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Dallo studio della lingua è possibile trarre alcune informazioni storiche. Il latino è una lingua indoeuropea;
della famiglia linguistica indoeuropea fanno parte numerose altre lingue extraitaliche. Dunque è ipotizzabile
che i progenitori dei latini risedessero in una regione compresa fra l’Europa centrale e l’Asia. Il vocabolario
delle istituzioni politiche-religiose è comune a quasi tutta l’area indoeuropea. Bisogna tuttavia sottolineare
che “l’indoeuropeo” è un concetto storico-linguistico: non è mai esistita una “lingua indoeuropea”, ma solo
un insieme di dialetti caratterizzati da un sistema fonetico comune e dai tratti analoghi, nè vi fu un “popolo
indoeuropeo”.
Le lingue dell’Italia antica
All’origine il latino è solo la lingua di Roma, una piccola città circondata da centri minori nei quali si
parlavano dialetti latini o affini (il falisco); a pochi chilometri da Roma si parlavano lingue diverse (etrusco,
umbro, osco). Mentre nel settentrione italiano si aveva il ligure, il gallico, il venetico; nel meridione, in
molte colonie greche, vigeva la lingua della madre patria (il greco). La situazione linguistica dell’Italia
rimase molto variegata fino all’età repubblicana, lo stesso latino di Roma non fu una lingua sempre uguale a
se stessa, ma presentò forti differenze diacroniche e socio-linguistiche. Dal punto di vista Diacronico si
suole distinguere tra il latino pre-letterario (la lingua delle iscrizioni fino al III sec. a.C.), il latino arcaico
(dalle origini della letteratura fino a tutto il II sec. a.C.), il latino classico (I sec. a.C.), il latino augusteo
(principato di augusto), il latino imperiale (fino al II sec a.C.), e il latino tardo (fino al V d.C.). All’interno
di una stessa fase cronologica vi sono variazioni sociolinguistiche: la lingua delle classi sociali più istruite si
differenzia dalla lingua del popolo semianalfabeta. La lingua letteraria è stilizzata rispetto alla lingua d’uso.
La famiglia e la società romana.
La nascita di Roma, che la tradizione attribuisce a Romolo, fu in realtà un sinecismo, cioè l’unione di tanti
villaggi che si configurano in una vera e propria città. Alle origini di Roma stava un rito di fondazione. Per
quanto riguarda l’organizzazione sociale della Roma arcaica, la società era articolata sulla base delle
strutture di parentela. Unità fondamentale era la gens, un gruppo di famiglie con proprie tradizione ed un
antenato comune. All’interno di ogni famiglia la massima autorità era il pater. La coesione tra la gentes era
garantita dall’autorità politica, militare, religiosa di un capo. Il capo del villaggio possedeva un consiglio
degli anziani: il senatus, formato dall’insieme dei patres, è il vero detentore del potere politico-religioso
normalmente delegato al re, ma esercitato direttamente nel periodo fra la morte di un re e l’elezione del
successore. Esistono poi gruppi aristocratici, patricii, i patrizi si dicevano discendenti dei primi senatori
nominati da Romolo. La cultura era legata al gruppo dei patrizi, mentre il popolo viveva nella povertà e
nell’ignoranza. Un episodio fondamentale per Roma fu l’abbattimento della monarchia e la nascita della
Repubblica. Il figlio del re Tarquinio il Superbo ( sesto Tarquinio) violentò una sua parente (Lucrezia), che
si uccise per la vergogna provocando la vendetta dei congiunti, ma anche la sollevazione del popolo e la
cacciata della famiglia reale. La tirannide viene concepita non solo come oppresione politica, ma soprattutto
come violazione delle leggi della parentela. La base del nuovo sistema furono i comizi centuriati,
assemblee che eleggevano i magistrati superiori e decidevano sulle questioni più importanti. In queste
assemblee i cittadini erano suddivisi in 5 classi in base al reddito. Ciascuna classe era divise in centurie,
unità letterali di leva, che avevano il dovere di fornire un contingente militare ed il diritto di esprimere un
singolo voto. Le centurie erano 193: 80 alla prima classe; e 18 ai cavalieri; 20 alla seconda, alla terza e alla
quarta classe; 30 alla quinta classe. Al di sotto di questo reddito vi erano ancora 4 centurie di piccoli
artigiani ed una centuria di “capitecensi”, vale a dire censiti unicamente per la loro testa. Il sistema di
votazione per centurie favoriva la prima classe: bastava l’alleanza con qualunque delle altre classi per
superare il quorum di 97 voti. Il senato era formato da tutti gli ex magistrati eletti dai comizi centuriati
che terminato il loro anno di carica diventavano senatori a vita. Il senato era un organo di grande prestigio a
cui spettava il parere decisivo sulle guerre e sullo stato d’assedio. All’interno del senato gli ex consoli
formavano una cerchia molto potente che veniva chiamata nobilitas. Il consolato era infatti una carica che
conferiva tanta autorevolezza e dignità per tutta la vita a chi l’aveva ricoperta. Per poter essere eletti consoli
bisognava appartenere a famiglie che potessero vantare antenati consoli. Si trattava comunque di una
consuetudine, in casi eccezionali vennero eletti al consolato anche homines novi. Homo novus era il primo
membro di una famiglia a essere eletto console.
