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Le famiglie italiane hanno custodito per tre quarti di secolo Mario BOLOGNARI è professore di Antropologia culturale

(a cura di)
Mario Bolognari
documenti personali che un padre, un nonno, uno zio ha lasciato presso l’Università di Messina. Ha svolto ricerche nelle comunità
dentro una scatola, un baule, un cassetto. Sono lettere, diari, Arbëreshë, tra gli emigrati italiani in Canada e in Venezuela e gli
fogli matricolari, cartelle cliniche e tante, tante fotografie. Erano indiani Haida della British Columbia. Attualmente è impegnato
reduci della guerra d’Africa e per essi la memoria è diventata in una ricerca etnografica in Etiopia (Shala Lake) e una sulle
un’ossessione, una gelosa forma di ritenzione di immagini,
emozioni e rappresentazioni da conservare.
La memoria fotografica della guerra d’Etiopia poetiche omosessuali in Sicilia tra XIX e XX secolo. Tra le sue
pubblicazioni Tra rimozione e rimorso. Come gli italiani hanno pensato
Nel quadro della vasta opera che in tutta l’Italia diversi studiosi
stanno portando avanti, di recupero e divulgazione di questo
custodita dalle famiglie italiane l’Etiopia (2012), I ragazzi di von Gloeden (2012), Il banchetto degli
invisibili (2010), Appuntamento a Samarcanda (2008) e Gli uomini di
“scrigno africano”, vengono in questo volume proposte ossidiana (2008).
quattro collezioni private di altrettanti italiani che hanno vissuto

LO SCRIGNO AFRICANO
l’esperienza coloniale da conquistatori, gettando uno sguardo su
un mondo sconosciuto, rimasto, per alcuni versi, impenetrabile.

Scritti di:
Antonio Baglio
Mario Bolognari
Fabio Fichera
Roberta Melluso
Mauro F. Minervino
Giovanna Monastero

Rubbettino
a cura di Mario BOLOGNARI

Rubbettino
e 17,00
Lo scrigno africano
La memoria fotografica della guerra d’Etiopia
custodita dalle famiglie italiane

a cura di Mario Bolognari

Rubbettino
Rubbettino

Redazione
Giuseppe D’Arrò
Grafica e impaginazione
Giuseppe D’Arrò
Santina Cerra
Ottimizzazione immagini
Claudio Bevilacqua
Copertina
Luigi De Simone

© 2012 - Rubbettino Editore


88049 Soveria Mannelli
Viale Rosario Rubbettino, 10
tel (0968) 6664201
www.rubbettino.it
Indice

Mario Bolognari
Gli sguardi sull’Etiopia 9
Immagini e rappresentazioni degli italiani
nella memoria fotografica dell’occupazione coloniale

Antonio Baglio
La guerra d’Etiopianelle immagini dei reduci 25

Mauro F. Minervino
«Doppio urto» 35
Il modello della «novella coloniale» nella narrativa
popolare fascista

Fabio Fichera
Le politiche sanitarie nelle colonie:
riflessioni antropologiche sull’influenza dell’autorità
medica nel colonialismo italiano 51

Fabio Fichera
Vincenzo Arlotta, medico,
militare e fotografo 69

Giovanna Monastero
Francesco Monastero.
Un soldato racconta la guerra coloniale 99

Roberta Melluso
Le operazioni militari 117
Mario Bolognari
Francesco Patanè, autiere in guerra 123
La macchina, l’esibizione, l’impresa

Mario Bolognari
Pietro Ferrario, un imprenditore in Africa 135
Il lavoro e la tecnica nella costruzione dell’Impero
Antonio Baglio

