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Sulla letteratura migrante e il soggetto multiplo

Sempre si scrive da un'assenza: la scelta


di una lingua significa automaticamente
l'afantasmamento dell'altro ma mai la sua scomparsa
Silvia Molloy, en “Vivir entre lenguas”1

1. Pensare alla scrittura dei migranti dalla prospettiva della letteratura comparata
e della sociologia

La proposta iniziale del teorico italiano Armando Gnisci (2002) è stata quella di
concepire una disciplina che pensasse e trattasse la letteratura / le letterature come un
fenomeno culturale mondiale. In un secondo momento, estende questa definizione, che
riteniamo opportuno menzionare poiché su questa base svilupperemo le nozioni che
verranno presentate in seguito:

La letteratura comparata è offerta come lo studio e il discorso che tenta di


corrispondere a questo potere della letteratura / le letterature come sua compagna e
uguale, come la conoscenza che traduce i valori della letteratura in un discorso
aperto alla pluralità, il discorso che possiamo fare tutti insieme e tradurli in modo
paritetico, nonostante e grazie alla rete infinita di reciprocità e differenze. (Gnisci,
2002:13)2

Citando il termine "pluralità", l'autore stabilisce il punto di partenza e il focus


essenziale della letteratura comparata: l'incontro con l'altro, con testi letterari stranieri o
con culture diverse.
Ci sono due nozioni - argomenti che vogliamo salvare poiché diventano punti di
contatto e sono trasversali nel pensare questo incontro con l'alterità. Il primo è il viaggio,
che non è solo un asse teorico profondamente studiato nel comparatismo, ma è anche
centrale nello studio della migrazione, poiché i viaggi e le migrazioni sono due nozioni
intrinseche. La letteratura di viaggio, secondo Doménico Nucera (2002) è abituata ad
attraversare i confini, è una forma concreta di approccio all'alterità, dobbiamo attraversare
i confini per trovare ciò che c’è dall'altra parte, e questo è il punto del contatto più prezioso
con il comparatismo letterario, poiché in quell'incontro si inizia a confrontare il luogo
stesso con l'altro luogo.

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La traduzione è nostra
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La traduzione è nostra

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Questo incontro con l'altro e con l'altro luogo è l'aspetto che costituisce il motivo per
cui il viaggio si effettua, così come il motivo per cui questo incontro viene narrato. Lo
studio della letteratura di viaggio è correlato ad altre aree di studio come gli studi
postcoloniali, studi di genere, traduzione, l’immagologia e anche allo studio di letterature
migranti e scrittori migranti. Ora, quale scrittore si potrebbe considerare migrante?
Tornando ad alcune domande sul viaggio per problematizzare questo percorso è utile
iniziare a indagare nel campo della sociologia.
Il viaggio ha nella sua etimologia il viaticum latino, che indicava l'insieme degli
elementi necessari per il percorso, quindi "viaggiare" è ciò che viene consumato durante
il viaggio.Possiamo pensare, non solo a uno spostamento da un luogo all'altro, ma anche
a ciò che ha alimentato il viaggio nel quale lo scambio si è prodotto, pensare a come è
stata trasformata la propria esperienza dopo la scoperta di un altro luogo.
Dal punto di vista degli studi comparati, pensare al viaggio é pensare alla
configurazione della propria identità e a tutto ciò che traspare attraversando un confine.
Il viaggio non ha importanza per quanto riguarda il movimento reale o immaginario, ma
per quanto riguarda la descrizione di un incontro con l'altro, che si unisce nella
trasformazione di se stessi durante e dopo tale incontro.
A proposito delle migrazioni e della letteratura, Franca Sinopoli concepisce due linee
di ricerca critica: la prima è legata alla sua corrispondenza con il viaggio e la seconda a
una poetica della migranza. Con quest'ultima Sinopoli fa riferimento a tutti i testi prodotti
da chi ha vissuto e vive l'esperienza migratoria in prima persona, assumendo questa come
una crisi di identità e un senso di appartenenza da parte dell’io scrittore.
Per cominciare a pensare a una definizione dello scrittore migrante (migrant writer),
inizieremo lo sviluppo di nozioni sulla migrazione nel campo degli studi sociologici di
A. Sayad. La sua proposta del 1973 sostiene che l'immigrazione deve essere pensata come
un processo dal suo inizio, e deve mettere in discussione la posizione riduzionista del
pensiero lógico-statale, che concepiva tale fenomeno da un punto di vista amministrativo
e statistico, sostenendo che era necessario prendere in considerazione i contesti di origine
e situazione del migrante. Così è concepita da lui la migrazione, in termini di esperienza
sociale degli immigrati nel loro complesso e nelle condizioni di vita che gli si prospettano
in quanto tale.
Per Sayad, la riflessione sociologica sull'immigrazione è diventata un problema
sociale e politico. Questa riflessione dovrebbe configurarsi inseparabilmente di un

