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Master ATM 2016/2017

Esame di Popular Music

Matteo Catalano

Analisi del brano 2+2 = 5 - Radiohead

La canzone 2+2 = 5 della band britannica “Radiohead” è la traccia d’apertura del disco Hail to the
Thief del 2003. Il riferimento dal quale prende spunto il testo, evidente soprattutto dal titolo del
singolo, è da trovare nel romanzo 1984 di George Orwell, attraverso i concetti cardine di
“bipensiero” e di manipolazione della realtà. La citazione “two and two always makes a five”,
estrapolata dai versi (e coincidente con il titolo) del singolo dei Radiohead, è rintracciabile nella
letteratura a partire dalla metà del XIX secolo (con Victor Hugo), ed è stata utilizzata (anche dallo
stesso Orwell) con lo scopo di descrivere tutte le situazioni in cui si cerca di negare una realtà
oggettiva, attraverso l’utilizzo di abilità dialettiche-persuasive (spesso legate alla condotta politica
di determinati regimi totalitari). Uno degli elementi che permette la costruzione di una realtà
variabile in funzione delle esigenze di una classe dirigente (e, quindi, di una continua riscrittura del
passato con un conseguente annullamento di quest’ultimo) è l’ignavia che affligge tutti gli uomini,
che, per prendere a prestito un verso di 2+2=5, non hanno “paying attention”. Si chiede, quindi,
all’Uomo illuminato (alla ricerca di una verità empirica) di cercare la strada verso una nuova libertà
di pensiero, attraverso la quale rifondare una società basata su una realtà oggettiva e su una
visione empirica del mondo e della storia.

Il singolo dei Radiohead gravita completamente intorno a questa vicenda, in quanto elabora una
forma che riflette pienamente il contenuto dei versi. Il brano, sia sotto il profilo musicale che
testuale, è suddivisibile in quattro sezioni ognuna delle quali inquadrante un aspetto legato a ciò
che si racconta nel testo. All’interno di questa quadripartizione è possibile fare due
raggruppamenti (circoscrivendo la prima e la seconda sezione, contrapposte alla terza e alla
quarta) in base alla texture presente nella canzone. Infatti, mentre nella prima parte, nel momento
in cui l’Io narrante descrive ad un altro da sé la situazione nella quale si trovano e lo invita ad
adagiarsi perché ormai è troppo tardi per voler cambiare qualcosa inneggiando alla via del
demonio ora in atto, troviamo una texture piuttosto rada, con la chitarra elettrica e una drum
machine a sostenere il testo cantato (si può inoltre sentire, in lontananza, nel canale opposto
rispetto all’altra chitarra, il suono di una chitarra elettrica ricca di reverbero con le corde stoppate),
in una generale situazione di perversa rassegnazione (l’ossessionante drum machine riconduce al
tema del rapido passare isocrono del tempo, probabile metafora musicale di una insana
rassegnazione), nella seconda parte (terza e quarta sezione) si esplora un sound più codificato
attraverso l’ingresso di tutta la band (basso e batteria si uniscono alle due chitarre e alla voce), in
una texture più fitta e compatta, mentre i versi ripetono incessantemente il “paying attention” e il
“‘cause/but I’m mad”, come a voler sottolineare il fatto che il non aver “prestato attenzione” alle
vicende del mondo circostante (causando quindi la situazione descritta nei versi iniziali) ha
generato una società di folli senza certezze (in una realtà distopica), in grado solo di lanciare un
grido ma senza riuscirci pienamente (“I try to sing along/I get it all wrong”). All’interno di questa
continua connessione tra testo e forma individuabile nel singolo dei Radiohead è possibile
individuare un evidente legame anche tra la seconda e la terza sezione del brano, le quali
condividono gli stessi riff e la stessa armonia, garantendo così una maggior coesione a tutto il
brano che risulta così composto tre differenti “giri armonici” uno dei quali risulta essere a cavallo
tra due sezioni del brano.