La guerra d’Etiopianelle immagini dei reduci

1. La fotografia come fonte storiografica

Tra la molteplicità di fonti a disposizione degli studiosi di storia


contemporanea, è indubbio come la fotografia si sia ritagliata nel
tempo, accanto agli strumenti audiovisivi frutto dell’evoluzione
tecnologica, uno spazio crescente, pur nelle difficoltà che la loro
utilizzazione pone. In una società come quella contemporanea,
che annovera tra le forme di linguaggio più diffuse la produzione
e l’uso delle immagini, non si può rinunciare a questo importante
elemento documentale per le ricognizioni storiografiche. Ciò sen-
za nascondere i limiti che finora ne hanno impedito un utilizzo più 1.  A. Mignemi, Lo sguardo e l’immagine.
diffuso, derivanti dalle stesse caratteristiche della fonte in questio- La fotografia come documento storico,
Bollati Boringhieri, Torino 2003, pp. 11-12.
ne, come la sua instabilità nel tempo superiore rispetto a quelle Dello stesso autore ricordiamo pure tra i suoi
tradizionali, il suo carattere di merce con un valore economico, contributi sul tema: la voce Fotografia, in V.
o ancora dalle specifiche forme di accumulazione e di deposito, De Grazia, S. Luzzatto (a cura di), Dizionario
del fascismo, Einaudi, Torino 2002; Id., La
legate alla larga prevalenza di archivi privati e di collezionisti comunicazione autobiografica negli album
rispetto a quelli pubblici; senza contare i problemi connessi al fotografici, in «Materiali di lavoro», Rivista di
processo di adeguamento continuo alle nuove tecnologie, che studi storici, VIII, n.s., n. 1-2, gennaio-agosto
1990. Sempre sul terreno della riflessione
richiede agli archivi di conservazione la necessità di dotarsi di metodologica inerente all’uso della fotografia
nuove attrezzature e di salvaguardare i macchinari non più in uso, in campo storiografico rinviamo ancora, senza
con conseguenze immaginabili sul terreno dei costi di gestione. alcuna pretesa di esaustività, ai seguenti
contributi: P. Ortoleva, La fotografia, in Il
Non è poi affatto da sottovalutare l’impreparazione da parte degli mondo contemporaneo. Gli strumenti della
stessi storici nell’utilizzo di questa fonte particolare dovuta alla ricerca, 2, Questioni di metodo, a cura di G.
scarsa conoscenza dei procedimenti tecnici1. Diventa necessario De Luna, P. Ortoleva, M. Revelli, N. Tranfaglia,
La Nuova Italia, Firenze 1983; L. Goglia, La
dunque, per dirla con le parole di Adolfo Mignemi, puntare a un fotografia e la storia. Può essere la fotografia
più consapevole approccio «culturale» alla fonte fotografica: «è un documento?, in La ricerca storica. Teoria,
infatti, in primo luogo, dall’accettazione delle forme del linguaggio tecniche, problemi, Università degli Studi La
Sapienza, Roma 1983; M.T. Sega, La storia
fotografico e delle sue specificità, e quindi al tempo stesso dalla scritta con la luce. La fotografia come fonte
capacità di indagare i limiti delle sue potenzialità, che dipende la storica, in «I viaggi di Erodoto», II, n. 4, aprile

antonio baglio | la guerra d’etiopia 25


reale assunzione della fotografia nel novero delle principali fonti
per il lavoro storiografico sul mondo contemporaneo»2.

2. Le immagini della guerra coloniale d’Etiopia

Al di là dunque dei limiti e delle difficoltà già messi in evidenza, la


produzione di immagini, comprese quelle di uso personale, ricopre
un ruolo insostituibile di documentazione per lo storico. In parti-
colare oggi ci troviamo di fronte al recupero e all’utilizzazione di
una serie sempre crescente di album fotografici legati soprattutto
ad avvenimenti bellici, che riemergono dai bauli o dalle soffitte
delle famiglie italiane e che ci dicono molto circa la percezione
che gli autori ebbero dell’evento storico cui stavano partecipan-
do. Nel quadro della larga preponderanza dedicata dagli storici ai
conflitti, in particolare del Novecento, si comprende l’attenzione
rivolta alla documentazione fotografica come importante fonte per
la propria ricerca. Certo la guerra, per il suo carattere di eccezio-
nalità e i profondi sconvolgimenti dei quadri mentali e materiali
1988; G. D’Autilia, L’indizio e la prova. La che innesca, si è ben prestata a divenire soggetto privilegiato di chi
fotografia nella storia, La Nuova Italia, Firenze disponesse di un apparecchio fotografico. «Il mondo psicologico
2005; Id., Storia della fotografia in Italia.
Dal 1839 a oggi, Piccola biblioteca Einaudi, e la dicotomizzazione della realtà (bene e male, vero e falso, vita e
Torino 2012; P. Burke, Testimoni oculari: il morte, amore e odio) – come scrive Mignemi – sono gli elementi
significato storico delle immagini, Carocci, che seducono e scatenano le necessità narrative ed espressive di chi
Roma 2002; Vita nuova di vecchi media: le
fotografie storiche in rete fra divulgazione creda nelle illimitate, o quasi, potenzialità evocative dell’immagine
e ricerca, in Media e storia, a cura di F. fotografica. […] L’identità nazionale, lo spirito di corpo, l’ostenta-
Mineccia, L. Tomassini, numero speciale di zione dell’arma e del suo potere distruttivo, la possibilità di dare
«Ricerche Storiche», a. XXXIX, n. 2-3, maggio-
dicembre 2009, pp. 363-437; L. Tomassini, morte con legittimazione, si sono tradotti […] da un lato in un
Il valore storico degli archivi e delle raccolte flusso continuo di immagini destinate a fissare il volto ufficiale della
fotografiche, in I fondi storici fotografici nelle guerra, dall’altro – e questo a partire soprattutto dagli anni trenta
biblioteche fra conservazione e valorizzazione,
Atti del seminario-convegno, Jesi 13-14 del Novecento, quando le tecniche fotografiche si semplificano,
dicembre 2002, Regione Marche-Servizio diventano economiche e alla portata di tutti – in una produzione
Cultura, Jesi 2005, pp. 95-120; M. Gallai, L. di fotografie di carattere più personale che, a distanza di tempo,
Tomassini, La fotografia di documentazione
storica in Internet, in M. Gallai, S. Noiret, finiscono per divenire forse una delle fonti documentali più utili
D. Ragazzini, L. Tomassini, S. Vitali, La e interessanti per lo storico»3.
storiografia digitale, Utet, Torino 2004, pp. Per venire al caso degli album fotografici di guerra realizzati da
70-100.
militari, medici, imprenditori siciliani o legati all’Isola che vissero
2.  A. Mignemi, Lo sguardo e l’immagine.
La fotografia come documento storico, cit., l’esperienza della guerra di Etiopia e ne lasciarono traccia attra-
p. 217. verso le immagini adesso pubblicate in questo volume, è bene fare
3.  Ivi, pp. 110-111. alcune considerazioni di carattere generale prima di entrare nel

