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controllare il compenso
alterazioni macroangiopatiche
(cfr ateromasia) e le complicanze microangiopatiche (per es. neuropatia diabetica, retinopatia ecc.).
Esistono studi che correlano, nell'anziano diabetico, le complicanze col rischio di morte per cause
vascolari. Il diabetico tipo2, senza opportune cure, muore nel 40% dei casi per complicanze
della cardiopatia ischemica, nel 15% per cardiopatia in genere, nel 13% per tumori, stante
l’obesità del diabetico, nel 10% dei casi, infine, per ictus cerebri. Per queste ragioni nel complesso
di dice che l’aspettativa di vita in un diabetico tipo 2 è in media 8 anni: stiamo facendo riferimento
ovviamente al paziente che non si sottopone agli opportuni follow-up ed è già affetto da
macroangiopatie. Il rischio di infarto del miocardio è nell’uomo aumentato di 2 volte, nella donna
da 4 a 5 volte, vedi Framingham Study e Joslin patients. Nel 20% dei casi il paziente muore per
malattia cardiovascolare in 10 anni. Se, poi, al diabete si aggiungono altri fattori di rischio
come ipertensione e dislipidemia e fumo (cfr anche diabete e fumo) allora il rischio si impenna e da
uno studio di evince che la malattia cardiovascolare cresce fino alla punta di 120 persone per
10.000/anno. In buona sostanza non è la glicemia alta che ci preoccupa nel diabetico ma le
complicanze vascolari a cui va incontro. Da qui l'importanza dei target terapeutici. (per es. il buon
controllo del colesterolo, dei trigliceridi, della pressione arteriosa, life style, dieta ecc.).
Spesa sanitaria.
La spesa sanitaria in Italia è in aumento per la gestione globale del paziente diabetico (6,5% della
spesa globale), sia per le spese che derivano dalle ospedalizzazioni, spese ambulatoriali e spese per i
farmaci.
paziente
“ “ microangiopatie 8.023
La spesa individuale per paziente cresce, ovviamente, al crescere delle complicanze, per es.
microangiopatiche, cioè per spese connesse al trattamento per es. della nefropatia. Della spesa
a prevenzione e screening, come ampiamente spiegato in questo mio sitoweb. Esiste sempre sul
Siete andati dal vostro diabetologo di fiducia per una visita di controllo e questi vi
ha richiesto delle indagini di routine per il diabetico. Se non siete sicuri che vi
abbia richiesto quanto avrebbe dovuto, appreso riportiamo le principali indagini
che di norma debbono essere prescritte al paziente diabetico.
effettuati in un periodo di 2-3 mesi nell’ambito dello studio DCCT (cfr anche gli
64
8 205
75
9 240
86
10 275
97
11 310
102
12 345
Microalbuminuria
Creatinina
Il dosaggio della creatinina nel sangue è espressione della salute del rene.
Infatti questa molecola esprime la capacità del rene di depurare il sangue dalle
score del metabolismo proteico; valori superiori a 1.4 stanno ad indicare la
presenza di insufficienza renale. La sua determinazione è importante non solo
per documentare un danno al rene, ma anche per decidere quali farmaci
possono essere somministrati.
E un esame ancora più specifico che il medico richiede, specie nel diabetico, per
studiare ulteriormente la funzionalità renale. La clearance della creatinina
esprime la capacità del rene di liberare il sangue dalle scorie azotate nel senso
di una valutazione del volume di sangue che il rene riesce a filtrare al minuto,
espressione questo valore della capacità funzionale residua del rene stesso. In
sostanza, più è alto il valore di ml al minuto e più alta è la capacità detossicante
dell’emuntorio renale. il volume di sangue che il rene filtra al minuto è la
clearance; è fondamentale la raccolta corretta delle urine delle 24 ore.
Esame urine
Urinocoltura
Serve per rilevare le infezioni delle vie urinarie; un campione di urine viene
"seminato" in apposite piastre (terreni di coltura) e si valuta la comparsa di
colonie batteriche. Concentrazioni elevate di batteri, anche in assenza di disturbi
urinari, richiedono terapia antibiotica Valori nella norma: negativa
Colesterolo totale
Il colesterolo è dannoso per le arterie e quando i suoi valori sono elevati nel
tempo determina la formazione della placca aterosclerotica, a sua volta causa
degli incidenti cardiovascolari (infarto ed ictus);
Valori nella norma: inferiori a 190 mg%
HDL colesterolo
LDL colesterolo
Trigliceridi
Sono spesso elevati nel diabete tipo 2; anche queste molecole contribuiscono
all'aterosclerosi
mente il caso di quella nostra giovane paziente di nazionalità eritrea, seguita nelle nostre
divisioni di Medicina Interna, per la quale fu posta diagnosi di diabete mellito tipo 1 e che
necessitò di una terapia insulina intensiva a schema basal-bolus (cfr terapia insulinica
oggi), per cui fu necessario rivolgerci al servizio sociale competente che seguiva questa
forse non ancora in regola con i documenti. Infatti il problema dei paesi emergenti del
cosiddetto “terzo mondo” è la gestione del diabete mellito per il prossimo ventennio,
quando quasi 370 milioni di persone saranno diabetiche ( Introduzione al diabete mellito )
e non vi saranno risorse sufficienti per la cura di tutti. Ma quando un paziente giunge
all'ambulatorio del diabetologo, cosa occorre fare per approcciarlo? Vediamolo insieme.
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Una volta a casa come si deve seguire e curare una persona diabetica?
Le persone affette da diabete devono ricevere le cure da parte del medico di medicina
trattamento di una patologia cronica. (Livello della prova VI, Forza della
raccomandazione B). Questo è quanto dispongono le nuove linee guida 2010 per il
trattamento del diabete mellito, ma si tratta di consigli non facilmente applicabili. Chi vi
scrive, per esempio, si confronta con difficoltà ben maggiori nella gestione del paziente
diabetico, dove spesso, se il medico diabetologo non è disponibile a seguire non solo
coloro che accedono al servizio diabetologico essendo in lista per le visite, ma anche chi
necessita di una valutazione urgente e se non intende collaborare col medico di medicina
generale, si determina un danno ai fini del buon controllo e della buona gestione del
I diabetici devono assumere un ruolo attivo nel piano di cura, formulato come un’alleanza
diabetologico. Attenzione particolare deve essere posta all’età del paziente, all’attività
gestione della malattia. L’attuazione del piano di cura richiede che ogni aspetto sia stato
chiarito e concordato tra il paziente e il team diabetologico e che gli obiettivi identificati
siano raggiungibili. (Livello della prova VI, Forza della raccomandazione B). Queste
direttive sono quelli più auspicabili, dove spesso, ribadiamo, ci imbattiamo nel problema
della gestione di base del paziente, ciò per politiche miopi che non vedono nell’arma
dellaprevenzione e della spesa in prevenzione la risposta ai disagi che si creeranno a breve
nella gestione intensiva del paziente diabetico in ospedale con diabete, che non è solo il
paziente con le glicemie elevate, ma il paziente a rischio cardiovascolare, quello col piede
VALUTAZIONE INIZIALE
La prima valutazione di un paziente diabetico deve comprendere una visita
medica completa – estesa anche alla ricerca di complicanze croniche, sia macro
che microangiopatiche ( cfr i seguenti link: Il piede diabetico La retinopatia
diabetica La retinopatia diabetica, prevenzione e cura La nefropatia
diabetica La neuropatia diabetica Dolore alle gambe e diabete, fai il test e
scopri se è neuropatia La neuropatia diabetica, le varie manifestazioni
sistemiche ) della malattia già in atto.
Occorre valutare gli esami di laboratorio:
HbA1c % glicemia
plasmatica media
espressa in mg/dl
6 135
7 170
8 205
9 240
10 275
11 310
12 345
• Profilo lipidico a digiuno, comprendente colesterolo totale, colesterolo HDL,
trigliceridi e colesterolo LDL.
• Test di funzionalità epatica ed eventuali approfondimenti nel sospetto
di steatosi o epatite.
Per insulinoresistenza si intende la bassa sensibilità delle cellule all'azione dell'insulina, il che può
portare adiabete mellito di tipo 2, le cause possono essere ormonali (le più comuni), genetiche, o
farmacologiche.
