uguale, né tutti deside-
rano le stesse cose; se sono potenti dicono ciò che a ciascuno di loro viene in
mente – ciò che si trovino a desiderare, e mai lo stesso – per avidità, talora an-
che per ignoranza» (p. 118 nota 120). la Piano segue da presso la traduzione
della tortorelli Ghidini, ma peggiorandola, sia perché omette l’importantissimo
ὁμοίως, tolto il quale non emerge più l’azione di contrasto esercitata dall’ὀνομά-

(92) il tema del ricrescere – che è impossibile estrarre da προσφῦναι – è un’illecita esten-
sione del mitologhema della rinascita del tutto che pare adombrato in queste problematiche co-
lonne: cf. e.g. a. BERnaBé, La théogonie orphique du Papyrus de Derveni, «kernos» 15 (2002),
pp. 91-129: 114 ss.; id., PEG, ii, 1, p. 43; ID., The Derveni Theogony, cit., p. 114; C. CalaME,
The Authority of Orpheus, in P. Mitsis, C. tsaGalis (edd.), Allusion, Authority and Truth, Berlin
- new york 2010, pp. 13-35: 24.
(93) Così giustamente G. sCalERa MCClintoCk, La Teogonia di Protogono nel Papiro di
Derveni. Una interpretazione dell’orfismo, «Filosofia e teologia» 1 (1988), pp. 139-149: 148;
F. JouRdan, op. cit., pp. 16, 74 nota 7; F. FERRaRi, From Orpheus, cit., p. 62; R.l. FoWlER,
Ekthorein and the Derveni Papyrus, «ZPE» 197 (2016), pp. 17-27: 23, ecc.
(94) alcuni ricorrono alle traduzioni multiple: così M.l. WEst, op. cit., p. 88, che distingue
fra la resa letterale: «grew on to him», e il senso: «became one with him» (anche il titoletto è
esplicito: «the world absorbed in Zeus»); così anche G. BEtEGh, The Derveni Papyrus, cit., che
per la traduzione adotta «onto which all the immortals grew (or: clung fast)» (pp. 35 e 186), ma
poi parafrasa «get attached to» (p. 115) e «they have been absorbed» (p. 221). Posizioni realmente
ondivaghe trovo solo in M. toRtoRElli Ghidini, op. cit., pp. 170, 177, 211.
(95) Questo ἐόν ha fatto discutere: c’è chi lo ha inteso come aggettivo (ἑόν), c’è chi lo ha
corretto (R. Janko, The Derveni Papyrus, cit., p. 36 [πνε]ύμα⟨τι⟩ ἐόν⟨τι⟩), c’è chi lo ha riferito ad
sensum agli accusativi che precedono (M. toRtoRElli Ghidini, op. cit., p. 215; M.E. kotWiCk,
op. cit., p. 90), quali che essi siano. unica certezza: non sta con τῶι ἀέρι.
62 WaltER laPini

σας verso il particolarismo linguistico degli uomini (96), sia soprattutto perché
non coglie il senso di ὑπὸ πλεονεξίας, con cui l’anonimo rimprovera coloro che
si servono del linguaggio a modo loro, a capriccio. niente può entrarci l’«avi-
dità» – o addirittura la «cieca avidità», come la Piano traduce a p. 121 con l’abi-
tuale surplus enfatico (97). la πλεονεξία sarà invece l’arroganza, la supponen-
za, il sentirsi al di sopra degli usi comuni (98).
il Bernabé elogia la Piano per il suo «profundo conocimiento de la religión
y la filosofía de la época» (99). di nuovo un giudizio difficile da condividere.
la Piano evoca continuamente l’orfismo senza mai entrare nel merito (100); fa
accostamenti impressionistici (101); enfatizza senza misura (e.g. la Δίκη πολύ-
ποινος di Parmenide B 1, 37 dk che diventa «potenza regolatrice delle dina-
miche dell’esistente» [!?], p. 178 nota 31); instaura paralleli inverosimili ba-
sati sui sola nomina, come quello fra il rituale della liberazione dell’uccello
dalla gabbia, allegoria dell’anima che fugge dal corpo-prigione, e le θυσίαι dei
galli – che hanno le ali ma non volano (alle pp. 207 ss.), e che afferiscono a una
simbologia ben diversa (102). a p. 285 si legge che lo sfero empedocleo, in
quanto μονίηι περιηγέϊ γαίων (B 28, 2 dk), è «capace di provare emozioni»;

