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Nella

Dichiarazione di Indipendenza Thomas Jefferson definì con chiarezza le


sfide che le colonie stavano affrontando sotto il governo dell'impero britannico.
Tuttavia il suo documento, firmato il 4 luglio 1776, non era una litania di
recriminazioni. Se così fosse stato, probabilmente non avrebbe colpito
l'immaginazione del mondo, attirato il sostegno di altre nazioni e unificato le
colonie.
Il primo paragrafo della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti
d'America recita:
Quando nel corso degli umani eventi si rende necessario a un popolo
sciogliere i vincoli politici che lo avevano legato a un altro e assumere tra le altre
potenze della Terra quel posto distinto ed eguale cui ha diritto per Legge naturale
e divina...
Immaginate per un momento di essere un cittadino di una di quelle tredici
colonie e cercate di assimilare il seguente concetto: "... quel posto distinto ed
eguale cui ha diritto per Legge naturale e divina". All'epoca in cui Thomas
Jefferson scriveva queste parole l'Inghilterra era la più grande potenza del
mondo, e Jefferson dichiarava senza giri di parole che queste giovani e differenti
colonie erano "eguali" a quel colosso politico. Potete sicuramente immaginare lo
sbigottimento collettivo che questo concetto ispirò tra i cittadini delle colonie,
seguito dal conseguente crescendo di orgoglio ed entusiasmo. Come potevano
anche solo aspirare a un ideale così elevato come quello di essere pari
all'Inghilterra? Perché ne avevano "diritto per Legge naturale e divina". Questo
non era affatto lamentarsi: era una visione avvincente per un futuro sfolgorante.
Era concentrarsi al di là del problema.
Rosa Parks non si sedette in fondo all'autobus a lagnarsi con tutti
sull'ingiustizia di essere costretti a mettersi là dietro. Rosa Parks si sedette al
posto che le spettava, con tutti gli altri, a prescindere dal colore della pelle. Non
solo vide al di là del problema: visse in prima persona la soluzione.
Oggi ho in serbo un sogno per tutti gli utopisti. Nel corso di gran parte della
mia vita ricordo di aver sentito notizie di "colloqui di pace" sul Medio Oriente.
Quando ascolto quali sono gli argomenti di discussione agli ennesimi "colloqui
di pace" ho sempre la netta impressione che siano più "colloqui di guerra"
oppure colloqui del tipo "se smetti di fare questo, io smetto di fare quello". I
presidenti degli Stati Uniti hanno invitato più volte i leader del Medio Oriente a
un tavolo comune nel tentativo di far loro accantonare ciò che li rende diversi e
farli così riconciliare. Ma il punto focale di questi colloqui sono state le
"differenze", e di conseguenza il loro successo è stato, a parer mio, minimo.
E se invece di partecipare a questi "colloqui di pace" i leader delle nazioni in
conflitto si riunissero per parlare di come cambierebbero gli scenari ponendo
fine a ogni disaccordo? E se si riunissero per costruire un sogno collettivo di
pacifica coesistenza e di comprensione reciproca?
Quando avverranno questi veri "colloqui di pace", le regole saranno
semplici. Anziché discutere di quello che sta avvenendo attualmente o di cosa è
successo in passato, l'attenzione resterà concentrata esclusivamente su cosa
potrebbe accadere quando non esisterà più acrimonia tra le parti in causa.
Potrebbero chiedersi: "Come sarà, cosa si proverà, che effetto farà, che profumo
ci sarà nell'aria quando tra noi ci sarà la pace? Come sarà quando la guerra e
l'inimicizia tra noi saranno un ricordo così lontano che saremo costretti a
consultare dei libri di storia perché quell'epoca ci sembrerà ormai inverosimile?".
Il punto focale dei colloqui sarà unicamente l'esito desiderato: la pace.
Soltanto questo. Al tavolo delle trattative non si pronuncerà mai la parola
"come". Si converrà che la domanda "Com'è possibile?" dovrà essere messa al
bando fin da principio. Nel momento in cui le due parti in causa tentano di
tracciare la strada per una coesistenza pacifica, le domande sui confini
geografici, le rivendicazioni, il disarmo, la limitazione delle armi, le differenze
religiose e culturali riportano tutta l'attenzione sulle questioni irrisolte. E quel
nodo li tiene incatenati ai problemi.
Una volta Abramo Lincoln disse: "Il modo migliore per neutralizzare un
nemico è quello di farselo amico". Il primo gradino per una transizione di questo
tipo comincia nella nostra stessa mente. E le nostre parole rivelano a tutti ciò che
pensiamo.
A mano a mano che procediamo in questa fase della nostra trasformazione,
va benissimo ricorrere a espressioni come "Ma certo!", "Come volevasi
dimostrare!", "Che fortuna!" e "Capita sempre a me!", ma solo quando ci
succede qualcosa che percepiamo come positivo. Pronunciatele come
esclamazioni di ringraziamento quando le cose vi vanno bene.
Ho un amico che ha sempre avuto l'abitudine di dire: "Sono l'uomo più
fortunato del mondo. Mi va tutto bene". Ha una splendida moglie e una
bellissima famiglia, un'attività di grande successo, era plurimilionario già all'età
di trent'anni e gode di ottima salute. Si potrebbe dire che è solo fortunato, il che
mi trova d'accordo. Però aggiungo che è la sua convinzione di esserlo a renderlo
effettivamente fortunato. Allora perché non provare quello che ha funzionato per
lui? Quando qualcosa vi va bene, anche se si tratta di una piccola cosa, dite: "Ma
certo!".
Nelle nostre parole c'è molto potere. E quando modifichiamo il nostro modo
di esprimerci cominciamo a cambiare la nostra vita. Circa un anno fa stavo
guidando sull'interstatale ed ero sulla corsia di sorpasso perché stavo viaggiando
di poco oltre il limite di velocità. A un certo punto mi trovai davanti un
furgoncino che andava a una ventina di chilometri orari sotto il limite.
Mentalmente cominciai a brontolare: "Se vogliono guidare così piano non sanno
che devono stare sulla corsia di destra e permettere agli altri di superarli?". Pochi
giorni dopo mi trovai di nuovo sulla corsia di sorpasso dietro un altro
automobilista prudente che viaggiava a una velocità decisamente inferiore al
limite imposto. Di nuovo notai che il conducente era al volante di un furgoncino
e questa volta protestai ad alta voce e con una certa veemenza dicendo che la
ritenevo una scorrettezza.
Pochi giorni dopo, mentre ero in auto con Gail e Lia, fui di nuovo costretto a
rallentare da un automobilista sulla corsia di sorpasso a bordo di... indovinate un
po'... un furgoncino. Questa volta diedi voce alle mie lamentele con i miei
famigliari. Nelle settimane successive la situazione si ripeté, e ogni volta si
trattava di un furgoncino. Cominciai a notare che i furgoncini con certi simboli o
adesivi particolari erano le lumache più incallite. La cosa divenne motivo di
irritazione istintiva per me, e me ne lagnavo con chiunque conoscessi. Pensavo
che fosse una cosa divertente da raccontare, niente di più di un'osservazione
arguta, ma notavo che stava accadendo con sempre maggiore frequenza. Alla
fine cominciai a capire che mi ero convinto che i conducenti di furgoncino
fossero dei maleducati e impedissero il regolare scorrimento del traffico. Mi ero
convinto che lo facessero apposta, e questo diventò la pura e semplice verità
ogni volta che mi mettevo al volante.
Trovai un modo per riformulare questa osservazione pensando al campionato
NASCAR (acronimo di National Association for Stock Cars Auto Racing, una
famosa serie di gare automobilistiche). Se nel corso di una gara NASCAR ci
sono rottami in pista o c'è qualche rischio per i piloti, esce una safety car che fa
rallentare tutti. I piloti devono restare dietro la safety car finché non è stato
eliminato il rischio e il circuito è di nuovo sicuro. "E se i furgoncini fossero le
safety car dell'interstatale?", pensai. "Forse sono là per farmi rallentare in modo
da non farmi prendere multe o, peggio, restare coinvolto in un incidente". Ogni
volta che mi trovavo sulla corsia di sorpasso dietro un furgoncino che procedeva
a bassa velocità cominciai a ringraziare questi ostacoli e a pensare a loro come a
delle safety car. La cosa diventò talmente un'abitudine che presto scoprii di aver
dimenticato che si chiamavano in un altro modo, e presi a riferirmi ai furgoncini
esclusivamente come alle "safety car". ''Ops, c'è una safety car là davanti",
dicevo ai miei familiari. “Sarà meglio rallentare”.
La cosa interessante è che quando cambiai modo di chiamarli e cominciai ad
apprezzare i furgoncini perché mi ricordavano di rallentare, mi capitò sempre
meno frequentemente di restare bloccato dietro uno di loro nella corsia di
sorpasso. Oggi per me è estremamente raro essere rallentato da un furgoncino
nei miei spostamenti da pendolare, e, quando mi capita, dentro di me li ringrazio.
Cambiando atteggiamento mentale riguardo ai furgoncini e accogliendoli
festosamente come safety car, avevo cambiato quello che rappresentavano per
me, cosicché diventarono dei doni anziché delle provocazioni.
Se inizierete a chiamare le persone e gli avvenimenti della vostra vita con
nomi sostitutivi che sprigionino energia positiva in voi stessi, scoprirete che non
vi irriteranno più, anzi, potranno esservi di grande aiuto. Cambiate le parole che
usate e vedrete che la vostra vita cambierà. Per esempio:

Invece di... provate...
problema opportunità
dovere fare
contrattempo sfida
nemico amico
scocciatore insegnante
sofferenza segnale
pretendo gradirei
lamentela richiesta
lotta percorso
Tu hai fatto questo Io ho creato questo

Fate una prova. Può darsi che all'inizio vi sembri strano, ma poi vedrete che
funziona. Esprimendovi con un linguaggio diverso darete una nuova forma alla
realtà.
Potete creare la vita che desiderate. Sono cresciuto credendo che quando
sarei morto, se avessi avuto fortuna, sarei andato in paradiso. Un giorno, mentre
leggevo la Bibbia, fui colpito dal commento di Gesù circa il fatto che "il Regno
di Dio è vicino". E cominciai a pensare: "Forse sono già morto e questo è il
paradiso". Mentre meditavo su questa cosa, mi venne in mente una citazione di
John Milton: "La mente è padrona di se stessa e da sola può fare di un paradiso
un inferno, e di un inferno un paradiso". Forse il paradiso è già qui, o almeno
potrei fare in modo che sia così.
Quando si chiede alla gente: "Come stai?", a volte ho sentito mugugnare
amaramente: "Un altro giorno in paradiso". È un modo di dire e decisi di
adottarlo. Non per fare il sarcastico, ma per dire la verità. "È un altro giorno in
paradiso", rispondo quando mi chiedono come sto. All'inizio era imbarazzante,
ma adesso è diventata un'abitudine. Ho notato che questo commento fa sorridere
allegramente gli altri e mi ricorda che in quel momento posso scegliere tra
l'essere felice o l'essere triste; in altre parole, tra essere in paradiso o all'inferno.
Con le parole che usate, con le frasi che pronunciate, avete la possibilità e la
scelta di creare la vita che state vivendo.
Scegliete con saggezza.