Cause ormonali.
all'interno delle cellule, esso si lega a un recettore proteico che si trova nella membrana cellulare,
questo legame causa a sua volta tutta una serie di eventi metabolici (una via di trasduzione del
segnale) che da ultimo, attraverso le proteina IRS, causa l'ingresso del glucosio all'interno della
cellula ed il suo accumulo nel fegato. Questo è l’organo di deposito del glucosio, che nelle prime
ore del digiuno, cioè dalla 4-5° ora dal pasto, supplisce al fabbisogno di glucosio e tiene i livelli di
glicemie elevati nel sangue, grazie all’azione di gluoconeogenesi (cfr glicidi). Nel paziente,
diabetico, invece, come appresso spiegato, il fegato continua a dismettere glucosio anche nel post-
sottolineare che i rapporti tra diabete e fegato sono complessi e, come già accennato, differenti a
seconda del tempo di esordio del diabete rispetto all'epatopatia. Se vi è un elemento comune è
l'insorgere di insulino-resistenza, cui possono poi associarsi, nel diabete cosiddetto "epatogeno",
altri fattori quali l'alterata risposta delle cellule beta insulari e la ridotta clearance epatica
dell'insulina. Va detto che molti ormoni (cortisolo e glucocorticoidi, ma anche GH, glucagone,
adrenalina), antagonizzano l'azione insulinica, perché se questa non fosse limitata si andrebbe
(come accade ad esempio nei casi più gravi della sindrome di Addison). Questi ormoni
dei recettori insulinici con l'insulina stessa abbassando quindi la capacità legante del'insulina con il
suo recettore, in più inibiscono la sintesi della proteina IRS-I, il GH diminuisce il numero dei
recettori insulinici. Ovviamente l'equilibrio di questi sostanze è indispensabile per una corretta
azione insulinica, tuttavia quando gli ormoni che antagonizzano l'insulina sono in eccesso (come
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che ha azione pro infiammatoria. Ne deriva una cascata di reazioni infiammatorie rappresentate da:
· Disfunzione endoteliale
· Ipercoagulabilità
· Infiammazione
· Eterogenesi
· Fibrogenesi
· Crescita cellulare
enzimi finalizzati alla conversione dell'eccesso di glucosio in acidi grassi. Un terzo fattore
mediatori infiammatori, inclusi TNFa, IL6 e IL1 β, nonché l'attivazione delle cellule di
Kupffer. Inoltre, nel soggetto obeso, aumentati livelli circolanti di leptina e ridotti livelli di
adiponectina possono contribuire alla progressione della steatosi a NASH. La leptina
soppressa daI TNFa rilasciato dai macrofagi del tessuto adiposo. Iperinsulinemia e
Tissue Growth Factor (CTGF) nelle cellule stellate epatiche con conseguente
epatiche possono poi essere stimolate direttamente sia dalla leptina che attraverso
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Secrezione insulinica.
Una volta che il glucosio è in circolo,
dopo l’assimilazione degli alimenti, tale
molecola è alla base dei meccanismi che
conducono al rilascio di insulina. Infatti si
ritiene che il glucosio entri nella cellula
beta ad opera di specifici gluco-
trasportatori, in particolare GLUT2 e
GLUT1; quindi il glucosio viene
fosforilato dall’enzina glucochinasi e quindi avviato alla catena gli colitica. Il
piruvato che ne deriva entra nel mitocondrio attraverso il ciclo degli acidi
tricarbossilici ed i successivi avvenimenti mitocondriali della catena respiratoria
portano alla produzione di ATP. L’aumento del rapporto ATP/ADP induce la
chiusura a livello della membrana cellulare del canale del potassio ATP
dipendente, cui consegue l’apertura dei canali del calcio voltaggio-dipendenti,
con ingresso degli ioni calcio nella cellula. Quest’ultimo meccanismo determina
la liberazione di insulina attraverso la degranulazione. Tale liberazione
riconosce una prima fase rapida a cui segue una fase prolungata; inoltre la
secrezione è pulsatile. Fino a quando la massa delle insule è conservata o,
addirittura, accresciuta come nel giovane, tutto rientra nella fisiologia dei
metabolismi. Quando, invece, si va avanti negli anni, allora i fenomeni
apoptosici prevalgono sulla rigenerazione cellulare. Nell’orizzonte del diabete,
un ruolo chiave è svolto, ancora, dalla cellula alfa pancreatica, che ha una
funzione antitetica a quella beta e che produce il glucagone. Il glucagone
promuove il rilascio di glucosio dal fegato nel periodo di digiuno, cioè a 3-4 ore
dal pasto, evitando le pericolose crisi ipoglicemiche. Il problema, però, è che nel
diabete, quando cioè la glicemia è elevata anche a digiuno, il glucagone è
sempre attivo e la neoglucogenesi avviene perfino contro valori di glicemia
elevate in circolo. A livello delle cellule bersaglio il glucagone si lega a specifici
recettori di membrana e tale evento attiva l’enzima adenilato ciclasi che a sua
volta catalizza la reazione dell’ATP in AMP ciclico e che a sua volta attiva delle
protein chinasi dette AMP ciclico dipendenti e dunque la fosforilazione di enzimi
intracellulari responsabili dell’effetto del glucagone. Nel diabetico l’attvità
dell’alfa cellula è esagerata e cosi pure la cellula alfa non riconosce lo stimolo
inibitorio esercitato dall’elevata glicemia. Alcuni autori parlerebbero anche di
aumento di volume delle cellule alfa nel diabetico.
Stando così le cose nel paziente diabetico, ai fini del trattamento occorre
tenere presente che:
· Le cellule beta sono ridotte di
numero e la funzione beta-cellulare va
incontro ad esaurimento
MODY2 glucochinasi 7q
MODY3 HNF-1alfa 12
MODY5 HNF-1Beta -
1?
I familiari di primo grado dei pazienti affetti da diabete di tipo 1 hanno un maggior rischio di
sviluppare la malattia rispetto alla popolazione generale. Si calcola che la prevalenza del
diabete nei gemelli omozigoti e nei fratelli dei pazienti con diabete di tipo 1 è
rispettivamente del 35-50% e del 5-7% versus 0,3-5% della popolazione in genere. Il fatto
di dosare i marker immunologici, cioè gli anticorpi anti ICA ed anti-GAD, anti-IA2 e IAA
Fratelli 5-7%
Padre 9-10%
Madre 3-4%
Epidemiologia.
Nella popolazione europea la prevalenza del diabete di tipo 1 è di norma tra lo 0,2-0,4%
dei casi e l’incidenza nella popolzione è di 6 nuovi casi per anno su 100.000 abitanti, ma in
Sardegna addirittura 30 soggetti diventano diabetici di tipo 1 ogni 100.000 persone per
ogni anno. Quando parliamo di diabete di tipo 1 facciamo riferimento a soggetti giovani,
cioè con età inferiore a 30 anni, con un picco di incidenza fra i 12 ed i 14 anni.
Eziopatogenesi
Esso è il risultato di un processo infiammatorio delle cellule beta delle isole di Langherans
abitualmente tanto più rapido quanto più giovane è un individuo, per cui nei bambini, e chi
vi scrive, ne ha contezza, quasi da subito è necessario ricorrere a terapia insulinica. Anche
negli adulti vi è un quadro simile, detto LADA o "Latent autoimmune diabetes of the adult".
Sono marker della distruzione delle cellule beta, ICA (anticorpi contro le cellule insulari),
IAA (anticorpi anti-insulina) e autoanticorpi contro alcuni antigeni pancreatici quali la GAD
IA-2 beta. Dal momento in cui si scoprono nel siero questi movimenti anticorpali, anni
dopo insorge la malattia, per cui tali soggetti sono spesso individuati nei familiari di questi
malati. Oggi ci si sta muovendo sperimentando dei metodi che possano prevenire
l’ionsorgenza dei diabete di tipo 1 in questi parenti con movimento anticorpale. Tuttavia
anche altre noxae concorrono alla genesi della malattia; in particolare l’ambiente e fattori
insorge in individuo che presentano alcuni geni dell’HLA situati nel braccio corto del
cromosoma 6 e con gli alleli del locus DR (DR3 e DR4) e del locus DQ. Viceversa chi
possiede gli alleli DR2/DQ6 è protetto dalla malattia. Altri autori hanno studiato altri geni
localizzati nella regione della classe I e denominati MIC (MHC class I chain related genes)
e distinti in 5 classi di cui 2 codificanti (MIC-A e B) e tre non codificanti (C, D, E). Fra essi il
MIC-A è risultato più frequente nei soggetti malati.I fattori ambientali sono rappresentati
dai virus e forse da alcuni alimenti. I virus responsabili del diabete di tipo 1 hanno un
particolare effetto citolitico (di distruzione) della cellula beta e ne provocano la distruzione
della parotite e della rosolia. Questo provoca il diabete nel 20% dei neonati. Fra i cibi
alcuni parlano di latte bovino come responsabile di insorgenza di malattia, nei neonati non
allattati al seno, forse per meccanismo correlato ed innescano dalla albumina bovina. Si
Il quadro clinico.
