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IL REALISMO SCIENTIFICO

POPPER E EINSTEIN A CONFRONTO

Juan José Sanguineti

Pubblicato in in Il Fare della Scienza (a cura di F. Barone ed altri), numero del 1997 della
rivista Contratto, Il Poligrafo, Padova 1997, pp. 97-122.

1. Introduzione

La filosofia della scienza di K. Popper nasce dal desiderio di capire la crescita della
conoscenza umana, con un atteggiamento ottimista e al contempo sobrio. La scienza cresce
senza un ordine particolare, non eseguendo un programma a priori, nella misura in cui via via
si allontana dagli errori (grazie agli urti imprevedibili con la realtà) e perciò procedendo
necessariamente verso la verità.
L'elemento costruttivo nella crescita nella conoscenza scientifica, nella visione di
Popper, non è il risultato di un metodo prefisso. Non vi è un metodo scientifico che serva a
garantire automaticamente il progresso verso la verità (ma tale progresso si presuppone).
Popper ha affermato chiaramente: "il metodo scientifico non esiste"1. La scienza indaga sugli
enigmi della natura e ne propone le soluzioni in modo creativo, senza formule in anticipo di
un successo scontato. La razionalità si arrende davanti alla meraviglia imprevedibile della
scoperta. E' questo il paradosso di un Popper forse non ancora completamente compreso: il
paradosso del razionalista critico aperto simultaneamente alla fede nella realtà, alla creatività
e alla "non esistenza del metodo scientifico"2.
Nelle pagine che seguono intendiamo approfondire la posizione epistemologica di
Popper alla luce di un confronto con Einstein, nella prospettiva del realismo della scienza.
Questo confronto potrà contribuire, a nostro avviso, a chiarire meglio alcune caratteristiche
profonde del pensiero di Popper, in parte accennate in queste considerazioni introduttive.

1 K. POPPER, Poscritto alla Logica della scoperta scientifica, vol. I: Il realismo e lo scopo della scienza, ed. Il Saggiatore
Economici, Milano 1994, p. 35.
2 Cfr. ibid.
2

2. La crescita della scienza come rettifica

La ragione svolge in Popper una funzione di controllo critico, come capacità di


discussione o di messa in dubbio di una tesi data. Essa non è creativa, dal momento che
nessun accorgimento metodologico potrà mai suscitare le scoperte geniali di un Newton o di
un Einstein. Nella mente dello scienziato deve "balenare" una nuova idea, una percezione
originale del modo di rapportarsi delle cose del mondo. Se tale idea è gratuita, l'esperienza
s'incaricherà di confutarla. Se viene formulata in modo furbesco per evitarne le possibili
confutazioni, siamo davanti alla pseudo-spiegazione che non fa onore alla scienza. In
definitiva, il tribunale dell'esperienza, rappresentando in qualche modo la realtà, deciderà sul
valore delle nostre congetture intellettuali.
La scientificità esige dunque la contrastabilità empirica o razionale: una teoria è
scientifica se lascia coraggiosamente aperte le porte alla possibile contraddizione. Le nostre
idee, essendo limitate, devono essere criticabili. Le contraddizioni, nella loro durezza, sono
positive e salutari perché garantiscono la possibilità della correzione. Senz'altro è questa
l'atmosfera tipica popperiana per quanto riguarda la sua visione dello sviluppo scientifico.
Le contraddizioni sono il motore indiretto del progresso scientifico razionale, non nel
senso dialettico hegeliano (non essendo la verità una sintesi di posizioni antagonistiche). La
contraddizione è il vaglio delle teorie, l'indicazione che qualcosa non funziona nella
spiegazione scientifica abituale o proposta. Essa serve indirettamente alla crescita della
scienza, ma niente di più: non può essere costruttiva perché non suggerisce nuove idee3. La
possibilità di venir contraddetti da chiunque (dalle esperienze, dagli altri, dalle nostre proprie
incoerenze) comporta la perenne disponibilità ad "imparare dai nostri errori". Il contesto
popperiano è l'apprendimento, operato in base alle successive correzioni (forse non è male
ricordare che Popper, come il suo connazionale Wittgenstein, fu maestro elementare nei suoi
anni giovanili).
Ma la correzione non comporta necessariamente un cambiamento rivoluzionario. Il
tramutamento di paradigma costituisce in Kuhn una rivoluzione scientifica. Il punto centrale
nell'epistemologia di Popper invece è alquanto diverso. La costante tensione critica della
scienza "in stato eroico" non corrisponde in lui ad una sorta di "epistemologia delle
rivoluzioni permanenti". Una teoria importante può essere sostituita da un'altra migliore, più
feconda, più verosimile, e questo fatto può essere chiamato, senz'altro, rivoluzione. Ma lo
spirito della filosofia popperiana pone l'accento sulla correzione, più connaturale
all'ambientazione pedagogica della sua filosofia: imparare dai nostri errori. Altrimenti non si
capirebbe perché Popper vede nelle nuove teorie l'avvicinamento progressivo verso la verità,
un punto inesistente nell'epistemologia di Kuhn. Il riconoscimento autocritico dei propri

3 Cfr. sulla visione popperiana della contraddizione dialettica, POPPER, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972,
pp. 535-540.
3

errori per avvicinarsi alla verità definisce in buona misura il concetto di correzione o di
rettifica.
Nell'ortodossia popperiana, le teorie che sono riuscite a superare le prove più rigorose
sono migliori approssimazioni alla verità. Ma se vi sono delle approssimazioni successive
(per cui parliamo di progresso speculativo delle scienze e non soltanto di progresso tecnico),
allora sembra esserci un elemento di continuità nella serie di teorie in sostituzione. Un
cambio totale comporterebbe l'incommensurabilità dei paradigmi di Kuhn, nei quali
scompare l'idea di progresso.
La continuità fondamentale esistente nell'arco delle scienze moderne, tranne poche
eccezioni per il caso di teorie molto esotiche, è facilmente accettata dagli scienziati attuali
come un fatto storico. La fisica galileiana e newtoniana sono profondamente rivoluzionarie
nei confronti dell'antica fisica greco-medievale (pur non mancando neanche qui certi elementi
di continuità)4. Ma oggi consideriamo la teoria geocentrica tolemaica come semplicemente
falsa. La teoria della relatività e la meccanica quantistica invece non sono rivoluzionarie nella
stessa misura nei confronti della fisica classica di Newton. Uno studente di scienze oggi deve
conoscere la meccanica classica, mentre non ha bisogno di studiare le teorie fisiche degli
antichi5.
La fisica classica può considerarsi vera a un certo livello di approssimazione. Non
possiamo dire che la scienza contemporanea l'abbia falsificata completamente. La scienza di
Newton dovette correggersi riguardo al modo completo in cui veniva compresa dal suo
fondatore. Ovviamente quella teoria contraddice Einstein se viene presa in tutti gli elementi
contestuali con cui era pensata originariamente. Ma non ne è in contraddizione se viene intesa
come un'approssimazione valida per i corpi della vita ordinaria (mentre è invalida per i corpi
a velocità vicina a quella della luce). In questo senso è possibile introdurre delle correzioni
importanti ed essenziali nella continuità dello sviluppo di una scienza, senza dover sempre
abbandonare del tutto la teoria precedente.
La teoria della falsazione di Popper presa letteralmente comporta invece la falsità tout
court della teoria confutata. Ma da quanto è stato detto, sembra più convincente
un'interpretazione continuista dell'evoluzione delle scienze, almeno per molti casi e a certi
livelli, dal momento poi che le teorie scientifiche sono per Popper delle successive
approssimazioni alla verità: se la nuova teoria risulta preferibile e più vera, vuol dire che la
teoria respinta, al meno se un tempo veniva razionalmente accettata, non era semplicemente
"falsa", ma piuttosto meno vera, cioè parzialmente vera. Anzi la teoria respinta, se viene
meglio conosciuto l'ambito in cui era valida, dovutamente corretta diventa anche più vera di
prima, quand'era nota senza troppa coscienza della sua precisa parzialità.
Con queste osservazioni ovviamente andiamo al di là di Popper e in qualche senso lo

4 Cfr. su questo punto il nostro lavoro Scienza aristotelica e scienza moderna, Armando, Roma 1992.
5 Cfr. sul tema, R. MARTÍNEZ, Congetture, certezze e verità: la natura fallibile della conoscenza scientifica, in AA. VV.., La
verità scientifica, Armando, Roma 1995, pp. 73-97.
4

correggiamo: sembra opportuno distinguere allora tra "semplice falsità" e "verità parziale"
(emblematicamente: tra Tolomeo e Newton) o, in altre parole, bisognerebbe riconoscere
diversi sensi specifici nella continuità o discontinuità nelle scienze, storicamente rilevanti.
L'esigenza di queste correzioni tuttavia procede dall'interno della stessa teoria di Popper della
verità come "verosimiglianza approssimativa", soprattutto se vogliamo mantenere
coerentemente la nozione di verità ed evitare la tesi kuhniana dell'incommensurabilità dei
paradigmi6. In altre parole, tale esigenza vuole essere in armonia con la convinzioni di Popper
secondo cui nella scienza

possiamo dire de aver fatto un autentico progresso: sappiamo più di quanto sapevamo prima.7

Le comprensibili difficoltà di una nozione di verità come quella popperiana, in parte


aristotelica, nel senso realistico di "adeguamento della mente alla realtà", e in parte kantiana
come "idea regolativa", nascono dal desiderio di spiegare il progresso speculativo delle
scienze. Einstein paragonava tale progresso all'ascesa di una montagna, in cui un identico
paesaggio, sempre più in alto, via via si scorge in una migliore prospettiva. La metafora
suggerisce "la continuità nella discontinuità" di molti progressi scientifici nella scoperta della
verità. Popper cita a questo proposito un testo di Einstein:

Non si potrebbe concedere a una teoria destino migliore di quello di dover indicare essa stessa la strada per
introdurre una teoria più comprensiva nella quale essa sopravvive come caso limite8.

Ma cerchiamo ora di chiarire come entrambi gli autori, Popper e Einstein,


concepivano in questo senso la conoscenza scientifica della realtà.