(96) M.E. kotWiCk, Notes on PDerveni Cls. XV, XIX, XXII, and XXIV, «ZPE» 197 (2016),
pp. 1-4, e Der Papyrus, cit., pp. 94 e 302, integra πάν̣[τ’ ἀ]νομοίως. il che rovescia il concetto,
ma non lo ridimensiona punto.
(97) Cf. p. 46: simposio oltremondano «smodato ed eterno» (perché smodato?); p. 197 no-
ta 23: le Fravasi sono divinità che stanno «al fianco di ahura Mazda fin dagli esordi della storia
universale» (perché universale?); p. 35: «spropositata quantità di particelle infuocate» (perché
spropositata?).
(98) È la seconda soluzione ipotizzata da G. BEtEGh, The Derveni Papyrus, cit., p. 40, l’uni-
ca giusta: «greed (or: arrogance)». Gli altri fanno come la Piano.
(99) a. BERnaBé, rec. cit., p. 267.
(100) anche a. MaRChiando, rec. cit., p. 203, pur nella solita frenesia panegiristica che ca-
ratterizza più o meno tutte le recensioni al libro, non può astenersi dal rilevare la macroscopica
omissione.
(101) non vedo rapporti fra i δαίμονες delle coll. iii e Vi e il δαίμων, anzi la δαίμων, di Par-
menide B 12 (p. 157 e nota 75); né fra i σημεῖα delle righe iniziali del papiro e i σήματα di B 8,
2-3 dk (p. 99 nota 64). Quest’ultimo accostamento d’altronde – suggerito alla Piano epistolar-
mente dal Bernabé e ora rilanciato da C. Vassallo, rec. cit., p. 270 – risulta ingiustificato alla
Piano stessa; perciò non si capisce perché ne abbia parlato. anche W. BuRkERt, Das Proömium
des Parmenides und die Katabasis des Pythagoras, «Phronesis» 14 (1967), pp. 1-30, postulava
affinità fra il Papiro di derveni e Parmenide, ma su ben altre basi.
(102) l’ipotesi dell’«uccellino» sembra comunque tramontata, secondo le nuove letture di
R. Janko, Parmenides, cit., p. 21, alla col. Vi.
FRa «PRotaGonisMo dEl dEMoniCo» E «diaCosMEsi IN FIERI» 63

