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S TA G I O N E C O N C E R T I S T I C A 2 0 1 7 / 2 0 1 8
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DOMENICA 17 DICEMBRE 2017 ore 21.15
Civitanova Alta, Teatro Annibal Caro
CONCERTO INAUGURALE
ORCHESTRA FILARMONICA
MARCHIGIANA
FABIO MAESTRI direttore
JACOPO FULIMENI pianoforte
STEFAN MILENKOVICH violino
NOTE DI SALA
Non poche sono, anche se scarsamente note, le opere teatrali di Franz Joseph
Haydn, quasi tutte composte durante i lunghi soggiorni del compositore nella
reggia di Estheráza, tenuta rurale di una potentissima famiglia di principi unghe-
resi, fedeli agli Asburgo, che per anni protessero il compositore e gli assicurarono
un rispettabile impiego. Tra questi lavori per le scene, dopo l’indiscutibile qualità
di Acis und Galatea, i primi tre di più evidente valore sono tutti curiosamente su
testi del commediografo italiano Carlo Goldoni. Nel giro di una decina d’anni
videro infatti la luce, per il piccolo teatro appositamente costruito da Nikolaus
I, detto ‘il Magnifico’: Lo speziale (nel 1768), Le pescatrici (nel 1770, per un’oc-
casione nuziale) e Il mondo della luna (nel 1777), tre diversi omaggi al grande
genio della Commedia dell’Arte italiana. E proprio nel caso dell’Ouverture da Lo
Speziale (Der Apotheker), con cui la Filarmonica Marchigiana apre il concerto di
questa sera, ritroviamo già tutto l’Haydn elegante e smaliziato sinfonista viennese.
Siamo qui innanzi ad un prototipo in piena regola di Sinfonia all’italiana ‘avanti
l’opera’: tripartita e perfettamente equilibrata, nel bilanciamento delle parti e dei
timbri orchestrali, questa pagina spigliata è una levigata testimonianza di quanto
l’Ouverture da teatro e la Sinfonia prettamente orchestrale camminassero ancora
su strade ben parallele, e vicine. I finali d’Ouverture andranno perdendo man
mano il loro carattere di ‘ripresa’ e, quando più tardi anche il momento centrale
sfumerà la sua funzione di contrasto, la Sinfonia tripartita avrà da anni ormai una
sua autonoma tradizione. Franz Joseph Haydn, in certo qual senso ‘padre nobile’
di questo genere ‘classico’ par excellence, di Sinfonie ne scriverà ben centoquattro!
Meno numerose è vero, ma pur sempre importanti (anche per varietà nel contesto
del pieno classicismo viennese), sono invece le testimonianze lasciateci da Haydn
nel campo del Concerto solistico: oltre ai più noti 5 Concerti per violoncello e
orchestra, ai 4 per violino e ad altri per strumenti solisti diversi (tra cui tromba,
corno e flauto), il gruppo più nutrito è senz’altro quello dedicato al clavicembalo,
poi fortepiano. Undici sono infatti i concerti riconosciuti per questo strumento
nel catalogo di Anthony van Hoboken, chiaramente riconducibili alla mano del
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maestro di Rohrau. Tra questi il Concerto in Re maggiore (certo oggi il più noto ‘di getto’, mentre il movimento centrale fu rimaneggiato interamente, ma in un
al pubblico moderno) fu l’ultimo per data di composizione, nel 1782. La data è secondo momento. Certo è il caso di ricordare che Čajkovskij aveva non solo una
importante, perché proprio da quell’anno Mozart comincerà a dare alle carte il scarsa dimestichezza personale con il violino, ma anche una limitata esperienza
suo più nutrito corpus giovanile di concerti, prendendo saldamente le redini del compositiva per questo strumento. Fu così che l’assistenza di Kotek si rivelò di
genere. (Nella sua breve vita – visse meno della metà degli anni di Haydn – Mozart fondamentale conforto. Concluso il manoscritto, il giovane violinista si tirò però
comporrà concerti in numero più che doppio rispetto al più anziano maestro). indietro dinnanzi all’intenzione del compositore di sceglierlo come dedicatario.
