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“UnA FAcoltà dI MIssIologIA Per UnA chIesA MIlItAnte <#>

st. Miss. 63 (2014): 45-129

I principi dottrinali del Decreto Ad Gentes:


significato ed attualità dell’opzione conciliare

IlArIA MorAlI

A poco più di cinquant’anni dalla costituzione della commissione


conciliare De Missionibus, riunitasi per la prima volta il 28 novembre
1962, non è certo inutile tornare ad interrogarsi sul significato e l’at-
tualità del primo capitolo del decreto sull’attività missionaria della
chiesa, De principiis doctrinalibus, sette densi numeri, dal 2 al 9, la
cui vicenda redazionale si presenta complessa e tortuosa1.

A. Come si legge un documento del Concilio?


Precisazioni di metodo

Per poter affrontare questo tema, è opportuno che prima ci si


soffermi, pur se brevemente, sulla questione tutta metodologica
circa l’approccio da adottare per comprendere questa come qual-
siasi altra pagina del concilio Vaticano II.

1. Comprendere il dettato conciliare

In generale, nel corso di questi decenni post-conciliari, la parola


del Vaticano II è stata prevalentemente spiegata partendo dal-
l’esame del testo promulgato, talora con l’ausilio dei commentari

1
Il presente saggio costituisce una versione aggiornata dell’intervento compiuto giovedì 29
novembre 2012 in occasione delle celebrazioni per l’ottantesimo della Facoltà di Missiologia. A
seguito dell’interesse suscitato dai temi proposti nel corso di questa iniziativa ed anche in con-
siderazione degli straordinari eventi che hanno caratterizzato la vita ecclesiale con la rinuncia
di Papa Benedetto XVI (11 febbraio 2013) e l’elezione di Papa Francesco (13 marzo 2013), si è
ritenuto utile compiere nel frattempo un’ulteriore revisione di questo nostro studio.
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che, per quanto autorevoli, non si basavano però sugli Atti del
concilio pubblicati molto tardi, a partire dal 19702. la tipologia
dei documenti promulgati dal Vaticano II si presenta estrema-
mente variegata: costituzioni dogmatiche, costituzioni pastorali,
dichiarazioni e decreti. nel caso specifico di Ad Gentes (= AG), si
tratta di un decreto composto da una parte dottrinale, il primo ca-
pitolo, seguito da altri cinque più particolarmente incentrati sul-
l’attività missionalia, di indirizzo dunque più applicativo.
l’esigenza di conoscere la Parola conciliare per quello che essa ve-
ramente dice e non per quello che aprioristicamente si pensa abbia
voluto esprimere, rende ancor più urgente lo sforzo di approntare
una lettura basata su una corretta metodologia senza la quale non
sarebbe possibile creare le condizioni per una seria recezione del
messaggio del testo, una recezione di fatto ancora molto parziale.
come ebbe a sottolineare Papa Benedetto XVI e come ha ribadito
lo stesso card. Brandmüller la recezione del concilio è infatti an-
cora lungi dall’essere realizzata3.

2. I tre strati della documentazione

Quando parliamo di una lettura basata su una corretta metodo-


logia, intendiamo dire che il testo promulgato rimane certamente il
riferimento primario, ma anche che la conoscenza del suo signifi-
cato più profondo implica il concomitante studio di almeno tre
strati di documentazione4:

2
Uno dei più importanti commentari al decreto resta quello curato da suso Brechter, seb-
bene pubblicato anch’esso prima dell’uscita dei volumi degli Atti conciliari: cfr. “dekret über
die Missionstätigkeit der Kirche, einleitung und Kommentar”, in Lexikon für Theologie und Kir-
che2.Das Zweite Vatikanische Konzil.Dokumente und Kommentare III, (Freiburg i.Br.: herder
1968), 9-125.
3
Affermava Papa Benedetto XVI il 14 febbraio 2013: “Mi sembra che, 50 anni dopo il concilio,
vediamo come questo concilio virtuale si rompa, si perda, e appare il vero concilio con tutta la
sua forza spirituale. ed è nostro compito, proprio in questo Anno della fede, cominciando da
questo Anno della fede, lavorare perché il vero concilio, con la sua forza dello spirito santo, si
realizzi e sia realmente rinnovata la chiesa. speriamo che il signore ci aiuti.”; PAPA Benedetto XVI,
Incontro con i parroci e il clero di Roma (giovedì, 14 febbraio 2013): [www.vatican.va].
cfr. g. horst, “‘calma e pazienza: cosa volete che siano cinquant’anni?’ colloquio col cardinale
Walter Brandmüller, storico ecclesiastico ed ermeneuta del concilio, sul giubileo d’oro del-
l’apertura del Vaticano II”: [www.vaticaninsider.lastampa.it - 28/08/2012] . sul tema della re-
cezione, vedasi: M. FAggIolI,“council Vatican II: Bibliographical overview 2007-2010”, in
Cristianesimo nella Storia 32 (2011): 755–791.
4
A questi tre strati di documentazione si riferiscono anche gli interventi di B.Ardura e Ph.
chenaux, nella loro conferenza stampa (2 ottobre 2012), resa in occasione del convegno che di
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a) in primo luogo tutta la copiosa documentazione ufficiale degli


Acta, ove sono custoditi gli schemi, le animadversiones scripto exi-
bitae, il testo degli interventi in aula, le relationes e le disceptationes
ecc. da dove si apprende anche la cronologia ufficiale degli eventi
che scandirono e segnarono la redazione del documento. È la docu-
mentazione più propriamente conciliare5.
b) In secondo luogo, vi è la documentazione prodotta all’interno
delle commissioni e sottocommissioni preposte, nel corso dei lavori
conciliari: non inclusa negli Acta, ma presente negli archivi, essa è
in gran parte inedita6. la sua consultazione è fondamentale perché
svela l’operato delle commissioni di esperti, incaricati della revi-
sione e stesura dei testi; un lavoro di cesello redazionale, che, pur
se svolto dietro le quinte, fu di fondamentale aiuto alla discussione
in Aula7.
c) Vi è poi un terzo strato documentario, costituito dalle fonti di
natura privata, come i diari personali dei padri conciliari o dei periti,
annotazioni, lettere, biglietti, delucidazioni. Questo strato non può
essere incluso tra le fonti primarie, ma è sovente di importanza stra-
tegica perché permette di affinare la ricostruzione storica di eventi
e circostanze, di individuare gli attori effettivi di una svolta, come
pure di conoscere dettagli inediti sull’evoluzione redazionale di un
documento, le tensioni esistenti, le opinioni che andavano manife-

lì a poco si sarebbe celebrato presso la Pont. Università lateranense, sul concilio Vaticano II
(3-5 ottobre 2012): cfr. Conferenza stampa di presentazione del convegno internazionale di studi
“Il Concilio Ecumenico Vaticano II alla luce degli archivi dei padri conciliari - nel 50° anniver-
sario dell’apertura del Concilio Vaticano I (1962-2012)”: [www.news.va].
5
Abbiamo già in passato studiato alcuni aspetti degli Acta, ma in relazione alla discussione
sulle religioni e la salvezza dei non cristiani. In quella circostanza, si ebbe modo di studiare,
pur se solo in forma funzionale al tema, le tappe principali dell’iter di Ag: I. MorAlI, “grazia,
salvezza e religioni secondo la dottrina del concilio Vaticano II.’Memorandum per la teologia
delle religioni (I)”, in Revista Espanola de Teologia 64/3 (2004): 343–396; (II), 64/4 (2004): 527–
578.
6
Attualmente, questa documentazione si trova in gran parte custodita negli Archivi segreti
Vaticani.
7
Il ruolo dei teologi al concilio fu molteplice e fondamentale allo sviluppo del pensiero
conciliare. tuttavia il contenuto propriamente conciliare non va cercato nella documentazione
rinvenibile nel secondo e terzo strato, ma nelle deliberazioni dei padri. È cioè il testo che sca-
turisce dall’Aula a costituire il messaggio conciliare propriamente detto, mentre quello dei teo-
logi è “un lavoro il cui esito è stato determinato da altre persone, cioè dai padri con diritto di
voto e dai padri eletti nelle commissioni”; J. WIcKs, “I teologi al Vaticano II”, in Humanitas 59/5
(2004): 1012-1038; K. h. neUFeld, “Vescovi e teologi al servizio del Vaticano II”, in Bilancio e
Prospettive venticinque anni dopo (1962-1987), vol I, [a cura di r.lAtoUrelle], (Assisi: cittadella
1987), 82–109.
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standosi in seno ai circoli di esperti ed ecclesiastici, che talora scam-


biavano le proprie idee al di fuori del percorso ufficiale8.
A corollario di questa documentazione, è infine doveroso ricor-
dare il contributo del gesuita giovanni caprile le cui cronache del
concilio, composte con impressionante acribia, costituiscono una
fonte ricchissima per la ricostruzione degli eventi e della loro com-
plessa scansione, come pure dell’andamento del dibattito9.

Il vaglio di un tale patrimonio documentario non è ovviamente


necessario al fedele che si accosti alla lettura del documento conci-
liare. egli può tutt’al più avvalersi di un commentario. spetta invece
in primo luogo agli specialisti, teologi e storici, studiare questo im-
menso materiale. tale indagine non persegue intenti archeologici,
ma suo precipuo scopo è quello di favorire una lettura corretta dei
testi conciliari: la parola conciliare è infatti il punto finale di un di-
scernimento cui hanno concorso i Padri conciliari coadiuvati dai
teologi e dagli esperti che operavano ‘dietro le quinte’ per l’Aula.

In questo mio intervento adotterò quindi il secondo tipo di ap-


proccio, concentrando l’attenzione soprattutto sugli Atti del Conci-
lio, senza tuttavia trascurare alcuni dettagli che si possono rinvenire
negli scritti di alcuni periti conciliari che parteciparono in prima
persona al processo di maturazione e redazione del documento10.

8
In questo ultimo decennio sono stati pubblicati diversi diari di alcuni tra i periti protago-
nisti della scena conciliare. ci limitiamo qui a ricordare quelli di Y. congAr, Mon journal du
concile I-II (Paris: cerf 2002); di g. PhIlIPs, Carnets conciliaires de Mgr Gérard Philips: Secrétaire
adjoint de la Commission doctrinale, édition bilingue français-néerlandais (leuven: Peeters Pu-
blishers 2006); di h. de lUBAc, Carnets du Concile I-II (Paris: cerf 2007). Per il nostro tema, at-
tingeremo soprattutto agli scritti di congar. Il diario di un teologo, il suo epistolario, di per sé
non possono essere considerati in senso proprio fonti primarie per il concilio; quando però ci
si prefigga una ricerca atta a ricostruire il personale apporto di un peritus ai lavori del Vaticano
II, tale documentazione è a tutti gli effetti fonte primaria per l’indagine.
9
non si tratta perciò di una fonte inedita né propriamente conciliare, ma di una cronaca
molto dettagliata, diversa per stile ed estensione dal modo odierno di riportare gli eventi: noi
attingeremo soprattutto ad alcuni volumi dell’opera: cfr. g.cAPrIle, Il Concilio Vaticano II. L’an-
nunzio e la preparazione 1959-1962 v.I/I; Terzo periodo 1964-1965, IV; Quarto periodo 1965,
V (roma: la civiltà cattolica 1966-1969).
10
la più dettagliata disamina del materiale degli Acta su Ag si trova in una tesi dottorale di-
retta dal gesuita J.galot alla Pontificia Università gregoriana. È ancor oggi il migliore studio a
disposizione della ricerca: cfr. J. B. Anderson, A Vatican II Pneumatology of the Paschal Mystery:
The Historical-doctrinal Genesis of Ad Gentes I, 2-5 (roma: editrice Pontificia Università grego-
riana 1988). Meritano attenzione anche i contributi di g. colzAnI, “sentido teológico de la misión”,
in FAcUltAd de teologíA del norte de esPAñA. IstItUto de MIsIonologíA Y AnIMAcIón MIsIonerA (ed),
Estudios de misionologia 13: El Decreto ‘Ad Gentes’: desarrollo conciliar y recepción postconciliar,
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B. Durus labor fuit: la difficile genesi del Decreto

dei testi conciliari con un iter redazionale lungo e difficile, il de-


creto Ag è tra quelli che ha conosciuto uno dei percorsi più tortuosi.
Venne infatti promulgato solo il 7 dicembre 1965. nella Relatio circa
rationem qua schema elaboratum est, distribuita in Aula il 23 otto-
bre 1964, ove si trova una precisa descrizione delle tappe redazio-
nali precedenti a questa data, si coglie l’immensa fatica del
percorso, esemplificata dalla parola latina labor, che vi ricorre ben
cinque volte, quasi a refrain, accompagnata da altre espressioni che
indicano anch’esse difficoltà: “durus fuit labor. Patres commissio-
nis inter se non conveniebant de natura schematis [marzo 1963]…
unde iterum ordinatio materiae sub lite posita est [ottobre-novem-
bre 1963]…excusatos nos habeatis: materia fuit ardua …durus fuit
labor commissionis [fine aprile-maggio 1964]”11.

1. Complessità dell’iter redazionale

lo studio della scansione temporale di questo labor dimostra la


complessità dell’iter redazionale che concorse alla formulazione del
documento, iter che conobbe più tappe.

1.1.Le tappe
- Prima tappa: cinque commissioni e sette schemi (ottobre 1960-
marzo 1962)
In fase pre-conciliare, sotto l’egida della Commissio Praeparatoria,
a partire dal 24 ottobre 1960 erano state costituite ben 5 sottocom-
missioni che produssero delle relationes, dalla cui rielaborazione
erano poi scaturiti ben sette schemi12. Questi vennero esaminati dalla

(santos: Burgos 2006), 49-78.Il testo risulta, nella sua versione italiana, pubblicato nel sito della
Pont. Università Urbaniana (http://www.urbaniana.edu/ricerche_contrib/colzani.htm#_ftn5). Ve-
dasi anche dello stesso autore: “storia e contenuti del decreto ‘Ad gentes’”, in IdeM, Pensare la
missione. Studi editi ed inediti (a cura di s. MAzzolInI) (roma: Urbaniana University Press 2012),
112-143. si ricorda infine: W.Insero, La Chiesa è ‘missionaria per sua natura’ (AG 2): origine e
contenuto dell’affermazione conciliare e la sua recezione nel dopo Concilio (roma: editrice Pon-
tificia Università gregoriana 2007).
11
“Appendix relatio circa rationem qua schema elaboratum est”, in Acta Synodalia Sacro-
sancti Concilii Oecumenici Vaticani secundi (= AscoV) III/VI, 333-336.
12
cfr. I sette schemi sono pubblicati in Acta et Documenta Concilio Vaticano secundo ap-
parando (= AdcoV) III (series II - praeparatoria), pars II, 241ss.
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Commissio Centralis Praeparatoria tra il 28 ed il 31 marzo 1962,


quindi due anni dopo l’inizio dell’iter, per poi essere rinviati alla
Commissio praeparatoria de Missionibus. si era quindi disposto di
mantenere solo due degli schemi prodotti, il I ed il VII (rispettiva-
mente trattanti De Regimine Missionum e De cooperatione missionali)
inglobando i restanti cinque in altre commissioni13. Questa era dun-
que la materia destinata ad essere oggetto di discussione con l’aper-
tura del Vaticano II14.

- seconda tappa: la nuova bozza di schema bipartito (marzo –giu-


gno 1963)
dal 20 marzo 1963, la commissione conciliare De Missionibus15
aveva preso a discutere la bozza scaturita dai due schemi super-
stiti16. Anche durante questa fase, si erano evidenziate divergenze
notevoli, a volte inconciliabili. dalla lettura degli Acta si evince che,
a Vaticano II già iniziato, i componenti della Commissio Conciliaris
de Missionibus non trovavano accordo circa la natura dello

13
“Pont. commissio de Missionibus haec paravit schemata: de regimine missionum, de di-
sciplina cleri, de religiosi, de sacramentis ac de sacra liturgia, de disciplina populi christiani,
de studiis clericorum, de cooperatione missionali. haec schemata discussa sunt in sessione
generali Pont. commissionis centralis diebus 28,29,30,31 mensis martii 1962 habita. […] Ani-
madverti tamen liceat, primum et postremum schema (scilicet: De regimine missionum et de
cooperatione missionali) pertinere ad commissionem de Missionibus et quaestiones missionum
directe respicere. […] At, cum hoc sit tantum votum, a quibusdam Patribus commissione cen-
trali prolatum, quibus assentire non videtur commissio de Missionibus, ne dedignentur edicere
em.mi sodales nostrae subcommissionis, sua qua pollent sapientia, an sufficiat ut concilium
excutiet tantum de illis duobus schematibus (De regimine missionum et de cooperatione mis-
sionali), ceteris iudicio s.sedis remissis.”; Pont. sUBcoMMIssIo centrAlIs de scheMAtIBUs eMendAndIs
PrAePArAtorIA concIlII VAtIcAnI II, “de emendatione schematis decreti de Missionibus”, in
ADCOV (series II – Praeparatoria) IV/III-2 (typis Polyglottis Vaticanis 1962), 156.
14
Vedi: sAcrosAnctUM oecUMenIcUM concIlIUM VAtIcAnUM secUndUM, Schemata Constitutionum
et decretorum ex quibus argumenta in Concilio disceptanda seligentur, (series IV- typis Poli-
glottis Vaticanis 1963), 349-369; cfr. Anderson, A Vatican II Pneumatology of the Paschal My-
stery, 21.
15
“the conciliar commission De Missionibus inherited the work of the Preparatory com-
mission”; Anderson, A Vatican II Pneumatology of the Paschal Mystery, 27.
16
si noti un dettaglio: l’avvio dei lavori da parte della commissione conciliare avvenne tar-
divamente rispetto all’inizio del concilio, per varie ragioni: l’andamento delle prime congre-
gazioni generali suggeriva l’impressione che i lavori conciliari si sarebbero protratti a lungo,
con l’indizione di altre sessioni; d’altra parte, in questa prima fase del Vaticano II, essendo in
atto un duro scontro tra Propaganda Fide e ed alcuni vescovi nativi delle terre di missione,
sembrava ragionevole lasciare che le acque si acquietassero. cfr. Anderson, A Vatican II Pneu-
matology of the Paschal Mystery, 28; s. PAVentI, “entstehungsgeschichte des schemas ’de acti-
vitate Missionali ecclesiae”, in Mission nach dem Konzils, (J. schütte hrsg.) (Mainz: Matthias -
grünewald 1967), 61.
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schema17. si era giunti a delineare una primo testo, strutturato in


due parti, fissando l’ordine dei temi da trattare18. discusso e riela-
borato in seno alla stessa commissione, in questa veste finale, esso
venne quindi inviato alla commissione centrale per una sua valu-
tazione: questa pervenne il 12 luglio con diverse osservazioni e cri-
tiche piuttosto consistenti, che non potevano essere ignorate19.

- terza tappa (23 ottobre – 3 dicembre 1963): verso lo schema


De Missionibus.
nell’autunno 1963, dopo che si era già aperta la seconda sessione
conciliare (29 settembre), si pose mano ad una nuova revisione del
testo sulla base dei rilievi pervenuti d’estate ai quali andavano som-
mandosi altrettante critiche da parte degli stessi membri della com-
missione20. In questa delicata fase di transizione verso il nuovo
schema, nel frattempo si era aggiunto un ulteriore fattore di diffi-
coltà, proveniente dal concomitante processo redazionale della co-
stituzione De Ecclesia: era stato infatti comunicato che la Commissio
Theologica si preparava ad inserire nel De Ecclesia uno “speciale
caput de natura missionaria ecclesiae” affidandone la redazione alla
stessa commissione De Missionibus. Aveva dunque ancora senso
trattare dei fondamenti dottrinali della missione nel nuovo schema
del decreto? significativo che gli Acta registrino a questo punto
dell’iter redazionale in seno alla commissione una discussione piut-
tosto animata: “ordinatio materiae sub lite posita est”21.

17
“In his sessionibus mensis martii 1963 durus fuit labor. Patres commissionis inter se
non conveniebant de natura schematis.”; “Appendix. relatio circa rationem qua schema elabo-
ratum est”, in ASCOV III/VI, 333. “...never was the full commission able to come to unity...”;
Anderson, A Vatican II Pneumatology of the Paschal Mystery, 32. “la commissione conciliare,
costituita nel novembre 1962, trovò faticosamente un’intesa sulla natura dello schema stesso.”
cAPrIle, Il Concilio Vaticano II, IV 375.
18
lo schema presentava infatti una prima parte (De ipsis Missionibus), suddivisa in tre ca-
pitoli; medesima strutturazione presentava anche la seconda parte (De cooperatione Missionali).
cfr. PAVentI, “entstehungsgeschichte des schemas ‘de activitate Missionali ecclesiae’”, 61.
19
“doch war die Arbeit noch nicht beendet und wurde daher mit größter eile und Intensität
am Anfang der zweiten sitzungsperiode des Konzils wieder aufgenommen.” PAVentI, “entste-
hungsgeschichte des schemas ‘de activitate Missionali ecclesiae’”, 62.
20
cfr. PAVentI, “entstehungsgeschichte des schemas ‘de activitate Missionali ecclesiae’”,
62; Anderson, A Vatican II Pneumatology of the Paschal Mystery, 35.
21
“ASCOV III/VI, 334: Interim notum fuit, commissionem theologicam paratam esse spe-
ciale caput de natura missionaria ecclesiae inserere in constitutionem de ecclesia, libenterque
a nobis talem textum accepturam. Quare quibusdam peritis mandatum fuit. […] hisce factum
est ut fundamenta theologica Missionis ecclesiae in nostro schemate non amplius esse trac-
tanda. Unde iterum ordinatio materiae sub lite posita est.”; questo ‘caput speciale’ viene inserito
nel corpo del De Ecclesia a partire dal suo terzo schema, inviato ai Padri conciliari il 3 luglio
1964; cfr. ASCOV III/I, 189-190.
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Il 3 dicembre 1963, in netta discontinuità con i tentativi pregressi,


veniva quindi presentato un nuovo schema De Missionibus: constava
ora di quattro capita, il primo dei quali incentrato sui principi dottri-
nali22. Inviato ai padri conciliari il 17 gennaio 1964, si chiedeva loro
di far pervenire eventuali osservazioni entro il 31 marzo seguente23.
In effetti, in quei primi mesi dell’anno i Padri conciliari avrebbero
iniziato ad inviare le proprie animadversiones, in attesa di esami-
narle in commissione il 4 maggio24. Il numero di questi interventi è
piuttosto consistente e denota grande interesse ed impegno da
parte dei Padri conciliari. A quel punto sembrava quasi scontato che
la fase più intensa del lungo labor redactionis fosse ormai dietro le
spalle: dopo quattro anni di animate discussioni e continue revi-
sioni, la fissazione di questo calendario significava una normaliz-
zazione del processo redazionale.

- Quarta tappa: lo Schema propositionum (maggio-luglio 1964) ed


il suo rigetto (novembre 1964)
Un brusco cambio di scenari era tuttavia destinato a segnare una
nuova e più difficile battuta d’arresto nella redazione del futuro de-
creto: il 23 aprile 1964 il segretariato generale del concilio dira-
mava una disposizione perentoria, quanto imprevedibile, riguardo
agli schemi ancora in fieri: “schemata ad paucas sententias seu pro-
positiones esse reducenda”25. così com’era, quindi, lo schema De
Missionibus non avrebbe potuto esser mantenuto, anzi necessitava
di tagli radicali. In pratica occorreva ricominciare da capo, stenden-
done uno nuovo più rispondente ai dettami del segretariato che al-
l’importanza della materia. Pertanto, anche le osservazioni che in
quei mesi i padri conciliari avevano fatto giungere alla commissione
non detenevano più alcun senso, riguardando lo schema abortito.
Questa imposizione che veniva da un organo esterno alla commis-
sione condusse a redigere un nuovo schema di sole tredici proposi-
zioni26. Messo insieme obtorto collo, votato all’unanimità solo per

22
cfr. Appendix I “schema de Missionibus”, in ASCOV III/VI, 659 ss.
23
“enixe rogantur Patres, qui animadversiones et emendationes super schemate proponere
desiderant, ut easdem scripto exhibere velint non ultra diem 31 mensis martii currentis anni.”;
Appendix I “schema de Missionibus”, in ASCOV III/VI, 659 ss.
24
cfr. ASCOV III/VI, 334.
25
“Interim die 23 aprilis 1964 secretariatus generalis concilii nobiscum communicavit
schemata ad paucas sententias seu propositiones esse reducenda, ratione utique habita ani-
madversionem Patrum”; ASCOV III/VI, 334.
26
ASCOV III/VI, 328-332.
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obbedienza alle disposizioni del segretariato, esso nasceva già in-


viso ai più. nessuno che conoscesse quanto arduo fosse stato l’iter
di quegli anni poteva approvare questa svolta così repentina27. Il 3
luglio 1964 veniva inviato ai Padri conciliari lo Schema propositio-
num: esso presentava tra l’altro anche un mutamento, non di poco
conto, nel titolo: non più De Missionibus, ma De activitate missionali
Ecclesiae. Infatti, nel nuovo schema solo una proposizione, la prima,
conteneva riferimenti dottrinali. Il De Ecclesia era il perno della ri-
flessione conciliare ed ad esso era stato demandato il compito di
trattare approfonditamente i fondamenti della missione. In effetti,
nel secondo capitolo della futura costituzione dogmatica sulla
chiesa, sussistevano due numeri significativi in tal senso: il futuro
numero 16, incentrato sulla salvezza dei non cristiani, ed il 17 sul
fondamento delle missioni. la materia più propriamente dottrinale,
finora contenuta nello schema del decreto era stata ‘traslata’ nello
schema sulla chiesa28. Il cambiamento di titolazione del decreto ri-
fletteva dunque uno spostamento di obiettivi a seguito della svolta
imposta allo schema, di fatto introducendo le premesse per un di-
verso equilibrio di forze tra i due futuri documenti: sacrificata la
parte dottrinale del decreto, il peso si spostava completamente sui
numeri del De Ecclesia. Al decreto sarebbe spettato il compito di il-
lustrare le missioni come attività essenziale della chiesa, nulla di
più29.
nella fase di intersessione pervennero reazioni così negative
da indurre il relatore, in occasione della presentazione dello
Schema propositionum, ad ammettere la delusione di molti Padri
conciliari che si erano sentiti traditi nelle loro aspettative più pro-
fonde30.

27
cfr. Anderson, A Vatican II Pneumatology of the Paschal Mystery, 53.
28
“Materia autem capitis, quod vocabatur De Principiis doctrinalibus, omissa est, utpote in
schema De Ecclesia translata.”; “relatio (st. lokuang) super schema propositionum de Activi-
tate Missionali ecclesiae”, in ASCOV III/VI, 341.
29
“Breviter adhuc exponendum cur ultimatim titulus huius Schematis Propositionum datus
non fuit ‘de Missionibus’, sed ‘De Activitate Missionali Ecclesiae’. Praeter quod a nonnullis Pa-
tribus in suis animadversionibus petitum fuit, etiam visum est Patribus commissionis titulum
De Missionibus esse nimis largum quam qui hisce Propositionibus praeponatur; ex altera parte,
cum iam centrum totius concilii videatur esse doctrina de ecclesia, opportunum visum est
etiam missiones considerare in quantum sunt activitas essentialis ecclesiae.”; “Appendix. re-
latio circa rationem qua schema elaboratum est”, in ASCOV III/VI, 335.
30
“expectationes plurimorum Patrum, praesertim illorum qui honorem sed et pondus evan-
gelium apud non-christianos annuntiandi portarunt ac portant, per brevitatem huius schematis
delusae audiuntur. hi Patres a concilio expectabant normas pro activitate missionali in tem-
poribus modernis; directivas in hodiernis difficultatibus postulabant; et in specie sperabant
sanctam hanc synodum in tota ecclesia aestimationem, amorem et adiutorium pro Missionibus
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 10.22 Pagina 54

54 ILARIA MoRALI

Ad esacerbare gli animi concorse la disposizione, sempre esterna,


di escludere dall’agenda del Concilio l’eventualità di una valutazione
approfondita dello Schema, prevedendo solo una breve discussione
prima della votazione31. Questo esame sbrigativo era stato fissato
per il 6 novembre 1964 coram Summo Pontifice, a dimostrazione del-
l’interesse del papa per il Decreto: dal tenore del suo discorso, si
evince però come egli desse per scontata ed imminente l’approva-
zione definitiva dello Schema Propositionum32. Anderson ritiene pro-
babile che il papa non fosse a conoscenza dei malumori dell’Aula33.
In ogni caso, il papa si sarebbe ben presto reso conto dei reali senti-
menti dei padri conciliari: alle critiche contenute nelle animadver-
siones scripto exhibitae andavano via via aggiungendosi le
rimostranze dell’Aula, ove essi esprimevano un giudizio alquanto
negativo34. Anche al di fuori dell’Aula serpeggiava notevole disap-
punto: in una pagina del suo diario, Yves Congar dà notizia di una
lettera inviata dai superiori degli istituti missionari con la richiesta
che lo schema fosse rigettato. Essi ne proponevano uno alternativo35.
Fu ben presto chiaro che in queste condizioni così avverse lo Schema
non sarebbe mai passato. Venne perciò proposto un quesito, al fine
di sondare se i padri fossero d’accordo per un’interruzione della di-
scussione sullo schema: l’Aula non esitò a dare parere favorevole36.
Venne poi sottoposta a suffragio la richiesta se dare mandato o
meno alla Commissione di redigere un nuovo schema e i padri con-
ciliari approvarono la proposta senza esitazione37. Il testo fu così

fore excitaturam. Quibus expectationibus evidenter hoc parvum schema, de mandato Directio-
nis Concilii ad paucas sententias reductum, satisfacere haud valet.”; “Relatio super Schema
propositionum De Activitate Missionali Ecclesiae”, in ASCOV III/VI, 351 (S.Lokuang).
31
Cfr. AnDERSon, A Vatican II Pneumatology of the Paschal Mystery, 53.
32
“Esaminando lo schema che avete nelle vostre mani, dove si tratta di questo argomento,
abbiamo trovato molte cose degne della nostra lode, sia per il contenuto sia per l’ordine della
loro esposizione. Riteniamo, perciò, che facilmente il testo sarà da voi approvato, pur dopo
aver rilevato la necessità di ulteriori perfezionamenti.”; CApRILE, Il Concilio Vaticano II, IV 381;
cfr. ASCOV III/VI, 323-324.
33
Cfr. AnDERSon, A Vatican II Pneumatology of the Paschal Mystery, 84-85.
34
Vedasi le pagine seguenti.
35
Cfr. CongAR, Mon journal du concile II, 241 (vendredi 6 novembre 1964). nel diario Congar
non scrive la data sempre allo stesso modo. Ci atteniamo pertanto a quello che egli sceglie di
volta in volta.
36
“An placeat patribus utrum concludatur disceptatio de schemate de activitate missionali
Ecclesiae?”; ASCOV III/VI, 445.
37
“patres venerabiles, plausus iuridice nihil dicunt, quapropter visum est moderatoribus
ut propositum Exc.mi relatoris vestris suffragiis subiiciatur, nam haec ordo postulat. Qua prop-
ter a vobis, patres venerabiles, quaeritur – auditore bene: Utrum placeat schema propositionum
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 10.23 Pagina 55

I PRINCIPI DottRINALI DEL DECREto AD GENtES 55

rinviato alla Commissione De Missionibus cui spettava ora il com-


pito di redigere un nuovo e più esaustivo schema38. Nella riunione
plenaria del 16 novembre 1964, in vista di questo nuovo labor re-
dazionale, venne quindi costituita una sottocommissione compren-
dente, oltre alcuni vescovi, anche J. Schütte, Generale dei Verbiti, e
dei periti, tra i quali Y.Congar, J.Ratzinger, D. Grasso e J.Neuner39.
Il gruppo si diede convegno il 12 gennaio a Nemi, presso la Casa
dei Verbiti. Nonostante dunque che i lavori conciliari si protraes-
sero da due anni e le discussioni sulle missioni ben da quattro, in
questa fine d’anno 1964, su un tema tanto cruciale come la mis-
sione della Chiesa, il Concilio di fatto non disponeva ancora di uno
schema definitivo su cui discutere. In un certo senso, si ricomin-
ciava completamente da capo, proprio mentre il 21 novembre 1965,
ossia appena cinque giorni dopo quella decisione, vedeva la luce la
Costituzione dogmatica De Ecclesia, col suo n. 17 De indole missio-
naria Ecclesiae40.