26 LO SCRIGNO AFRICANO
merito del contenuto e del valore documentale di queste raccolte.
La guerra d’Etiopia, intrapresa da Mussolini nell’ottobre del 1935
senza dispendio di uomini e mezzi per la realizzazione dell’agogna-
to impero e accompagnata da un enorme battage propagandistico,
ha rappresentato il primo evento a essere documentato fotografica-
mente in modo sistematico, sia per il ruolo esercitato dallo Stato e
dall’Istituto Luce che per la larga presenza delle agenzie di stampa
internazionali4. Mentre queste ultime furono determinanti soprat-
tutto sul terreno della documentazione del conflitto dal versante
etiope, per quanto concerne il fronte italiano operarono i reparti
fotografici delle forze armate e dell’Istituto Luce-AO che, in linea
con la martellante campagna propagandistica condotta in patria
prima al fine di creare un clima favorevole e suscitare una massiccia
mobilitazione per la guerra e poi per assicurarsi il massimo sforzo
durante le operazioni belliche, ebbero il compito non solo di farsi
carico del controllo delle immagini, com’era avvenuto durante la
Prima guerra mondiale, ma anche della loro produzione e distri-
buzione5. Per comprendere appieno la portata dei mezzi messi in
campo in questo settore delicato basta affidarsi alla fredda eloquen-
za delle cifre: furono schierate infatti una sezione cinematografica,
16 squadre fotografiche, 16 squadre telefotografiche, cui si aggiunse
il reparto Luce militarizzato. Sia ad Asmara, nodo strategico per il
controllo del fronte aperto al confine della vecchia colonia Eritrea,
che a Mogadiscio per quello sud si predisposero uffici stampa con
il compito di fornire agli inviati italiani e stranieri il necessario
supporto logistico per la realizzazione dei servizi dal fronte, oltre
che la consueta documentazione fotografica e giornalistica.
Visto il largo impiego di uomini e mezzi non è difficile immaginare
quante migliaia di foto fossero state scattate per conto dell’esercito,
che si aggiunsero a quelle effettuate ad uso personale dai militari
dotati di apparecchio fotografico. Come ha fatto rilevare Mignemi, 4.  A. Mignemi (a cura di), Immagine
coordinata per un impero. Etiopia 1935-1936,
risulta di grande interesse un aspetto specifico dell’attività di questi Gruppo Editoriale Forma, Torino 1983; Id.,
reparti, ovverosia la produzione di serie fotografiche stampate in Una nuova immagine della guerra. L’uso
piccolo formato – 6 x 9 – e destinate alla truppa. In un contesto della fotografia e la rappresentazione
visiva del conflitto da parte delle agenzie
contrassegnato dalla difficoltà di informazione e propaganda, la stampa internazionali, in R. Bottoni (a cura
circolazione di queste foto tra soldati facenti parte di reparti co- di), L’Impero fascista. Italia ed Etiopia
stretti a operare in zone impervie e distanti tra loro rispondeva alla (1935-1941), il Mulino, Bologna 2008, pp.
145-163.
finalità di offrire un canale di comunicazione di facile intellegibilità
5.  A. Mignemi, Lo sguardo e l’immagine.
quale quello assicurato dal materiale fotografico. Alle immagini La fotografia come documento storico, cit.,
era affidata la cronistoria del conflitto, il «racconto» delle adunate p. 125.