Si caratterizza per poliuria, polidipsia, polifagia, perdita di peso, astenia ed è
paziente, giovane, o addirittura bambino o perfino neonato, giunge alla visita dal pediatra
perchè non cresce, perchè ha infezioni, cistiti, otiti, diarrea, febbri continue e ricorrenti.
Una volta fatta la diagnosi, i genitori o lo stesso paziente devono essere istruiti per una
gestione ottimale della sua patologia. Il primo passo consiste in un adeguato autocontrollo
delle glicemie che è fondamentale per questo tipo di pazienti. Chi vi scrive l’altra sera si è
imbattuto in una signora gravida affetta da diabete di tipo 1 che sapeva perfino calcolare le
microinfusore con estrema precisione! Inoltre è importante la dieta, l’indice glicemico dei
vari alimenti (non è la stessa cosa mangiare dolci o legumi!), la sostituzione degli
alimenti e l’esercizio fisico, Il paziente con diabete di tipo 1 deve sapere affrontare le
Cura.
presentano più alcuna produzione residua di insulina da parte delle cellule beta che sono
andate distrutte. Inoltre anche la dieta deve essere abbinata al trattamento insulinico. E’
chiaro che sul piatto della bilancia terapeutica mettiamo un quantitativo standard di
carboidrati a cui va contrapposto un dosaggio insulinico in unità sempre fisso. Gli scopi di
una terapia insulinica intensa sono indicati per proteggere dalla chetoacidosi
"malattia con la glicemia elevata", ma la "Malattia dei vasi sanguigni che si associa a
glicemie elevate". Significa che il primo danno ce lo abbiamo a livello dei vasi piccoli
(microangiopatia) e numerosi studi clinici prospettici controllati, europei e del nord
america, hanno dimostrato come tale complicanze possono essere ridotte del 76%, prima
fra tutte la retinopatia diabetica, che rappresenta la prima causa di cecità dei pazienti in
della neuropatia diabetica. Sono per queste ragioni candidati ad una terapia insulinica
intensa i diabetici di tipo 1, subito dopo la diagnosi di diabete, per impedire l’insorgenza di
queste gravi infermità (prevenzione primaria). Lo stesso dicasi per gli altri soggetti
diabetici sempre di tipo 1 anche se hanno delle lesioni iniziali (prevenzione secondaria).
complicanze micro e macroangiopatiche, per cui viene accettato che la glicemia a 2 ore
dopo OGTT (cfr diagnosi di diabete) ha un significato predittivo maggiore rispetto alla
glicemia a digiuno per l’eventuale insorgenza di queste complicanze (cfr linee guida per il
generale)
Se nelle prime fasi, ove ancora sia possibile riscontrare una debole produzione di insulina
da parte delle cellule beta, è possibile applicare uno schema a tre somministrazioni di
insulina pronta, da somministrare prima del pasto, ma si tratta di ipotesi molto remota. Più
aspart e glulisine) circa 15-20 minuti prima del pasto, essendo sicuri che il soggetto si
anglosassoni). L’insulina intermedia NPH ha una durata d’azione di 8-9 ore, per cui si
pericolose ipoglicemie notturne delle ore 2 o l’effetto Somogy. Le insuline umane regolare
che coprono 5-6 ore non sono idonee per coprire l’intervallo fra il pranzo e la cena e
necessitano di integrare il trattamento con insuline NPH, per avere un "effetto coda" che
consenta il controllo delle glicemie fino alla successiva somministrazione dell’insulina della
cena. L’insulina va iniettata preferibilmente nella pancia in questi pazienti, per avere un
sensibilità individuale di un soggetto all’insulina, dal tipo di alimenti di cui si ciba, dal loro
valore glicemico, dal tipo di attività che compie e, perciò, non è possibile quantizzare con
10 unità a pranzo
8 unità a cena
ipoglicemie).
Il vantaggio nell’impiego di insuline analogo rapido è ottimale per il controllo delle glicemie
nel post-prandium. Infatti l’insulina umana regolare si deve sciogliere dalla forma
esamerica iniziale, in dimeri e poi in monomeri e ciò accade con ritardo per cui è
necessario somministrarla almento 30 minuti prima del pasto. Invece le nuove insuline
analogo rapido, presentando una modifica nella costituzione aminoacidica, passano subito
picco di azione a 60 minuti, per cui sono sufficienti anche soli 20 minuti di anticipo sulla
somministrazione al pasto. Però la loro durata di azione è limitata all’arco delle 3-4 ore,
quando furono impiegate al posto delle insuline umane regolari, si notò che dopo 3-4 ore
intero l’arco di tempo che intercorre dalla somministrazione preprandiale alla cena. Per
questo motivo è opportuno che i soggetti con diabete tipo 1, nel caso ciò sia
particolarmente evidente, cioè che le glicemie si impennino dopo 4 ore dal pasto,
colazione, 60/40 a pranzo ed 80/20 a cena, se la cena viene consumata già alle 18,30-
19:00, mentre dopo le 20 è sufficiente impiegare la sola insulina analogo. Una volta giunti
al momento fatidico del "bed-time" si impiegano le insuline NPH, lente con azione di poco
superiore alle 8 ore. Oggi, tuttavia, sono disponibili le insuline analoghe in forma ritardo.
che una volta iniettate sono poco solubili nel sottocutaneo e precipitano, col vantaggio che
mediante un sistema a pompa, la fisiologica emissione di insulina dalla beta cellula, cioè ai
pasti e nell’arco delle 24 ore, come quota basale. I microinfusori vengono caricati con
insulina analogo, circa 250 unità e programmati per svolgere questo compito. I problemi
Esercizio fisico.
E’ auspicabile e rappresenta un cardine della cura del paziente diabetico. L’esercizio fisico,
tuttavia espone a dei rischi rappresentati dalla ipoglicemia e dovrebbe pertanto essere
effettuato dopo 2-3 ore dalla somministrazione di insulina ed evitato se le glicemie sono
maggiori di 250 mg/dl. Durante l’esercizio fisico è opportuno avere sempre con sé qualche
biscotto per evitare pericolose ipoglicemie. Vanno ovviamente evitati gli sports pericolosi:
Parlando di diabete mellito, facciamo quasi sempre riferimento al tipo 2 che rappresenta
da solo circa il 90% di tutti i casi di diabete e la cui prevalenza in atto è del 3% nella
popolazione, ma supera il 10% nei soggetti con età maggiore di 65 anni ed è in continuo
aumento nel mondo. Infatti rappresenta un’emergenza per le popolazioni che si stanno
caratterizza per un esordio lento e graduale dopo i trenta anni di età, essendo associato a
condizioni quali l’obesità nell’80% dei casi. Talora però giungono pazienti in ospedale con
glicemie elevatissime, senza storia di diabete, per i quali, già da subito, occorre
impostare terapia insulinica. Si tratta in genere di soggetti con infezioni in atto, traumi o
altre condizioni stressanti o dopo interventi chirurgici. In ospedale, per altro, la terapia dei
soggetti diabetici, specie se anziani, in acuto si avvale del trattamento insulinico, la terapia
orale in genere non è sempre indicata. Negli altri casi, invece, i diabetici di tipo 2 non
necessitano di insulina già dalle prime battute, ma solo nelle ultime fasi della storia
naturale del diabete, quando cioè la cellula beta del pancreas si è esaurita. In tal caso,
Familiarità.
Il diabete presenta una forte aggregazione familiare, una componente genetica ereditaria
multifattoriale. Sia l’obesità centrale, che la mancata attività fisica dei soggetti occidentali,
sempre in giro con le loro macchine, immobili in ufficio, come il sottoscritto che scrive
insulinoresistenza dei tessuti quali quello adiposo, il fegato ed il muscolo. Ne deriva che le
iperinsulinismo (cfr IFG e/o IGT). Così nelle prime fasi in cui si instaura il diabete, la cellula
beta perde la sua capacità di incrementare la fase precoce di secrezione insulinica, cioè
Il diabete di tipo 2, però, poiché non tutti i mali vengono singolarmente, si associa ad altre
Mody.