Scendendo più nei particolari, all’ascolto di 2+2=5 risulta subito evidente una massiccia presenza
di elementi di sound design. Infatti, già durante i primi secondi del brano (0:00-0:11) è possibile
ascoltare, in quella che sembra essere una sorta di check strumentale (definibile quasi come un
cliché nel genere rock psichedelico/alternativo), l’azione di particolari effetti di trattamento
elettronico del suono (in questo caso il suono della chitarra con il power chord di Re5 viene
dapprima drasticamente attenuato elettronicamente e poi subito ripristinato). Durante questa
prima parte introduttiva, inoltre, è possibile ascoltare una drum machine che si avvia in maniera
episodica, su delle frequenze piuttosto acute (con una sonorità simile a quella di un charleston di
batteria). A 0:12, parallelamente al primo suono della drum machine, entra in “scena” un secondo
suono più grave e consueto (quasi come una cassa di grande misura per batteria) che avvia la sua
ossessionante ripetizione dapprima staccando quattro semiminime e poi assestandosi su una
pulsazione basata sulla croma, mantenendosi costante per tutta la prima parte. La prima sezione
(da 0:14 a 1:22) si compone di due strofe sotto il profilo musicale identiche (con qualche leggera
variazione nelle inflessioni del canto), e con testo diverso, precedute da quattro misure in cui non
è presente la voce, ed è fortemente caratterizzata dalla presenza di un tempo in 7/4, scandito
dall’insistente arpeggio di chitarra (definibile come il primo hook presente nel brano, per la sua
forte caratterizzazione). La melodia cantata è formata, in questa sezione, da una linea articolata,
di ampio respiro, che comprende ben dieci misure in 7/4 (ripetute due volte), restituendo l’idea di
una sezione nella quale l’arco melodico si interseca con il progredire del testo cantato.

La sezione, inquadrabile nella tonalità di Fa minore, alterna nelle prime sei misure dall’ingresso
della voce, l’armonia di Fa minore e quella di Do (da sottolineare il fatto che la terza Mi compare
solo al basso, mentre nell’arpeggio viene mantenuto il Fa il quale crea una sensazione di
sospensione dovuta alla contemporanea presenza/assenza della terza dell’accordo), inquadrabile
come una spola di quinta (le spole sono molto comuni nelle musiche di matrice psichedelica) la
quale tende a focalizzare l’attenzione sul momento presente, senza generare nell’ascoltatore il
bisogno di una previsione di ciò che sarà il “futuro” della canzone (garantendo, così, un ulteriore
legame con il testo cantato, nel quale l’annientamento del pensiero genera l’esigenza di vivere
solo nel presente, senza creare aspettative per il futuro). Il percorso armonico, dopo le misure in
cui è presente la spola, evolve rapidamente fino al termine della prima strofa dapprima
allontanandosi leggermente dal Fa minore di partenza e, successivamente, facendo ritorno alla
dominante di quest’ultimo per poi riprendere la seconda strofa. Inoltre durante la prima sezione il
canto viene continuamente armonizzato da un’altra linea melodica in una texture omoritmica, a
distanza di quarta o di terza dalla melodia principale (con inflessioni non diatoniche), restituendo
così un sound che rimanda ulteriormente alla sensazione di straniamento presente nel testo
cantato.