antonio baglio | la guerra d’etiopia 27


e delle visite dei vertici militari e fascisti, la rappresentazione ras-
sicurante del massiccio impiego dei mezzi più sofisticati, la visione
della conquista dei principali centri etiopi, della cattura dei loro
capi militari e la resa delle truppe nemiche. Accadde che a queste
immagini ufficiali si affiancò una sorta di circolazione parallela di
foto, tollerata dai vertici militari, che ritraevano scene truculente di
torture, di corpi senza vita orrendamente mutilati nei genitali per
disprezzo, di impiccagioni collettive di nemici con accanto in posa
i militari con il loro macabro bottino di guerra, di teste dei capi
avversari mozzate. Il ritrovamento di tali foto, spesso puntellate
da didascalie manoscritte sul retro o a margine, nelle raccolte di
soldati impegnati in zone di guerra geograficamente distanti tra
loro, lascia intendere che accanto alle foto «personali» trovassero
spazio immagini «più sensazionali» in grado di dare un quadro
più realistico possibile dell’esperienza vissuta, di documentare
la drammaticità dell’evento e di far risaltare, nel quadro di un
macabro rituale che la guerra sprigiona, la superiorità rispetto al
nemico che si esprime proprio attraverso l’orrenda esibizione della
punizione inflittagli.
Dal momento che la documentazione fotografica fatta circolare dai
reparti delle forze armate e del Luce-AO non si limitava a ritrarre le
vicende militari ma abbracciava aspetti quali i paesaggi, la flora e la
fauna locale, con un gusto tutto esotico, finì per dare un contributo
decisivo alla costruzione di un ben preciso immaginario visivo, in-
fluenzando attraverso anche la diffusione di queste immagini nelle
pagine illustrate dei periodici pubblicati in quel periodo i canoni
espressivi di quanti scattavano foto per conto proprio6.
Tutto ciò ebbe come conseguenza la creazione e il consolidamento
di una serie di stereotipi dalla lunga durata che non hanno smesso
di influenzare le modalità di approccio e la percezione degli italiani
rispetto a quella terra africana: basti pensare al topos della bellezza
delle donne, le «veneri nere», al mito della loro licenziosità, alla
rappresentazione della profonda arretratezza delle condizioni di
vita di quelle popolazioni, cui fa però da contraltare il fascino am-
maliante di un paesaggio incontaminato; senza tacere del cosiddetto
«mal d’Africa», di quel sentimento di profonda nostalgia di cui si
dicevano preda coloro i quali avevano vissuto in quelle terre per poi
far rientro in patria.

6.  Ivi, pp. 126-127.

28 LO SCRIGNO AFRICANO
3. Il recupero della memorialistica «privata», intima e personale

La guerra di Etiopia ha rappresentato per il regime fascista una tap-


pa fondamentale, l’investimento principale in termini di politica
estera verso il quale Mussolini convogliò, intorno alla metà degli
anni Trenta, gli sforzi dell’intero Paese. Con un ampio ricorso al-
le moderne tecniche di propaganda, avvalendosi di strumenti di-
versificati – dalla stampa alla radio, alla scuola ecc. –, il fascismo
riuscì a rendere «popolare» la guerra «per l’impero», caricandola
di una serie di significati e di motivazioni in grado di suscitare una
massiccia mobilitazione e di giustificare gli inevitabili sacrifici. La
conquista del territorio abissino rappresentava – nella retorica del
duce – la realizzazione di quell’Impero che aveva come suo ascen-
dente la grandezza di Roma antica, assumendo in tal senso una
precisa missione civilizzatrice. Ma non solo. Tale impresa incarnava
perfettamente quella sete di avventura e di dominio nei confronti di
un territorio «esotico» abitato da genti e popoli considerati inferiori;
ma soprattutto colmava lo iato esistente con le altre potenze colo-
niali attraverso la conquista del tanto agognato «posto al sole» fino
ad allora negato dalla «cupidigia delle nazioni plutocratiche» e che
avrebbe consentito di dar libero sfogo alla pressione demografica
del Paese. Ormai stabilizzatosi al potere, libero dai condizionamenti
delle opposizioni costrette al silenzio attraverso la vigile attività dei
suoi apparati repressivi, il regime si trovava intorno alla metà degli
anni Trenta nelle condizioni favorevoli per mettere a segno un col-
po di prestigio in grado di additare l’Italia fascista come potenza
mondiale: fu l’apice del consenso, per citare Renzo De Felice, e nel
contempo l’inizio della parabola discendente. Se l’«ubriacatura»
nazionalistica, patriottica e imperialistica avrebbe nascosto ancora
per qualche tempo i nodi critici nella preparazione militare italiana,
tali limiti sarebbero esplosi nel secondo conflitto mondiale, renden-
do manifesti il grado di debolezza delle nostre forze militari e gli
errori strategici nelle gerarchie, che affondavano le radici nell’illu-
sione data dalla vittoriosa campagna d’Etiopia. Gli effetti inoltre
sarebbero stati disastrosi sul terreno dell’assetto internazionale, se
pensiamo alle conseguenze della saldatura dell’asse italo-tedesco, alla
delegittimazione della Società delle Nazioni e all’innestarsi di una
spirale di violenza destinata a trascinare le nazioni nel baratro di una
guerra senza precedenti nella storia dell’umanità. Considerate tali
implicazioni, non è errato sostenere che il conflitto sia stato tutt’altro