cosa che dovrebbe allora valere anche per il fuoco instancabile, per la natura
che ama nascondersi, per i fiumi delle Georgiche che «sentono» le alnos cava-
tas, per le orse che «temono», per lo stige che «vede» e così di seguito. alle
pp. 323 ss. si affronta il tema dell’uso del linguaggio corrente da parte dei filo-
sofi, ma non sono certo che i termini della questione siano stati veramente ca-
piti; lo stesso dicasi per l’opposizione ξυνός-ἴδιος in Eraclito (p. 176) e per i
frammenti crisippei SVF ii 1089 e 1090 (p. 313). a p. 110 nota 93 si discute
dei rr. 1-3 della col. XiX: «Ζεὺς βασιλεύς, Ζεὺς δ’ ἀρχὸς ἁπάντ̣ων̣ ̣ ἀργικέραυ-
νος»· | [βασιλέ]α ἔφη εἶναι ὅτι πολλῶ̣ [ν τῶν ἀρ]χ̣ῶν μία | [πασῶν κ]ρ̣ατεῖ καὶ
πάντα τελεῖ [ἅπερ θνη]τ̣ῶ̣ν οὐδενὶ | [ἄλλωι ἔξεσ]τ̣ιν τε̣[λ]έσαι «‘Zeus re, Zeus
capo di tutte le cose, dalla fulgente folgore’. disse che è un re per il fatto che,
sebbene molte siano le forme di potere, una sola domina su tutte e porta a com-
pimento tutte le cose che per nessun essere umano è possibile compiere». Fi-
dandosi del suono e dell’etimo, la Piano parla di «azione teleologicamente
orientata»; ma a sproposito, poiché τελεῖν vuol dire «portare a termine» e non
«agire in vista di un fine». la componente teleologica nel papiro esiste ed è im-
portantissima, però va cercata altrove, e.g. in XXiV 10-12 e in XXV 9-12 (103).
i recensori parlano di «extensa bibliografía» (104), di «careful critical dis-
cussions of the […] secundary literature» (105). E invece il libro, pur nella sua
sovrabbondanza, è carente anche da questo punto di vista: la Piano discute spes-
so e a lungo di anassagora senza menzionare neanche una volta d. lanza; di
Crisippo senza menzionare R. dufour; dell’Eraclito misterico e oracolare senza
menzionare a.M. Battegazzore; del Cratilo senza menzionare F. ademollo.
Viene ignorato del tutto il fondamentale studio di l. Perilli, La teoria del vorti-
ce (1996). silenzio assoluto su opere capitali dedicate all’orfismo come l’Or-
pheus di Ernst Maass (1895) o l’Orphisme di Marie-Joseph lagrange (1937).
il santamaría elogia questa bibliografia anche per la sua up-to-dateness (106),
forse sfuggendogli che la Piano usa ancora il Mensching per citare i frammenti
di Favorino (p. 292 nota 65); fa ancora riferimento a untersteiner 1939 per trat-
tare del δαίμων in omero (p. 156 nota 74); ricorre ancora a Momigliano 1971

(103) Cf. R. Janko, The Physicist, cit., p. 81; M.s. FunGhi, Una cosmogonia orfica nel Pa-
piro di Derveni, «Par. Pass.» 34 (1979), pp. 17-30: 30; Ead., The Derveni Papyrus, in a. laks,
G.W. Most, Studies, cit., pp. 25-37: 35; M.E. kotWiCk, Der Papyrus, cit., p. 340.
(104) a. BERnaBé, rec. cit., p. 303.
(105) G. BEtEGh, Preface, cit., p. Xi.
(106) M.a. santaMaRía, rec. cit.
64 WaltER laPini

per far sapere che Xanto di lidia era probabilmente «a historian contemporary
with herodotus» (p. 223) (107), ecc.
Ma l’aspetto che di gran lunga più sgomenta in questo libro è l’uso della
lingua italiana: sciatto, pretenzioso, esibizionistico, spruzzato di didattichese e
di slang accademico, con una passione irresistibile per il parlar difficile: «inter-
relato», «competenze», «contrastivo»; «incardinare», «strutturare», «rimodula-
re»; «implicazioni compensative», «bacino ermeneutico» (p. 117), «paradigma
epistemologico» (p. 121), «dimensione liminare con l’alterità» (p. 127); «li-
vello ermeneutico del segno linguistico» (p. 285 nota 36); «il processo di dia-
cosmesi in fieri» (p. 338), «la dinamica di interazione esclusiva» (p. 346); «il
protagonismo del demonico» (p. 163) (108). la Piano dice «articolazione for-
male del testo» per dire testo; «struttura argomentativa» per dire argomentazio-
ne, «statuto problematico» per dire problema (cf. rispettivamente pp. 200 e 201
(e 202 nota 30) e 217), che talvolta sono solo stravaganze ma talvolta errori veri
e propri.
i concetti più semplici e più a portata di mano vengono illustrati in modo
insostenibilmente tortuoso, con lungaggini sfibranti e un lessico sovradimen-
sionato e sempre sopra le righe: «sebbene per più aspetti il P.derveni dia testi-
monianza di un pensiero non sempre affine alle formulazioni più tipiche della
filosofia presocratica, la fisica attorno alla quale esso si struttura rappresenta
l’aspetto principale per inserire l’autore nella macrocategoria con cui si suole
indicare il pensiero filosofico preplatonico» (p. 340). tutto questo per dire che
esistono punti in comune fra il P.derveni e i φυσικοί arcaici. oppure: «pur con-
sapevole dell’artificiosità di un’analisi che voglia ridurre trasformazioni tanto
complesse a processi lineari attraverso i quali concezioni ancora indefinite dia-
no luogo a una rappresentazione articolata e precisa, l’apparente forzatura er-

