Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Pubblicato in in Il Fare della Scienza (a cura di F. Barone ed altri), numero del 1997 della
rivista Contratto, Il Poligrafo, Padova 1997, pp. 97-122.
1. Introduzione
La filosofia della scienza di K. Popper nasce dal desiderio di capire la crescita della
conoscenza umana, con un atteggiamento ottimista e al contempo sobrio. La scienza cresce
senza un ordine particolare, non eseguendo un programma a priori, nella misura in cui via via
si allontana dagli errori (grazie agli urti imprevedibili con la realtà) e perciò procedendo
necessariamente verso la verità.
L'elemento costruttivo nella crescita nella conoscenza scientifica, nella visione di
Popper, non è il risultato di un metodo prefisso. Non vi è un metodo scientifico che serva a
garantire automaticamente il progresso verso la verità (ma tale progresso si presuppone).
Popper ha affermato chiaramente: "il metodo scientifico non esiste"1. La scienza indaga sugli
enigmi della natura e ne propone le soluzioni in modo creativo, senza formule in anticipo di
un successo scontato. La razionalità si arrende davanti alla meraviglia imprevedibile della
scoperta. E' questo il paradosso di un Popper forse non ancora completamente compreso: il
paradosso del razionalista critico aperto simultaneamente alla fede nella realtà, alla creatività
e alla "non esistenza del metodo scientifico"2.
Nelle pagine che seguono intendiamo approfondire la posizione epistemologica di
Popper alla luce di un confronto con Einstein, nella prospettiva del realismo della scienza.
Questo confronto potrà contribuire, a nostro avviso, a chiarire meglio alcune caratteristiche
profonde del pensiero di Popper, in parte accennate in queste considerazioni introduttive.
1 K. POPPER, Poscritto alla Logica della scoperta scientifica, vol. I: Il realismo e lo scopo della scienza, ed. Il Saggiatore
Economici, Milano 1994, p. 35.
2 Cfr. ibid.
2
3 Cfr. sulla visione popperiana della contraddizione dialettica, POPPER, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972,
pp. 535-540.
3
errori per avvicinarsi alla verità definisce in buona misura il concetto di correzione o di
rettifica.
Nell'ortodossia popperiana, le teorie che sono riuscite a superare le prove più rigorose
sono migliori approssimazioni alla verità. Ma se vi sono delle approssimazioni successive
(per cui parliamo di progresso speculativo delle scienze e non soltanto di progresso tecnico),
allora sembra esserci un elemento di continuità nella serie di teorie in sostituzione. Un
cambio totale comporterebbe l'incommensurabilità dei paradigmi di Kuhn, nei quali
scompare l'idea di progresso.
La continuità fondamentale esistente nell'arco delle scienze moderne, tranne poche
eccezioni per il caso di teorie molto esotiche, è facilmente accettata dagli scienziati attuali
come un fatto storico. La fisica galileiana e newtoniana sono profondamente rivoluzionarie
nei confronti dell'antica fisica greco-medievale (pur non mancando neanche qui certi elementi
di continuità)4. Ma oggi consideriamo la teoria geocentrica tolemaica come semplicemente
falsa. La teoria della relatività e la meccanica quantistica invece non sono rivoluzionarie nella
stessa misura nei confronti della fisica classica di Newton. Uno studente di scienze oggi deve
conoscere la meccanica classica, mentre non ha bisogno di studiare le teorie fisiche degli
antichi5.
La fisica classica può considerarsi vera a un certo livello di approssimazione. Non
possiamo dire che la scienza contemporanea l'abbia falsificata completamente. La scienza di
Newton dovette correggersi riguardo al modo completo in cui veniva compresa dal suo
fondatore. Ovviamente quella teoria contraddice Einstein se viene presa in tutti gli elementi
contestuali con cui era pensata originariamente. Ma non ne è in contraddizione se viene intesa
come un'approssimazione valida per i corpi della vita ordinaria (mentre è invalida per i corpi
a velocità vicina a quella della luce). In questo senso è possibile introdurre delle correzioni
importanti ed essenziali nella continuità dello sviluppo di una scienza, senza dover sempre
abbandonare del tutto la teoria precedente.
La teoria della falsazione di Popper presa letteralmente comporta invece la falsità tout
court della teoria confutata. Ma da quanto è stato detto, sembra più convincente
un'interpretazione continuista dell'evoluzione delle scienze, almeno per molti casi e a certi
livelli, dal momento poi che le teorie scientifiche sono per Popper delle successive
approssimazioni alla verità: se la nuova teoria risulta preferibile e più vera, vuol dire che la
teoria respinta, al meno se un tempo veniva razionalmente accettata, non era semplicemente
"falsa", ma piuttosto meno vera, cioè parzialmente vera. Anzi la teoria respinta, se viene
meglio conosciuto l'ambito in cui era valida, dovutamente corretta diventa anche più vera di
prima, quand'era nota senza troppa coscienza della sua precisa parzialità.
Con queste osservazioni ovviamente andiamo al di là di Popper e in qualche senso lo
4 Cfr. su questo punto il nostro lavoro Scienza aristotelica e scienza moderna, Armando, Roma 1992.
5 Cfr. sul tema, R. MARTÍNEZ, Congetture, certezze e verità: la natura fallibile della conoscenza scientifica, in AA. VV.., La
verità scientifica, Armando, Roma 1995, pp. 73-97.
4
correggiamo: sembra opportuno distinguere allora tra "semplice falsità" e "verità parziale"
(emblematicamente: tra Tolomeo e Newton) o, in altre parole, bisognerebbe riconoscere
diversi sensi specifici nella continuità o discontinuità nelle scienze, storicamente rilevanti.
L'esigenza di queste correzioni tuttavia procede dall'interno della stessa teoria di Popper della
verità come "verosimiglianza approssimativa", soprattutto se vogliamo mantenere
coerentemente la nozione di verità ed evitare la tesi kuhniana dell'incommensurabilità dei
paradigmi6. In altre parole, tale esigenza vuole essere in armonia con la convinzioni di Popper
secondo cui nella scienza
possiamo dire de aver fatto un autentico progresso: sappiamo più di quanto sapevamo prima.7
Non si potrebbe concedere a una teoria destino migliore di quello di dover indicare essa stessa la strada per
introdurre una teoria più comprensiva nella quale essa sopravvive come caso limite8.
Vogliamo proporre in seguito, in base a una presentazione accurata di testi brevi, una
serie di paragoni che riteniamo significativi tra questi due autori, anche a partire dal fatto che
Popper ricevette una forte ispirazione da Einstein scienziato e filosofo, forse più ampia di
quanto ordinariamente si pensi. Einstein costituiva per il filosofo austriaco il modello genuino
del lavoro scientifico creativo ed originale. Il rigoroso atteggiamento scientifico del fondatore
della teoria della relatività spinse il giovane Popper al superamento del marxismo e della
6 L'approssimazione alla verità non va intesa in Popper in un senso puramente matematico, come raffinatezza sempre
maggiore nei calcoli predittivi. Popper, com'è noto, respinge l'interpretazione strumentalistica della scienza. Le nuove teorie
hanno idee nuove, più abbraccianti, capaci di ridimensionare le idee precedenti ma irriducibili ad esse.