3. Convenzionalismo e realismo: Popper e Einstein

Vogliamo proporre in seguito, in base a una presentazione accurata di testi brevi, una
serie di paragoni che riteniamo significativi tra questi due autori, anche a partire dal fatto che
Popper ricevette una forte ispirazione da Einstein scienziato e filosofo, forse più ampia di
quanto ordinariamente si pensi. Einstein costituiva per il filosofo austriaco il modello genuino
del lavoro scientifico creativo ed originale. Il rigoroso atteggiamento scientifico del fondatore
della teoria della relatività spinse il giovane Popper al superamento del marxismo e della

6 L'approssimazione alla verità non va intesa in Popper in un senso puramente matematico, come raffinatezza sempre
maggiore nei calcoli predittivi. Popper, com'è noto, respinge l'interpretazione strumentalistica della scienza. Le nuove teorie
hanno idee nuove, più abbraccianti, capaci di ridimensionare le idee precedenti ma irriducibili ad esse.
7 POPPER, La scienza normale e i suoi pericoli, in Critica e crescita della conoscenza, a cura di I. LAKATOS e A. MUSGRAVE
(ed.), Feltrinelli, Milano 1986, p. 127.
8 In POPPER, Poscritto, vol. I, cit., p. 151.
5

psicoanalisi di Freud, due dottrine che evitavano sistematicamente i confronti critici.


La tesi principale di questo contributo è che la filosofia della scienza di Popper parte,
insieme ad Einstein, da una peculiare situazione a cavallo tra il convenzionalismo e il
realismo, con tendenza ad una progressiva accentuazione del realismo. Ma Popper non
seguirà Einstein nel suo realismo deterministico, e se ne allontanerà precisamente con la sua
dottrina indeterministica del "mondo aperto". Popper diverrà così, in ultima analisi, un
filosofo della libertà, avendo superato il mondo causalmente chiuso del suo amico Einstein.
Ora rammentiamo il punto cui eravamo arrivati poc'anzi. La creatività scientifica
costituisce per Popper un prodigio inspiegabile. Ma una volta che lo scienziato ha intuito
un'ipotesi che promette di essere reale e feconda, la dovrà sottomettere alla critica. La critica
non tenterà di dimostrarne la verità con argomenti osservativi, ciò che è impossibile, ma ne
metterà alla prova la verosimiglianza attraverso una serie di sforzi destinati sinceramente alla
sua falsificazione. E' questa ovviamente la conosciuta tesi popperiana della falsabilità.
Questa tesi si può anche rintracciare in Einstein, evidentemente in un modo non
sviluppato. La Logica della scoperta scientifica è del 1934, essendone l'idea centrale la
falsabilità empirica come criterio di scientificità di una teoria. Ma la sorpresa è trovare
quest'idea espressa già da Einstein nel 1919:

Una teoria può essere riconosciuta come errata se ha un errore logico nelle sue conseguenze, o come inesatta
se un fatto non è d'accordo con le sue conseguenze. Ma la verità di una teoria non si può mai dimostrare, dal
momento che non si sa mai se in futuro non ci capiterà di trovare un'esperienza che ne contraddica le
conseguenze.9

Il principio di falsabilità viene spiegato qui con estrema semplicità e acutezza:


l'esperienza può decidere sulla falsità di una teoria, non sulla sua verità. L'induzione è
insufficiente: l'esperienza si limita alla confutazione ma in se stessa non insegna nulla di
positivo.
Ancora un altro testo einsteiniano del 1922 formula la medesima idea con lucida
sinteticità:

La natura, o più precisamente l'esperimento, è un giudice inesorabile del suo lavoro [di quello dello
scienziato], e non molto amichevole. Mai dice di sì a una teoria. Nei casi più favorevoli, dice forse, e nella
maggior parte dei casi dice semplicemente di no. Se un esperimento è d'accordo con la teoria, questo
significa per quest'ultima un forse. E se non è d'accordo, significa di no. Probabilmente ogni teoria
sperimenterà qualche giorno il suo no; la maggioranza ne fanno l'esperienza non appena vengono
concepite.10

Il rapporto primitivo e concordante Einstein-Popper potrebbe dunque essere delineato

9 Cit. in D. HOWARD, Realism and Conventionalism in Einstein's Philosophy of Science. The Einstein-Schlick
Correspondence, "Philosophia Naturalis", 21, 1984, p. 620. Il testo appartiene al saggio di Einstein Induktion und Deduktion
in der Physik.
10 Nota del 11-11-1922, in Albert Einstein. The Human Side, New Glimpses from his Archives, selezione ed edizione di testi
a cura di H. DUKAS e B. HOFFMANN, Princeton Univ. Press, Princeton 1979, pp. 18-19.
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come una traiettoria, non troppo strettamente cronologica, in cui entrambi gli autori, a partire
da una peculiare posizione affine al convenzionalismo, muovono più decisamente verso il
realismo epistemologico. In questo percorso convivono due tesi apparentemente contrarie: il
convenzionalismo vede nelle teorie e ipotesi scientifiche delle semplici creazioni dello
spirito; per il realismo, invece, le teorie scientifiche, se confermate, corrispondono alla
struttura intrinseca della realtà del mondo. Ma nei testi di Einstein-Popper si vedrà in che
senso queste due posizioni non sono completamente antitetiche ma rivelano una specifica
posizione metodologica.

3. 1. Il convenzionalismo in Einstein-Popper

I. Einstein. Negli scritti e conferenze di Einstein ritroviamo spesso accenni


convenzionalistici non meramente occasionali. Nel suo discorso tenuto ad Oxford nel 1933,
Einstein dichiarava che i principi fisici fondamentali sono creazioni libere dello spirito
umano11. Questa libertà non comporta un capriccio soggettivistico. La libertà creativa deriva
dal fatto che l'esperienza non sarebbe mai capace di suggerire, ad esempio, le complicate
formule matematiche contenute nelle equazioni delle teorie più sofisticate, come quelle di
Maxwell o dello stesso Einstein. Tali equazioni non sono state ricavate dalla semplice
osservazione dei fenomeni, ma sono state ottenute attraverso la costruzione concettuale
("libera" nei confronti dell'esperienza), per essere poi ricondotte all'applicazione dei fatti
empirici.
Einstein impiegava un'identica espressione nei suoi commenti ad un'opera di Russell:
i concetti sono freie schöpfungen des Denkens, libere creazioni del pensiero12. Egli arriva
addirittura ad attribuire questa caratteristica allo stesso concetto di essere:

'Essere' è sempre qualcosa che noi costruiamo con la mente, cioè qualcosa che noi supponiamo con assoluta
libertà (in senso logico). La giustificazione di tali costrutti non sta nel fatto che essi derivino dai dati dei
sensi. Questo tipo di derivazione (nel senso di deducibilità logica) non è mai possibile, nemmeno nell'ambito
del pensiero prescientifico. La giustificazione dei costrutti che per noi rappresentano la 'realtà' sta soltanto
nella loro capacità di rendere intelligibile ciò che è dato dai sensi.13

In questo senso Einstein confessa di sostenere una posizione kantiana liberalizzata,


nella quale le categorie mentali non sono rigide ma possono cambiare col tempo.

L'atteggiamento teorico che noi difendiamo si distingue da quello di Kant solo in quanto noi non concepiamo
le 'categorie' come se fossero immutabili (condizionate dalla natura del pensiero), ma come se fossero (in

11 Cfr. A. EINSTEIN, Comment je vois le monde, Flammarion 1934, pp. 163-173.


12 Cfr. EINSTEIN, Remarks on Bertrand Russell's Theory of Knowledge, in AA. VV. The Philosophy of Bertrand Russell, ed.
P. A. SCHILPP, Evanston (Illinois) 1946.
13 EINSTEIN, A. Einstein, scienziato e filosofo (autobiografia di Einstein e saggi di diversi autori), ed. P. A. SCHILPP, Einaudi,
Torino 1958, p. 613.
7

senso logico) libere convenzioni.14

Il convenzionalismo era una tentazione frequente nella filosofia della scienza degli
inizi del Novecento (basti pensare a Mach, Duhem e Poincaré, essendo quest'ultimo lo
scienziato più ammirato da Einstein). La crisi feconda delle geometrie non-euclidee,
l'assiomatismo logico, la teoria della relatività e la fisica quantistica avevano scosso la
comoda rappresentazione classica del mondo fisico di Newton-Euclide. Un cambiamento
concettuale talmente complesso e lontano dall'esperienza comune non consentiva
l'impostazione di un facile induttivismo metodologico. La fisico-matematica appariva come
un metrica, fra tante possibili, destinata all'inquadramento di un mondo parzialmente
idealizzato.
Il convenzionalismo einsteiniano comunque non si dimostrava auto-soddisfatto col
semplice criterio della comodità metrica (la teoria migliore sarebbe la metrica più comoda o
più semplice). Certamente se l'esperienza ci lascia liberi e non ci costringe ad abbracciare una
teoria, bisogna sceglierne una tra le molte possibili. Ma la scelta non dev'essere un arguzia
logica o pratica, bensì un'intuizione fiduciosa e anche misteriosa sulla natura della realtà,
quasi come una scommessa speculativa che poi sarà in qualche modo confermata dalle
risposte dell'esperienza. In questo senso il convenzionalismo di Einstein si allontana dallo
strumentalismo pragmatico e segue invece la via di una profonda fiducia speculativa nella
verità.

Il compito supremo del fisico -scriveva Einstein nel 1918- è quello di arrivare alle leggi elementari universali
dalle quali poter poi costruire il mondo mediante la pura deduzione. Non esiste nessun filo logico che porti a
queste leggi; soltanto l'intuizione, basata sulla comprensione congeniale dell'esperienza, è in grado di
coglierle. In questa incertezza metodologica, si potrebbe supporre che vi è un numero arbitrario di sistemi
possibili di fisica teorica, tutti ugualmente giustificabili; e quest'opinione, in teoria, è senza dubbio esatta. Ma
l'evoluzione storica ha dimostrato che, in ogni momento determinato, tra tutte le possibili costruzioni, una
soltanto si è dimostrata assolutamente superiore alle altre. Chi abbia approfondito veramente nella materia
non potrà negare che, in pratica, il mondo dei fenomeni determina in modo univoco il sistema teorico, benché
non esista nessun ponte logico tra i fenomeni e i loro principi teorici.15

L'aggancio della teoria con la realtà viene dopo, dunque, nell'esperienza sistematica
ma a posteriori, guidata dal tentativo teorico della spiegazione. Il metodo ipotetico-deduttivo
consente questa strana alleanza einsteiniana tra il convenzionalismo di primo acchito, dove il
genio creativo deve avanzare le sue scommesse, e il realismo come fede riconfermata dalla
coerenza delle deduzioni con i fatti dell'esperienza. Da qui il primato della contraddizione
sulla dimostrazione positiva.