6. Critici e sostenitori

Criticare è più facile che costruire (Zeusippo).

La critica è una forma di lamentela più tagliente. La sua caratteristica
principale è che è diretta specificamente contro qualcuno con l'intento di
sminuire quella persona. Alcuni sono convinti che criticare sia un modo efficace
di cambiare il comportamento di un altro. In realtà spesso sortisce l'effetto
opposto.
Nell'introduzione al volume ho accennato al fatto che da qualche tempo abito
con i miei famigliari in una casa che si affaccia su una strada vicino a una curva
dove, purtroppo, il nostro cane Ginger è stato investito e ucciso da un'auto.
Siccome abitiamo a pochi metri di distanza dal punto in cui il limite di velocità
cambia da quaranta a ottanta chilometri orari, la gente passa spesso di gran
carriera davanti a casa nostra. La cosa mi preoccupava parecchio, specie dopo la
morte di Ginger.
Spesso vedevo le auto sfrecciare davanti a casa mentre ero al volante del mio
piccolo trattorino tagliaerba a falciare il prato. Gridavo ai conducenti di
rallentare. A volte non solo alzavo la voce ma agitavo le braccia nel tentativo di
convincerli a diminuire la velocità. Con mia crescente irritazione, scoprii che lo
facevano di rado e che distoglievano lo sguardo fingendo di non vedermi. C'era
un'auto sportiva gialla che era la peggiore di tutti, e a prescindere da quanto mi
sgolassi o agitassi le braccia, la ragazza al volante passava davanti a casa nostra
a una velocità decisamente pericolosa.
Un giorno, mentre stavo tagliando l'erba nel giardino sul retro e Gail era
davanti a casa a piantare dei fiori, vidi da lontano arrivare l'automobilista
spericolata con la sua vettura gialla, velocissima come sempre. Non reagii,
perché sentivo che qualsiasi cosa avessi fatto per cercare di farla rallentare
sarebbe stata inutile. Quando l'auto passò, notai che aveva gli stop accesi, segno
che la ragazza al volante stava frenando; infatti lo fece portandosi entro il limite
consentito. Rimasi stupefatto. Era la prima volta che vedevo quell'auto sportiva
passare a velocità normale e non a rotta di collo. Notai anche che la guidatrice,
di solito piuttosto immusonita, stava sorridendo. Incuriosito, spensi il trattorino,
andai sull'altro lato della casa e chiesi a Gail che cosa avesse indotto la donna a
rallentare. Senza alzare lo sguardo dalle aiuole Gail disse: "È stato facile. Le ho
sorriso e le ho fatto ciao con la mano". "Che cosa?!", esclamai. "Le ho sorriso e
l'ho salutata con la mano come se fosse una vecchia amica, e lei ha ricambiato il
sorriso e ha rallentato", spiegò Gail.
Per mesi avevo cercato di convincere la ragazza a rallentare criticandola.
Inconsciamente il mio intento era quello di farle capire che sbagliava a guidare
in quel modo spericolato. Gail l'aveva trattata con gentilezza e la ragazza aveva
risposto con altrettanta gentilezza. Mentre ci riflettevo, capii dove avevo
sbagliato. La donna di passaggio non poteva aver sentito le mie proteste a causa
del rumore del tagliaerba, e il mio gesticolare probabilmente mi aveva solo reso
ridicolo. Per lei ero il tipo infuriato a cavallo del trattorino. Non c'era da
meravigliarsi che volesse evitare di incrociare il mio sguardo e desiderasse
passare oltre il più in fretta possibile. Aveva invece visto Gail come l'educata,
cordiale signora della porta accanto che la trattava da amica. Io ero stato critico,
mentre Gail l'aveva fatta sentire apprezzata. Non vidi mai più quell'auto sportiva
gialla passare a tutta velocità. Da allora rallentò sempre, decelerando sotto il
limite di velocità consentito finché non arrivava in fondo alla strada.
A nessuno piace essere giudicato male. E, anziché ridimensionare ciò che
non ci piace, la nostra critica spesso non fa altro che amplificarlo. Criticare
significa trovare dei difetti in qualcuno o in qualcosa. E quando critichiamo
qualcuno, questi si sente in dovere di giustificare il proprio comportamento. Il
tentativo di giustificarsi nasce quando una persona sente che sta subendo
un'ingiustizia. Dal suo punto di vista la critica è un'ingiustizia a cui ribattere con
qualunque mezzo a disposizione. In questo caso, quando le urlavo dietro, la
ragazza continuava ad andare a tutta velocità per giustificare il suo diritto di
farlo. C'era un metodo molto più efficace e affettuoso di convincerla a rallentare,
e Gail lo aveva adottato al posto mio.

TESTIMONIANZE
Stavo andando benissimo nel programma IO NON MI LAMENTO e mi
stavo liberando dell'abitudine di lamentarmi sempre. Finalmente ero arrivata a
diversi giorni consecutivi e vedevo che ciò stava cambiando positivamente la
mia vita.
Mio marito ha insistito perché smettessi. Diceva che non ero più una persona
divertente. Suppongo che lamentarsi sia divertente e che io non volessi più
condividere i suoi brontolii.
Questo mi rattrista.
(Lettera firmata)

l grandi leader sanno che la gente reagisce molto più favorevolmente
all'apprezzamento che alla critica. L'apprezzamento spinge una persona a
eccellere in modo da ricevere altri apprezzamenti. Le critiche avviliscono, e
quando sviliamo qualcuno in realtà lo induciamo implicitamente a continuare ad
agire nello stesso modo. Se, per esempio, critichiamo una persona definendola
pigra, questa accetta il giudizio come un dato di fatto e, trovandosi in nostra
compagnia, si sentirà autorizzato ad agire come una persona degna dell'etichetta
che le abbiamo affibbiato.
La necessità primaria di tutti è quella di essere stimati e apprezzati, di sentire
che contiamo. Anche se siamo introversi di natura, desideriamo comunque
attenzione dagli altri, specie da chi consideriamo importante per noi. Perfino
quando l'attenzione è negativa, come nel caso delle critiche, le persone spesso
reiterano il comportamento che ha suscitato biasimo solo per attirare l'attenzione.
Di rado è un gesto consapevole; viene generalmente messo in atto senza
pensarci. Desideriamo tutti attenzione da parte degli altri e cerchiamo di
ottenerla in qualunque modo. E se l'attenzione consiste in una critica, le persone
si adattano alle aspettative di chi le disapprova.
L'attenzione guida il comportamento. Permettetemi di ripeterlo:
"L'attenzione guida il comportamento". Per quanto ci piacerebbe che fosse il
contrario, invece è così. Se critichiamo qualcuno, stiamo sollecitando
dimostrazioni future di quello che di lui non ci piace. Questo è vero nei riguardi
del coniuge, dei figli, dei dipendenti e degli amici. Nella commedia di George
Bernard Shaw, Pigmalione, Eliza Doolittle spiega questo fenomeno al colonnello
Pickering: "Vede, in verità e in tutta franchezza, a parte le cose che chiunque può
scegliere liberamente (l'abbigliamento o il modo adatto di esprimersi e così via),
la differenza tra una signora e una fioraia non è nel comportamento, ma in come
viene trattata. Per il professor Higgins sarò sempre una fioraia perché mi ha
sempre trattato come tale, e lo farà sempre. Ma so di poter essere una signora per
lei perché lei mi ha sempre trattato come una signora, e lo farà sempre".
Nel dirigere il corso della nostra vita abbiamo un potere molto maggiore di
quello che crediamo. Ciò che pensiamo delle persone determina come si
mostrano al nostro sguardo quando ci mettiamo in relazione con loro. Il modo in
cui ci esprimiamo comunica agli altri che cosa ci aspettiamo e quale tipo di
comportamento prevediamo che assumano. Se usiamo parole di critica allora il
loro comportamento rifletterà le aspettative insite in ciò che diciamo.
Sappiamo tutti di genitori che si concentrano sugli scarsi risultati scolastici di
un figlio anziché festeggiarne i successi. I ragazzi portano a casa una pagella con
quattro 9 e un 6 e il genitore dice: "Perché hai preso 6?". Tutta l'attenzione si
concentra sull'unico voto appena sufficiente anziché sui quattro voti eccellenti.
Un po' di tempo fa nostra figlia Lia iniziò ad avere delle difficoltà in alcune
materie e noi, da genitori attenti, amorevoli e intelligenti, focalizzammo
l'attenzione sulle insufficienze nel tentativo di spronarla a migliorare.
Sorprendentemente anche le altre valutazioni cominciarono a calare. Col tempo
Gail e io prendemmo coscienza che i voti di Lia erano esattamente i "suoi" voti.
Decidemmo allora di lodarla per i buoni risultati in altre materie e
semplicemente le chiedevamo se fosse soddisfatta della sua pagella. Se Lia
rispondeva "sì", anche se aveva una media al di sotto di quel che ritenevamo
dovesse avere, non facevamo commenti. Ben presto il suo rendimento cominciò
a migliorare e ora sono diversi anni che prende solo voti alti.
"Essere critico è il mio lavoro". Ho sentito questa frase da una quantità di
persone che lavorano nel campo dei media e la cosa mi rattrista. Ho un diploma
di laurea in giornalismo radiotelevisivo e mi è stato insegnato che il lavoro di un
giornalista è quello di riportare i fatti, di spiegare che cos'è accaduto. Tuttavia
certe persone che lavorano in questo campo pare siano convinte che il loro
compito sia quello di creare sdegno. Lo fanno per convincere la gente ad
ascoltare o a guardare i notiziari o a comprare un quotidiano. È una mera
questione di indici di ascolto e di denaro. È importante che ci informino, non che
ci manipolino, e la critica spesso viene usata per influenzare il pubblico.
Non sto dicendo che non dovremmo avere critici teatrali, letterari o
cinematografici. Un buon critico (preferisco il termine "recensore") ci può far
risparmiare tempo e denaro rendendoci edotti se un film, un libro o una
commedia valgono la nostra attenzione e i nostri soldi. In realtà c'è un solo
recensore cinematografico che in genere gradisce gli stessi film che piacciono a
me, e dato che il suo lavoro è quello di visionare tutte le pellicole e di recensirle,
trovo preziose le sue informazioni e ho fiducia nel suo giudizio. È facile capire
se un giornalista è un recensore o un critico. Ieri sera a cena ho letto un articolo
riguardante un film in programmazione questa settimana. Il critico si perdeva in
lunghi e oscuri giri di parole e in lambiccati riferimenti cinematografici che
dicevano ben poco riguardo al film e sembravano invece voler dire: "Vedete
come sono intelligente?".
Come nel caso di altri tipi di lamentele, la critica può essere una forma di
vanto, un modo per dire: "I miei gusti sono così raffinati che quello che mi stai
offrendo non è alla loro altezza". Avete visto il film Hitch. Lui sì che capisce le
donne? ll personaggio interpretato da Kevin James frequenta una giovane
ereditiera che è circondata da arroganti snob. A una festa si sta discutendo di
ristoranti, film, lavori teatrali e inaugurazioni di gallerie d'arte, tutti etichettati
come "disgustosi" da due giovanotti. Questi in pratica stanno dichiarando:
"Nulla ci soddisfa... niente è all'altezza perché noi siamo molto sofisticati".
Ascoltatevi attentamente mentre parlate durante la fase di Competenza
Consapevole e verificate se state esprimendo delle critiche. Quand'ero in questa
fase del programma, la chiamavo la fase del "non voglio spostare il braccialetto".
Cominciavo a parlare e, notando una critica che si stava formando nella mia
mente, dichiaravo semplicemente: "E non ho intenzione di spostare di polso il
mio braccialetto". Provate a farlo quando vi cogliete in fallo quasi sul punto di
esprimere giudizi critici su qualcuno; dite semplicemente: "Non ho intenzione di
spostare di polso il mio braccialetto".
Un'altra cosa utile da fare in questa fase è quella di ricorrere a qualcuno che
come voi si sta impegnando in questo programma e incoraggiatevi l'un l'altro.
Notate bene: egli non è una persona da sorvegliare per poter cogliere in flagrante
quando si lamenta, critica o spettegola. Non dovete fargli notare la cosa quando
succede. Se lo fate, vi state lamentando e dovreste spostare il braccialetto. È
invece una persona con cui condividere i vostri successi e che vi incoraggerà a
proseguire se e quando sarete costretti a ricominciare da capo. Trovate qualcuno
che sappia aiutarvi a ricomporre le situazioni quotidiane in modo positivo,
qualcuno che vi sorvegli, che vi aiuti a cercare il bene in qualsiasi situazione vi
troviate. Vi occorre un "capo della claque": qualcuno che vi incoraggi a gran
voce quando avrete la tentazione di lasciar perdere; una persona che voglia
sinceramente che ce la facciate.
Circa otto anni fa conobbi un uomo che aveva aiutato una persona a cui
voleva molto bene ad affrontare quella che molti avrebbero ritenuto una
situazione tragica. E tutto ebbe inizio il giorno in cui vidi lungo una strada un
cartello molto particolare.
Il cartello era un semplice pezzo di cartone malridotto con sopra delle grosse
lettere trasferibili come quelle che si trovano in cartoleria. Stavo per imboccare
la strada sopraelevata che attraversa il fiume Waccamaw, appena fuori Comvay,
nella Carolina del Sud, quando notai il cartello. Là, conficcato per terra tra le
cartacce e un nido di formiche rosse, mi rivolgeva il seguente invito:

SUONA IL CLACSON SE SEI FELICE

Scossi il capo di fronte all'ingenuità di chi aveva ideato quella scritta e
continuai a guidare... senza suonare il clacson.
Sbuffai tra me: "Che sciocchezza". Felice? Che cos'è la felicità? Non avevo
mai saputo cosa significasse essere felici. Sapevo cos'era il piacere. Ma anche
nei miei momenti di maggior piacere e di grande appagamento mi scoprivo a
pensare che presto o tardi mi sarebbe successo qualcosa di brutto che mi avrebbe
riportato con i piedi per terra, alla realtà. "Essere felici è un imbroglio", pensavo.
La vita è dura e impegnativa e, se le cose vanno bene, dietro il primo angolo c'è
sempre in agguato qualcosa che ti fa cadere in un batter d'occhio dal mondo dei
sogni. "Forse si è contenti da morti", pensavo, ma non ero sicuro nemmeno di
quello.
Una domenica, un paio di settimane dopo aver visto il cartello, Gail e Lia -
che all'epoca aveva due anni - stavano viaggiando in auto con me lungo
l'autostrada 544 per Surfside Beach, dove stavamo andando a trovare degli
amici. Stavamo cantando in coro a squarciagola le canzoncine preferite dai
bambini, ridendo e divertendoci insieme. Quando fummo in prossimità della
sopraelevata che attraversa il Waccamaw, vidi di nuovo il cartello e, senza
pensarci, diedi un colpetto di clacson.
"Cos'è stato?", domandò Gail. "C'era qualcosa sulla strada?". "No" risposi.
"C'era solo un cartello sul ciglio della strada che diceva: SUONA IL CLACSON
SE SEI FELICE. Mi sento felice, perciò ho suonato il clacson".
Il cartello aveva perfettamente senso per Lia. I bambini non sono pressati
dalla fretta, dalle pesanti responsabilità, dal disappunto o da qualsiasi altro
malessere e ferita che gli adulti si portano appresso. Per Lia la vita è tutta nel
momento presente, e il momento è destinato alla felicità. Quando arriva il
momento successivo, anche quello è destinato alla felicità. Dai un colpo di
clacson e festeggia questo momento felice.
Più tardi quel giorno, sulla via del ritorno, quando rivedemmo il cartello, Lia
strillò: "Suona il clacson, papà, suona il clacson!". A quel punto del giorno,
ormai, la prospettiva piacevole che avevo provato quella mattina, quando non
vedevo l'ora di stare con i nostri amici e di divertirmi in loro compagnia con i
miei famigliari, era cambiata. Avevo cominciato a pensare alle tante cose che mi
aspettavano in ufficio il giorno dopo e a preoccuparmi per tutti quegli impegni
che mi attendevano.
Ero tutt'altro che felice, ma nonostante ciò diedi qualche colpetto di clacson
per accontentare mia figlia.
Non scorderò mai quello che avvenne subito dopo. In fondo al cuore, e solo
per un momento, mi sentii più contento di quel che ero solo pochi secondi prima:
come se suonare il clacson mi avesse reso più felice. Forse era una sorta di
riflesso pavloviano. Un riflesso condizionato, insomma. Forse suonare il clacson
mi aveva spinto inconsciamente a evocare una parte dei buoni sentimenti che
avevo in me l'ultima volta che l'avevo fatto.
Da quel giorno in poi non riuscimmo più a passare su quel tratto
dell'autostrada senza che Lia mi ricordasse di suonare il clacson. Notavo che,
ogni volta che lo facevo, il mio termometro emozionale saliva. Se su una scala
da uno a dieci a livello emotivo mi sentivo a due, quando suonavo il clacson la
mia contentezza saliva di parecchi punti. Notai che mi succedeva ogni volta che
passavamo davanti al cartello e suonavo. Cominciai a farlo ogni volta che
passavo di là, anche se ero in macchina da solo.
Un giorno Gail tornò a casa e vidi che stava soffocando a fatica le risa.
Intuendo che la cosa avesse a che fare con Lia, e non volendo metterla in
imbarazzo, aspettai che nostra figlia andasse nella sua cameretta a giocare, dopo
di che domandai a Gail cosa ci fosse di tanto divertente. Gail scoppiò a ridere a
crepapelle. Cercando di riprendere il fiato, mi raccontò che cos'era successo.
"Oggi", esordì, "ero in macchina e mentre guidavo parlavo con Lia;
improvvisamente ho invaso l'altra corsia e senza volerlo ho tagliato la strada a un
automobilista. Non l'avevo proprio visto. Per poco non ho buttato fuori strada
quel poveretto".
Gail scoppiò di nuovo a ridere. Io non capivo il lato umoristico della
faccenda.
Gail proseguì: "L'uomo al volante dell'altra auto era talmente fuori di sé dalla
rabbia che ci ha inseguito, si è affiancato a noi, ha alzato il medio e si è attaccato
al clacson".
Commettiamo tutti degli errori quando guidiamo. Quello di Gail poteva
avere conseguenze tragiche, perciò mi sentii preoccupato non solo per mia
moglie e nostra figlia, ma anche per il conducente dell'altra vettura. Pensai che
non ci fosse proprio nulla da ridere e che mia moglie forse era sotto shock. "Che
cosa c'è di tanto divertente in questa storia?", volli sapere. "Quando lo
sconosciuto ha suonato furiosamente il clacson", spiegò Gail, avvertendo la mia
apprensione e cercando di ricomporsi", Lia lo ha indicato col dito e ha
esclamato: 'Guarda, mamma, com'è felice!'".
Mi ci volle un secondo per immaginare la scena, dopo di che anch'io scoppiai
a ridere. Che prospettiva preziosa ha un bambino! Grazie alla nostra esperienza
con il cartello, il suono del clacson significava soltanto una cosa per la nostra
bambina: che quella persona era felice.
La sensazione positiva che provavo quando suonavo il clacson alla vista del
cartello iniziò a espandersi. Mi ritrovai a non veder l'ora di passare su quel tratto
di strada, e anche prima di arrivare al cartello notai che cominciavo a sentirmi
interiormente più contento. Col tempo, quando imboccavo la 544, notai che il
mio livello emotivo iniziava a salire. Quel tratto di strada fino al fiume cominciò
a diventare un posto di ringiovanimento emotivo per me.
Il cartello era sul bordo dell'autostrada in prossimità di un bosco che
separava le case vicine dalla sopraelevata. Dopo qualche tempo mi ritrovai a
domandarmi chi avesse messo il cartello e per quale motivo.
All'epoca ero assicuratore e vendevo polizze alla gente direttamente a
domicilio. Un giorno avevo un appuntamento con una famiglia che abitava un
paio di chilometri a nord della 544. Quando arrivai a casa loro, la madre mi disse
che suo marito si era dimenticato dell'appuntamento e che avremmo dovuto
perciò fissarne un altro. Per un attimo mi sentii avvilito, ma mentre mi
allontanavo in auto dalla nuova zona residenziale mi resi conto che stavo
costeggiando il bosco che si vedeva dall'autostrada. Mentre procedevo, calcolai
approssimativamente il punto che doveva trovarsi all'altezza del cartello SUONA
IL CLACSON SE SEI FELICE, e quando ebbi l'impressione di essere nelle
vicinanze, mi fermai alla prima casa lungo la strada.
L'edificio era una costruzione a un solo piano, grigia, prefabbricata, con
finiture rosso scuro. Mentre salivo i gradini color cannella del portico verso
l'ingresso, notai che l'abitazione era semplice ma ben curata. Cominciai a
prepararmi su cosa dire se qualcuno fosse venuto alla porta. "Salve", avrei detto.
"Ho visto un cartello lungo l'autostrada dall'altra parte del bosco e mi chiedevo
se ne sa qualcosa". O forse: "Siete voi quelli del SUONA IL CLACSON SE SEI
FELICE?". Provavo un certo imbarazzo, ma volevo saperne di più sul cartello
che aveva avuto un impatto così forte sul mio modo di pensare e sulla mia vita.
Quando suonai il campanello, non ebbi occasione di pronunciare nessuna delle
frasi di circostanza che mi ero preparato.
"Si accomodi!", disse l'uomo alla porta con un bel sorriso cordiale. Mi
sentivo davvero imbarazzato. "Forse stava aspettando qualcuno", pensai, "e
crede che sia io." Nonostante ciò entrai e l'uomo mi strinse la mano. Spiegai che
da più di un anno mi capitava di passare ogni tanto lungo quel tratto di
autostrada e che avevo visto il cartello SUONA IL CLACSON SE SEI FELICE.
Secondo i miei calcoli la sua casa era la più vicina a quell'insegna e gli domandai
se per caso ne sapesse qualcosa. Il sorriso dell'uomo si fece ancora più
smagliante e mi disse che aveva messo lui il cartello più di un anno prima, e che
non ero il primo che si fermava a chiedere informazioni al riguardo.
Mentre si udivano due colpetti di clacson da un'auto a poca distanza, l'uomo
spiegò: "Sono l'allenatore del liceo locale. A mia moglie e a me piace tanto
vivere qui vicino alla spiaggia e ci piace la gente. Siamo stati felici insieme per
tanti anni". I suoi penetranti occhi azzurri parvero leggermi dentro. "Un po' di
tempo fa mia moglie si ammalò. I medici le dissero che non c'era niente da fare.
Le consigliarono di prepararsi perché le restavano quattro mesi di vita... sei al
massimo".
Mi sentii molto a disagio durante il breve silenzio che seguì; lui non lo era
affatto. "Sulle prime restammo scioccati", proseguì. "Poi ci arrabbiammo. Poi ci
abbracciammo e piangemmo per giorni. Alla fine accettammo l'idea che la sua
vita presto sarebbe giunta al termine. Mia moglie si preparò a morire. Facemmo
portare un letto d'ospedale nella nostra camera da letto e lei giacque là per