- Quinta tappa: dallo schema definitivo (gennaio 1965) alla pro-


mulgazione del decreto (7 dicembre 1965)
tra colpi di scena, battute di arresto, e repentini cambiamenti
di percorso, si deve dunque constatare che in quella fase di ‘ri-
partenza’ del futuro Decreto, LG 17 rappresentava l’unico punto
fermo per il nuovo labor redactionis: questo riprendeva sulle ma-

de activitate Missionali Ecclesiae iterum refici a commissione competenti?”; ASCOV III/VI, 446.
Nella verità dei fatti, bastò che il Relatore Lokuang accennasse alla possibilità di una nuova
stesura del testo, per suscitare l’applauso corale dell’Aula in segno di approvazione. Di qui la
reazione stizzita del segretario generale, che fece notare che, dal punto di vista giuridico, un
applauso, pur così generale, non aveva alcun valore deliberativo.
38
Con 1601 voti a favore ed appena 311 contrari, fu accolta la proposta della stessa Com-
missione De Missionibus per il rifacimento dello schema: “Ea propter hoc schema de activitate
missionali Ecclesiae perpolietur, perficietur et, ubi opus erit, reficietur iuxta Patrum animad-
versiones.”; ASCOV III/VI, 457. Nella sua Relatio I. Schütte, menzionerà nuovamente la deter-
minazione della Commissione De Missionibus in tale circostanza: “Integrum Schema componi
debuit.”; “Relatio super Schema Decreti De Activitate Missionali Ecclesiae”, in ASCOV IV/III,
700 (I. Schütte).
39
“Dopo il ritiro dello schema sulle missioni da parte della competente Commissione, il 9
novembre 1964, questa si riunì in sessione plenaria, il 16 novembre 1964, affidando ad un
gruppo ristretto di 5 Padri e di altrettanti periti la redazione di un nuovo schema; i lavori ebbero
inizio il 12 gennaio 1965 presso la casa estiva della curia generalizia dei verbiti, a Nemi (Roma)
e si protrassero fino al 26, con un’aggiunta di due giorni (26-28) per la revisione stilistica del
testo latino da parte di alcuni esperti.”; CAPRILE, Il Concilio Vaticano II, V 185-186.
40
Nella sua ricerca dottorale sul De Ecclesia, Sandra Mazzolini ha trattato diffusamente dei
legami intercorsi con lo schema De Missionibus: cfr. S.MAzzoLINI, La Chiesa è essenzialmente
missionaria: il rapporto Natura della Chiesa - missione della Chiesa nell’iter della costituzione
‘de Ecclesia’ (1959-1964), (Editrice Pontificia Università Gregoriana 1999), 121-143.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 56

56 IlArIA MorAlI

cerie di ben due schemi, il De Missionibus, abortito per ragioni


esterne alla commissione nell’aprile 1964, e lo Schema Proposi-
tionum de Activitate Missionali Ecclesiae rigettato dall’Aula nel
mese di novembre per la sua insufficienza strutturale e contenu-
tistica41.

lo schema che vide finalmente la luce nell’autunno 1965 è dun-


que da considerarsi il vero prodromo al decreto attuale. nei dieci
mesi trascorsi si era molto lavorato, racconta la nuova Relatio circa
rationem qua schema elaboratum est42. le giornate di nemi (12 e 27
gennaio 1965), impressero un’effettiva svolta nella storia redazio-
nale del futuro decreto. da un punto di vista cronologico, come se-
gnala lo stesso Piero doria, le “considerationes” del giovane
ratzinger si collocherebbero proprio in quell’arco di tempo com-
preso tra dicembre 1964 e gennaio 196543. lo stesso Paventi ricorda
nel suo reportage che ratzinger aveva provveduto ad inviare antici-
patamente le sue osservazioni44.
Pervenuti vari rilievi da parte dei membri della commissione De
Missionibus e di alcuni padri conciliari coinvolti per la circostanza
nella lettura di questa nuova bozza di schema, la sottocommissione
si era poi riunita di nuovo a nemi, tra il 29 marzo ed il 3 aprile del
medesimo anno: recependo l’auspicio di molti, lo schema che stava
prendendo forma conteneva un’esposizione più che esauriente del
fondamento dottrinale della missione45. dopo alcuni ulteriori incon-
tri, avvenuti in primavera, per una meticolosa messa a punto del

41
rispetto alla genesi di questo numero in seno al De Ecclesia, esso compare solo a partire
dal III schema, come “novus numerus”, in risposta alla richiesta dei Padri conciliari: “Plures pe-
tierunt disertam expositionem de Missionibus et prasertim de ‘fundamento theologico’ mis-
sionis, ….optatur ut missio pertinere dicatur ad ipsam essentiam ecclesiae…Ad quam
conficiendam subcommissioni II communicati sunt duo textus, primus a commissione de Mis-
sionibus proveniens, altera ab epp. Africae et Madagascar.”; “relatio de n. 17, num. novus(A)”,
in ASCOV III/I, 206-207.
42
cfr. “relatio circa rationem qua schema elaboratum est”, in ASCOV IV/III, 693.
43
P.dorIA, “Il ruolo del teologo Joseph ratzinger durante il concilio nella documentazione
dell’Archivio del concilio Vaticano II”, in Centro Vaticano II - Studi e Ricerche VI/1 (2012): 27,
nota 42 (testo completo del saggio: 19–33). In effetti, nel suo saggio Piero doria ha tentato di
ricostruire “per quello che la documentazione conservata nell’Archivio del concilio Vaticano
II permette - la presenza del futuro Papa nel corso dei lavori conciliari” (20). Il lavoro della sot-
tocommissione si trova dettagliatamente descritto in Anderson, A Vatican II Pneumatology of
the Paschal Mystery, 100 ss.
44
“ratzinger hatte seine Anmerkungen zum theologischen teil bereits im voraus ge-
schickt.”; PAVentI, “entstehungsgeschichte des schemas ‘de activitate Missionali ecclesiae’”, 65.
45
cfr. PAVentI, “entstehungsgeschichte des schemas ‘de activitate Missionali ecclesiae’”, 64.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 57

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 57

nuovo schema, il 28 maggio 1965 Paolo VI ne autorizzava la tra-


smissione ai Padri conciliari46. la discussione del testo in Aula venne
fissata a partire dal 7 ottobre, giorno dell’articolata relazione di
schütte: in questo discorso vengono ripercorse le tappe dell’iter re-
dazionale seguite al rigetto dello Schema Propositionum e si rinviene
un’illustrazione debitamente argomentata delle diverse parti che
compongono il nuovo testo47.
la promulgazione del decreto, avvenuta il 7 dicembre 1965,
segnò la fine di cammino veramente estenuante. Incluso il periodo
preparatorio, il labor redactionis era infatti durato ben cinque anni.
da notare che, nella sua titolazione definitiva, il decreto mantiene
la denominazione De Activitate missionali introdotta con lo Schema
Propositionum, nonostante si fosse provveduto a reinserire, appena
dopo il proemio, la parte dei principi dottrinali: questi danno corpo
al primo capitolo (De principiis doctrinalibus) cui seguono altri cin-
que capita: De ipso opere missionali, De Missionariis, De ordinatione
activitatis missionalis, De Missionariis, De cooperatione48.

1.2. Le ragioni sottese alla fatica


gli eventi più salienti riproposti in questa nostra breve sintesi
provano, senza ombra di dubbio, le ragioni di un tale durus labor,
ascrivibili a tre tipi di difficoltà: a) in seno alla commissione: un
fatto che emerge costante dagli Acta è la disparità di opinioni, i con-
trasti che ne provennero, le innumerevoli discussioni, avvenute a
vari livelli nel corso dell’iter redazionale. Molti i versanti della di-
scussione: dalla natura alla struttura dello schema, dall’ordine della
materia alla trattazione di singoli temi, in ultimo anche la questione
se e quale spazio conferire a considerazioni di natura dottrinale; b)
difficoltà esterne alla commissione De Missionibus, comunque in-
terne al concilio: per stabilire quale tipo di raccordo dovesse sussi-
stere, in materia di missione, tra il De Ecclesia ed il futuro decreto;
c) fattori accidentali: a condizionare pesantemente l’iter di scrittura
del decreto, fino a sconvolgerlo, fu la disposizione del segretariato

46
cfr. ASCOV IV/III, 663. Il testo dello schema definitivo si trova nelle pagine 663-692.
47
cfr. “relatio super schema decreti de Activitate Missionali ecclesiae (Ioannes schütte
superior generalis s.V.d. n. 3),” in ASCOV IV/III, 699; cfr. cAPrIle, Il Concilio Vaticano II, V 188
ss.
48
con la suffragatio 521 (30 novembre 1965) si sottopone a votazione l’intero schema com-
prensivo dei modi; con la suffragatio 542 (7 dicembre) il testo viene invece approvato in forma
di decreto: cfr. ASCOV IV/IV, 100. cfr. PAVentI, “entstehungsgeschichte des schemas De acti-
vitate Missionali Ecclesiae”, 75.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 58

58 IlArIA MorAlI

di ridurre i rimanenti schemi a poche proposizioni. Questa deci-


sione fece saltare il già fragile equilibrio faticosamente raggiunto
con la composizione dello schema De Missionibus.

guardando a posteriori l’intera vicenda, le tensioni maggiori


sembrerebbero essersi condensate nelle commissioni e sotto-
commissioni. Il coinvolgimento diretto dell’Aula avviene in ef-
fetti molto tardi: se infatti si prescinde dalle animadversiones
scripto exhibitae pervenute entro il 31 marzo 1964 relative allo
schema poi abortito, l’Aula prese per la prima volta diretta-
mente la parola solo nel novembre 1964, rigettando lo Schema
propositionum. È quindi interessante constatare che, dal mo-
mento in cui l’Aula avevano avuto modo di intervenire diretta-
mente nella gestione dello schema, il cammino ha iniziato a
prendere una piega diversa. l’introduzione dello Schema pro-
positionum ha prodotto l’effetto paradossale, ma benefico, di
compattare l’Aula a favore della redazione di un nuovo schema
superando così molte resistenze.

A questi diversi ordini di difficoltà, tutte interne alla vicenda


conciliare del decreto, si deve tuttavia aggiungere un ulteriore fat-
tore di destabilizzazione latente, ma ugualmente incisivo: la genesi
di Ad Gentes si intreccia non solo con la redazione dei numeri 16
e 17 di Lumen Gentium, ma anche con il processo redazionale delle
due dichiarazioni, nostra Aetate e Dignitatis Humanae che, da di-
verse prospettive, investono temi nevralgici per la missione: la sal-
vezza dei non cristiani, il valore delle loro religioni, il dialogo
interreligioso e la tolleranza religiosa.

dal punto di vista cronologico sincronico, per dare un’idea, il fu-


turo numero 16 del De Ecclesia entra nello schema come n. 12 nel-
l’aprile 1963 per esser discusso a settembre, tutto ciò mentre in
seno alla commissione De Missionibus si dibatte ancora sull’impo-
stazione del futuro schema49. Il primo abbozzo della dichiarazione
nostra Aetate, in sostituzione di quella De Iudaeis, è consegnato il
3 luglio 1964, verosimilmente insieme allo Schema propositionum50.

49
cfr. Il numero 10 (poi diventato 16) del De Ecclesia, appare nel fascicolo approvato da
giovanni XXIII il 22 aprile 1963 ed inizia ad essere discusso nel settembre dello stesso anno:
cfr. ASCOV II/I, 221. cfr. MorAlI, “grazia, salvezza e religioni” (I)”, 353.
50
cfr. ASCOV III/II, 329. MorAlI, “grazia, salvezza e religioni”, (I), 367; (II), 551-552.
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 59

nel maggio dello stesso anno Paolo VI ha nel frattempo istituito il


segretariato per i non cristiani (14 maggio 1964) e, di lì a poco, pub-
blicherà l’enciclica Ecclesiam Suam (6 agosto)51. Questo semplice ac-
costamento di date ed eventi lascia intuire il paradosso che si
produce in seno al concilio: mentre infatti la riflessione sui rapporti
chiesa-religioni sta trovando le condizioni per un’articolata lettura
e scrittura di tutte le implicazioni, quella sulle missioni è ridotta
forzatamente all’osso, senza un approfondimento della teologia.

Inoltre, questo semplice raffronto di date rende evidente l’incer-


tezza che caratterizza l’approccio alla questione missionaria (al-
meno fino al momento dell’intervento diretto dell’Aula nel
novembre 1964), debolezza che inquieta tanto più considerando ciò
che sta avvenendo fuori dal concilio, in taluni ambienti teologici.
Appena poco dopo la promulgazione di Lumen Gentium e di quel
suo n. 16 (De non christianis), che sancisce in modo esplicito la pos-
sibilità di conseguire la salvezza eterna anche per quanti non cono-
scono cristo e la chiesa, l’Aula sembra prendere rapidamente
coscienza dell’enfasi unilaterale che in diversi ambienti teologici si
cominciava a riporre su quella pagina relativizzando la necessità
della missione e con essa anche il contenuto del n. 17.

In nome del dialogo interreligioso e di una supposta parità delle


religioni, considerate tutte come ‘vie salvifiche’ parallele alla rive-
lazione cristiana, conquistano terreno alcune posizioni teologiche
che teorizzano un radicale ridimensionamento della mediazione sal-
vifica della chiesa come della sua stessa missione.
la pressione che queste tendenze, che oggi definiremmo di
stampo relativista, esercitano sulla scena conciliare, pur se indiret-
tamente, si fa palpabile il 30 settembre 1964, alla ripresa dei lavori
conciliari, allorché il Presidente del neo segretariato per i non cri-
stiani, il cardinale luigi Marulla, indirizza all’Aula una “nota chia-
rificatoria”, dai toni piuttosto severi, circa “ciò che non è e non deve
essere il segretariato per i non cristiani”, mettendo in guardia dai
pericoli del relativismo. la nota cerca di reincanalare l’entusiasmo
scaturito dalla decisione di Paolo VI di istituire questo organismo,
delimitandone con precisione compiti e funzioni, ribadendo per
contro l’insostituibilità della missione52.

51
Vedi AAS 56 (1964): 609-659.
52
cfr. ASCOV III/II, 30-35 (versio italica); cfr. MorAlI, “grazia, salvezza e religioni”, (II), 554-
556.
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60 IlArIA MorAlI

del resto, le cronache ecclesiali di quei giorni ci ricordano che,


mentre a roma l’Aula disponeva il rinvio dello Schema propositio-
num, a Bombay si era tenuto un importante colloquio teologico, con
la partecipazione di un centinaio di esperti, tra i quali anche delegati
dai vescovi indiani: in tale circostanza, alcuni relatori, tra i quali h.
Küng e r. Panikkar, avevano pubblicamente teorizzato tesi di indi-
rizzo relativista, dicendo di ispirarsi al concilio53. Mesi prima di que-
sto evento, proprio l’Arcivescovo di Bombay V. gracias, in una sua
animadversio scripta sullo schema De Missionibus, aveva stigmatiz-
zato la deriva intrapresa da taluni ‘missiologi progressisti’, denun-
ciando il pericolo (danger) di un’interpretazione ideologica del
dialogo interreligioso54.

2. Redazione del De principiis doctrinalibus: tappe pregresse


2.1. Alcune osservazioni preliminari
senza conoscere la tortuosità di questo lungo percorso redazio-
nale, ricostruito soprattutto con l’ausilio degli Atti conciliari, non
si potrebbe comprendere appieno l’importanza del primo capitolo
di Ag . esso è il frutto della complessa maturazione della mens con-
ciliare sul tema delle missioni e scaturisce dalle crescenti preoccu-
pazioni dei Padri conciliari che, all’indomani della promulgazione
di Lumen Gentium, si avvedono della necessità di puntualizzare il
fondamento dottrinale della missione a fronte di interpretazioni ri-
duttive. I principi dottrinali compaiono – si è detto – tardivamente:
la prima volta nello schema de Missionibus, poi abortito, e costitui-
scono una svolta, rispetto al freddo giuridismo che aveva dominato

53
le relazioni di questo convegno con le sue conclusioni sono state pubblicate alcuni anni
dopo (cfr. K. neUner., Christian Revelation and World Religions, [london: Burns & oates 1967]).
contro tali tesi e soprattutto contro le conclusioni di segno oltranzista aveva preso preso
ferma posizione il gesuita Jean daniélou, perito conciliare: cfr. J. dAnIéloU, “la mission a-t-
elle pour but d’apporter le salut? A propos du colloque théologique de Bombay”, in Le Christ
au Monde 10/3 (1965) 235-246. Abbiamo trattato dettagliatamente delle vicende di questo
convegno e della polemica che ne scaturì in un nostro studio: cfr. I.MorAlI, La salvezza dei
non cristiani. L’influsso di Henri de Lubac sulla dottrina conciliare (Bologna: emi 1999), 123-
129.
54
“With the modern talk of ‘dialogue’ between religions, there is a danger of regarding
the dialogue as between equals. some progressive missiologists seem to exaggerate the
supernatural ‘bona’ in non-christian religions, as if these were ‘per se’ sufficient for sal-
vation, ‘sine ecclesia’.”; ASCOV III/VI, 677 (Valerianus gracias – Archiepiscopus Bombayen-
sis - n. 3).
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 61

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 61

le bozze precedenti. spariscono però dallo Schema propositionum,


sia pure per ragioni di sintesi, e la loro omissione avviene in con-
comitanza al mutamento di titolo del futuro decreto ove, in luogo
di missiones, subentra il concetto di activitas missionalis. con la
composizione dello schema definitivo, i Padri conciliari ritennero
dover conservare il nuovo titolo, ma chiesero di aggiungere nuova-
mente i fondamenti dottrinali. come dunque interpretare la ripro-
posizione dei principi dogmatici in rapporto alla decisione di
mantenere in primo piano il tema dell’attività missionaria? Il fatto
che i fondamenti dottrinali della missione entrino, escano, rientrino
nel documento impone una riflessione a riguardo, perché non fu
una decisione casuale: è certo che la loro presenza o assenza sia
stata in larga parte causata dall’insanabile divergenza di opinioni
tra i teologi, dal loro contrasto con i canonisti, ma non dalla volontà
dell’Aula. Una risposta più articolata si potrebbe probabilmente
formulare studiando la documentazione delle varie commissioni,
perché gli Acta non forniscono elementi sufficienti in proposito.
gli Acta attestano però chiaramente che fu l’Aula, bocciando lo
Schema propositionum, a reclamare la reintroduzione dei principi
dogmatici. Al di là dei dissidi in seno al gruppo degli esperti, è al-
trettanto innegabile che il fattivo contributo di congar e di ratzin-
ger alla stesura della versione finale dello schema, anche nella sua
parte più dottrinale, dimostra che i più autorevoli esponenti della
teologia del novecento credevano nell’urgenza di ribadire i fonda-
menti dogmatici della missione, convinti della necessità di premet-
terli alla trattazione dettagliata dell’attività missionaria e delle sue
implicazioni pratiche e giuridiche.

È quindi altrettanto opportuno non trascurare lo studio della


forma scelta per la loro esposizione nel primo e nell’ultimo
schema, stabilire quale significato si volle loro conferire nell’eco-
nomia del decreto promulgato, come pure chiarire in che rela-
zione li si concepisse alle altre parti del documento. gli Acta
offrono sufficiente materia per una risposta piuttosto esauriente
a queste ultime domande: la lettura delle Relationes ufficiali sugli
schemi e delle animadversiones, orali e scritte, pervenute dai vari
padri conciliari nei diversi passaggi da uno schema all’altro, si ri-
vela quanto mai opportuna, anche se uno studio della documen-
tazione prodotta negli anni dalle commissioni, non ancora
pubblicata, consentirebbe di sviscerare ogni singolo dettaglio del
dibattito. non è ovviamente qui la sede per avventurarsi in una
tale esplorazione.
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62 IlArIA MorAlI

In relazione alla composizione dello schema definitivo, impor-


tanti elementi possono però essere rintracciati nella parola dei
protagonisti del labor svolto a nemi in quei primi mesi del 1965:
Y.-M.congar e J.ratzinger. È schütte in persona, nella pubblica-
zione da lui curata nel 1967sulla Missione secondo il Concilio, ad
assicurare che quanto ivi esibito dai collaboratori dell’opera, tra
cui anche i due teologi in questione, costituisce una testimonianza
veritiera da parte di ‘autentici interpreti’ che seguirono il travaglio
dello schema delle missioni55. Queste assicurazioni provano l’im-
portanza dell’articolo di congar sui fondamenti teologici della
missione (Theologische Grundlegung) ivi pubblicato, come di un
altro suo articolo, edito postumo proprio in Studia Missionalia,
nonché del contributo a firma dello stesso ratzinger relativo alle
affermazioni conciliari sulla missione al di fuori del decreto56. di
ratzinger esiste tuttavia un’ulteriore testimonianza, custodita
negli Archivi Vaticani, già pubblicata da Anderson in appendice
alla sua ricerca dottorale e recentemente riproposta all’attenzione
dei lettori in un saggio di Piero doria sul ruolo del futuro papa
nel concilio: si tratta delle “considerationes quoad fundamentum
theologicum missionis ecclesiae”57. lo scritto in questione è al-
trettanto essenziale, quanto quelli pubblicati nel volume di
schütte, ma non tanto in funzione del decreto promulgato,
quanto in relazione alla genesi dello schema che vi sta alla base.
le annotazioni di ratzinger risalgono infatti al periodo delle
prime riunioni a nemi, vale a dire alla fase iniziale della stesura
del nuovo schema.

55
“den Mitarbeitern, die großenteils auch die geburtswehen des Missionsschemas miter-
lebt und mitdurchlitten haben und daher die authentischen Interpreten sind, gebührt unser
aller aufrichtigen dank.”; J. schütte (hrsg.), Mission nach dem Konzil (Mainz: Matthias-grüne-
wald-Verlag, 1967), 7(Vorwort).
56
cfr. Y.-M. J. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”; J. rAtzInger, “Konzilsaussagen
über die Mission außerhalb des Missionsdekrets”: i due interventi in questione si trovano ris-
pettivamente pubblicati in schütte (hrsg.), Mission nach dem Konzil, 21–47, 134–172. sette anni
dopo la morte del teologo domenicano, Studia Missionalia ha pubblicato un suo articolo, in tra-
duzione inglese, dal titolo The necessity of the Missio ‘Ad Gentes’, anch’esso molto utile, come
vedremo tra poco: cfr. Y. congAr, “the necessity of the Mission ‘Ad gentes’”, in Studia Missio-
nalia 51 (2002): 156-165.
57
cfr. PIero dorIA, “Il ruolo del teologo Joseph ratzinger durante il concilio nella docu-
mentazione dell’Archivio del concilio Vaticano II”, in Centro Vaticano II - Studi e Ricerche VI/1
(2012): 19–33. come rileva lo stesso doria (cfr. nota 43, 27), queste note sono state già pubbli-
cate da Anderson in appendice al suo studio: cfr. Anderson, A Vatican II Pneumatology of the
Paschal Mystery, 301-304 (Appendix II).
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 63

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 63

2.2. Primo tentativo di superamento del rigido giuridismo degli


esordi
la scelta di introdurre un capitolo sui principi dogmatici non sca-
turì dunque immediatamente: si può dire che essa fu il frutto di una
lenta metamorfosi, iniziata probabilmente con la richiesta da più
parti di inserire una definizione teologica di missione a compendio
di un’impostazione fortemente giuridica della prima bozza di
schema: ne è prova quanto si legge in alcune delle observationes ge-
nerales sul De Regimine Missionum in fase di emendamento58. nel
primo dei due schemi superstiti, le poche affermazioni di indole
dottrinale in relazione al mandato di cristo miravano soprattutto
alla legittimazione dell’autorità dei Papi e dei vescovi in relazione
al compito di promuovere la predicazione del Vangelo nel mondo59.
la richiesta di una definizione teologica di missione era stata però
disattesa, come si evince dalla risposta:
“r. nella commissione de Missionibus si è molto discusso se fosse da
dare una definizione di ‘missione’. tutti i canonisti rispondevano nega-
tivamente; i Missiologi affermativamente; ma circa questa medesima de-
finizione i missiologi non concordano per nulla: tante sono le definizioni
quanti sono i teologi. […] l’unica giusta definizione, ma ab extrinseco, è:
le ‘Missioni’ sono tutti territori sotto la congregazione di Propaganda
Fide. Questa definizione prettamente giuridica, però, non piace ai mis-
siologi”60.

Al cardinal ruffini che avanzava la medesima richiesta si era ri-


sposto laconicamente: “Una definizione di missione non è oppor-
tuna” a motivo (quia) della grande discrepanza di opinione tra i
teologi61.

58
“Petitur definitio Missionis.”; ADCOV IV (series II – praeparatoria) pars III-2 (subcommis-
sio de schematibus emendandis), 159 (9).
59
nel proemio, la parte più teologica dello schema, il termine ‘potestas’ ricorre in poche
righe ben due volte. le citazioni di gv 3,17, 20,21 e di Mc 16,15-17 sono funzionali a questa
impostazione: cfr. ADCOV III (series II – Praeparatoria) pars II, 241.
60
“r.In commissione de Missionibus multum disputatum est utrum danda esset definitio
‘missionis’. canonistae omnes negative respondebant; Missiologi affermative, sed de ipsa de-
finitione missiologi minime concordant; tot sunt definitiones quod sunt theologi[…] Unica de-
finitio recta, sed ab extrinseco, est: ‘Missiones’ sunt omnia territoria, sub s.c. de P.F. haec vero
definitio, nimis iuridica, missiologis non placet.”; ADCOV IV (series II – praeparatoria) pars III-
2 (subcommissio de schematibus emendandis), 159.
61
“definitio non est opportuna: quia a) a missiologis variae definitiones dantur…”; ADCOV
IV (series II – praeparatoria) pars III-2 (subcommissio de schematibus emendandis), 160 (r).
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 64

64 IlArIA MorAlI

le parole pronunciate anni dopo da riobé, membro del concilio,


riassumono quindi in tutta chiarezza la paralisi in cui versò per
lungo tempo la commissione, di cui egli stesso era membro:
“In tutto il corso del suo lavoro durante questi tre anni, la commissione
De Missionibus è rimasta sospesa (anceps) tra un concetto di missione
teologicamente enucleato ed un concetto meramente giuridico…”62.

la veste prevalentemente giuridica del testo, in questa prima


fase redazionale, si spiega ancora meglio considerando che, nel
concomitante schema I de Ecclesia, destinato ad essere anch’esso
rigettato dall’Aula, l’intero capitolo X (Sulla necessità della Chiesa
di annunciare il Vangelo a tutte le genti ed ovunque) appariva al-
trettanto condizionato dal linguaggio giuridico: vi si parlava in-
fatti di munus, officium, jus praedicandi63. Al pari della primitiva
bozza di schema del futuro decreto, anche queste pagine sulla
missione nel De Ecclesia dovettero apparire all’Aula alquanto re-
strittive. emblematico, per comprendere l’opinione prevalente tra
i padri conciliari, è l’intervento di V. gracias, Arcivescovo di Bom-
bay: “totum caput, mihi videtur, aliter concipiendum et redigen-
dum est”. numerosi vescovi europei si mostrarono dello stesso
avviso64.
la lettura degli Acta in questa particolare fase redazionale ci
permette quindi di individuare due importanti elementi: 1) che
l’approdo alla stesura di un primo capitolo sui principi dottrinali,
avvenuto già con lo schema De Missionibus (quello mai discusso in
Aula), finì con l’imporsi, veicolato dalla richiesta di una definizione
di missione precedentemente frustrata, nonostante da parte dei
teologi vi fosse dissenso sul suo contenuto; 2) che tale richiesta

62
“Membrum sum commissionis de Missionibus. […] …toto decursu sui laboris durantibus
his tribus annis, commissio de missionibus anceps remansit inter conceptum missionis theo-
logice enucleatum et conceptum mere iuridicum prout nunc in Iure condito iacet.”; ASCOV
III/VI, 415 (Vitus riobé – episcopus Aurelianensis n. 15).
63
Pressoché nello stesso periodo (1 dicembre 1962) lo schema I De Ecclesia gravitava at-
torno alla nozione di chiesa militante ed il capitolo in questione attorno al concetto di jus prae-
dicandi che torna più volte nell’economia del testo: cfr. ASCOV I/IV, 75ss. (caput X de
necessitate ecclesiae annuntiandi evangelium omnibus gentibus et ubique terrarum).
64
ASCOV I/IV, 176. Il parere di gracias è condiviso pienamente dall’arcivescovo di München
e Freising I. doepfner che definisce il capitolo “nimis unilaterale et rigidum”: cfr. ASCOV I/IV,
185. lo stesso cardinale di Köln, I. Frings si pronuncia ancora più nettamente contro il testo,
lamentando come non si trovi niente della missione del Figlio agli uomini perché lo schema
parla in lungo ed in largo del diritto (ius) della chiesa a predicare a tutte le genti: cfr. ASCOV
I/IV, 219.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 65

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 65

investiva in modo uniforme tanto il De Ecclesia che il De Missioni-


bus. era cioè un’esigenza trasversale ai due documenti in prepara-
zione.