antonio baglio | la guerra d’etiopia 29


che marginale sotto il profilo geopolitico. Allo stesso modo, come
ha sottolineato con efficacia argomentativa Nicola Labanca, non
si trattò di una guerra coloniale tout court, ma ebbe un carattere
nazionale, moderno e di massa per il grande dispendio di risorse e
di energie messe in campo, per il massiccio investimento in termini
propagandistici e il capillare impiego degli apparati statali e di partito
nell’ottica di una mobilitazione «totalitaria» della popolazione. In
proposito, bastano poche cifre per dare l’idea delle forze schierate
in battaglia: si passò dai 110.000 militari, comprese le camicie nere
e 50.000 ascari della fase di preparazione del conflitto – che pote-
vano contare su una dotazione di 4.200 mitragliatrici, 580 cannoni,
112 carri d’assalto, 35.000 quadrupedi, 3.700 e 126 aeroplani – a un
corpo di spedizione cresciuto in maniera esponenziale e attestatosi
alla fine della guerra, nel maggio del ’36, rispettivamente sui 330.000
militari italiani, 87.000 ascari, 100.000 carri armati, 90.000 quadru-
7.  N. Labanca, Oltremare. Storia pedi, 14.000 automezzi, 350 aerei. Di contro le armate etiopi, rette
dell’espansione coloniale italiana, il Mulino, da capi tradizionali, raggiunsero verosimilmente la cifra di 250.000
Bologna 2002, pp. 189-190. Sull’ampio
ricorso all’«arma» della propaganda e unità, non tutte bene armate e interpreti di una strategia di segno
sull’«entusiasmo organizzato» mi sia consentito tradizionale che prediligeva la battaglia campale al posto di una più
il rimando a un mio contributo legato al caso di redditizia tattica di guerriglia in grado di sfruttare al massimo la
Messina, dal cui porto avvenivano le partenze
delle truppe per l’A.O.I. secondo una ben naturale conoscenza del territorio7.
precisa e orchestrata coreografia: A. Baglio, Espressione tragica di una modernità dai sinistri connotati fu l’uso
Messina e l’«impresa etiopica» (1935-36), dei gas cui le truppe italiane fecero ricorso per piegare la resistenza
in M. Bolognari (a cura di), Tra rimozione
e rimorso. Come gli italiani hanno pensato etiope, a lungo oggetto di rimozione e di silenzi da parte dei prota-
l’Etiopia, Aracne, Roma 2012, pp. 93-111. gonisti e degli stessi apparati statuali. Ci sono voluti diversi decenni
8.  Tra le ormai numerose testimonianze prima che dinieghi e reticenze cadessero di fronte all’accertamento
e album fotografici di soldati, medici, di una verità – ovverosia l’ampio ricorso all’utilizzo di agenti chi-
imprenditori e coloni approdati alla
pubblicazione negli ultimi anni a opera mici contro il nemico – che minava l’immagine rassicurante degli
dei discendenti dei reduci merita di essere «italiani brava gente» in riferimento al nostro ruolo di colonizzatori,
segnalata quella di un militare calabrese largamente accreditata in chiave autoassolutoria8.
operante nel Reparto chimico dell’Esercito, fatta
di lettere e appunti ordinati dal figlio. Si tratta In fondo, la memoria della campagna di Etiopia nel secondo do-
di un documento in cui è possibile cogliere poguerra è andata incontro a uno strano cammino. Da un lato, nei
riferimenti espliciti del ricorso agli agenti primi venti anni dell’Italia repubblicana, per citare ancora Labanca,
chimici. G.F. Milano, Un ragazzo calabrese
alla conquista dell’impero. Lettere e appunti avevano prevalso il «silenzio e il rancore»9. Il suo carattere di guerra
per un diario mai scritto 1934-1936, a cura fascista, il ricordo dei drammi del Secondo conflitto mondiale, che
di A. Milano, ICSAIC, supplemento a «Rivista aveva comportato il rischio della frattura dell’unità nazionale e la
calabrese di storia del ’900», anno I, n. 1,
dicembre 2005. tragedia della guerra civile tra fascisti e antifascisti, la stessa perdita
9.  N. Labanca, Una guerra per l’impero. delle colonie avevano spostato l’attenzione su altre questioni. La
Memorie della campagna d’Etiopia 1935-36, mancata celebrazione di processi a carico di coloro i quali si erano
il Mulino, Bologna 2005, pp. 277-308. macchiati di crimini di guerra fece il resto: il silenzio si risolse di