settimane intere al buio. Eravamo disperati”.
"Un giorno ero seduto qui fuori sotto il portico mentre lei tentava di dormire.
Soffriva così tanto che le era difficile chiudere occhio. Io sentivo che stavo
affogando nella disperazione. Mi faceva male il cuore. Eppure, mentre ero lì
fuori seduto, sentivo le macchine passare sulla sopraelevata per andare alla
spiaggia". Per un momento i suoi occhi dardeggiarono verso un punto
nell'angolo della sala. Poi, come ricordandosi che stava parlando con me, scosse
la testa e riprese il filo della storia. "Sa che il Grand Strand - come la gente
chiama il tratto di cento chilometri di spiaggia lungo la costa della Carolina del
Sud - è una delle località di maggiore attrattiva turistica degli Stati Uniti?".
"Ehm... sì, lo sapevo", risposi. "Oltre tredici milioni di turisti all'anno
vengono sulle spiagge di questa zona".
"Esatto", disse. "E si è mai sentito più felice di quando va in vacanza? Si
programmano le ferie, si risparmia e poi si va a godersi un po' di bel tempo con
la propria famiglia. È fantastico". Un lungo colpo di clacson di un'auto di
passaggio sottolineò la frase.
L'allenatore rifletté un momento, poi continuò.
"Mentre ero seduto là fuori fui colpito dal pensiero che, sebbene mia moglie
stesse morendo, la felicità non doveva per forza morire con lei. Anzi, la felicità
era nell'aria qui attorno a noi. Era nei milioni di automobili che passavano a
poche centinaia di metri da casa nostra ogni giorno. E così andai là a piantare
quel cartello. Non che mi aspettassi granché dall'iniziativa; volevo solo che le
persone a bordo delle loro auto non prendessero per scontato il proprio momento
felice. Quel momento speciale, assolutamente irripetibile, con le persone che
amavano di più, avrebbe dovuto essere assaporato e loro avrebbero dovuto
sentirsi consapevoli della felicità di quel momento".
Diversi colpi di clacson provenienti da altrettante auto in rapida successione
lo interruppero un istante. "Mia moglie cominciò a sentire i colpi di clacson",
disse. "All'inizio solo uno ogni tanto. Mi chiese se ne sapessi qualcosa, e le
spiegai del cartello. Con il tempo, il numero delle auto che suonavano cominciò
ad aumentare e quelle strombazzate diventarono una sorta di medicina per lei.
Mentre era là a letto, udiva i clacson e trovava grande consolazione a sapere di
non essere isolata in una stanza buia in attesa della morte. Poteva partecipare
della felicità altrui. Era circondata da persone contente".
Restai seduto in silenzio per un momento, riflettendo seriamente su ciò che
quell'uomo aveva condiviso con me. Che storia toccante ed entusiasmante! "Le
farebbe piacere conoscere mia moglie?", mi domandò l'uomo. "Sì", dissi con una
certa sorpresa. Avevamo parlato così a lungo di quella donna che cominciavo a
pensare a lei come a un personaggio di una storia meravigliosa più che a una
persona reale. Mentre ci incamminavamo lungo il corridoio verso la camera da
letto mi preparai al peggio, non volendo apparire scioccato alla vista di una
persona malata e in punto di morte. Ma quando entrai nella stanza vi trovai una
donna sorridente che tutto sembrava fuorché una moribonda.
Un altro colpo di clacson proveniente dall'esterno e la donna disse: "Questa è
la famiglia Harris. È bello risentirli. Mi sono mancati". Dopo che ci fummo
presentati, mi spiegò che la sua vita si era di nuovo riempita di voci come un
tempo. Centinaia di volte al giorno e anche durante la notte udiva le
strombazzate dei clacson che le dicevano che nel suo mondo c'era felicità. "Non
sanno che sono distesa qui ad ascoltare", disse, "ma io li conosco. Sono arrivata
a distinguerli dal suono particolare dei loro clacson". La donna arrossì, poi
continuò. "Fantastico spesso su di loro. Invento delle storie. Li penso mentre
trascorrono il tempo sulla spiaggia o giocano a golf. Se è un giorno di pioggia,
me li immagino all'acquario o a fare spese. Di notte me li vedo al luna park o a
ballare sulla spiaggia sotto le stelle". La sua voce andò calando di tono; poi,
scivolando nel sonno, osservò: "Che vite felici... che vite assolutamente felici".
L'allenatore mi sorrise ed entrambi ci alzammo e uscimmo in punta di piedi
dalla camera da letto. In silenzio mi accompagnò alla porta, ma mentre stavo per
congedarmi fui assalito da una domanda. "Ha detto che i dottori le avevano dato
sei mesi di vita... al massimo, vero?". "Esatto", rispose l'uomo con un sorriso già
consapevole della domanda successiva. "Ma ha detto che sua moglie era a letto
da mesi quando ha pensato di andare laggiù a mettere il cartello". "Già", disse.
"E io ho visto il cartello per la prima volta, e sono passato qui davanti più volte...
da oltre un anno", conclusi.
"Precisamente", disse l'uomo; poi aggiunse: "La prego, torni ancora a
trovarci".
Il cartello restò al suo posto per un altro anno e poi, un giorno,
improvvisamente sparì. "Dev'essere morta", pensai con tristezza mentre passavo
là davanti. "Se non altro è stata felice negli ultimi mesi ed è sopravvissuta ben
oltre le più rosee previsioni. I suoi medici saranno sicuramente stupiti". Pochi
giorni dopo stavo percorrendo la 544 verso la spiaggia e per la prima volta mi
sentii triste anziché felice mentre mi avvicinavo al ponte. Controllai di nuovo,
chiedendomi se il vento o la pioggia avessero semplicemente deteriorato il
piccolo cartello fatto a mano con un vecchio pezzo di cartone. Ma non c'era
proprio più. Provai una profonda tristezza.
Mentre imboccavo la sopraelevata notai una cosa che mi risollevò
immediatamente il morale. Nel punto in cui una volta era piantato il piccolo
cartello c'era una nuova insegna. Era alta un metro e mezzo e larga due, con un
fondo giallo brillante bordato di luci lampeggianti. Su ambo i lati, a grandi
lettere luminose, c'era il familiare SUONA IL CLACSON SE SEI FELICE!
Con le lacrime agli occhi strombazzai per far sapere all'allenatore e a sua
moglie che stavo passando. "Questo è Will", immaginai che dicesse la donna con
un sorriso malinconico.
Con il sostegno di un marito amorevole, anziché concentrarsi su quel che era
la realtà - una realtà confermata da medici esperti - quella donna meravigliosa si
era concentrata sul bene che la circondava. E così facendo aveva sconfitto i
pronostici, abbracciato la vita e toccato il cuore di milioni di persone.
Voi potete essere esattamente lo stesso tipo di sostegno per qualcuno,
qualcuno che tenta di cambiare la propria vita smettendo una volta per tutte di
lamentarsi. Trovate con chi rallegrarvi e chi sostenere: egli farà lo stesso per voi.
Insieme, potete farlo succedere.

Parte quarta - COMPETENZA INCONSAPEVOLE

7. Padronanza

Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche (Fil 2,14).

Esistono diverse specie di pesci ciechi che vivono in grotte sottomarine. La
maggior parte si trova negli Stati Uniti nella regione delle grotte calcaree del
delta del Mississippi. Si tratta di esemplari che crescono fino a una lunghezza di
circa dodici centimetri e sono quasi privi di pigmentazione. Oltre a essere
bianchi, nessuna di queste specie - tranne una - ha gli occhi. Gli zoologi
ipotizzano che in ere precedenti questi pesci possano essere rimasti vittime di
spostamenti di masse terrestri o di faglie e siano così rimasti intrappolati in
caverne sotterranee. Immersi completamente nel buio e incapaci di vedere, i
pesci si adattarono all'ambiente circostante. Ora queste specie di pesci
prosperano nell'oscurità totale.
Nel corso di generazioni e generazioni di cicli riproduttivi, la pigmentazione
per proteggerli dal sole andò persa perché non più necessaria. Nello stesso modo,
con il passare del tempo, questi pesci cominciarono a produrre avannotti privi di
occhi. I loro corpi si sono adattati geneticamente all'ambiente assumendo le
caratteristiche attuali.

TESTIMONIANZE
Quattro anni fa il mio primogenito, un giovanotto di ventitré anni che faceva
l'agente di polizia, fu colpito da un ictus mentre stava guidando. Senza entrare
nei particolari, devo dire che è stato un percorso lungo e difficile, ma nonostante
tutto si è trattato di una disgrazia che tutta la nostra famiglia ha affrontato con
fede in Dio e con amore incondizionato.
Ben si sta riprendendo (tutti i dottori dicevano che non ce l'avrebbe fatta) e
accetta le sue menomazioni con una pace interiore che è una lezione per tutti noi.
La grazia divina è all'opera e cresce in lui.
Ha una lieve afasia, una emiparesi al lato destro e un certo rallentamento
nell'elaborazione degli stimoli, eppure continua a migliorare... e tutto senza mai
lamentarsi. Da qui il motivo della richiesta di braccialetti. Se Ben sa accettare la
sua croce senza lagnarsi, sicuramente possiamo farlo anche noi. Voglio che le
persone che hanno aiutato Ben nella sua guarigione abbiano tutte un braccialetto.
La ringrazio di cuore e le auguro buona fortuna per la sua missione. Lei e la
sua chiesa avete avuto una forte influenza su noi tutti.
(Noreen Kepple, Stonington, Connecticut).

