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capodanno copyright 2012 andrea carloni

CAPODANNO
di Andrea Carloni
liberamente ispirato a “Gente di Dublino” di James Joyce

Pochi minuti prima della mezzanotte Nolan uscì difilato dal Mc Daid’s con fare sospetto, come
fosse stato cacciato per chissà quale bravata dal chiassoso locale. La giacca di velluto marrone
chiaro che gli aveva prestato Brendan gli era un po’ corta e stretta, tuttavia non sfigurava la sagoma
del corpo asciutto e giovane, ma si scontrava con i pantaloni scuri e la cravatta presa di nascosto
dall’armadio di suo padre. Aveva indugiato a lungo per fissare la riga della sua pettinatura e radersi
con cura il viso, affinché sembrasse una persona per bene. Nella fretta di uscire aveva sottratto dalla
tavolata, facendosi ben notare da Brendan, una bottiglia aperta di whisky, pensando fosse
champagne, ma in fondo non era un bevitore, tanto meno un intenditore, per cui era sufficiente
all’occasione. Ne prese un sorso al volo in maniera sorprendentemente naturale, a differenza della
sua condotta fino a quel momento con gli altri amici di Brendan. Deglutì a fondo l’alcol misto
all’aria fredda e gonfia di nebbia che ovattava il baccano di Grafton Street, ma si rese subito conto
che non era abbastanza ubriaco per sentirsi a suo agio in quell’atmosfera confusa da cui traspariva
anche il senso di attesa. Per cui si allontanò una decina di metri dai lampioni per starsene più in
ombra. Un piccolo rivolo di sudore si ghiacciò lungo il suo sopracciglio, chiuse gli occhi per
qualche secondo come per rilassarsi e rimettere in ordine i pensieri, ma non fece in tempo perché
Brendan uscì in quel momento chiamandolo a voce via via sempre più alta per sovrastare il
frastuono degli altri che intonavano in coro una filastrocca goliardica. Nolan gli fece cenno di
raggiungerlo in fretta e senza attenderlo, come se fosse pedinato, si diresse spedito verso i vicoli,
fino ad intrufolarsi in uno spiazzo buio. Si piegò per riprendere fiato ed avvertì distrattamente
qualcosa strusciare e nascondersi dietro ad un mucchietto di spazzatura abbandonata, non capì se si
trattasse di un cane o di uno straccione.
“Dove diavolo scappi, sei fuori di testa? Manca solo qualche minuto” lo apostrofò ridacchiando
Brendan, ravvicinando gradualmente la falcata, pur senza smettere definitivamente di correre.
“Prendo un po’ d’aria, si soffoca lì dentro, tieni” rispose Nolan rallentando e porgendogli la bottiglia
come un testimone, mentre si liberava del nodo della cravatta. Brendan la agguantò e indugiò
sull’etichetta. “Ma è Jameson, hai proprio voglia di darci dentro stasera”. Bevve un sorso veloce.
“Dai affrettiamoci a rientrare, manca poco, non essere schivo come al solito.” “Neanche morto.” Il
respiro ritrovò pian piano il suo ritmo naturale, così Nolan ebbe modo di difendersi dall’accusa
imbastendo discorsi improbabili con rimandi di antropologia, psicanalisi, fisica e in particolar modo
di entropia e termodinamica. Brendan, che non si era mai applicato nello studio tanto come l’amico,
abboccò alla sua apologia strampalata, rimanendone intrappolato, se non altro fino alla mezzanotte
che scoccò proprio mentre avevano raggiunto St. Stephen’s Green. Un fragore di suoni e luci dilagò