(107) Peraltro non si capisce perché cominciare una frase in una lingua e continuarla in
un’altra. la Piano ce l’ha per abitudine: cf. p. 251 nota 181: «sono pienamente convinta che le
testimonianze platoniche ‘can help us in drawing a more detailed sketch of the derveni author’
(BEtEGh 2004a, p. 351)»; oppure p. 306 nota 116: «come si legge anche in CasadEsús 2008b,
p. 1309: ‘poseemos pocos testimonios explicitos [lege explícitos] de cómo pudieron interpretar
los poemas órficos’»; o ancora p. 322: «già Boyancé, nel 1974, prospettava la possibilità di ve-
dere in queste colonne un’anticipazione ‘du fatalisme stoïcien’, sottolineando però» eccetera. To
be or not to be è bene dirlo con le parole dell’autore, ma frasi come quelle di Betegh o Casadesús
o Boyancé riportate sopra potranno essere integrate nella citazione senza danno (e senza neces-
sariamente far pensare che il citante abbia fatto il furbo, cioè abbia citato senza leggere).
(108) «Protagonismo» = importanza, centralità, come a p. 87: «il protagonismo del cantore
di tracia».
FRa «PRotaGonisMo dEl dEMoniCo» E «diaCosMEsi IN FIERI» 65

meneutica determinata dal confronto con un pensiero di poco successivo può


in questo caso aiutarci a individuare un substrato storico-culturale dal quale
enucleare tasselli intermedi che permettano di seguire più da vicino le varie ri-
modulazioni del δαίμων dai pensatori ‘presocratici’ a Platone» (p. 165). Questo
per dire che la demonologia del P.derveni potrebbe essere un anello interme-
dio fra i presocratici e Platone. la ricerca della tornitura spettacolare non ri-
sparmia nessun aspetto, neppure i più neutri e fattuali. Persino nel descrivere
un rito di cremazione si sente il bisogno di esagerare: «furia del fuoco» (p. 32),
«potenza distruttrice delle fiamme» (p. 28), neanche si parlasse dell’incendio
di atlanta.
di alcune frasi, di alcuni periodi, non afferro il senso. leggo e rileggo, ma
non afferro. Per esempio:
– p. 7 nota 9: l’ipotesi che il rotolo di derveni fosse stato usato per appic-
care il fuoco alla pira è ripresa da Janko «non tanto come reale possibilità di
interpretazione, quanto come eventualità da tenere a mente in sede di analisi»;
– p. 9: «supporre che un prodotto di tale livello librario […] sia stato posto
per caso su una pira funeraria, è un’ipotesi che, seppure non escludibile a li-
vello teorico, potrebbe rivelarsi fuorviante qualora sia assunta in una fase di
analisi preliminare»;
– p. 117 nota 115: «mentre socrate presenta qui una possibile visione della
lingua, il commentatore se ne mostra profondamente convinto in riferimento
alla parola orfica»;
– p. 277: «il commentatore ci rivela una fisionomia filosofica che trova
espressione in una prassi esegetica spesso strutturata intorno a meccanismi pa-
retimologici, grazie alla quale prende forma un peculiare quadro fisico-cosmo-
logico»;
– p. 334: «l’estrema frammentarietà del papiro, unita alla volontà del com-
mentatore di formulare un pensiero unitario che richiami anche il valore let-
terale degli enigmi di orfeo, rende elevato il rischio di analizzare ciò che resta
in conformità a linee interpretative preconcette, attorno alle quali è possibile
riorganizzare i vari brandelli di testo per produrre impianti analitici di grande
organicità e forza persuasiva, che tuttavia si rivelano deboli ad un vaglio pun-
tuale del testo»;
– pp. 353-354: «l’affinità riscontrabile tra un’iniziazione e un rituale fune-
bre ha indotto a collegare il testo con l’esecuzione di entrambi i riti di passag-
gio, nei quali il sapere fissato nel rotolo si ergeva a strumento di attuazione di
una nuova identità sociale e ribadita nel momento che portava alla sua realiz-
zazione, attraverso il raggiungimento della promessa sorte privilegiata in una
non più effimera dimensione ultraterrena»;
– p. 356: «le evidenti affinità tra una formazione religiosa come quella pre-
66 WaltER laPini