Dopo i vari mesi necessari per liberarvi delle lamentele, scoprirete che siete
cambiati. Proprio come, nell'arco di varie generazioni, il pesce cieco delle
caverne ha abbandonato per sempre quello che non gli serviva più, scoprirete
che la vostra mente non produce più il diluvio di pensieri inopportuni e infelici
con cui eravate abituati a convivere. Poiché non li esprimete a parole, la fabbrica
delle lagnanze chiude i battenti. Avete chiuso il rubinetto e il pozzo si è
prosciugato. Cambiando modo di esprimervi, avete trasformato il vostro modo di
pensare. Adesso siete diventati inconsapevoli (non ci fate più caso) della vostra
competenza (di non lamentarvi). Di conseguenza, siete diversi: siete diventati
più felici.
Quando iniziammo il programma IO NON MI LAMENTO decidemmo di
rilasciare un certificato di felicità a chi completava il ciclo dei ventun giorni
consecutivi senza lamentele, critiche o pettegolezzi. Scegliemmo di chiamarlo
così perché sapevamo che eliminare i mugugni e i brontolii aveva un potente
effetto rigenerante sulla coscienza di una persona. Più che modificare il
comportamento, non lamentarsi cambia la mente e la vita. Quando avrete
completato con pieno successo il vostro ciclo di ventun giorni consecutivi,
visitate il nostro sito web - www.AComplaintFreeWorld.org - e saremo lieti di
spedirvi l'attestato per festeggiare la vostra trasformazione.
Nella fase di Competenza Inconsapevole, una fase successiva ai ventun
giorni consecutivi, non siete più un "Ahi!" in cerca di un male. Ora i vostri
pensieri sono piuttosto rivolti a ciò che desiderate e cominciate a notare che non
soltanto siete più felici, ma che anche le persone che vi stanno intorno lo
sembrano. Attraete gente allegra e ottimista, e la vostra natura positiva sta
ispirando chi vi sta intorno a raggiungere livelli mentali ed emotivi ancora più
elevati. Per parafrasare Gandhi, siete diventati il cambiamento che desideravate
vedere nel mondo. Quando qualcosa vi va bene, la vostra reazione immediata è
quella di pensare: "Ma certo!". E quando vi si presenta un problema o un
ostacolo, non gli concedete alcuno spazio né sprecate energia per esprimerlo agli
altri; cominciate piuttosto a cercare in esso la benedizione nascosta. E, cercando,
troverete.
Un'altra cosa che noterete è quanto vi sentiate a disagio, adesso, quando
qualcuno che vi sta vicino comincia a lagnarsi. È come se un odore sgradevole
all'improvviso si diffondesse nella stanza. Poiché avete impiegato un mucchio di
tempo a controllarvi per abolire le lamentele, quando le sentite da qualcun altro
esse vi faranno l'effetto di un rumore sgradevole durante un momento di silenzio
sacrale. Anche se i brontolii altrui vi risulteranno fastidiosi da ascoltare, non vi
sentirete obbligati a farlo notare all'altra persona. Resterete in silenzio e, dato che
non criticate né vi lamentate, la persona non sentirà il bisogno di giustificare il
proprio comportamento reiterandolo, e smetterà in fretta.
Comincerete a provare gratitudine per le cose apparentemente più
insignificanti: perfino quelle che di solito davate per scontate. Per quanto mi
riguarda, ricordo di aver pensato: "Se l'ultima volta che mi sono spazzolato i
capelli avessi saputo che sarebbe stata davvero l'ultima, mi sarei goduto molto di
più quel momento". (Se non capite questo commento, date un'occhiata a una mia
foto.) Quando entrerete nella fase di Competenza Inconsapevole il vostro
atteggiamento mentale principale sarà di apprezzamento. Avete ancora tante cose
che desiderate per voi stessi, e questo è un bene. Ora, con la vostra energia
positiva di recente scoperta, potete elaborare un'immagine mentale di ciò che
desiderate sapendo che, nel frattempo, sta fluendo verso di voi.
Anche la situazione finanziaria potrebbe migliorare. Il denaro, in sé e per sé,
non vale nulla. I soldi consistono in monete e foglietti di carta che
simboleggiano un valore. Quando comincerete ad apprezzare di più voi stessi e
ciò che vi circonda, emanerete vibrazioni a un livello tale che attirerete maggiori
benefici economici. La gente vorrà darvi e fornirvi cose per le quali in passato
avreste dovuto pagare in moneta sonante. Conosco uno che riceve gratuitamente
una quantità di prestazioni professionali solo perché le persone che forniscono
queste prestazioni lo trovano simpatico e desiderano fargli un piacere. La stessa
cosa può accadere a voi. La chiave è quella di apprezzare le piccole cose e
provare gratitudine. Se qualcuno vi tiene aperta una porta, o si offre di fare
qualcosa per voi, ritenetela una generosa benedizione dell'Universo. Così
facendo, ne attirerete molte di più.
Le persone positive e felici sono piacevoli da frequentare. Adesso che siete
diventati persone così, le vostre finanze potranno migliorare tramite aumenti di
stipendio e una minore precarietà.
Nel nostro lavoro siamo pagati per la capacità di fare o produrre qualcosa. Il
nostro grado di competenza nel mestiere che svolgiamo detta in larga misura la
retribuzione che percepiamo. Ma una persona che brilla di luce propria e di gioia
in ufficio vale tanto oro quanto pesa. Conosco una ditta di Seattle, nello stato di
Washington, che tempo fa aveva un'addetta alla reception di nome Martha.
Martha aveva il sorriso più bello, più luminoso e più sincero che avessi mai
visto. Era sempre complimentosa, sinceramente felice e sempre disposta a fare
qualunque cosa per chiunque. Potevi avvertire la sua presenza in ufficio e tutti i
suoi colleghi si scoprivano più allegri e produttivi grazie a lei.
Qualche tempo fa feci tappa in quella ditta per fare visita ad alcuni amici.
L'atmosfera era cambiata. Era come se qualcuno avesse dipinto i muri di un
colore più scuro, o avesse abbassato le luci. È quel che provavo mentre ero in
piedi davanti alla reception. Poi mi accorsi che Martha non c'era più. "Dov'è
Martha?", domandai. "Ha cambiato ditta", rispose una sua collega. "L'hanno
convinta offrendole il doppio dello stipendio che potevamo permetterci di
pagarle". Dopo essersi guardata furtivamente intorno un momento, la donna
aggiunse: "L'altra azienda ha fatto un affare".
La personalità ottimista e felice di Martha aveva un effetto benefico su tutti i
colleghi, e la sua assenza aveva abbassato di molto il livello generale di
cordialità e anche di produttività. Gli addetti alle vendite mi dissero che i reclami
erano aumentati sia di numero sia di animosità da quando non c'era più Martha a
rispondere al telefono.
Il vostro atteggiamento, che è un'espressione esteriore dei vostri pensieri,
stabilisce come la gente si rapporterà con voi. E questo vale non solo per gli
esseri umani ma anche per gli animali. Proprio mentre sto scrivendo, i nostri due
cani stanno abbaiando e facendo le feste al furgone dell'UPS che ha imboccato la
via principale del nostro quartiere. Gibson e Magic non stanno difendendo il loro
territorio. Non stanno abbaiando per impedire al furgone dell'UPS di
parcheggiare davanti a casa nostra, al contrario sperano che si fermi proprio da
noi. A differenza degli addetti alle consegne di altre ditte di spedizione che
hanno paura degli animali o si rifiutano di averci a che fare, il nostro autista
dell'UPS ha deciso di imparare i nomi di tutti i cani che incontra nel suo solito
giro di consegne. Si porta perfino dietro dei biscottini. Può sembrare ridicolo, ma
Gibson e Magic vogliono bene all'autista dell'UPS, noi vogliamo bene a loro e di
conseguenza vogliamo bene all'autista dell'UPS. La semplice intenzione di
quell'addetto alle consegne di essere una persona felice e servizievole ci ha
indotto ad affezionarci più all'UPS che ad altre ditte di spedizioni, a prescindere
dalle pubblicità con cui ci martellano in televisione.
Se ha aspirazioni manageriali, immagino che quell'autista un giorno o l'altro
dirigerà una filiale dell'UPS. Vogliamo tutti avere vicino persone che rendono
straordinario ogni giorno. E quelle persone alla fine hanno buone probabilità di
ricevere promozioni per il loro lavoro.
Uno dei doni più grandi che riceverete liberandovi delle lamentele è il
miglioramento dei rapporti con i vostri famigliari, sia nel presente sia nel futuro.
Nel bene o nel male tendiamo a influenzare chi ci sta vicino. Come ho detto in
un capitolo precedente, entriamo in sintonia con l'energia altrui e specialmente
con chi consideriamo figure autorevoli, come per esempio i nostri genitori.
Ricordo mio padre in cucina. Ogni volta che preparava da mangiare,
prendeva un asciugapiatti e se lo metteva sulla spalla sinistra; lo chiamava il suo
"canovaccio da cuoco". In quel modo il canovaccio era sempre a portata di mano
nel caso mio padre dovesse togliere qualcosa di caldo dai fornelli o dovesse
asciugarsi le mani. Oggi, ogni volta che sono in cucina, mi troverete sempre con
il mio personale "canovaccio da cuoco". E non è mai sulla spalla destra, ma
sempre sulla sinistra. Era così che faceva mio padre, ed è così che faccio io.
Forse mio padre a sua volta lo aveva visto fare da mio nonno e lo imitava,
chissà? L'unica cosa che so è che ho preso questa abitudine da lui. Non cercò
mai di trasmettermela, ma il suo comportamento lo ha fatto. E so che, volente o
nolente, io la sto passando a Lia.
Mi resi conto che prima che adottassimo uno stile di vita libero da lamentele
stavo insegnando a Lia che la cena in famiglia era un momento per brontolare e
spettegolare. Le stavo praticamente inculcando che quello era il modo in cui la
gente agisce. Sono così contento che adesso il nostro tavolo da pranzo sia un
luogo dove parliamo di eventi fortunati e di prospettive luminose. È questo che
voglio insegnarle, in modo che lo trasmetta ai suoi figli e ai suoi nipoti.
Facciamo in modo che il tempo trascorso in famiglia sia gioioso e felice, non un
momento per dare sfogo a mugugni e proteste su come le cose non sono andate
per il verso giusto nel corso della giornata. Sono convinto che la nostra vita sia
migliorata, perché durante il giorno non cerchiamo (e perciò non troviamo)
episodi negativi per garantirci di avere argomenti di conversazione la sera.
Essendo persone che non si lamentano, otterrete più di quel che desiderate
con minore sforzo. Ricordate la donna della mia congregazione con gli elenchi
delle lamentele? Dopo aver dato una scorsa a un paio dei suoi elenchi capii che,
a prescindere da quel che facevo, lei trovava sempre dei difetti. Senza averne
l'intenzione, cominciai a nutrire una forte resistenza mentale a qualsiasi cosa mi
chiedesse e a provare irritazione per lei perché nulla sembrava soddisfarla. Idee
che lei proponeva, anche se buone, venivano accantonate perché avevo la
sensazione che avrebbero suscitato altre lamentele e altre critiche. Quando
cominciai a ignorarla e a rifiutarmi di parlare di quelli che considerava i nostri
difetti, la donna smise di portarmi i suoi elenchi. E la cosa interessante è che,
dopo che la piantò, noi cominciammo pian piano ad adottare quasi tutto quello
che lei aveva suggerito. Non perché si fosse lagnata a quel proposito, ma perché
aveva smesso di lamentarsi. Adottammo i cambiamenti suggeriti perché
capimmo che avevano senso. Ma per lungo tempo non li avevamo presi in
considerazione perché avevamo una reazione negativa alle sue richieste.
Adesso siete persone positive che parlano di quel che desiderano anziché
brontolare riguardo a ciò che non funziona. La gente vorrà lavorare con voi e per
voi, e raggiungerete e riceverete più di quello che avete mai sognato. Dategli
tempo, state a guardare e accadrà.
La gente mi chiede spesso: "E gli ideali sociali? Come posso contribuire a
cambiare in meglio la situazione se non mi lamento e non protesto?". Ripeto: il
cambiamento inizia con l'insoddisfazione. Inizia quando una persona proprio
come voi nota un divario tra ciò che è e ciò che potrebbe essere.
L'insoddisfazione è l'inizio, ma non può essere la fine. Se vi lagnate di una
situazione, forse riuscirete ad attrarre altre persone che mugugneranno insieme a
voi, ma non riuscirete a cambiare granché. Però se siete capaci di cominciare a
parlare in termini di come sarà quando l'ostacolo non esisterà più, quando il
ponte sarà gettato, quando il problema sarà risolto, allora potrete infondere
entusiasmo e spingere la gente a un cambiamento positivo.
Quando cesserete di lamentarvi, scoprirete di essere meno spaventati o
arrabbiati. La rabbia è paura diretta all'esterno. E poiché non siete più persone
fondate sulla paura, attirerete nella vostra vita meno persone spaventate o
arrabbiate.
Nel suo libro Una sedia per l'anima, il famoso autore di bestseller Gary
Zukav scrive: "Lamentarsi è una forma di manipolazione". Io ho un amico che è
ministro di culto di una confessione diversa dalla mia. Le massime autorità della
chiesa alla quale appartiene gli mandarono un consulente per dargli una mano a
far crescere la sua congregazione. "Trovi qualcosa di cui hanno paura", gli disse
il consulente. "Sfrutti quella paura per creare malcontento. Si lamenteranno della
situazione con altre persone. Questo li renderà uniti e attirerà altra gente verso la
sua congregazione". Un tale approccio al problema sembrò molto scorretto al
mio amico, che considerava il suo ministero un mezzo per servire i bisognosi,
non per infiammare una folla e creare tumulto. Telefonò a un ministro suo
collega e gli domandò come la tecnica della paura e della rabbia avesse
funzionato nella sua congregazione. "Benissimo", rispose l'altro. "Il metodo mi
ha procurato una quantità di nuovi fedeli. Il problema è che sono un branco di
persone perennemente arrabbiate e spaventate che si lamentano in
continuazione... e adesso non so più come fare a trattare con loro". Il mio amico
diede le dimissioni da ministro di culto per diventare cappellano in un ospedale.
Conduce un vita integerrima ed è molto felice.
L'altra sera stavo guardando in tv con mia moglie e mia figlia il vecchio film
The Music Man, di cui è protagonista Robert Preston. Nel film, Preston recita il
ruolo del professar Harold Hill, un commesso viaggiatore logorroico e senza
scrupoli che vende porta a porta strumenti musicali per bande e orchestrine.
Arrivato a River City, nell'Iowa, chiede a una sua vecchia conoscenza, un
personaggio interpretato da Buddy Hackett: "In questo posto c'è qualcosa a cui
posso appigliarmi per creare dello scontento?". Hackett gli parla del primo
tavolo da biliardo arrivato da poco in città, e Preston comincia a sobillare la
cittadinanza spaventando tutti con discorsi sulla inevitabile corruzione morale
derivante dal gioco del biliardo. Naturalmente la soluzione alla "corruzione
morale" e all'“isterismo di massa" rappresentato dal gioco del biliardo è quella di
spingere tutti i giovani a formare una banda musicale. E il professor Harold Hill
capita proprio a fagiolo per salvare una situazione disperata vendendo a tutti
strumenti musicali e uniformi da banda. Appicca le fiamme della lamentela per
condizionare la gente ai fini del profitto personale.
Zukav ha ragione. Lamentarsi è una manipolazione della vostra energia, e
adesso che siete persone libere da lamentele noterete quando qualcuno sta
usando parole ed espressioni negative per approfittarsi di voi, e alzerete delle
sane barriere protettive. Quando sentite questi discorsi prendete le distanze e così
vi terrete lontano dai guai.
Alcuni affermano: "Ma certi psicanalisti sono convinti che lamentarsi sia una
cosa salutare". Come ho già detto, ha perfettamente senso lamentarsi (esprimere
dolore, sofferenza o malcontento) all'occorrenza. E un'espressione di dolore,
sofferenza o malcontento diretta verso qualcuno che possa veramente aiutare
quella persona è salutare... a patto che sia concepita come metodo per ottenere
ciò che si vuole in futuro e non come mezzo per recriminare riguardo al passato.
Parlare a uno psicologo dei momenti difficili della vostra vita come mezzo
per superarli e lasciarseli indietro può essere salutare. Un buon professionista sa
attribuire un significato a questi avvenimenti e fornire speranza per una vita
futura migliore. Tuttavia lamentarsi con un amico - sfogarsi, come spesso si dice
- può scatenare un'estrema negatività, che attirerà verso di noi altri problemi
oltre a quelli che abbiamo già. Per tacere del fatto che ci spinge ad allearci con
persone negative dalle quali possiamo essere plagiati.
Alcune volte abbiamo tutti bisogno di analizzare quello che sta avvenendo
nella nostra vita per poter affrontare meglio la situazione. Analizzare e
lamentarsi non sono la stessa cosa. Analizzare significa condividere i vostri
sentimenti riguardo a un episodio che vi è capitato e non limitarsi a rimuginare
sui fatti. Se il vostro capufficio alza la voce con voi, può darsi che vogliate
parlare dell'esperienza con il vostro coniuge e confidargli come vi siete sentiti.
Può darsi che diciate: "Ho provato sorpresa e tristezza quando si è messo a
urlare".
Quando analizzate un'esperienza assicuratevi che quel che dite sia incentrato
esclusivamente sui sentimenti e non sulla vicenda in se stessa. Usate parole
come:

• incollerito/a
• triste
• contento/ a
• felice
• arrabbiato/a
• spaventato/a
• gioioso/ a

"Mi sento arrabbiato/a quando fai così", stabilisce che l'esperienza è vostra e
significa che la state "analizzando". "Ho l'impressione che tu sia un idiota
quando fai così", è semplicemente un'offesa, nonostante il tentativo di farla
passare per un punto di vista personale. I vostri sentimenti sono il migliore
indicatore di quanto vi sentiate bene a vivere in armonia con la parte migliore del
vostro io. Discutere dei vostri stati d'animo con un'altra persona, evitando di
dilungarvi sui retroscena e sui drammatici resoconti infarciti di "lui ha detto/lei
ha detto" può essere salutare.
Perfino con uno psicanalista è importante non soffermarsi troppo a lungo
sulla sofferenza scaturita da una determinata esperienza. Studi recenti hanno
dimostrato che parlare di sintomi nevrotici in realtà aumenta i sintomi stessi. 4
Un bravo psicanalista sa quanto tempo ed energia dovrebbero essere dedicati al
passato e come aiutarvi a utilizzare ciò che è accaduto per migliorare la qualità
della vostra esistenza futura.
E ora davanti a voi avete la vita che avete sempre sognato. Ancora di più:
mantenendo saldi i vostri propositi e parlando solo della realtà che desiderate,
raggiungerete obiettivi a breve termine per i quali avreste pensato ci volessero
anni.
Nella sua pièce teatrale Fiction, uno dei personaggi di Steven Dietz osserva:
"Agli scrittori non piace scrivere; a loro piace avere scritto". Per similitudine,
alle persone non piace cambiare, ma piace essere cambiate. E voi avete sfoderato
la buona volontà, il tempo e gli sforzi necessari per continuare a spostare di
polso il vostro braccialetto, ricominciando da capo innumerevoli volte. Siete una
persona nuova. Siete cambiati. Oliver Wendell Holmes ha detto: "Una mente tesa
da un'idea nuova contraendosi non ritorna mai alla dimensione originale". Ce
l'avete fatta.
Se avete letto questo capitolo e non avete ancora completato il programma
IO NON MI LAMENTO dei ventun giorni consecutivi, lasciamo che questo
serva come augurio. Potete farcela. Nel capitolo successivo leggerete le
testimonianze di persone che sono riuscite a completare il programma e capirete
che cosa ha significato per loro.

8. I campioni dei ventun giorni consecutivi

Il privilegio di essere padroni di noi stessi non ha prezzo (Friedrich
Nietzsche).