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dal palco dell’orchestra nel giardino. Si fermarono e Nolan lo guardò a lungo, intensamente, con
aria rassegnata e soddisfatta allo stesso tempo. “Beh, oramai...”. Brendan scoppiò a ridere e lo
abbracciò forte, scuotendolo più volte. Bevvero un lungo sorso ciascuno e poi la bottiglia fu
scagliata verso un tombino, rompendosi senza fare rumore. Nolan simulò una pistola con la mano
destra, sparando più volte verso il Royal College e declamò: “All’insurrezione di capodanno!”.
Brendan sorrise e disse: “A questo punto penso che siamo dei pazzi, tutti e due. Dai muoviamoci e
cerca di partecipare di più almeno per questa sera”. Lo prese per il braccio destro riportandolo a
passo sostenuto verso il Mc Daid’s mentre Nolan faceva solo finta di dimenarsi, perché quella
morsa lo divertiva: avrebbe dato chissà cosa per continuare a restare lì fuori con lui.
“Dai, Alice e gli altri si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto, forza, rientriamo” quasi lo
rimproverò Brendan. “Non ho nessuna voglia di rientrare”. “E Alice? Che figura ci fai?”. “Non mi
importa”. “Non ci pensi a lei? Sarà sicuramente in pensiero per te”. “Lascia che lo sia, non mi
interessa che stia in pensiero”. Brendan fermò il suo passo, “Ma che dici? Sei ingiusto, lei ti vuole
così bene, perché farle questo dispetto?”. Nolan si accovacciò e si raggomitolò appoggiando il
mento sulle ginocchia. Guardò alcune carrozze arrivavano spedite in fondo al viale chissà da dove.
“Cosa ho da spartire con lei? Con quel suo accento spocchioso del Malahide con cui leggeva il
menu questa sera”. Brendan cambiò espressione, come se stesse per assistere ad una scena già vista.
“E se le osservo attentamente il volto da vicino, per quanto imbellettato, la trovo anche bruttina, le
guance tonde e la bocca sempre all’ingiù. Sembra già vecchia e ha solo vent’anni. E poi...”, “E poi
cosa?” lo interruppe spazientito Brendan, “E poi le sono affezionato perché stiamo insieme da un
anno, tutto qui. Tu avrai pensato che stare accanto a lei mi avrebbe dato un tono in più. Ma non è
quello che voglio”.
Seguirono placidi secondi di silenzio in cui Nolan, pensando di avere ancora la bottiglia vicino,
mosse a vuoto la mano che rimase sospesa come la loro conversazione. Sperava che Brendan gli
chiedesse cos’è che volesse veramente, ma invece si accese una sigaretta presa dalla tasca. I capelli
di Brendan, folti e ricci, erano madidi di umidità, il suo sguardo scuro aveva perso parte della sua
energia e sembrava incuriosito dalla casa diroccata che una volta ospitava l’antica panetteria
all’angolo. Era alto, robusto, a lui il vestito calzava a pennello e non doveva neanche aver perso
molto tempo a sceglierlo e provarselo. Non era un’aquila al college, ma il suo intuito e la sua
memoria facevano la loro figura. La naturalezza con cui si accese quella sigaretta fece pensare a
Nolan a quante volte aveva provato ad imitarlo invano, per sembrare come lui, atletico e passionale,
sempre pronto a lasciare il segno in ogni serata con gli amici. E invece, se al college molti
conoscevano il timido Nolan, era soltanto perché era un grande amico di Brendan, brillava ancora
della sua luce. Ma non era per restare ancora fuori con Nolan che si era messo a fumare, quanto per
pensare a come uscire da quel piccolo incidente. Ad un tratto trasalì. “Rientriamo subito, ti farai
vedere sbronzo e barcollante, farò finta di sorreggerti con un braccio. Poi buttati sulla prima sedia
vuota che vedi, io spiegherò che ti sei sentito male, che avevi una forte nausea, perché non sei
abituato a bere così. A questo punto, Alice stessa verrà verso di te, preoccupata, anticipando la
curiosità degli altri. Tu ti scuserai, ma in fondo tutti capiranno. A chi non è successo prima o poi a
Capodanno di esagerare?”. Così fecero e una volta rientrati nell’euforica confusione del locale,
Brendan fu accolto dagli amici spaesati, e mentre cominciava a raccontar loro le scuse che
inventava improvvisando, aiutò Nolan a sedersi sullo sgabello del pianoforte, stranamente libero.