7 POPPER, La scienza normale e i suoi pericoli, in Critica e crescita della conoscenza, a cura di I. LAKATOS e A. MUSGRAVE
(ed.), Feltrinelli, Milano 1986, p. 127.
8 In POPPER, Poscritto, vol. I, cit., p. 151.
5
Una teoria può essere riconosciuta come errata se ha un errore logico nelle sue conseguenze, o come inesatta
se un fatto non è d'accordo con le sue conseguenze. Ma la verità di una teoria non si può mai dimostrare, dal
momento che non si sa mai se in futuro non ci capiterà di trovare un'esperienza che ne contraddica le
conseguenze.9
La natura, o più precisamente l'esperimento, è un giudice inesorabile del suo lavoro [di quello dello
scienziato], e non molto amichevole. Mai dice di sì a una teoria. Nei casi più favorevoli, dice forse, e nella
maggior parte dei casi dice semplicemente di no. Se un esperimento è d'accordo con la teoria, questo
significa per quest'ultima un forse. E se non è d'accordo, significa di no. Probabilmente ogni teoria
sperimenterà qualche giorno il suo no; la maggioranza ne fanno l'esperienza non appena vengono
concepite.10
9 Cit. in D. HOWARD, Realism and Conventionalism in Einstein's Philosophy of Science. The Einstein-Schlick
Correspondence, "Philosophia Naturalis", 21, 1984, p. 620. Il testo appartiene al saggio di Einstein Induktion und Deduktion
in der Physik.
10 Nota del 11-11-1922, in Albert Einstein. The Human Side, New Glimpses from his Archives, selezione ed edizione di testi
a cura di H. DUKAS e B. HOFFMANN, Princeton Univ. Press, Princeton 1979, pp. 18-19.
6
come una traiettoria, non troppo strettamente cronologica, in cui entrambi gli autori, a partire
da una peculiare posizione affine al convenzionalismo, muovono più decisamente verso il
realismo epistemologico. In questo percorso convivono due tesi apparentemente contrarie: il
convenzionalismo vede nelle teorie e ipotesi scientifiche delle semplici creazioni dello
spirito; per il realismo, invece, le teorie scientifiche, se confermate, corrispondono alla
struttura intrinseca della realtà del mondo. Ma nei testi di Einstein-Popper si vedrà in che
senso queste due posizioni non sono completamente antitetiche ma rivelano una specifica
posizione metodologica.
3. 1. Il convenzionalismo in Einstein-Popper
'Essere' è sempre qualcosa che noi costruiamo con la mente, cioè qualcosa che noi supponiamo con assoluta
libertà (in senso logico). La giustificazione di tali costrutti non sta nel fatto che essi derivino dai dati dei
sensi. Questo tipo di derivazione (nel senso di deducibilità logica) non è mai possibile, nemmeno nell'ambito
del pensiero prescientifico. La giustificazione dei costrutti che per noi rappresentano la 'realtà' sta soltanto
nella loro capacità di rendere intelligibile ciò che è dato dai sensi.13
L'atteggiamento teorico che noi difendiamo si distingue da quello di Kant solo in quanto noi non concepiamo
le 'categorie' come se fossero immutabili (condizionate dalla natura del pensiero), ma come se fossero (in
Il convenzionalismo era una tentazione frequente nella filosofia della scienza degli
inizi del Novecento (basti pensare a Mach, Duhem e Poincaré, essendo quest'ultimo lo
scienziato più ammirato da Einstein). La crisi feconda delle geometrie non-euclidee,
l'assiomatismo logico, la teoria della relatività e la fisica quantistica avevano scosso la
comoda rappresentazione classica del mondo fisico di Newton-Euclide. Un cambiamento
concettuale talmente complesso e lontano dall'esperienza comune non consentiva
l'impostazione di un facile induttivismo metodologico. La fisico-matematica appariva come
un metrica, fra tante possibili, destinata all'inquadramento di un mondo parzialmente
idealizzato.
Il convenzionalismo einsteiniano comunque non si dimostrava auto-soddisfatto col
semplice criterio della comodità metrica (la teoria migliore sarebbe la metrica più comoda o
più semplice). Certamente se l'esperienza ci lascia liberi e non ci costringe ad abbracciare una
teoria, bisogna sceglierne una tra le molte possibili. Ma la scelta non dev'essere un arguzia
logica o pratica, bensì un'intuizione fiduciosa e anche misteriosa sulla natura della realtà,
quasi come una scommessa speculativa che poi sarà in qualche modo confermata dalle
risposte dell'esperienza. In questo senso il convenzionalismo di Einstein si allontana dallo
strumentalismo pragmatico e segue invece la via di una profonda fiducia speculativa nella
verità.
Il compito supremo del fisico -scriveva Einstein nel 1918- è quello di arrivare alle leggi elementari universali
dalle quali poter poi costruire il mondo mediante la pura deduzione. Non esiste nessun filo logico che porti a
queste leggi; soltanto l'intuizione, basata sulla comprensione congeniale dell'esperienza, è in grado di
coglierle. In questa incertezza metodologica, si potrebbe supporre che vi è un numero arbitrario di sistemi
possibili di fisica teorica, tutti ugualmente giustificabili; e quest'opinione, in teoria, è senza dubbio esatta. Ma
l'evoluzione storica ha dimostrato che, in ogni momento determinato, tra tutte le possibili costruzioni, una
soltanto si è dimostrata assolutamente superiore alle altre. Chi abbia approfondito veramente nella materia
non potrà negare che, in pratica, il mondo dei fenomeni determina in modo univoco il sistema teorico, benché
non esista nessun ponte logico tra i fenomeni e i loro principi teorici.15
L'aggancio della teoria con la realtà viene dopo, dunque, nell'esperienza sistematica
ma a posteriori, guidata dal tentativo teorico della spiegazione. Il metodo ipotetico-deduttivo
consente questa strana alleanza einsteiniana tra il convenzionalismo di primo acchito, dove il
genio creativo deve avanzare le sue scommesse, e il realismo come fede riconfermata dalla
coerenza delle deduzioni con i fatti dell'esperienza. Da qui il primato della contraddizione
sulla dimostrazione positiva.
Una teoria può essere verificata dall'esperienza, ma non esiste alcun modo per risalire dall'esperienza alla
14 Ibid., p. 619.
15 EINSTEIN, Comment je vois le monde, cit., p. 155 (dal discorso per il compleanno di Max Planck).
8
Nella sua conferenza presso l'Accademia Prussiana delle Scienze nel 1921, Geometria
ed Esperienza, Einstein dichiarava in questo senso che, nonostante l'inesattezza osservata da
Poincaré tra la geometria euclidea e i corpi solidi ordinari, che non sono mai perfettamente
rigidi, la geometria di Riemann assunta dalla teoria generale della relatività era molto ben
adeguata all'esperienza17. Siamo evidentemente al di là del convenzionalismo di Poincaré18.