Una teoria può essere verificata dall'esperienza, ma non esiste alcun modo per risalire dall'esperienza alla

14 Ibid., p. 619.
15 EINSTEIN, Comment je vois le monde, cit., p. 155 (dal discorso per il compleanno di Max Planck).
8

costruzione di una teoria.16

Nella sua conferenza presso l'Accademia Prussiana delle Scienze nel 1921, Geometria
ed Esperienza, Einstein dichiarava in questo senso che, nonostante l'inesattezza osservata da
Poincaré tra la geometria euclidea e i corpi solidi ordinari, che non sono mai perfettamente
rigidi, la geometria di Riemann assunta dalla teoria generale della relatività era molto ben
adeguata all'esperienza17. Siamo evidentemente al di là del convenzionalismo di Poincaré18.
L'esperienza può dimostrare le sue "preferenze" per una determinata teoria. Ma non di più,
dal momento che a un certo punto l'esperienza può anche incominciare a dire di no, per cui

le nostri nozioni sulla realtà fisica non possono mai essere definitive. Dobbiamo essere sempre pronti a
cambiare quelle nozioni -cioè la struttura assiomatica della teoria- per fare i conti dei fatti percepiti nel
mondo nella maniera logicamente più perfetta possibile.19

Il convenzionalismo-realismo di Einstein consiste in definitiva in una posizione


matura, assunta negli anni in cui Einstein si è allontanato dal suo primitivo atteggiamento
filopositivistico (più legato agli anni dell'elaborazione della teoria della relatività ristretta e
agli influssi di Mach). Superando il convenzionalismo di Schlick, Duhem e Poincaré,
Einstein arriva a certe convinzioni sostanzialmente identiche a quelle che saranno poi assunte
da Popper: la teoria è una proposta rischiosa e creativa da confermare indirettamente nelle
conseguenze, mediante prove sperimentali, ben sapendo che in quel lavoro forse il fisico sta
preparando la morte della propria teoria20.

II. Popper. Vediamo ora, più brevemente, il caso di Popper. Il seguente può
considerarsi un testo parallelo a quelli citati di Einstein, affine ugualmente al
convenzionalismo. Scritto nel 1982, riflette con una particolare essenzialità una tesi classica
di Popper: le nostre teorie scientifiche

non sono semplicemente il risultato di una descrizione della natura (..) sono, piuttosto, prodotti della mente
umana: 'il nostro intelletto non ricava le sue leggi dalla natura, bensì impone le sue leggi alla natura'
[citazione di Kant, Prolegomena]. Ho cercato di perfezionare questa eccellente formulazione di Kant come
segue: 'il nostro intelletto non ricava le sue leggi dalla natura, bensì cerca -con esito disuguale- di imporre
sulla natura delle leggi che egli stesso inventa liberamente. Dunque le teorie sono invenzioni nostre o idee
nostre: questo lo hanno visto con chiarezza gli idealisti epistemologi. Ma alcune di quelle teorie sono

16 EINSTEIN, A. Einstein, scienziato e filosofo , cit., p. 46.


17 Cfr. EINSTEIN, Geometrie und Erfahrung, Springer, Berlino 1921. Questa sicurezza nella "migliore verità" della teoria
spiega anche l'azzardata proposta einsteiniana del primo modello cosmologico basato sulla relatività generale, nel 1917.
Einstein stupiva il pubblico quando in questa conferenza del 1921 sosteneva la possibilità di poter dimostrare
sperimentalmente la finitezza dell'universo e calcolarne le dimensioni.
18 Howard ritiene in questo senso che la posizione di Einstein sia al contempo convenzionalistica e realistica: cfr. D.
HOWARD, Realism and Conventionalism in Einstein's Philosophy of Science, cit., pp. 616-629. Cfr. anche A. FINE, The Shaky
Game. Einstein Realism and the Quantum Theory, The Univ. of Chicago Press, Chicago e Londra 1986, con una visione
ridimensionata del realismo di Einstein.
19 EINSTEIN, Comment je vois le monde, cit., p. 194 (il testo è del 1931).
20 Ibid. pp. 224-225.
9

talmente azzardate che possono urtare con la realtà: sono le teorie contrastabili della scienza. E quando
urtano, allora sappiamo che c'è una realtà: qualcosa che può indicarci l'errore delle nostre idee. E perciò, il
realista ha ragione.21

A nessuno sfugge che in questo brano sia veramente ricapitolata l'intera epistemologia
di Popper e se ne vede insieme la concordanza con Einstein, sia per quanto riguarda il
"kantismo liberalizzato", sia in rapporto al legame che viene a stabilirsi tra il
convenzionalismo e il realismo: i principi fisici inizialmente sono inventati e la realtà
s'incarica di selezionarli con i suoi durissimi colpi, per cui si può anche argomentare
indirettamente (e criticamente) a favore della filosofia realistica.
Il solo convenzionalismo rimane bloccato dall'incertezza provocata dalle esperienze
ritenute sempre ambigue e neutrali:

L'idea centrale del convenzionalista, il suo punto di partenza, è che nessuna teoria sia determinata
dall'esperienza in modo non ambiguo, e su questo punto sono d'accordo con lui. Egli crede di dover scegliere,
per questa ragione, la teoria più semplice. Però, siccome il convenzionalista non tratta le teorie come sistemi
falsificabili, ma piuttosto come stipulazioni convenzionali, è ovvio che con 'semplicità' intende una cosa
diversa dal grado di falsificabilità.22

Certamente viene qui mantenuta la libertà creativa del pensiero o, se vogliamo, si


ribadisce una sorta di "intuizionismo creativo", kantianamente costruzionistico ma non
assoggettato a norme fisse:

Noi inventiamo -a priori- le nostre teorie, le nostre generalizzazioni, alle quali appartiene anche la nostra
percezione della forma. Una percezione della forma è un'ipotesi, è la nostra interpretazione di ciò che
vediamo, e quindi, essendo un'interpretazione, è un'ipotesi. Noi abbiamo a che fare solamente con congetture
ed ipotesi (che sono la stessa cosa). Noi abbiamo continuamente delle congetture create da noi. Esse vengono
continuamente poste in qualche modo a confronto con la realtà così che possano essere migliorate e portate
ad essa più vicino.23

In conclusione, la realtà non si presenta direttamente, bensì in un modo


esclusivamente negativo: può colpire con forza, senza rivelarne mai del tutto l'essenza. Il
"convenzionalismo" dapprima apre le porte alla creatività del pensiero, anzi stimola
l'intuizionismo creativo, che comunque è sempre inspiegabile; più tardi la ferma fiducia nel
valore della falsificazione rende lo scienziato docile a quella realtà che egli non vede, e quasi
"lo converte" in un realista metafisico24. Ecco il difficile passaggio dal convenzionalismo al

21 POPPER, Postscript to the Logic of Scientific Discovery, vol. III: Quantum Theory and the Schism in Physics, a cura di W.
W. BARTLEY III, Hutchinson, Londra 1982, prefazione del 1982, I. Un testo analogo è il seguente: "quando Kant affermò: 'il
nostro intelletto non trae le proprie leggi dalla natura, ma le impone ad essa', era nel giusto. Ma sbagliava nel ritenere che
dette leggi fossero necessariamente vere, o che noi riuscissimo senz'altro ad imporle alla natura. La natura, assai spesso, si
oppone molto efficacemente, costringendoci ad abbandonare le nostre leggi in quanto confutate" (POPPER, Congetture e
confutazioni, cit., pp. 86-87).
22 POPPER, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 1970, p. 148.
23 POPPER, Tre Saggi sulla mente umana, Armando, Roma 1994, p. 69.
24 Popper si discosta da Einstein soltanto nel non ritenere necessario che il punto di partenza intuitivo del sapere sia sempre
di carattere matematico. Secondo Einstein, osserva Popper, "la scienza ha inizio con intuizioni, ed esattamente, a suo avviso,
10

realismo (un passaggio molto problematico a nostro avviso, ma per ora non ci soffermiamo
su questo punto).

3. 2. Il realismo epistemologico

Agli inizi del secolo Einstein aveva provato una certa simpatia verso il positivismo di
Mach, al quale era stato introdotto tramite il suo collega Michele Besso a Berna. Il lavoro
nella relatività generale suscitò in lui una forte convinzione realistica che non abbandonerà
mai:

Io cominciai con un empirismo scettico più o meno come quello di Mach. Ma il problema della gravitazione
mi convertì in un razionalista credente, cioè in uno che cerca l'unica fonte affidabile della Verità nella
semplicità matematica.25

E' significativo il suo rifiuto del "realismo convenzionalistico" di Schlick, col quale
prima concordava. Nel 1930 Einstein gli scriveva infatti:

in un modo generale, la sua presentazione non corrisponde certamente al mio stile concettuale nella misura in
cui trovo l'insieme del suo orientamento troppo positivistico (...) la fisica è il tentativo di costruire
concettualmente un modello dell'universo reale e della struttura che gli viene data dalle leggi (..) Lei sarà
sorpreso del 'metafisico' Einstein. Ma ogni animale di quattro o due zampe è, in questo senso, un
metafisico.26

Il realismo scientifico è uno degli aspetti basilari del pensiero einsteiniano, collegato
alla sua stessa vocazione come scienziato e alle ispirazioni di fondo del suo lavoro. Questo
realismo comunque era poliedrico e non ingenuo. Einstein aveva uno spirito acuto e non
semplificava i problemi: talvolta può capitare, scrive parlando evidentemente di se stesso, che
l'uomo di scienza appaia agli occhi dell'epistemologo

come una specie di opportunista senza scrupoli: che gli appaia come un realista, poiché cerca di descrivere il
mondo indipendentemente dagli atti della percezione; come un idealista, poiché considera i concetti e le
teorie come libere invenzioni (non deducibili logicamente dal dato empirico); come un positivista, poiché
ritiene che i suoi concetti e le sue teorie siano giustificati soltanto nella misura in cui forniscono una
rappresentazione logica delle relazioni fra le esperienze sensoriali. Può addirittura sembrargli un platonico o
un pitagorico, in quanto considera il criterio della semplicità logica come strumento indispensabile ed
efficace della sua ricerca.27

da intuizioni matematiche. Penso che ciò sia corretto, ma non decisivo. Non si tratta sempre di una intuizione matematica"
(POPPER, Società aperta universo aperto, Borla, Roma 1984, p. 42).
25 EINSTEIN, lettera a C. Lanczos, 24-1-1938, in Albert Einstein. The Human Side, cit., p. 67. "Il mio abbandono del
positivismo avvenne soltanto quando lavorai nella teoria generale della relatività": lettere a D. S. Mackey, 26 aprile e 22
maggio del 1948, citato in A. FINE, The Shaky Game. Einstein Realism and the Quantum Theory, cit., p. 86.
26 EINSTEIN, citato in G. HOLTON, Où est la réalité? Les réponses d'Einstein, in AA. VV., Science et Synthèse, Gallimard,
Parigi 1967, p. 135.
27 EINSTEIN, A. Einstein, scienziato e filosofo , cit. p. 630.
11

L'elemento centrale tra queste possibilità resta comunque il realismo, un realismo