Il mody è una forma di diabete di tipo 2 che insorge nel giovane anziché nell’anziano e del
quale si conoscono 5 varietà, dovute ad altrettanti difetti genetici per il quale si rimanda al
link specifico sulla classificazione del diabete mellito. Qui diremo che si caratterizza per
una lieve iperglicemia fino dalla giovane età, essendo evidenziabile una familiarità
notevole dell’affezione. Il tipo con alterazione della HNF-1 alfa (fattore epatico di
Noi abbiamo parlato del diabete di tipo1 ed abbiamo detto che la sua eziopatogenesi è
autoimmune. Tuttavia si è visto che un ragionamento analogo può essere condotto anche
per il diabete di tipo 2. Infatti esiste il LADA che colpisce pazienti anziani, magri i quali
hanno marcatori autoimmuni ed un’insulite alla base dell’insorgenza del loro diabete ma
sono sempre soggetti che non necessitano di terapia insulinica, a differenza di quelli di
tipo 1.
Gli obiettivi sono stati chiariti dallo studio condotto dallo UKPDS o “United Kingdom
domicilio, cosa che deve saper attuare il paziente stesso. Lo studio fu impostato negli
intensivo con sulfoniluree o insulina, con riduzione della HBA1C dello 0,9% versus l’altro
gruppo in dietoterapia. Si è visto che i pazienti trattati in maniera adeguata avevano una
16% ed una riduzione della mortalità per diabete in soggetti in trattamento intensivo. In
pazienti affetti da diabete di tipo 2 trattati in terapia intensiva con sulfoniluree o insulina:
Inoltre l’impiego di metformina nei soggetti obesi ha dimostrato una minore incidenza di
quale esercita un’azione terapeutica differente non esclusivamente legata al suo effetto
ipoglicemizzante. Nei soggetti giovani, con età inferiore a 65 anni, il trattamento deve
essere intenso e mirante ad un controllo ottimale delle glicemie. Nei soggetti più anziani,
ipoglicemiche. Per cui è soddisfacente una glicata di 7.5-8.5% e glicemie a digiuno tra 150
Dieta.
deve contemplare alimenti con scarso apporto di zuccheri semplici altamente assimilabili
(cfr indice glicemico degli alimenti) e gli alimenti stessi vanno variati (cfr sostituzione degli
alimenti nel diabetico). Vanno sempre assunti i carboidrati checoprono il 50-60% delle
calorie totali, i grassi 25-30%, meglio se olii polinsaturi (alimenti giusti) e proteine intorno al
15%, in genere 1 g/kg peso. L’alcool va ridotto al solo vino rosso, qualche dito di bicchiere
per traverso!
Esercizio fisico.
Ha un’azione importante per il diabetico perché favorisce il decremento ponderale, riduce
insulina.
Terapia farmacologica.
E’ un atto esclusivo del medico specialista che ha in cura un paziente. Questa pagina
internet ha il solo scopo di fornire spiegazioni scientifiche. Si comincia con una cura step
by step e c’è sempre tanta confusione sul trattamento. Si parte con la dietoterapia e
miglitolo). Per il resto delle informazioni comincia a leggere i link con la freccia appresso
riportate.
Terapia insulinica.
Noi sappiamo che un soggetto che ha parenti diabetici di tipo 2 in famiglia può
a sua volta ammalare di diabete mellito tipo2. Se, inoltre, un soggetto ha la
pancia o se è obeso, allora potrà avere iperinsulinemia per controllare le sue
glicemie e tendere al diabete. Insomma dobbiamo fare prevenzione ed evitare
di ammalare. Vediamo se siete soggetti al diabete mellito tipo 2. Di che misura
è la vostra cintura? Perchè pancia = diabete. E poi, siete sedentari? Lavorate in
ufficio seduti molte ore al giorno? Oppure siete sportivi e fate corsa almeno per
30-40 minuti al giorno? Se è così, allora il vostro life style è ottimale ed
allontanate il rischio di diabete tipo 2 pur essendo, per esempio, predisposti per
familiarità.
P.
TEST PER RISCHIO DI DIABETE
<45 0
Età
45-48 2
55-64 3
>64 4
<25 0
BMI (cfr dieta)
25-30 1
>30 3
Uomini Donne 0
Circonferenza
vita <94 <80 3
(cfrsindrome cm cm
metabolica) 4
94-102 80-88
>102 >88
Svolge attività
fisica o lavori Si 0
per cui almeno
30 minuti al no 2
giorno è
impegnato
fisicamente?
Le è stato mai
detto che la Si 5
suaglicemia era
alta? Per no 0
esempio in
gravidanza o in
un esame?
FALSO 0
Nella sua
famiglia un Si, il nonno, uno 3
parente era zio o un cugino
diabetico. 5
Si, il padre, la
madre il fratello o
il figlio
PUNTEGGIO
12-14 moderato 1 su 6
15-20 alto 1 su 3
con diabete. Infatti un paziente diabetico ha una mortalità in Italia diabetici italiani
attua nei confronti del paziente diabetico opportune direttive, allora questo eccessivo
rischio di mortalità si riduce. Stiamo parlando del rischio di eventi cardiovascolari nel
diabetico, paziente che, in questo senso, viene paragonato al paziente non diabetico con
cardiovascolare col diabete, che come sappiamo, non è la malattia con la glicemia
elevata, ma la malattia dei vasi alterati (macro e microangiopatie) con glicemia elevata. I
sono da considerarsi a rischio cardiovascolare elevato in base all’età (>40 anni) e alla
presenza di uno o più fattori di rischio cardiovascolare. Infatti la diagnosi di diabete tipo 2 è
preceduta mediamente da una fase della durata di circa 7 anni nella quale la malattia è
silente ma il rischio cardiovascolare è già comparabile a quello del diabete noto. Il diabete
coesistenti, quali ipertensione, dislipidemia, fumo di sigaretta ecc., sono altrettanti fattori di
rischio cardiovascolari indipendenti. Studi clinici hanno dimostrato che ridurre i fattori di
con cardiopatia ischemica stabile ai quali era stata prescritta l’indicazione alla
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numerosi studi. Il San Antonio Heart Study ha evidenziato la presenza di un trend positivo
tra valori glicemici e mortalità cardiovascolare. I soggetti nel più alto quartile di glicemia
presentavano un rischio 4,7 volte più elevato rispetto a quelli nei due quartili più bassi. In
studi condotti in Finlandia è stata documentata una correlazione lineare tra controllo
glicemico e rischio coronarico in diabetici tipo 2 di età compresa tra i 45 e i 74 anni . Una
metanalisi di 10 studi osservazionali condotti negli ultimi due decenni, per un totale di 7435
soggetti con diabete tipo 2, ha esaminato la relazione tra HbA1c e rischio cardiovascolare:
è emerso che un aumento dell’HbA1c dell’1% è associato con un RR di 1,18 (IC 95%
rischio cardiovascolare è stata segnalata in numerosi studi, tra i quali il Nurses’ Health
Study. Nel 2001 i ricercatori del UKPDS hanno formulato un algoritmo nel quale vengono
presi in considerazione sia la durata di malattia sia il valore di HbA1c. Nel Verona Diabetes
Study – condotto su una coorte di 7168 soggetti con diabete mellito tipo 2 – gli SMR
(Standardized Mortality Ratios) di malattia cardiovascolare e di cardiopatia ischemica sono
risultati pari a 1,34 e 1,41 (16). Gli studi epidemiologici dimostrano chiaramente
è meno forte rispetto a quella presente con la microangiopatia. Gli studi di intervento tesi a
cardiovascolari non hanno dati risultati univoci: nell’UKPDS si è avuta una riduzione
dell’infarto del miocardio del 16% al limite della significatività statistica e anche lo studio
PROactive ha fornito dati di non facile interpretazione, non ottenendo una riduzione
recenti hanno dimostrato che l’ottimizzazione del controllo glicemico (HbA1C < 6,5% o <
7,0%) non ha portato a una riduzione significativa degli eventi cardiovascolari, anzi: in uno
di essi è stato riportato un aumento della mortalità totale e cardiovascolare nel gruppo a
controllo glicemico ottimizzato. Tali risultati, tuttavia, sono almeno in parte riconducibili ai
limiti intrinseci negli studi disponibili (inclusione di diabetici con lunga durata di malattia,
follow-up).L’importanza del buon controllo glicemico sin dalla diagnosi di diabete al fine di
effetti di un buon controllo glicemico, ottenuto nel passato, si traducano in una significativa
riduzione della mortalità e degli eventi cardiovascolari , in analogia a quanto già dimostrato
La dislipidemia diabetica.