30 LO SCRIGNO AFRICANO
fatto in amnistia, in una sorta di «autoassoluzione nazionale»10.
Non si sentì il bisogno di riflettere su quel passato coloniale e sulla
sua eredità, sulla portata e le modalità di conduzione della guerra 10.  Ivi, p. 306.
d’Etiopia, sull’emanazione delle leggi di discriminazione razziale, 11.  Così scrive l’antropologo Mario Bolognari,
nell’introduzione a un volume sull’Etiopia da
senza contare la mancata volontà di indagare sui singoli crimini lui recentemente curato, circa l’atteggiamento
di cui si era a conoscenza nell’immediato secondo dopoguerra11. a lungo prevalente nei riguardi di quella
Nella fase successiva, fino alla metà degli anni Ottanta, la memoria esperienza africana: «Alla caduta del fascismo e
con la fine della guerra, il rinnovato panorama
della guerra è risultata, per così dire, «scongelata», sotto l’influsso politico-istituzionale e il clima sociale e
dei grandi eventi internazionali che ponevano al centro dell’atten- culturale diversi avrebbero dovuto consentire
zione i paesi africani interessati dai processi di decolonizzazione. almeno due operazioni. Fare i conti con il
ciarpame razzista del passato, nell’accademia
Richiamando ancora la definizione di Labanca, per molti reduci e in particolare nelle scienze umane e sociali,
dell’impresa etiopica si attuò allora un processo di sublimazione, attraverso una serrata critica di quanto
in cui la memoria della guerra d’Etiopia prese ad ammantarsi di prodotto, per esempio, in Africa Orientale;
rilanciare gli studi e le ricerche in quelle terre,
accenti lirici, persino di velata nostalgia, sotto l’influenza pure di come prosecuzione/rottura di una tradizione
quei meccanismi psicologici che si innescano e si accentuano con comunque esistente e come ponte ideale per
lo scorrere del tempo e l’avanzare dell’età. Soltanto negli ultimi allacciare relazioni politiche e commerciali con
popoli ai quali l’Italia doveva un risarcimento
decenni, anche se in bilico tra serio impegno critico di ricerca e morale, oltre che economico. Invece, in parte
maldestri tentativi di riabilitazione, si è assistito a un più marcato la vergogna e in parte l’assenza di coraggio
impulso in questa direzione sia sul versante storiografico che su nel voler fare i conti col passato, sia a livello
istituzionale, sia a livello dei circoli accademici,
quello della pubblicistica, colmando almeno in parte la distanza la presenza italiana in Etiopia è stata al di sotto
con gli altri paesi europei, che prima e con più decisione rispetto delle necessità. Inglesi, francesi e tedeschi, fin
all’Italia hanno fatto i conti non solo con il proprio passato colo- dai primi anni, e americani, canadesi e asiatici
in una fase successiva hanno coperto il territorio
niale ma sulle rispettive responsabilità nazionali nella fase della etiope con ricerche e studi». M. Bolognari (a
decolonizzazione. cura di), op. cit., p. 30.
Dal dibattito suscitato dagli studi di Angelo Del Boca, che ha docu- 12.  Della cospicua produzione storiografica
mentato il largo ricorso ai gas da parte dell’esercito italiano smen- di Del Boca dedicata al tema del colonialismo
italiano ci limitiamo a citare in questa sede
tendo le ricostruzioni ufficiali sin lì improntate alla negazione, non la monumentale opera Gli italiani in Africa
senza innescare forti reazioni polemiche, la storiografia sul colo- Orientale, 4 voll., Laterza, Roma-Bari 1976-
nialismo italiano si è poi avvalsa dei contributi di Giorgio Rochat, 1984; e ancora la cura del volume Le guerre
coloniali del fascismo, Laterza, Roma-Bari
Nicola Labanca e altri, impegnati a mettere a fuoco non solo gli 1991, i saggi I gas di Mussolini. Il fascismo
aspetti politici, socio-economici, militari e le peculiarità del pro- e la guerra d’Etiopia, Editori Riuniti, Roma
cesso di espansione coloniale italiano nell’Oltremare, ma anche a 1996 e Italiani, brava gente? Un mito duro a
morire, Neri Pozza, Vicenza 2006. Di Rochat
cercar di indagare proprio il tema della memoria e delle rimozioni ricordiamo in particolare: Militari e politici nella
collettive degli italiani12. preparazione della campagna d’Etiopia 1932-
Negli ultimi anni l’emersione di diari, lettere, appunti di viaggio, 36, FrancoAngeli, Milano 1971; Il colonialismo
italiano. Documenti, Loescher, Torino 1973;
foto dati alle stampe spesso dai discendenti dei reduci ha aperto una Le guerre italiane 1935-1945. Dall’Impero
prospettiva nuova negli studi coloniali a lungo incentrati prevalen- d’Etiopia alla disfatta, Einaudi, Torino 2005.
temente sulla storia politica, militare e diplomatica. Il recupero di Nell’ultimo decennio sono stati diversi i volumi
dedicati da Labanca a questi temi: Posti al
questa memorialistica «intima», di stampo privato e personale, non sole. Diari e memorie di vita e di lavoro dalle
destinata intenzionalmente alla pubblicazione, è di grande interesse colonie d’Africa, Museo Storico Italiano della

