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«Vi racconto Giuseppe Tucci che regalò

l'Oriente al Duce»
Luca Negri - Ven, 05/10/2012 - 07:28
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Da tempo gli studiosi di geopolitica parlano di «Eurasia», ultimamente quel concetto aiuta a
far luce sui nodi identitari irrisolti del Vecchio continente. Di quello stretto rapporto,
millenario ed auspicabile per il futuro, fra Europa ed Asia, abbiamo avuto in Italia uno dei
massimi sostenitori: l'orientalista Giuseppe Tucci. Autore da riscoprire, per il suo lavoro
pionieristico nello studio delle religioni orientali (dal Taoismo cinese al Buddismo) e delle
leggende e tradizioni del Tibet. Uno dei suoi lavori più noti, il classico Storia della filosofia
indiana, è stata appena riedita da Laterza (pagg. 450, euro 12). Chi invece vuole avere un'idea
più completa del personaggio deve procurarsi i due poderosi volumi scritti da Enrica Garzilli,
esperta di Asia ed Oriente, allieva di Pio Flippani-Ronconi, che a sua volta ebbe in Tucci un
prezioso maestro. L'esploratore del Duce (Memori - Asiatica Association, volume 1 di pag.
740, il 2 di pag. 742, 35 euro cadauno) è reperibile attraverso le principali libreria on line,
Amazon compresa. Lettura consigliabile perché oltre all'esploratore (fra i primi europei a
visitare la «città proibita» del Tibet e le foreste del Nepal) e al brillante saggista e cattedratico,
si scopre l'agente per nulla segreto al servizio della politica internazionale italiana, soprattutto
nel corso del Ventennio. Ne abbiamo parlato con l'autrice dell'accurata ed appassionata
biografia, arricchita per giunta da lettere inedite ed interviste.
Mussolini finanziava le spedizioni asiatiche di Tucci. Che interesse aveva?
«Scopo principale era la propaganda. Propaganda italiana all'estero e fascista dentro il Paese.
Prima di tutto, il Fascismo, idea nuova, politica nuova, quasi religione nuova, aveva bisogno
di grandi imprese. Inoltre, Mussolini aveva mire ben precise sul piano internazionale,
mandava esploratori in India, a spese sue, per potenziare le relazioni con quel Paese in vista di
una caduta del dominio coloniale britannico. I soggiorni italiani del poeta mistico Tagore e di
Gandhi, rispettivamente nel 1926 e nel 1931, furono eventi di enorme portata mediatica, ne
parlarono tutti i giornali. Ebbene rientravano anche in questa logica di simpatia fra i due
popoli in funzione antibritannica. D'altronde Mussolini aveva già mostrato grosso interesse
per l'India in un famoso articolo del 1921. Poi c'era un motivo di prestigio: le grandi imprese
di Tucci davano lustro al regime nel mondo intero. E non dimentichiamo che il Duce lo
mandò anche in Giappone, a preparare l'anti-Comintern, nel 1937. Fu un protagonista di
primo piano nella creazione dell'Asse nazifascista con Tokio, mi sembra un punto molto
interessante. Insomma, a Tucci, che amava lamentarsi nelle lettere scrivendo che la scienza
non era abbastanza aiutata dalle istituzioni, non mancarono mai aiuti, era molto prezioso per
più di un motivo. Che chi dice che il suo atteggiamento nei confronti di Mussolini fosse
ambivalente. Invece, fonti alla mano, risulta decisamente favorevole».
Veniamo al rapporto con Giovanni Gentile.
«Gentile rappresentava l'uomo di Mussolini dentro la cultura italiana, il filosofo ufficiale del
fascismo, peraltro legato al Duce da una profonda stima a livello personale. Rappresentò
l'uomo chiave per Tucci. Senza la mediazione di Gentile, non avrebbe mai avuto accesso al
“Capo”, come amava chiamarlo. Fu sempre Gentile che volle nominare Tucci accademico
d'Italia. Insieme poi fondarono l'Istituto Italiano per il Medio e l'Estremo Oriente, l'IsMEO. Il
confronto fra i due era di vecchia data, risaliva al 1917 ed era anche sul piano filosofico, dato
che Tucci, uomo molto colto conosceva benissimo anche la storia del pensiero occidentale e
trovava legami filosofici fra Oriente e Occidente. Il loro rapporto fu lunghissimo e si
interruppe solo con l'omicidio di Gentile nel 1944».
Invece Tucci dopo la guerra, con la caduta del regime, come se la cavò? Si era compromesso
troppo?
«Per molti un uomo con quel passato doveva stare zitto. Venne così epurato per poco più di un
anno e mezzo, lo stesso IsMEO rimase chiuso per due anni, anche a causa della mancanza di
fondi e per il commissariamento. A Tucci non rimaneva che cercare in tempi brevi un altro
protettore. Lo trovò in Andreotti».
Dunque, l'opera dell'orientalista tornò utile anche all'Italia democristiana e filo-atlantica?
«Nel mio libro ho messo l'intero carteggio fra Tucci e il Senatore, con quest'ultimo ho inserito
anche un'intervista. Viene fuori che il rapporto fra i due fu strettissimo, quasi di amicizia.
Durò appunto dal 1947 al 1984, fino alla morte di Tucci. Andreotti divenne proprio il nuovo
patrono, non si preoccupò troppo del passato. Seppe distinguere fra lo scienziato che portava
lustro all'Italia e il fascista. Decise di portarlo con sé anche in una missione ufficiale in
Brasile. In fondo si trattava di un uomo molto famoso all'estero, anche oggi lo è, molto più
che in Italia. In India ebbe importanti riconoscimenti, lo stesso Nehru lo ricevette come
messaggero della comprensione fra i popoli. Ha ricevuto tutte le onorificenze possibili in
molti paesi asiatici. Ha lavorato, studiato ed insegnato fino alla fine, senza mai risparmiarsi».

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