Screening e monitoraggio
Il controllo del profilo lipidico completo (colesterolo totale, colesterolo HDL e trigliceridi)
deve essere effettuato almeno annualmente e a intervalli di tempo più ravvicinati in caso di
mancato raggiungimento dell’obiettivo terapeutico. (Livello della prova III, Forza della
raccomandazione B)
Obiettivi
Il colesterolo LDL deve essere considerato l’obiettivo primario della terapia e l’obiettivo
terapeutico da raggiungere è rappresentato da valori < 100 mg/dl. (Livello della prova I,
Nei diabetici con malattia cardiovascolare e fattori multipli di rischio cardiovascolare non
terapeutico opzionale. (Livello della prova II, Forza della raccomandazione B). Ulteriore
obiettivi della terapia sono il raggiungimento di valori di trigliceridi < 150 mg/dl e di
colesterolo HDL > 40 mg/dl nell’uomo e > 50 mg/dl nella donna. (Livello della prova III,
Forza della raccomandazione B). Il colesterolo non HDL può essere utilizzato come
obiettivo secondario (30 mg in più rispetto ai valori di colesterolo LDL) in particolare nei
diabetici con trigliceridemia superiore a 200 mg/dl. (Livello della prova III, Forza della
raccomandazione B)
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Anche i valori di apoB (< 90 mg/dl o 80 mg/dl nei pazienti a rischio molto elevato) possono
essere utilizzati come obiettivo secondario in particolare nei pazienti con trigliceridemia
> 200 mg/dl tenendo, però, presente che ci sono dei costi aggiuntivi e che le metodiche di
dosaggio non sono ancora uniformemente standardizzate. (Livello della prova III, Forza
della raccomandazione C)
Terapia
Nei diabetici con dislipidemia sono fondamentali le modificazioni dello stile di vita (dieta
glicemico e della pressione arteriosa, sospensione del fumo). (Livello della prova I,
Forza della raccomandazione A). Le statine sono i farmaci di prima scelta per la
farmacologia ipolipemizzante deve essere aggiunta alle modifiche dello stile di vita
indipendentemente dal valore di colesterolo LDL. (Livello della prova I, Forza della
raccomandazione A). Nei diabetici di età<40 anni e nessun fattore aggiuntivo di rischio
cardiovascolare, la terapia farmacologica con statine in aggiunta alle variazioni dello stile
di vita è indicata per valori di colesterolo LDL > 130mg/dl con l’intento di raggiungere
l’obiettivo terapeutico. (Livello della prova III, Forza della raccomandazione B). Nei
diabetici con ipertrigliceridemia, sia in prevenzione primaria sia in secondaria e con valori
ottimali di colesterolo LDL la terapia con fibrati può essere presa in considerazione.
(Livello della prova II, Forza della raccomandazione B). L’associazione statina
e fibrato può essere presa in considerazione per raggiungere gli obiettivi terapeutici, ma
diminuzione del colesterolo HDL, aumento delle LDL e HDL più piccole e dense, aumento
l’aumento del colesterolo LDL non è strettamente dipendente dalla presenza del diabete,
esso rimane il principale fattore lipidico di rischio cardiovascolare anche nel paziente
diabetico. Nel tentativo di tener conto sia del colesterolo LDL sia delle altre alterazioni
lipidiche più tipiche del diabete, al fine di meglio definire il rischio cardiovascolare della
malattia, sono stati proposti altri indici, quali il colesterolo non HDL e, più recentemente, il
delle metodiche rendono ancora difficile l’utilizzo su larga scala di quest’ultimo. Secondo
gli Annali AMD 2006 nei Servizi di Diabetologia italiani è stata eseguita almeno una
valutazione del profilo lipidico nell’ultimo anno nel 63% dei diabetici: di questi solo il 30%
presenta valori di colesterolo LDL < 100 mg. Tra i diabetici in trattamento ipolipemizzante,
inoltre, il 32% presenta valori di colesterolo LDL > 130 mg. Dallo studio DAI si ricava come
solo il 28% dei diabetici italiani con malattia cardiovascolare seguiti presso 201 Servizi di
Diabetologia negli anni 1998-1999 sia stato trattato con statine. Il confronto tra la coorte
del 1988 e quella del 2000 del Casale Monferrato Study mostra, tuttavia, un miglioramento
nel tempo: nell’anno 2000, infatti, i diabetici avevano una probabilità del 30% inferiore di
presentare valori di colesterolo LDL < 100 mg/dl rispetto all’anno 1988. Altri studi
sull’argomento, come lo studio Mind.it dimostrano che anche negli anni Duemila i pazienti
diabetici non a target per il colesterolo LDL sono ancora oltre l’80%. Evidenze scientifiche
sull’efficacia del trattamento ipolipidemizzante Numerosi trial clinici hanno fornito evidenze
con statine, nella popolazione generale – sia in prevenzione primaria sia in quella
proteina C reattiva. Gli studi effettuati nella popolazione diabetica sono, invece, in numero
inferiore. Due metanalisi di tali studi, però, una del 2006 e una del 2008, dimostrano che la
riduzione di 1 mmol di colesterolo LDL induce nei diabetici effetti almeno pari a quelli
ottenuti nei non diabetici: riduzione significativa della mortalità totale (9% nei diabetici vs.
13% nei non diabetici), di quella cardiovascolare (13 vs. 18%) e degli eventi
cardiovascolari (21% per entrambi). Inoltre, la riduzione sia del rischio relativo sia assoluto
pratica di questi risultati, due considerazioni devono essere fatte: 1) il numero di pazienti
da trattare (NNT) è decisamente più alto in prevenzione primaria (NNT 37) che in
prevenzione secondaria (NNT 15); 2) tutti i pazienti diabetici in prevenzione primaria che
hanno partecipato agli studi considerati in queste metanalisi avevano un elevato rischio
cardiovascolare (> 20% a 10 anni). Dalla metanalisi più recente risulta anche che il pur
piccolo gruppo di pazienti con diabete tipo 1 studiato riceve un beneficio significativo, in
termini di diminuzione degli eventi cardiovascolari, dalla riduzione del colesterolo LDL.
Pertanto, anche se i dati non sono ancora altrettanto forti, sembra che anche il paziente
con diabete tipo 1 debba essere trattato, specie se in presenza di altri fattori di rischio
Sulla base dei risultati ottenuti negli studi di intervento le principali linee-guida
sull’argomento sono concordi nell’indicare come obiettivo ottimale, per quanto riguarda il
colesterolo LDL, un valore < 100mg/dl per tutti i diabetici sia in prevenzione primaria che
per la copresenza di altri fattori di rischio, livelli di colesterolo LDL ancora più bassi (< 70
scelta. La combinazione di statine con altri agenti ipolipemizzanti, come l’ezetimibe, può
statina, ma non sono disponibili al momento studi di intervento che abbiano dimostrato
una superiorità di tale associazione nella prevenzione degli eventi cardiovascolari. Anche
se sulla base di numerosi studi epidemiologici sia l’ipertrigliceridemia che i bassi livelli di
mancano, a tutt’oggi, evidenze scientifiche solide sull’efficacia del loro trattamento nel
FIELD, specificamente disegnato per valutare la terapia con fenofibrato vs. placebo nei
diabetici tipo 2 (colesterolemia totale compresa tra 115 e 250 mg/dl; rapporto colesterolo
totale/colesterolo HDL > 4; trigliceridi > 90 mg/dl) la terapia con fenofibrato ha ridotto non
significativamente l’incidenza dell’endpoint primario (IMA fatale e non fatale, morte per
eventi coronarici acuti): HR 0,89 (IC 95% 0,75-1,05). È possibile che tali risultati siano
attribuibili alla maggiore frequenza di trattamento con statine nel braccio di controllo
rispetto al gruppo in farmaco attivo, ma, comunque, lo studio non fornisce evidenze di
livello sufficiente sul ruolo dei fibrati nella prevenzione cardiovascolare dei diabetici. Una
recente metanalisi degli studi di intervento con fibrati nei pazienti diabetici mostra una
riduzione significativa solo dell’infarto miocardio non fatale. Nella pratica clinica, essendo il
statine. I dati sulla sicurezza di tale associazione, specie in relazione al rischio di miopatia,
non sono definitivi, anche se lo stesso studio FIELD e altri di più breve durata
sembrerebbero indicare che l’aggiunta, in particolare, del fenofibrato alle statine non
rischio CVM, tenendo conto anche dei costi della gestione sanitaria in un contesto socio-
economico in cui non si può prescindere da una corretta allocazione delle risorse.Il gruppo
terapeutico assistenziale (PDTA) di facile consultazione basato sulle attuali linee guida
degli Interessi dei Diabetici (AID) e delle seguenti società scientifiche: Società Italiana di
(SIPREC), Società Italiana per lo Studio dell'Atcrosclerosi (SISA), Società Italiana di Nefro-
morte, rendendo conto del 28% di tutti i decessi, mentre gli eventi cerebrovascolari sono al
terzo posto con il 13%, dopo le neoplasie. La loro crescente prevalenza incide sulla salute
pubblica e sulle risorse sanitarie ed economiche. Molti dei fattori di rischio cardiovascolare
sono modificabili con cambiamenti dello stile di vita o con efficaci trattamenti farmacologici
e uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare è certamente il diabete tipo 2 (DMT2).
Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che nelle persone con diabete il rischio di
sviluppo di una strategia terapeutica per il DMT2 va ricordato che l'iperglicemia non si
arteriosa sono fattori di rischio per coronaropatia aggiuntivi all'iperglicemia nei soggetti
con DMT2 pone l'accento sull'importanza del trattamento delle concomitanti alterazioni
metaboliche e dell'ipertensione presenti nelle persone affette dalla malattia
stage renal disease) negli Stati Uniti e in Europa.In tutto il mondo la prevalenza
nefropatia diabetica; ciò è legato in primo luogo all'incremento della prevalenza del DMT2.
La nefropatia diabetica comporta una netta riduzione dell'aspettativa di vita dovuta in gran
renale terminale. Tra i fattori di rischio per lo sviluppo della nefropatia diabeticavi sono non
adeguate cure per il raggiungimento di obiettivi clinici mirati. Queste ultime sono spesso di
difficile lettura e quindi vengono disattese per mancanza di tempo, per la scarsa chiarezza,
l'esistenza di numerose linee guida internazionali e nazionali per il trattamento dei singoli
fattori di rischio:
· l'ipertensione arteriosa,
· la dislipidemia
· il diabete,
curare
riassumere i percorsi diagnostici, gli obiettivi terapeutici e le strategie di cura della persona
a rischio CVM, creando una sintesi delle diverse linee guida. Il PDTA CVM vuole essere
uno strumento utile per la gestione clinica da parte di chi eroga prestazioni sanitarie al fine
sulle prove (EBM) - la promozione della continuità assistenziale e l'integrazione fra gli
operatori sanitari. Inoltre, il PDTA CVM potrebbe rivelarsi uno
Nei soggetti sani si suggeriscono delle norme igienico-dietetiche (life style, dietoterapia,
astensione dal fumo; parimenti nei soggetti non sani sono suggerite le modifiche di stile di
vita, astensione dal fumo, attività fisica (30 minuti di marcia energica almeno 4 volte la
settimana) e una dieta normosodica (<3 g/die), con ridotto uso di grassi di origine animale,
Invece, nel caso in cui il soggetto presentasse familiarità per eventi CV precoci o
pressione arteriosa elevata (sistolica >140 e/o diastolica a 90 mmHg) o indice di massa
corporea >25 kg/m2 (cfr obesità)con età >45 anni si procede agli accertamenti e agli
interventi terapeutici previsti nel 2° livello. Il primo step del 2° livello, consigliato per un
serie di accertamenti diagnostici descritti nel Box 1 : glicemia a digiuno, colesterolo totale,
delle 24 ore e ECG da sforzo. Gli interventi terapeutici previsti nel 2° livello, in assenza
di diabete mellito e/o eventi cardiovascolari, sono focalizzati sul trattamento
dell'ipertensione arteriosa e della dislipidemia, due dei fattori di rischio CVM clinicamente
più rilevanti. Per la scelta del farmaco anti-ipertensivo il gruppo di lavoro multidisciplinare
inibitori o sartani in caso di danno. In caso di eventi patologici si consiglia l'uso di:
ACE-inibitori o sartani in caso di pregresso infarto acuto del miocardio (IMA); beta-
suggerisce l'uso di statine, con l'obiettivo di ottenere i seguenti valori target di colesterolo-
LDL: <130 mg/dl qualora non vi sia una storia di cardiopatia ischemica o di diabete; <100
mg/dl in caso di storia positiva di cardiopatia ischemica o di diabete; <70 mg/dl in caso di
storia positiva di cardiopatia ischemica e diabete. La terapia con statine dovrà comunque
tenere conto della valutazione dose/beneficio e del rischio globale. A tal scopo viene
proposto nella Tabella B un diagramma, utile per individuare il farmaco più appropriato, in
dosaggio.
È comunque evidenziato che l'obiettivo della terapia con statine è quello di raggiungere e
Una volta scelto il livello di partenza, il PDTA CVM si compone di box contenenti
vengono esaminati i fattori di rischio CVM: tabagismo, attività fisica o abitudini alimentari
del 3° livello, consigliato per soggetto affetto da diabete mellito, prevede l'esecuzione di
una serie di accertamenti diagnostici di 3° livello descritti nel Box 5, previo invio al team
con il medico di medicina generale (MMG). Gli accertamenti diagnostici includono: fundus
dei tronchi sovra-aortici (TSA) e dosaggio dell'albuminuria. Gli interventi terapeutici multi-
step previsti nel 3° livello sono riportati nel Box 6 e hanno come obiettivo il raggiungimento
sia per la pressione arteriosa sia per il colesterolo-LDL; nel 2° step si sug gerisce in caso
di mancato raggiungimento di HbAlc <7% l'uso della metformina con un dosaggio giornalie-
del percorso diagnostico, della stima del rischio cardiovascolare globale in accordo con le
I glucometri
Per questa ragione l’emoglobina glicata, la cui sigla è HbA1c, riflette i valori
della glicosilazione avvenuta nel corso degli ultimi tre mesi, ma non ci dà
informazioni che stabiliscano se la glicosilazione è avvenuta nel post-prandium o
a digiuno.
Ma se si modifica la cura?
Nei pazienti in cui è stata modificata la terapia ipoglicemizzante oppure
l’obiettivo terapeutico non è ancora stato raggiunto o non è stabile nel tempo, il
dosaggio dell’HbA1c deve essere effettuato ogni tre mesi. (Livello della prova VI,
Forza della raccomandazione B) . Il controllo glicemico è meglio valutabile se si
combinano i risultatidell’automonitoraggio glicemico e dell’HbA1c; quest’ultimo,
infatti, non dovrebbe essere utilizzato solo per valutare il controllo glicemico
degli ultimi 2-3 mesi, ma anche per verificare la precisione del reflettometro
utilizzato, il diario del paziente e l’adeguatezza del piano di automonitoraggio.
Esiste, peraltro una tabella che correla le glicemie alla glicata, sulla base dello
studio DCCT:
delle emoglobine possono essere responsabili di valori di HbA1c elevati, che non
Ma se si modifica la cura?