vista dal testo di derveni ed una più spiccatamente filosofica incoraggiano a


supporre che la contaminazione tra religione e filosofia vada intesa non soltan-
to in riferimento al sapere che si generava in tali contesti, ma anche in relazio-
ne alle dinamiche di affiliazione a certi gruppi iniziatici. nel momento in cui
questa spinta intellettualistica si diffuse anche in contesti religiosi, intrecciando-
si in maniera tanto profonda al complesso di credenze e di pratiche sacrificali
caratteristico di un dato gruppo misterico, è possibile che anche le forme di ini-
ziazione subissero variazioni, trasformandosi da pratiche rituali che richiedeva-
no una passiva ricezione di uno status in percorsi di formazione più complessi».
Mi fermo, ma potrei continuare. non sono highlights: tutto il libro è scritto
in questo modo (109) – peraltro con numerosi e talvolta gravi errori di lessico
di base: e.g. «ombroso» per tetro, terrificante (110); «malleabile» per versatile,
variabile (111); «oracolo» per profeta, sacerdote (112); «risonanza» per conso-
nanza (113); «regale» per reale (114); «perseguitare» per perseguire (115); «ri-
congiunzione» per congiunzione (116); «narratologico» per narrativo (117);
«sostentare» per sostenere (118); «lapalissiano» per sicuro (119); «tacitare»

(109) Persino le didascalie alle tavole sono oscure e confuse: «si ringrazia Roger Macfarlane,
Brigham young university per averci consentito di pubblicare le foto scattate personalmente»
(p. 408). Ma personalmente da chi? dalla Piano o da Macfarlane?
(110) Cf. p. 45 «le raffinate decorazioni di queste tombe sembrano ricreare scenari meno
ombrosi» (rispetto all’oltretomba omerico).
(111) Cf. p. 93 «la malleabilità della categoria del σημαίνειν»; p. 151 «la malleabilità di
questa nozione»; p. 160 «rappresentazione malleabile».
(112) Cf. p. 304 «come un oracolo invasato dalla divinità».
(113) Cf. p. 171 «per quanto possa sembrare fuori luogo un paragone tra personalità filoso-
fiche tanto lontane per spessore e raffinatezza intellettuale, le risonanze sembrano innegabili»;
ma anche pp. 121 e 268.
(114) Cf. p. 23 «la cerchia regale»; p. 30 «la sua appartenenza alla cavalleria regale»; p. 31
«i membri della famiglia regale» (e pp. 34, 36, 54, 55).
(115) Cf. p. 74 «(perseguitare) tutti i tracotanti secondo giustizia» (si veda sopra, nota 65).
(116) Cf. p. 202 «l’anello di ricongiunzione».
(117) Cf. p. 244 «la struttura narratologica delle coll. XX-XXVi». del resto neppure «nar-
rativa» va bene.
(118) Cf. p. 248 «compivano sacrifici a suffragio delle ψυχαί, auspicando un processo di
espiazione che sostentasse queste ultime nell’aldilà».
(119) Cf. p. 319 nota 25 «ma è bene sottolineare la natura fortemente tradizionale del lin-
guaggio dell’Inno, che non può prestarsi a dimostrazioni lapalissiane del riuso stoico degli ele-
menti di cui si costituisce».
FRa «PRotaGonisMo dEl dEMoniCo» E «diaCosMEsi IN FIERI» 67