3. I principi dottrinali nello Schema De Missionibus (gennaio 1964)


3.1. Chiesa essenzialmente missionaria e missioni come ‘opera-
tio’
Il capitolo primo dello schema De Missionibus, ‘purificato’ del lin-
guaggio canonistico, costituisce in effetti quasi un miracolo, dopo
la raffica di no e di resistenze registratesi negli anni precedenti65. È
probabile che questa svolta sia da ricondursi anche al concomitante
mutamento di orizzonte prodottosi proprio in ambito ecclesiologico
con il rigetto del primo schema sulla chiesa. dal punto di vista cro-
nologico, in effetti, se si raffronta il processo redazionale del futuro
decreto Ag con quello del De Ecclesia, non si può far a meno di no-
tare che l’emersione del De Missionibus in questo nuovo assetto, nel
dicembre 1963, e la sua distribuzione ai Padri nel gennaio 1964,
segue di qualche mese appena (30 settembre 1963) la presentazione
del II schema, nuova base per l’iter redazionale della futura costi-
tuzione dogmatica: trattando il rapporto chiesa-missione, nel suo
numero 10 non si fa alcun riferimento esplicito al linguaggio giuri-
dico che invece contrassegnava il cap. X° dello schema precedente.
l’accento cade sull’affermazione “ecclesia ad omnes homines missa
est…” ed il commento ufficiale su questo testo va nella stessa linea
spiegando che la missione universale della chiesa si prende cura di
condurre a cristo i non cristiani: “sia che siano ebrei, sia che siano
credenti in dio, sia che ignorino dio: per tutti costoro cristo è
morto”66.

65
I principi dottrinali qui presentati sono, rispettivamente: Mysterium christi annuntian-
dum (1), ministerium ecclesiae (2), necessitas apostolatus missionalis (3), commendatio evan-
gelii apud homines (4), Aedificatio ecclesiae (5), essentia missionaria ecclesiae resumitur (6);
ASCOV III/VI, 660-664.
66
Il testo del n. 10 del II° schema recitava così: “ecclesia ad omnes homines missa est, pro
quibus dominus sanguinem suum fudit ut eos ad regnum suum vocaret et dirigeret…” e nel
commento in effetti si legge: “Quia missio ecclesiae universalis, etiam de non-christianis ad
christum adducendis curat, sive Iudaei sint, sive credentes in deum, sive deum ignorantes;
pro quibus omnibus christus est mortuus. […] Completur vero expositio, rursus proposita mis-
sione universali Ecclesiae ad gentes illuminandas.”; ASCOV II/I, 221, 229. Il n. 10 del secondo
schema costituisce la base per quello che, nel testo promulgato della costituzione dogmatica,
apparirà come n. 16 (De nonchristianis).
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 66

66 IlArIA MorAlI

riguardo allo schema De Missionibus, nei sei numeri che compon-


gono il suo primo capitolo (De principiis doctrinalibus) vengono
enunciati tutti gli elementi di fede che sono a fondamento di questo
mandato: in primo luogo il rapporto per così dire ontologico tra
missione e chiesa, esemplificato dall’espressione del “ad hoc eccle-
sia nata est” (n. 1) o, ancora dalla frase “natura ergo sua …ecclesia
omnibus gentibus evangelium christi praedicare tenetur…” (n. 3).
l’accento è chiaramente riposto sull’universalità del mandato della
chiesa, come pure sulla sua matrice cristologica: “ecclesia a christo
missa…[christus] solus est predicandus” (n. 2), “cristus…omnium
recapitulatio” (n. 4); non manca tuttavia una forte sottolineatura della
dimensione trinitaria dell’“essentia missionaria ecclesiae” (n. 6). Il ri-
chiamo alla chiesa come instrumentum et sacramentum è un chiaro
riflesso della svolta ecclesiologica avvenuta in seno alla discussione
sul De Ecclesia. non a caso, le trentatré note che corredano questo
nuovo capitolo del futuro decreto contengono tutte, eccetto una, ri-
ferimenti prevalentemente biblici e patristici, in nessun caso giuri-
dici. dal punto di vista teologico, il capitolo presenta perciò una
definizione molto articolata di missione, badando soprattutto a de-
linearne la sua essenza e consistenza, il suo fondamento dottrinale.
solo nelle linee finali si rinviene una definizione di ciò che invece
sono concretamente e storicamente le missioni, ma la loro descri-
zione, ancora una volta, non è canonistica ed è espressa in un lin-
guaggio teologico: “…missiones, quae ex ipsa natura ecclesiae
profluunt, nihil aliud sunt quam operatio qua ecclesia corpus chri-
sti visibiliter extendit”67. In questo capitolo, dedicato ai principi dot-
trinali, si introduce dunque una distinzione fino adesso assente, tra
la missione come tale, come essenza stessa della chiesa, e le mis-
sioni come operatio: la distinzione tra singolare e plurale è voluta.
Pressoché siderale è la distanza tra questo schema e la prima bozza
bipartita di schema, ove le missioni erano state trattate unicamente
come territori sotto la congregazione Propaganda Fide.

In generale, rispetto a questo nuovo schema del decreto, i Padri


conciliari si mostrano nel complesso soddisfatti: le osservazioni che
essi inviano in vista della discussione (mai avvenuta) in aula con-
tengono richieste marginali, come ritocchi e aggiunte, a perfeziona-
mento dell’uno o dell’altro tema. sono favorevoli al fatto che si siano
evidenziati gli aspetti essenziali della missione in rapporto alla

67
ASCOV III/VI, 663 (n. 6).
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 67

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 67

chiesa68. I loro suggerimenti riguardano soprattutto il proemio e gli


altri capitoli: il primo capitolo è invece oggetto di apprezzamento
diffuso69. non mancano tuttavia richieste per un ulteriore rafforza-
mento del contenuto dottrinale: V. gracias, ad esempio, giudicava
lo schema non abbastanza ‘dogmatico’, perché a suo dire non si era
adeguatamente insistito sulla chiesa come istituzione divina dal ca-
rattere unico e su altri punti da lui ripresi e precisati con specifici
suggerimenti; egli lamentava anche che il testo fosse stato scritto
“da un punto di vista europeo”70. di parere più che positivo era in-
vece il cardinale arcivescovo di Pechino che giudicava i principi dot-
trinali di quel capitolo “sani” e rispondenti, nella loro descrizione,
alle aspettative di numerosi padri della commissione71. tra le pro-
poste avanzate dai Padri conciliari se ne rinviene una particolar-
mente significativa con la quale si richiede di illustrare
approfonditamente il tema della fede in rapporto ai non cristiani, a
fronte delle nuove tesi che andavano affermando in teologia circa
la possibilità di una fede implicita72. solo ‘alcuni padri’ chiedono la
riscrittura dello schema, ma senza modifiche di sostanza, bensì per
un migliore ordine della materia73. nonostante manifestino un certo
gradimento complessivo sullo schema, riguardo al tema della mis-
sione, in sé e per sé, i Padri conciliari sembravano tuttavia incon-
trare comunque delle significative difficoltà. ne indichiamo qui di
seguito alcune.

3.2. La difficoltà di comprendere il rapporto tra teologico e pa-


storale
leggendo queste diverse osservazioni si evince un primo aspetto
sorprendente: in rapporto al tema della missione, non pochi padri
conciliari sembravano in difficoltà nel concepire il rapporto tra ri-
flessione teologica ed approccio pastorale. l’intervento del patriarca

68
“cap. I. Bene tractatur et bene monstrat aedificationem ecclesiae esse opus a tota ecclesia
perficiendum.”; ASCOV III/VI, 748 (Xaverius geeraerts – n. 24). cfr. anche: 759 (carolus her-
mannus helmsing – n. 29).
69
“hoc caput in genere placet.”; ASCOV III/VI, 800 (Mauritius Perrin – n. 48); “Il n. 1 del
cap. I è molto bello, perché è un’opportuna sintesi di verità rivelate sull’argomento e cioè sui
‘Principi dottrinali’”; ASCOV III/VI, 823 (Innocentius Alfredus russo – n. 57).
70
cfr. ASCOV III/VI, 678-679 (Valerianus gracias – n. 3).
71
cfr. ASCOV III/VI, 685 (thomas tien chen sin – n. 5).
72
“sunt quidem theologi qui in eis (= infidelibus) fidem in voto vel per aliquam privatam
revelationem admittunt….”; ASCOV III/VI, 799 (Ferdinandus Pasini – n. 47).
73
cfr. ASCOV III/VI, 915 (Quidam patres conciliares – n. 83).
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68 IlArIA MorAlI

Meouchi di rito maronita a questo riguardo è più che mai esempli-


ficativo: lo schema mancava per lui di omogeneità ritenendo che il
suo registro si componesse come di due linguaggi, di due ‘penne’
diverse: proemio e primo capitolo gli parevano opera di un teologo
con simpatie per i protestanti – egli scriveva con un punto di ironia.
reputava infatti che non si fosse abbastanza sottolineata la speci-
ficità delle motivazioni che caratterizzano la dottrina cattolica a
fondamento delle missioni; quanto al resto, gli pareva invece com-
posto da un “missiologo che nel concreto delle applicazioni dei prin-
cipi, – egli affermava – ci dà semplicemente degli elementi di una
teologia tradizionale”74.

nella distinzione di linguaggi e di ‘penne’ operata da Meouchi,


nel suo spontaneo ricondurre alle competenze del teologo l’ambito
dottrinale ed a quelle del missiologo l’applicazione dei principi non
si può fare a meno di cogliere un certo dualismo: quasi che il ver-
sante speculativo-teoretico della missione, quello cioè che indaga il
suo fondamento, fosse disconnesso dall’ambito pratico-pastorale.
discutibile, per gli stessi motivi, è la distinzione tra teologia, conce-
pita come studio teoretico, e missiologia, concepita come scienza
‘pratica’, non assimilabile alla ‘teologia della missione’.
Questa tendenza a mantenere separati i due versanti si ritrova
in non pochi interventi, quasi fosse l’unica strada percorribile per
giustificare la distinzione operata dagli estensori dello schema tra
missione e missioni. negli interventi dei Padri conciliari si nota in ef-
fetti una certa esitazione rispetto al tipo di definizione di missione
da privilegiare nel documento. Il rigetto verso l’approccio esclusi-
vamente canonistico fa emergere il vero problema di fondo: non si
ha ancora chiara la finalità da attribuire al documento, se essa
debba essere pratica-pastorale o anche dottrinale ed in qual misura,
conseguentemente anche se vi sia un modo efficace di raccordare i
due accenti senza squilibri di sorta. In altre parole: come affrontare
il tema della missione in un documento focalizzato completamente
su questo tema? Alcuni giudicavano positivamente il legame instau-
ratosi col De Ecclesia, senza dubitare che il decreto dovesse esibire
una parte dottrinale75, per altri, invece, il nesso con la costituzione

ASCOV III/VI, 792 (Paulus Petrus Meouchi – n. 41).


74

cfr. ASCOV III/VI, 701 (Alfredus cavagna - n. 11). I padri conciliari ugandesi chiesero
75

persino di mutare titolo introducendone uno nuovo con un riferimento esplicito alla chiesa
per un migliore raccordo con la futura costituzione: cfr. ASCOV III/VI, 881 ( PP.conciliares ex
Uganda – n. 76).
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 69

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 69

ed il suo contenuto dottrinale sulle missioni costituiva una ragione


sufficiente per imprimere al decreto un carattere più pratico che
teologico76. Qualcuno in effetti si domandava se fosse veramente
necessario trattare nello schema ciò che era stato già detto nel De
Ecclesia77. la tendenza ad opporre teologico a pastorale è una co-
stante di molti interventi78. Altri padri conciliari ritenevano invece
che fosse stato salvaguardato un sostanziale equilibrio tra le due
componenti79. I vescovi di ruanda e Burundi giudicavano per contro
che lo schema non fosse “sufficientemente missionario”: premevano
loro questioni pratiche, nell’auspicio che queste potessero venir af-
frontate e risolte nel futuro documento80. sullo stesso registro i ve-
scovi della conferenza episcopale nigeriana: ignorando il primo
capitolo, concentravano i propri suggerimenti (pratici) sulle restanti
parti81. Anche da parte di altri gruppi si lamentava mancanza di ri-
ferimenti utili alla prassi82. Il fronte africano non era tuttavia omo-
geneo: i vescovi kenioti, ad esempio, richiedevano una più chiara
definizione di missione83. sul versante degli episcopati europei, si
distingueva quello tedesco che, giudicando lo schema non ancora
maturo teologicamente, criticava la richiesta di indicazioni pratiche:
per trattare problemi pratici non era necessario un concilio84.

3.3. La difficoltà di un accordo sulla definizione di missione


negli interventi dei Padri conciliari si nota un secondo tipo di dif-
ficoltà, inerente alla definizione di missione. come si è visto, in que-
sto schema De Missionibus, era stata tracciata una netta linea di
demarcazione tra missione, come dimensione essenziale della
chiesa, e missioni come attuazione operativa. si trattava pur sempre

76
cfr. ASCOV III/VI, 743 (Ioannes Ferreira – n. 20).
77
“nonne vero sufficiunt quae in schemate de ecclesia leguntur?”; ASCOV III/VI, 806 (Io-
annes B.Przynklenk – n.52). Vedi anche la conferenza episcopale Indonesiana: cfr. ASCOV III/VI,
891 (conferentia episcoporum Indonesiae – n. 79).
78
Vedi ad esempio: ASCOV III/VI, 746 (Marius Franciscus Forst – n. 22).
79
“Permulta bona in variis capitibus huius schematis inveni tam de doctrinae fundamentis
quam de pastoralibus directivis”; ASCOV III/VI, 795 (simon hoa nguyen-van hien – n. 44).
80
cfr. ASCOV III/VI, 861 (conferentia episcoporum rwanda et Burundi – n. 71).
81
cfr. ASCOV III/VI, 862ss. (conferentia episcoporum nigeriae – n. 72).
82
È il caso della conferenza episcopale rodesiana: cfr. ASCOV III/VI, 865 (conferentia epi-
scoporum rhodesiae septembrionalis – n. 73).
83
“Proponitur tamen quod schema introducatur cum clara definitione de conceptu missio-
nis…”; ASCOV III/VI, 868 (conferentia episcoporum Kenyae – n. 74).
84
“schema ergo superfluum, nisi materia tractanda restringitur ad quaestiones practicas
vel methodicas”; ASCOV III/VI, 895 (conferentia episcoporum linguae germanicae et scandiae
– n. 81).
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70 IlArIA MorAlI

di un tentativo di definizione. Qualcuno esprimeva soddisfazione


rispetto a quanto detto dal proemio e da questo primo capitolo, giu-
dicandolo di aiuto in un momento ove vi era ancora notevole con-
fusione in materia85. Una parte rilevante di Padri conciliari
esprimeva per contro perplessità: “si resta nell’incertezza quanto
al vocabolo ‘missio’. che cosa copre?”, domandava leo seitz nelle
sue osservazioni86. Qualcuno invece si dichiarava scontento dell’il-
lustrazione di missione fornita nello schema87. rispetto alla ten-
denza a concepire la missione unicamente come annuncio a popoli
non cristiani, vi era anche chi, come richard cleire, ammoniva circa
la necessità di una visione più ampia, pensando all’urgenza di ri-
portare il Vangelo anche nelle terre di antica cristianizzazione per
quella che oggi chiameremmo ‘nuova evangelizzazione’88. In effetti,
rileggendo gli Acta si coglie una certa esitazione da parte dei Padri:
tra costoro qualcuno faceva notare che, in rapporto alla missione,
la diversificazione di definizioni nasceva dalla diversità di accezioni
(“hoc patet ex ipsa natura rei”) con cui poteva esser impiegato ed
inteso il termine: missione politica, missione come territorio, mis-
sione dello spirito santo, missione del salvatore, del precursore,
degli Apostoli ecc. Il problema della differenziazione di accezioni
unitamente al disaccordo tra i teologi conduceva logicamente all’op-
zione canonistica e più ancora ad un approccio pratico: in questo
modo si riusciva, in un certo senso a portare il discorso su un ter-
reno più neutro e agevole adatto ad una finalità pastorale89.
3.4. In sintesi
come si vede da questi semplici accenni, pur avendo voluto un
linguaggio diverso per il futuro decreto, pur salutando con favore

85
cfr. ASCOV III/VI, 795 (simon hoa nguyen-van hien – n. 44).
86
“on reste dans l’incertain quant au vocable missio. Que recouvre-t-il ?”; ASCOV III/VI,
827 (Paulus leo seitz – n. 60).
87
“the word mission should be strictly defined.”; ASCOV III/VI, 746 (Marius Franciscus
Forst – n. 22).
88
Parlando infatti di evangelizzazione del mondo, così si esprime “elle n’a jamais paru
aussi tragique, du fait qu’elle se pose désormais aussi, et de plus en plus, dans les milieux
jadis chrétiens et constituent maintenant les aires de déchristianisation ou de catholicisme pu-
rement sociologique.”; ASCOV III/VI, 703 (richardus cleire – n. 12). cfr. anche 828 (Paulus leo
seitz – n. 60).
89
ex dictis eruitur quod in schemate de Missionibus solummodo agi debet de territoriis
Missionum…[…] non est qui ignoret magnam esse contentionem inter theologos, canonistas
et missiologos ubi agitur de definitione scientifica missionis.Quidquid autem sit de talibus opi-
nionibus circa definitionem scientificam de missione, ad finem pastoralem concilii tantum-
modo interest definitio practica scilicet definitio talis quae conveniat cum praxis s.c.P.F….”;
ASCOV III/VI, 811-812 (Albertus gaudentius ramos – n. 53).
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 71

il contenuto dello schema, pur esprimendo soddisfazione per l’illu-


strazione del legame missione-chiesa, numerosi padri conciliari in-
contravano però una certa difficoltà a raccordare tutti gli elementi
implicati nel tema della missione. la lettura dello schema aveva for-
nito l’occasione per una riflessione più generale, di fatto schiudendo
alla coscienza del concilio una maggiore consapevolezza delle pro-
prie incertezze. È certo che i Padri conciliari desiderassero l’indica-
zione del fondamento dottrinale della missione, al contempo però
si mostravano abbastanza diffidenti verso la teologia ravvisandovi
una sterile frammentarietà di posizioni: a qualcuno pareva preferi-
bile un approccio pratico, ad altri stava invece bene un riferimento
alla dottrina. In relazione a tali auspici, si potrebbe quindi affermare
che, in questa fase della redazione del futuro decreto, per quanto
si fossero compiuti dei progressi, molti punti permanevano nebu-
losi. Indubbiamente la definizione giuridica offriva una maggiore
sicurezza, con un aggancio forte al diritto, una maggiore garanzia
di univocità, che in fondo poteva concretamente aiutare a chiarire
tanti problemi quotidiani, mentre la teologia pareva troppo astratta,
troppo frammentaria nelle sue risposte. d’altra parte, il fatto di aver
reclamato un’impostazione più teologica, alternativa alla primis-
sima versione dello schema, dimostra che i Padri conciliari concor-
davano circa l’insufficienza di un’illustrazione prettamente
canonistica, giudicata inadatta ad inglobare tutte le implicazioni ine-
renti la missione della chiesa. si può perciò affermare che la prima
apparizione dei principi dottrinali rappresentò un progresso, ma
non ancora il punto di arrivo della riflessione conciliare, che eviden-
temente necessitava di tempi supplementari per arrivare a com-
porre una solida definizione teologica di missione.

3.5. L’omissione dei principi dottrinali nello Schema Propositio-


num
lo schema ridotto a tredici proposizioni, poi diventate quattor-
dici, non poteva perciò che suscitare malcontento al punto da in-
durne il ritiro. Uno dei motivi di insoddisfazione concerneva proprio
lo stralcio del capitolo primo, quindi l’omissione dei principi dot-
trinali, demandati al De Ecclesia, in particolare a lg 13, 16 e 1790.
Una finalità eminentemente pratica, solo per “determinare alcuni
principi che reggono l’attività e la cooperazione missionaria”, non

90
cfr. “relatio super schema propositionum”, in ASCOV III/VI, 341 (s.lokuang).
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 72

72 IlArIA MorAlI

poteva trovare sostegno tra i Padri conciliari91. nella sua Relatio di


presentazione dello schema, s.lokuang aveva ricordato all’Assem-
blea che, nonostante le richieste dei Padri conciliari, affinché la
commissione elaborasse una definizione di missione, la disparità
di opinioni era stata tale da aver indotto gli estensori dello schema
ad evitarne una92.

la Relatio svela in proposito un dettaglio, non secondario, rela-


tivo alla prima proposizione, l’unica – come dicevamo poc’anzi - con
qualche contenuto dottrinale ed incentrata sulla necessità della mis-
sione: la commissione aveva reputato “necessaria una dichiarazione
solenne sulla necessità della missione”: tutto ciò in risposta a quanti
avevano preso a dubitarne interpretando in modo strumentale le af-
fermazioni contenute in lg 16, sulla salvezza dei non cristiani93. la
prima proposizione, pur essendo molto sintetica, costituiva perciò
una presa di posizione molto netta contro un’interpretazione im-
propria della parola conciliare, di cui i teologi che avevano parlato
a Bombay costituivano prova evidente94.

lo Schema propositionum non conteneva altre indicazioni di ri-


lievo dottrinale. Molto interessante si rivela la lettura sia degli in-
terventi scritti prima della discussione in Aula, che di quelli orali,
compiuti dai padri conciliari in occasione delle fatidiche sedute del
novembre 1964. Fu proprio la pressione esercitata da questi inter-
venti ad indurre la svolta risolutiva verso la riscrittura dello schema,
a scapito dello Schema propositionum, verso il quale i commenti
erano lapidari. Il Vescovo di Fulda era stato tra i primi a criticare

91
“necessarium ergo haec sancta synodus aestimat quaedam principia statuere quae acti-
vitatem et cooperationem missionalem ecclesiae regant”; “schema propositionum de Activitate
Missionali ecclesiae”, in ASCOV III/VI, 327 (proemium).
92
“liceat praemittere plures Patres definitionem quandamde Missionibus in schemate ex-
pectavisse. de facto etiam in commissione talis necessitas sentiebatur. Attamen, eam non dan-
dam esse statuit, quia ipsi docti de ea nimis discrepant. In ipsis sessionibus pluries et prolixe
discussa fuit, et conclusum est definitionem evitare….” ; “relatio super schema Propositio-
num…”, in ASCOV III/VI, 342.
93
“et non desunt qui ex hac veritatem perperam deducunt: ad quid ergo in eorum evange-
lizatione insudare? Ad huic falsae deductioni radices absumendas, censuit commissio de Mis-
sionibus, necessariam esse etiam solemnem declarationem de necessitate Missionis, ne zelus
missionarius in clero et in populo, et praesertim in iuvenibus ad hoc opus vocatis, frigescat.”;
“relatio super schema Propositionum…” in ASCOV III/VI, 342.
94
I teologi di Bombay nelle loro conclusioni ufficiali avevano affermato: “Assuming the
fact that non-christian can be saved in their own non-christian religions – a fact which has
been explicitly declared in the constitution on the church…”; neUner, Christian Revelation, 22
I, 4. Questa asserzione rappresentava una forzatura evidente del testo di lg 16.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 73

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 73

l’assenza di un riferimento teologico95. I vescovi indonesiani, tutti


in blocco, esprimevano anch’essi il proprio malcontento, lamen-
tando che l’attività missionaria della chiesa fosse stata oggetto “sol-
tanto di qualche proposizione” – e chiedendo polemicamente se
essa non appartenesse “essenzialmente alla struttura della chiesa”.
Questo disagio appare anche nello scritto di un gruppo di padri con-
ciliari, di cui però non si menziona il nome. essi criticavano che la
questione sull’attività missionaria della chiesa fosse stata “ridotta
allo schema delle proposizioni”. In allegato, questo gruppo aveva
inviato anche un commentario per favorire la comprensione dello
schema, precisando però di aver tratto materia dal precedente
schema De Missionibus, pur se adattata al nuovo assetto. Interes-
sante notare che, nonostante questo adattamento, non si fosse ri-
nunciato ad includere in questo commentario i principi dottrinali96.
È altrettanto interessante analizzare le rimostranze espresse viva
voce in Aula: interventi di singoli padri come pure di delegati di
gruppi molto consistenti.97 Una cospicua pattuglia di padri conciliari
indiani, proprio in quanto vescovi in terra di missione, esprimeva
la propria contrarietà per il drastico ridimensionamento dello
schema, ridottosi ad un mero elenco di proposizioni98.

Uno degli interventi più incisivi appare, ancor oggi, quello del
cardinal Frings, di Köln: persuaso che la “res missionaria…tanto es-
senziale alla chiesa” non potesse essere risolta in poche proposi-
zioni, chiedeva la presentazione di un nuovo schema, theologicum
et practicum, da presentare nella prossima quarta sessione del con-
cilio. egli si diceva portavoce del desiderio di molti vescovi africani
e di alcuni missionari e superiori generali99. sulla scia di Frings e del

95
“Praesertim velim adnotare varia inveniri in schemate, de quibus non una est inter teo-
logos sententia, varia porro ei inesse, quae a missionariis nonnisi aegre ferentur.” ASCOV III/VI,
926 (Adolfo Bolte – n. 8).
96
“Animadversiones scripto exhibitae quoad schema Propositionum de Activitate missionali
ecclesiae ante disceptationem in aula”, in ASCOV III/VI, 949 (conferentia episcoporum Indo-
nesiae n. 29), 952 (Quidam exc.mi PP. conciliares n. 30).
97
Anderson fornisce un dettagliato quadro degli interventi e delle rimostranze espresse
dai padri conciliari in questi tre giorni di discussione: cfr. Anderson, A Vatican II Pneumatology
of the Paschal Mystery, 54-82.
98
ASCOV III/VI, 428 (laurentius trevor Picachy – n. 1)
99
“res missionaria, secundum meum iudicium humile, est tam essentialis ecclesiae et tanti
momenti, tam absolute quam in hodiernis adiunctis, ut paucis propositionibus absolvi non
possit, sed oporteat ut proprium et integrum schema perficiatur, theologicum et practicum, et
ut hoc schema proponatur quartae huius sacri concilii sessioni. hoc etiam fervens desiderium
multorum episcoporum Africae et ceterarum missionum, et superiorum generalium. rogo hu-
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 74

74 IlArIA MorAlI

folto gruppo da lui rappresentato si erano accodati molti altri: tutti


lamentavano l’assenza nello schema di un’adeguata trattazione
della teologia della Missione100.

4. La svolta del nuovo schema


4.1. Il superamento della visione canonistica
nel suo articolo sui fondamenti teologici della missione in Ag, il
domenicano Y.congar ha confermato che da parte dei Padri conci-
liari era andata maturando la necessità di fondare teologicamente
l’attività missionaria della chiesa101. Per comprendere dobbiamo per
un istante tornare ad un dettaglio della storia del decreto: si è detto
che lo schema finale, immediato prodromo di Ag, giunse alla sua
redazione definitiva a fine maggio 1965. Approvato dal Papa, era
stato subito inviato ai padri conciliari in vista della discussione pre-
vista in Aula per l’autunno dello stesso anno. dagli Acta non si
evince a sufficienza l’intensità dello scontro prodottosi in seno alla
commissione De Missionibus nei mesi precedenti né che quello
schema costituiva la vittoria definitiva dei teologi sui canonisti, que-
sti ultimi sostenuti dal Presidente il card. Agagianian di Propaganda
Fide.
A rivelarlo è quello che, all’inizio del nostro studio, definivamo
come il terzo strato delle fonti, quelle private dei singoli protagoni-
sti, in particolare il diario di congar: in data 20 novembre 1964, il
teologo domenicano esprime un giudizio lapidario nei confronti di
Agagianian. costui aveva tentato di scalzare la sua nomina tra i tre
esperti della sottocommissione di nemi per inserire quella del ca-
nonista reuter:
“1) […] ed ora Agagianian mi esclude e vuole, al mio posto reuter…[reu-
ter] è un puro canonista, che è nella linea della congregazione e d’Aga-
gianian. 2) la congregazione ed il cardinale hanno questa idea: la

militer ut hoc desiderium impleatur.”; ASCOV III/VI, 374 (Ioseph Frings - Archiepiscopus
coloniensis n. 1).
100
dal mondo missionario stesso si elevava questa richiesta. emblematico a riguardo è l’in-
tervento del vescovo X. geeraerts, dei Padri Bianchi, in rappresentanza di ben 75 vescovi mis-
sionari.“theologia quaedam de missione in presenti schemate deest…”; ASCOV III/VI, 431
(Xaverius geeraerts – episcopus tit. laganitanus – n. 2). Vedi anche altri interventi in merito:
cfr. ASCOV III/VI, 534-535 (Anicetus Fernandez – Magister generalis o.P. – n. 31).
101
congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 134: “dabei war der Wunsch einer großen
zahl von Konzilsvätern deutlich geworden, die Missionstätigkeit der Kirche theologisch zu bre-
gründen.”
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 75

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 75

missione è questione di territorio.[…] essere in stato di missione, per la


chiesa, questo equivale a sostenere Propaganda; […] Agagianian mi
esclude perché non vuole un nuovo schema, teologico ed orientato altri-
menti,…[…] ora, perché cambiare (= i periti) diceva (= Agagianian) perché
portarne degli altri, perché il Padre congar? Perché una delle richieste
fatte al De Missionibus è che abbia un fondamento teologico. ora, il Padre
congar è stato alla commissione teologica, al De Ecclesia…..” 102.

Il 29 marzo 1965, sempre trattando del nascente schema e delle


resistenze in seno ad una parte della commissione, congar repli-
cava in modo allusivo alle rigide posizioni del cardinale scrivendo:
“si deve definire la o le missioni mediante il loro oggetto o il loro fine.
non sono dei territori, ma degli UoMInI: coloro che non conoscono il cri-
sto o non credono in lui.”103

Parole che testimoniano il protrarsi di uno scontro che sembrava


non trovare fine: dalle fasi primordiali del dibattito perdurava la
contrapposizione tra canonisti e teologi, ma anche tra Propaganda
Fide, col suo ruolo egemone, ed il resto della commissione che le si
opponeva. l’omissione del contenuto teologico nello Schema delle
Proposizioni aveva segnato un punto a favore dei canonisti, al con-
trario, il successivo rifiuto dello stesso Schema costituiva un punto
a favore per i teologi: perciò, è tanto più comprensibile che si ten-
tasse di impedire l’inserimento di Padre congar nella triade dei pe-
riti della sottocommissione. si trattava, in un certo senso, di un
ultimo estremo tentativo di scongiurare una illustrazione teologica
di missione. Infatti, la presenza di congar nel gruppo e, più in ge-
nerale, il prevalere dei teologi sui canonisti, avrebbero condotto al
superamento del concetto di missione come territorio, a favore di
una impostazione definitivamente dottrinale. leggere il diario di
congar consente di rintracciare la linea voluta dai Padri conciliari:
benché costoro fossero consapevoli dell’esistenza di grandi diver-
genze tra i teologi, non di meno ritenevano che compito precipuo
del concilio non fosse tanto quello di regimentare giuridicamente
le missioni, bensì di illustrarne e provarne il fondamento dottrinale.
si trattava di un obiettivo primario, urgente, proprio a motivo del
diffondersi di correnti di indirizzo relativista, sia in seno alla teolo-
gia che nella missiologia. nel suo Journal, il 29 marzo 1965, congar
riporterà anche l’esito delle votazioni effettuate in sottocommis-

102
congAr, Mon journal du concile II, 287 (vendredi 20 novembre 64).
103
congAr, Mon journal du concile II, 352 (lundi 29 mars 65).
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 76

76 IlArIA MorAlI

sione: con una maggioranza schiacciante i suoi membri rifiutano


l’ipotesi di una definizione puramente territoriale della missione
(20 contro 1) ma anche l’esclusione totale dell’idea territoriale di
missione (20 contro 1)104. Un complesso equilibrio nel cui quadro
prende forma l’ultimo schema del futuro decreto.

