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Vivian Cattani 3b

Liceo Giovanni Prati


Gli inganni della memoria
Dalla letteratura alle neuroscienze.

Testo
Quando si parla di poesia moderna, cos’ come nel romanzo del 900’ si è concordi nell’attribuire ad
un nuovo modo di trattare il tempo e la memoria.
Secondo l’analisi di Guido Mazzoni in “Sulla poesia moderna” un testo esemplare in questo senso
è l’Infinito di Giacomo Leopardi in cui il soggetto si esprime esclusivamente per “se stesso” e il
tempo subisce di pari passo una completa interiorizzazione, anticipando la modernità
novecentesca. Non a caso, soggetto e tempo sono elementi fondamentali dell’opera di Eugenio
Montale. Nella sua poetica gli oggetti non svelano il segreto della loro presenza ma rinviano
piuttosto ad un espressione dell’interiorità, ad una vicenda di vita in cui gioia e dolore si alternano
continuamente, lasciando come unico conforto l’immagine viva ma fragile di una speranza di
felicità. In questa labile esistenza neppure la memoria, riesce a recare conforto.
_ Un nodo tematico ricorrente nella sua produzione è la continua tensione tra il tentativo di
mantenere vivo il passato attraverso i ricordi e la consapevolezza dell’effettiva impossibilità di
successo. In “Cigola la carrucola del pozzo”, parte della raccolta Ossi di Seppia, una carrucola piena
d’acqua sale dal fondo di un pozzo portando con sè l’illusione di un ricordo, le linee di
“evanescenti labbri” a cui il poeta tenta invano di avvicinarsi.
Subito l’immagine si deforma, più veloce di quando è riemersa, e ogni tentativo di recuperarla è
solo causa di delusione. Il passato “si deforma” proprio quando proviamo a toccarlo, il ricordo
appena sfiorato “si fa vecchio”.
Il pozzo, che prima metteva in comunicazione passato e presente, ora è una realtà indecifrabile e
la frattura tra ricordo e oblio crea tra l’uomo e il suo passato, una distanza incolmabile. Lo
svelamento dell’illusione di una possibile conciliazione tra la dimensione interiore e quella passata,
fa perdere al poeta la speranza di trovare sollievo nel ricordo e lo riporta alla concretezza del
presente.La sua poesia diventa “diario intimo”, espressione dell’uomo la cui esistenza è in
continua oscillazione tra memoria e oblio.
_ La memoria montaliana appare come una dimensione difficile e oscura, fatta di ricordi fulminei
destinati subito a svanire e a impedire ad ognuno di noi di rintracciare in questo mondo
inaccessibile la propria felicità. Il ricordo è desultorio e arbitrario, è ciò che “delinea l’immagine
ridente nel puro cerchio” ed è ciò che decide chi, cosa e quando deve riapparire nella nostra
mente. L’arbitrarietà del ricordo rende autonomo il tempo interiore rispetto a quello della realtà,
proprio come nello Stream of Consciousness di Joyce e nei monologhi interiori di Virginia Woolf.
Il filo narrativo presente nelle raccolte di Montale non ha un andamento continuo e costante ma
episodico. Questa memoria epifanica si manifesta esclusivamente nella rivelazione istantanea: è
l’istante slegato dalla contingente linearità logica a contenere una percezione di verità.
_ Montale non si limita ad utilizzare il tema della memoria ma cerca di analizzarla, di studiarla e di
darle valore cognitivo. Egli stesso afferma: “Quando accade qualcosa, un episodio che riguarda la
mia vita non mi dico mai: ecco ne farò una poesia. Questa riscoperta avviene in me lungo tempo
dopo.” Le fasi della stesura poetiche quindi sono sempre due: al momento dell’esperienza segue
quello del ricordo e la prima azione della memoria sarebbe secondo lui proprio quella di
dimenticare. Paradossalmente quindi è solo dopo la rimozione che la memoria è pronta a svolgere
la sua seconda azione, quella di ricordare.