L'esperienza può dimostrare le sue "preferenze" per una determinata teoria. Ma non di più,
dal momento che a un certo punto l'esperienza può anche incominciare a dire di no, per cui
le nostri nozioni sulla realtà fisica non possono mai essere definitive. Dobbiamo essere sempre pronti a
cambiare quelle nozioni -cioè la struttura assiomatica della teoria- per fare i conti dei fatti percepiti nel
mondo nella maniera logicamente più perfetta possibile.19
II. Popper. Vediamo ora, più brevemente, il caso di Popper. Il seguente può
considerarsi un testo parallelo a quelli citati di Einstein, affine ugualmente al
convenzionalismo. Scritto nel 1982, riflette con una particolare essenzialità una tesi classica
di Popper: le nostre teorie scientifiche
non sono semplicemente il risultato di una descrizione della natura (..) sono, piuttosto, prodotti della mente
umana: 'il nostro intelletto non ricava le sue leggi dalla natura, bensì impone le sue leggi alla natura'
[citazione di Kant, Prolegomena]. Ho cercato di perfezionare questa eccellente formulazione di Kant come
segue: 'il nostro intelletto non ricava le sue leggi dalla natura, bensì cerca -con esito disuguale- di imporre
sulla natura delle leggi che egli stesso inventa liberamente. Dunque le teorie sono invenzioni nostre o idee
nostre: questo lo hanno visto con chiarezza gli idealisti epistemologi. Ma alcune di quelle teorie sono
talmente azzardate che possono urtare con la realtà: sono le teorie contrastabili della scienza. E quando
urtano, allora sappiamo che c'è una realtà: qualcosa che può indicarci l'errore delle nostre idee. E perciò, il
realista ha ragione.21
A nessuno sfugge che in questo brano sia veramente ricapitolata l'intera epistemologia
di Popper e se ne vede insieme la concordanza con Einstein, sia per quanto riguarda il
"kantismo liberalizzato", sia in rapporto al legame che viene a stabilirsi tra il
convenzionalismo e il realismo: i principi fisici inizialmente sono inventati e la realtà
s'incarica di selezionarli con i suoi durissimi colpi, per cui si può anche argomentare
indirettamente (e criticamente) a favore della filosofia realistica.
Il solo convenzionalismo rimane bloccato dall'incertezza provocata dalle esperienze
ritenute sempre ambigue e neutrali:
L'idea centrale del convenzionalista, il suo punto di partenza, è che nessuna teoria sia determinata
dall'esperienza in modo non ambiguo, e su questo punto sono d'accordo con lui. Egli crede di dover scegliere,
per questa ragione, la teoria più semplice. Però, siccome il convenzionalista non tratta le teorie come sistemi
falsificabili, ma piuttosto come stipulazioni convenzionali, è ovvio che con 'semplicità' intende una cosa
diversa dal grado di falsificabilità.22
Noi inventiamo -a priori- le nostre teorie, le nostre generalizzazioni, alle quali appartiene anche la nostra
percezione della forma. Una percezione della forma è un'ipotesi, è la nostra interpretazione di ciò che
vediamo, e quindi, essendo un'interpretazione, è un'ipotesi. Noi abbiamo a che fare solamente con congetture
ed ipotesi (che sono la stessa cosa). Noi abbiamo continuamente delle congetture create da noi. Esse vengono
continuamente poste in qualche modo a confronto con la realtà così che possano essere migliorate e portate
ad essa più vicino.23
21 POPPER, Postscript to the Logic of Scientific Discovery, vol. III: Quantum Theory and the Schism in Physics, a cura di W.
W. BARTLEY III, Hutchinson, Londra 1982, prefazione del 1982, I. Un testo analogo è il seguente: "quando Kant affermò: 'il
nostro intelletto non trae le proprie leggi dalla natura, ma le impone ad essa', era nel giusto. Ma sbagliava nel ritenere che
dette leggi fossero necessariamente vere, o che noi riuscissimo senz'altro ad imporle alla natura. La natura, assai spesso, si
oppone molto efficacemente, costringendoci ad abbandonare le nostre leggi in quanto confutate" (POPPER, Congetture e
confutazioni, cit., pp. 86-87).
22 POPPER, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1970, p. 148.
23 POPPER, Tre Saggi sulla mente umana, Armando, Roma 1994, p. 69.
24 Popper si discosta da Einstein soltanto nel non ritenere necessario che il punto di partenza intuitivo del sapere sia sempre
di carattere matematico. Secondo Einstein, osserva Popper, "la scienza ha inizio con intuizioni, ed esattamente, a suo avviso,
10
realismo (un passaggio molto problematico a nostro avviso, ma per ora non ci soffermiamo
su questo punto).
3. 2. Il realismo epistemologico
Agli inizi del secolo Einstein aveva provato una certa simpatia verso il positivismo di
Mach, al quale era stato introdotto tramite il suo collega Michele Besso a Berna. Il lavoro
nella relatività generale suscitò in lui una forte convinzione realistica che non abbandonerà
mai:
Io cominciai con un empirismo scettico più o meno come quello di Mach. Ma il problema della gravitazione
mi convertì in un razionalista credente, cioè in uno che cerca l'unica fonte affidabile della Verità nella
semplicità matematica.25
E' significativo il suo rifiuto del "realismo convenzionalistico" di Schlick, col quale
prima concordava. Nel 1930 Einstein gli scriveva infatti:
in un modo generale, la sua presentazione non corrisponde certamente al mio stile concettuale nella misura in
cui trovo l'insieme del suo orientamento troppo positivistico (...) la fisica è il tentativo di costruire
concettualmente un modello dell'universo reale e della struttura che gli viene data dalle leggi (..) Lei sarà
sorpreso del 'metafisico' Einstein. Ma ogni animale di quattro o due zampe è, in questo senso, un
metafisico.26
Il realismo scientifico è uno degli aspetti basilari del pensiero einsteiniano, collegato
alla sua stessa vocazione come scienziato e alle ispirazioni di fondo del suo lavoro. Questo
realismo comunque era poliedrico e non ingenuo. Einstein aveva uno spirito acuto e non
semplificava i problemi: talvolta può capitare, scrive parlando evidentemente di se stesso, che
l'uomo di scienza appaia agli occhi dell'epistemologo
come una specie di opportunista senza scrupoli: che gli appaia come un realista, poiché cerca di descrivere il
mondo indipendentemente dagli atti della percezione; come un idealista, poiché considera i concetti e le
teorie come libere invenzioni (non deducibili logicamente dal dato empirico); come un positivista, poiché
ritiene che i suoi concetti e le sue teorie siano giustificati soltanto nella misura in cui forniscono una
rappresentazione logica delle relazioni fra le esperienze sensoriali. Può addirittura sembrargli un platonico o
un pitagorico, in quanto considera il criterio della semplicità logica come strumento indispensabile ed
efficace della sua ricerca.27
da intuizioni matematiche. Penso che ciò sia corretto, ma non decisivo. Non si tratta sempre di una intuizione matematica"
(POPPER, Società aperta universo aperto, Borla, Roma 1984, p. 42).
25 EINSTEIN, lettera a C. Lanczos, 24-1-1938, in Albert Einstein. The Human Side, cit., p. 67. "Il mio abbandono del
positivismo avvenne soltanto quando lavorai nella teoria generale della relatività": lettere a D. S. Mackey, 26 aprile e 22
maggio del 1948, citato in A. FINE, The Shaky Game. Einstein Realism and the Quantum Theory, cit., p. 86.
26 EINSTEIN, citato in G. HOLTON, Où est la réalité? Les réponses d'Einstein, in AA. VV., Science et Synthèse, Gallimard,
Parigi 1967, p. 135.