4.2. I Principi dottrinali nella Relatio al nuovo Schema


nonostante nello schema De Missionibus fossero stati già presen-
tati i principi dottrinali a fondamento della missione e nonostante
già in essi si fosse insistito sull’essenza missionaria della chiesa (Ec-
clesia sua natura missionaria est), il capitolo confezionato dal lavoro
compiuto nella prima metà del 1965 presentava una sua originalità
rispetto ai tentativi passati. non si trattava di una mera riproposi-
zione di quanto scritto in passato sul tema. la Relatio al nuovo
schema, quello finale, presentata dal generale Verbita I. schütte, per-
mette di individuare le motivazioni profonde che stanno alla base
del nuovo testo, quindi anche del suo capitolo iniziale, sui principi
dottrinali. nella casa di nemi schütte aveva avuto modo di assistere
in prima persona alle discussioni che avevano accompagnato la re-
dazione del testo: la sua presentazione è dunque tanto più pre-
ziosa105. Il fascicolo della Relatio venne distribuito ai Padri conciliari
il 29 settembre 1965: dal testo si evincono tre importanti dettagli:
a) rifacendo integralmente il primo capitolo sui principi dottri-
nali, si volle dotare il futuro documento di un “solidum fundamen-
tum theologicum”, che negli schemi precedenti era risultato
inadeguato: si era dunque accolto pienamente il desideratum del-
l’Aula. A quei Padri conciliari, che ritenendo sufficiente l’esposi-
zione di tale fondamento in lg 16 e 17 non ravvisavano la necessità
di un ulteriore approfondimento nel futuro decreto, schütte repli-
cava che quei numeri della costituzione dogmatica in realtà erano
ancora “troppo generici” (nimis generalia)106;

104
cfr. congAr, Mon journal du concile II, 353 (lundi 29 mars 65). In effetti, dalla lettura del
diario di congar si apprende che non mancarono, neppure in sede di commissione, tentativi per
riportare l’approccio entro il quadro di una visione territoriale e canonistica. congar, ancora in
data 24 marzo 65, menziona “un attacco” ordito dai detrattori di questa svolta (ibidem, 348 [mer-
credi 24 mars 65]): “Il paraît qu’une attaque est préparée, pour la réunion de nemi, par les missio-
logues patentés qui se sont fixes sur une conception territoriale et juridique de la Mission, alors
qu’une ecclésiologique conciliaire demande une conception dynamique: ne pas tant voir les terri-
toires et les organisations quel es buts vivants, les situations et les tâches qui leur correspondent.”
105
“relatio super schema decreti de Activitate Missionali ecclesiae”, in ASCOV IV/III, 699-
707 (I. schütte).
106
“nec sufficiens est ad hoc ad constitutionem de ecclesia appellare (cap. II, nn. 16-17),
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 77

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 77

b) del fondamento dottrinale delle missioni si erano voluti porre


in rilievo tre aspetti essenziali107:
N l’origine trinitaria della missione.
N la dimensione ecclesiologica della missione.
N l’articolazione della nozione di missione.

c) riguardo alla definizione di missione, I. schütte sottolineava


come, sia in seno alla sottocommissione che alla commissione
stessa, pur se attraverso un’animata discussione, si fosse pervenuti
a delineare una notio Missionis communiter acceptabilis108. Partendo
dalla dimensione ecclesiologica della missione si era quindi arrivati
a dare la seguente definizione:
“ciò che designiamo col nome di ‘Missioni’ non sono se non il peculiare
esercizio della ‘missione’ universale della chiesa, che attiene alla sua
stessa essenza, ed è espressione necessaria della sua missione salvifica
universale e della sua funzione vitale soprannaturale ”109.

È qui evidente la distinzione chiave, tra missio e missiones. sotto


la prima accezione del termine, al singolare, confluisce il contenuto
teologico con i riferimenti dottrinali fondanti, mentre il concetto al
plurale designa l’esercizio della missione universale della chiesa
(exercitium universalis ‘missionis’ ecclesiae), la sua espressione (ex-
pressio). Infine, per activitas missionalis s’intende la peculiare forma
esecutiva del mandato (mandati peculiaris forma exsecutionis erga
populos vel coetus non credentes), la cui declinazione varia a se-
conda del contesto110.

cum ibi exposita, quantumvis bona, pro fundamento theologico schematis de Missionibus
nimis generalia sunt”; “relatio super schema decreti”, in ASCOV IV/III, 701.
107
“ex theologica autem fundatione activitatis missionalis educi debet:1) missionis ecclesiae
origo trinitaria….2) Missionis aspectus ecclesiologicus….3) clara ac distincta notio Missionis
in toto schemate observanda…”; “relatio super schema decreti”, in ASCOV IV/III, 701.
108
“circa hoc problema, primum in subcommissione (5 Patres et 6 Periti), dein in plenaria,
orta est ampla et viva disceptatio, donec paulatim opinionibus expolitis, notio Missionis com-
muniter acceptabilis statui potuerit.”; “relatio super schema decreti”, in ASCOV IV/III, 701.
109
“Quod nomine ‘Missiones’ designamus, non sunt nisi peculiare exercitium universalis
‘missionis’ ecclesiae, quae ad ipsam essentiam ecclesiae pertinet, et est expressio necessaria
missionis eius salvificae universalis eiusque functionis vitalis supernaturalis.” “relatio super
schema decreti”, in ASCOV IV/III, 701.
110
“Inde in schemate, post sublineatam indolem Missionis hierarchicam in ipsa Missione
Apostolorum fundatam, delineatur Missio ecclesiae universaliter sumpta iuxta quatuor causas.
deinde progredimur ad activitatem missionale, stricte dictam, quae est unius huius missionis
seu mandati peculiaris forma exsecutionis erga populos vel coetus nondum credentes, diversa
iuxta diversas condiciones, quarum praecipuae sunt inceptio et plantatio, dei novitas seu iu-
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 78

78 IlArIA MorAlI

la ratio dell’attività missionaria trova la sua giustificazione ul-


tima non solo nella necessità di procurare la salvezza agli uomini
da evangelizzare, quanto nello stesso proposito salvifico di dio,
assunto fedelmente da cristo111. Il riferimento ultimo all’econo-
mia salvifica di dio si presenta perciò perfettamente congruente
con l’impostazione adottata per i primi numeri di Lumen Gen-
tium.

4.3 La reazione dell’Aula nelle Orationes Patrum


nel corso della congregazione generale n. 157, il 9 novembre
1965, venne così distribuito in Aula il fascicolo contenente il textus
prior ed il textus emendatus dello schema, ove si era provveduto
ad integrare alcuni modi suggeriti dai padri conciliari. Il primo ca-
pitolo presentava ritocchi circoscritti, come nel caso del n. 5 (Ec-
clesia a Christo missa) che ora inglobava una piccola parte del n. 3
(Missio Filii), finalizzati ad una migliore disposizione della materia
o ad una più articolata esplicitazione di punti già indicati nello
schema originario. le modifiche più consistenti si trovano al n. 7
(Rationes et necessitas missionalis activitatis) più direttamente im-
plicato nella descrizione del rapporto missione della chiesa e
mondo non cristiano, in ossequio alla richiesta di numerosi Padri
che auspicavano si dichiarasse in modo più energico la necessità
della chiesa112.
Il testo dei principi dottrinali, così come era stato presentato
nella versione originaria del nuovo schema, era evidentemente stato
apprezzato dai Padri conciliari, come del resto si evince dalla lettura
dei discorsi tenuti in Aula ad ottobre, nonché dall’esame di alcune
loro animadversiones: la svolta impressa dal gruppo di nemi aveva
sortito evidentemente un effetto positivo.

ventus, i.e. maturatio ecclesiae particularis.”; “relatio super schema decreti”, in ASCOV IV/III,
701-702.
111
“necessitas, immo summa urgentia operis missionalis….[…] Iam, ratio activitatis mis-
sionalis non unice desumitur ex aeterna salute hominum evangelizandorum procuranda, sed
maxime deducitur ex illo proposito dei cui christus fideliter inservit.”; “relatio super schema
decreti”, in ASCOV IV/III, 702.
112
“totus numerus 7 in novam formam redactus est, quia quamplurimi Patres postulave-
runt necessitatem activitatis missionalis pro salute hominum magis positive et multo fortius
declarari (ex gr. 1,52/65; 2, 51-57; 3, 111 s.; 6,20; 7, 115; 8, 163 etc.). Qua de causa nunc positive
ex necessitate fidei ad salutem incipitur; constitutio de ecclesia, sicut multi postulaverant,
verbotenus reassumitur et necessitas evangelizandi, quae ecclesiae incumbit, clare et fortiter
exprimitur.” ; ASCOV IV/VI, 273 (V). Vedi per i dettagli MorAlI, “grazia, salvezza e religioni”,
(I), 391-396.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 79

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 79

Il patriarca maronita Meouchi, che pure aveva lamentato nello


schema un’impostazione prossima ad una “lectio academica mis-
siologiae”, lodava il testo: molti altri Padri conciliari avevano
espresso medesimo apprezzamento per lo schema, limitandosi a
fornire alcuni suggerimenti atti a perfezionarlo in alcuni suoi pas-
saggi113. negli interventi dei Padri conciliari si coglie quindi grande
soddisfazione, soprattutto in relazione alla parte dei fondamenti
dottrinali114. “laudanda imprimis est profunda et ampla explicatio
fundamenti theologici activitatis missionalis…” dichiara in Aula il
card. Frings di Köln, al cui seguito – non lo si deve dimenticare – vi
era il giovane perito ratzinger115. Più di cento vescovi africani ave-
vano espresso il proprio consenso: considerando la passata insi-
stenza su un approccio meramente pratico alla missione, essi
sembravano nel frattempo aver ridimensionato questa posizione,
apprezzando l’equilibrio raggiunto tra la prima parte, dottrinale, e
le altre di natura pratico-pastorale116.
la valutazione del testo dello schema non offriva solo l’oppor-
tunità per compiere delle modifiche, ma anche per condividere
molti motivi di inquietudine, tanto nell’ambito ecumenico che in
rapporto alle nuove tendenze teologiche. si chiedeva al futuro
decreto un’esposizione chiara della dottrina cattolica sulla mis-
sione, perché non fosse confusa col proselitismo dei fratelli se-
parati117. si insisteva perché il documento fornisse una dottrina
netta in risposta a quelle correnti teologiche che in quello stesso
periodo teorizzavano una relativizzazione dell’urgenza come
della necessità della missione118. ed in effetti le poche modifiche
introdotte nel primo capitolo dello schema, in vista della sua ap-
provazione definitiva come decreto, segnano un deciso rafforza-
mento della dottrina, soprattutto al fine di escludere ogni
possibile compromesso o fraintendimento in senso, oggi si di-
rebbe, relativista. le conclusioni del colloquio di Bombay rima-
nevano un monito, anche a distanza di un anno dalla loro
formulazione, ed i Padri conciliari volevano rispondere con deci-
sione: la loro presa di posizione si concentra nei numeri 3, 7 e 9

113
cfr. ASCOV IV/III, 709 (Paulus Petrus Meouchi – n. 9).
114
tale soddisfazione si evince in interventi come quello del cardinal di Manila: cfr. ASCOV
IV/III, 712 (rufinus card. santos – n. 11) o dell’arcivescovo di Padernborn: 714 (laurentius card.
Jäger – n.12). Vedi anche: 750 (radulfus Koppmann – n. 12).
115
ASCOV, IV/III, 739 (Ioseph card. Frings – n. 6).
116
cfr. ASCOV, IV/III 747 (Vincentius Mccauley – n. 11).
117
cfr. ASCOV, IV/III, 710 (Iacobus card. Barros câmara– n. 10).
118
cfr. ASCOV, IV/IV, 137ss. (Patrum Orationes) e 397ss (Animadversiones scripto exhibitae).
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 80

80 IlArIA MorAlI

dello schema, gli stessi del decreto promulgato119 . È lo stesso


congar a ricordarlo, spiegando Ag 7120.

4.4. Il ruolo dei teologi


nell’ultima fase del processo redazionale, si è andato stagliando
il ruolo di due teologi, membri del ‘gruppo di nemi’: Y.-M. congar e
J. ratzinger. Il 29 dicembre 1964, il domenicano annotava nel suo
diario di aver appena terminato di battere a macchina e rivedere un
progetto per la parte teologica del nuovo schema121; in data 11 gen-
naio 1965, ritornato a nemi, sempre congar ricordava ad attendere
sul suo tavolo per la lettura vi erano alcuni “suggerimenti per lo
schema” pervenutigli da diverse persone e, soprattutto, “le Consi-
derationes sul fondamento teologico delle missioni” di Joseph rat-
zinger122. Il 1 febbraio 1965, ancora congar annotava nel suo diario
di aver incontrato schütte discutendo con lui la “parte teologica”
del futuro decreto, “la mia”, puntualizzava significativamente123.
congar ebbe dunque un ruolo decisivo nella stesura della parte dot-
trinale, pur mostrandosi aperto ai suggerimenti del giovane ratzin-
ger. Il primo aprile 1965, il teologo domenicano annotava, con una
certa soddisfazione, che proprio un testo di ratzinger, contenente
la definizione dell’attività missionaria, era stato accettato dalla sot-
tocommissione124. Quando corse voce di un possibile nuovo taglio
dei principi dottrinali, fu comunque congar a muoversi onde scon-
giurarlo125.

Mesi dopo, il 19 ottobre un gruppo di revisione (groupe de révi-


sion) si sarebbe riunito a nemi per un’ulteriore messa a punto del
primo capitolo: esso era composto da lokuang, congar e ratzin-

119
ne abbiamo dato approfondita disamina in MorAlI, “grazia, salvezza e religioni secondo
la dottrina del concilio Vaticano”, (I), 384-396.
120
“the Fathers wished to give first place to, and to affirm absolutely, the necessity of the
church. likewise, several asked that two propositions be condemned. the first was that which
the press had presented as the conclusion of the congress held in Bombay in 1964: the thesis
that the various other religions of the world are also ordinary means of salvation”; congAr,
“the necessity of the mission ‘ad gentes’”, 158.
121
“J’achève ce matin à 10 h. de taper et de réviser un projet de activitate missionali eccle-
siae, I. Pars theologica.” congAr, Mon journal du concile II, 295 (29.XII.64).
122
cfr. congAr, Mon journal du concile II, 295 (mardi, 12.1.65).
123
cfr. congAr, Mon journal du concile II, 309-310 (lundi, 1er février 1965).
124
cfr. congAr, Mon journal du concile II, 356 (jeudi, 1er avril 65).
125
cfr. congAr, Mon journal du concile II, 362 (29 avril 65). congar era stato avvisato di
questa eventualità, nell’imminenza della riunione della commissione di coordinamento previ-
sta nel mese di maggio.
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 81

ger126. Il loro lavoro dovette rivelarsi difficile, perché osservazioni e


rilievi arrivavano poco per volta. Altre analoghe sedute avevano
avuto luogo anche dopo, ad esempio, il 12-13 novembre, per l’esame
dei modi e l’expensio modorum del capitolo I. ed anche in questa
fase, ratzinger è al fianco di congar, lavorando con lui a pieno
ritmo127.
È piuttosto chiaro, quindi, che nella fissazione di questo primo
capitolo di natura dottrinale i due teologi hanno avuto un significa-
tivo ruolo, sebbene congar per fama ed età abbia certamente avuto
quello preminente128. Per altro, lo stesso teologo domenicano, nella
pagina del suo diario conciliare datata 7 dicembre 1965, giorno della
promulgazione del decreto, aveva composto l’elenco dei testi con-
ciliari, più direttamente frutto del suo contributo: tra questi egli
menzionava il De Missionibus (intendendo Ad Gentes) e, a proposito
del capitolo I, egli scriveva “sont de moi de A à Z, avec emprunts à
Ratzinger pour le n°8”129.

4.5. Il capitolo I di Ad Gentes


nella versione finale dello schema, così come poi nel decreto, se
si eccettua il breve proemio (n. 1), il capitolo sui principi dottrinali
della missione appare diviso in 8 sostanziosi numeri, ciascuno dei
quali illustra un aspetto peculiare di questo fondamento dogma-
tico130: il proposito salvifico di dio Padre (n. 2), la missione del Figlio
(n. 3), quella dello spirito santo (n. 4), l’invio della chiesa da parte
di cristo (n. 5) , l’attività missionaria come tale (n. 6), le ragioni del-
l’attività missionaria (n. 7), l’attività missionaria nella vita e nella
storia degli uomini (n. 8), il suo carattere escatologico (n. 9)131.

126
cfr. congAr, Mon journal du concile II, 440-441 (mardi, 19 octobre 65).
127
l’11 novembre congar scrive nel suo diario conciliare : “on se met toute de suite au tra-
vail après distribution de notre lot de modi: ratzinger, lokuang et moi”, nella cronaca del
giorno seguente egli invece annota: “nous finissons (avec ratzinger seul: lokuang est parti
hier à 16 h) l’expensio modorum du chap. I. tout est fini à 16 h. ratzinger recopiera tout.”;
congAr, Mon journal du concile II, 472 (vendredi, 12.XI.65; samedi 13.XI.65).
128
sempre nel suo diario, in data 31 marzo 1965, congar scrive così di ratzinger: “hereu-
sement qu’il y a ratzinger. Il est raisonnable, modeste, désintéressé, d’un bon secours…”;
congAr, Mon journal du concile II, 355-356 (mercredi 31 mar 1965).
129
congAr, Mon journal du concile II, 511 (mardi 7 décembre 65).
130
cfr. ASCOV IV/III, 664-669.
131
non ci sembra questa la sede per un commento analitico del I capitolo di Ag. Il presente
studio ha mirato soprattutto ad illustrare il significato essenziale dell’opzione conciliare nel
volere un primo capitolo interamente dedicato ai principi dogmatici della missione. ci limi-
tiamo quindi ad alcune considerazioni di insieme sul contenuto dei singoli numeri, facendo
sovente riferimento all’autorevole spiegazione di congar.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 82

82 IlArIA MorAlI

nell’illustrare il proposito salvifico di dio e nel porre l’accento


sulla dinamica cristologico-trinitaria del disegno salvifico il decreto
mostra evidenti parallelismi con i primi numeri di lg132.
spiegando i numeri 2-4 del documento, congar affermava che in
essi si rinveniva un ‘trattato De Deo’ ed insieme una dottrina delle
missioni divine a dimostrazione del versante missiologico dell’ec-
clesiologia133. la chiesa appare coinvolta in questo movimento che
procede da dio, è parte di esso134. In seno alla riflessione cristologica
del n. 3, cristo è l’inviato (missus) per eccellenza. come sempre con-
gar rileva, l’invio di cristo è ben altro che il semplice invio di un
messaggero, egli è infatti più di un profeta: l’invio di cristo è un’In-
carnazione135.

riguardo al n. 4, il numero illustra nelle sue diverse articolazioni


l’opera dello spirito, intimamente connessa a quella del Padre e di
cristo evidenziando anche che tutta la storia della missione è storia
dell’azione dello spirito santo136. la densità di questo numero è tale
che si potrebbe considerare forse la pagina più significativa della
pneumatologia conciliare.

nota congar che, a partire dal n. 5, le pagine che seguono spie-


gano l’invio della chiesa nella sua estensione, inquadrando l’attività
missionaria rispetto a dei riferimenti fondanti137. È qui che si pos-
sono apprezzare le motivazioni per le quali occorreva nel decreto
una trattazione ad hoc su chiesa e missione: “la prospettiva di Ad
Gentes – chiariva congar – non è proprio la stessa di Lumen Gen-
tium”. A differenza dell’accento riposto sull’ontologia della grazia
e sulla struttura gerarchica della chiesa, note specifiche della co-
stituzione dogmatica, il decreto doveva invece evidenziare la chiesa

132
cfr. Ag 2-4 e lg 2-4.
133
cfr. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 134–135.
134
“die Kirche ist missionarisch durch ihren Ursprung und ihre natur selbst, da sie das
eine wie das andere aus der Bewegung epfängt, durch die gott sich einer schöpfung mitteilt –
eine Bewegung, die sich in den sendungen des sohnes und des heiligen geistes verwirklicht
und so ihren Ursprung in der Mitteilung des lebens der innertrinitarischen hervorgänge hat.
die Kirche ist in ihrem tiefsten und innersten grund Bewegung der Mitteilung, bis alles erfüllt
ist, was berufen ist, das leben zu empfängen.”; congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”,
137.
135
“…sie (= die sendung christi) ist eine Inkarnation…”; congAr, “theologische grundle-
gung (nr. 2-9)”, 141.
136
congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 143.
137
cfr. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 144.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 83

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 83

come “oggetto di un incarico”, mentre gli Apostoli sono i primi sog-


getti di questo compito138 .

In questo denso capitolo vengono toccati i temi dell’ecumenismo


e del rapporto chiesa-religioni, due relazioni non sovrapponibili.
l’ecumenismo trova spazio nel n. 6: il concilio riconosce all’attività
missionaria la prerogativa di concorrere al perfezionamento del-
l’unità cattolica, benché non si rivolga di primo acchito a fedeli già
cristiani139. del resto, il concetto di missione è inapplicabile in am-
bito ecumenico, proprio perché la missione della chiesa si rivolge
prioritariamente a non battezzati. d’altra parte, l’ecumenismo non
è totalmente disgiungibile dalla missione della chiesa, laddove la
chiesa si confronti con realtà come le sette, che pur non riconduci-
bili in alcun modo alla chiesa fondata da cristo e dagli Apostoli, si
autodefiniscono cristiane140.

Il numero 7 del decreto affronta più direttamente le ragioni e la


necessità del mandato missionario, toccando da vicino la scottante
questione del rapporto con i non cristiani. congar sia nel suo com-
mento che nell’articolo postumo del 2002 ha ribadito un concetto
fondamentale, come determinazione dello stesso concilio: i padri
conciliari vollero sottolineare la necessità della chiesa, a fronte di
tesi oltranziste, come quelle diramate dal congresso di Bombay; si
volle inoltre prendere posizione, sebbene in una forma assai sfu-
mata, rispetto alla tesi del cristianesimo anonimo, specie in consi-
derazione delle degenerazioni che essa, già in quei primi anni, stava
subendo da parte di altri teologi141.
con ciò – spiega ancora congar – il concilio non volle condannare
o precludere la strada alla complessa questione di una ‘teologia
delle religioni non cristiane’, intese semmai sancire dei principi in-
derogabili, fissare dei criteri dottrinali entro i quali proseguire
un’eventuale ricerca teologica su un tema tanto complesso142. tale

138
cfr. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 144.
139
Il testo dell’ultimo schema così affermava: “Itaque differt activitas missionalis apud gen-
tes, tam ab activitate pastorali erga fideles exercenda, quam ab inceptis suscipiendis ad unita-
tem christianorum redintegrandam. Attamen duo haec cum missionali navitate ecclesiae
arctissime coniunguntur.”; ASCOV IV/III, 667.
140
cfr. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 160-161.
141
cfr. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 163.
142
“nevertheless, it did not take up, either to condemn or to negate, the very difficult ques-
tion of a ‘theology of the non-christian religions’. It has need of study: there is a need for the
time and freedom required by a question so complex and, at least in its present dimensions,
rather new.”; congAr, “the necessity of the mission ‘ad gentes’”, 159.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 84

84 IlArIA MorAlI

ricerca non avrebbe mai potuto prescindere da queste determina-


zioni come da quelle delineate in lg 16 e 17.

gli ultimi due numeri del capitolo (n. 8 e 9) trattano temi speci-
fici: il primo dei due numeri si pone in continuità con la sottolinea-
tura antropologica di Gaudium et Spes (= gs), il secondo costituisce
un chiaro riferimento alla pienezza di senso che l’attività di missio-
naria promuove143: la finalità escatologica costituisce una compo-
nente essenziale dell’attività missionaria della chiesa. “le Missioni
– scrive congar – partecipano al grande ‘marana atha!, il signore
viene – o anche signore vieni!, che la chiesa dice”. Il teologo dome-
nicano ricorda come non sia da considerare casuale la collocazione
di questo numero alla fine del capitolo dei principi dottrinali: in que-
sto modo, esso si chiude con un orientamento alla cattolicità dina-
mica e con una significativa dossologia144.

C. Il De Principis doctrinalibus significato ed attualità

1. Alcune considerazioni di carattere generale


1.1. Missione, missioni ed attività missionaria
lo studio della genesi del decreto ha evidenziato un aspetto im-
portante: durante il processo redazionale si è prodotta gradual-
mente l’esigenza di differenziare anche terminologicamente i
livelli implicati nella riflessione: il livello teologico, indicato col
singolare missione, quello canonistico evocato col plurale missioni-
territorio, quello pratico-pastorale richiamato con l’espressione
composta di attività missionaria. tre livelli ovviamente non sovrap-
ponibili, emersi con l’accantonamento definitivo della prospettiva
inizialmente predominante, quella dei canonisti: come spiegava lo
stesso congar, ridimensionando il peso della concezione canoni-
stica di missione non si era voluto mettere in discussione l’egida
di Propaganda Fide sui territori: “si trattava quindi, di dare al Fatto
territoriale uno spazio, senza qui definire le missioni a partire da
esso”145. occorreva esibire in primo luogo il perché della missione,

143
cfr. concIlIUM VAtIcAnUM II, constitutio pastoralis de ecclesia in mundo huius temporis
Gaudium et spes (7 dicembre 1965): [www.vatican.va].
144
congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 171.
145
“Bestimmte territorien sind der Propaganda-Kongregation unterstellt und einem beson-
deren recht unterworfen. es ging also darum, dem territorialen Faktum einem raum zu geben,
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 85

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 85

le ragioni dottrinali che ne giustificano necessità ed importanza.


l’approccio al tema partendo dalle missioni come territorio, ten-
denza che inizialmente sembrava destinata a prevalere, o limitato
al solo versante pastorale dell’attività, come nel successivo Schema
Propositionum, aveva mostrato la sua intrinseca insufficienza, per-
ché l’indole missionaria della chiesa non si spiega né con motiva-
zioni prettamente giuridiche e tanto meno con altre di indirizzo
pastorale. le ragioni della missione sono di matrice dottrinale, af-
fondano nella scrittura, nella tradizione e nello stesso Magistero.
Il decreto costituisce quindi l’esito di un percorso che, pur nella
sua lunghezza e lentezza, ha comunque condotto ad una compren-
sione del tema assai più ampia di quanto non si fosse inizialmente
prospettato.

si aggiunge un’altra osservazione: scorporando l’attività mis-


sionaria, come operatio, dalla missione come principio dottrinale,
il concilio offre una precisa criteriologia per l’agire storico della
chiesa come pure per la sua riflessione missiologica: i metodi
dell’operare missionario nella storia possono cambiare, in base alle
circostanze di tempo e di luogo, non però il fine e le ragioni della
missione, che, indicate da cristo, testimoniate dalla tradizione cri-
stiana ed insegnate dalla chiesa, mantengono una permanente va-
lidità. Pertanto, in questo modo si afferma implicitamente anche
che, se le motivazioni addotte per la missione, da una determinata
teologia o da una chiesa locale, escludono o ridimensionano l’im-
portanza anche solo di uno tra i principi dottrinali, l’attività non è
più espressione della missione della chiesa, ma un’attività qual-
siasi. la necessità di annunciare il Vangelo, la necessità della con-
versione a cristo, come del battesimo non sono valori negoziabili
ma fondanti la missione, anche laddove non sussistano le condi-
zioni per operare un’attività di predicazione e la possibilità di con-
versione. l’accezione dottrinale di missione quindi ‘norma’ ed
ispira la prassi, non è l’attività ed il contesto a poter determinare
la validità o relatività dei principi della fede. In questo senso, la
scelta di porre ad incipit di un decreto un capitolo di natura dot-
trinale sottolinea l’intenzione, da parte dei padri conciliari del Va-
ticano II, di spiegare ed allo stesso tempo difendere e preservare
la natura missionaria della chiesa ed il senso autentico del suo
operare nel mondo.

ohne dabei die Missionen von ihm aus zu definieren. das tut der vorliegende text.”; congAr,
“theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 149.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 86

86 IlArIA MorAlI

1.2. L’apporto dei Teologi: una preparazione remota


Il giorno della promulgazione di Ad Gentes, il 7 dicembre 1965,
congar era rimasto in disparte, seduto nel settore degli osservatori,
assistendo alla lettura dell’inizio e della fine dello schema, come un
semplice spettatore di quella giornata straordinaria. la sera stessa
tuttavia compilando per sè la lista di testi conciliari che lo avevano
visto tra gli attori principali, scriveva a commento: “servi inutiles
sumus”146. È una definizione che riflette perfettamente l’umiltà
dell’uomo e che ben si attaglia ai molti altri periti che con lui con-
tribuirono alla riuscita del concilio. A parte il giovanissimo ratzin-
ger, la maggioranza tra loro apparteneva a quella generazione che,
tra gli anni trenta e cinquanta, si era resa protagonista di un
grande rinnovamento della teologia: un tempo di forte fermento
ecclesiale ed intellettuale, durante il quale la salus infidelium aveva
rappresentato uno dei nodi centrali della discussione, in connes-
sione ad altri temi tra i quali proprio quello della necessità della
missione e della chiesa. se si vaglia la letteratura di questi decenni,
non vi è considerazione sul significato delle missioni che non abbia
implicato riflessioni di natura ecclesiologica o in connessione ai
principali trattati della dogmatica cattolica, come il De Gratia e il
De Fide.
l’ambito francofono è certamente tra i più sensibili a questo ge-
nere di problematiche147. All’inizio degli anni Quaranta, il gesuita
henri de lubac, parlando del mandato di cristo attestato nei Vangeli
ed in Atti degli Apostoli, scriveva che esso è “la carta di fondazione
della chiesa”, e che “questi medesimi testi sono anche la carta di
fondazione delle missioni”148. nei suoi numerosi interventi pre-con-

146
congAr, Mon journal du concile II, 511 (mardi 7 décembre 65).
147
Moltissime sono le pubblicazioni che testimoniano l’interesse e la discussione sul signi-
ficato della missione, tra queste ricordiamo: “thèses fondamentales de thèologie missionnaire.
Actes du IIe congrés national de l’Union Missionnaire du clergé de France (4-8 septembre)”,
Supplément à la Revue de l’U.M.C.F. (1933); et. hUgUenY, “le scandale édifiant d’une exposition
missionnaire”, in Revue Thomiste 38/76,78-79 (1933): 217-242; 533-567; l. cAPérAn, “la mission
de l’eglise et les missions dans le plan providentiel du salut”, in L’U.M.C.F. 21/4 (1945): 172-
179; 22/1-2 (1946): 21-28, 65-72; h. de lUBAc, “le Fondement théologique des missions (1941
et 1946),” in Théologie dans l’histoire (Paris: desclée de Brouwer 1990), 159-219; A. dUrAnd, Le
Problème théologique des Missions (Paris: le Puy-Mappus 1942). Vedasi anche alcuni nostri
studi: I. MorAlI, La salvezza dei non cristiani. L’influsso di de Lubac sulla dottrina del Vaticano
II, (Bologna: eMI 1999); Salus infidelium: sondaggio storico su un tema classico in La salvezza
degli altri. Soteriologia e religioni, Atti del XIV Corso di Aggiornamento, roma 29-31 dicembre
2003. A cura di M. gronchI (cinisello Balsamo [Mi]: san Paolo 2004), 23-50.
148
h. de lUBAc, “le Fondement théologique des missions (1941 et 1946),” in Théologie dans
l’histoire (Paris : desclée de Brouwer 1990) 161 (testo completo delle due conferenze: 159-219).
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 87

ciliari congar stesso concorse all’elaborazione di una nuova eccle-


siologia, di cui il tema della missione costituisce parte integrante149.
l’ostracismo patito dal teologo domenicano, come del resto da de
lubac stesso (entrambi poi chiamati come periti al concilio), fu so-
prattutto causato dalla difficoltà di comprendere la loro apertura
speculativa: per rispondere alle grandi questioni che interrogavano
la chiesa e la sua missione, essi ritenevano di dover superare taluni
rigidi schemi tradizionali di pensiero per un’illustrazione della fede
alla luce delle sue fonti, ma in dialogo col pensiero contemporaneo.
ritenevano che la tradizione fosse un tesoro da riscoprire150. negli
anni Quaranta, spiegando la novità di questo orientamento, J. da-
niélou aveva tentato di far capire ai detrattori della nouvelle Théo-
logie, come intento primo di questa nuova tendenza non fosse
quello di “adattarsi alla moda del momento” bensì di “rispondere
ai bisogni delle anime dei nostri giorni”; tale risposta doveva essere
rinvenuta nella Fede e nel suo patrimonio, senza chiudersi apriori-
sticamente al confronto col pensiero contemporaneo151. la matura-
zione di una riflessione conciliare sulla missione è anch’essa
avvenuta nel quadro di una riscoperta della tradizione e del pen-
siero cristiano, proprio grazie ai teologi di questa generazione del
novecento teologico. essi mostrarono come, in una riflessione di
fede, il passato non sia mai nemico del presente: la teologia elabo-
rata nel corso dei secoli è ancora in grado di offrire luci alla ricerca
attuale della chiesa, senza per altro impedire alla teologia odierna
di intraprendere nuovi sentieri. ciò che colpisce nella sintesi espo-
sta con i principi dottrinali in Ag è la continuità tra passato e pre-
sente, come l’attualità e vitalità della tradizione nel fornire elementi
per un’esposizione sulla missione della chiesa nel tempo odierno.
non è un caso quindi, che, commentando i primi numeri del decreto
di Ag, congar abbia indicato senza timore, come base dell’ecclesio-
logia missionaria, la teologia delle missioni divine dei grandi sco-
lastici del XIII secolo152.