per far tacere (120); «assenso» per consenso (121). da «personificare» e «im-
personare» la Piano conia «impersonificare» (pp. 147 e 183). Parla di «spiega-
zione esegetica» (p. 119 nota 125), di «diegesi esegetica» (p. 331), di «modelli
tipologici» (p. 263), di «tipologie di modello» (p. 264 nota 21), di «defunti
[…] deceduti» (p. 226). definisce l’ἐκπύρωσις «uno stato di conflagrazione do-
minato dal fuoco [e da che sennò?]» (p. 331). usa in accezioni inconsuete «in
primis» (122), «incipit» (123), «passim» (124). Crede che l’assegnatario sia
colui che assegna (125). usa «volumetrico» nel senso di «relativo alle misure
del volumen di papiro» (126). Chiama «analitico» il suo indice alle pp. V-Vii,
che invece è solo un indice dettagliato delle materie completo di titoli, titolini
e titoletti (indice analitico è un’altra cosa!).
È inevitabile chiedersi, a questo punto, su che base i recensori possano
aver parlato di libro «excellently conceived, well structured, densely argued»,
di «careful and focused discussion», di «fine analyses», di «careful interpreta-
tive choices», di «scholarship of the highest level» (Betegh) (127), di «gran pe-
ricia» (Bernabé) (128), di «travail papyrologique et philologique exemplaire»
(Marchiando) (129). Poiché non voglio credere che studiosi come Betegh e
Bernabé facciano l’elogio di cose che non hanno letto, i loro giudizi restano per
me un mistero. Come pure restano un mistero certe omissioni. Prendiamo iV
7, un passo di cui abbiamo già parlato prima. Qui la Piano identifica un μ che

(120) Cf. p. 182 nota 147 «tacitare la profezia di Xanto», cioè far smettere il cavallo Xanto
di profetare.
(121) Cf. p. 44 nota 147 «questa lettura ha trovato l’assenso di Bar-sharrar»; p. 192 «questa
tesi ha trovato l’assenso di diversi studiosi»; e così alle pp. 205 nota 37, 217, ecc.: tipo la συγκα-
τάθεσις stoica.
(122) Cf. p. 93 «l’ipotesi [...] è stata avanzata in primis dagli editori principi».
(123) Cf. p. 281 nota 21 «identificava in anassagora l’incipit dell’interpretazione alle-
gorica».
(124) l’avverbio è usato alle pp. 403-404 per indicare non un luogo troppo spesso menzio-
nato perché possa essere indicizzato o valga la pena indicizzarlo, bensì un luogo solo le cui parti
vengano citate più volte ma nello stesso punto.
(125) Cf. p. 302, dove οἱ πρῶτοι τὰ ὀνόματα τιθέμενοι è tradotto «i primi assegnatari dei
nomi»; e p. 320 nota 29, dove Zeus che decide i destini agli uomini viene chiamato «assegnatario
dei destini umani».
(126) Cf. p. 131 «calcoli volumetrici». C. Vassallo, rec. cit., p. 268, si è fatto purtroppo in-
fluenzare da quest’uso.
(127) G. BEtEGh, Preface, cit., rispettivamente pp. Xi, Xii, XViii.
(128) a. BERnaBé, rec. cit., p. 303.
(129) a. MaRChiando, rec. cit., p. 201.
68 WaltER laPini