27 EINSTEIN, A. Einstein, scienziato e filosofo , cit. p. 630.
11
La fede in un mondo esterno indipendente dal soggetto che lo percepisce è la base di tutta la scienza naturale.
Ma poiché la percezione dei sensi ci informa soltanto indirettamente di questo mondo esterno o 'realtà fisica',
noi possiamo afferrarlo solo con mezzi speculativi.30
In un certo senso io ritengo vero che il pensiero puro possa afferrare la realtà, come sognavano gli antichi.31
Fuori c'era questo enorme mondo, che esiste indipendentemente da noi, esseri umani, e che ci sta attorno
come un grande, eterno enigma, accessibile solo parzialmente alla nostra osservazione e al nostro pensiero.
La contemplazione di questo mondo mi attirò come una liberazione (...) Il possesso intellettuale di questo
mondo extrapersonale mi balenò alla mente, in modo più o meno consapevole, come la meta più alta fra
28 Ibid., p. 43.
29 Cfr. sul tema, i nostri lavori Il Realismo nella Filosofia della Scienza Contemporanea, "Aquinas", 32, 1989, pp. 525-541
(su Max Planck) ed Einstein y el realismo científico, "Sapientia", 47, n. 184, 1992, pp. 131-150.
30 EINSTEIN, Comment je vois le monde, cit., p. 194.
31 EINSTEIN, Comment je vois le monde, cit., p. 169.
32 A. PAIS, 'Sottile è il Signore...'. La scienza e la vita di Albert Einstein, Boringhieri, Torino 1986, p. 15.
12
Quando io -ricorda Reichenbach-, in una certa occasione, domandai al professore Einstein come avesse
trovato la sua teoria della relatività, egli rispose di averla scoperta perché era profondamente convinto
dell'armonia dell'universo.34
Non era questa una frase occasionale. Il realismo einsteiniano non comportava una
"posizione intellettuale", bensì una persuasione vissuta fino al punto di toccare gli strati
religiosi e anche affettivi della sua personalità. Sarebbe un errore emarginare questo settore
della sua vita come se fosse estrinseco al suo lavoro creativo. Per lui la scienza aveva un
senso contemplativo, nella migliore tradizione dei classici:
Il mio lavoro scientifico è motivato da un desiderio irresistibile di capire i segreti della natura, e da nessun
altro sentimento.35
Non trovo un'espressione migliore che il termine religioso per indicare questa fiducia nel carattere razionale
della realtà e nel fatto che sia accessibile alla ragione umana, almeno in una certa misura. Dove questo
sentimento è assente, la scienza degenera in un empirismo senza senso. Mi spiace se i preti si approfittano di
questo, non si può rimediare.36
In questo senso Einstein spiegava nel 1918, in occasione del 60º compleanno di Max
Planck, che la perseveranza nel lavoro di quest'ultimo non era dovuta ad una ferrea
autodisciplina o ad una grande energia, bensì a quel tipo di sentimenti forti che si trovano
nelle persone religiose o innamorate37.
Veramente la scienza e l'amore della verità, il realismo trascendente e la religione
erano molto vicine, secondo Einstein, in un nucleo ultimo della persona, per cui egli pensava
che la religione stava non solo psicologicamente ma anche storicamente alla radice del lavoro
scientifico creativo e perseverante:
La scienza può essere creata solo da coloro che sono integralmente convinti delle aspirazioni verso la verità e
verso la comprensione. Ma questa sorgente di sentimento nasce dalla sfera della religione, alla quale
appartiene anche la fede nella possibilità che le regole valide per il mondo dell'esistenza siano razionali,
comprensibili, cioè, con la ragione. Non riesco a concepire un vero scienziato senza una fede profonda.38
Uno spirito è manifesto nelle leggi dell'universo, uno spirito enormemente superiore a quello dell'uomo,
dinanzi al quale noi con le nostre modeste capacità ci dobbiamo sentire umili. In questo senso la ricerca
scientifica conduce a un sentimento religioso particolare.39
la mia religiosità consiste in una umile ammirazione di fronte a uno spirito infinitamente superiore che si
rivela nel poco che possiamo comprendere della realtà col nostro intelletto debole e transitorio.40
Lo studio e in generale la ricerca della verità e della bellezza è una sfera di attività nella quale ci è consentito
di rimanere sempre bambini lungo tutta la nostra vita.41
In una lettera del 29 settembre del 1947 per l'80º compleanno di Juliusburger si
esprimeva in termini analoghi:
la gente come te e me, benché mortali come chiunque altro, non diventano mai vecchie per quanto a lungo
vivano. Voglio dire che noi non smettiamo mai di essere come bambini incuriositi dinanzi al grande Mistero
38 EINSTEIN, Pensieri degli anni difficili, Boringhieri, Torino 1965, p. 135. Sul rapporto storico-culturale tra la religione
cristiana e la scienza occidentale si sono espressi molti autori (Duhem, Whitehead, Dawson, Jaki): cfr. il nostro studio
Scienza aristotelica e scienza moderna, cit., pp. 81-100.
39 Ibid., p. 33 (24-1-1936).
40 Ibid., p. 66 (l'appunto è scritto sulla lettera ricevuta dal banchiere del 5-8-1927).
41 Ibid., p. 83. Così scriveva ad Adriana Enriques nell'ottobre del 1921, in occasione di un congresso a Bologna organizzato
da suo padre il professore Federico Enriques.
14
II. Popper. Uno sguardo al realismo metafisico di Popper rivela tratti simili a quelli di
Einstein, anche se privi dell'accento religioso. Coincidono entrambi, in forte sintonia con
Planck, nel loro rifiuto più deciso del fenomenismo di Berkeley, sinonimo per Popper di
idealismo soggettivistico, e soprattutto nel rifiuto dell'interpretazione del fisico filosofo
responsabile dell'introduzione della filosofia del esse est percipi nell'epistemologia moderna,
cioè di Ernst Mach. Era appunto la filosofia di Mach quella che portava a pensare che la luna
(cioè qualsiasi oggetto fisico) non era una realtà bensì un'elaborazione concettuale che
ricapitolava le nostre sensazioni allo scopo di poterci muovere con sicurezza nel mondo.
Popper era consapevole del cambiamento avvenuto in Einstein dopo i suoi lavori nel campo
della relatività generale:
L'origine del positivismo in fisica può essere cercato in parecchi grandi errori, uno dei quali è il positivismo o
idealismo di Mach (...) Einstein respinse questa concezione quando aveva 40 anni circa (1926), e se ne
lamentò profondamente nella sua età matura (1950).43
La realtà dei corpi fisici è implicita in quasi tutti gli enunciati del senso comune che formuliamo; e questo, a
sua volta, implica l'esistenza di leggi di natura; così, tutte le affermazioni della scienza implicano il realismo.
Questi argomenti rendono ragionevole credere nell'esistenza di leggi di natura vere, anche se questa credenza
non è né verificabile né falsificabile ed è, perciò, metafisica.44
42 Ibid., p. 82.
43 POPPER, Postscript, vol. III, cit., prefazione del 1982, I.
44 POPPER, Poscritto, vol. I, cit., p. 149.
45 Il senso comune "indica le certezze di base di tutti gli uomini (...) l'insieme organico delle certezze universali e necessarie,
costitutive della conoscenza umana come tale" (A. LIVI, Le parole dell'epistemologia contemporanea, "Cultura e Libri", n.