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atteggiamento interrogativo e problematico di tutti gli aspetti che costituiscono l'oggetto
di studio. A questo proposito, Sandra Gil Araujo esprime:

"Non c'è nessun altro oggetto in relazione al quale una problematica venga così
decisamente imposta in anticipo come questo e non si può ignorare il modo in cui
ci raggiunge perché è così che esiste nella società. Quindi, non si tratta di descrivere
l'immigrazione così com'è, ma di investigare i processi che la istituiscono come
oggetto di discorso, governo e conoscenza. "(Gil Araujo, 2010: 244)3

In sintesi, Sayad rifiuta che gli studi sui problemi degli immigrati si concentrino sui
problemi delle società verso cui migrano e non sui problemi che la loro esistenza
comporta in una nuova società:

"Ciò che conferisce unicità all'immigrazione è il fatto di (...) avere un potere


speciale, perché la società lo costruisce come un problema al crocevia di tutti gli
altri: è al centro. L'immigrazione è, prima di tutto, un problema che ha l'effetto reale
di scoprire i problemi. (...) In altre parole: è l'esistenza stessa della cosa,
dell'immigrato, che è, nella visione dell'ortodossia nazionale, il problema in
relazione al quale altri problemi sono solo questioni secondarie. Quindi, una
specificità della questione dell'immigrazione è che consente e, in una certa misura,
ci costringe a riflettere sulla relazione tra nazionale e non nazionale. Una divisione
che appartiene totalmente all'ordine dell'arbitrario e dell'arbitrario nel senso
strettamente logico del termine, il che implica che il contrario può essere altrettanto
vero. "(Sayad, 1996)4

2. La letteratura e la voce migrante

La letteratura della migrazione è incorniciata tra i testi il cui argomento gira intorno
al topos del viaggio e il trasferimento in un luogo diverso dal luogo di origine. Di fronte
alle rotture prodotte dalla migrazione, la scrittura viene introdotta come una nuova casa
per il migrante, come l’unica forma di mostrare al mondo com’è la realtà vissuta dall’altra
parte del fenomeno.

“La voce migrante ci dice cosa vuol dire sentirsi strano seppure a casa, vivere
contemporaneamente dentro e fuori la propria situazione immediata, essere
permanentemente in fuga, pensare di ritornare ma rendersi conto allo stesso tempo
dell'impossibilità di farlo, dal momento che il passato non è solo un altro paese ma
anche un'altra volta, fuori dal presente. Ci dice com'è attraversare i confini e com’è
diventare improvvisamente una persona illegale, un ‘altro’; ci dice cosa vuol dire

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La traduzione è nostra
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In Gil Araujo, Sandra (2010) “Abdelmalek Sayad. Una sociología (de las migraciones) para la
resistencia”, Empiria. Revista de Metodología en Ciencias Sociales, nº 19

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vivere su una frontiera che attraversa la tua lingua, la tua religione, la tua cultura.
Racconta di viaggi a lunga distanza e trasferimenti, di perdite, cambiamenti,
conflitti, impotenza e di infinite tristezze che mettono a dura prova la risoluzione
emotiva dei migranti. Racconta di nuove visioni ed esperienze del familiare e del
non familiare. Per quelli che vengono da un altrove e non possono tornare indietro,
forse scrivere diventa un posto in cui vivere.” (King et al. 1995 en Akaloo, 2012)5

Non è lontano il tempo in cui la critica letteraria italiana ha cominciato a interrogarsi


sul fenomeno degli scrittori migranti, considerati come coloro che lasciano la lingua
madre, cioè, quella del loro paese di origine. Da questa concezione sorge la nostra
problematica: analizzare come si manifesta la voce del soggetto migrante nel romanzo
Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio di A. Lakhous.
Per questo dobbiamo prima chiederci cosa intendiamo per "migrante". Useremo i
contributi di Mimmo Perrotta (anno), che, tornando all’argomento di Sayad, ha iniziato
la sua presentazione con l'idea di comprendere la migrazione come un "tradimento" che
rompe o delimita un "completo" costruito dall’inizio in un luogo di origine. Secondo
Perrotta “il migrante, in quanto emigrato, tradisce il suo gruppo di provenienza perché
abbandona la sua casa e, cosí facendo, mette in pericolo l’integrità del suo gruppo” (p. 7).
Inoltre, il migrante è anche "colpevole" o, per dire in un altro modo, messo in un luogo
di pericolo sulla terra in cui è arrivato perché è visto come un outsider, cade nella fossa
dell'alterità, dove per essere diverso "non dovrebbe essere lì ma, essendoci, minaccia
anche l'integrità e l'identità del gruppo con cui viene in contatto "(p.7).
Come abbiamo detto prima, il fatto che la migrazione sia trattata dal punto di vista
statistico e logistico fa sì che questo problema cada in un luogo comune quando in realtà
è un processo complesso in sé. Ai fini del nostro lavoro è chiave l'idea che Perrotta
riprende da A. Sayad, quella di concepire il migrante come un doppio soggetto,
"doppiamente presente e doppiamente assente"(p.7), che porta a una domanda riguardante
l'identità. È da qui che possiamo proporre che lo sdoppiamento attraverso cui passa ogni
soggetto che migra, si traduca in un problema di assenza, in uno “stare nel mezzo”, in cui
l'ego non è mai completo, non ha un posto proprio e sicuro.
3. Essere in una pluralità
Vincent Decombes in "El idioma de la identidad" (2013) propone di pensare la
nozione di identità come un insieme di identità, ossia "una diversità per noi stessi" (p.48).
Per Decombes, l'identità è necessariamente plurale, in ogni momento, dato che non siamo