"pitagorico" se vogliamo, compatibile con il metodo dei tentativi ed errori e con l'apertura
della scienza a nuove scosse e a nuove revisioni:

La fisica è un tentativo di afferrare concettualmente la realtà, quale la si concepisce indipendentemente dal


fatto di essere osservata. In questo senso si parla di 'realtà fisica'.28

Il realismo einsteiniano, stimolato in parte da quello di Max Planck29, (e coincidente


in parte con il pensiero di un altro grande realista del Novecento: G. Frege), si rivela una fede
metafisica più fiduciosa nelle riuscite dell'intelletto matematico anziché nelle variabili
manifestazioni dei sensi:

La fede in un mondo esterno indipendente dal soggetto che lo percepisce è la base di tutta la scienza naturale.
Ma poiché la percezione dei sensi ci informa soltanto indirettamente di questo mondo esterno o 'realtà fisica',
noi possiamo afferrarlo solo con mezzi speculativi.30

Nella citata conferenza ad Oxford nel 1933 Einstein dichiarava arditamente:

In un certo senso io ritengo vero che il pensiero puro possa afferrare la realtà, come sognavano gli antichi.31

Questa posizione epistemologica comporta evidentemente che il mondo sia


indipendente dall'atto psichico con cui ce lo rappresentiamo o dall'io che conosce il mondo: la
realtà trascende l'atto di misurazione e di sperimentazione dello scienziato. In questo senso,
Abraham Pais, il noto biografo di Einstein, inizia la sua opera Subtle is the Lord con un
aneddoto ambientato a Princeton, in cui Einstein gli chiese:

Veramente è convinto che la Luna esista solo se la si guarda?32

Per il realismo einsteiniano, il mondo della scienza ci trasferisce quasi religiosamente


fuori da noi, ci fa dimenticare di noi stessi ed estasiarci nella contemplazione di una realtà
immensa e meravigliosa che ci trascende e ci rende infinitamente piccoli. Einstein visse
questi sentimenti sin dalla sua giovinezza:

Fuori c'era questo enorme mondo, che esiste indipendentemente da noi, esseri umani, e che ci sta attorno
come un grande, eterno enigma, accessibile solo parzialmente alla nostra osservazione e al nostro pensiero.
La contemplazione di questo mondo mi attirò come una liberazione (...) Il possesso intellettuale di questo
mondo extrapersonale mi balenò alla mente, in modo più o meno consapevole, come la meta più alta fra

28 Ibid., p. 43.
29 Cfr. sul tema, i nostri lavori Il Realismo nella Filosofia della Scienza Contemporanea, "Aquinas", 32, 1989, pp. 525-541
(su Max Planck) ed Einstein y el realismo científico, "Sapientia", 47, n. 184, 1992, pp. 131-150.
30 EINSTEIN, Comment je vois le monde, cit., p. 194.
31 EINSTEIN, Comment je vois le monde, cit., p. 169.
32 A. PAIS, 'Sottile è il Signore...'. La scienza e la vita di Albert Einstein, Boringhieri, Torino 1986, p. 15.
12

quelle concesse all'uomo.33

Il realismo scientifico e anche "mistico" e religioso di Einstein era la motivazione più


profonda del suo lavoro:

Quando io -ricorda Reichenbach-, in una certa occasione, domandai al professore Einstein come avesse
trovato la sua teoria della relatività, egli rispose di averla scoperta perché era profondamente convinto
dell'armonia dell'universo.34

Non era questa una frase occasionale. Il realismo einsteiniano non comportava una
"posizione intellettuale", bensì una persuasione vissuta fino al punto di toccare gli strati
religiosi e anche affettivi della sua personalità. Sarebbe un errore emarginare questo settore
della sua vita come se fosse estrinseco al suo lavoro creativo. Per lui la scienza aveva un
senso contemplativo, nella migliore tradizione dei classici:

Il mio lavoro scientifico è motivato da un desiderio irresistibile di capire i segreti della natura, e da nessun
altro sentimento.35

Lo spirito di contemplazione trascendente, come abbiamo accennato sopra, coincide


con quello che potremmo chiamare la "religiosità" einsteiniana:

Non trovo un'espressione migliore che il termine religioso per indicare questa fiducia nel carattere razionale
della realtà e nel fatto che sia accessibile alla ragione umana, almeno in una certa misura. Dove questo
sentimento è assente, la scienza degenera in un empirismo senza senso. Mi spiace se i preti si approfittano di
questo, non si può rimediare.36

In questo senso Einstein spiegava nel 1918, in occasione del 60º compleanno di Max
Planck, che la perseveranza nel lavoro di quest'ultimo non era dovuta ad una ferrea
autodisciplina o ad una grande energia, bensì a quel tipo di sentimenti forti che si trovano
nelle persone religiose o innamorate37.
Veramente la scienza e l'amore della verità, il realismo trascendente e la religione
erano molto vicine, secondo Einstein, in un nucleo ultimo della persona, per cui egli pensava
che la religione stava non solo psicologicamente ma anche storicamente alla radice del lavoro
scientifico creativo e perseverante:

La scienza può essere creata solo da coloro che sono integralmente convinti delle aspirazioni verso la verità e

33 EINSTEIN, A. Einstein, scienziato e filosofo , cit. p. 4.


34 H. REICHENBACH, Il significato filosofico della teoria della relatività, in A. Einstein, scienziato e filosofo , cit. p. 240.
Reichenbach si aspettava una risposta scientifica o logica, mentre la replica di Einstein si colloca sul versante filosofico.
35 EINSTEIN, in Albert Einstein. The Human Side, cit., p. 18.
36 EINSTEIN, Lettera a M. Solovine del 1-1-1951, in Lettres à Maurice Solovine, Gauthier-Villars, Parigi 1956, p. 110.
37 Cfr. EINSTEIN, Comment je vois le monde, cit., p. 156. Simili espressioni riguardo alla perseveranza incredibile dei grandi
geni come Keplero o Newton, nonostante gli ostacoli della vita pratica immediata e i frequenti fallimenti, si leggono in
Comment je vois le monde, cit., pp. 37-38.
13

verso la comprensione. Ma questa sorgente di sentimento nasce dalla sfera della religione, alla quale
appartiene anche la fede nella possibilità che le regole valide per il mondo dell'esistenza siano razionali,
comprensibili, cioè, con la ragione. Non riesco a concepire un vero scienziato senza una fede profonda.38

La religiosità cosmica e panteistica di Einstein, ampiamente conosciuta, non dovrebbe


portare a minimizzare l'importanza di queste espressioni, nelle quali si dimostra, malgrado
tutto, l'esistenza in Einstein non solo di una vera religiosità, quantunque imperfetta, ma
soprattutto il suo stretto legame con il realismo trascendente.
Nonostante il limite del approccio fondamentalmente matematico, ma ben lontano
ormai dal convenzionalismo, si può dire che in Einstein nell'intuizione dell'armonia
matematica della natura emerge il pensiero di una intelligenza suprema che egli nomina Dio.
Alla lettera di una bambina di New York che gli aveva fatto domande di natura religiosa,
Einstein rispondeva:

Uno spirito è manifesto nelle leggi dell'universo, uno spirito enormemente superiore a quello dell'uomo,
dinanzi al quale noi con le nostre modeste capacità ci dobbiamo sentire umili. In questo senso la ricerca
scientifica conduce a un sentimento religioso particolare.39

Analogamente, in un appunto di lettera indirizzata ad un banchiere (forse non inviata)


e trovato nei suoi archivi, a una domanda anche religiosa Einstein replicava:

la mia religiosità consiste in una umile ammirazione di fronte a uno spirito infinitamente superiore che si
rivela nel poco che possiamo comprendere della realtà col nostro intelletto debole e transitorio.40

Il sentimento di umiltà intellettuale e insieme religiosa, legato al senso della


meraviglia di una natura prodigiosa, incomprensibilmente comprensibile, misteriosamente
penetrata da un'intelligenza superiore, portava ad Einstein a vedersi piccolo come un
bambino:

Lo studio e in generale la ricerca della verità e della bellezza è una sfera di attività nella quale ci è consentito
di rimanere sempre bambini lungo tutta la nostra vita.41

In una lettera del 29 settembre del 1947 per l'80º compleanno di Juliusburger si
esprimeva in termini analoghi:

la gente come te e me, benché mortali come chiunque altro, non diventano mai vecchie per quanto a lungo
vivano. Voglio dire che noi non smettiamo mai di essere come bambini incuriositi dinanzi al grande Mistero

38 EINSTEIN, Pensieri degli anni difficili, Boringhieri, Torino 1965, p. 135. Sul rapporto storico-culturale tra la religione
cristiana e la scienza occidentale si sono espressi molti autori (Duhem, Whitehead, Dawson, Jaki): cfr. il nostro studio
Scienza aristotelica e scienza moderna, cit., pp. 81-100.
39 Ibid., p. 33 (24-1-1936).
40 Ibid., p. 66 (l'appunto è scritto sulla lettera ricevuta dal banchiere del 5-8-1927).
41 Ibid., p. 83. Così scriveva ad Adriana Enriques nell'ottobre del 1921, in occasione di un congresso a Bologna organizzato
da suo padre il professore Federico Enriques.
14

nel quale siamo nati.42

II. Popper. Uno sguardo al realismo metafisico di Popper rivela tratti simili a quelli di
Einstein, anche se privi dell'accento religioso. Coincidono entrambi, in forte sintonia con
Planck, nel loro rifiuto più deciso del fenomenismo di Berkeley, sinonimo per Popper di
idealismo soggettivistico, e soprattutto nel rifiuto dell'interpretazione del fisico filosofo
responsabile dell'introduzione della filosofia del esse est percipi nell'epistemologia moderna,
cioè di Ernst Mach. Era appunto la filosofia di Mach quella che portava a pensare che la luna
(cioè qualsiasi oggetto fisico) non era una realtà bensì un'elaborazione concettuale che
ricapitolava le nostre sensazioni allo scopo di poterci muovere con sicurezza nel mondo.
Popper era consapevole del cambiamento avvenuto in Einstein dopo i suoi lavori nel campo
della relatività generale:

L'origine del positivismo in fisica può essere cercato in parecchi grandi errori, uno dei quali è il positivismo o
idealismo di Mach (...) Einstein respinse questa concezione quando aveva 40 anni circa (1926), e se ne
lamentò profondamente nella sua età matura (1950).43

Il realismo in Popper è il convincimento irremovibile dell'esistenza di un mondo


indipendente dalle nostre conoscenze. La scienza non è una modificazione dei nostri stati di
coscienza né una semplice strategia intesa ad impadronirsi tecnicamente delle cose, bensì
un'autentica conoscenza (congetturale) della struttura del mondo e delle sue leggi naturali. Gli
enunciati scientifici esprimono qualcosa di essenziale sul mondo.