All’interno della seconda sezione (una sorta di pre-chorus da 1:22-1:53) nel testo cantato l’Io
narrante descrive un “tempo del diavolo” dal quale, nonostante le urla di protesta dell’uomo
comune, è troppo tardi per scappare. In questa parte la texture continua ad essere piuttosto
snella, similmente a quella prima sezione, in continuità con il discorso presente nel testo cantato,
con le due chitarre e la drum machine ad accompagnare rispettivamente con arpeggi e con un
ostinato la melodia cantata. Si passa dal metro irregolare caratteristico della strofa ad un regolare
4/4, mentre le due chitarre, in continuità con la sezione precedente, continuano a proporre due
differenti arpeggi (sempre con un suono senza distorsioni) con una delle due chitarra che
accompagna (con un arpeggio in terzine) all’unisono la melodia effettuata dal cantante. Dei due
suoni della drum machine (quello simile ad una cassa di batteria e quello simile ad un charleston)
ne viene mantenuto solo uno (quello dalla frequenza medio/acuta) con lo stesso ritmo di croma
apparentemente privo di accentazione e dal carattere ossessivo, sempre teso a rinnovare
nell’ascoltare l’inquietante sensazione di angoscia presente nel testo. La seconda sezione (tutta in
tonalità di Fa minore) presenta una nuova melodia sempre accompagnata omoritmicamente da
un’armonizzazione vocale basata sulle armonie sottostanti e sfocia direttamente nella terza
sezione, nella quale la band fa la sua apparizione al completo, in quello che può essere definito
come il climax della canzone. Nella terza sezione (1:54-2:27) il testo cantato concentra la sua
attenzione sul già citato “paying attention”, rivelando le colpe dell’uomo, disattento, attraverso
un’accesa accusa. Questa sezione ha tutto l’aspetto di un chorus (ritornello) con la particolarità
che essa non verrà mai ripetuta nel resto della canzone. La tessitura diventa improvvisamente
compatta e, mentre gli arpeggi delle chitarre - invariati ma con l’aggiunta della distorsione -
vengono ora accompagnati anche da basso e batteria, si percepisce un’energia ritmica di gran
lunga superiore rispetto alle precedenti sezioni, sottolineando, ancora una volta, il contenuto del
testo cantato nel quale si manifesta una sorta di invettiva contro l’ignavia rintracciabile in molti
comportamenti umani. Come già accennato sopra, la terza e la seconda sezione condividono lo
stesso giro armonico, fortemente ancorato nella tonalità di Fa minore. In questa sezione il testo
cantato presenta delle ripetizioni melodiche molto ravvicinate, di carattere musematico, che
formano il secondo hook presente nella canzone. Nella quarta e ultima sezione della canzone ci si
allontana per la prima volta (ed in maniera definitiva) dalla tonalità di Fa minore approdando
dapprima ad un loop armonico incentrato sulle armonie La bemolle - Si bemolle - Sol 7. Tale loop
può essere ricondotto al modo di Do eolico, sul quale si ascolta un breve assolo della chitarra
elettrica, incentrato sulle note Do e Si bemolle ripetute. Successivamente, con l’avvento del testo
cantato, il loop armonico si modifica divenendo Re bemolle - La bemolle - Re bemolle - La
bemolle - Sol 7. Risulta possibile ricondurre questo loop inizialmente ad una spola plagale IV-I
(similmente a quella ascoltata nella prima sezione - strofa), intervallata da un’armonia di Sol 7 che
sembra voler ricondurre al Do eolico ascoltato all’inizio della quarta sezione. Anche in questa
sezione, la presenza di loop e di spole, accompagnata da una texture simile a quella ascoltata
nella terza sezione ma leggermente meno aggressiva, con i suoni “clean” delle chitarre e una
ritmica dal sapore più funky, è facilmente riconducibile ad un coerente accompagnamento del
testo cantato, nel quale l’Io narrante viene coinvolto in una serie di episodi determinati dagli
avvenimenti precedenti, e nel quale viene costantemente ripetuta l’espressione “cause/but I’m
mad” (perché io sono matto), facilmente (e, forse, volutamente) confondibile (per un discorso di
pronuncia) con l’espressione “cause/but I’m not“ (perché non lo sono). Il dualismo presente in
quest’ultima sezione nel testo, espressione della condizione in cui l’Uomo comune si trova a
vivere, immerso in una realtà che lo rende colpevole di atti, pensieri e vicende che non ha (o che
pensa di non aver) mai commesso, genera così il vacillare tra una percezione di sé coscienziosa e
allo stesso tempo folle. Probabilmente è proprio in questo dualismo che si può collocare
l’ambivalenza armonica dell’ultima sezione del brano, con il loop plagale in La bemolle alternato
continuamente con l’accordo di dominante costruito sul sol, ad indicare un continuo slittamento
tra due livelli di percezione diversi. Il brano si conclude, infine, bruscamente (in levare)
sull’accordo di Sol 7, senza indicare una conclusione nella quale tutti i conflitti presentati durante
il brano trovino una coerente risposta, lasciando presagire il fatto che, per l’Uomo, una risposta
non c’è, e che rimarrà costretto a navigare tra coscienza e follia per il resto dei suoi giorni.

L’aspetto formale del brano risulta così abbastanza paratattico, in quanto le varie sezioni sono
tutte piuttosto indipendenti l’una dall’altra dal punto di vista musicale, collocandosi tutte in un
presente nel quale rimuginare su un passato che è ormai inesistente, perché continuamente
riscritto e quindi del quale non si vedono tracce nell’attuale, e su un futuro della cui utilità ci si
pone dei dubbi.

In definitiva, è possibile, in 2+2 = 5 dei Radiohead, ascoltare uno stile maturo, all’interno del quale
rintracciare una profonda coerenza tra testo cantato e sua espressione musicale a livello di sound,
di texture e a livello armonico. All’interno del filone nel quale si collocano solitamente i Radiohead
(rock alternativo di matrice britannica) il singolo del 2003 si pone in scia con lo sviluppo del loro
percorso artistico e di quello del movimento musicale di cui fanno parte.

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