149
c. BereA, Il pensiero teologico di Yves Congar sulla definizione della missione nel periodo
pre-conciliare, (documenta Missionalia 34 - roma: Pontificia Università gregoriana 2009).
150
Per un’interessante disamina delle difficoltà che caratterizzarono il cammino di questa
generazione di teologi, destinata a predisporre la grande svolta conciliare cfr. ét. FoUIlloUX,
Une Église en quête de liberté: la pensée catholique française entre modernisme et Vatican II
(1914-1962) ,(Paris: desclée de Brouwer 1998).
151
cfr. J.dAnIéloU, “les orientations présentes de la pensée religieuse”, in Etudes 249 (1946):
5 (testo completo : 5-21).
152
cfr. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 135.
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88 IlArIA MorAlI

gianni colzani ha giustamente osservato che il maggiore contri-


buto al decreto provenne non già da missiologi di professione, ma
da teologi, e che il concilio, grazie a questo straordinario retaggio
di studi e dibattiti da loro favorito nei decenni pregressi, poté così
avviare “una faticosa rilettura del pensiero missionario della chiesa,
un discernimento dei cinquant’anni di cammino della missiologia
alla luce di un’importante tradizione apostolica…”153. Il primo capi-
tolo di Ag con le sue 23 note, gravide di riferimenti a scrittura, tra-
dizione e Magistero, testimonia il rigore del metodo teologico col
quale lo si compose e per il quale lo si ritenne idoneo ad esprimere
la Fede.
Il coinvolgimento di alcuni tra i migliori teologi dell’epoca, come
congar e ratzinger, nella redazione di questa parte del decreto,
non deve tuttavia portare a concludere che esso sia il prodotto di
una determinata teologia. A differenza dei Padri conciliari, i periti
non hanno avuto alcun potere deliberativo nella dinamica del per-
corso redazionale dei documenti del Vaticano II: più semplice-
mente, essi sono stati dei fedeli servitori del Magistero
conciliare154. Vi è da dire che non vi fu solo una forte e proficua
interazione tra Padri conciliari e teologi, ma anche tra i teologi e il
papa Paolo VI, che non esitava a comunicare a periti le proprie
obiezioni. Il 28 marzo 1965, ad esempio, con una “pagina in ita-
liano” il Pontefice si era rivolto a congar a proposito del nascente
schema del decreto, rimproverando che la “nozione e definizione
della missione” fossero state riferite “al Popolo di dio, e non al-
l’apostolicità, alla missione dei dodici ed alla gerarchia”. dal canto
suo, il domenicano, pur replicando nelle sue note personali di non
aver affatto inteso escludere questi aspetti concependo “un Popolo
di dio strutturato”, ciò non di meno annotava l’intenzione di met-
tere mano al testo al fine di precisarlo nel senso auspicato dal Pon-
tefice155. Fu dunque in virtù di tale osmosi, tra teologia e
Magistero, nelle sue diverse declinazioni, che presero forma queste
pagine del decreto.

153
g.colzAnI, Missiologia contemporanea. Il cammino evangelico delle chiese: 1945-2007,
(cinisello Balsamo [Mi]: edizioni Paoline 2010), 41, 76.
154
congregAzIone Per lA dottrInA dellA Fede, Istruzione Donum veritatis sulla vocazione ec-
clesiale del teologo, n. 40: “Pur essendo la teologia ed il Magistero di natura diversa e pur avendo
missioni diverse che non possono essere confuse, si tratta tuttavia di due funzioni vitali nella
chiesa, che devono compenetrarsi ed arricchirsi reciprocamente per il servizio del Popolo di
dio. ”; [www.vatican.va].
155
congAr, Mon journal du concile II, 349 (dimanche, 28.3.65).
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 89

1.3. Unicità della dottrina, pluralità delle opinioni teologiche


Arriviamo perciò ad un altro punto decisivo: per leggere il primo
capitolo di Ag occorre avere in chiaro la distinzione che corre tra
dottrina e teologia. ricostruendo l’iter redazionale del documento
si è infatti rilevato come fossero state anche le profonde divergenze
teologiche sulla definizione teologica di missione a condizionare e
rallentare il cammino. l’improvvisa accelerazione che subì la scrit-
tura della forma definitiva dello schema non si deve al raggiungi-
mento di una visione teologica univoca. commentando il problema
del dissenso tra i teologi, congar scriveva: “Una definizione? nella
realtà molte scuole hanno dato diverse definizioni”156. rispetto al
pluralismo di opinioni ancora esistente nella Teologia della missione,
dissenso che in un primo momento aveva indotto a ritenere la no-
zione canonistica come l’unica via percorribile, il concilio non intese
entrare nel merito. la vera priorità era altra. si trattava di puntualiz-
zare la Dottrina della missione, indicando i principi dogmatici che
ne sono l’articolazione. Il concilio – come scrive congar - “doveva
assai più presentare, come già le encicliche papali avevano fatto, una
generale, apartitica, sintetica eppure ben definita dottrina”157.
l’insistenza dei Padri conciliari per un’esposizione dottrinale, a
prescindere dalle diatribe teologiche, mostra bene ancor oggi la ne-
cessità di accostarsi alla lettura di questo primo capitolo senza con-
fondere i due livelli: quello della dottrina rispetto a quello della
teologia. Il concilio ha esposto la dottrina, fissando così anche una
criteriologia precisa per la riflessione teologica, cui spetta il compito
di continuare ad approfondire le grandi questioni legate alla missione
senza venir meno al dettato di Fede. come ha sottolineato congar:
“ogni approccio alla questione (= la ragione per le missioni) deve inclu-
dere questi elementi: il disegno e la volontà di dio riguardo alla salvezza
degli uomini, la carità che cerca di provvedere tutti dei mezzi di salvezza
e ad un’abbondanza di vita”158.

156
“Eine definition? In Wirklichkeit haben mehrere schulen verschiedene definitionen…”;
congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 151.
157
“natürlich konnte sich das dekret Ad Gentes nicht auf den Boden der schultheorien stel-
len; es mußte vielmehr, wie es bereits die enzykliken der Päpste getan hatten, eine allgemeine,
unparteiische, synthetische und doch gut definierte lehre vorlegen.”; congAr, “theologische
grundlegung (nr. 2-9)”, 152.
158
“Any approach to the question must take into account these elements: the design and
will god with regard to the salvation of humankind, the charity which seeks to provide for all
the means of salvation and an abundance of life.”; congAr, “the necessity of the mission ‘ad
gentes’”, 156-157.
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90 IlArIA MorAlI

si noti quel ogni: esso sta a significare che, qualsiasi sia la tesi
teologica che si proponga, essa deve essere formulata in conso-
nanza ai principi della Fede. Il concilio non ha dunque inteso bloc-
care il dibattito in teologia, né fermare la ricerca, ma indicare i
criteri di un corretto approccio alla missione in ambito cattolico.

le Considerationes di J. ratzinger, membro della commissione


di nemi, testimoniano la densità dei temi dottrinali di cui il de-
creto avrebbe dovuto dare una chiara e puntuale esposizione. la
distinzione da lui proposta tra fundamentum primum e i funda-
menta secundaria missionis esplicita l’articolazione del dato rive-
lato: la “missio Filii a Patre” sta al centro del primo fondamento
che ratzinger definisce cristologico ed inseparabilmente anche tri-
nitario159. Il concetto chiave, in riferimento a cristo, è del resto
quello di missus: “christus est essentialiter ‘missus’”, pertanto
“tota cristologia in ideam ‘missionis’ reduci potest”. Quanto alla
persona del Padre, egli è “qui mittens Filium seipsum dat mundo”.
dal livello cristologico-trinitario si giunge logicamente a quello ec-
clesiologico: “In ecclesia…haec missio Filii continuatur”: la stessa
chiesa, in quanto corpo di cristo, è missa, inviata, come cristo.
Pertanto, come si legge ancora nelle Considerationes , “Missio et
activitas missionalis in intima essentia christologica et trinitaria
ecclesiae fundatur”160. I fondamenti secondari della missione sono
invece, per ratzinger, la testimonianza alla verità divina da parte
della chiesa, che detiene una missione universale; l’obbedienza al
Verbo ed al suo mandato. la missione è da comprendersi (intelli-
genda) anche come signum eschatologicum, perché i destinatari
dell’annuncio sono invitati alla salvezza, che non si identifica con
i beni mondani. come si legge ancora nelle Considerationes ratzin-
geriane, “locus quidam principalis pro tota theologia missionali:
gentiles veniunt, ut Iesum videant…hora missionis venit”; ed an-
cora: “missio fit, ut gloria et potestas dei appareant in mundo, mis-
sio fit, ut deus adoretur”. la salvezza degli uomini costituisce
perciò il “vero fondamento” dell’attività missionaria161. Per ratzin-

159
“Qua de causa fundamentum hoc christologicum inseparabiliter etiam trinitarium est.”
J. rAtzInger, “considerationes quoad fundamentum theologicum missionis ecclesiae”, in Centro
Vaticano II - Studi e Ricerche VI/1 (2012): 30 (pagine complete del testo: 30-34).
160
cfr. rAtzInger, “considerationes quoad fundamentum theologicum missionis ecclesiae”,
30.
161
rAtzInger, “considerationes quoad fundamentum theologicum missionis ecclesiae”, 30-
31.
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 91

ger, l’opus missionum costituisce l’esecuzione dell’economia di-


vina. Il soggetto dell’attività missionaria è invece la chiesa nella
sua totalità162. Anche le Considerationes di ratzinger rimandano
quindi al cuore della motivazione missionaria e ne illustrano va-
lore e contenuto163. le Considerationes di ratzinger costituiscono
tuttavia solo le annotazioni di un teologo, che si sforza di com-
prendere la Fede: egli è a servizio del Magistero, cui invece spetta
la prerogativa di fissare la dottrina.

2. Un decreto pastorale o dottrinale?

Queste ultime osservazioni portano inevitabilmente a chiedersi


quale valore complessivo abbia voluto conferire il concilio al de-
creto Ag, quanto peso effettivo detenga questa prima parte di na-
tura dogmatica nell’economia del documento, considerando
l’indirizzo più pratico e pastorale degli altri capitoli che seguono.
come si è visto, i Padri conciliari concepirono questo primo capitolo
per sottolineare il fondamento dogmatico della missione: sarebbe
perciò un errore reputare secondaria o puramente ornamentale e
introduttiva questa parte del decreto. ciò non di meno il doppio re-
gistro, dogmatico e pastorale, rappresenta una novità. Prendendo a
paragone un decreto parimenti conciliare come il De Justificatione
di trento (1547), le differenze sono ancora più palpabili: il docu-
mento tridentino è integralmente dottrinale, come conferma il con-
tenuto dell’appendice sanzionatoria (canoni) che gli fa da corollario,
mentre Ag non contiene definizioni dogmatiche e tanto meno ana-
temi164.

162
cfr. rAtzInger, “considerationes quoad fundamentum theologicum missionis ecclesiae”,
32-33.
163
ratzinger presenta indica anche una “summa praedicationis missionariae” il cui conte-
nuto ruota attorno a tre punti essenziali: la predicazione della fede cattolica, la conversione ed
il dono della grazia “Missionis est totam fidem praedicare…duo ergo sunt themata essentialia:
Metanoia (‘poenitemini’) et eu-angelion (regnum dei adveniens), i.e. iudicium et gratia.[…] Prae-
dicatio missionaria hominem facit seipsum ut peccatorum cognoscere et sic eum in con-ver-
sionem (meta-noia) induc it; deinde ei gratiam sanantem in christo donatam et sic responsum
fidei, spei et caritatis excitat”. rAtzInger, “considerationes quoad fundamentum theologicum
missionis ecclesiae”, 31.
164
cfr. concIlIUM trIdentInUM, sessio VI (13.Ian. 1547), Decretum de Iustificatione. Canones
de iustificatione: ds 1551-1583 (canones 1-33).
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92 IlArIA MorAlI

2.1. Magistero pastorale e dottrina


Per capire la peculiarità di Ag occorre allora considerare un det-
taglio importante: aprendo il Vaticano II, giovanni XXIII aveva au-
spicato un esame più ampio ed approfondito dell’insegnamento
cristiano al fine di esporlo secondo le esigenze dettate dai tempi,
onde renderlo più intellegibile. già in tale circostanza, tuttavia, il
Papa aveva ribadito l’immutabilità della dottrina e la necessità di
prestarvi assenso fedele165. nel discorso di chiusura dell’Assise, in
continuità col suo predecessore, Papa Paolo VI avrebbe per altro
confermato questa linea sottolineando che il Magistero del concilio,
“non volendo pronunciarsi con sentenze dogmatiche”, aveva mirato
a “farsi ascoltare e comprendere da tutti ricorrendo allo stile della
conversazione”166.

si può ragionevolmente dedurre che la coesistenza dell’elemento


dottrinale e di quello pastorale in uno stesso documento costituisce
la traduzione concreta di questi intenti espressi dai Pontefici. l’as-
senza di anatematismi o di definizioni dogmatiche in Ag non signi-
fica però che il contenuto dottrinale sia secondario, rispetto alla
preoccupazione pastorale: i principi che stanno alla base della mis-
sione della chiesa ispirano ed orientano la pastorale, la motivano e

165
PAPA gIoVAnnI XXIII, Solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II (giovedì, 11 ot-
tobre 1962) n. 4.5: “Al presente bisogna invece che in questi nostri tempi l’intero insegnamento
cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato, senza nulla to-
gliervi, in quella maniera accurata di pensare e di formulare le parole che risalta soprattutto
negli atti dei concili di trento e Vaticano I; occorre che la stessa dottrina sia esaminata più
largamente e più a fondo e gli animi ne siano più pienamente imbevuti e informati, come au-
spicano ardentemente tutti i sinceri fautori della verità cristiana, cattolica, apostolica; occorre
che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia ap-
profondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito
della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo
con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione.”;
[www.vatican.va].
166
PAolo VI, Allocuzione del Santo Padre in occasione dell’ultima Sessione pubblica del Con-
cilio Vaticano II (martedì, 7 dicembre 1965): “Ma una cosa giova ora notare: il magistero della
chiesa, pur non volendo pronunciarsi con sentenze dogmatiche straordinarie, ha profuso il
suo autorevole insegnamento sopra una quantità di questioni, che oggi impegnano la coscienza
e l’attività dell’uomo; è sceso, per così dire, a dialogo con lui; e, pur sempre conservando la au-
torità e la virtù sue proprie, ha assunto la voce facile ed amica della carità pastorale; ha desi-
derato farsi ascoltare e comprendere da tutti; non si è rivolto soltanto all’intelligenza
speculativa, ma ha cercato di esprimersi anche con lo stile della conversazione oggi ordinaria,
alla quale il ricorso alla esperienza vissuta e l’impiego del sentimento cordiale dànno più at-
traente vivacità e maggiore forza persuasiva: ha parlato all’uomo d’oggi, qual è.”; [www.vati-
can.va].
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 93

la giustificano. nel post-concilio, si è invece spesso pensato che,


dato l’indirizzo pastorale del concilio Vaticano II, lo spazio della
dottrina fosse per ciò stesso da considerarsi marginale. Questa in-
terpretazione è certamente condizionata dalla scelta, sbagliata a pa-
rere di chi scrive, di contrapporre pastorale a dogmatico. Una tale
contrapposizione denota tra l’altro una scarsa comprensione del si-
gnificato stesso del dogma in seno alla Fede cattolica, atteggiamento
mutuato assai più da un certo antidogmatismo tipico del nostro
tempo, che dalla conoscenza effettiva dell’originario senso e fun-
zione del dogma in seno alla cattolicità ed alla sua storia167 . d’altra
parte, questa lettura unilaterale del concilio come concilio pastorale,
nel senso di opposto a dogmatico, quindi anche al modello triden-
tino, presenta una contraddizione di fondo: come allora spiegare
che un concilio pastorale abbia voluto promulgare due costituzioni
dogmatiche, sulla rivelazione e sulla chiesa, concependole come il
perno attorno al quale far ruotare tutti gli altri documenti?

2.2. Modello tridentino e novità di AG


tornando al confronto tra il modello tridentino di decreto ed Ag,
è opportuno ricordare che col decreto De Justificatione si mirò in-
nanzi tutto a descrivere in modo chiaro la dottrina cattolica pun-
tualizzando alcuni specifici punti di Fede minacciati dall’eresia. la
presentazione precisa della dottrina per i punti oggetto di contro-
versia era una priorità168. I canoni, posti dopo, ripropongono o com-
pletano in forma negativa il contenuto dei capitoli169.
Altra è stata la situazione in cui ha preso forma il decreto sul-
l’Attività missionaria della Chiesa, che però rappresenta il primo
promulgato da un concilio sulla missione: Ag offre un’esposizione

167
Per la comprensione del concezione cattolica di dogma restano tuttora utili i saggi di K.
J. BecKer, “zur Bedeutung des Wortes dogma”, in Gregorianum 57 (1976): 307–350; 659–701.
l.F. lAdArIA, “che cos’è un dogma? Il problema del dogma nella teologia attuale”, Problemi e
prospettive di Teologia Dogmatica (Brescia: Queriniana, 1983), 98-119. Vedasi inoltre: c.t.I.,
“l’interpretazione dei dogmi” (1990): [www.vatican.va].
168
recita del resto il proemio del decreto De Justificatione: “sacrosanta oecumenica et ge-
neralis tridentina synodus…exponere intendit omnibus christifidelibus veram sanamque doc-
trina ipsius justificationis […] ne deinceps audeat quisquam aliter credere, pradicare aut
docere, quam praesenti decreto statuitur ac declaratur.”; ds 1520.
169
cfr. A.MIchel, “histoire du concile de trente”, in ch.J.heFele-h.leclerQ, Histoire des
Conciles t . X/I, (Paris: letouzey et Ané 1938), 79: “le décret se présente, après un petit pream-
bule en guise d’introduction, avec seize chapitres, suivis de trente-trois canons. ceux-ci, comme
l’indique expressément le concile, ne font que reprendre ou compléter sous une forme négative
le contenu de ceux-là.”
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94 IlArIA MorAlI

articolata che rispecchia l’intenzione conciliare di una rivisitazione


globale della dottrina e di un aggiornamento della sua esposizione
nel quadro di una nuova ecclesiologia, in risposta alle istanze del
tempo.

tra i due decreti sussiste dunque un’oggettiva diversità di con-


testo e di finalità immediate. sarebbe però improprio ritenere il de-
creto Ag meramente pastorale, per il fatto che la dottrina si
concentra soprattutto nel primo capitolo o perché il concilio non
ha formulato condanne. Per l’indole dogmatica del primo capitolo,
si potrebbe invece coerentemente dire che quella specifica parte del
decreto nel suo contenuto dottrinale non è meno vincolante e nor-
mativa dell’enunciato del decreto tridentino e ciò per due semplici
ragioni:
a) da un lato, il legame tra la costituzione dogmatica Lumen
Gentium ed il decreto: rispetto all’opinione secondo la quale bastava
l’esposizione dottrinale di lg 16-17 sulla missione, prevalse nei
Padri conciliari la convinzione che occorresse nel frattempo raffor-
zare il fondamento dottrinale delle missioni con un’apposita espo-
sizione nel decreto. Pertanto, il primo capitolo si colloca in stretta
relazione con il De Ecclesia costituendo un approfondimento di
quanto enunciato nella costituzione dogmatica.
b) la seconda ragione riposa nell’esplicita volontà dei Padri con-
ciliari di volere che fossero posti in risalto i principi dogmatici a
fronte di tendenze teologiche che destavano inquietudine per le in-
terpretazioni relativizzanti la missione e il suo fondamento dottri-
nale. negare la natura missionaria della chiesa ed il fondamento
divino del dovere di annunciare il Vangelo, porre in dubbio la fina-
lità della conversione a cristo costituiscono opzioni incompatibili
con la Fede della chiesa, indipendentemente dal fatto che la chiesa
d’oggi non ricorra ad anatematismi o a scomuniche nei confronti di
quanti sostengono simili tesi. non è l’assenza di anatemi che rende
una dottrina meno vincolante, né rende meno dannose alla fede
quelle interpretazioni che, senza essere esplicitamente condannate,
se ne discostano.

2.3. Rapporto tra dottrina e pastorale


Il confronto, qui appena accennato, tra la forma tridentina del
decreto e quella proposta dal Vaticano II in Ag, porta anche ad
un’altra considerazione, di natura più generale, sulla traduzione del
rapporto tra dottrina e pastorale nei due concili. Al di là dell’esi-
genza precipua di difendere la Fede contro l’eresia, la chiesa del
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 95

concilio di trento fu anch’essa, né più né meno di quella del Vati-


cano II, animata e spinta da una forte preoccupazione pastorale. sa-
rebbe improprio pensare il contrario. non si deve infatti dimenticare
che dai documenti e dalle determinazioni conciliari tridentine sca-
turì la volontà di intraprendere riforme e cambiamenti strutturali
nella pastorale. ne costituisce riprova la scrittura di un Catechismus
ad parochos170; come già osservava A.Michel, con esso la chiesa tri-
dentina volle lanciare una pubblicazione popolare nelle varie lingue
a servizio dell’insegnamento, pubblicazione che funse da modello
per tutti i catechismi posteriori171. In questo testo si trovano con-
densati e ‘tradotti’, in un linguaggio più adatto alla predicazione,
molti aspetti della dottrina di trento. guardando alla vicenda del
catechismo, si potrebbe perciò dire che, nell’impostazione di trento
la comunicazione pastorale della fede venne elaborata successiva-
mente alla chiarificazione ed esposizione dottrinale, la cui necessità
era prioritaria; nel Vaticano II, ove vi era un’urgenza diversa, più di-
rettamente pastorale, quella di una rivisitazione della Fede per una
sua comunicazione più efficace, i Padri coniugarono insieme con-
temporaneamente istanza dottrinale con quella pastorale. trento,
del resto, ha per modello espressivo la formulazione dogmatica ti-
pica di un Magistero nel suo esercizio dottrinale172; il Vaticano II ha
invece quello della conversazione specifico del Magistero pastorale:
il carattere ‘misto’ del decreto Ag, come pure della costituzione pa-
storale gs costituiscono quindi la traduzione di questo modello
nuovo. È però un dato che la novità di linguaggio e di approccio in
Ag, rispetto allo stile del modello tridentino, conduce inevitabil-
mente alla questione tecnica, qui impossibile da affrontare, dell’in-
terpretazione dei generi letterari dei documenti del concilio
Vaticano per la loro atipicità rispetto ai documenti promulgati dai

170
“Quae cum ita sint, antequam ad esa singillatim tractanda accedamus quibus huius doc-
trinae summa continetur, institutae rei ordo postulat ut pauca quaedam exponantur, quae pas-
tores considerare sibique ante oculos proponere imprimis debent, ut sciant quonam, veluti ad
fidem, omnia eorum consilia, labores, studia referenda sint, quove pacto id quod volunt, faci-
lius consequi et efficere possint.”; Cathechismus Romanus seu Cathechismus ex Decreto Concilii
Tridentini ad parochos Pii Quinti Pont. Max. iussu editus, [editio critica; a cura di I. AdeVA ,
F. doMIngo, r. lAnzettI et M.MerIno], (città del Vaticano – Barañain – Pamplona : libreria editrice
Vaticana – ediciones Universidad de navarra 1989), 9 (9. 95-100)
171
cfr. A.MIchel, “histoire du concile de trente”, in ch.J.heFele-h.leclerQ, Histoire des
Conciles , t . IX deuxième partie, (Paris: letouzey et Ané 1931), 1010.
172
nella costituzione Pastor Aeternus è questa l’accezione di Magistero che viene trattata:
cfr. concIlIUM VAtIcAnUM I, sessio IV (18 Iul.1870) Constitutio Dogmatica I ‘Pastor Aeternus de
Ecclesia Christi”: ds 3050-3075.
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96 IlArIA MorAlI

concili precedenti. tanto l’espressione di magistero pastorale che


quella di concilio pastorale rappresentano un proprium del Vaticano
II: nell’accezione classica il magistero del Papa e del concilio sono
sempre stati intesi in stretto rapporto con la funzione dottrinale e
riguardano soprattutto la sfera del Magistero solenne. Il Vaticano I
non ha approfondito il tema del magistero pastorale, pur parlando
di munus pastorale173. riguardo invece al significato di magistero
pastorale, così come emerge de facto dalle opzioni compiute nel Va-
ticano II, sarebbe tuttavia riduttivo interpretarlo nel quadro della
Regula pastoralis di gregorio Magno, solo come cura animarum174
e amministrazione dei beni della chiesa175. Il suo significato è più
ampio e va rintracciato nella missio docendi omnes gentes et prae-
dicandi omni creaturae attribuito ai vescovi come loro precipuo
compito in lg 24176. In questa linea, a partire da giovanni XXIII, i
Pontefici che si sono succeduti fino ad oggi hanno inteso accentuare
la dimensione pastorale del proprio esercizio: tale missio rispecchia
per altro lo stesso dettato della tradizione177. del resto, il concilio,
che è apice espressivo della comunione episcopale, costituisce la
massima espressione di questa missione che connota il compito del

173
“huic pastorali muneri ut satisfacerent, praedecessores nostri indefessam semper ope-
ram dederunt, ut salutaris christi doctrina apud omnes terrae populos propagaretur, parique
cura vigilarunt, ut, ubi recepta esset, sincera et pura conservaretur.”; concIlIUM VAtIcAnUM I, Pa-
stor Aeternus, cap.4 : ds 3069.
174
“Mentre mi volgo di nuovo a considerare i doveri del pastore, penso con quanta atten-
zione egli debba cercare di essere esemplare nelle azioni, affinché mostri ai sudditi, con la vita,
la via della salvezza, e il gregge, che segue la parola e il costume del pastore, avanzi meglio
per gli esempi che per le parole.”; gregorIo MAgno, “lettera I 24”, in Lettere (roma: città nuova
editrice 1996), 151.
175
“Mentre tornava (= saturnino) da noi dalla campania, è morto per una tempesta. noi di-
sponiamo che tu ne cerchi la moglie e i figli, restituisca loro il ricavato delle cose vendute, ri-
scatti quelle date in pegno, e vi aggiunga ancora qualcosa per il sostentamento, poiché fu
Massimo a mandarlo in sicilia….cerca quindi di conoscere ciò che gli è stato sottratto e resti-
tuiscilo, senza indugi, alla moglie e ai figli. […]. Fa leggere ai contadini in tutte le masse quello
che ho indirizzato per loro, perché sappiano come debbano difendersi, poggiandosi sulla mia
autorità, contro la violenza. […] Vedi di eseguire integralmente ogni disposizione, perché è per
quello che ti ho ordinato per la preservazione della giustizia (pro servanda iustitia).”; gregorIo
MAgno, “lettera I 24”, 211.
176
lg: 24: “episcopi….missionem accipiunt docendi omnes gentes et praedicandi evange-
lium omni creaturae…”.
177
“Apostoli nobis evangelii praedicatores facti sunt a domino Iesu christo”; 1cl 42:1-2
(Bibleworks 6); “Apostoli graece latine missi dicuntur”; BedA VenerABIlIs, “In lucae evangelium
expositio II (vi 13) (Bedae Opera pars II,3 - ccsl cXX – turnholti: Brepols 1960), 132. Il magi-
stero pastorale di gregorio Magno trova un’indiretta codificazione teologica in san tommaso
nel suo Quodlibet III, q. 4 a. 1 ad 3 (Magisterium cathedrae pastoralis).
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 97

Papa e del collegio episcopale: il suo fine pastorale è richiamato


dallo stesso Vaticano II178.
la comparazione dei due decreti non può quindi risolversi sem-
plicisticamente in una contrapposizione tra dogmatico e pastorale:
occorrerebbe invece approfondire teologicamente il rapporto che
oggi sussiste, in questo stile nuovo di linguaggio introdotto col con-
cilio Vaticano II, tra funzione dottrinale di magistero e ciò che co-
munente si definisce magistero pastorale, considerando soprattutto
lo sviluppo che quest’ultimo ha conosciuto nel post-concilio179.

come si può vedere, lo studio del primo capitolo di Ag offre ma-


teria per considerazioni che vanno anche al di là del decreto, tutta-
via indispensabili alla comprensione stessa del documento nelle sue
diverse parti, quindi, ancora una volta del senso profondo della mis-
sione della chiesa.