La realtà dei corpi fisici è implicita in quasi tutti gli enunciati del senso comune che formuliamo; e questo, a
sua volta, implica l'esistenza di leggi di natura; così, tutte le affermazioni della scienza implicano il realismo.
Questi argomenti rendono ragionevole credere nell'esistenza di leggi di natura vere, anche se questa credenza
non è né verificabile né falsificabile ed è, perciò, metafisica.44

La metafisica di Popper non è scientificamente argomentabile ma è razionalmente


discutibile. Egli ritiene che alcune tesi metafisiche siano vere, in particolare quelle che più
sono vicine alle grandi convinzioni del senso comune45. L'idealismo è metafisico ma non
convince, ed urta contro il senso comune, il quale in questo terreno non è per nulla
abbandonato dallo scienziato (la scienza non è altro che senso comune illuminato)46. Le
scienze secondo Popper sono guidate da certe conoscenze metafisiche significative e in

42 Ibid., p. 82.
43 POPPER, Postscript, vol. III, cit., prefazione del 1982, I.
44 POPPER, Poscritto, vol. I, cit., p. 149.
45 Il senso comune "indica le certezze di base di tutti gli uomini (...) l'insieme organico delle certezze universali e necessarie,
costitutive della conoscenza umana come tale" (A. LIVI, Le parole dell'epistemologia contemporanea, "Cultura e Libri", n.
86, maggio-giugno 1993, p. 94).
46 Cfr. POPPER, Poscritto, vol. I, cit., pp. 148-151, tra molti altri luoghi in cui Popper esprime la medesima idea.
15

particolare dall'impulso speculativo verso la verità realistica. Ancora una volta, Popper come
Einstein supera il convenzionalismo originario con queste idee in parte kantiane ma in parte
anche aristoteliche: gli atomi, le particelle, le forze, i campi, i principi termodinamici oppure
relativistici e quantistici, pur nella loro congetturalità, sono veri, reali, descrittivi di
un'autentica struttura della realtà e relativi a leggi naturali (non soltanto "imposti" dall'uomo).
I concetti della scienza non sono semplici costruzioni strumentali della strategia pragmatica
degli scienziati. La scienza e la metafisica condividono l'aspirazione verso la verità:

Ormai non credo, come in un tempo, che vi sia una differenza tra la scienza e la metafisica in questo punto
così importante.47

3. 3. Alcuni aspetti del realismo popperiano

Popper non consente il minimo dubbio riguardo alla tesi realistica. Non senza un
pizzico d'ironia, egli confessa che nell'inverno del 1926-27 s'imbrogliò col fenomenismo di
Mach, ma non per più di un'ora:

Non vi credetti seriamente per più di un'ora -finché, cioè, non scoprii il suo carattere idealistico.48

Ma Hume aveva già dichiarato che l'idealista, pur potendo difendere la sua posizione
con ogni tipo di accorgimenti logici, in realtà era costitutivamente incapace di credervi
nemmeno per un'ora49. Siamo in un terreno duro e profondo, certo discutibile se emergono
delle difficoltà particolari, le quali comunque

non sono tali da intaccare minimamente la mia fede nel realismo.50

La posizione di Popper a questo livello sembra ricollegabile a quella dei filosofi che
hanno riconosciuto uno strato conoscitivo profondo e pre-razionale, quasi naturale e con
manifestazioni affettive e vitali: il sapere inespresso di Polanyi, le convinzioni vitali e
inesprimibili di Wittgenstein (negarle non è un errore, ma malattia mentale) (cfr. Sulla
certezza), o i primi principi noetici e pre-razionali di Aristotele, contro i quali non si può
pensare seriamente51. In questo senso Popper riconobbe che

il mio razionalismo non è dogmatico. Riconosco pienamente che non posso dimostrarlo razionalmente.
Confesso francamente che ho optato per il razionalismo perché odio la violenza e non mi illudo inutilmente

47 POPPER, Postscript, vol. III, cit., p. 199.


48 POPPER, Poscritto, vol. I, cit., p 114, nota 81.
49 Cfr. ibid., p. 111.
50 Ibid., p. 167.
51 Cfr. ARISTOTELE, Analitici secondi, I, 72 a 1-25; 76 b 23-34.
16

che tale odio abbia un qualsiasi fondamento razionale. O, in altri termini, il mio razionalismo non è
autosufficiente, ma poggia su una fede irrazionale nell’atteggiamento di ragionevolezza. Non vedo come si
possa andare oltre questo.52

Einstein e Popper hanno sostenuto con notevole energia la convinzione realistica del
senso comune in momenti particolarmente polemici. Le critiche di Popper a Mach, Russell,
Carnap, Reichenbach e altri furono assai dure, al punto che quando Carnap tentò di presentare
Popper a Reichenbach, questi non soltanto si rifiutò di rivolgergli la parola, ma addirittura di
stringergli la mano53. Anche Einstein, quando dichiarava che la luna esiste
indipendentemente dalle nostre misure, giocava il ruolo del filosofo del senso comune,
nonostante lui abbia anche difeso la necessità di superare le intuizioni comuni nelle
sofisticate elaborazioni della scienza.
Vediamo adesso due ulteriori caratteristiche del realismo di Popper:

1. D'una parte, Popper ha sempre collegato il realismo alla convinzione dell'esistenza


della verità, una convinzione ch'egli acquistò quando conobbe la teoria della verità del logico
Tarski. Sin d'allora, Popper per così dire s'innamorò della dottrina della verità assoluta e
oggettiva e ritenne che non vi erano difficoltà particolari per accettarla dal punto di vista della
logica formale. In Un universo di propensioni egli rammenta la sua amicizia con Tarski:

Dal punto di vista filosofico, fu l'amicizia più importante della mia vita, poiché imparai da lui la sostenibilità
logica e la forza della verità assoluta e oggettiva: fondamentalmente una teoria aristotelica (...) [la teoria
logica di Tarski] è una teoria della verità oggettiva -verità come corrispondenza dell'asserzione con i fatti- e
della verità assoluta: se un'asserzione formulata in modo inequivocabile è vera in una lingua, lo è altrettanto
in qualunque altra lingua essa sia stata correttamente tradotta. Questa teoria è il grande baluardo contro il
relativismo e contro tutte le mode intellettuali. Essa ci consente di parlare delle falsità e del fatto che noi
possiamo imparare dai nostri errori, dai nostri sbagli; essa ci consente di parlare della scienza come della
ricerca della verità.54

Peraltro, la concezione della verità come corrispondenza

è stata sempre l'idea di verità del senso comune.55

L'oggettività della verità significa la corrispondenza del pensiero alla realtà.


L'assolutezza vuol dire che la verità non rimane chiusa in un sistema semantico o concettuale:
le proposizioni vere sono enunciati legati a quadri concettuali o linguistici, i quali possono
essere spesso sufficientemente tradotti in altre lingue ed venir articolati in molti casi in

52 POPPER, Congetture e confutazioni, cit., pp. 604-605. La fede di Popper, per evitare la caduta nell'"irrazionalismo",
dovrebbe essere ricondotta a nostro avviso al voûs aristotelico.
53 Cfr. POPPER, Un universo di propensioni, Vallecchi, Firenze 1991, p. 12.
54 POPPER, Un universo di propensioni, cit., pp. 11-12. Cfr. anche La ricerca non ha fine, Armando, Roma 1976, p. 147 (sul
carattere oggettivo e assoluto della verità).
55 POPPER, La ricerca non ha fine, cit., p. 102.
17

diversi livelli scientifici:

Se tentiamo, possiamo fuggire dal nostro quadro in qualsiasi momento (...) una discussione critica e un
confronto dei vari quadri è sempre possibile. E' solo un dogma, un dogma pericoloso quello secondo cui i
diversi quadri concettuali sono come lingue reciprocamente intraducibili (...) La mia controtesi è che essa
semplicemente esagera una difficoltà facendola divenire un'impossibilità.56

La nozione popperiana di verità rimane comunque ambigua, dal momento che essa
viene invocata solo come un traguardo ideale al quale ci avviciniamo indefinitamente senza
poter mai conoscere nessuna verità concreta in modo definitivo. Di conseguenza si crede
nella verità ma non la si conosce in nessun modo, ciò che appare molto problematico per una
conoscenza basilare dalla quale dipende la possibilità stessa del linguaggio conoscitivo, come
d'altronde Popper avverte nelle citazioni sopra riportate57. Egli afferma l'esistenza della
verità, in definitiva, basandosi giustamente sul senso comune, e si esprime in rapporto alla
verità degli enunciati (quella che i classici, come San Tommaso, chiamavano la veritas
mentis), mentre invece quando parla della verità irraggiungibile, si riferisce piuttosto alla
piena conoscenza della realtà completa delle cose (la verità ontologica o veritas rei)58.

2. Una seconda caratteristica del realismo è il fatto che secondo Popper la scoperta
della verità è spesso inattesa e sorprendente, per cui risulta anche difficile nel campo della
ricerca scientifica. L'ordine della natura non può essere dedotto dal pensiero. Potrà essere
indovinato, ma l'anticipazione geniale dello scienziato è un evento poco frequente. Per
Einstein, la cosa più incomprensibile della natura era che fosse comprensibile59. Questa
celebre idea einsteiniana riflette un punto in cui i grandi protagonisti della scienza sono di
solito d'accordo. Sarebbe molto più "normale" trovare il disordine (che è sempre un tipo di
ordine inferiore e povero, privo di strutture), dal momento che non vi è alcun motivo
necessario per cui deva esistere il mondo, la vita o l'uomo: ecco perché queste realtà sono
mirabili. Ogni volta che lo scienziato scopre un nuovo ordine specifico, rimane sorpreso (non
se l'aspettava), come se si trovasse dinanzi ad un segno di un'intelligenza originale e
imprevedibile della natura.
Popper sostiene polemicamente che il fenomenismo e il soggettivismo sono da

56 POPPER, La scienza normale e i suoi pericoli, cit., pp. 126-127.


57 E. AGAZZI ha osservato un eccessivo assolutismo nella teoria popperiana della verità, richiamandosi in questo senso alla
teoria aristotelica della verità come proprietà proposizionale, cioè di un determinato linguaggio oggettivo: cfr. Natura e
compiti della filosofia della scienza. Proposta di una nuova caratterizzazione dell'oggettività scientifica, "Itinerari" (nuova
serie), XVIII, n. 1-2, aprile-agosto 1979, pp. 128-129. La verità di un enunciato presuppone la conoscenza del senso e del
riferimento dell'enunciato: saper che cosa si dice e di che cosa si parla. La rivendicazione popperiana della verità (contro il
relativismo) è del tutto legittima, ma dev'essere sostenuta da un'adeguata impostazione gnoseologica e metafisica, punto in
cui Popper appare alquanto carente.
58 Cfr. TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae, I, q. 16; De Veritate, q. 1, a. 2. “Benché nessun uomo è in grado di
acquistare una conoscenza perfetta della verità, tuttavia non vi è nessuno che non abbia l’esperienza di conoscerla in qualche
modo” (In II Metaph., lect. 1, in rapporto al testo aristotelico di La Metafisica, II, 993 b).
59 Cfr. EINSTEIN, Pensieri degli anni difficili, cit., pp. 38-39.
18

respingere perché troppo sbrigativamente eliminano ogni enigma60. Il realismo invece


sostiene l'esistenza di vere leggi naturali, senza però banalizzarle come se fossero un puro
dato di fatto o una scontata necessità:

Noi dobbiamo, credo, accettare l'esistenza di leggi di natura; ma dobbiamo farlo, temo, come un mistero che
è divenuto forse ancora più impenetrabile a partire da Einstein.61

Il realismo non è una posizione facile, in questo senso, perché non serve
semplicemente per

spiegare o capire perché, se deve esserci un mondo, esso debba essere un mondo pensabile, regolato dalla
legge -un mondo comprensibile a qualche intelletto; un mondo che possa ospitare la vita.62

Il compito scientifico può essere anche impostato in una maniera che finisce per
diluire il senso del mistero. In qualche modo è naturale questa tentazione allo scienziato, il
quale, nell'intento di rendere comprensibili le cose (attraverso le loro leggi), sottrae ad esse
ciò che hanno di sorprendente per la conoscenza non scientifica. Ma se è vero, come dice
Einstein, che la comprensibilità del mondo è incomprensibile, allora vuol dire che il mistero
ricompare ad un livello più alto. Non si cade così nel miraggio razionalistico di aspettarsi che
la scienza un giorno riesca a "spiegare" tutti i problemi speculativi: alla fine del suo percorso
la scienza dovrebbe così permettere l'uomo di riposarsi soddisfatto e senza ulteriori domande,
senza ormai nessun mistero. Una tale banalizzazione della scienza sarebbe il segno che siamo
di fronte alla pseudo-scienza. Le teorie onnicomprensive in realtà nascondono trucchi
intellettuali che le fanno apparire per quello che in realtà non sono.
Nel suo periodo vicino al positivismo logico, Wittgenstein riteneva che la descrizione
delle scienze naturali rendeva il mondo una realtà piatta e senza enigmi, anche se almeno ne
riconosceva l'esistenza come un vero mistero, ch'egli chiamava il mistico:

Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è.63

Dopo aver citato questo significativo testo, Popper soggiunge che anche il come è
misterioso:

Tuttavia, la nostra discussione mostra che come il mondo è -il fatto che esso abbia una struttura, o che le sue
regioni più lontane siano tutte soggette alle stesse leggi strutturali -sembra in linea di principio inesplicabile e
quindi "mistico".64

60 Cfr. POPPER, Poscritto, vol. I, cit., p. 169.


61 Ibid., p. 169.
62 Ibid., p. 169.
63 WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, 6.44; citato in Popper, Poscritto, vol I, cit., p. 169.
64 POPPER, Poscritto,vol. I, cit., p. 169.
19

Ad esempio per Popper l'origine dell'universo, l'emergenza della vita e la comparsa


dell'uomo sono fenomeni incredibili, improbabilissimi, perfino "miracolosi" nel senso che
superano la comprensione scientifica65.
Il realismo scientifico e metafisico di Popper, in conclusione, è fondato sull'esistenza
della verità assoluta, una verità che le nostre teorie scientifiche raggiungono solo
congetturalmente e parzialmente. Le teorie si riferiscono ad una realtà complessa e originale,
difficile da sviscerare ma anche indovinabile a poco a poco. Sulle difficoltà per la scoperta
della verità Popper ha insistito parecchio. Le verità importanti della scienza non sono a buon
mercato, ma si trovano racchiuse in una natura cui "piace occultarsi", come diceva Eraclito.
La scienza non è compito per i pigri, benché l'enormità del lavoro compiuto non garantisca
nulla automaticamente. Tra tantissimi tentativi di colpire nel segno, soltanto alcuni pochi
fortunati ci riescono, e non a causa di una legge statistica regolativa della "buona fortuna". La
scoperta della struttura della realtà è difficile per la sua immensa ricchezza, che supera ogni
immaginazione umana. A questo punto, tuttavia, i percorsi di Einstein e di Popper
divergeranno.

4. Realismo e determinismo: Einstein e Popper

Sono stati evidenziati fino a questo momento le concordanze di fondo tra i nostri due
soggetti di studio. Il confronto intrapreso in queste pagine ci è venuto in mente in parte a
causa della frequenza con cui Popper cita Einstein, quasi sempre in una maniera positiva e
piena di ammirazione. Due volte come minimo il filosofo austriaco mantenne un rapporto
particolarmente vicino con Einstein. Una di esse fu quando Popper presentò nella sua prima
edizione della Logica della scoperta scientifica (1934) un esperimento ideale contrario
all'interpretazione di Copenhagen del principio d'indeterminazione di Heisenberg, per cui
ricevette immediatamente dopo una lettera di Einstein nella quale gli veniva amabilmente
segnalato il suo errore. L'altro momento fu quando Popper trovò Einstein a Princeton nel
1950. Dopo una conferenza del primo sull'indeterminismo quantistico, cui assistette Einstein,
entrambi mantennero un colloquio sulla questione, sostenendo punti di vista contrastanti 66.
Il rapporto personale tra di loro, come si vede, ebbe a che fare con l'interpretazione
filosofica della fisica quantistica (il tema del vol. III del Poscritto). Sin dagli anni 30 Einstein
e Popper furono alleati nell'inflessibile critica alle "tesi di Copenhagen", soggette a loro
parere ad una flessione soggettivistica e positivistica. Ma Einstein mantenne una posizione
deterministica, mentre Popper si aprì all'indeterminismo oggettivo, cristalizzatosi nella sua

65 Cfr. POPPER, Postscript to the Logic of Scientific Discovery, vol. II. The Open Universe. An Argument for Indeterminism, a
cura di W. W. Bartley III, Hutchinson, Londra 1982, p. 122.
66 Cfr. POPPER, La ricerca non ha fine, cit., pp. 131-136.
20

teoria delle propensioni.


In queste pagine tralasciamo la tematica del senso della meccanica quantistica nel
dibattito Einstein-Popper. Ci soffermiamo soltanto sulle modalità del realismo assunte da
entrambi gli autori. Il realismo einsteiniano-popperiano consiste, in questo punto, nel rifiuto
dell'abituale versione della teoria quantistica in cui l'osservatore interviene intrinsecamente
nella descrizione dei processi microfisici. Secondo questa versione, com'è noto, la realtà
microfisica sarebbe accessibile all'apparato sperimentale che, nell'eseguire una misurazione
concreta, perturba il sistema e provoca il collasso (indeterminato) della funzione d'onda.
L'oggetto fisico sarebbe così inseparabile dalla presenza attiva dall'osservatore. Ancor di più,
secondo certe versioni estreme, come quella di Wheeler, l'osservatore col suo atto di
misurare, in qualità dunque di responsabile del collasso di ψ (funzione d'onda), porterebbe
la realtà dalla potenzialità all'attualità:

L'osservatore conferisce al mondo il potere di arrivare all'essere mediante l'atto stesso di dare un significato
al mondo.67

In parole più esplicite del cosmologo Tipler:

Questo ci porta all'antico problema filosofico: può dirsi esistente un universo senza osservatori, senza che
abbia effetti registrabili da un universo di osservatori? Sono propenso a dire di no, poiché non vi è modo di
poter parlare dell'esistenza di qualcosa in quell'universo; non è possibile dare un significato alla parola
"esistenza" in quel contesto (...) Dal punto di vista del senso dell'esistenza, sono gli osservatori, o piuttosto la
possibilità di osservatori e dei loro atti di osservazione ciò che consente l'esistenza dell'universo. In qualche
modo, le creature all'interno dell'universo creano l'universo e creano se stesse.68

Contro questa filosofia priva di senso (poiché la frase riportata anziché falsa è carente
di senso), contro questa filosofia berkeleyiana che attribuiva alla coscienza una funzione
creativa all'interno della fisica stessa, polemizzava molto giustamente Einstein quando
sosteneva che "la luna" esisteva indipendentemente dalle nostre variabili misurazioni. Si
comprende allora il rifiuto einsteiniano di una maniera di vedere la fisica quantistica che
ricadeva nello

atteggiamento positivistico fondamentale, che dal mio punto di vista è insostenibile, e che a mio parere si
riduce ad essere la stessa cosa del principio di Berkeley, esse est percipi.69

Eppure il realismo einsteiniano alla fine diveniva un determinismo assoluto. Questo


punto è stato riconosciuto dallo stesso Popper:

67 J. A. WHEELER, Is Physics legislated by Cosmology?, in C. ISHAM, R. PENROSE, D. SCIAMA, ed., Quantum Gravity,
Clarendon Press, Oxford 1975, p. 541.
68 F. TIPLER, The Omega Point Theory: a Model for an Evolving God, in Physics, Philosophy and Theology, R. RUSSELL, W.
STOEGER, G. COYNE (ed.), Vatican City State, 1988, p. 325.
69 EINSTEIN, A. Einstein, scienziato e filosofo , cit., p. 613.
21

Einstein (...) confondeva in certa misura il suo realismo e il suo determinismo e non li teneva abbastanza
chiaramente separati.70

Rammentiamo a questo proposito che il "metafisico" Einstein era un fervente


spinoziano. Nella sua concezione, tutta la realtà è determinata nelle sue cause (includendo
l'uomo stesso). La natura è una sola e contiene in se stessa la più pura semplicità matematica:

Una causalità limitata ormai non è una causalità, come il nostro meraviglioso Spinoza fu il primo a
riconoscere con precisione.71

L'affermazione di un io particolare, capace di muoversi liberamente in questo quadro


della realtà perfettamente dispiegata come un teorema matematico, sarebbe incomprensibile.
La religiosità einsteiniana non arriva a un Dio personale, profondamente diverso dall'armonia
matematica dell'universo, anche perché Einstein, a causa della sua prospettiva troppo
esclusivamente fisica, non riuscì a capire la radicale differenza tra lo spirito umano e la natura
materiale. Einstein non superò la tentazione deterministica (e perciò materialistica) presente
in Spinoza:

Tutto ciò che penso di quest'uomo straordinario posso esprimerlo come segue: Spinoza fu il primo ad
applicare in modo veramente consistente al pensiero, al sentimento e all'azione dell'uomo l'idea della
costrizione deterministica di tutto ciò che accade.72