antonio baglio | la guerra d’etiopia 31


sul terreno della storia sociale, in quanto ci dice molto sull’esperienza
di vita e di lavoro di militari e coloni italiani in terra d’Africa13.
Sebbene anche in Sicilia non siano mancate testimonianze – alcune
delle quali approdate alla pubblicazione in tempi recenti, sotto forma
di raccolte, diari, lettere, reportage fotografici – di quanti hanno lascia-
to traccia della loro esperienza di vita e di guerra sul suolo etiopico, il
fenomeno risulta ancora limitato sul piano quantitativo e circoscritto
per lo più alle vicende dei militari, cosicché diventa difficile offrire
una ricognizione delle voci dei coloni siciliani d’Oltremare14. In un
contesto di generale carenza di fonti, la riscoperta e valorizzazione di
questo patrimonio costituito da raccolte fotografiche che riemergono
dall’oblio e si offrono all’attenzione della comunità degli studiosi e del
pubblico contribuisce comunque, in modo nuovo, a una più vasta
conoscenza della rappresentazione della guerra coloniale d’Etiopia,
arricchendo il quadro di lettura e comprensione di quell’evento storico.

4. Gli album fotografici di guerra dei reduci


Guerra, Rovereto (TN) 2001; Oltremare. Storia
dell’espansione coloniale italiana, cit.; Una La pubblicazione degli album fotografici, a distanza di molti anni
guerra per l’impero. Memorie della campagna da quell’avvenimento, di quanti hanno preso parte – coinvolti a
d’Etiopia 1935-36, cit.
vario titolo come militari, medici e imprenditori – alla campagna
13.  Sulla vicenda dei coloni, provenienti in
particolare dall’area emiliano-romagnola, nel
d’Etiopia e ne hanno lasciato traccia attraverso i loro scatti, si inse-
Corno d’Africa si veda il saggio di Irma Taddia, risce, come dicevano, in un quadro di maggiore attenzione verso il
La memoria dell’Impero. Autobiografie d’Africa recupero di questo genere di fonte. Per pudore, volontà di rimuovere
Orientale, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 1988.
Sull’argomento si rimanda ancora al volume di
una pagina imbarazzante della storia personale e collettiva, ragioni
N. Labanca, Diari e memorie di vita e di lavoro di opportunità o altro, nella maggior parte sono rimasti chiusi in
dalle colonie d’Africa, cit. scantinati e soffitte, quasi in una sorta di scrigni, sottratti alla stessa
14.  Sul tema mi limito a segnalare, tra le visione dei familiari che in taluni casi ne sono venuti a conoscenza
pubblicazioni recenti, il testo di G. D’Amico,
Un viaggio lungo tre guerre. La straordinaria
solo dopo la morte. Eppure, come ha evidenziato Mignemi, il rito
esperienza di un siciliano al fronte in un dell’album fotografico di ricordi si configurò per migliaia di soldati
inedito epistolario, a cura di Elvira D’Amico, con come la più diffusa conclusione dell’avventura in Africa orientale,
prefazione di Santi Fedele, Istituto di Studi Storici
Gaetano Salvemini, Messina 2010. L’album
dettato dal bisogno di «raccontare la propria ventura»16. La visione
fotografico sulla guerra d’Etiopia realizzato da di queste raccolte personali ci restituisce un quadro vivido e palpi-
Francesco Monastero, che qui si pubblica, ha tante delle pulsioni che percorsero gli animi di quella generazione,
avuto una sua anticipazione editoriale nel volume
Etiopia 1935-36. Un soldato racconta la guerra
dei loro miti, imbevuti di retorica patriottica e sorretti dalla grani-
coloniale, a cura di G. Monastero, S. Lombino, tica certezza della missione civilizzatrice nei confronti del popolo
Adarte, Palermo 2011. etiope che il fascismo aveva inculcato loro, e anche del determinato
15.  A. Mignemi, Lo sguardo e l’immagine. La punto di vista con cui guardarono al mondo africano, influenzati
fotografia come documento storico, cit.
dal gusto esotico; ma ci dice molto, al di là della retorica di regime