La concezione di oblio, in quanto deposito creatore di ricordi, è una riflessione che si trova
precedentemente nelle pagine di Samuel Beckett, autore inglese e precoce critico di Proust:
“L’oblio, silenziosamente, senza che l’autore se ne renda conto, diventa qualcosa di molto diverso
da quello che lo scrittore pensava di ricordare.”
_ Ed è da qui che parte la mia riflessione sulla stretta connessione tra questa concezione poetica e
le ultime scoperte delle neuroscienze.
Dagli studi di Elizabeth Loftus, psicologa cognitiva ed esperta nello studio della memoria emerge
che l’oblio effettivamente è creatore di nuovi ricordi. Il nostro cervello in sostanza aborrisce il
vuoto e nelle migliori condizioni di osservazioni noi percepiamo, codifichiamo e immagazziniamo
soltanto frammenti dell’intera esperienza che vengono conservati in parti diverse del cervello. In
maniera inconsapevole, in seguito il cervello, senza bisogno di alcun tipo di elaborazione motivata,
inserisce informazioni che non c’erano da deduzioni e informazioni, giunte prima e dopo
l’osservazione. E. Loftus e altri colleghi hanno cercato di capire come veniamo “imbrogliati” dalla
revisione dei dati di un evento di cui siamo stati testimoni. L’esperimento prevedeva che i
partecipanti per prima cosa assistessero ad un evento abbastanza complesso come un incidente
d’auto o un piccolo crimine. In seguito la metà dei partecipanti riceveva nuove informazioni
ingannevoli riguardo all’evento mentre le altre non venivano condizionate. Alla fine tutti i
partecipanti provavano a ricordare e ricostruire l’evento originale. In uno di questi studi i
partecipanti hanno guardato un video che riprendeva un omicidio in una piazza affollata di
persone. In seguito hanno ricevuto informazioni scritte ma la metà di loro sono state ingannate
rispetto al vero accaduto. Un veicolo blu al centro della scena per esempio veniva indicato come
bianco nei materiali consegnati in seguito. Nel momento in cui venivano interrogati sul ricordo del
colore del veicolo l’86% rispondeva che il veicolo era bianco. In alcuni esperimenti, gli errori nella
performance della memoria dopo aver ricevuto informazioni ingannevoli, la scena veniva
modificata dalla mente di chi si sottoponeva all’esperimento con addirittura il 40% di differenze
rispetto a quella effettiva.
_ A questo punto gli esperimenti successivi hanno intrapreso uno scopo diverso: capire se è
possibile impiantare un ricordo completamente falso di qualcosa che non è mai successo.
E’ stato condotto un esperimento durante il quale si cercava di indurre le persone a credere di
esseri persi in un centro commerciale da bambini. In uno dei primi casi di impianto di falsi ricordi
sono stati forniti a un ragazzino di 15 anni di nome Chris tre descrizioni di eventi accadutigli a
detta della madre e del fratello maggiore e un quarto evento, il ricordo fittizio di essersi perso in
un centro commerciale all’età di cinque anni e di essere stato salvato da un uomo più anziano e
riunito alla sua famiglia dopo aver pianto per ore. E’ stato chiesto a Chris di scrivere cosa ricordava
degli avvenimenti per 5 giorni se non ricordava nessun dettaglio in più o l’evento stesso gli era
stato intimato di scrivere “non ricordo”. Giorno dopo giorno Chris ricordò sempre più dettagli
dell’essersi perso. Si ricordò che l’uomo che lo aveva salvato era “molto alla moda”, di essersi
spaventato per la paura di non vedere ma sua famiglia mai più e perfino la madre che lo sgridava
dopo il ritrovamento. Quando fu intervistato qualche settimana dopo fornì dettagli molto accurati
riguardo al negozio di giochi in cui si era perso, suoi pensieri in quel momento e la maglietta blu, e
gli occhiali da sole che indossava il suo salvatore.
Quando gli fu annunciato che uno dei quattro ricordi era falso scelse uno di quelli veri e non
riusciva a credere di non essersi mai perso.