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La traduzione è Nostra.

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irriducibili a una qualità sola e unica. Secondo le sue parole, non è possibile fissare
(felicemente) un solo personaggio.
L'identità plurale è percepibile in un singolo e stesso individuo a cui è richiesta
un'esistenza in modo plurale, come se una singola persona avesse il privilegio di vivere
ed esistere come se non fosse solo se stessa ma molte altre persone.
Possiamo pensare che questo è ciò che accade all'arrivo di un soggetto in un altro
paese. Questo paese, se seguiamo l'idea di Decombes, è esso stesso un'identità plurale e
non è in un dato momento lo stesso paese che esisteva in un momento precedente. Forse
un paese non comprende solo l'idea della propria nazionalità, anche perché non è in
nessun momento un paese con una sola cultura. L'identità plurale del paese è viva in ogni
momento perché è sempre e per qualcuno "un altro paese", cioè un paese straniero.
A questo punto la presenza di un soggetto migrante è chiave, e non dovremmo
dimenticare quando studiamo l'identità plurale che, in questo caso, sarebbe potenziata: se
è plurale nella terra madre, non si dimenticheranno mai tutti gli elementi che costituiscono
quella pluralità e che continueranno ad avere una lingua nonostante ne acquisiscano
un'altra e con una nuova lingua si produce una nuova concezione del mondo e una nuova
concezione dell'esistenza, pertanto, una nuova esistenza.
Possiamo dire che intendiamo come "letteratura dei migranti" quella letteratura legata
al tema esperienziale dei personaggi che si spostano da un paese all'altro come migranti.
Ma il problema nel romanzo di Amara Lakhous va oltre il tema del viaggio e degli
immigrati. Secondo prospettiva che regge la nostra lettura, il punto problematico è
l'identità del protagonista, che in qualità di migrante è pluralizzato in quello che possiamo
chiamare un "territorio nazionale" che gli è estraneo, causando così un ostacolo nella
lettura che è legato alle questioni di origine e di memoria.
L'interrogatorio sull'identità del protagonista Ahmed inizia con l'omicidio del
personaggio conosciuto come "Il Gladiatore", che appare morto in un ascensore. Da quel
momento tutti gli indizi durante la lettura indicano come colpevole Ahmed, che scompare
subito dopo il crimine. Questo omicidio è la chiave nella struttura del romanzo poiché
rivelerà le "verità" degli altri personaggi su Ahmed / Amedeo. Ognuno svilupperà la
propria visione di una possibile verità che ruota attorno al fatto che un italiano sia stato
ucciso da un immigrato.
Queste domande ci portano a pensare alla costruzione delle diverse spazialità che
vengono create dalle molteplici visioni dei fatti. Un caso speciale che consente molte
riflessioni sui molteplici punti focali da cui il migrante viene guardato è il caso di

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Benedetta, la portiera napoletana. Lei è il punto in cui convergono tutte le
rappresentazioni razziste sugli immigrati africani in Europa . Nel capitolo "La verità di
Benedetta Esposito", il personaggio dichiara:

“Io sono sicura che l’assassino di Lorenzo Manfredini è uno degli immigrati. (…).
Basta che fai un giro di pomeriggio nei giardini di Piazza Vittorio per vedere che la
stragrande maggioranza della gente sono forestieri: chi viene dal Marocco, chi dalla
Romania, dalla Cina, dall’India, dalla Polonia, dal Senegal, dall’Albania. Vivere
con loro è impossibile. Tengono religioni, abitudini e tradizioni diverse dalle nostre.
Nei loro paesi vivono all’aperto o dentro le tende, mangiano con le mani, si spostano
con i ciucci e cammelli e trattano le donne come schiave”. (Lakhous, 2006: 36-37)