"Ma lamentarsi non fa bene alla salute?".
Quando mi intervistano sul fenomeno IO NON MI LAMENTO, i media
spesso mi mettono a confronto con qualche psicologo convinto che lamentarsi
sia salutare. Quando succede, ricordo a tutti che non è nei miei intenti cambiare
le persone. Se vogliono lamentarsi, che si accomodino! Inoltre desidero chiarire
che il mio non è un invito a restare zitti di fronte a ciò che non va. Non trattenete
il disagio, non interiorizzatelo; assicuratevi solo di descrivere sinteticamente i
fatti e di concentrarvi sui sentimenti, evitando di trasmettere energia negativa
("come osi farmi questo?") in quello che state dicendo.
Per quanto riguarda la salute, mi chiedo se qualcuno di questi psicologi
consideri il suo lavoro solo ascoltare la gente che si lamenta e non tema di
limitare i propri mezzi di sussistenza. Come ho già avuto modo di dire, un buon
terapista aiuta a superare gli eventi traumatici del passato rielaborandoli e
utilizzandoli per un presente più soddisfacente e un futuro più luminoso.
Io non sono uno psicologo. E non interpreto tale ruolo nelle mie apparizioni
televisive. Le mie affermazioni si basano unicamente sulla mia personale
esperienza di metamorfosi esistenziale, con la quale mi sono lasciato alle spalle
un atteggiamento di mugugno costante, e sulle tante persone che hanno
condiviso con me quanto siamo diventati più felici e più sani liberandoci delle
lamentele. Se lamentarsi fosse veramente un metodo per godere di un maggiore
benessere, allora la popolazione del mio paese, gli Stati Uniti, sarebbe tra le più
floride del mondo. Eppure, nonostante quello che molti definiscono "il sistema
sanitario più all'avanguardia del pianeta", gli Stati Uniti sono il fanalino di coda
rispetto a tutti gli altri paesi del mondo per numero di decessi annuali dovuti a
malattie cardiovascolari. La popolazione statunitense ha grossi problemi anche
con l'ipertensione, l'infarto, l'ictus, il tumore e altre patologie.
Il dottor Michael Cunningham, uno psicologo dell'università di Louisville, ha
avanzato l'ipotesi che la predilezione per le lamentele dell'uomo moderno
probabilmente ha origini ancestrali. I nostri antenati avevano sviluppato
l'attitudine di lanciare grida d'allarme quando qualcosa minacciava la tribù. "Noi
mammiferi strilliamo", afferma il dottor Cunningham. "Parliamo di cose che ci
infastidiscono come un mezzo per ricevere aiuto o per cercare un gruppo con cui
organizzare un contrattacco". Il dilagante atteggiamento di insofferenza che
caratterizza la nostra specie non è più necessario, ma il salto evolutivo rispetto al
passato non è ancora avvenuto perché, come abbiamo discusso, quando ci
lamentiamo da questo fatto traiamo ancora benefici sociali e psicologici.
Quando brontoliamo, stiamo dicendo che "qualcosa non va". Quando lo
facciamo spesso, viviamo in una condizione perenne di "male incombente" e
questo aumenta lo stato di ansia. Immaginate se qualcuno vi dicesse in
continuazione: "Stai attento", oppure: "Stai in guardia, sta per accadere qualcosa
di spiacevole", o ancora: "Le esperienze negative del passato preludono a
esperienze analoghe nel futuro". Se qualcuno vi facesse ripetutamente notare che
siete circondati da potenziali pericoli e insidie, non vi sentireste molto più
stressati? Certamente sì. E, quando vi lamentate di frequente, la persona che sta
suonando la sirena d'allarme siete voi. Lamentandovi, aumentate il livello di
stress. State dicendo: "Qualcosa non va", e il vostro corpo reagisce di
conseguenza.
Tale situazione di disagio collettivo mi ricorda i cadetti militari all'università
che ho frequentato da giovane. Ogni volta che una delle reclute passava davanti
a un veterano doveva "fare fortezza". Questo voleva dire stringere le braccia ai
fianchi, incassare la testa nelle spalle e irrigidire tutto il corpo come per
prepararsi a un attacco. Quando, lamentandoci, la nostra mente si concentra su
ciò che è sbagliato, ilnostro corpo reagisce. "Facciamo fortezza" o, in altre
parole, ci irrigidiamo. I muscoli si tendono spasmodicamente, il battito cardiaco
accelera, la pressione sanguigna aumenta. Questo vi pare salutare?
Secondo un articolo apparso su www.forbes.com, negli Stati Uniti le
classifiche di vendita dei farmaci con obbligo di prescrizione medica vedono ai
primi sette posti medicinali destinati alla cura di disturbi e malattie derivanti
dallo stress. Nel 2005, sempre negli Stati Uniti, si sono spesi 31,2 miliardi di
dollari in farmaci per combattere l'ansia, la depressione, il bruciore di stomaco,
gli scompensi cardiaci, l'asma e l'alto tasso di colesterolo.
"D'accordo", potrete anche pensare. "Ho capito che lamentarsi danneggia
l'organismo e che gli scompensi cardiaci, la depressione e le ulcere possono
essere provocati dallo stress... ma non certo l'asma e il colesterolo alto!". Be',
uno studio del dottor Andrew Steptoe e di alcuni suoi colleghi dell'University
College di Londra ha evidenziato gli effetti dello stress sul colesterolo. I risultati
di questa ricerca sono apparsi sul numero del novembre 2005 di "Health
Psychology". Il dottor Steptoe e la sua équipe hanno misurato il tasso di
colesterolo di un gruppo di volontari in condizioni normali, dopo di che li hanno
sottoposti a situazioni stressanti. Misurando di nuovo il livello di colesterolo di
ogni partecipante hanno scoperto che era aumentato considerevolmente. Lo
stress fa aumentare il colesterolo.
Per quanto riguarda l'asma, Heather Hatfield di WebMD dichiara: "Quando il
nostro livello di ansia comincia ad aumentare gradualmente... i sintomi dell'asma
possono aggravarsi in modo esponenziale". Lo stress aumenta gli episodi di crisi
asmatica, e lamentarsi aumenta i livelli di stress.
A mio parere, l'attitudine alla lamentela non ci fa stare meglio: nuoce alla
salute. Ma non prendete in considerazione solo la mia opinione. Vorrei terminare
questo capitolo con i commenti di quelli che chiamo i "campioni dei ventun
giorni", ossia persone che hanno completato il programma per liberarsi delle
lamentele.

Joyce Cascio (autrice)

Un anno fa, se qualcuno mi avesse chiesto: "Sei una persona che si lamenta
spesso?", avrei risposto subito: "Oh, no. Io no. Mi lagno molto di rado". Però
sarebbe stato più corretto dire: "Sì, sono una persona che si lamenta, ma sono
assolutamente inconsapevole di quante volte o di quanto spesso lo faccio".
Non mi accorgevo affatto di lamentarmi. In una scala mentale da 0 a 10, un
10 è una persona che brontola senza tregua e uno 0 è una persona che non si
lamenta mai. In base a questa scala, sentivo di non aver bisogno di un gran
miglioramento, perché non mi consideravo una brontolona estrema, un 10.
Ritenevo di essere a un livello intermedio, forse un 5 o, in certe circostanze
particolari, magari un 6. Tuttavia quello che mi sfuggiva del tutto, e quello che la
mia scala mentale non mostrava, era che lamentarsi a qualsiasi livello nuoceva a
me e alle persone con cui mi relazionavo.
Mi accorsi per la prima volta di quanto spesso mi lamentassi nell'estate del
2006. La mia attività lavorativa, che avevo iniziato nel 2004, sembrava destinata
a fallire. Le persone che mi erano più vicine dubitavano che ci fosse una
possibilità di successo. Mi sentivo scoraggiata, depressa e molto negativa, per lo
più verso me stessa. Le mie conversazioni erano tremendamente spossanti
perché gran parte della mia energia era spesa in difesa della mia posizione
lavorativa e a sottolineare i fattori negativi e le avversità che stavo affrontando.
Alla fine, stanca e depressa da tutto quel gran parlare, decisi di prendermi un
periodo di riposo alla ricerca di solitudine e silenzio. Avevo bisogno di
allontanarmi da tutti. Tenevo regolarmente un diario e un giorno, verso la fine di
luglio, cominciai a descrivere il dolore che le mie stesse parole mi causavano.
Mi resi conto che lamentarmi era il modo in cui esprimevo le mie frustrazioni
senza in realtà manifestar le apertamente. Usavo le lamentele anche per crearmi
delle scuse per fare o non fare certe cose. Per la prima volta capii come il
lagnarmi incessantemente stesse in effetti bloccando la mia capacità di prendere
decisioni. Fondamentalmente il mio atteggiamento mi stava impedendo di
comunicare in modo diretto e sincero con tutti, me compresa.
Neanche a farlo apposta, quella stessa settimana, senza che ne sapessi niente,
il reverendo Will Bowen stava distribuendo nella nostra congregazione i
braccialetti IO NON MI LAMENTO, chiedendo a chi li accettava di impegnarsi
in un programma di ventun giorni consecutivi. Quando poche settimane più tardi
tornai a casa, fui entusiasta di venirne a conoscenza e cominciai immediatamente
a portare al polso il mio braccialetto.
Sono felice di dire che ce l'ho fatta a raggiungere l'obiettivo. Oggi continuo a
portare al polso il mio braccialetto come promemoria costante per me stessa, e
per sostenere questo fantastico movimento che sta toccando il cuore di tante
persone.
Che cos'è successo dopo che ho completato il programma?

• La mia vita è più appagante, più felice.
• Le prospettive per la mia attività lavorativa non potrebbero essere migliori.
• I miei rapporti con il prossimo sono più positivi e ci sono meno conflitti
nella mia vita e nelle mie relazioni con gli altri.

Continuo a incappare in eventi e circostanze difficili, ma quel che è cambiato
è il modo in cui reagisco a questi eventi e a queste circostanze, e questo modifica
il risultato finale. Oggi sono più schietta nella comunicazione con me stessa e
con gli altri. Impegnarmi nel programma IO NON MI LAMENTO mi ha
cambiato la vita, e sono certa che la stessa cosa succederà a chiunque è disposto
a fare un tentativo.

Cathy Perry (insegnante)

Il 24 aprile è stato il mio ventunesimo giorno libero da lamentele. Cominciai
a portare al polso il mio braccialetto viola lo scorso luglio, quando il reverendo
Bowen presentò per la prima volta il suo programma. Nel corso della sfida
lasciai perdere e ricominciai da capo diverse volte. Mi ci vollero parecchie
settimane solo per stare un giorno intero senza lamentarmi. Diventò molto più
facile quando mio marito cominciò a portare il braccialetto nell'ottobre del 2006;
affrontare la sfida insieme a un'altra persona serve molto perché ci si può
sostenere e spronare l'un l'altro.
Questo programma mi ha aiutato ad aprire gli occhi sull'atteggiamento di
insofferenza che avevo adottato. È stato proprio un processo di acquisizione di
consapevolezza dei miei pensieri e del mio modo di esprimermi. Non appena mi
resi conto su cosa mi concentravo realmente fui in grado di cambiare il mio
modo di pensare a proposito di me stessa, degli altri e delle situazioni in cui mi
imbattevo ogni giorno. Ho abbandonato la mia litania quotidiana fatta di
espressioni del tipo "sono stufa", "non dormo abbastanza" e "non c'è mai tempo
sufficiente per fare tutto"; ora riesco a dormire serenamente ogni notte e mi sento
bene. È cambiato il mio punto di riferimento emotivo e di conseguenza è
diventato più facile mantenere un atteggiamento positivo. Ho continuato a
sentirmi sempre meglio a mano a mano che l'effetto del pensiero positivo si è
diffuso in ogni campo della mia vita. Adesso dormo di più e ho più energia. Mi
sento più felice e rilassata. Anche i rapporti con i miei famigliari sono migliorati;
nelle nostre conversazioni quotidiane prevalgono i commenti positivi e casa
nostra ora è davvero un'oasi di pace.
Il programma IO NON MI LAMENTO non è facile. Ci vuole tempo e uno
sforzo costante per farcela. Però, una volta che le vostre abitudini e il vostro
modo di pensare iniziano a cambiare, le difficoltà diminuiscono. La chiave di
volta è continuare a provarci.
Per me questa sfida non significava solo smettere di lamentarmi; implicava
trasformare le lamentele in gratitudine per le benedizioni che riceviamo. Oggi
vedo il bene anziché solo il lato negativo delle cose.