Siamo agli antipodi di Popper, la cui antropologia, com'è noto, in parte può sembrare
vicina al dualismo cartesiano, anche se in realtà propende verso la concezione aristotelica sul
rapporto anima-corpo (ma non possiamo dilungarci su questo punto). Invece per Einstein,
spinozianamente

corpo ed anima non sono due cose diverse, ma soltanto due modi diversi di percepire la stessa cosa.73

Ma negli scritti di Einstein c'è un'incoerenza tra questa fede spinoziana e altre sue
manifestazioni sulla libertà e sull'importanza della religione storica74. Einstein ha anche detto
che i progressi dell'umanità sono l'opera di forti personalità creative, che l'elemento
fondamentale della civiltà greco-europeo-americana è la libertà individuale75, che i valori più
alti di questa civiltà "ci sono indicati dalla tradizione religiosa ebraica e cristiana"76, i quali si

70 POPPER, Società aperta universo aperto, cit., p. 136.


71 Lettera a E. B. Gutkind del 3-1-54, citata nell'opera collettiva Spinoza and the Sciences, ed. M. GRENE e D. NAILS, Reidel,
Dordrecht 1986, p. 272.
72 EINSTEIN, Lettera del 6-9-1932, citata in Spinoza and the Sciences, cit., p. 272.
73 EINSTEIN, annotazione a Huntinghon, New York, nel 1937, in Albert Einstein. The Human Side, cit., p. 38.
74 Cfr. su questo punto, S. JAKI, La strada della scienza e le vie verso Dio, Jaca Book, Milano 1988, p. 281.
75 Cfr. EINSTEIN, Comment je vois le monde, cit., p. 16-18.
76 EINSTEIN, Pensieri degli anni difficili, cit., p. 110.
22

potrebbero esprimere in questo modo:

sviluppo libero e responsabile dell'individuo, in modo tale che egli possa porre liberamente e volentieri al
servizio dell'umanità tutte le sue facoltà.77

Tutte queste idee si trovano anche negli scritti di Popper. Einstein ha oscillato tra il
razionalismo scientista, secondo cui la scienza vuole sapere non soltanto come è la natura, ma
perché è così e non diversamente78, e il riconoscimento dei limiti della ragione con la
necessaria apertura alla religione:

L'intelligenza ci chiarisce la relazione esistente tra mezzi e fini. Ma il semplice pensiero non può darci il
significato dei fini ultimi e fondamentali. Chiarire questi fini e questi valori fondamentali, e ancorarli
strettamente alla vita emotiva dell'individuo, mi sembra proprio la funzione più importante che la religione
deve compiere nella vita sociale dell'uomo.79

Sembrerebbe di trovarci qui di fronte a un Einstein post-razionalista, forse più


esplicito di Popper sul valore positivo della religione ebreo-cristiana in rapporto alle grandi
convinzioni della vita umana. Se i fini e i valori fondamentali "non possono essere stabiliti e
giustificati semplicemente dalla ragione"80, bisogna riconoscere che essi

esistono in una società sana come potenti tradizioni (...) come qualcosa di vivo, senza che sia necessario
trovare la giustificazione della loro esistenza. Essi nascono non da una dimostrazione ma da una rivelazione,
grazie alla mediazione di forti personalità. Si deve tentare non di giustificarli, ma piuttosto di sentirne la
natura con semplicità e chiarezza81.

Eppure, l'ambiguità di Einstein tra il determinismo e la libertà crea in lui una visione
confusa, in cui il richiamo alla responsabilità morale rimane vacuo e perciò porta al
pessimismo. Hitler era libero o malato?

Tu prendi una posizione definita sulla responsabilità di Hitler. Da parte mia non ho mai veramente creduto
nelle sottili distinzioni che gli avvocati rifilano ai medici. Oggettivamente, dopo tutto, non esiste il libero
arbitrio (..) Che necessità abbiamo di un criterio di responsabilità? Credo che l'orribile deterioramento della
condotta etica della gente oggi nasca primariamente dalla meccanizzazione e disumanizzazione delle nostre
vite: un disastroso sottoprodotto dello sviluppo della mentalità tecnica e scientifica. Nostra culpa! Non vedo
alcun modo di affrontare questa disastrosa manchevolezza82.

A Michele Besso, che gli parlava dell'amore dovuto ai nemici, Einstein scrisse il 6-1-
1948:

77 Ibid.
78 Cfr. EINSTEIN, Über den gegenwärtigen Stand der Feld-Theorie, in Festschrift für A. Stodola, Füssli, Zurigo 1929, pp.
126-132.
79 EINSTEIN, Pensieri degli anni difficili, cit., p. 109.
80 Ibid.
81 Ibid., pp. 109-110.
82 EINSTEIN, lettera a Juliusburger del 11-4-1946, in Albert Einstein. The Human Side, cit., pp. 81-82.
23

Quanto a me, comunque, la base intellettuale è la credenza nella causalità illimitata. 'Non posso odiarlo,
perché egli deve fare ciò che fa'. Di conseguenza, sono più vicino a Spinoza che ai profeti. Questo è il motivo
per cui secondo me non esiste il peccato.83

E a quella bambina sopra citata che gli aveva chiesto se gli scienziati pregavano,
rispondeva:

La ricerca scientifica è basata sull'idea che tutto quanto accade è determinato dalle leggi della natura, e perciò
questo vale anche per le azioni della gente. Per questo motivo, un ricercatore difficilmente sarà portato a
credere che gli avvenimenti possano essere influiti da una preghiera, cioè da un desiderio rivolto a un essere
soprannaturale.84

La ferma convinzione dell'esistenza della libertà era invece in Popper un motivo di


ottimismo davanti al futuro. Senza ignorare i gravi rischi dello sviluppo scientifico e tecnico
moderno, nonché altri di natura morale e politica, Popper sosteneva che uno degli elementi
pericolosi della nostra società era il diffuso pessimismo delle filosofie che condannavano in
blocco tutta la nostra società occidentale come eminentemente perversa, malata e alienata.
Ma l'ottimismo di Popper non era materialistico:

Forse sospetterete che io sia un materialista, che giudichi migliore la nostra società perché è la più ricca che
la storia abbia mai visto. Posso tuttavia assicurarvi che non è questa la ragione per cui ritengo che la nostra
società sia la migliore (...) penso ai criteri e ai valori che ci sono stati tramandati, attraverso il cristianesimo,
dalla Grecia e dalla Terra Santa; da Socrate, come dall'Antico e dal Nuovo Testamento.85

Come si vede, d'una parte vi è una coincidenza con la valutazione di Einstein sulla
radice extra-scientifica, e in buona misura religiosa e tradizionale dei valori propulsori delle
grande conquiste dell'Occidente, ma d'altra parte questa tesi è più coerente con il
superamento popperiano del rigido determinismo sia scientifico che metafisico. Come
sappiamo, l'intero volume II del Poscritto è dedicato alla confutazione filosofica del
determinismo assoluto.

5. Il realismo di un mondo aperto

Nell'ultimo periodo della sua vita Popper si concentrò sempre più sulla questione

83 EINSTEIN, in Spinoza and the Sciences, cit., p. 272.


84 EINSTEIN, Albert Einstein. The Human Side, cit., p. 32.
85 POPPER, Congetture e confutazioni, cit., p. 626. Il testo corrisponde ad una conferenza tenuta a Bristol nel 1956 (La storia
del nostro tempo: visione di un ottimista). Nei suoi dettagli questo discorso rifletteva indubbiamente l'ottimismo degli anni
50 dei paesi sviluppati, ma a noi interessa in una maniera più generale la sua radice di fondo, evidenziata nel brano
selezionato.
24

dell'indeterminismo, così come prima aveva fatto con il problema della criticabilità delle
teorie: l'indeterminismo (relativo, non assoluto) delle scienze e delle realtà naturali e sociali86.
Non è che tutto sia indeterminato, bensì che "non tutto è determinato". Questo concetto non
rimase in Popper solo legato alla discussione sulla fisica quantistica, ma comportava una
concezione più ampia, anzi un vero e proprio programma metafisico di ricerca (secondo
l'espressione popperiana) proposto come un'alternativa al programma monistico di Einstein.
Il confronto con Einstein implicava ovviamente un approfondimento nella filosofia
della natura. Uno dei molti argomenti impiegati da Popper nella polemica riguardava la
temporalità. Se tutto è assolutamente determinato, scomparirebbe la distinzione tra il passato
e il futuro. Il tempo dovrebbe essere ridotto a una dimensione quasi-spaziale e la sua realtà
diverrebbe così distribuita nell'invarianza cosmica del tutto. Come un film è tutto già fatto, la
realtà sarebbe già tutta decisa, senza nessuna novità: senza tempo.
I colloqui di Popper con Einstein a Princeton riguardarono precisamente questa
tematica:

L'argomento principale delle nostre conversazioni era l'indeterminismo. Io cercai di persuaderlo ad


abbandonare il suo determinismo, che in pratica si riduceva all'idea che il mondo fosse un universo chiuso, di
tipo parmenideo, a quattro dimensioni, nel quale il cambiamento era un'illusione umana, o qualcosa di molto
simile. (Egli era d'accordo che questa fosse la sua opinione, e discutendo di ciò io lo chiamai "Parmenide").87

Il determinismo di Einstein era un'estrapolazione matematica, oppure un'idea


metafisica della quale non si aveva la minima esperienza. Einstein cercava la realtà oggettiva
e assoluta nelle relazioni matematiche invarianti sotto le trasformazioni delle coordinate,
perché solo in questo modo era arrivato all'assoluto nella relatività speciale e generale. Aveva
così identificato il realismo col suo programma di unificazione della fisica in un teoria del
campo totale.
Ma il tempo della nostra esperienza ordinaria è asimmetrico: il futuro è diverso dal
passato. Nel futuro accadono eventi "creativi" imprevedibili (come la comparsa e l'evoluzione
della vita, l'emergenza dell'uomo). Il senso comune non può essere abbandonato in questa
convinzione radicale: tutta la nostra esperienza è sempre temporale e si riferisce a
cambiamenti. Einstein era portato invece alla rinuncia della realtà del cambio il quale, come
in Parmenide, veniva così ridotto ad apparenza particolaristica. In questo modo veniva
compromesso il realismo, per il quale l'esperienza va presa sul serio.