Media glicemia
HbA1c
plasmatica mg%
6 135
7 170
8 205
9 240
10 275
11 310
12 345
Il controllo glicemico è di fondamentale importanza nella gestione del diabete mellito. Studi clinici
randomizzati controllati come il DCCT e l’UKPDS hanno dimostrato come il miglioramento del
compenso glicemico (valori medi di HbA1c = 7%, 1% circa al di sopra del range di normalità) sia
associato alla riduzione dell’incidenza di complicanze microangiopatiche
(retinopatia, nefropatia e neuropatia) e cardiovascolari. Lo studio STENO-2 ha mostrato
come sia opportuno introdurre, accanto al buon compenso glicemico, anche un adeguato controllo
della dislipidemia e dell’ipertensione, nonché il trattamento con aspirina e ACE-inibitori nei
diabetici con microalbuminuria. Gli studi epidemiologici non sono stati in grado di evidenziare
alcun livello soglia nei valori di HbA1c; obiettivi glicemici più bassi (HbA1c <6%) possono quindi
essere perseguiti in singoli pazienti. Non sono, tuttavia, disponibili dati in grado di identificare i
diabetici a più elevato rischio di ipoglicemia grave, la cui frequenza è aumentata dal trattamento
trattamento, innalzando gli obiettivi glicemici. Il rischio assoluto e i benefici di valori di HbA1c
<6% sono attualmente in corso di valutazione in uno studio su diabetici tipo 2 [ACCORD (Action
to Control Cardiovascular Risk in Diabetes)]. Obiettivi di trattamento meno rigidi potrebbero essere
più appropriati nei diabetici con una ridotta aspettativa di vita e in quelli con comorbilità. Le linee-
guida europee indicano per i diabetici tipo 2 anziani e fragili − non autonomi, con patologia
età <13 anni. In alcuni studi epidemiologici un’elevata glicemia dopo carico (2-h OGTT) è stata
glicemia post-prandiale >140 mg/dl è inusuale in soggetti non diabetici, anche se abbondanti pasti
serali possono essere seguiti da valori glicemici fino a 180 mg/dl. Sono attualmente disponibili
l’HbA1c; pertanto, nei diabetici con valori ottimali di glicemia pre-prandiale, ma non di HbA1c, è
verosimilmente possibile ottenere una ulteriore riduzione dell’HbA1c con trattamenti miranti a
valori di glicemia post-prandiale (1-2 ore dopo l’inizio del pasto) <180 mg/dl o minori. In Italia, i
dati del file AMD mostrano che il 25,5% dei diabetici tipo 1 ed il 43,1% dei diabetici tipo 2 ha
valori di HbA1c <7% mentre il 20,3% dei diabetici tipo 1 e il 13% dei diabetici tipo 2 presenta
valori di HbA1c >9%. Il Casale Monferrato Study, tuttavia, ha mostrato come il compenso medio
sia decisamente migliorato nel tempo: mentre nel 1991 solo il 36,8% dei diabetici presentava valori
Ipoglicemie
“ “ microangiopatie 8.023
Complicato da Macro e microangiopatie 10.792
Il diabete mellito è una delle patologie considerate tra le più invalidanti. Infatti il
problema del diabete mellito non consiste semplicemente nel controllo
glicometabolico, cioè delleglicemie e del metabolismo dei grassi, ma nelle
complicanze macro e microangiopatiche che lo accompagnano inevitabilmente.
In tal senso è possibile accedere a tutte le agevolazioni, rapportate al grado di
invalidità, previste dalle leggi attuali. Mentre attualmente si tende a risparmiare
su tutto e su tutti, agevolare la persona diabetica significa spendere per
prevenire le sue complicanze future. Infatti, con un pò di lungimiranza, se un
diabetico è anche cardiopatico, cosa assai probabile, ed io lo stresso nei turni di
lavoro e lo mobilito, alla fine aggraverà la sua patologia di base e dovrà
ricoverarsi.
Ricordiamoci che un diabetico con complicanze macroangiopatiche
(ictus ed ischemia miocardica) e microangiopatiche (retinopatia, neuropatia e
nefropatia) o col piede diabetico, costa più di 10.800 euro per anno contro 1700
circa del paziente non diabetico! Quindi anche agevolarlo per consentirgli una
vita meno stressante significa. alla fine, investire sulla risorsa umana che
rappresenta e prevenire lo spreco che deriverà dal suo aggravamento di salute!
Seguono appresso una tabella dove si riporta la spesa in euro per il Diabete
Non Complicato, complicato da macroangiopatia, da microangiopatia e da
entrambe.
Provvidenze economiche
Esse sono previste dal D.P.R. 21 settembre 1994, n. 688 (G.U. n. 22 dicembre
1994, n. 298) riguarda infine il "Regolamento recante norme sul riordinamento
dei procedimenti in materia di riconoscimento delle minorazioni civili e sulla
concessione dei benefici economici".
· I cittadini con età compresa tra 18 e 65 anni e con invalidità pari al 100%
possono aver diritto a pensione di inabilità.
· Ai mutilati e invalidi civili minori di 18 anni è prevista la corresponsione di
un'indennità di frequenza.
· L'indennità di accompagnamento è corrisposta in caso di totale inabilità per
minorazioni fisiche o psichiche, l'impossibilità di deambulare, oppure
l'impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita
Diabete e invalidità
Le prime leggi che affrontano il problema dell'invalidità nei cittadini affetti da
diabete mellito (L.n° 118 del 30 marzo1971 e il D. Min. N° 282 del 27 luglio
1980) attribuivano al diabete invalidità da un massimo del 71-80% per il diabete
insulino-dipendente complicato con grave compromissione dello stato generale
ad un minimo del 31%-40%.
Considerazioni sull’assistenza
La carcerazione è un momento di stress per la persona affetta
da diabete perché la perdita di libertà e l'ambiente ostile, costituiscono motivo di
scompenso glicometabolico.
Inoltre, in pazienti in condizioni di restrizione della libertà, seppur
con la possibilità di un'ora d'aria al giorno, la possibilità di
mantenere una "life style" adeguata" è impossibile, perchè è
impossibile svolgere un programma sufficiente di attività fisica, specie dove la
Casa Circondariale non è attrezzata. Inoltre l'alimentazione del carcerato
potrebbe non essere quella giusta, nel senso che una persona con diabete a
casa può gestire al meglio la sua alimentazione, curando al massimo la qualità e
la quantità della suadieta per il diabete e così ottenendo un adeguato controllo
glicemico. Per quanto riguarda l’alimentazione, è utile sottolineare che le tabelle
vittuarie ministeriali non consentono una personalizzazione della dieta. Infatti
anche se ogni detenuto diabetico ha un menù che prevede un introito di 1800
kcal giornaliere, il cibo del carcere è a contenuto di grassi elevato e con
modesto apporto di verdure e dunque di fibre (cfr dieta e fibre). Stando così le
cose, il paziente che già non ha autostima e vive la sua giornata in branda,
finisce per ingrassare e scompensare le sue glicemie. Se il paziente
assume anti-diabetici orali del tipo di quelli che danno secrezione insulinica
(segretagoghi es. glibenclamide) si può configurare il rischio di crisi
ipoglicemiche. Inoltre un'altra difficoltà deriva dal fatto che non è possibile un
controllo delle complicanze del diabete, sia delle complicanze microangiopatiche
( La retinopatia diabetica La nefropatia diabetica nefropatia diabetica : la
cura La neuropatia diabetica, cioè i dolori agli arti e non solo! Dolore alle
gambe e diabete, fai il test e scopri se è neuropatia La neuropatia diabetica, le
varie manifestazioni sistemiche ) e macroangiopatiche (cfr arteriopatia
obliterante cronica ostruttiva ictus cerebrale ) nel paziente detenuto, a meno che
non si dispongano delle visite periodiche presso centri attrezzati, cosa che
accade anche presso la nostra struttura ospedaliera, dove seguiamo dei
detenuti dell'O.P.G. (Ospedale Psichiatrico Giudiziario). La persona diabetica
carcerata deve essere sottoposta al momento della reclusione ad una
valutazione clinica, allo scopo di garantire al massimo la sicurezza del
paziente, con riferimento all'identificazione immediata di tutti i pazienti a maggior
rischio di complicazioni metaboliche acute (ipo- e iperglicemia, chetoacidosi).
diabetologo che lo visita ai fini medico-legali per l’idoneità o meno alla guida,
ritiene opportuno limitare la durata della patente di guida, lo fa nell'interesse del
paziente, tenuto conto che in questo modo gli eviterà spiacevoli incidenti per sé
e per gli altri. Molti pazienti, invece, ci tediano e prendono a male e come una
sorta di punizione il giudizio "scarso" che esprime il diabetologo e la limitazione
nel tempo del rinnovo della patente di guida stessa. Per avere un rinnovo
protratto negli anni è opportuno avere un buon controllo delle glicemie, non
avere una severa retinopatia diabetica, per esempio la forma proliferativa o
avere effettuato le giuste cure con la laserterapia; problemi di nefropatia
diabetica, espressione di danno renale renale (microalbuminuria
nella nefropatia) e i dolori neuropatici agli arti inferiori espressione di neuropatia
diabetica. Occorre ancora non soffrire di problemi di cardiopatia ischemica ed
esseresoggetti a rischio cardiovasculometabolico; infatti è importante non non
avere avuto episodi ipoglicemici. Leggiamo appresso e
capiamo quali sono i criteri del rinnovo. Occorre
precisare che il paziente diabetico se ritenuto in
possesso dei requisiti per la guida del proprio
autoveicolo può essere abilitato in tal senso previa una
visita medica che di norma effettua dallo specialista diabetologo, essendo stato
inviato dal competente ufficio medico legale della azienda sanitaria. Il giudizio
finale di idoneità per patenti di categoria superiore (C, D, CE, DE) è di
competenza della Commissione medica locale. Anche per patenti di categorie A,
B e BE, la presenza di complicazioni diabetiche tali da determinare un rischio
elevato per la sicurezza della circolazione e dubbi per l’idoneità alla guida
richiede che il giudizio sia demandato alla Commissione medica locale. In casi
dubbi, lo specialista può comunque sempre demandare il giudizio di idoneità alla
Commissione medica locale.