Quando questo esperimento fu condotto su scala maggiore di partecipanti, circa 1/3 di loro
ricordarono di aver sperimentato l’esperienza impiantata e ad ogni intervista i loro dettagli si
facevano più accurati.
I risultati rivelano che è effettivamente possibile impiantare un ricordo di qualcosa che non è mai
accaduto nella mente umana. Ma come?
Lo sviluppo di falsi ricordi accade a partire dal solo suggerimento e conseguente dubbio di
essersi persi. Quest’idea lascia la sua traccia nella nostra mente anche se inizialmente è
“etichettata” come dubbio e non come reale esperienza. In seguito è molto possibile che venga
associata alla conoscenza di altre storie simili e con il tempo l’etichetta che indicava che quel
ricordo era un suggerimento si deteriora. Può accadere per esempio che la memoria di essere
stato in un centro commerciale si fonda con il suggerimento di essersi persi e quando ci viene
chiesto, il nostro cervello abbina le due immagini e in questo modo frammenti di esperienze e
eventi immaginati sono integrati con interferenze e altre elaborazioni vanno al di là
dell’esperienza diretta.
_ La relazione tra vuoto e oblio è però ambivalente, non solo il nostro cervello aborrisce il vuoto
riempiendolo automaticamente di informazioni ma nel momento in cui preleva una specifica
informazione, uno specifico ricordo, crea altro vuoto.
Abbiamo tutti sperimentato il fatto che richiamare alla mente un evento ha come conseguenza
una modifica della sua traccia mnestica e per questo alla lunga finiamo per ricordare, piuttosto che
i fatti accaduti, i nostri ricordi di essi. Ma negli ultimi cinque anni sono stati condotti degli studi che
miravano a capire come i vecchi ricordi svaniscono, lasciando spazio a quelli più recenti o venendo
da questi letteralmente cancellati. Lo studio del fenomeno dell’oblio ha fatto infatti progressi con
le moderne tecniche di neuroimaging, una tecnica di risonanza magnetica funzionale che permette
di utilizzare tecnologie di neuroimmagine in grado di misurare il metabolismo cerebrale.
Nel 2015, grazie a questa nuova tecnica, un gruppo di ricercatori dell’Università di Birmingham
guidati dalla ricercatrice Maria Wimber ha dimostrato che il degradarsi dei ricordi è tanto più
rapido quanto più vengono richiamati alla memoria accadimenti passati.
I ricercatori hanno osservato con la risonanza magnetica funzionale i modelli di attivazione neurale
legati alla visione di diversi oggetti per identificarne le “firme neurali” cioè ciò che si sarebbe
attivato nel momento in cui quell’oggetto sarebbe stato portato alla memoria. Hanno quindi
creato nei soggetti delle memorie associative tra parole e immagini e hanno osservato cosa
accadeva alle singole firme neurali quando solo una di essa doveva venire ricordata. Al potenziarsi
delle attivazioni legate ad un certo oggetto, corrispondeva una diminuzione di delle firme neurali
legate alle altre, il cui ricordo andava affievolendosi.
Similmente a quanto accade nella vita reale, quando ricordiamo vividamente un singolo dettaglio,
assieme ad esso vengono alla luce molti ricordi collegati e, di questi, numerosi vengono soppressi
per evitare interferenze con quanto ci preme ricordare. Ripetere più volte questo processo di
ripescaggio ha quindi l’effetto collaterale di rendere inaccessibili in futuro altre memorie.
L’oblio dunque non sarebbe una cancellazione passiva dei nostri ricordi più vecchi, ma il risultato
di una soppressione utile per permetterci di meglio richiamare alla memoria quello che stiamo
ricordando. Ogni volta che ricordiamo qualcosa, stiamo modificando il numero di ricordi che la
nostra memoria in futuro riuscirà a recuperare plasmando la narrazione del nostro passato in un
processo molto simile allo svanire del ricordo di Montale nello specchio d’acqua del pozzo appena
lo stesso autore prova a recuperarlo toccandolo.

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