La scrittura
L’alfabeto fonetico è un’invenzione fenicia avvenuta verso la fine del II millennio a.C. Essa presuppone la
capacità di scomporre il parlato nei suoi costituenti minimi ( i fonemi ) per associare ad ogni fonema un
segno grafico che non ha in se nessun significato ma ha la funzione di distinguere il significato. L’alfabeto
fenicio si diffuse rapidamente in Grecia e poi in tutto il Mediterraneo. L’alfabeto greco giunse a Roma nell’
VIII secolo a.C. , attraverso le mediazioni etrusca. Il processo di acculturazione greca a Roma era iniziato
prima della nascita della letteratura ad opera di mercanti e artigiani: la scrittura si diffuse nei porti e nei
mercati. Il processo di alfabetizzazione fu molto lento. Il carattere fondamentale della cultura latina arcaica
è l’oralità. Oralità non significa assenza della scrittura: la scrittura era presente ma limitata ad usi pratici
non letterali. La scrittura permette la conservazione e l’accumulo delle informazioni in misura tale da
superare il limite della memoria umana. Il passaggio decisivo fu quello che avvenne dalla cultura orale alla
cultura scritta, con il nascere di una nuova “ragione grafica”.
Le più antiche iscrizioni
Le più antiche testimonianze scritte della lingua latina sono iscrizioni a fine essenzialmente pratico. Nelle
prime iscrizioni si nota l’assenza di norme scrittorie consolidate. Il più antico documento epigrafico che si
sia conservato è il cosiddetto Cippo del Foro trovato nel 1899 nel corso di scavi condotti fra la Curia Iulia
e l’arco di Settimo Severo, nel luogo in cui sorgeva il lapis niger una pavimentazione quadrata in marmo
sotto la quale si indica il luogo in cui sarebbe stato seppellito Romolo. Il cippo faceva parte del piccolo
santuario dedicato a Vulcano nel Foro. La pietra è in gran parte illeggibile. L’irregolarità dei caratteri, che
procedono in maniera bustrofedica, vanno a comporre un testo che utilizzava la carica magico-sacrale della
scrittura per incutere timore anche agli analfabeti. L’inizio sembra essere una formula di maledizione contro
chi avesse violato il santuario. La menzione di un calator, un araldo al servizio dei sacerdoti, ha poi fatto
pensare ad un avviso che invitasse i passanti a essere pronti a sciogliere gli animali aggiogati quando
l’araldo l’avesse ordinato : tale normativa poteva dipendere da un’antica superstizione . Un’altra iscrizione
della fine del VI secolo, di scoperta più recente è il Lapis Satricanus. Il testo frammentato contiene la
dedica di un dono votivo a Marte e riporta il nome di un Publio Vlerio. Altro testo arcaico, ma di carattere
privato è l’iscrizione del cosiddetto vaso di Duenos.
Il vaso di Duenos
Si tratta di un manufatto in bucchero formato da tre recipienti rotondi conglobati: la scrittura corre da destra
a sinistra attorno ai tre vasi in tre righe sovrapposte. L’alfabeto è arcaico e sebbene la grafia sia chiara la
mancanza della divisione fra le parole e l’arcaicità della lingua rendo controversa l’interpretazione.
Probabilmente si tratta di istruzioni per l’uso del contenuto del vaso, che doveva essere un filtro magico.
Un altro esempio è la Cista Fioroni dal nome dell’antiquario settecentesco Francesco Ficoroni, che la scoprì
in un sepolcreto a Preneste: si tratta di uno splendido cofanetto portagioelli cilindrico in bronzo cesellato con
scene mitologiche, risalente al IV secolo a.C.
Un falso: la fibula praenestina
La fissità delle formule e la conoscenza di un po’ di storia della lingua latina rendono facile la fabbricazione
di un’iscrizione falsa. L’esempio più clamoroso è la Fibula praenestina. Essa è una fibbia d’oro, presentata
nel 1887 dall’archeologo tedesco Wolfgang Helbig, sul periodico del prestigioso Istituto di Corrispondenza
Archeologica di Roma. Helbig disse che l’oggetto era stato acquistato qualche anno prima da un suo amico a
Palestrina. Più tardi lasciò filtrare la notizia che era stato rinvenuto nella Tomba Bernardini. Tuttavia nel
1905 il celebre orafo romano Castellani dichiarava a Giovanni Pinza che la fibula praenestina era un falso e
che egli conosceva anche l’autore. Partendo da quella dichiarazione la nota studiosa di epigrafia Margherita
Guarducci riuscì a dimostrare che la fibula fu in effetti fabbricata su commissione dello Helbig e che
l’iscrizione fu concepita e incisa proprio da quest’ultimo.
Leggi e trattati
Molti istituti, procedimenti e termini tecnici attualmente in uso nella giurisprudenza trovano le loro radici
storiche nel diritto romano, infatti Roma ha un ruolo essenziale nell’affermarsi del diritto come mentalità,
come categoria umana universale. Il primo raccoglitore delle norme regie, redatte originariamente nella
forma di commentarii asistematici, fu Gaio Papirio, pontefice massimo agli inizi dell’età repubblicana, la
cui opera rimase nota dino alla tarda antichità col nome di ius Papirianum. A Roma venivano conservati
per iscritto i testi dei trattati con gli altri popoli. Lo storico Dionigi di Alicarnasso ne cita numerosi, stretti
dai Romani con i popoli vicini. Ancora nell’età di Cicerone era esposto nel Foro il testo del Foedus
Cassianum stipulato con i Latini nel 493. Ma di questi trattati non ci è pervenuto nessun frammento. Solo lo
storico greco Polibio ci concerva la traduzione del trattato di Roma con Cartagine dell’anno 508 a.C., che
egli stesso era riuscito a decifrare, con l’aiuto di alcuni esperti, nell’originale conservato in una tavola di
bronzo.