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Poi, sentendolo premere odiosamente i tasti a caso, lo scansò prendendo il suo posto a suonare così
da distrarre l’imbarazzo degli altri. Era bravo anche in quello, ma non aveva bisogno ora di
dimostrare niente ad alcuno, solo voleva che Nolan smettesse di ignorare Alice. Eppure era rimasto
seduto dietro di lui, su un angoletto di sgabello, gli appoggiava l’orecchio sulla schiena, come se
dovesse ascoltare la musica attraverso le vibrazioni delle sue vertebre.
Alice gli si avvicinò e con una mano lo scosse per una spalla. “Nolan sediamoci lì, ti vedo
stravolto”. Dopo pochi attimi Nolan sembrò cedere e Alice lo aiutò ad accasciarsi all’angolo di una
panca sudicia di birra e purè di patate, mentre la musica e il chiasso lentamente diminuivano. Il
volto di Alice era pallido, quella sera come sempre, e questo faceva risaltare il colore rossiccio dei
suoi capelli. Il vestito di velluto azzurro non aveva neanche una piega fuori posto, la mani con cui
apriva la borsetta mostravano una pelle morbida, tonica, senza un graffio, né una screpolatura di
freddo. Senza rovistare tanto, dalla borsetta tirò fuori un fazzoletto appena stirato con le sue iniziali,
con cui si mise ad asciugargli il sudore dal viso. Si era fatta portare dal ragazzo del banco un
bicchiere d’acqua, lo ringraziò con un sorriso misurato e lo portò alla bocca di Nolan per farlo bere.
“Ti sei sentito male vero? Si vede che sei ubriaco. Ma vedrai che fra poco ti riprenderai.” Lo
sistemò mettendogli la schiena ben dritta contro il muro e chiudendogli i bottoni della giacca. La
porta del locale ogni tanto era aperta dalla gente che usciva, portando una ventata di freddo dentro
la sala. Si sentiva il suono sguaiato di una tromba provenire dalla strada. “Ci hai fatto preoccupare
tutti. Cosa ti era preso?”. Dispiegò e ripiegò il fazzoletto, facendovi colare un po’ di acqua, poi lo
strofinò con piccole mosse misurate sui pantaloni di Nolan, per togliere lo sporco che ne aveva
imbrattato la stoffa sulle ginocchia. “Sei caduto? Per fortuna che è venuto a riprenderti Brendan.
Altrimenti ti avremmo ritrovato lungo il fiume”. Lo guardò fisso con le sue pupille nere come ad
attendere da lui una risposta, un qualunque cenno. Pose i pollici sulle sue tempie, iniziando a
compiere piccoli movimenti circolari. “Forse ti farà un po’ male la testa. Tutto quel whisky e quel
freddo. Sarà meglio che torniamo a casa e ti riprenderai, cosa ne dici?”. Nolan dopo poco annuì con
la testa, lentamente. Alice si alzò dalla panca per andare a prendere i loro cappotti e ne approfittò
per salutare gli altri. Congedandosi, cercava comprensione per la fretta con cui erano costretti ad
andare. Si avvicinò verso Brendan per ringraziarlo e dirgli che comunque poteva venirli a trovare
l’indomani. Poi tornò da Nolan, si chinò leggermente sostenendogli le spalle per farlo alzare. Gli
infilò con cura il cappotto e Nolan iniziò ad abbottonarsi. Alice guardandolo lo interruppe, tornò a
sbottonarlo e gli sfilò di nuovo il cappotto che appoggiò sul suo avambraccio. Aveva notato la
cravatta slacciata. Per cui la bilanciò sulle mani tirandola in basso, la avvolse intorno al collo di
Nolan, chiudendola in un nodo al primo colpo ed aggiustandola bene al colletto. “Tieni, adesso puoi
metterti di nuovo il cappotto. Siamo pronti per andare. Ho salutato tutti io per te”. Alice indossò i
guanti prima di prenderlo per mano. Non c’era ancora molta gente dentro il locale, alcuni erano
ubriachi, altri incuriositi e li stavano osservando da parecchio. Imboccando l’uscita Nolan si girò
per un attimo verso le spalle Brendan che suonava ancora una melodia già sentita. Poi uscirono.
Quando li videro andare via fianco a fianco e la porta si chiuse dietro di loro, nella sala era calato un
gran silenzio.

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