In quest’opera della maturità haydniana, la scrittura per lo strumento è in certo Čajkovskij si rivolse allora ad uno tra i più celebri violinisti del tempo, Leopold
qual senso ‘dilettantistica’, rispondendo così ancora ad una necessità di diffusione Auer, ma la prémiere programmata in S. Pietroburgo per il marzo seguente venne
che molta musica aveva a quel tempo, mentre già buona parte invece dei concerti all’ultimo cancellata, in seguito alla rinuncia di Auer che si rifiutò a sua volta
di Mozart, per non parlar di Beethoven, cominciava a presentare un idioma di di eseguire l’opera: troppo difficile la scrittura, ‘ineseguibile’, da “rivedere d’un
scrittura chiaramente rivolto al concertismo di professione. La parte solistica fiato”. Mèmore forse di critiche simili, ricevute all’epoca del suo primo concerto
disvela comunque inaspettati risvolti espressivi, con un gusto che fa pensare a per pianoforte (quella volta da Rubinštejn), Čajkovskij però non cedette; trasferì
capolavori più tardi. Seppure Haydn non fu un virtuoso della tastiera (sappiamo ancora la dedica ad Adol’f Brodskij e il Concerto in Re maggiore – in mano a
ch’era invece un finissimo violinista), nella sua scrittura vive tutta una particolare quest’ultimo, e sotto la bacchetta del grande Hans Richter – vide finalmente la
intenzione strumentale che guarda con curiosità ai nuovi strumenti dell’epoca. prima in Vienna, alla Philarmonie, il 4 dicembre 1881. L’accoglienza fu fredda
Siamo negli anni in cui i nuovi fortepiano cominciavano infatti quell’inarrestabile ma del resto i viennesi – ricordando il recente trionfo riservato al Concerto per
scalata volta a spodestare il clavicembalo dal suo predominio indiscusso, tra gli violino di Brahms (anch’esso in Re maggiore) – si scoprirono invece a disagio
strumenti da tasto. “Per clavicembalo o fortepiano” reca del resto, e per volontà dinnanzi al piglio e al carattere ‘slavo’ dell’opera. Il critico Eduard Hanslick si
dell’autore, la partitura nella prima edizione a stampa per i tipi di Artaria, del spinse addirittura a recensire il concerto con una stroncatura memorabile quanto
1784. Se il primo movimento è nella classica forma-sonata e il secondo si svolge volgarmente crudele, che nel finale cajkovskiano volle addirittura rinvenire “il
come un dolcissimo lied, è col Finale ‘all’ungarese’ che Haydn si toglie il piacere puzzo di acquavite scadente di un’orgia russa”! Il Concerto da allora divenne in
di confezionare un perfetto pezzo di carattere, nelle vesti impeccabili del suo verità tra i più eseguiti e da mati in assoluto, forse secondo soltanto a quello di
solito charme. Vivido, spigliato, sempre agitato da un’ariosa freschezza di volo, Mendelssohn, il concerto romantico per eccellenza. Nell’op. 35 Čajkovskij riscoprì
questo raffinato Rondò è di continuo colorato d’influenze magiare, secondo infatti un melodiare sfogato (che tanto dové insospettire i critici viennesi), quasi
uno stile balcanico e ungherese che era particolarmente in voga anche nelle terre ‘operistico’, ch’è poi tra le cifre più sicure della sua arte migliore. Critici come G.
degli Estherázy, anche se il tema che vi soggiace è una danza (Siri Kolo) propria Pestelli o S. Sablich non a caso han rinvenuto tracce balcantistiche, ‘belliniane’
in verità alle regioni dalmate e dell’entroterra bosniaco. Esempio quindi del mi- persino, in certi passi (come il celebre incipit della delicatissima Canzonetta
glior classicismo che sceglie di arricchire la peculiarità timbrica e meccanica dei centrale). Quanto Haydn libera le voci magiare della sua terra, nel finale del
nuovi strumenti con ricordi e memorie di un impero cosmopolita – quello degli suo Concerto in Re, così Čajkovskij sfoga i ritmi popolari delle danze russe nel
Asburgo – fondato su di un sistema politico-culturale tra i più ricchi e compositi vitalismo furioso di alcune sue pagine conclusive. Virtuosismo post-paganiniano,
di tutto l’Ancien Régime. magistrale plasticità dell’inventiva melodica, orchestrazione tra le più riuscite
Potrebbe colpire l’aver scelto di accostare alla più classica serenità haydniana il (che regge bene il confronto con capolavori più tardi del Čajkovskij maturo), il
virtuosismo passionale di Pëtr Il’jč Čajkovskij. Del resto ci troviamo innanzi Concerto è tra le migliori cose che il romanticismo russo abbia dato alla musica.
così ad un caso curioso: se il più noto Concerto per fortepiano del Classicismo Il vecchio Leopold Auer, del resto, diversi anni più tardi se ne rese ben conto
pre-mozartiano fu opera di un violinista viennese (Haydn), laddove il Concerto e ormai in là con l’età riprese il Concerto per studiarlo approfonditamente; ne
per violino forse più importante dell’intero Romanticismo ci è stato lasciato da un divenne tra i più noti e rispettati interpreti per le sale d’Europa.
russo, invece pianista (Čajkovskij). Un fascino per il grande Classicismo viennese Nicolò Rizzi
Čajkovskij già lo aveva manifestato, sin da molto piccolo, in particolare però nel
suo intenso amore per Mozart che non lo abbandonerà mai più, per tutta la vita.
“Apprezzo molte cose nella musica di Haydn”, scriverà nei diari. “Ad ogni modo,
anche 4 indiscutibili maestri come Bach, Händel, Haydn o Gluck sono come fusi
in Mozart. [...] Essi sono come dei raggi, ma immersi nel sole che fu lui solo!”
Quando nel 1878 le prime bozze del concerto cominciavano già a vedere la luce,
un Čajkovskij non ancora quarantenne stava uscendo da un periodo di intensa e
fortunata fantasia compositiva grazie a cui, in poco più di tre anni, aveva concluso
tra varie altre cose il suo più noto Concerto per pianoforte (il primo, in Sib minore),
il balletto de Il lago dei cigni, la quarta Sinfonia e l’opera Evgenij Onegin. Fuggito
dalla folla pietroburghese, il compositore – come spesso era sua abitudine – aveva
scelto di rifugiarsi all’estero, quell’anno sulle rive serene del lago di Ginevra (nella
località di Clarens, oggi Montreux), in compagnia di un suo giovane allievo, Josif
Kotek. Questi, già stato amante del compositore qualche anno prima, era un
buon virtuoso del violino ed aveva anche prestato servizio presso la baronessa
Nadežda von Meck, la mecenate cui Čajkovskij dovrà per diversi anni molta
della propria serenità economica e interiore. Il travaglio compositivo fu breve;
meno di un mese (tra marzo ed aprile), con l’autore in preda ad uno dei suoi
rinomati furor creativi. Il primo tempo e il finale, in particolare, nacquero quasi
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