86, maggio-giugno 1993, p. 94).
46 Cfr. POPPER, Poscritto, vol. I, cit., pp. 148-151, tra molti altri luoghi in cui Popper esprime la medesima idea.
15
particolare dall'impulso speculativo verso la verità realistica. Ancora una volta, Popper come
Einstein supera il convenzionalismo originario con queste idee in parte kantiane ma in parte
anche aristoteliche: gli atomi, le particelle, le forze, i campi, i principi termodinamici oppure
relativistici e quantistici, pur nella loro congetturalità, sono veri, reali, descrittivi di
un'autentica struttura della realtà e relativi a leggi naturali (non soltanto "imposti" dall'uomo).
I concetti della scienza non sono semplici costruzioni strumentali della strategia pragmatica
degli scienziati. La scienza e la metafisica condividono l'aspirazione verso la verità:
Ormai non credo, come in un tempo, che vi sia una differenza tra la scienza e la metafisica in questo punto
così importante.47
Popper non consente il minimo dubbio riguardo alla tesi realistica. Non senza un
pizzico d'ironia, egli confessa che nell'inverno del 1926-27 s'imbrogliò col fenomenismo di
Mach, ma non per più di un'ora:
Non vi credetti seriamente per più di un'ora -finché, cioè, non scoprii il suo carattere idealistico.48
Ma Hume aveva già dichiarato che l'idealista, pur potendo difendere la sua posizione
con ogni tipo di accorgimenti logici, in realtà era costitutivamente incapace di credervi
nemmeno per un'ora49. Siamo in un terreno duro e profondo, certo discutibile se emergono
delle difficoltà particolari, le quali comunque
La posizione di Popper a questo livello sembra ricollegabile a quella dei filosofi che
hanno riconosciuto uno strato conoscitivo profondo e pre-razionale, quasi naturale e con
manifestazioni affettive e vitali: il sapere inespresso di Polanyi, le convinzioni vitali e
inesprimibili di Wittgenstein (negarle non è un errore, ma malattia mentale) (cfr. Sulla
certezza), o i primi principi noetici e pre-razionali di Aristotele, contro i quali non si può
pensare seriamente51. In questo senso Popper riconobbe che
il mio razionalismo non è dogmatico. Riconosco pienamente che non posso dimostrarlo razionalmente.
Confesso francamente che ho optato per il razionalismo perché odio la violenza e non mi illudo inutilmente
che tale odio abbia un qualsiasi fondamento razionale. O, in altri termini, il mio razionalismo non è
autosufficiente, ma poggia su una fede irrazionale nell’atteggiamento di ragionevolezza. Non vedo come si
possa andare oltre questo.52
Einstein e Popper hanno sostenuto con notevole energia la convinzione realistica del
senso comune in momenti particolarmente polemici. Le critiche di Popper a Mach, Russell,
Carnap, Reichenbach e altri furono assai dure, al punto che quando Carnap tentò di presentare
Popper a Reichenbach, questi non soltanto si rifiutò di rivolgergli la parola, ma addirittura di
stringergli la mano53. Anche Einstein, quando dichiarava che la luna esiste
indipendentemente dalle nostre misure, giocava il ruolo del filosofo del senso comune,
nonostante lui abbia anche difeso la necessità di superare le intuizioni comuni nelle
sofisticate elaborazioni della scienza.
Vediamo adesso due ulteriori caratteristiche del realismo di Popper:
Dal punto di vista filosofico, fu l'amicizia più importante della mia vita, poiché imparai da lui la sostenibilità
logica e la forza della verità assoluta e oggettiva: fondamentalmente una teoria aristotelica (...) [la teoria
logica di Tarski] è una teoria della verità oggettiva -verità come corrispondenza dell'asserzione con i fatti- e
della verità assoluta: se un'asserzione formulata in modo inequivocabile è vera in una lingua, lo è altrettanto
in qualunque altra lingua essa sia stata correttamente tradotta. Questa teoria è il grande baluardo contro il
relativismo e contro tutte le mode intellettuali. Essa ci consente di parlare delle falsità e del fatto che noi
possiamo imparare dai nostri errori, dai nostri sbagli; essa ci consente di parlare della scienza come della
ricerca della verità.54
52 POPPER, Congetture e confutazioni, cit., pp. 604-605. La fede di Popper, per evitare la caduta nell'"irrazionalismo",
dovrebbe essere ricondotta a nostro avviso al voûs aristotelico.
53 Cfr. POPPER, Un universo di propensioni, Vallecchi, Firenze 1991, p. 12.
54 POPPER, Un universo di propensioni, cit., pp. 11-12. Cfr. anche La ricerca non ha fine, Armando, Roma 1976, p. 147 (sul
carattere oggettivo e assoluto della verità).
55 POPPER, La ricerca non ha fine, cit., p. 102.
17
Se tentiamo, possiamo fuggire dal nostro quadro in qualsiasi momento (...) una discussione critica e un
confronto dei vari quadri è sempre possibile. E' solo un dogma, un dogma pericoloso quello secondo cui i
diversi quadri concettuali sono come lingue reciprocamente intraducibili (...) La mia controtesi è che essa
semplicemente esagera una difficoltà facendola divenire un'impossibilità.56
La nozione popperiana di verità rimane comunque ambigua, dal momento che essa
viene invocata solo come un traguardo ideale al quale ci avviciniamo indefinitamente senza
poter mai conoscere nessuna verità concreta in modo definitivo. Di conseguenza si crede
nella verità ma non la si conosce in nessun modo, ciò che appare molto problematico per una
conoscenza basilare dalla quale dipende la possibilità stessa del linguaggio conoscitivo, come
d'altronde Popper avverte nelle citazioni sopra riportate57. Egli afferma l'esistenza della
verità, in definitiva, basandosi giustamente sul senso comune, e si esprime in rapporto alla
verità degli enunciati (quella che i classici, come San Tommaso, chiamavano la veritas
mentis), mentre invece quando parla della verità irraggiungibile, si riferisce piuttosto alla
piena conoscenza della realtà completa delle cose (la verità ontologica o veritas rei)58.
2. Una seconda caratteristica del realismo è il fatto che secondo Popper la scoperta
della verità è spesso inattesa e sorprendente, per cui risulta anche difficile nel campo della
ricerca scientifica. L'ordine della natura non può essere dedotto dal pensiero. Potrà essere
indovinato, ma l'anticipazione geniale dello scienziato è un evento poco frequente. Per
Einstein, la cosa più incomprensibile della natura era che fosse comprensibile59. Questa
celebre idea einsteiniana riflette un punto in cui i grandi protagonisti della scienza sono di
solito d'accordo. Sarebbe molto più "normale" trovare il disordine (che è sempre un tipo di
ordine inferiore e povero, privo di strutture), dal momento che non vi è alcun motivo
necessario per cui deva esistere il mondo, la vita o l'uomo: ecco perché queste realtà sono
mirabili. Ogni volta che lo scienziato scopre un nuovo ordine specifico, rimane sorpreso (non
se l'aspettava), come se si trovasse dinanzi ad un segno di un'intelligenza originale e
imprevedibile della natura.