3. Il De principiis doctrinalibus nel quadro di questioni odierne

le preoccupazioni che indussero i Padri conciliari a rafforzare il


contenuto dottrinale del decreto possono considerarsi definitiva-
mente superate, a quasi cinquant’anni di distanza dalla promulga-
zione di Ag? ci pare utile dedicare quest’ultima parte del nostro
studio alla disamina di questo importante interrogativo.

3.1. Concezioni emergenti ed interpretazione del Concilio


non è qui la sede per un vaglio completo di tutto ciò che si è
scritto in questi decenni sulla nozione conciliare di missione e sui
temi ad esso attigui (la salvezza dei non cristiani, ad esempio)180.

178
decretum de presbyterorum ministerio et vita Presbyterorum ordinis (7 dicembre 1965)
12: “Quapropter haec sacrosancta synodus, ad suos fines pastorales renovationis internae ec-
clesiae, diffusionis evangelii in universo mundo, necnon colloquii cum mundo hodierno attin-
gendos, vehementer hortatur omnes sacerdotes ut, aptis adhibitis mediis ab ecclesia
commendatis, ad illam semper maiorem sanctitatem nitantur, qua evadant in dies aptiora in-
strumenta in servitium totius Populi dei.”; [www.vatican.va].
179
l’urgenza di intraprendere un’adeguata riflessione sull’odierno esercizio della funzione
magisteriale, a fronte dei cambiamenti radicali che sembrerebbero essersi prodotti in questi
anni, è stata posta in evidenza anche recentemente: cfr. g. roUthIer, “Une révolution qui oblige
à repenser l’exercice de la fonction magistérielle”, in Lumen Vitae 59/1 (2014): 21–31.
180
riguardo al tema della salvezza dei non battezzati rimandiamo a quanto da noi scritto
in passato: vedasi ad esempio K.J.BecKer – I.MorAlI, Catholic Engagement with Worldreligions:
A Comprehensive Study, (Faith Meets Faith - new York: orbis Book 2010).
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98 IlArIA MorAlI

non di meno meritano attenzione alcuni recentissimi interventi ap-


parsi in concomitanza alle celebrazioni nel cinquantesimo anniver-
sario dal Vaticano II: la loro lettura offre uno spaccato emblematico
di opinioni e tendenze che vanno affermandosi oggigiorno in mate-
ria di missione e di recezione delle istanze conciliari.

3.1.1. Voci odierne sulla missione


In un articolo apparso poco tempo fa sulla rivista Japan Mission
Journal (l’unica pubblicazione cattolica di lingua inglese in giap-
pone), J.Panadan ha utilizzato alcuni passi conciliari a ‘giustifica-
zione teologica’ della possibilità per un cristiano di una “doppia o
molteplice identità religiosa”181. sempre a proposito del Vaticano II,
questa volta in ambito ispanofono, la rivista Misiones extranjeras ha
dedicato un intero numero alla missio ad gentes: vi si descrive lo
sviluppo avviato dal concilio fino al recente Sinodo sulla nuova
evangelizzazione (2012). del fascicolo ci interessa soprattutto un
sostanzioso contributo di Paolo suess pubblicato nella sezione de-
dicata agli ‘studi’ ed incentrato sull’apporto del concilio182.
l’autore sottolinea la svolta prodottasi nel modo di concepire la
missione, tema che egli ritiene centrale nel quadro della trasforma-
zione del rapporto chiesa-mondo. egli compie così una serie di af-
fermazioni molto peculiari: a) soprattutto sulla base di lg 16 e
nostra Aetate 2 (= nA), egli sostiene che il Vaticano II avrebbe aperto
al “riconoscimento salvifico delle religioni non cristiane” e che la di-
stinzione tra battezzati e non battezzati non consisterebbe più nel
possesso della salvezza183; b) nel concilio si sarebbe perciò prodotto

181
cfr. J.PAnAdAn, “the Phenomenon of double/Multiple religious Identities: A Missiological
Problem or Prospect?”, in The Japan Mission Journal 67/4 (2013): 231-241 (vedere in particolare
pagina 237).
182
cfr. P. sUess, “Para una Iglesia versus populum: Memoria y Proyecto. la propuesta mi-
sionera del Vaticano II revisada en el cincuentenario de su apertura”, in Misiones extranjeras,
257 (2013): 607-633. suess, di origine tedesca, risiede in Brasile è in passato ha rivestito la ca-
rica di presidente dell’Asociación Internacional de Misionología (IAMs)
183
sUess, “Para una Iglesia versus populum”, 618: “ la humanidad entera, fieles bautizados
y auténticos seguitores de otras religiones y visiones del mundo, pueden conseguir la salvación
eterna’, Para todos, la salvación no es un derecho ni un privilegio. será siempre gracia de dios.
toda la humanidad está en una caminata de ‘préparación evangélica’ (lg 16) a servicio de la
unidad para que sea históricamente construida. lo que distingue a los bautizados de los no
bautizados no es la ‘posesion de la salvación, sino el imperativo de la misión”; 626: “el plan de
la salvación abarca también a aquellos que reconocen al creador”, muchas veces, en religiones
no cristianas que ‘reflejan fulgores de aquella Verdad quei lumina a todos los hombres” (nA2b).
de nadie que busca ‘ al dios desconocido en sombras e imágenes, dios está lejos” (lg 16a).
esa afirmación significa un reconocimiento salvífico de las religiones no cristianas”.
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 99

un passaggio “dal monologo salvifico al dialogo interreligioso”. Af-


ferma perciò suess che, a fronte di un modello tradizionale di mis-
sione (vengono citati Francesco saverio e Antonio Vieira) motivato
dalla convinzione che “il mondo dell’altro, del non cattolico, è un
mondo senza grazia”, approccio - egli spiega - ispirato dalla bolla
Cantate Domino (1442), il Vaticano II, con lg 16 e gs 22, avrebbe
invece introdotto dei “cambi sostanziali” (cambios sustanciales)184.
sempre secondo l’autore, una tale svolta avrebbe prodotto varie
conseguenze anche per l’interpretazione stessa del concetto di mis-
sione: non più una “missio ad gentes” bensì “inter gentes”, para-
digma che corrisponderebbe “allo spirito del Vaticano II”: una
missione che “rompe il monopolio di una chiesa che invia missio-
nari a una chiesa che li riceve”. Queste ultime affermazioni sono
accompagnate da un esplicito riferimento alle posizioni di un autore
asiatico, Jonathan tan: suess ne sposa convintamente le tesi colle-
gando l’emersione di questo nuovo modello di missione al “contesto
del pluralismo religioso in Asia…contesto di dialogo con le religioni,
le culture e i poveri”. Pertanto, suess concorda con tan nell’affer-
mare che “la teologia della missione della FABc può definirsi teolo-
gia della missione inter gentes”185.

Proprio di recente, lo stesso J.Y.tan, l’autore citato da suess, si è


pronunciato sulla recezione di Ag con un articolo apparso sulla ri-
vista teologica indiana Vidyajyoti186. In esso egli ha sostenuto che la
“teologia della missione” del decreto rispecchierebbe la visione ti-
pica del missionario europeo: portare cristo ai non battezzati e
piantare la chiesa in mezzo ai popoli187. In luogo di questa conce-
zione, ‘troppo occidentale’, tan ritiene si debba assumere quella che
egli riconduce alla Federation of Asian Bishop’s Conferences (FABc):

184
cfr. sUess, “Para una Iglesia versus populum”, 625-626.
185
sUess, “Para una Iglesia versus populum”, 627: “la misión ‘ad gentes’, en su sentido tra-
dicional, hoy, de hecho, es ‘misión inter gentes’, entre Iglesias locales y comunidades. el para-
digma de la ‘misión surgió en el contexto del pluralismo religioso de Asia, donde vive más del
60% de la humanidad. es un contexto de diálogo con las religiones, las culturas y lo pobres. la
teólogia de la misión de la FABc puede sintetizarse como teólogia de la misión inter-gentes”.
186
cfr. J.Y.tAn, “From Ad gentes to Active Integral evangelization”, in Vidyajyoti Journal
of Theological Reflection 77 (2013): (I), 506-521; (II), 692-710.
187
tAn, “From Ad gentes to Active Integral evangelization”, (II), 706-707: “…the council Fa-
thers focused on the why, what and for whom of mission, trying to justify the need for mission,
the contents of mission, and the outcome of mission. this is not surprising, as Ad gentes seeks
to articulate a mission theology from the perspective of the missionaries from europe seeking
to bring christ to the unbaptized (Ag 8) and ‘planting of the church among those people and
groups where she has not yet taken root’ (Ag 6)”.
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100 IlArIA MorAlI

secondo tan, la FABc, pur condividendo col concilio la necessità


dell’impegno missionario, avrebbe infatti concepito un modello al-
ternativo a quello rappresentato dalla “conquista dell’Asia post-co-
loniale” e dalla “costruzione trionfalistica del cristianesimo sul
suolo d’Asia”188. In altri termini: tan pensa che il testo conciliare sia
il prodotto di una concezione ‘coloniale’ di missione, quindi di
stampo tipicamente occidentale, e che oggi invece sia necessario as-
sumere il modello proposto negli scritti della FABc. Il suo studio
verte inoltre a dimostrare che la FABc avrebbe superato il concilio
portando però “a logica conclusione” alcune sue affermazioni in
tema di presenza e azione del Verbo e dello spirito nelle altre reli-
gioni189. tan rimprovera tra l’altro al Vaticano II una mancata com-
prensione della specificità della missione in Asia: pur non negando
l’importanza della proclamazione del Vangelo, egli ritiene che “per
essere veramente asiatici e a casa propria nel contesto asiatico, i cri-
stiani d’Asia siano chiamati alla sfida (challenged) di abbracciare la
diversità religiosa e la pluralità dell’Asia post-coloniale…”190. se-
condo l’autore, il modello di “evangelizzazione attiva integrale” ri-
specchierebbe perciò l’attuazione pratica delle opzioni operate dalla
FABc a livello teologico: tale modello risponderebbe appieno al con-
testo e allo stile dei cristiani d’Asia. nell’articolo si rimanda ad altri
studiosi sostenitori di queste medesime posizioni191.

A proposito di nuove concezioni di missione, anni prima, nel


2008, sempre la rivista indiana Vidyajyoti, aveva ospitato un saggio
di r.lazar, autore che proponeva la ‘mutua evangelizzazione’, come
modello alternativo a quello tradizionale. Il cristiano in Asia non

188
tAn, “From Ad gentes to Active Integral evangelization, (II), 707: “In practical terms,
while the Asian catholic Bishops accept the necessity of the task of mission in the Asian milieu,
they also realize that this does not mean that they are called to conquer the postcolonial Asian
world in the name of a triumphant christ, or build a triumphalistic christendom on Asian soil.”
189
tAn, “From Ad gentes to Active Integral evangelization, (II), 695: “…the FABc has ex-
tended Vatican’s cautious statements in gs 22 and Ag 4…[…]. In other words, the FABc has
taken the proposition that is made both in gs 22 and Ag 4 to its logical conclusion when it
perceives the religious traditions of Asia as ‘expressions of the presence of god’s Word and of
the universal action of his spirit in them’…”.
190
tAn, “From Ad gentes to Active Integral evangelization”, (II), 710: “In the final analysis,
to be truly Asian and at home in the Asian milieu, Asian christians are challenged to embrace
the religious diversity and plurality of postcolonial Asia, while at the same time prophetically
challenging and purifying its oppressive and life-denying elements in the name of christian
gospel”.
191
si trovano citati tra gli altri personalità notorie come M. Amaladoss, ed. chia, F. Wilfred,
P.J. Phan.
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 101

potrebbe avanzare alcuna pretesa di verità rispetto a dio, poiché in-


tolleranza ed esclusivismo sono inconciliabili con la vocazione della
chiesa in Asia in un contesto religioso pluralista192. secondo l’au-
tore, la missione di un cristiano asiatico dovrebbe quindi consistere
in un mutuo scambio con i membri di altre religioni, per camminare
insieme, ciascuno per la sua via, verso la meta del divino concepito
secondo la propria rispettiva rappresentazione religiosa. Il dialogo
con i membri di altre religioni è dunque tanto più necessario affin-
ché il cristiano possa ricevere luci ed ulteriori verità dai suoi inter-
locutori ed esser da costoro ‘evangelizzato’193. Vi è da ricordare che
in un saggio dall’identico titolo incluso in un’opera collettiva dedi-
cata al concilio Vaticano II, due anni prima lo stesso autore si era
per altro pronunciato con una propria esegesi dell’insegnamento
conciliare: citando in inglese nA 2 a corollario della propria opi-
nione, lazar allora asseriva che il concilio aveva riconosciuto “che
le differenti religioni sono raggi della verità che illumina ogni
uomo”: in questo modo – a suo dire – il Vaticano II avrebbe abban-
donato la pretesa di assolutezza in passato difesa dalla cristia-
nità194.

Per quanto limitato e circoscritto, lo spettro di opinioni qui rie-


vocate è sufficientemente emblematico di un possibile modo di par-
lare oggi di missione e di interpretare contestualmente il dettato
conciliare. d’altra parte, non è da sottovalutare il fatto che queste
posizioni siano espresse in seno a riviste cattoliche specializzate.
non si tratta cioè di proposte isolate, di fogli parrocchiali o dioce-
sani, ma di organi preposti alla pubblicazione di contributi scienti-
fici: il fatto che con facilità questo genere di interpretazioni trovino
ampio spazio in tali riviste costituisce un ulteriore punto su cui, a
nostro avviso, vale la pena di riflettere.

192
cfr. r. lAzAr, “global Arena of Inter-religious dialogue”, in Vidyajyoti Journal of Theo-
logical Reflection 72/ 2 (2008): 131-149.
193
r. lAzAr, “global Arena of Inter-religious dialogue”, 143: “A dire need of the hour is not
to consider other religions as a threat but to recognize them as partners in a ‘mutual evange-
lisation’ with the same goal but (maybe) with different means to arrive at the sublime union
with the Almighty, which is the ultimate goal of any and every religion.” (testo completo dell’ar-
ticolo:131-149).
194
cfr. r. lAzAr, “global Arena of Inter-religious dialogue”, Glaube in der Welt von heute.
Theologie und Kirche nach dem Zweiten Vatikanischen Konzil, Bd 2. Diskursfelder (Würzburg:
echter Verlag 2006), 322 : “christianity has come a long way form clinging to absolutistic claims
to the readiness to acknoledge that ‘different religions are rays of truth that illuminate all men’
(nostra Aetate 2).” (testo completo dell’articolo: 319-338).
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102 IlArIA MorAlI

3.1.2. Il Concilio sotto la penna di questi autori


comune denominatore di questi articoli, appena menzionati, è il
tema della missione ed il ricorso al concilio. I testi conciliari ven-
gono utilizzati con svariate finalità, tutte comunque funzionali alla
tesi difesa dai singoli autori: in positivo, la giustificazione di una
tendenza sociale (la doppia appartenenza), la prova di una svolta
dottrinale (l’avvenuto riconoscimento del valore salvifico delle reli-
gioni o dei cosiddetti semina Verbi); in negativo l’attestazione evi-
dente di una visione conciliare arretrata di missione, tipicamente
europea e occidentale. Alla supposta arretratezza del pensiero con-
ciliare, alcuni di questi autori tendono a contrapporre la modernità
di una determinata chiesa locale, la sua capacità di portare a com-
pimento o di superare il concilio sviluppando alcune sue intuizioni
rimaste latenti nei documenti, la sua vitalità concependo un modello
di evangelizzazione alternativo a quello della missio ad gentes, pro-
posto dal concilio con Ag. rispetto a questo modo di utilizzare il
concilio, ci permettiamo alcuni rilievi:
a) Dal punto di vista metodologico: si può osservare come l’uso dei
testi del concilio da parte di questi autori sia caratterizzato da errori,
pur nella variabilità di argomenti e motivazioni che ciascuno adduce:
N essi ricorrono a singole espressioni, dall’uno o l’altro testo con-
ciliare, estrapolandole dal contesto della pagina e dello stesso
documento di riferimento;
N essi tendono a sottovalutare la differenza di genere letterario
tra i documenti conciliari: ponendo in primo piano nA 2, nu-
mero di una dichiarazione non dogmatica, o quello di gs 22,
di una costituzione pastorale, e per contro omettendo o mini-
mizzando, reinterpretando a modo proprio il primo capitolo
di Ag, e lg 16-17. È con questa modalità che suess, ad esem-
pio, sostiene che lg 16 tratta delle religioni: in realtà, questo
numero tratta de non christianis e della loro salus – come recita
l’originale latino - vale a dire di persone, non di religioni (mai
menzionate nel testo), ivi compresi i non credenti195;

195
Il riferimento biblico di At 17 è da leggersi nel quadro dell’effettiva intenzionalità dei
Padri conciliari, che era quella di parlare della possibilità della salvezza dei non cristiani, non
del valore delle loro religioni; nella sua disamina l’autore poi omette inspiegabilmente di citare
Ag 3, dove i Padri conciliari proprio al fine di evitare interpretazioni inappropriate di lg 16,
hanno fornito un insegnamento netto e chiaro sugli ‘incepta religiosa’. si badi bene, neppure
qui il concilio intese parlare di religioni, bensì di iniziative religiose, fatto questo che rende
estremamente prudente l’affermazione conciliare di Ag 3. estrapolando dal contesto il riferi-
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 103

N essi considerano la dottrina conciliare alla stregua di un’opi-


nione o tesi teologica, giustapponibile ad altre, a volte conte-
stabile e accantonabile;
N essi spesso esibiscono traduzioni erronee o forzate dei testi
conciliari il cui significato risulta gravemente deformato, quasi
sempre a favore della tesi che l’autore intende sostenere con
tale citazione. costituisce un caso emblematico la citazione che
roy lazar compie nel suo contributo del 2006 di nA 2, la cui
traduzione è totalmente erronea196;
N essi sembrano non aver mai valutato l’opportunità di verificare
la propria interpretazione del concilio in rapporto alle moti-
vazioni che sono chiaramente enucleabili dalla lettura degli
Atti del concilio. Pertanto, sembrerebbe che essi leggano ed in-
terpretino il concilio in base a degli apriori personali, non og-
gettivi.

b) Dal punto di vista della della storia redazionale dei documenti,


gli autori parrebbero non conoscerla o averne trascurato l’impor-
tanza. In questo modo però essi sottovalutano degli elementi fon-
damentali per la comprensione dei documenti conciliari:
N il legame che il concilio ha voluto sussistesse tra i testi che trat-
tano di missione e quelli che parlano degli uomini non ancora
raggiunti dal Vangelo; queste pagine (Ag I, lg 16-17, nA 2,

mento indiretto al pensiero giovanneo contenuto in nA 2b, suess inspiegabilmente non si ac-
corge che il raggio riflesso della Verità che illumina ogni uomo, di cui il concilio parla effetti-
vamente, non si riferisce alle religioni come tali, ma a “quae in his religionibus vera et sancta
sunt”: se si studiano gli Atti conciliari, è ancora più chiaro che tale frase non va recepita come
un riconoscimento tout-court del valore salvifico delle religioni, bensì come una conferma di
quanto già detto in lg 17 a proposito del “quidquid boni in corde menteque hominum vel in
propriis ritibus et culturis populorum seminatum” rispetto al quale la chiesa ha il compito di
operare per la sua purificazione ed elevazione. suess infine sottovaluta che il testo di nA2b si
conclude proprio con una delle affermazioni più risolute, da parte del concilio, circa il dovere
per la chiesa dell’annuncio missionario: “[ecclesia] Annuntiat vero et annuntiare tenetur inde-
sinenter christum, qui est “via et veritas et vita” (Io 14,6), in quo homines plenitudinem vitae
religiosae inveniunt, in quo deus omnia sibi reconciliavit.”
196
secondo lazar, nA 2 conterrebbe l’affermazione ‘different religions are rays of truth
that illuminate all men’ (nostra Aetate 2) (lAzAr, “global Arena of Inter-religious dialogue”,
Glaube in der Welt von heute, 322). la traduzione ufficiale del testo fedele dall’originale latino
non parla affatto di religioni e tanto meno contiene una totale identificazione tra religioni non
cristiane e raggi di luce: “ the catholic church rejects nothing that is true and holy in these re-
ligions. she regards with sincere reverence those ways of conduct and of life, those precepts
and teachings which, though differing in many aspects from the ones she holds and sets forth,
nonetheless often reflect a ray of that truth which enlightens all men.”; [www.vatican.va].
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104 IlArIA MorAlI

gs 22), per storia redazionale e contenuto, sono così intercon-


nesse, in rapporto al discernimento conciliare, da dover esser
considerate e lette come un insegnamento unitario;
N il sostrato di discussioni e di motivazioni che hanno condotto
a tale unità ed interconnessione, come pure a determinate for-
mulazioni;
N il nesso tra dettato conciliare e le fonti richiamate in nota, fonti
che illustrano la consistenza del fondamento dottrinale di ta-
lune affermazioni e la continuità esistente nella tradizione.

c) Dal punto di vista dei criteri che ispirano le argomentazioni si


possono inoltre rilevare alcuni atteggiamenti apriori:
N l’enfasi che questi autori ripongono sul contesto di apparte-
nenza, quasi assurto a principio, norma e criterio di valuta-
zione, anche del valore o non valore di un asserto conciliare;
per contro essi sembrano assai meno inclini a considerare
come riferimento primario per la propria argomentazione teo-
logica i dati enucleabili da scrittura, tradizione e Magistero197;
N il pluralismo religioso costituisce il criterio principe a giustifi-
cazione della propria tesi teologica come della relativizzazione
della dottrina conciliare della praeparatio evangelica198.

197
se si confrontasse questo modus procedendi con quello adottato da ratzinger teologo
nella composizione delle proprie Considerationes, non si potrebbe fare a meno di notare il con-
trasto stridente nel tipo di argomentazione come di conclusione a cui ciascun teologo perviene.
Quando ratzinger scriveva “religio pagana moritur in fide christiana… , precisando la possi-
bilità, da parte della chiesa, di un’“assumptio valorum humanorum”, in virtù dell’“assumptio
hominis realizzatasi nell’incarnazione” non basava la propria asserzione sul contesto o su per-
sonali apriori, ma sul dato rivelato e sulla tradizione cristiana investigati con un rigoroso me-
todo teologico; (rAtzInger, “considerationes quoad fundamentum theologicum missionis
ecclesiae”, 32); mentre ratzinger esprimeva quindi una valutazione teologica come frutto di
un’indagine oggettiva ed approfondita, senza nulla togliere al rispetto che si deve per le altre
tradizioni religiose, nei contributi presi in esame il rispetto per le tradizioni è l’unico criterio,
per altro soggettivamente assunto per negare la necessità dell’annuncio missionario in Asia.
In tali autori non vi è infatti quasi alcuna traccia di un’indagine su scrittura tradizione e Ma-
gistero.
198
lg 17: “… opera autem sua [= Ecclesiae] efficit ut quidquid boni in corde menteque ho-
minum vel in propriis ritibus et culturis populorum seminatum invenitur, non tantum non pe-
reat, sed sanetur, elevetur et consummetur ad gloriam dei, confusionem daemonis et
beatitudinem hominis..”; Ag 3: “hoc universale dei propositum pro salute generis humani per-
ficitur non solum modo quasi secreto in mente hominum vel per incepta, etiam religiosa, qui-
bus ipsi multipliciter deum quaerunt, «si forte attrectent eum aut inveniant quamvis non longe
sit ab unoquoque nostrum» (Act. 17,27): haec enim incepta indigent illuminari et sanari, etsi,
ex benigno consilio providentis dei, aliquando pro paedagogia ad deum verum vel praepara-
tione evangelica possint haberi”; [www.vatican.va].
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 105

tali osservazioni sollevano il problema della recezione della dot-


trina conciliare espressa nel primo capitolo del decreto: in gene-
rale, il tempo medio di assimilazione di un concilio è ben maggiore
dei soli cinquant’anni che si frappongono tra noi ed il Vaticano II,
come ci insegna la storia di altri concili e dell’attuazione delle loro
disposizioni in seno alla chiesa. Viene però anche da chiedersi se,
nei casi esaminati, purtroppo non rari, si possa parlare anche solo
di una recezione iniziale, dunque in fieri. si sarebbe portati a rite-
nere che, in materia di rapporto chiesa-religioni e di dialogo inter-
religioso, come pure di missione in taluni settori della teologia, un
processo di recezione non sia mai neppure iniziato. Il fatto che tali
opinioni trovino ampio spazio su riviste specializzate di indirizzo
teologico e missiologico prova non trattarsi di casi isolati. Il seguito
di cui tali tesi sembrano godere suscita un solo interrogativo, rias-
suntivo di tutte le questioni che si potrebbero avanzare: qual è
l’obiettivo di una teologia che procede ormai sempre meno preoc-
cupandosi di rapportarsi alle fonti primarie della Fede e al metodo
specifico della teologia cattolica e sempre più sulla base del solo
apriori del pluralismo religioso? Il fatto che, a cinquant’anni dal
concilio, il decreto conciliare nella sua parte dottrinale sia per al-
cuni ininfluente dovrebbe indurre ad una seria revisione dello stato
di effettiva maturazione della teologia della missione in seno a
quegli ambienti teologici ed ecclesiali più esposti proprio alla sfida
dell’annuncio evangelico. dalla lettura di queste tesi, di fatto di-
struttive verso la dottrina della missio ad gentes, l’impressione che
si trae è soprattutto quella di una triste rinuncia alla sfida ed alla
fatica dell’annuncio della Fede a favore di percorsi tutto sommato
meno onerosi.

3.2. I destini incerti della Missiologia


3.2.1 Cosa è la Missiologia?
le riflessioni che abbiamo dedicato al problema della recezione
della parte dottrinale del documento conducono inevitabilmente a
riflettere sulla cosiddetta ‘scienza della missione’: la Missiologia.
non è certamente qui il momento di intraprendere in proposito
un’analisi approfondita della situazione, ma è pur sempre possibile
spendere qualche riflessione sulle difficoltà esistenti attorno alla
disciplina, difficoltà speculari al quadro delle opinioni poc’anzi de-
lineate in seno al mondo cattolico, difficoltà peraltro anche molto
trasversali perché l’ambito cattolico sembra accomunato all’ambito
non cattolico dalla stessa crisi. recentemente, infatti, sulle colonne
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 106

106 IlArIA MorAlI

di una rivista non cattolica di missiologia, è comparso l’interroga-


tivo “What is Missiology?” accompagnato da una secondo interro-
gativo, se essa detenga lo status di disciplina teologica199. l’autore
dell’intervento, ross langmead risponde affermativamente, dando
una spiegazione che suona utile anche per un cattolico e che si po-
trebbe riassumere in tre punti: a) di per sé tutto della teologia è mis-
siologico, poiché non vi è riflessione teologica che non abbia
relazione con l’urgenza di render intellegibile la fede per procla-
marla; b) è una disciplina teologica e non semplicemente un aspetto
della teologia pratica, perché essa ha a che fare con la missio Dei; c)
la Missiologia espleta quindi una funzione necessaria in ambito teo-
logico, perché ad essa spetta il compito di porre questioni alle di-
verse specializzazioni della teologia affinché mantengano
l’attenzione sul mondo e sui suoi profondi bisogni200. l’importanza
di queste ragioni non ha però impedito che la Missiologia andasse
occupando un ruolo sempre più marginale, al punto che la stessa
American Society of Missiology si è di recente interrogata sul suo fu-
turo201. tra i non cattolici il problema della marginalità di questa di-
sciplina e del suo futuro si pone da tempo e vi è chi aspira
coraggiosamente ad un suo recupero curandone anche una più de-
cisa inserzione nella formazione accademica202. langmead segnala
che in America “molte istituzioni teologiche hanno tentato di nuo-
tare controcorrente” impegnandosi ad una revisione dei curricula
onde favorire l’integrazione della Missiologia ed un rinnovato im-
pulso al suo studio203.

3.2.2. Teologie secolarizzate e riduzioni ‘pastoraliste’: conse-


guenze per la missiologia
In ambito cattolico, guardando al post-concilio, colzani ha la-
mentato la breve durata dell’ecclesiologia missionaria di impronta
conciliare segnalando per contro il prevalere della tendenza a “de-
scrivere lo scopo della missione in termini decisamente secolari”204.