Il giudizio di idoneità dello specialista deve basarsi su:
grado di controllo metabolico
sulla frequenza e le caratteristiche delle reazioni ipoglicemiche, nel senso che la
frequenza e le caratteristiche degli episodi ipoglicemici sono di grande
importanza: un giudizio "buono", "accettabile", o "scadente" viene attribuito a
seconda che il numero degli episodi in un mese sia <2, compreso fra 2 e 4, o
>4; in questo giudizio deve poi rientrare anche la valutazione della capacità di
avvertire l’ipoglicemia e di saperla gestire in modo adeguato.
presenza o meno di complicanze croniche.
Per esprimere un giudizio circa il compenso glicometabolico, lo specialista si
avvale del controllo dell’emoglobina glicata, nel senso che il giudizio sarà:
controllo glicemico adeguato e soddisfacente se HbA1c <9,0% (ma non è
questo un compenso ottimale, anzi!)
o non adeguato se HbA1c >9,0%
Infine si può esprimere un giudizio nella valutazione finale:
profilo di rischio basso, cioè il soggetto può ritenere la sua patente rinnovata nel
tempo, fino a scadenza;
medio, cioè con un limite, per esempio tre anni.
elevato., per cui si demanda alla Commissione medica locale un’ulteriore
valutazione.
In particolare i criteri per cui la patente può o meno essere rinnovata sono:
La presenza o meno di eventuali complicanze micro- e macroangiopatiche,
arrivando infine all’attribuzione complessiva del profilo di rischio, che sarà
definito come "basso", "medio" o "elevato" in accordo con lo schema qui
riportato:
1. Profilo di rischio BASSO:
– Assenza di retinopatia
– Assenza di neuropatia
– Assenza di nefropatia o microalbuminuria
– Ipertensione ben controllata
– Controllo glicemico ADEGUATO
– Giudizio complessivo sulle ipoglicemie BUONO
glicosilata:
Se, invece, i valori della glicemia a digiuno erano fra 110 e 139 mg/dl e i valori
dopo il carico compresi tra 140 e 199, allora avremmo avuto un soggetto con
E fin qua tutto chiaro se non fosse che l’ADA, cioè la “ American Diabetes
Association” ha proposto nel 1997 un’ulteriore revisione dei criteri diagnostici,
affinchè fossero contemplati fra i diabetici più soggetti, evidentemente
abbassando la soglia per definire un individuo diabetico dal fatidico 140 del
digiuno a 126 mg/dl. Il razionale di questa modifica consiste nei risultati di uno
studio di popolazione che ha dimostrato come l’incidenza di retinopatia aumenti
in modo significativo già a valori di glicemia di poco superiori a 120 mg/dl e lo
stesso dicasi per patologie macrovascolari (coronaropatie e periferiche).
In sintesi, dopo il test da Carico possiamo definire le seguenti categorie di
soggetti: glicemie
IFG
IGT
Diabete mellito
Il valore prescelto di 126 mg/dl ha inoltre, secondo gli stessi studi, il medesimo
significato del valore di 200 mg/dl a 2 ore dopo il carico di glucosio, già ritenuto
diagnostico di diabete secondo i criteri OMS/NDDG del 1985, come si è detto
poco sopra. Però i soggetti che a digiuno avevano una glicemia maggiore di 140
mg/dl hanno una glicemia a due ore da carico sicuramente maggiore di 200
mg/dl, ma non tutti quelli che hanno 200 mg/dl dopo carico a 2 ore, avranno a
digiuno valori maggiori o uguali a 140 mg/dl, solo ¼ di essi! Per cui l’ADA con
l’abbassamento della soglia della glicemia a digiuno ha consentito di reclutare
un numero maggiore di soggetti diabetici da trattare e quindi ha assunto quasi
un ruolo preventivo per l'insorgenza del diabete conclamato, quello con lo
scompenso glicometabolico ed i danni d'organo :
Il piede diabetico
La retinopatia diabetica
Speciale sulla retinopatia diabetica, prevenzione e cura
La nefropatia diabetica
La neuropatia diabetica, cioè i dolori agli arti e non solo!
La neuropatia diabetica, le varie manifestazioni sistemiche)
L’individuazione di una nuova soglia diagnostica della glicemia a digiuno ha
portato anche alla definizione da parte di un Comitato di esperti dell’ADA ad una
nuova categoria corrispondente, cioè ha permesso di reclutare i soggetti con
IFG o Impaired Fasting glucose, cioè Alterata Glicemia a Digiuno, cioè
coloro che hanno glicemie comprese tra 110 e 125 mg/dl
La prova da carico o OGTT.
Si esegue a digiuno di mattino, dopo circa 12 ore di digiuno e tre giorni di dieta
contenenete un minimo di 150 g di carboidrati e di normale attività fisica, quindi
in condizioni tali da stressare il pancreas. Il test consiste nel far bere 75 g di
glucosio anidro disciolti in 250 ml di acqua in 5 minuti. Nei bambini il calcolo è di
1,75 g di glucosio per kg di peso. Per le diabetiche gravide se ne parla altrove.
Il sangue viene raccolto dopo due ore dal carico. Il rationale per prolungare i
prelievi dopo le due ore, a 180 minuti risiede nel fatto che alcuni individui
possono avere delle crisi ipoglicemiche. Talora il test da carico è associato alla
curva insulinemica per dimostrare che l’insulinemia basale è elevata e così
anche la risposta insulinemica, nelle forme di diabete con resistenza insulinica.
Occorre pertanto:
l. Formare il personale sanitario all'educazione terapeutica e le organizzazioni
di volontariato all'educazione sanitaria della persona con diabete e dei familiari,
in funzione delle loro specifiche esigenze cliniche e socio-culturali.
2. Condividere con la persona gli obiettivi e le scelte terapeutiche, avendone
dato piena informazione, al fine di facilitare la gestione dei diabete nella vita
quotidiana.
3. Concordare la cura, l'alimentazione salutare e l'attività fisica costante e
personalizzata.
4. Avvalersi di un gruppo multidisciplinare completo con competenze
specifiche (mediche, psicologiche, nutrizionali, infermieristiche, sociali) utili a
rimuovere le barriere a una corretta gestione dei diabete.
5. Assicurare uniformità di accesso alla terapia educazionale su tutto il
territorio nazionale.
Occorre pertanto:
1 . Indurre gli operatori sanitari ad avere una vera e propria alleanza
terapeutica con la persona con diabete e i familiari che comprenda: l'ascolto
attivo, una comunicazione empatica, un dialogo aperto e la regolare verifica
non solo dello stato di salute ma anche della qualità dei servizio erogato.
2. Invitare gli operatori sanitari a sostenere la persona con diabete
nell'acquisizione di una piena consapevolezza della propria condizione e della
propria cura.
3. Analizzare le abitudini e le dinamiche individuali e familiari che possono
favorire comportamenti a rischio.
4. Aumentare le possibilità di accesso e la disponibilità di contatti con operatori
sanitari, attraverso mezzi di comunicazioni complementari, quali linee
telefoniche e telematiche.
5. Facilitare la continuità di rapporto tra lo stesso gruppo multidisciplare e la
persona con diabete all’interno del centro specialistica e verificare che ciò si
realizzi anche attraverso la partecipazione civica.
Età <45 0
45-48 2
55-64 3
>64 4
25-30 1
>30 3
Svolge attività
fisica o lavori Si 0
per cui almeno no 2
30 minuti al
giorno è
impegnato
fisicamente?
Le è stato mai
detto che la Si 5
sua glicemieera no 0
alta? Per
esempio in
gravidanza o in
un esame?
PUNTEGGIO
12-14 moderato 1 su 6
15-20 alto 1 su 3