Popper sostiene polemicamente che il fenomenismo e il soggettivismo sono da
Noi dobbiamo, credo, accettare l'esistenza di leggi di natura; ma dobbiamo farlo, temo, come un mistero che
è divenuto forse ancora più impenetrabile a partire da Einstein.61
Il realismo non è una posizione facile, in questo senso, perché non serve
semplicemente per
spiegare o capire perché, se deve esserci un mondo, esso debba essere un mondo pensabile, regolato dalla
legge -un mondo comprensibile a qualche intelletto; un mondo che possa ospitare la vita.62
Il compito scientifico può essere anche impostato in una maniera che finisce per
diluire il senso del mistero. In qualche modo è naturale questa tentazione allo scienziato, il
quale, nell'intento di rendere comprensibili le cose (attraverso le loro leggi), sottrae ad esse
ciò che hanno di sorprendente per la conoscenza non scientifica. Ma se è vero, come dice
Einstein, che la comprensibilità del mondo è incomprensibile, allora vuol dire che il mistero
ricompare ad un livello più alto. Non si cade così nel miraggio razionalistico di aspettarsi che
la scienza un giorno riesca a "spiegare" tutti i problemi speculativi: alla fine del suo percorso
la scienza dovrebbe così permettere l'uomo di riposarsi soddisfatto e senza ulteriori domande,
senza ormai nessun mistero. Una tale banalizzazione della scienza sarebbe il segno che siamo
di fronte alla pseudo-scienza. Le teorie onnicomprensive in realtà nascondono trucchi
intellettuali che le fanno apparire per quello che in realtà non sono.
Nel suo periodo vicino al positivismo logico, Wittgenstein riteneva che la descrizione
delle scienze naturali rendeva il mondo una realtà piatta e senza enigmi, anche se almeno ne
riconosceva l'esistenza come un vero mistero, ch'egli chiamava il mistico:
Dopo aver citato questo significativo testo, Popper soggiunge che anche il come è
misterioso:
Tuttavia, la nostra discussione mostra che come il mondo è -il fatto che esso abbia una struttura, o che le sue
regioni più lontane siano tutte soggette alle stesse leggi strutturali -sembra in linea di principio inesplicabile e
quindi "mistico".64
Sono stati evidenziati fino a questo momento le concordanze di fondo tra i nostri due
soggetti di studio. Il confronto intrapreso in queste pagine ci è venuto in mente in parte a
causa della frequenza con cui Popper cita Einstein, quasi sempre in una maniera positiva e
piena di ammirazione. Due volte come minimo il filosofo austriaco mantenne un rapporto
particolarmente vicino con Einstein. Una di esse fu quando Popper presentò nella sua prima
edizione della Logica della scoperta scientifica (1934) un esperimento ideale contrario
all'interpretazione di Copenhagen del principio d'indeterminazione di Heisenberg, per cui
ricevette immediatamente dopo una lettera di Einstein nella quale gli veniva amabilmente
segnalato il suo errore. L'altro momento fu quando Popper trovò Einstein a Princeton nel
1950. Dopo una conferenza del primo sull'indeterminismo quantistico, cui assistette Einstein,
entrambi mantennero un colloquio sulla questione, sostenendo punti di vista contrastanti 66.
Il rapporto personale tra di loro, come si vede, ebbe a che fare con l'interpretazione
filosofica della fisica quantistica (il tema del vol. III del Poscritto). Sin dagli anni 30 Einstein
e Popper furono alleati nell'inflessibile critica alle "tesi di Copenhagen", soggette a loro
parere ad una flessione soggettivistica e positivistica. Ma Einstein mantenne una posizione
deterministica, mentre Popper si aprì all'indeterminismo oggettivo, cristalizzatosi nella sua
65 Cfr. POPPER, Postscript to the Logic of Scientific Discovery, vol. II. The Open Universe. An Argument for Indeterminism, a
cura di W. W. Bartley III, Hutchinson, Londra 1982, p. 122.
66 Cfr. POPPER, La ricerca non ha fine, cit., pp. 131-136.
20
L'osservatore conferisce al mondo il potere di arrivare all'essere mediante l'atto stesso di dare un significato
al mondo.67
Questo ci porta all'antico problema filosofico: può dirsi esistente un universo senza osservatori, senza che
abbia effetti registrabili da un universo di osservatori? Sono propenso a dire di no, poiché non vi è modo di
poter parlare dell'esistenza di qualcosa in quell'universo; non è possibile dare un significato alla parola
"esistenza" in quel contesto (...) Dal punto di vista del senso dell'esistenza, sono gli osservatori, o piuttosto la
possibilità di osservatori e dei loro atti di osservazione ciò che consente l'esistenza dell'universo. In qualche
modo, le creature all'interno dell'universo creano l'universo e creano se stesse.68
Contro questa filosofia priva di senso (poiché la frase riportata anziché falsa è carente
di senso), contro questa filosofia berkeleyiana che attribuiva alla coscienza una funzione
creativa all'interno della fisica stessa, polemizzava molto giustamente Einstein quando
sosteneva che "la luna" esisteva indipendentemente dalle nostre variabili misurazioni. Si
comprende allora il rifiuto einsteiniano di una maniera di vedere la fisica quantistica che
ricadeva nello
atteggiamento positivistico fondamentale, che dal mio punto di vista è insostenibile, e che a mio parere si
riduce ad essere la stessa cosa del principio di Berkeley, esse est percipi.69
67 J. A. WHEELER, Is Physics legislated by Cosmology?, in C. ISHAM, R. PENROSE, D. SCIAMA, ed., Quantum Gravity,
Clarendon Press, Oxford 1975, p. 541.
68 F. TIPLER, The Omega Point Theory: a Model for an Evolving God, in Physics, Philosophy and Theology, R. RUSSELL, W.
STOEGER, G. COYNE (ed.), Vatican City State, 1988, p. 325.