199
cfr. r. lAngMeAd, “What is Missiology?”, in Missiology. An International Review 42/1
(2014): 67-79.
200
cfr. lAngMeAd, “What is Missiology?”, 69-71.
201
cfr. “group discussion conclusion on the future of the discipline of missiology: annual
meeting of the American society of Missiology”, in Missiology. An International Review 42/1
(2014): 80-86; s.nUssBAUM, “A future for missiology as the queen of theology?”, 57-66.
202
cfr. J.-F. zorn, La missiologie: émergence d’une discipline théologique (Fribourg: labor et
Fides 2004).
203
cfr. lAngMeAd, “What is Missiology?”, 73.
204
cfr. colzAnI, Missiologia contemporanea, 329.
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i PRiNCiPi DOTTRiNaLi DEL DECRETO Ad GenTes 107

il suo giudizio è più che giustificato anche solo considerando le po-


sizioni che sono sostenute nella cosiddetta ‘Teologia post-coloniale’,
alla quale la rivista Concilium ha dedicato di recente un forum teo-
logico chiamando a raccolta diversi autori, provenienti dai vari con-
tinenti205. Si parla anche di una ‘missiologia post-coloniale’ i cui
esponenti “esplorano il modo in cui i cristiani possono vivere e pra-
ticare la loro fede senza colonizzazione altrui”206. Come si può no-
tare, in questa descrizione la parola missione è omessa: come è facile
intuire, essa è stata implicitamente assimilata alla ‘colonizzazione’.
in questo medesimo numero della rivista interviene anche P. Suess
che ritorna con convinzione sulla tesi del superamento del mono-
polio salvifico della chiesa207. Molti altri interventi compresi nel fa-
scicolo si situano nella medesima direzione di una critica radicale
dell’agire missionario della Chiesa nel passato, agire letto nel solo
quadro di due categorie chiave negative: colonialismo e imperiali-
smo. Non stupisce che nei contributi che compongono questo nu-
mero, il Concilio Vaticano ii e tanto più il Decreto ag siano trattati
alla stregua di un convitato di pietra, ovvero completamente igno-
rati. Compito della teologia post-coloniale sembra essere soprat-
tutto una sistematica quanto capillare destrutturazione o
decostruzione della dottrina della Fede, come della Tradizione ivi
sottesa, nonché della storia, anche missionaria, della Cristianità. Mo-
tore di questa tendenza è l’aprioristico rigetto di tutto ciò che viene
dall’Occidente e dall’Europa, rigetto che vede solidali teologi d’asia
e di america Latina. Questo sodalizio non è casuale, come ha argu-
tamente osservato di recente un autore208. Le tesi della vecchia Teo-
logia latino americana della Liberazione hanno trovato un nuovo
terreno fertile nelle posizioni della teologia pluralista, come ci ri-
corda l’espressione knitteriana di una Teologia della liberazione
delle religioni esplicitantesi – ci si perdoni il gioco di parole - in una
liberazione della stessa Teologia delle religioni209. Vi è poi da osser-

205
Cfr. “Teologia post-coloniale”, in Concilium 49/2 (2013). Ne sono curatori: Hille Haker,
Luis Carlos Susin, Eloi Messi Metogo.
206
J.DuggaN, “Dissonanza epistemologica. Decolonizzare il ‘canone’ teologico postcolo-
niale”, in Concilium 49/2 (2013): 24 (testo completo: 19-28).
207
Cfr. P.SuESS, “Prolegomeni su decolonizzazione e colonialità della teologia nella Chiesa.
Partendo da un sentire latinoamericano”, in Concilium 49/2 (2013): 94-105.
208
S. SHui-MaN KwaN, Postcolonial Resistence and Asian Theology, (abigdon Oxon- Routledge
2014), 2: “Therefore, both the Latin american liberation Theology and the asian theological
mouvement display repugnance toward the west and its theologies.”
209
Cfr. P.F.KNiTTER, “Toward a Liberation of Theology of Religion”, in iDEM and J.HiCK, The
Mith of Christian Uniqueness. Toward a Pluralistic Theology of Religions, (Maryknoll: Orbis Book
1980), 178-218; Knitter è stato tra i primi esponenti di questa tendenza.
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108 IlArIA MorAlI

vare che, nella lettura di questi come di altri contributi, il confine


tra ambito cattolico ed ambito non cattolico è labile, tanto che si
potrebbe parlare di vasi comunicanti210. concorrono alla formazione
della teologia post-coloniale fattori sorprendentemente molto di-
versi, per provenienza e matrice, come la Feminist Theology e i Gen-
der Studies: la lotta alla discriminazione ed all’oppressione è
l’elemento catalizzatore delle più varie rivendicazioni, il loro col-
lante211.
la cosiddetta “decolonizzazione epistemologica della teologia”
che dovrebbe condurre ad una “nuova teologia”, per ammissione di
e. dussel, ha come proprie fonti ispiratrici il marxismo, la psicana-
lisi e molto altro ancora212. “sarà necessario rifare tutta la teologia”,
precisa l’autore messicano, per giungere ad una “trans-teologia”,
che sfugga alle categorie della “cristianità coloniale”213.

l’inserzione dell’aggettivo ‘post-coloniale’ a determinazione di


questa ‘teologia’ già di per sé prova l’adozione di criteri di valuta-
zione alieni all’ambito del linguaggio propriamente di Fede: catego-
rie e lemmi che denotano una familiarità assai più stringente con
tesi di natura sociologica e filosofica, che teologica. la teologia
post-coloniale è però solo una forma, tra le molte, che vanno sor-
gendo in connessione al processo di mitizzazione dell’Otherness:
mitizzazione che va di pari passi con l’ipostatizzazione della diver-
sità delle culture e delle religioni. si tratta di un tessuto variegato di
teorie che vanno dalla Comparative Theology, che rispetto alla
stessa teologia delle religioni costituisce una proposta più avanzata
e più radicale214, all’Interkulturelle Theologie, che già da tempo in

210
Vedi anche J. dAggers, Postcolonial Theology of Religions: Particularity and Pluralism in
World Christianity (new York: routledge 2013).
211
n. KAng, “Fare teologia tra postcolonialismo e femminismo”, in Concilium 49/2 (2013):
82 (testo completo: 43-54): “Viviamo in un mondo in cui il centro/il colonizzatore/l’oppressore
è spesso invisibile e dissimulato. Utilizzare le trattazioni post-colonialiste e femministe ci aiuta
a prendere coscienza dei molteplici assi di colonizzazione e di oppressione. Postcolonialismo
e femminismo focalizzano inoltre l’asse geopolitico sulla ipersensibilità non solo verso l’etno-
centrismo e il geocentrismo, ma anche nei confronti dell’androcentrismo e dell’eterocentrismo,
in politica, in economia, nelle culture, nei discorsi e nelle pratiche teologico-religiose.” cfr.
anche PUI-lAn KWoK, Postcolonial Imagination and Feminist Theology (Westminster John Knox
Press 2005). Pui-lan Kwok insegna alla episcopal divinity school e le sue tesi trovano grande
seguito.
212
cfr. e. dUssel, “decolonizzazione epistemologica della teologia”, in Concilium 49/2
(2013): 41 (testo completo: 29-42).
213
dUssel, “decolonizzazione epistemologica della teologia”, 42.
214
cfr. F. X. clooneY, The new Comparative Theology Interreligious Insights from the next
Generation (london; new York: t & t clark 2010).
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 109

ambito protestante si è suggerito di considerare come il nuovo


nome della missiologia215. tra l’altro, il fatto che a questi nuovi ap-
procci aderiscano entusiasticamente anche teologi cattolici fa sì che
la visione di missiologia così teorizzata in ambito non cattolico
venga de facto assunta anche in ambienti cattolici216. lo sviluppo di
tali modelli è tuttavia in continuo movimento e trasformazione, te-
stimoniati dalla varietà di denominazioni e declinazioni del termine
‘teologia’, specie in tema di religioni e culture: è il caso della Inter-
religious Theology, promossa dall’Ecumenical Association of Third
World Theologians di cui fanno parte anche esponenti cattolici217; o
della Postcolonial Theology of Religions218. l’inesistenza di un con-
fine tra ambito protestante ed ambito cattolico è abbastanza para-
dossale: mentre infatti si insiste sull’assoluta differenza delle
religioni e delle culture, non si dà alcuna importanza al fatto che,
anche solo nel metodo, teologia cattolica e teologia protestante
non sono sovrapponibili. la facilità con cui si realizza questa con-
vergenza è forse dovuta proprio al fatto che comune denominatore
di queste posizioni sono principi e motivazioni di natura sociologica
e filosofica: l’esaltazione di categorie ‘secolari’ come cultura, glo-
balizzazione, pluralismo… esse costituiscono il motivo per dialo-
gare. In tali approcci avviene una sorta di ipostatizzazione
dell’Otherness, assurto a criterio regolatore valutante la plausibilità
o meno degli asserti di Fede. Una teologia ormai quindi solo de no-
mine, che ruota attorno ai temi dell’immanenza, un modello seco-
laristico di teologia. la scelta di un linguaggio alternativo ai lemmi
ed ai principi fondamentali della Fede o una loro funzionalizzazione
ad una visione secolarizzata della prassi ecclesiale produce diso-

215
A proporlo in una dichiarazione del 21 settembre 2005 la Deutsche Gesellschaft für Mis-
sionswissenschaft: cfr. Missionswissenschaft als Interkulturelle Theologie und ihr Verhältnis zur
Religionswissenschaft [www. http://www.dgmw.org/Missionswissenschaft.pdf]; cfr. W. J. hol-
lenWeger, Interkulturelle Theologie (München: Kaiser 1988).
216
cfr. n. hIntersteIner, “god in translation : crosscultural and Interreligious theologies”,
Thinking the Divine in Interreligious Encounter, n. hIntersteIner (ed.) in collaboration with F.
BUsQUet (Amsterdam – new York: rodopi 2012), 17-23.
217
cfr. J. M. VIgIl, l. toMItA, M. BArros (eds.), Along the many Paths of God, (Berlin – Münster
– Wien – zürich – london: lIt 2010); Ecumenical Association of Third World Theologians (EAT-
WOT) [vedi anche I documenti della commissione teologica di questo organismo: www.
http://internationaltheologicalcommission.org]. P. schMIdt leUKel, “Intercultural theology as
Interreligious theology”, in W. WeIsse et Al., Religions and Dialogue: International Approaches
(Münster: Waxmann Verlag 2014), 105 (testo completo: 101-112).
218
cfr. J. dAggers, Postcolonial Theology of Religions: Particularity and Pluralism in World
Christianity (routledge 2013).
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 110

110 IlArIA MorAlI

rientamento in quantità direttamente proporzionale alla distanza


che si è posta tra teologia e Fede219.
Questo intreccio di idee e tendenze e l’inquietante processo di
secolarizzazione e destrutturazione della teologia che esse testimo-
niano si ripercuotono sulla Missiologia che, privata del riferimento
dottrinale sostanziale, ossia del principio della missio Dei e della
missio Ecclesiae, diviene descrizione di una prassi puramente seco-
lare, scienza che giustifica una ‘non missione’.

A provocare la crisi della Missiologia non vi sono tuttavia solo


queste tendenze di carattere speculativo ed ideologico, ma anche
ragioni molto plateali, come il fatto che in ambito cattolico essa sia
stata interpretata unicamente come disciplina pratica. Questa limi-
tazione è forse anche effetto di un’interpretazione in senso ‘pasto-
ralista’ sia della missione come tale, che del decreto conciliare e del
concilio in generale: anche in forza del fatto che i Papi hanno sot-
tolineato l’indole pastorale del concilio, si è giunti un po’ troppo
sbrigativamente alla conclusione che Ag fosse l’equivalente di
un’istruzione pastorale, anche a motivo del suo titolo incentrato sul
tema dell’attività. come già si faceva osservare poc’anzi, limitarsi
tuttavia a considerare la sola attività missionaria, ossia quello che
per il concilio costituisce il solo livello dell’operatio, è decisamente
troppo poco, perché non consente di raggiungere quello della missio
e le ragioni teologiche profonde che stanno a fondamento di del-
l’azione della chiesa220. come si è visto, è il concilio stesso ad aver
chiarito la necessità di considerare il tema della missione su più
piani: avendo cura di distinguere l’aspetto teologico (missio) da
quello pratico operativo (activitas – operatio) e giuridico (missiones)
mai però dimenticando il nesso intrinseco così essenziale tra queste
varie declinazioni.

3.3. Preoccupazioni del Magistero post-conciliare


nel ripercorrere la genesi della parte dottrinale del decreto ab-
biamo sottolineato la preoccupazione dei Padri conciliari affinché

219
cfr. th. Fornet Ponset, “Komparative theologie und/oder interkulturelle theologie ? Ver-
such einer Verortung”, in Zeitschrift für Missionswissenschaft und Religionswissenschaft 96/3-
4 (2012): 226-240.
220
Qui non entriamo nel merito della valutazione dell’atteggiamento tenuto da Paolo VI al
momento della discussione dello Schema Propositionum. Vedasi in materia g.AlBerIgo, A. Storia
del Concilio Vaticano II, IV. La Chiesa come comunione. Il terzo periodo e la terza intersessione
settembre 1964 – settembre 1965, (Bologna: editrice il Mulino 1999), 358-373.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 111

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 111

il documento fornisse una chiara esposizione dei principi contro in-


terpretazioni teologiche improprie di questo rapporto, allora già in
atto. se tuttavia si rileggono alcuni tra i maggiori interventi del ma-
gistero post-conciliare, tale preoccupazione persiste. In Evangelii
nuntiandi (1975), a dieci anni di distanza dalla promulgazione del
decreto, Papa Paolo VI sentì il bisogno di richiamare i fedeli al fatto
che “né il rispetto e la stima verso queste religioni, né la complessità
dei problemi sollevati sono per la chiesa un invito a tacere l’annun-
cio di cristo di fronte ai non cristiani”221. Quindici anni dopo, il suo
successore giovanni Paolo II, nell’enciclica Redemptoris Missio (=rM)
(1990), denunciava l’esistenza di una “tendenza negativa” che stava
causando un inquietante rallentamento della missio ad gentes “non
certo in linea con le indicazioni del concilio e del Magistero succes-
sivo”222. non è casuale che in tale circostanza, il Papa abbia voluto
ribadire con forza che “il dialogo non dispensa dell’evangelizza-
zione” individuando nel diffondersi di “nuove idee teologiche” uno
dei fattori di dubbio circa la necessità e la ragione delle missioni223.
con la pubblicazione della dichiarazione Dominus Iesus (2000)
(=dI), avvenuta un decennio dopo, il Magistero ha voluto prendere
posizione ancora più rigorosa in difesa dell’annuncio missionario
come pure dei fondamenti della Fede a fronte di numerose derive
teologiche di indirizzo relativista224. da notare che, in relazione al
valore da attribuire alle tradizioni religiose, la congregazione per
la dottrina della Fede ripropone l’insegnamento di lg 16, Ag 9,
nA2225. nel rileggere il documento è in effetti evidente la preoccu-
pazione di favorire una recezione corretta dei testi conciliari in al-
ternativa ad un loro uso strumentale226. nella sua nota dottrinale su

221
PAolo VI, “esortazione apostolica Evangelii nuntiandi” (8 dicembre 1975) n. 53: [www.va-
tican.va].
222
gIoVAnnI PAolo II, “lettera enciclica Redemptoris missio circa la permanente validità del
mandato missionario, (7 dicembre 1990) n. 2: [www.vatican.va].
223
rM 4: “eppure, anche a causa dei cambiamenti moderni e del diffondersi di nuove idee
teologiche alcuni si chiedono: È ancora attuale la missione tra i non cristiani? non è forse so-
stituita dal dialogo inter-religioso? non è un suo obiettivo sufficiente la promozione umana?
Il rispetto della coscienza e della libertà non esclude ogni proposta di conversione? non ci si
può salvare in qualsiasi religione? Perché quindi la missione?”; vedi anche n. 55.
224
congregAzIone Per lA dottrInA dellA Fede, Dichiarazione Dominus Iesus circa l’unicità e
l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (6 agosto 2000), 4: “Il perenne annuncio
missionario della chiesa viene oggi messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che inten-
dono giustificare il pluralismo religioso, non solo de facto ma anche de iure (o di principio).”;
[www.vatican.va].
225
Vedi dI 8 nota n. 23.
226
cfr. dI 5, 8, 10, 12 ecc. sebbene non si tratti di un documento magisteriale, l’ultimo ema-
nato dal Pont. consiglio per il dialogo si pone in chiara continuità col concilio, richiamandone
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112 IlArIA MorAlI

alcuni aspetti dell’evangelizzazione, emessa nel 2007, la medesima


congregazione è tornata del resto a ribadire che “l’’azione evangeliz-
zatrice della chiesa non può mai venire meno”227. Questi continui ri-
chiami del Magistero confermano indirettamente anche il valore
dell’esposizione dottrinale del primo capitolo di Ag e la sua strin-
gente attualità.

4. Alcune puntualizzazioni

A cinquant’anni esatti dall’apertura del concilio, il richiamo di


Papa ratzinger alla necessità di favorire una vera recezione di molte
pagine del concilio si è rivelato dunque più che attuale228. Impedi-
mento alla corretta recezione del decreto non è tanto il fatto che
siano passati numerosi anni dall’evento conciliare e sia venuta meno
la memoria dei suoi insegnamenti, quanto piuttosto che questi de-
cenni siano trascorsi lasciando campo aperto a concezioni di indi-
rizzo prevalentemente ideologico, senza che da parte della teologia
in generale vi fosse la consapevolezza che, svilendo dal punto di
vista dottrinale i fondamenti della missione, si svuota la natura
stessa della chiesa. se accanto all’enfasi che si è riposta sulla cosid-
detta teologia delle religioni si fosse parimenti proceduto ad un
ugual sforzo di sviluppo della teologia della Missione, approfon-
dendo in prospettiva sistematica i principi dogmatici e le loro im-
plicazioni per l’oggi, probabilmente non ci si troverebbe ora nella
situazione di crisi appena descritta e, d’altra parte, si avrebbe al-
meno un dibattito più bilanciato: una discussione più feconda, in
luogo di un assolo di quelle ‘teologie’ che occupano il campo della
riflessione sulla missione – sembrerebbe – solo per distruggerla. Il
novecento teologico, di cui si è parlato poc’anzi, ha conosciuto un
dibattito vivacissimo tra i sostenitori del rigorismo salvifico e coloro
che propendevano per una soteriologia più aperta alla possibilità di

continuamente l’insegnamento ed iscrivendo più decisamente il tema del dialogo nel quadro
della missione della chiesa cattolica: cfr. PontIFIcAl coUncIl For InterrelIgIoUs dIAlogUe, Dialogue
in Thruth and Charity. Pastoral Orientations for Interreligious Dialogue, (città del Vaticano:
leV 2014).
227
congregAzIone Per lA dottrInA dellA Fede, nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangeliz-
zazione (3 dicembre 2007), n. 13: [www.vatican.va].
228
Pubblicando gli Atti di queste giornate nel 2014, dopo l’elezione al soglio di Pietro di
Papa Francesco, ci è parso opportune aggiornare alla situazione odierna della chiesa queste
riflessioni conclusive. sul tema della recezione, vedi in proposito anche s. MAzzolInI, “erme-
neutica e recezione del concilio Vaticano II”, in Euntes Docete 65/3 (2012): 11-37.
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 113

salvezza per i non cristiani. era spazio per l’incontro di visioni di-
verse, non per assoli, né tanto meno per letture ideologiche dei pro-
blemi. I teologi che si confrontavano, anche aspramente, partivano
in ogni caso dal comune desiderio di capire la Fede e di rispondere
alle istanze del proprio tempo alla luce di questa medesima Fede.
da dove dunque si potrebbe ripartire per un riequilibrio della di-
scussione e per riportare la riflessione sulla missione nell’alveo di
una seria recezione del dettato conciliare?
Per rispondere occorrono alcune puntualizzazioni di fondo, che
indichiamo qui di seguito.

4.1. L’apporto di tutte le Chiese al primo capitolo del Decreto


negli autori che abbiamo richiamato, appare evidente la difficoltà
nel distinguere tra teologia e dottrina, oltre al fatto che essi pensano
che il decreto rispecchi la forma mentis di un missionario europeo.
costoro ignorano completamente l’apporto provenuto dai vescovi
d’Asia e d’Africa, come pure il fatto che fu l’Aula, formata dai diversi
episcopati, ad esigere il ripristino della parte dottrinale ed il suo
rafforzamento in senso anti-pluralista proprio contro le tesi di Bom-
bay229.

trattando della dottrina del decreto conciliare, congar già insi-


steva sul fatto che essa era fondata su una specifica ed univoca vi-
sione socio-antropologica, ma in nessun modo geografica230. In altri
termini, il capitolo primo del decreto non è espressione di una de-
terminata teologia, ma frutto del discernimento dell’Aula. In quanto
dottrina, esso non è prodotto di una determinata latitudine eccle-
siale, né di roma, né di una chiesa europea: ad approvarlo è stato
un concilio ecumenico, in cui la varietà di chiese dell’orbe cattolico
era ampiamente rappresentata e più che nel passato. la critica avan-
zata al decreto, di prospettare il tema della missione da un punto
di vista europeo, l’assimilazione di questo approccio a un modello
di impronta coloniale, contrapponendovi per altro la specificità del
modello ‘asiatico’ di missione, mostrano quanto possa pesare sul
processo di recezione di un documento conciliare un apriori di ma-
trice culturale o ideologica. oggi vi è il concreto rischio di cadere,
da un punto di vista teologico, in un approccio ‘regionalistico’ alla

229
ci sarebbe tra l’altro da osservare che uno dei principali sostenitori delle tesi espresse
a Bombay nel 1964 era un teologo occidentale: h.Küng.
230
cfr. congAr, “theologische grundlegung (nr. 2-9)”, 153, 156.
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114 IlArIA MorAlI

missione dove il contesto determina la nozione e le finalità della


missione. l’enfasi sulla propria identità continentale di chiesa
(Asianness), in chiara contrapposizione alla supposta europeicità
degli altri, parrebbe tra l’altro denotare la difficoltà di non saper
trovare altra via che l’esaltazione delle differenze per provare la
propria importanza in seno alla chiesa. Ma questo linguaggio di ri-
vendicazione ‘regionale’ giova alla cattolicità della chiesa? È ad essa
conseguente? la esprime e la arricchisce? la risposta si troverebbe
forse riapprendendo il senso originario di ‘cattolico’: termine dal
senso attivo, che denota capacità di unificare, non di contrapporre,
alieno al vocabolario della rivendicazione di una parte sul tutto231.
In tal senso, il primo capitolo del decreto come pure il decreto
stesso, se riletti con obiettività, avrebbero molto da insegnare in
proposito, perché Ag è stata espressione del discernimento della
chiesa cattolica, non di una regione specifica dell’orbe cattolico. Il
suo carattere ‘cattolico’ rende il suo messaggio valido per ogni
chiesa come per ogni teologia.

4.2. Per una lettura autenticamente teologica della storia delle


missioni
la missione di san Paolo ad Atene (cfr. At 17) fu una missione in
un mondo pluralistico dalle molteplici rappresentazioni e credenze
religiose, come lo fu quella dei primi cristiani a roma o nelle regioni
sperdute del nord europa e verso est. se si studiassero a fondo le
prime missioni in Asia in tempo medioevale, come pure le vicende
che accompagnarono il cammino del Vangelo ben prima dell’av-
vento del colonialismo, ci si accorgerebbe che è improprio tacciare
la storia delle missioni solo ed unicamente come storia di un’occu-
pazione colonialista o imperialista da parte dell’occidente. Fu in
primo luogo storia di fatiche, di dolori e sofferenze, di oblazioni to-
tali al Vangelo che videro uomini e donne, di diverse nazionalità e

231
scriveva de lubac a proposito del significato del termine cattolico: “d’autre part, ‘ca-
tholique’ comporte d’abord un sens actif (‘universalisant’, ‘rassemblant’, ‘unifiant’) au lieu
qu’universel est passif, inorganique et statique” ; h. de lUBAc, “Pourquoi église catholique et
non église universelle”, IdeM, Catholicisme [Chemin de croix], [édité sous la direction de M. sAles
sj, avec la collaboration de M.-B. Mesnet],(oeuvres complètes VII – Paris: cerf 2003), 455 (testo
completo: 453-456). Quando una porzione di cattolicità, oggi fiorente, attacca un’altra, in dif-
ficoltà o in declino, ed è animata da un desiderio di rivalsa storica e di affrancamento culturale,
il rischio è quello di infliggere una ferita alla cattolicità come tale. ogni visione in senso loca-
listico e regionalistico indebolisce la cattolicità, perché se si è mediante Dio, noi siamo gli uni
per gli altri: cfr. I.MorAlI, “Il concetto di cattolicità in de lubac. Per una comprensione del pen-
siero conciliare”, in Ad Gentes 8/1 (2004): 5-18.
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 115

culture, impegnare la propria vita e tutte le proprie energie fino alla


consunzione per cristo signore. la lettura in chiave anticolonialista
ed antioccidentale della storia delle missioni non rende giustizia di
questa ricchezza e tanto meno ragione della complessità delle vi-
cende che contraddistinsero l’annuncio del Vangelo nel mondo: è
in se stessa un anacronismo, perché non si può ridurre tutto a storia
di una ‘conquista’ di stampo coloniale, contrapponendole idealisti-
camente l’oggi come espressione di una storia, l’attuale, di dialogo.
Questa interpretazione presenta due grandi limiti: un limite di me-
moria storica, perché sembra del tutto trascurato il fatto che l’espe-
rienza ed il confronto col pluralismo appartiene al cammino stesso
del Vangelo, fin dai primi secoli: si pensi al mosaico di religioni,
culti, credenze e filosofie col quale Paolo si confrontò nel suo sog-
giorno ad Atene (At 17) e in generale a tutti i missionari che, dopo
di lui, operarono nella stessa direzione. Vi è però soprattutto un li-
mite ideologico nella valutazione del passato: nessuno per altro
nega gli errori commessi nella storia delle missioni in alcuni conte-
sti, là dove, in nome del Vangelo, è stato applicato il metodo della
‘tabula rasa’ usando violenza ai popoli. d’altra parte, l’immediata
identificazione di questo metodo ad una volontà coloniale non è
sempre storicamente plausibile: molti missionari agirono in buona
fede e senza velleità colonialiste, anzi vi si opposero strenuamente.
semplicemente non conoscevano un metodo alternativo, fattosi
strada col tempo e l’esperienza, come insegna la lenta genesi del
metodo di adattamento in estremo oriente. la chiesa cattolica ha
del resto imparato molto dagli errori dei propri figli, errori che ap-
partengono alla sua dimensione peregrinante, errori di cui si è sa-
puta far carico, e non da oggi232.

occorrerebbe forse partire da altre premesse, più oggettive, per


intraprendere una riflessione teologica sulla storia delle missioni:
ne deriverebbero forse una maggiore capacità di accettazione del

232
coMMIssIone teologIcA InternAzIonAle, Memoria e Riconciliazione: la Chiesa e le Colpe del
passato (2000) 5.3: “Un altro capitolo doloroso sul quale i figli della chiesa non possono non
tornare con animo aperto al pentimento è costituito dall’acquiescenza manifestata, specie in
alcuni secoli, a metodi di intolleranza e persino di violenza nel servizio della verità “.(78) ci si
riferisce alle forme di evangelizzazione che hanno impiegato strumenti impropri per annun-
ciare la verità rivelata o non hanno operato un discernimento evangelico adeguato dei valori
culturali dei popoli o non hanno rispettato le coscienze delle persone a cui la fede veniva pre-
sentata, come pure alle forme di violenza esercitate nella repressione e correzione degli errori.”;
[www.vatican.va].
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 116

116 IlArIA MorAlI

passato, anche con i suoi errori, come storia propria, così come mag-
giore rispetto ed umiltà nel giudizio verso quanti, con eroismo e
oblazione totale, profusero ogni energia nell’annuncio di cristo.

si badi bene, qui non si sta trattando della necessità di metodo-


logie specifiche per lo studio della storia delle Missioni né si pone
in dubbio l’esigenza di un riconoscimento obiettivo degli errori, ma
del modo di leggere teologicamente la storia delle missioni: in ef-
fetti, gli autori che abbiamo menzionato a più riprese, così come le
molteplici tendenze e denominazioni di teologie cui essi danno vita,
tentano di dare, della storia della missione, una lettura teologica,
purtroppo molto sommaria. È nel tentativo di una lettura teologica
che essi giungono a contestare lo stesso principio dottrinale della
necessità della missione: la storia delle missioni è storia coloniale –
questo in sostanza il loro ragionamento– quindi il principio della
missio ad gentes va superato – questa è la conclusione teologica cui
essi invece pervengono. Il limite di tale lettura riposa nel confondere
‘teologico’ con ‘ideologico’: una lettura autenticamente teologica
della storia delle missioni dovrebbe infatti partire dall’assunto fon-
damentale del nesso esistente tra missio Dei e missio Ecclesiae, nesso
che si dipana in una storia, proprio come il concilio lo descrive nel
decreto Ag (2-5) e nella costituzione lg (2-5). solo in questo quadro
si può capire teologicamente la storia delle missioni: un cammino
che la chiesa compie nella storia, un annuncio che si dipana nella
storia. Questa storia è storia di popoli, di chiese che nascono prima
o dopo di altre, storia in cui ciascuna comunità è chiamata a consi-
derare l’altra superiore a se stessa; è anche storia di una matura-
zione di metodi e di relazioni, con successi ed insuccessi tipici di
ogni peregrinare umano. leggere la storia delle missioni col linguag-
gio della rivendicazione o dell’antitesi dialettica non permette di ri-
spettare la storia delle missioni qual è e, tanto meno, la storia stessa
della cristianità nelle sue alterne e travagliate vicende.