La realtà del tempo e del cambiamento mi sembrava essere il punto cruciale del realismo (Ancora la vedo
così, e allo stesso modo la vedono alcuni oppositori idealisti del realismo, come Schrödinger e Gödel).88

86 Cfr. S. SIMKIN, Popper's Views on Natural and Social Sciences, E. J. Brill, Leiden 1993, p. 181.
87 POPPER, La ricerca non ha fine, cit., p. 133.
88 Ibid., p. 133. Sostituiamo il termine cangiamento con cambiamento nella traduzione.
25

E un po' più avanti:

Nel modo più efficace possibile io cercai di presentare ad Einstein-Parmenide il mio convincimento che era
necessario prendere chiara posizione contro tutte le concezioni idealistiche del tempo (...) Io sostenevo che
non dovevamo lasciarci influenzare dalle nostre teorie per abbandonare con troppa facilità il senso comune.89

Popper pensava di aver convinto il suo interlocutore in parte90, ma subito dopo la


morte di Besso, Einstein scrisse nel 1955 una lettera al figlio a ella sorella, dove leggiamo:

Egli mi ha preceduto di un poco nel congedarsi da questo strano mondo. Non significa niente. Per noi che
crediamo nella fisica la divisione tra passato, presente e futuro ha solo il valore di un'ostinata illusione.91

Popper è riguardo ad Einstein, in questo senso, ciò che Aristotele era rispetto a
Parmenide. Il "mondo aperto" popperiano consiste invece in un universo non monistico,
costituito da tre ambiti irriducibili: la natura, la psiche umana e il mondo delle oggettivazioni
(mondi 1, 2 e 3 rispettivamente). Queste tre dimensioni della realtà interagiscono a vicenda.
Di conseguenza, il mondo fisico non è causalmente chiuso: può essere modificato dalla
mente umana, e questa a sua volta può essere alterata dalle sue idee, dalle sue conoscenze,
nella sua perenne tensione verso la verità.
Non è questo il luogo per sviluppare le idee popperiane sull'indeterminismo. Basta
segnalare che l'apertura del mondo significa in modo particulare l'introduzione della categoria
della propensione nella metafisica della natura di Popper, un concetto che gioca in buona
misura un ruolo analogo a quello della nozione di potenza di Aristotele nei confronti di
Parmenide.92 La causalità fisica potrebbe comprendere certe potenzialità aperte e variabili93,
parzialmente selettive ma contingenti, con cui poter capire il cambio, ma soprattutto
l'emergenza delle novità qualitative nelle trasformazioni del cosmo94 (Popper comunque non
è stato preciso su questi argomenti, ovviamente in primo piano nei recenti sviluppi delle
scienze naturali e nella cosmologia).
L'idea popperiana di propensione naturale, benché non abbia avuto una grande
accoglienza nel campo filosofico o scientifico, comportava senz'altro l'introduzione di un
importante elemento metafisico nella comprensione della natura, nel tentativo di trovare
un'intelligibilità al problema del cambio, all'apparente creatività della natura.
Abbiamo incominciato e chiudiamo questo lavoro con la questione della creatività.
Nel mondo, e nella testa degli uomini, accadono cose veramente nuove, irriducibili a una

89 Ibid., p. 134.
90 Cfr. POPPER, Postscript, vol. II, cit., p. 92.
91 EINSTEIN, In Albert Einstein. Opere scelte, a cura di E. Bellone, Bollati Boringhieri, Torino 1988, pp. 706-07.
92 Cfr. POPPER, Postscript, vol. III, cit., pp. 159-160, 206, 209.
93 Cfr. POPPER, Un universo di propensioni, cit. (in particolare, p. 26) e naturalmente l'intero Poscritto, dedicato in grande
misura allo sviluppo dell'idea di propensione.
94 Cfr. POPPER, Postscript, vol. II, cit., pp. 144-145, 172-174.
26

semplice riorganizzazione del materiale preesistente. Il mondo non si mantiene identico a se


stesso e non può essere capito soltanto alla luce dei principi conservativi. In questo senso si
può dire che

'Il tema basilare della filosofia di Karl Popper è che qualcosa può procedere dal nulla', per William Bartley.
Le teorie scientifiche introducono nuove forme nell'universo e non possono essere dedotte dalle osservazioni;
il futuro non è contenuto nel presente o nel passato; c'è indeterminazione sia nella fisica che nella storia; le
nuove idee scientifiche possono influire sulla storia e perciò sul corso dell'universo fisico; il valore non si
riduce ai fatti; la mente non può ridursi alla materia.95

Il rovescio di questa moneta è l'anti-riduttivismo di Popper. Le "riduzioni" sono valide


come metodo scientifico, ma non come filosofia96. L'ideale di unificazione monistica delle
scienze è un impoverimento della realtà. La psicologia non è riducibile alla biologia, né
quest'ultima può essere interamente assorbita dalla fisica. L'origine della vita, della coscienza
animale e della mente umana sono eventi veramente nuovi e improbabilissimi97. In questo
senso sono inspiegabili dalla scienza, se spiegare vuol dire dedurre da una legge naturale. La
creatività del mondo ci rapporta alla meraviglia del filosofo. Parafrasando Shakespeare:

Il mondo è molto più interesssante ed eccitante di quanto sogna la filosofia riduzionistica.98

L'universo aperto (vol. II del Poscritto) finisce significativamente con queste parole:

Guardiamo l'universo come una macchina fisica oppure no, dobbiamo affrontare il fatto che esso ha prodotto
vita e uomini creativi, che è aperto ai suoi pensieri creativi e che è stato fisicamente cambiato da loro (...)
l'universo che ospita la vita è creativo nel miglior senso: creativo come sono stati i grandi poeti, i grandi
artisti, i grandi musicisti, e anche i grandi matematici, i grandi scienziati e i grandi inventori.99

L'indeterminismo è condizione della creatività, ma non la spiega completamente.


Tutta la filosofia di Popper punta in definitiva alla comprensione del mistero della creatività.

Penso che la scienza ci suggerisce (senz'altro in modo congetturale) l'immagine di un universo inventivo e
perfino creativo, di un universo in cui appaiono cose nuove, su nuovi livelli.100

Il momento culminante della creatività è l'apparizione dell'uomo nel mondo, cioè la


comparsa di un essere spirituale profondamente creativo:

Considero l'emergenza della mente come un tremendo evento nell'evoluzione della vita. La mente illumina

95 C. SIMKIM, Popper's Views..., cit., p. 180.


96 Cfr. POPPER, Postscript, vol. II, cit., pp. 131-174.

,
97 Cfr. POPPER ibid., p. 122. Citato anche in nota 65.
98 POPPER, ibid., p. 163.
99 POPPER, ibid., p. 174.
100 POPPER, Natural Selection and the Emergence of Mind, in Evolutionary Epistemology, Rationality, and the Sociology ok
Knowledge, G. RADNITZKY, W. W. BARTLEY, III (ed.), Open Court, La Salle (Illinois) 1987, p. 142.
27

l'universo (...) Herbert Feigl racconta che Einstein gli aveva detto: 'se non fosse per questa interna
illuminazione, l'universo sarebbe un mucchio d'immondizie'.101

Purtroppo la lacuna principale della filosofia di Popper è il suo silenzio su Dio. Dalla
creatività relativa ed imperfetta degli esseri del mondo si poteva risalire alla creatività
assoluta di un Essere capace di produrre il mondo meraviglioso contemplato da Popper, la cui
incompletezza e contingenza è al servizio della sua pluralistica creatività partecipata. Ma
Popper ha sfiorato il problema, lasciandolo aperto almeno con prudenza, quando osservò che
le teorie dell'evoluzione soltanto hanno portato al discredito l'idea degli interventi divini
specifici e miracolosi per la produzione di ogni singola specie separata: la prova dell'esistenza
di Dio basata sul progetto (Design) non poteva essere capita in questo modo102. Lo stesso
Darwin si dibatteva in questo problema, e Popper ne riporta il seguente testo:

Non posso pensare che il mondo, così come lo vedo, sia il risultato del caso; eppure non posso vedere ogni
cosa separata come il risultato di un progetto (...) rispetto al progetto, sono più incline ad alzare bandiera
bianca anziché a fare uno sparo.103

Il commento di Popper è che il problema eccede le possibilità della scienza104. Egli


riconosce che la scienza non risolve né promette di risolvere tutti gli enigmi dell'universo,
anche se può gettarne qualche luce105. Il problema metafisico del finalismo del mondo è
perfettamente valido. La scienza dell'evoluzione non ha tolto

la meraviglia della creatività; né ha tolto la meraviglia della libertà: la libertà di creare, e la libertà di
scegliere i nostri fini e i nostri propositi.106

La parabola del realismo di Popper si chiude davanti a questo mistero: la


contemplazione metafisica di Einstein di un universo armonioso è stata superata da Popper
con la contemplazione metafisica di un mondo inspiegabilmente creativo, sul quale la scienza
non può dire l'ultima parola:

E' importante accorgersi che la scienza non fa asserti sulle ultime questioni, sugli enigmi dell'esistenza, o sul
compito dell'uomo in questo mondo. Ma questo è stato spesso male interpretato (...) Il fatto che la scienza
non possa pronunciarsi sui principi etici è stato interpretato come se non ci fossero tali principi, quando in
realtà la ricerca della verità presuppone l'etica. E il successo della selezione naturale darwinista nel mostrare
che il proposito o lo scopo cui un organo come la vista sembra servire potrebbe essere soltanto apparente fu
male interpretato come la dottrina nichilistica secondo la quale ogni proposito è soltanto apparente, e che non
ci può essere nessuna finalità, nessun proposito o significato o compito nella nostra vita.107

101 Ibid., p. 150.


102 Cfr. ibid., pp. 140-143.
103 C. DARWIN, citato in ibid., p. 142.
104 Cfr. ibid., p. 142.
105 Cfr. ibid., p. 143.
106 Ibid., p. 143.
107 Ibid., p. 141.
28

Popper, in definitiva, trovò la strada del realismo scientifico con l'aiuto delle
convinzioni di Einstein, ma nello stesso tempo superò la visione eccessivamente stretta e
matematica di quest'ultimo con la sua apertura alla metafisica. La scienza di Popper d'altra
parte, essendo fortemente anti-riduzionistica, consente una visione epistemologica più in
concordanza con la pluralità analogica della realtà. Eppure Einstein era sembrato più
metafisico, in qualche modo, nelle sue tematiche teologiche, legate purtroppo allo
spinozismo. L'intuizione fondamentale di Popper è la creatività spontanea della natura e la
creatività libera del'uomo. Manca nella sua filosofia, tuttavia, l'impostazione del problema
teologico, che è assolutamente inevitabile. Il realismo trascendente può e deve aprirsi alla
comprensione di un Dio Creatore e personale, fonte e causa della libertà umana e di una
natura potenzialmente ricca, non chiusa nel determinismo. L'esigenza religiosa di Einstein o,
più esattamente, i problemi del senso della vita umana, del senso del mistero di un mondo
contingente e della motivazione profonda del compito scientifico, vanno positivamente
affrontati nel quadro di una metafisica creazionistica, nell'accezione teologica della parola.

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