69 EINSTEIN, A. Einstein, scienziato e filosofo , cit., p. 613.
21
Einstein (...) confondeva in certa misura il suo realismo e il suo determinismo e non li teneva abbastanza
chiaramente separati.70
Una causalità limitata ormai non è una causalità, come il nostro meraviglioso Spinoza fu il primo a
riconoscere con precisione.71
Tutto ciò che penso di quest'uomo straordinario posso esprimerlo come segue: Spinoza fu il primo ad
applicare in modo veramente consistente al pensiero, al sentimento e all'azione dell'uomo l'idea della
costrizione deterministica di tutto ciò che accade.72
Siamo agli antipodi di Popper, la cui antropologia, com'è noto, in parte può sembrare
vicina al dualismo cartesiano, anche se in realtà propende verso la concezione aristotelica sul
rapporto anima-corpo (ma non possiamo dilungarci su questo punto). Invece per Einstein,
spinozianamente
corpo ed anima non sono due cose diverse, ma soltanto due modi diversi di percepire la stessa cosa.73
Ma negli scritti di Einstein c'è un'incoerenza tra questa fede spinoziana e altre sue
manifestazioni sulla libertà e sull'importanza della religione storica74. Einstein ha anche detto
che i progressi dell'umanità sono l'opera di forti personalità creative, che l'elemento
fondamentale della civiltà greco-europeo-americana è la libertà individuale75, che i valori più
alti di questa civiltà "ci sono indicati dalla tradizione religiosa ebraica e cristiana"76, i quali si
sviluppo libero e responsabile dell'individuo, in modo tale che egli possa porre liberamente e volentieri al
servizio dell'umanità tutte le sue facoltà.77
Tutte queste idee si trovano anche negli scritti di Popper. Einstein ha oscillato tra il
razionalismo scientista, secondo cui la scienza vuole sapere non soltanto come è la natura, ma
perché è così e non diversamente78, e il riconoscimento dei limiti della ragione con la
necessaria apertura alla religione:
L'intelligenza ci chiarisce la relazione esistente tra mezzi e fini. Ma il semplice pensiero non può darci il
significato dei fini ultimi e fondamentali. Chiarire questi fini e questi valori fondamentali, e ancorarli
strettamente alla vita emotiva dell'individuo, mi sembra proprio la funzione più importante che la religione
deve compiere nella vita sociale dell'uomo.79
esistono in una società sana come potenti tradizioni (...) come qualcosa di vivo, senza che sia necessario
trovare la giustificazione della loro esistenza. Essi nascono non da una dimostrazione ma da una rivelazione,
grazie alla mediazione di forti personalità. Si deve tentare non di giustificarli, ma piuttosto di sentirne la
natura con semplicità e chiarezza81.
Eppure, l'ambiguità di Einstein tra il determinismo e la libertà crea in lui una visione
confusa, in cui il richiamo alla responsabilità morale rimane vacuo e perciò porta al
pessimismo. Hitler era libero o malato?
Tu prendi una posizione definita sulla responsabilità di Hitler. Da parte mia non ho mai veramente creduto
nelle sottili distinzioni che gli avvocati rifilano ai medici. Oggettivamente, dopo tutto, non esiste il libero
arbitrio (..) Che necessità abbiamo di un criterio di responsabilità? Credo che l'orribile deterioramento della
condotta etica della gente oggi nasca primariamente dalla meccanizzazione e disumanizzazione delle nostre
vite: un disastroso sottoprodotto dello sviluppo della mentalità tecnica e scientifica. Nostra culpa! Non vedo
alcun modo di affrontare questa disastrosa manchevolezza82.
A Michele Besso, che gli parlava dell'amore dovuto ai nemici, Einstein scrisse il 6-1-
1948:
77 Ibid.
78 Cfr. EINSTEIN, Über den gegenwärtigen Stand der Feld-Theorie, in Festschrift für A. Stodola, Füssli, Zurigo 1929, pp.
126-132.
79 EINSTEIN, Pensieri degli anni difficili, cit., p. 109.
80 Ibid.
81 Ibid., pp. 109-110.
82 EINSTEIN, lettera a Juliusburger del 11-4-1946, in Albert Einstein. The Human Side, cit., pp. 81-82.
23
Quanto a me, comunque, la base intellettuale è la credenza nella causalità illimitata. 'Non posso odiarlo,
perché egli deve fare ciò che fa'. Di conseguenza, sono più vicino a Spinoza che ai profeti. Questo è il motivo
per cui secondo me non esiste il peccato.83
E a quella bambina sopra citata che gli aveva chiesto se gli scienziati pregavano,
rispondeva:
La ricerca scientifica è basata sull'idea che tutto quanto accade è determinato dalle leggi della natura, e perciò
questo vale anche per le azioni della gente. Per questo motivo, un ricercatore difficilmente sarà portato a
credere che gli avvenimenti possano essere influiti da una preghiera, cioè da un desiderio rivolto a un essere
soprannaturale.84
Forse sospetterete che io sia un materialista, che giudichi migliore la nostra società perché è la più ricca che
la storia abbia mai visto. Posso tuttavia assicurarvi che non è questa la ragione per cui ritengo che la nostra
società sia la migliore (...) penso ai criteri e ai valori che ci sono stati tramandati, attraverso il cristianesimo,
dalla Grecia e dalla Terra Santa; da Socrate, come dall'Antico e dal Nuovo Testamento.85
Come si vede, d'una parte vi è una coincidenza con la valutazione di Einstein sulla
radice extra-scientifica, e in buona misura religiosa e tradizionale dei valori propulsori delle
grande conquiste dell'Occidente, ma d'altra parte questa tesi è più coerente con il
superamento popperiano del rigido determinismo sia scientifico che metafisico. Come
sappiamo, l'intero volume II del Poscritto è dedicato alla confutazione filosofica del
determinismo assoluto.
Nell'ultimo periodo della sua vita Popper si concentrò sempre più sulla questione
dell'indeterminismo, così come prima aveva fatto con il problema della criticabilità delle
teorie: l'indeterminismo (relativo, non assoluto) delle scienze e delle realtà naturali e sociali86.
Non è che tutto sia indeterminato, bensì che "non tutto è determinato". Questo concetto non
rimase in Popper solo legato alla discussione sulla fisica quantistica, ma comportava una
concezione più ampia, anzi un vero e proprio programma metafisico di ricerca (secondo
l'espressione popperiana) proposto come un'alternativa al programma monistico di Einstein.
Il confronto con Einstein implicava ovviamente un approfondimento nella filosofia
della natura. Uno dei molti argomenti impiegati da Popper nella polemica riguardava la
temporalità. Se tutto è assolutamente determinato, scomparirebbe la distinzione tra il passato
e il futuro. Il tempo dovrebbe essere ridotto a una dimensione quasi-spaziale e la sua realtà
diverrebbe così distribuita nell'invarianza cosmica del tutto. Come un film è tutto già fatto, la
realtà sarebbe già tutta decisa, senza nessuna novità: senza tempo.
I colloqui di Popper con Einstein a Princeton riguardarono precisamente questa
tematica:
La realtà del tempo e del cambiamento mi sembrava essere il punto cruciale del realismo (Ancora la vedo
così, e allo stesso modo la vedono alcuni oppositori idealisti del realismo, come Schrödinger e Gödel).88
86 Cfr. S. SIMKIN, Popper's Views on Natural and Social Sciences, E. J. Brill, Leiden 1993, p. 181.
87 POPPER, La ricerca non ha fine, cit., p. 133.
88 Ibid., p. 133. Sostituiamo il termine cangiamento con cambiamento nella traduzione.
25
Nel modo più efficace possibile io cercai di presentare ad Einstein-Parmenide il mio convincimento che era
necessario prendere chiara posizione contro tutte le concezioni idealistiche del tempo (...) Io sostenevo che
non dovevamo lasciarci influenzare dalle nostre teorie per abbandonare con troppa facilità il senso comune.89
Egli mi ha preceduto di un poco nel congedarsi da questo strano mondo. Non significa niente. Per noi che
crediamo nella fisica la divisione tra passato, presente e futuro ha solo il valore di un'ostinata illusione.91
Popper è riguardo ad Einstein, in questo senso, ciò che Aristotele era rispetto a
Parmenide. Il "mondo aperto" popperiano consiste invece in un universo non monistico,
costituito da tre ambiti irriducibili: la natura, la psiche umana e il mondo delle oggettivazioni
(mondi 1, 2 e 3 rispettivamente). Queste tre dimensioni della realtà interagiscono a vicenda.