In questo modo vediamo come la distanza e la profonda non-conoscenza di una


cultura sono trasmesse in chiave umoristica attraverso uno dei personaggi più grotteschi
e rappresentativi della realtà, che può essere letto come una critica a diversi attori sociali
che sfuggono a rappresentazioni inappropriate (come il razzismo, per esempio) che
affermano di avere un vero discorso. "Io non sono razzista" - dice Benedetta - "ma questa
è la verità" (Lakhous, 2006: 36-37). Questo tipo di discorso può essere visto anche intorno
alla figura di Elisabetta Fabbiani che fa dichiarazioni razziste contro i cinesi,
manifestando il cliché della reputazione di nutrirsi di carne di cane: “la legge punisce chi
mangia carne di cane?” (Lakhous, 2006:. 55). Oltre a ciò, altri interventi razzisti sono
attivati attraverso Elisabetta, che forse costituisce una critica alla xenofobia nazionalista:

“Ogni tanto assistiamo alle manifestazioni in piazza Vittorio per i diritti degli
immigrati: diritto al lavoro, all’alloggio, alla salute, al voto ecc. Io dico che prima
vengono i diritti degli autoctoni, e i cani sono figli di questo paese. Io non mi Fido
degli immigrati” (Lakhous, 2006: 57).

Ma oltre ai discorsi che ruotano intorno al migrante, ciò che ci interessa di più del
problema dell'identità ricade sul nome del protagonista, che in tutta la storia oscilla tra
Amedeo / Ahmed. Verso la fine della storia, Stefania chiede chi è il vero Amedeo: “non
so chi è Amedeo. Chi era prima di stabilirse a Roma? Cosa nasconde il suo passato? [...]
Un mistero che avvolge la sua vita precedente, forse è questo il segreto della mia passione
per lui.” (Lakhous, 2006: 103-104); così come Abdallah: "Perché si è fatto chiamare
Amedeo?"(Lakhous, 2006:11). Questo fraintendimento che riguarda il nome costituisce
il punto in cui si sviluppa l'identità problematica del protagonista, che sarà risolta verso
la fine.

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Il momento in cui si presenta il problema dell'origine è negli incubi di Ahmed, dove
Stefania è sorpresa di sentire il nome "Bàgia", di cui non ottiene alcun riferimento e
diventa un mistero verso la fine, un mistero come l’identità del protagonista:

“Stefania mi ha detto questa mattina che ho gridato durante il sonno e che ho


ripetuto molte volte il nome Bàgia. Non ho voluto rivelarle i dettagli. È inutile farla
partecipare al gioco degli incubi. La mia memoria è ferita e sanguina, devo curare
le ferite del passato in solitudine. Peccato, Bàgia si fa viva solo negli incubi avvolta
in un lenzuolo macchiato di sangue” (Lakhous, 2006: 109).

4. Riflessione finale
Possiamo pensare che lo studio della letteratura migrante apra un'entrata alle
produzioni letterarie non occidentali in uno spazio in cui le differenze sono integrate, che
permetta un cambiamento nella percezione della migrazione come fenomeno personale e
comunitario.
L'incorporazione di una letteratura straniera in una cultura potrebbe favorire
l'incorporazione di diversi modi di vedere il mondo e l'accettazione degli stranieri nel
paese, incorporazione che non ricade nel falso discorso di "uguaglianza" che finge che
l’altro è modificato secondo l'immagine dell'io che ha più potere, ma per riconoscere la
diversità come trasversale a qualsiasi desiderio di uguaglianza.

Bibliografia di riferimento

- Akaloo, N. (2012) Cruzando fronteras : imágenes literarias de la migración


marroquí a España : una lectura comparatista. Universidad Carlos III de Madrid.
Disponible en https://e-
archivo.uc3m.es/bitstream/handle/10016/15228/tesis_Nasima_Akaloo.pdf?sequen
ce=1

7
- Gil Araujo, Sandra (2010) “Abdelmalek Sayad. Una sociología (de las migraciones)
para la resistencia”, Empiria. Revista de Metodología en Ciencias Sociales, nº 19.
Disponible en
www.revistas.uned.es/index.php/empiria/article/download/2025/1905

- Gnisci, A (2002) (comp.) Introducción a la literatura comparada. Ed. Crítica.


Barcelona, España.

- Gnisci, A. (2010). “Escrituras migrantes”. Extravío- Revista electrónica de


literatura comparada, núm. 5. Universitat de València, España. Disponible en
http://www.uv.es/extravio/pdf5/a_gnisci.pdf

- Lakhous, A. (2006) Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio. Edizioni


e/o. Roma, 2015.

- Molloy, S. (2016) Vivir entre lenguas. Eterna Cadencia Editora. Buenos Aires,
Argentina.

- Nucera, D. (2002) “Los viajes y la literatura” en Gnisci A. (2002) Introducción a la


literatura comparada. Ed. Crítica. Barcelona, España.

- Perrotta, M. (2018) Chi è il migrante? Rivista Hamelin N° 35

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