4.3. Missione, evangelizzazione ed il ruolo del dialogo


nei due interventi ospitati dalla rivista Vidyajyoti, la parola
‘evangelizzazione’ è decisamente preferita a quella di missione:
anzi, rispetto a quest’ultima si nota un’evidente (sebbene implicita)
presa di distanza, nonostante la sua matrice biblica233. I termini

233
gv 20,21: “ Poi disse di nuovo: «Pace a voi! come il Padre ha mandato me, così io mando
voi”.
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I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 117

missus/missio, come già le Considerationes di ratzinger ben illu-


stravano, sono invece al centro della dottrina esposta dal primo
capitolo di Ag costituendo il comune denominatore di quel movi-
mento che parte dalla trinità, con l’invio del Figlio e dello spirito,
per poi sfociare nell’invio della chiesa. sminuendo il tema della
missio, in queste interpretazioni perde di consistenza anche il ter-
mine di evangelizzazione. ‘evangelizzazione’, nei due articoli esa-
minati è infatti un concetto pressoché depotenziato, rispetto al
senso che esso aveva nel decreto. soprattutto nella proposta di
roy lazar di una “mutua evangelizzazione” si è prodotto un ribal-
tamento di prospettive: l’alterità dell’interlocutore non cristiano e
la sua religione, il suo modo di concepire il divino, sono stati as-
surti a vangelo, alterità dalla quale il cristiano deve – appunto - la-
sciarsi evangelizzare.
Anche il termine di “active integral evangelization”, proposto in-
vece da tan sulla scia della FABc, da cui egli mutua buona parte del
suo vocabolario, non è scevro da ambiguità. la tesi secondo cui il
contesto d’Asia, così variegato e pluralistico, obbligherebbe ad un
approccio specifico, un approccio ‘asiatico’ è davvero plausibile234?
Qui non vogliamo porre in dubbio che l’Asia, come molti altri con-
testi del mondo, presenti una straordinaria pluralità di tradizioni e
culture, né che le chiese che vi vivono debbano quotidianamente
confrontarsi assai da vicino con le sfide e le resistenze di un mondo
così poliedrico. né si nega che in certi specifici contesti d’Asia, (e
non ovunque come si tende a generalizzare), il dialogo sia a volte
l’unica modalità possibile di incontro tra il cristiano e i seguaci di
altre tradizioni religiose; il limite sta però nell’affermazione asso-
luta di questa modalità e nell’esclusione di ogni altra per principio,
quasi che l’alternativa al dialogo fosse solo sinonimo di costrizione
e di intolleranza.
nell’articolo di tan, il rispetto per le culture e le religioni è a tal
punto enfatizzato da far intendere che ogni forma di annuncio al-
ternativa sia non solo improponibile per il contesto asiatico, ma
più in generale che essa sia foriera di intolleranza. In realtà, la pe-
culiarità del contesto culturale non giustifica, dal punto di vista
teologico, l’assenza di un’affermazione chiara ed esplicita sulla ne-

234
tAn, “From Ad gentes to Active Integral evangelization”, (II), 694: “In its official docu-
ments, the FABc has proceeded on the basis that the Asian milieu, with its rich diversity and
plurality of religions, cultures and philosophical worldviews requires a distinctively Asian ap-
proach to the proclamation of the gospel that is sensitive to diversity and pluralism”.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 118

118 IlArIA MorAlI

cessità della missione e dell’annunzio del Vangelo. In altri termini,


a fronte di un contesto innegabilmente multi-religioso, l’autore in-
siste grandemente sul fatto che “per i vescovi d’Asia la questione
è più come le chiese d’Asia possano sentirsi ‘a casa’ con una tale
diversità e pluralità”235. ci sembra opportuno sottolineare tuttavia
che la necessità di rispettare l’altro (obbligo che nessun documento
conciliare ha tra l’altro mai posto in dubbio) rientra nelle condi-
zioni di qualsiasi umana convivenza e non possa quindi essere in-
terpretata come la forma ‘asiatica’ di missione. Andrebbe per
contro mantenuto fermo il principio che il solo significato accetta-
bile di evangelizzare è quello indissolubilmente legato al Vangelo
di cristo.
si tende invece a proporre un modello di evangelizzazione stret-
tamente subordinato alla pratica del dialogo interreligioso ed assai
meno correlato al concetto di missione. In questa visione viene par-
ticolarmente sottolineata la dimensione del mutuo scambio, non
semplicemente a livello umano, fatto questo plausibile e auspica-
bile, ma sul piano stesso della verità delle dottrine, considerate già
in partenza equipollenti. Questo approccio trova consenso in nu-
merosi autori236.
In Ag, per contro, missione ed evangelizzazione sono stretta-
mente connesse: evangelizzazione è la finalità della missione237 e
mira alla conversione238. Inoltre, riguardo al dialogo, il decreto ne
parla diffusamente in stretta relazione con la testimonianza di vita
al n. 11, che apre l’Articolo 1, ma il binomio non è affatto concepito
alternativo alla missione. come si evince dagli Acta, nelle ultimis-
sime fasi redazionali del documento ormai sulle soglie dell’appro-
vazione, venne apportata un’importante modifica proprio in
corrispondenza al titolo dell’Articolo 1. Mentre infatti, nel textus

235
tAn, “From Ad gentes to Active Integral evangelization”, (II), 697: “While others may
consider the diversity and plurality of postmodern europe and north America as challenges
that the church has to confront and overcome, for the Asian bishops the questions rather how
the Asian churches can be at home with such diversity and plurality”.
236
“Acreditando que è a partir desta interação presente em todas as religiões que ocorrerá
o diálogo inter-religioso, não para decidir qua è a religião verdadeira, mas mutuamente dialogar
tendo como objetivo o que è melhor para ser humano se tornar mais humano e ajudá-lo a olhar
com mais seriedade o sentido último de sua existência. Aqui se revelará o que è verdadeiro.”
I.soUzA, reflexão cristológico-trinitária. contribuições para a comprensão da experiência e da
esperitualidade como aproximações para o diálogo inter-religioso”, in Atualidade Teológica
16/40 (2012): 73 (testo completo: 72-85).
237
cfr. Ag 6.
238
cfr. Ag 13.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 119

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 119

prior, si leggeva De praeambulis evangelizationis, nel textus emen-


datus l’intestazione era stata cambiata in De testimonio cristiano.
nella Relatio de n. 11 si dà ampia spiegazione di questo cambia-
mento: tanto la commissione, quanto numerosi Padri avevano
ravvisato il pericolo di un’assolutizzazione dei preambula evan-
gelizationis, tra i quali il dialogo, a scapito dell’evangelizzazione
stessa. non si voleva legittimare il protrarsi dello stadio prelimi-
nare “per tutta la durata dell’attività missionaria”, mentre si re-
putava necessario sottolineare che pur essendo tali atteggiamenti
prossimi all’opera evangelizzatrice, l’evangelizzazione in senso
stretto dovesse comunque subentrare239.

4.4. Il rapporto tra Decreto e documenti pastorali delle Chiese lo-


cali
l’intervento di tan offre infine un peculiare motivo di riflessione,
qui impossibile da trattare, ma comunque da menzionare per la sua
importanza: il ruolo e la responsabilità delle conferenze episcopali
nel processo di recezione del concilio e del decreto sulla missione
in particolare. È innegabile che tan abbia trovato sostegno per molte
delle sue originali tesi nei documenti della FABc, organismo che riu-
nisce le conferenze episcopali d’Asia, particolarmente esposte alla
sfida della missione. È anche vero che tan si è spinto certamente
oltre le intenzioni della FABc, affermando che essa ha portato a lo-
gico compimento quanto troppo cautamente affermato dal concilio.
egli ha tra l’altro mostrato di porre erroneamente sullo stesso piano
concilio e FABc, quasi che tale equiparazione fosse teologicamente
accettabile. occorre tuttavia ammettere che numerose proposizioni
della FABc, rievocate dall’autore, sembrerebbero oltrepassare l’am-
bito pastorale sconfinando in quello dottrinale. tale ‘sconfina-
mento’ non è senza conseguenze per la recezione del primo capitolo
di Ag, come dimostra l’insieme dello stesso articolo di tan e molte
delle sue discutibili asserzioni.

239
“relatio de n. 11”, ASCOV IV/VI, 275: “titulus articuli mutatus est. Materia subiacens,
proposita a Patribus durante disceptatione anni 1964, ab eis designabatur vocabulis ‘prae-evan-
gelizatio’, ‘evangelizatio initialis’, ‘apostolatus indirectus’, ‘evangelizatio praeparatoria’. haec
vocabula non placuerunt commissioni, quia intelligi possent de quodam stadio speciali in
opere evangelizationis, cum revera haec actio protrahitur durante tota activitate missionali et
pastorali ecclesiae.[…] Attamen hoc vocabulum non placuit multis Patribus, qui timent ne male
intelligeretur ut ‘stadium’ quoddam praeliminare, sat longum et protractum, intercedens an-
tequam ad evangelizationem proprie dictam procedatur….; pariter dolebant Patres quod non
expresse dicebatur in textu haec praeambula evangelizationis reapse valorem verae evangeli-
zationis habere…et ipsam evangelizationem concomitare et subsequi debere….”.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 120

120 IlArIA MorAlI

Posto che fino ad oggi non è stato riconosciuto alcun munus ma-
gisterii alle conferenze episcopali, né stabilito un qualche criterio
per declinare il loro compito rispetto alle prerogative del singolo
vescovo, ancor meno chiaro risulta lo statuto di una confederazione
di conferenze episcopali rispetto alle conferenze episcopali stesse.
sussiste quindi anche un problema di non facile soluzione a fronte
di documenti, come quelli della FABc: essi hanno così grande eco
nel mondo ecclesiale, da essere reputati, non solo dall’autore esa-
minato, ma dai fedeli stessi, al di sopra di un concilio o interpreti
della sua dottrina240. È piuttosto significativo che ultimamente Kroe-
ger abbia definito la FABc come “il Vaticano II che cammina in Asia”,
senza tuttavia soppesare le conseguenze di una visione così ottimi-
stica241. la mancanza di chiarezza circa lo statuto e l’autorità effet-
tiva di questo ed altri simili organismi dovrebbe indurre un po’ più
di cautela. In attesa di una riflessione ecclesiologica che precisi con-
fini e prerogative di queste istituzioni, occorrerebbe anche più pru-
denza nel linguaggio dei documenti, che sarebbe auspicabile
rimanessero nei limiti di un’istruzione pastorale senza sconfina-
menti di natura dottrinale.

Andrebbe poi detto con maggior chiarezza che molti dei docu-
menti attribuiti dagli autori alla FABc sono in realtà pubblicazioni
di atti e scritture curate in seno alle innumerevoli sottocommissioni
che vengono costituite sotto l’egida di questo organismo, senza tut-
tavia il controllo dovuto. tan considera ogni documento da lui ci-
tato come espressione della FABc, ma andrebbe verificato in qual
misura si tratti di pubblicazioni curate da sotto-orgamismi, non
sottoposti a debito vaglio, sebbene col cliché della FABc. Vorremmo
qui richiamare il caso del Resource Manual sul dialogo destinato
alla formazione di religiosi, animatori pastorali, pubblicato dall’Uf-
ficio per gli affari ecumenici della FABc: uno strumento finalizzato
all’auspicata creazione di workshops per favorire la discussione e
l’approfondimento di questo tema in sede intra-ecclesiale242. si

240
cfr. A. Anton, “¿ejercen las conferencias episcopales un Munus Magisterii?”, in Grego-
rianum 70/3 (1989): 439-494.
241
nato nel 1972, l’organismo si compone di 19 conferenze episcopali, più 9 membri asso-
ciati. raccoglie sotto la sua giurisdizione 29 paesi asiatici. “lA FABc è stato l’organismo che
ha avuto la maggiore influenza nella chiesa d’Asia dal concilio Vaticano II: giustamente è stata
considerata ‘il Vaticano II che continua in Asia’”; J. h.Kroeger, “I vescovi dell’Asia. la chiesa ha
bisogno di evangelizzatori rinnovati”, in Ad Gentes 17/2 (2013): 239 (testo completo: 239-244).
242
oFFIce oF ecUMenIcAl And InterrelIgIoUs AFFAIrs – FederAtIon oF AsIAn BIshoPs’ conFerences,
Resource Manual for Catholics in Asia, (Bangkok: FABc – oeIA 2000).
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 121

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 121

tratta dunque non di una qualsiasi pubblicazione, ma di un vero e


proprio sussidio ufficiale edito a cura di edmund chia, allora Exe-
cutive Secretary della FABc243. già ad una prima analisi, tuttavia,
appare evidente come il contenuto di questa pubblicazione ri-
sponda ad una visione totalmente relativista: difficile credere che
l’antologia di testi tratti per lo più da autori di area pluralista ri-
specchi veramente il pensiero dei vescovi d’Asia e delle loro chiese
missionarie. sembra piuttosto un compendio delle opinioni che il
curatore del sussidio ha già avuto modo di esporre in proprie mo-
nografie244. l’esistenza e la diffusione di questo manuale, come di
altri promossi da editrici cattoliche, pongono comunque un pro-
blema serio, sul piano educativo come su quello delle responsabi-
lità di istituzioni ed organismi preposti alla formazione dei fedeli.
non si tratta di impedire la libera espressione di un’opinione teo-
logica, ma di vegliare perché essa possa manifestarsi in sedi più
proprie, non certamente nel contesto di pubblicazioni ufficiali de-
stinate a formare i fedeli. In tal senso, il primo capitolo di Ag, uni-
tamente alle prese di posizione del Magistero post-conciliare
potrebbero essere considerate e presentate come una sorta di de-
calogo per la crescita e la formazione di una coscienza missionaria,
ma anche come criterio di riferimento per la composizione di quei
sussidi destinati alla formazione dei fedeli.

4.5. Missiologia cattolica


sia che si guardi all’ambito più speculativo che a quello pratico,
è comunque un quadro piuttosto sconfortante, quello appena di-
pinto. la prematura perdita del riferimento ecclesiologico in ambito
cattolico, lamentata da colzani, è senza dubbio l’errore più grande
che si potesse commettere nel post-concilio. Il fatto stesso che, in
seno a queste nuove correnti teologiche, autori di ambito cattolico
convergano sulle medesime posizioni di colleghi di ambito prote-
stante, significa in primo luogo che essi hanno rinunciato alla
chiesa e a pensare la missione come suo connotato vitale ed essen-
ziale. e senza il riferimento alla chiesa, la missione perde tutta la
sua consistenza. non si vuole con ciò escludere la necessità di un
ammodernamento della disciplina missiologica proprio a motivo del
rinnovamento stesso del modello di chiesa e dunque di missione

tra questi P. Knitter, r. Panikkar, J. than, st. samartha, F. Wilfred e s. Painadatah.


243

cfr.e. chIA, Edward Schillebeeckx and Interreligious Dialogue: Perspectives from Asian
244

Theology (Pickwick Publications, 2012).


04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 122

122 IlArIA MorAlI

scaturito dal concilio, né si intende ignorare l’emergere di esigenze


nuove in seno alle chiese locali. non si vuole neppure misconoscere
il fatto che molti autori, sostenitori delle varie teorie, siano animati
dal più sincero zelo e che ogni realtà di chiesa possa apportare il
proprio contributo alla comprensione della missione. siamo però
convinti che dal sistematico smantellamento dei riferimenti pecu-
liari di un metodo teologico cattolico e di una dottrina della mis-
sione non possa derivare alcun vero rinnovamento della Missiologia,
bensì la sua definitiva estinzione.
l’opzione, tutta ideologica, del ‘rigetto apriori’ di quel che viene
dal passato missionario e dall’europa costituisce de facto un ver-
sante di questa tendenza destrutturante. “rifare la teologia” come
vorrebbe dussel, non è solo abbastanza presuntuoso, dopo duemila
anni di storia della teologia, ma anche piuttosto fine a se stesso: la
riflessione di fede si snoda nella storia, è per sua natura storica:
omettere anche solo una sua parte, in nome di una ristrutturazione
radicale, è ricadere nell’errore che si vuole condannare, quello di un
esclusivismo assoluto.

Un ripensamento della Missiologia in ambito cattolico sarebbe


invece possibile ed auspicabile ritornando alla Fede ed ai suoi prin-
cipi, ritornando alla prospettiva ecclesiologica delineata dal conci-
lio. la Missiologia è in primis una disciplina teologica, perché la
nozione che sta al suo centro è di matrice teologica ed ha un fonda-
mento dottrinale nel mandato di cristo ai discepoli; un discorso sul-
l’attività missionaria, volto al versante pratico e all’esercizio
concreto deve avere radici in una solida teologia della missione.
Questo è in fondo l’insegnamento che ci offre il Vaticano II premet-
tendo alla trattazione dell’attività quella sui principi dottrinali della
missione. Abbiamo anche detto che lo schema finale di Ag vide il
concorso fattivo di valenti teologi di una generazione singolare, e
che però fu il frutto del discernimento di un concilio ecumenico,
del Magistero della chiesa.

d’altra parte, poiché il tema della missione costituisce un croce-


via ineludibile per ogni tema di fede: dalla grazia ai sacramenti,
dalla chiesa alla trinità, la Missiologia meriterebbe maggiore con-
siderazione da parte della teologia cattolica come tale. In tal senso
sarebbero forse nuovamente da meditare, proprio per la loro strin-
gente attualità, le parole pronunciate da de lubac nella prima delle
sopramenzionate lezioni degli anni Quaranta sul fondamento teo-
logico delle missioni:
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 123

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 123

“tanto l’opera missionaria è cosa essenziale e centrale, tanto sembra che


debba essere impossibile parlare della chiesa, fosse nel modo più rudi-
mentale, senza far entrare le missioni nella sua stessa definizione. È non
di meno un fatto, che molto cattolici non ne sono consapevoli; che nu-
merose opere trattano della chiesa senza neanche abbordare il problema
missionario e che i trattati teologici essi pure sono in proposito quasi
muti, - e io dico quasi, per eufemismo…”245.

se ottant’anni orsono de lubac ravvisava il problema della mar-


ginalità o assenza della missione anche nei trattati di teologia,
l’odierna situazione ci presenta una situazione ben peggiore. di
fatto, non solo il tema della missione non è materia d’interesse per
la teologia nei suoi differenti trattati, ma la stessa Missiologia è trat-
tata come disciplina di ‘serie b’. tale duplice marginalità è anche
conseguenza di un certo riduzionismo pastoralista prodottosi in
seno alla Missiologia, atteggiamento che ha pesato non poco anche
sulla comprensione della formazione missiologica appiattita all’ac-
quisizione di rudimenti pratici, priva di consistenza, perché troppo
assimilata alla prassi senza più badare all’approfondimento delle
ragioni profonde che vi sono sottese.
con ciò, non si vuole escludere affatto che in Missiologia vi debba
esser spazio anche per considerazioni ed approfondimenti di natura
pratica e pastorale, queste però debbono costituire idealmente lo
sbocco di una riflessione che nasce come teologica. In ultima analisi,
con l’adozione di una triplice terminologia (missio, missiones, acti-
vitas missionalis) cui corrispondono tre diversi livelli ed accezioni
di missione, il concilio ha voluto mostrare la complessità ed artico-
lazione della disciplina missiologica. Un rinnovamento andrebbe
forse avviato partendo da questa indicazione conciliare, recupe-
rando in primo luogo la dimensione teologica del tema.

la rimozione della parola missione, ritenuta troppo compromet-


tente, la sua sostituzione con termini più in voga come dialogo,
mutua evangelizzazione, promozione sociale, lotta sono in fondo il
sintomo di una confusione che attraversa tanto il mondo dei teologi
che quello più generalmente ecclesiale; un riflesso di questa crisi
trasversale, che abbraccia tanto l’ambito della riflessione che quello
della prassi, può essere rinvenuto anche nella progressiva spari-

245
h.de lUBAc, “le Fondement théologique des missions (1941 et 1946),” in Théologie dans
l’histoire, (Paris : desclée de Brouwer 1990), 159-219 (la traduzione è nostra).
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124 IlarIa MoralI

zione di numerose testate di argomento missionario, come ci ri-


corda la recente chiusura della rivista Ad Gentes, la cui sospensione
è stata decisa dagli stessi Istituti Missionari Italiani provocando
qualche malumore246.

Conclusione

nella relazione finale al sinodo straordinario del 1985, il Card.


Daneels parlando del Concilio Vaticano II proferiva queste parole:
“Ulterius Concilium in continuitate cum magna Traditione Ecclesiae in-
telligendum est; ac simul ex eiusdem Concilii doctrina lumen pro Eccle-
sia hodierna et pro hominibus nostri temporis accipere debemus.
Ecclesia ipsa et eadem est in omnibus Conciliis”247.

la continuità con la Tradizione della Chiesa ed insieme la capa-


cità della dottrina di illuminare la vita odierna della stessa Chiesa
sono in effetti due costanti caratteristiche anche del primo capitolo
di aG. I Padri conciliari scansarono con decisione la tentazione di
quello che Paolo VI, in Ecclesiam Suam, stigmatizzava come “inutile
mimetismo”248 ritenendo fondamentale recuperare i principi dog-
matici, al fine di delineare l’attività missionaria e le sue sfide in fe-
deltà ai dettami di Cristo. non a caso Paolo VI aveva insistito molto
sul “dovere dell’evangelizzazione”, sottolineando che esso è “con-
geniale al patrimonio ricevuto da Cristo”249. In altri termini, la
Chiesa del Concilio è stata chiamata a rinnovare la “coscienza della
sua missione” col compito di evidenziarne le ragioni distintive pro-
fonde250. lo studio della genesi redazionale del Decreto ha ampia-
mente dimostrato quale travaglio abbia accompagnato questo

246
Chi scrive è stato per diversi anni membro del Comitato scientifico di questa rivista italiana.
Critiche aperte alla decisione sono state avanzate da Piero Gheddo: egli ha lamentato una ‘politi-
cizzazione della missione’ ed insieme la tendenza, a suo dire, suicida da parte del mondo missio-
nario per aver confuso (o sostituito?) l’annuncio del Vangelo ad gentes con la pura lotta di
rivendicazione. Piero Gheddo, missionario del PIME, era presente alla gestazione del Decreto Ad
Gentes, come attestano numerosi interventi nel suo blog . Il testo del suo vibrante intervento sulla
chiusura della rivista si trova in data 15 giugno 2014 (http://gheddo.missionline.org/?p=1515).
247
CarD. G. DanEEls, “Ecclesia sub Verbo Dei Mysteria Christi celebrans pro salute mundi.
relatio finalis” 5 (E Civitate Vaticana 1985).
248
Cfr. Paolo VI, lettera Enciclica Ecclesiam Suam n. 51: [www.vatican.va].
249
Paolo VI, Ecclesiam Suam, n. 66.
250
In Ecclesiam Suam Paolo VI ha utilizzato numerose volte questa espressione: n. 10, 17,
19, 23.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 125

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 125

sforzo: se al concilio, in materia di missioni, ci si fosse limitati ad


offrire un complesso di disposizioni pratiche e pastorali, come in
un primo tempo alcuni settori dell’episcopato africano auspicavano,
o se ci si fosse fermati ad una illustrazione canonistica e territoriale
della missione, come volevano altri, la redazione del decreto non
avrebbe richiesto un magnus labor, né il documento avrebbe se-
gnato una vera svolta per la chiesa. come ha sottolineato colzani,
l’opzione per la prospettiva storico-salvifica ed ancor più la forte
sottolineatura della natura missionaria della chiesa, asse costitutivo
della riflessione conciliare, affrancarono il tema della missione dal-
l’impostazione seguita in passato, quella di una chiesa militante;
pertanto, concordiamo con lo studioso nel ritenere che non ci siano
“altri documenti che, in questa misura e con questa autorità, inter-
vengano sulla problematica missionaria” e che sarebbe impensabile
abbandonarlo251.

nella parte introduttiva al nostro contributo (A) sottolineavamo


le difficoltà di metodo connesse allo studio dei testi conciliari e la
pluralità e differenziazione delle fonti: siamo dunque consapevoli
che molti aspetti menzionati nella seconda parte di questo nostro
studio (B), enucleati dalla documentazione degli Acta, necessitereb-
bero di ulteriori indagini ed integrazioni: occorrerebbe infatti esa-
minare il materiale d’archivio relativo al lavoro condotto in seno alle
commissioni che si avvicendarono nell’elaborazione del documento.
d’altra parte, in parallelo, andrebbero studiati con attenzione i con-
tributi dei singoli teologi ed esperti che presero parte al gravoso
labor redactionis, perché, come prova la lettura del diario di congar,
dalla testimonianza dei protagonisti possono scaturire molte luci e
chiarimenti sulla mens conciliare.

d’altro canto, le considerazioni condotte nelle due successive


parti di questo nostro saggio (c e d), provano che lo studio della
genesi redazionale di un testo conciliare non è mera archeologia:
nel caso specifico del primo capitolo di Ag si è ampiamente provata
la sua attualità e ricchezza in ordine alle sfide ed alle questioni che
caratterizzano il dibattito teologico odierno sulla missione, mo-
strando in pari tempo come nel testo conciliare si rinvenga una pre-
cisa criteriologia per la riflessione missiologica attuale.
l’esposizione dottrinale nel decreto detiene, a nostro avviso, una

251
colzAnI, “storia e contenuti del decreto ‘Ad gentes’”, 142.
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 126

126 IlArIA MorAlI

valenza particolare: il decreto fu piena espressione della chiesa riu-


nita in un concilio ecumenico. la scelta del concilio di affrancarsi
da una definizione territoriale di missione ed, in pari tempo, la vo-
lontà di partire da una sua nozione dottrinale costituiscono anche
una chiara risposta alle tentazioni ‘regionalistiche’ odierne di taluni
settori della teologia come di alcuni ambienti ecclesiali che tendono
a ‘funzionalizzare’ la definizione di missione al proprio contesto ed
alla propria esperienza locale, assolutizzandola.

nel cercare di porre in luce l’attualità di questa pagina conciliare


si è quindi avuto modo di toccare il problema delle notevoli diffi-
coltà che sta attraversando la teologia della Missione in campo cat-
tolico, come pure di mostrare la crisi di senso che sta seriamente
insidiando la sostanza della missione, a motivo del moltiplicarsi di
teorie, ove sembra ridursi il riferimento alla Fede e per contro ac-
centuarsi il ricorso a categorie di matrice ideologica e profana. lo
spessore dell’esposizione dottrinale di Ag è scaturita dall’apporto
fattivo di teologi che conoscevano la vitalità della tradizione cri-
stiana e che sapevano accostarvisi con proprietà di metodo. la teo-
logia del novecento rese grande servizio alla chiesa del concilio,
anche in materia di missione. non così ampi settori della teologia
attuale che, in materia di missione, parrebbero più concentrati a
sminuirne il valore. l’urgenza che si pone oggi è dunque quella di
recuperare senso, metodo e finalità specifiche della riflessione teo-
logica, evitando la commistione con categorie e teorie estranee alla
Fede. Il primo capitolo di Ad Gentes mostra la direzione da perse-
guire. la Missiologia odierna dovrebbe ripartire dalla dottrina con-
ciliare sulla missione, riflettendo teologicamente sui problemi e le
sfide odierne alla luce di alcuni principi non negoziabili: l’unicità di
cristo e l’azione della sua grazia salvatrice, l’essenza missionaria
della chiesa, il valore di Fede e Battesimo, quello della conversione
a cristo, solo per menzionarne alcuni.

Altro piano è invece quello dell’attività missionaria, in aiuto della


quale possono svolgere un ruolo non secondario anche altre disci-
pline afferenti all’ambito delle scienze umane: accanto alla missione
come principio dogmatico oggetto di riflessione teologica, vi è in-
fatti l’azione missionaria, l’operatio.

In altri termini: la Missiologia ha nella teologia della Missione il


suo nerbo ed il suo fondamento, il suo asse centrale. entro questo
alveo si collocano la teologia delle religioni, molte questioni e temi
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 127

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 127

di ecclesiologia, argomenti afferenti all’ambito della teologia Morale


e Fondamentale. esiste tuttavia anche il versante pratico, quello
dell’attività missionaria: questa implica l’apporto delle conoscenze
che provengono dall’etnologia, dalla Filosofia, dalla storia, dall’An-
tropologia culturale, dalla Psicologia della religione ecc. di qui la
complessità di un progetto di formazione missiologica che rispecchi
un’indirizzo multidisciplinare. di per sé quest’ultimo non è una no-
vità dei giorni nostri: l’antico collegio romano dove si formarono i
primi missionari gesuiti destinati alla cina presentava un pro-
gramma di studi che, avendo al vertice la teologia, includeva al con-
tempo un ampio spettro di discipline umane252.

Queste ultime considerazioni ci conducono infine ad una rifles-


sione sul ruolo della Facoltà di Missiologia della Pontificia Università
gregoriana. nel 1960, celebrando i 25 anni della Facoltà, si faceva
osservare che “i problemi delle missioni non costituiscono affatto
una ‘riserva di caccia’ per i soli professori o allievi della Facoltà di
Missiologia…”253, ma un tema e una preoccupazione comune, in
virtù della comune vocazione cristiana di tutti noi e della nostra ap-
partenenza alla chiesa. la Facoltà di Missiologia ha preso vita negli
anni trenta, tempo in cui la chiesa era attraversata da un profondo
risveglio missionario essenzialmente incentrato sulla missio ad gen-
tes.

nel corso dei decenni, questa istituzione ha servito la chiesa non


solo preparando decine e decine di futuri missionari, ma perse-
guendo al contempo l’impegno accademico e scientifico di promuo-
vere studi sulla complessa realtà della missione, sia come tema
dogmatico, che in altre prospettive.

Proprio in virtù della complessità del compito affidatole e del


ruolo che essa è stata chiamata a ricoprire negli anni, persino quello
di provare come “i problemi della missione non costituiscono una
riserva di caccia”, dobbiamo includere nella memoria di questa sto-
ria di Facoltà anche i momenti di crisi, l’ultima delle quali assai re-

252
cfr. n. stAndAert, “the roman college and the Missions: Mutual Influence and Interac-
tion”, in Atti del Solenne Atto Accademico in occasione del 450° anniversario della Fondazione
del Collegio Romano 1551-2001 (Roma, 4-5 aprile 2001) (roma: edizione nuove dimensioni
2001), 111–26.
253
“la Faculté de Missiologie à l’Université gregorienne. Vingt-cinq ans d’activité 1932-
1957. Preface,” in Studia Missionalia 10 (1960): IV-V.
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128 IlArIA MorAlI

cente e forse la più travagliata in assoluto. Parlarne dopo aver a


lungo illustrato il travaglio del decreto ha dunque un senso, perché,
come si è visto studiando l’iter del documento, le crisi sono di per
sé salutari, quando in luogo di evitarle o di ignorarle, si accetta di
viverle fino in fondo alla ricerca di una risposta risolutiva che segni
un nuovo punto di partenza. È grazie all’intensità del travaglio che
ha accompagnato il percorso di questo ultimo decennio che, ottan-
tanni dopo la sua fondazione, la Facoltà di Missiologia si presenta
oggi con un volto rinnovato e con una vitalità inaspettata. A parere
di chi scrive e senza esagerare si è trattato, anche qui, di un durus
labor. la missione è in se stessa un durus labor, come molte pagine
di storia missionaria testimoniano appieno. In ragione dei cambia-
menti e delle sfide intervenuti nel post-concilio in materia di mis-
sione, la ricerca di un nuovo assetto di Facoltà non poteva che
tradursi in un fattivo ascolto delle nuove istanze della chiesa. A dif-
ferenza di ciò che avveniva negli anni trenta, ove per missione si
intendeva soprattutto e solo la missio ad gentes, si è dovuto tener
conto che oggi l’accezione di missione è assai più ampia essendo in
maggiore evidenza la responsabilità di ogni battezzato, ovunque
egli si trovi ad operare e a testimoniare il Vangelo.
Proprio in ragione della confusione di cui soffre la riflessione
sulla missione della chiesa oggi, come si è ampiamente dimostrato
poc’anzi, tra i compiti più urgenti di questa nostra Facoltà vi è cer-
tamente quello di ridare spessore alla teologia della Missione, uno
spessore autenticamente ‘conciliare’, come pure quello di affrontare
più direttamente quei temi di fede ‘di frontiera’ che, nonostante
l’importanza che essi detengono per la chiesa d’oggi, non trovano
considerazione nelle esposizioni odierne dei trattati di teologia
dogmatica e Fondamentale. si schiude dunque un percorso artico-
lato e coraggioso, nel solco dell’insegnamento conciliare.

Con una tesi diretta da P. K. J. Becker S.J., Ilaria Morali ha conseguito il dottorato in
Teologia Dogmatica (1997) presso la Facoltà di Teologia della Pontificia Università Gre-
goriana insegnando nella stessa Facoltà per diversi anni (1994-2008). Entrata successiva-
mente a far parte della Facoltà di Missiologia (2007), è stata nominata professore
straordinario (2011) e Direttore del Dipartimento di Missiologia (2012) concorrendo al
progetto di ristrutturazione della Facoltà. Membro dell’Accademie Internationale de
Science religieuse (2007), è stata di recente nominata da Papa Francesco Consultore del
Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso (2014). Nella sua produzione letteraria
04 - Cap.2 Morali_Layout 1 02/12/2014 9.25 Pagina 129

I PrIncIPI dottrInAlI del decreto AD GEnTES 129

come nel suo insegnamento privilegia la trattazione di temi inerenti alla Dottrina della
Grazia, alla Teologia delle Religioni, come pure al dibattito sul rapporto Cristianesimo-
altre religioni sviluppatosi in varie epoche nella Teologia. Numerosi sono per altro anche
gli studi da lei condotti sul Concilio Vaticano II in rapporto a questi ambiti tematici. Tra
le sue pubblicazioni: La salvezza dei non cristiani. L’influsso di de Lubac sulla dottrina del Vaticano
II, (Bologna: EMI 1999); H. de Lubac, (Collana “Novecento Teologico”n. 8 - Brescia: Mor-
celliana: 2002). Di recente, in collaborazione con K. Josef Becker S.-J., ha pubblicato lo
studio Catholic Engagement with Worldreligions: A Comprehensive Study, (Faith Meets Faith)
(New York: Orbis Book 2010).

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