Di conseguenza, il mondo fisico non è causalmente chiuso: può essere modificato dalla
mente umana, e questa a sua volta può essere alterata dalle sue idee, dalle sue conoscenze,
nella sua perenne tensione verso la verità.
Non è questo il luogo per sviluppare le idee popperiane sull'indeterminismo. Basta
segnalare che l'apertura del mondo significa in modo particulare l'introduzione della categoria
della propensione nella metafisica della natura di Popper, un concetto che gioca in buona
misura un ruolo analogo a quello della nozione di potenza di Aristotele nei confronti di
Parmenide.92 La causalità fisica potrebbe comprendere certe potenzialità aperte e variabili93,
parzialmente selettive ma contingenti, con cui poter capire il cambio, ma soprattutto
l'emergenza delle novità qualitative nelle trasformazioni del cosmo94 (Popper comunque non
è stato preciso su questi argomenti, ovviamente in primo piano nei recenti sviluppi delle
scienze naturali e nella cosmologia).
L'idea popperiana di propensione naturale, benché non abbia avuto una grande
accoglienza nel campo filosofico o scientifico, comportava senz'altro l'introduzione di un
importante elemento metafisico nella comprensione della natura, nel tentativo di trovare
un'intelligibilità al problema del cambio, all'apparente creatività della natura.
Abbiamo incominciato e chiudiamo questo lavoro con la questione della creatività.
Nel mondo, e nella testa degli uomini, accadono cose veramente nuove, irriducibili a una
89 Ibid., p. 134.
90 Cfr. POPPER, Postscript, vol. II, cit., p. 92.
91 EINSTEIN, In Albert Einstein. Opere scelte, a cura di E. Bellone, Bollati Boringhieri, Torino 1988, pp. 706-07.
92 Cfr. POPPER, Postscript, vol. III, cit., pp. 159-160, 206, 209.
93 Cfr. POPPER, Un universo di propensioni, cit. (in particolare, p. 26) e naturalmente l'intero Poscritto, dedicato in grande
misura allo sviluppo dell'idea di propensione.
94 Cfr. POPPER, Postscript, vol. II, cit., pp. 144-145, 172-174.
26
'Il tema basilare della filosofia di Karl Popper è che qualcosa può procedere dal nulla', per William Bartley.
Le teorie scientifiche introducono nuove forme nell'universo e non possono essere dedotte dalle osservazioni;
il futuro non è contenuto nel presente o nel passato; c'è indeterminazione sia nella fisica che nella storia; le
nuove idee scientifiche possono influire sulla storia e perciò sul corso dell'universo fisico; il valore non si
riduce ai fatti; la mente non può ridursi alla materia.95
L'universo aperto (vol. II del Poscritto) finisce significativamente con queste parole:
Guardiamo l'universo come una macchina fisica oppure no, dobbiamo affrontare il fatto che esso ha prodotto
vita e uomini creativi, che è aperto ai suoi pensieri creativi e che è stato fisicamente cambiato da loro (...)
l'universo che ospita la vita è creativo nel miglior senso: creativo come sono stati i grandi poeti, i grandi
artisti, i grandi musicisti, e anche i grandi matematici, i grandi scienziati e i grandi inventori.99
Penso che la scienza ci suggerisce (senz'altro in modo congetturale) l'immagine di un universo inventivo e
perfino creativo, di un universo in cui appaiono cose nuove, su nuovi livelli.100
Considero l'emergenza della mente come un tremendo evento nell'evoluzione della vita. La mente illumina
,
97 Cfr. POPPER ibid., p. 122. Citato anche in nota 65.
98 POPPER, ibid., p. 163.
99 POPPER, ibid., p. 174.
100 POPPER, Natural Selection and the Emergence of Mind, in Evolutionary Epistemology, Rationality, and the Sociology ok
Knowledge, G. RADNITZKY, W. W. BARTLEY, III (ed.), Open Court, La Salle (Illinois) 1987, p. 142.
27
l'universo (...) Herbert Feigl racconta che Einstein gli aveva detto: 'se non fosse per questa interna
illuminazione, l'universo sarebbe un mucchio d'immondizie'.101
Purtroppo la lacuna principale della filosofia di Popper è il suo silenzio su Dio. Dalla
creatività relativa ed imperfetta degli esseri del mondo si poteva risalire alla creatività
assoluta di un Essere capace di produrre il mondo meraviglioso contemplato da Popper, la cui
incompletezza e contingenza è al servizio della sua pluralistica creatività partecipata. Ma
Popper ha sfiorato il problema, lasciandolo aperto almeno con prudenza, quando osservò che
le teorie dell'evoluzione soltanto hanno portato al discredito l'idea degli interventi divini
specifici e miracolosi per la produzione di ogni singola specie separata: la prova dell'esistenza
di Dio basata sul progetto (Design) non poteva essere capita in questo modo102. Lo stesso
Darwin si dibatteva in questo problema, e Popper ne riporta il seguente testo:
Non posso pensare che il mondo, così come lo vedo, sia il risultato del caso; eppure non posso vedere ogni
cosa separata come il risultato di un progetto (...) rispetto al progetto, sono più incline ad alzare bandiera
bianca anziché a fare uno sparo.103
la meraviglia della creatività; né ha tolto la meraviglia della libertà: la libertà di creare, e la libertà di
scegliere i nostri fini e i nostri propositi.106
E' importante accorgersi che la scienza non fa asserti sulle ultime questioni, sugli enigmi dell'esistenza, o sul
compito dell'uomo in questo mondo. Ma questo è stato spesso male interpretato (...) Il fatto che la scienza
non possa pronunciarsi sui principi etici è stato interpretato come se non ci fossero tali principi, quando in
realtà la ricerca della verità presuppone l'etica. E il successo della selezione naturale darwinista nel mostrare
che il proposito o lo scopo cui un organo come la vista sembra servire potrebbe essere soltanto apparente fu
male interpretato come la dottrina nichilistica secondo la quale ogni proposito è soltanto apparente, e che non
ci può essere nessuna finalità, nessun proposito o significato o compito nella nostra vita.107
Popper, in definitiva, trovò la strada del realismo scientifico con l'aiuto delle
convinzioni di Einstein, ma nello stesso tempo superò la visione eccessivamente stretta e
matematica di quest'ultimo con la sua apertura alla metafisica. La scienza di Popper d'altra
parte, essendo fortemente anti-riduzionistica, consente una visione epistemologica più in
concordanza con la pluralità analogica della realtà. Eppure Einstein era sembrato più
metafisico, in qualche modo, nelle sue tematiche teologiche, legate purtroppo allo
spinozismo. L'intuizione fondamentale di Popper è la creatività spontanea della natura e la
creatività libera del'uomo. Manca nella sua filosofia, tuttavia, l'impostazione del problema
teologico, che è assolutamente inevitabile. Il realismo trascendente può e deve aprirsi alla
comprensione di un Dio Creatore e personale, fonte e causa della libertà umana e di una
natura potenzialmente ricca, non chiusa nel determinismo. L'esigenza religiosa di Einstein o,
più esattamente, i problemi del senso della vita umana, del senso del mistero di un mondo
contingente e della motivazione profonda del compito scientifico, vanno positivamente
affrontati nel quadro di una metafisica creazionistica, nell'accezione teologica della parola.