confermerebbe la congettura κόσ]μ̣ου di a. lebedev e dunque legge ἥλιο̣[ς κό-


σ]μ̣ου κατὰ φ̣ύσιν ἀνθρω[πηΐου] ε̣ὖρος ποδός [ἐστι. M.a. santamaría si illumi-
na per il recuperato μ e per la conferma della congettura, ma evita di confronta-
re la traduzione «the sun, according to the nature of the world…», da lui ac-
colta (130), con quella della Piano: «il sole del cosmo, secondo (la sua?) natu-
ra…» ecc., completamente diversa e gravemente erronea. non capisco come
un reviewer possa tacere su queste cose quando le ha sotto gli occhi, quando
gli si offrono da sole e fare finta di nulla è impossibile. stupefacente anche la
recensione di s. Bussès sulla «Classical Review» del 2018, una recensione che
sembra uscita dalla penna di diogene laerzio, tanta è la repentinità e la disin-
voltura con cui gli strati di epainos si alternano a quelli di psogos, quasi a te-
stimoniare l’interna lotta fra l’evidenza di un lavoro che non piace e lo sforzo
di farselo piacere a tutti i costi: il libro della Piano «indulges in an inarticulate
discourse», però è un «pioneering piece of work»; appare «sporadic and incon-
clusive», però possiede «profound depth of knowledge» e «critical powers of
argument»; è un «kind of jigsaw puzzle, much like the derveni papyrus itself»,
però rivela «an impressive command of the immense and diverse work in this
field» (131). Certo non è raro che all’interno di Kulturkreise particolarmente
settoriali la componente critica e dialettica si indebolisca o scompaia, lascian-
do il posto a un ferreo e geloso spirito di scuola, o persino a quelle forme di ri-
dicola infatuazione per cui a un certo punto i colleghi si mettono a parlare l’uno
dell’altro come se si passassero il tripode di apollo. Ma non è neppure escluso
che i vari Betegh, Bernabé, santamaría si siano lasciati condizionare, un po’
come tutti, dall’idea oggi diffusa secondo cui le autorevoli garanzie, le recom-
mendations, gli autogiudizi e il ‘prestigio’ della collocazione editoriale rendano
inutile o di cattivo gusto un’autentica, autonoma, severa verifica. il libro della
Piano è figlio di questa temperie, di questo sistema. un sistema che alle lunghe
non potrà produrre che fallimento e infelicità, non solo per noi vecchi, accusati
di catonismo e di δυσκολία, ma anche per coloro che intraprendono ex novo il
percorso accademico, e che si abbandonano, ora vittime ora complici, alla giu-
stizia dei coefficienti e degli algoritmi; per i talenti in boccio, o da poco sboc-
ciati, magnifici futuri editori, futuri interpreti, futuri autori di opere importanti,
necessitati a credere agli isBn come al talmud, a compilare modulistiche da

(130) M.a. santaMaRía, rec. cit.


(131) s. BussÈs, rec. cit., pp. 332-333; anche la recensione di C. Vassallo è elogiativa, ma
non a livello dei comici Greci: essa va sul «fruttuoso» (p. 267), «accurato» (p. 268), «utile» (p.
273), «condivisibile» (pp. 271 e 274), non sul λιπαραί e μεγαλοπόλιες.
FRa «PRotaGonisMo dEl dEMoniCo» E «diaCosMEsi IN FIERI» 69

Miss italia, mescolando, nei curricula cosiddetti europei, la tesi cum laude su
Pindaro o stazio con la passione per il trekking e le esperienze di barista. i bu-
rocrati ottusi o in malafede, sul cui conto vorremmo mettere tutto questo, han-
no creato la macchina che trasforma il nero in bianco e il bianco in nero e han-
no fornito regolamenti e protocolli per farla funzionare. Ma ora la macchina si
muove da sé, pilotata da un equipaggio cartaginese di baroni new wave, di reve-
nants, di sindacalisti gialli, di agnelli che hanno assaggiato il sangue. un gior-
no l’aberrante logica della valutazione fiduciaria e indiretta tramonterà, e il ri-
cordo delle glorie e delle carriere su di essa costruite desterà negli uomini la
stessa incredulità che oggi destano in noi la legge del maggiorascato o il traf-
fico delle indulgenze. un giorno ci sveglieremo dall’incantesimo e ci strappe-
remo i capelli vedendo quello che abbiamo fatto. un giorno. Ma è nell’oggi che
noi viviamo, ed è oggi che dobbiamo scegliere fra l’appeasement e la resisten-
za, e fra il silenzio e la denuncia.

WaltER laPini
walter.lapini@unige.it

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