32 LO SCRIGNO AFRICANO
che indirizzava all’esaltazione della superiorità tecnica e militare 16.  Può essere utile far riferimento alle
riflessioni sul ruolo della fotografia storica
italiana, sul dramma di una guerra rivelatasi più dura del previsto, coloniale richiamate da Silvana Palma in
piena di insidie, in cui furono commessi massacri indiscriminati e riferimento alla fase del primo colonialismo
non vennero risparmiate torture e umiliazioni corporali, come le italiano, nel periodo crispino, nel suo saggio
dal titolo Fotografia di una colonia: l’Eritrea
stesse immagini documentano16. di Luigi Naretti (1885-1900), in «Quaderni
Lasciando agli altri saggi contenuti in questo volume l’esame speci- storici», nuova serie, 109, 1/2002, pp.
fico della produzione contenuta nelle singole raccolte fotografiche 83-147, nel numero dedicato al tema
La colonia: italiani in Eritrea, a cura di A.
qui pubblicate e prescindendo dalle differenze di sensibilità e di stile Triulzi. Sempre sul rapporto tra fotografia e
tra i vari autori, mi limiterò soltanto a qualche breve considerazione colonialismo si segnalano i seguenti contributi:
generale. Innanzitutto emerge come tali immagini trovino una piena N. Labanca, Uno sguardo coloniale. Immagine
e propaganda nelle fotografie e nelle
rispondenza con l’iconografia ufficiale ed ufficiosa del colonialismo illustrazioni del primo colonialismo italiano, in
italiano dell’epoca e con la descrizione della guerra di Etiopia in «Archivio Fotografico Toscano», 8, 1988; Luigi
termini di epopea. D’altronde, come abbiamo già rilevato, era stato Goglia, Storia fotografica dell’impero fascista,
Laterza, Roma-Bari 1985; Id., Colonialismo e
lo stesso regime a influenzare l’immaginario visivo dei combattenti fotografia. Il caso italiano, Sicania, Messina
attraverso la messa in circolazione di un numero impressionante di 1989; S. Palma, L’Italia coloniale. Storia
serie fotografiche a scopo informativo e propagandistico, che hanno fotografica della società italiana, Editori Riuniti,
Roma 1999. Per venire al periodo recente,
fatto in un certo senso da modello, trovando spazio negli album ci limitiamo in questa sede a citare i diversi
fotografici personali per «colmare alcuni vuoti nella narrazione». progetti di recupero di archivi fotografici da
I soggetti delle foto ritraggono i vari momenti del viaggio, le opera- parte dell’ISTORECO di Reggio Emilia e quelli
di recupero e scambio di fonti private tra
zioni militari e di repressione, senza risparmiare i particolari rac- istituzioni modenesi ed etiopi-eritree descritti
capriccianti delle impiccagioni di massa, delle mutilazioni inflitte da Cristiana Pipitone nell’articolo Le cantine
al corpo del nemico o della posa accanto al corpo dell’avversario della storia, in «Zapruder», n. 23, settembre-
dicembre 2010, pp. 132-134, nel numero dal
ucciso. Non mancano le immagini delle opere pubbliche realizza- titolo Brava gente. Memoria e rappresentazioni
te dagli italiani (quali la costruzione di comandi, chiese, ospedali, del colonialismo italiano; meritano di essere
scuole, strade ecc.) e foto che ritraggono notabili, capi e soldati in- segnalati inoltre i contributi di D. Calanca,
A. Malfitano, Italiani in Africa. Le fotografie
digeni, le loro case, l’abbigliamento, i tucul ecc. Un capitolo a parte di Gaetano Orando durante la campagna
è rappresentato dalla rappresentazione delle donne, spesso riprese d’Etiopia 1935-1936, in «Storia e Futuro»,
a petto nudo e in pose che mettevano in evidenza tutta la violenza Rivista di Storia e storiografia, 10, febbraio
2006 e di E. Brichetto, La fotografia dentro il
del rapporto tra dominatore e dominato, esibite alla stessa stregua giornale: l’archivio storico del «Corriere della
di un bottino di guerra. Sera» e l’Africa orientale, in R. Bottoni (a cura
Tra queste foto, profondamente intrise dell’ideologia coloniale e di), L’impero fascista. Italia ed Etiopia (1935-
1941), cit., pp. 307-319. Anche Internet
specchio della cultura del tempo, ve ne sono alcune che vedono si rivela uno strumento formidabile, data la
protagonista l’imprenditore Ferrario, dirigente della Michelin ita- relativa semplicità tecnica e l’abbattimento
liana, e si riferiscono al momento del trasporto dei diversi blocchi dei costi di stampa che comporta, per favorire
la pubblicazione di tali materiali, tant’è che
che compongono la stele di Axum alla volta di Roma. Viene immor- si è assistito in questi anni al moltiplicarsi
talato in queste immagini un frammento di un impegno di lavoro del numero di siti che raccolgono le memorie
personale, quello di Ferrario, che fa da supporto a un’operazione coloniali.
che assumerà un significato simbolico di straordinaria portata, con 17.  Per un bilancio della vicenda si veda L.
Acquarelli, Sua altezza imperiale. L’obelisco
polemiche che si sono trascinate fino ai giorni nostri e placatesi solo di Axum tra dimenticanza e camouflage
con la restituzione del monumento nel 200517. storiografico, in «Zapruder», cit., pp. 59-73.

antonio baglio | la guerra d’etiopia 33

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