Don Perry (ingegnere civile)

Mia moglie ha iniziato il programma IO NON MI LAMENTO nel luglio
dell'anno scorso, e quando me ne ha parlato ho provato curiosità. Avendo notato
gli effetti che stava avendo su di lei, nell'ottobre del 2006 cominciai anch'io a
portare al polso il braccialetto viola. Lo portai per due mesi prima di completare
un giorno intero senza brontolare e il 18 aprile di quest'anno è stato il mio
ventunesimo giorno libero da lamentele.
Nel corso della sfida mi resi conto di quanto l'atteggiamento lagnoso
influenzasse il mio umore e quanto fossi diventato pessimista riguardo a un
sacco di cose. Fui sorpreso di venire a sapere come gli altri reagivano alla mia
negatività. Un giorno, al lavoro, il mio capo mi chiese spiegazioni in merito al
braccialetto. Quando gli dissi del programma fu contento e commentò: "Quando
ti metti a gridare, Don, fai paura!". In seguito riferii questa conversazione a casa
e i miei famigliari concordarono sul fatto che "facevo paura", e che spesso
volevano uscire dalla stanza quando "esplodevo" mentre leggevo il giornale o
guardavo la tv.
Adesso ho capito che gran parte della mia rabbia e delle mie lamentele
avevano origine dalla mia insicurezza riguardo al lavoro. Mi lamentavo con tutte
le persone a portata d'orecchio del gran daffare che avevo o delle scadenze
incombenti, perché temevo di non riuscire a far tutto in tempo. E, se non ce la
facevo, significava che non ero bravo abbastanza per il mio lavoro. Di
conseguenza, mi lamentavo a gran voce perché ero spaventato e arrabbiato. Ma
ora mi rendo conto che ci sarà sempre un mucchio di lavoro da svolgere, e
l'unica cosa che posso fare è dare il meglio di me.
Questa consapevolezza mi ha aiutato ad accettare il fatto che non posso avere
il controllo completo di tutto quel che succede in ufficio o in altri ambiti della
mia vita, e che lamentarsi non migliora la situazione. Ho scoperto che
diminuendo le lamentele diminuiscono anche le preoccupazioni. Lasciar perdere
quell'apprensione ossessiva mi ha aiutato a godermi maggiormente il tempo
trascorso a casa e a essere più rilassato.
Il programma IO NON MI LAMENTO mi ha aiutato a diventare più felice
nei miei rapporti di lavoro e a casa. Il mio atteggiamento negativo faceva
ammalare anche chi mi stava intorno, mentre il mio nuovo modo di relazionarmi
con gli altri è un toccasana per tutti. La felicità che mi ha dato si è diffusa.
Adesso il mio capo mi chiama "Mr Sole Splendente".

Marcia Dale (direttrice dell'ufficio ecclesiale)

Ho infilato al polso il mio braccialetto il 23 luglio di un paio di anni fa, vale
a dire dal primo giorno in cui il reverendo Will Bowen ha proposto a membri
della nostra congregazione di impegnarsi ad abolire del tutto le lamentele per
ventun giorn consecutivi. All'epoca pensai: "Non sarà mica difficile. Io sono una
persona ottimista. Ho una famiglia stupenda e un'attività che adoro: lavoro alla
Christ Church Unity! Ventun giorni? Ce la faccio senza problemi!".
Poi indossai il braccialetto e in effetti presi coscienza di quante affermazioni
negative uscivano dalla mia bocca! Questa consapevolezza mi risultava
sbalorditiva. Sempre più spesso mi fermavo a metà frase e mi chiedevo: "Voglio
davvero concludere questa dichiarazione? Pronunciarla produrrà qualcosa di
positivo?". E sempre più spesso la risposta era: "No". Ho rovinato due
braccialetti a furia di spostarli prima di completare finalmente i miei ventun
giorni consecutivi a metà novembre di quest'anno.
Volutamente continuo a portare il braccialetto (come un nodo al fazzoletto)
per ricordare che le mie parole hanno un enorme potere e che ho la
responsabilità di sceglierle con saggezza. Mi sono accorta che non si tratta di
tenere per sé le proprie emozioni e di dipingersi in faccia un sorriso alla
Pollyanna. Negli ultimi mesi ho dovuto affrontare alcune situazioni pesanti a
livello personale e familiare. Ma prima di lasciare libero sfogo alle parole ci
penso su e mi propongo di realizzare qualcosa di positivo con ciò che dico. È
possibile affrontare situazioni difficili (e persone difficili) senza fare i pessimisti.
E il risultato è sempre decisamente migliore!
Ho trovato che, anche se sono molto occupata nella vita di tutti i giorni, le
cose sembrano scorrere meglio e senza intoppi. Alcune "amiche" con cui di
solito passavo del tempo si sono allontanate da me perché senza nulla di cui
lamentarsi non avevamo più molto da dirci. Ma questo ha aperto la porta ad altre
benedizioni. L'accresciuto senso di pace che provo è straordinario!

Marty Pointer (tecnico informatico)

Nei quattro mesi successivi al conseguimento dell'obiettivo dei ventun giorni
consecutivi senza lamentele credo che il beneficio maggiore che ho notato sia
stato una più facile accettazione delle persone che non condividono i miei stessi
valori e di eventi sui quali non posso avere alcun controllo. Adesso lascio andare
le cose per il loro verso. Mi accorgo di prendere cortesemente le distanze dalle
persone che sembrano trovare piacere nel criticare e nel trovare da ridire, e a
essere attratto da quelle che cercano il lato positivo di ogni cosa. Una splendida
ricompensa sono state diverse nuove amicizie con spiriti affini che non avrei mai
conosciuto se non avessi completato la sfida dei ventun giorni.
Portando a termine il programma ho scoperto in me una bontà d'animo che
non avrei mai creduto di avere. Se da un lato nessuno si comporta sempre in
modo impeccabile (e devo ammettere una ricaduta di tanto in tanto), ho trovato
molto più facile vedere la Luce dentro di me dopo avere imparato a vedere con
maggiore facilità al di là dei difetti altrui e degli inconvenienti.
Mentre sto scrivendo, mia madre, che ha novantatré anni, giace a letto in
attesa di ricongiungersi con i suoi genitori e molti altri cari che l'hanno
preceduta. Pesa meno di quaranta chili e da una settimana non mangia più.
L'infermiera della casa di riposo dice che non sa come mai sia ancora viva,
essendo priva di riserve di energia. È debole e indifesa. Questa situazione è stata
fonte di notevole sofferenza per me e mi sono sforzato di sopprimere le mie
lamentele verso Dio, facendo appello alle tante lezioni che avevo appreso mentre
ero impegnato nel programma. Uno di questi suggerimenti, ricordo, era di
chiedere aiuto. Così ho chiesto aiuto al Signore.
Ieri mi sono svegliato e ho riflettuto sul fatto che Dio aveva concesso a mia
madre un corpo forte e meraviglioso che si è mantenuto in perfetta salute per
novantatré anni. Quel corpo le ha concesso di visitare tanti posti diversi, le ha
permesso di dare alla luce e di nutrire tre figli, di suonare diversi strumenti
musicali, dì realizzare centrini, esprimere e scrivere i propri pensieri e di fare una
miriade dì altre cose. Quel corpo sta ancora cercando di svolgere il suo compito,
anche se cede giorno dopo giorno. Adesso sono in grado di lodare Dio con
somma gratitudine per questo dono meraviglioso, e di accettare con sollievo la
sua volontà di porre fine alla parte terrena della vita di mia madre.
Qualche giorno fa, mentre ero in visita alla casa di riposo in compagnia del
cappellano, ho potuto cogliere di sfuggita come il progetto IO NON MI
LAMENTO può cambiare il mondo. Gli occhi del cappellano si sono fatti lucidi
mentre spiegavo il programma dei ventun giorni a mia madre, e prima ancora
che terminassi lei mi ha chiesto cinquanta braccialetti da distribuire al personale
della casa dì riposo. Mi ha detto che, nonostante il personale svolga con passione
il proprio lavoro al servizio dei moribondi, è costituito pur sempre da esseri
umani, con tutto ciò che questo comporta. Mia madre è convinta che
accetteranno dì buon grado l'opportunità dì servire meglio concentrandosi ancora
di più sul fatto di trasmettere solo energia positiva.
Sei mesi fa non avrei mai immaginato come ventun giorni consecutivi senza
lamentele avrebbero cambiato la mia vita, ma è successo davvero e ora ne hanno
beneficiato anche altre persone intorno a me.

Gary Hild (capo chef)

Un giorno dell'autunno scorso il mio buon amico Will Bowen ha condiviso
con me il suo programma IO NON MI LAMENTO mentre ci stavamo godendo
uno splendido pomeriggio a cavallo nei dintorni di casa sua, a nord di Kansas
City. Fui subito affascinato dall'idea. Nella mia veste di cuoco professionista
sento il dovere di essere critico - nei confronti di me stesso e del mio staff - per
garantire il massimo livello di qualità a clienti dai più variati e sofisticati palati.
In oltre trent'anni ho vissuto la mia vita lavorativa in cucine professionali,
passando gradualmente dal vecchio stile manageriale europeo, rigido e
caratterizzato da una precisa gerarchia, a uno stile più umano basato sul lavoro di
squadra. II nuovo programma di Will si è rivelato un'idea che funziona in modi
che non avrei mai sospettato. Per essere più preciso, dopo essermi "diplomato"
nel corso dì ventun giorni di fila senza lamentarmi, ero molto più consapevole di
come comunicavo con il mio staff di cucina. Adesso scelgo le parole da usare
con maggiore attenzione e penso al mio ruolo più come a quello di un insegnante
con eccellenti capacità culinarie piuttosto che a quello di un capo inflessibile o di
un manager. Questo libera energia, da parte mia come anche da parte degli altri,
da usare per un dialogo più piacevole e libero da stress.
Credo che il processo mentale innescato da IO NON MI LAMENTO vada di
pari passo con la Legge di attrazione. Il mio modo di pensare e di esprimermi è
ora improntato alla gratitudine e alla collaborazione, e lo stesso atteggiamento
ritrovo da parte degli altri nei miei confronti.
Oggi porto ancora il mio braccialetto come promemoria e affronto il carico
di lavoro quotidiano in un'unica maniera: estrema gratitudine espressa nel modo
più positivo possibile. Se mi viene la tentazione di fare una critica, mi fermo e
mi sforzo di presentarla come un suggerimento, così le persone si sentono più
apprezzate e seguono quello che dico. Questo ha cambiato il mio punto di vista
su tutto e mi ha liberato da stress e preoccupazioni: una specie di sottoprodotto
dell'intero processo. Sono molto fortunato ed enormemente grato.

Jack Ring (titolare di un negozio di abbigliamento)

Mi sono sempre detto che sarebbe stato difficile evitare di lamentarsi finché
non ho dato il via al mio tentativo personale di raggiungere l'obiettivo dei ventun
giorni.
Ho un lavoro in proprio; sono titolare di un negozio di abbigliamento
maschile. Considero questa attività un vero piacere. Poiché lavoro a stretto
contatto con i clienti e con i fornitori, conosco parecchie persone. Molti dei miei
fornitori sono gli stilisti che compaiono sulle riviste di moda, alcuni dei quali
sono tra le persone più fantasiose, brillanti ed espansive che si possa sperare di
conoscere.
Tuttavia, come si suol dire, esiste il rovescio della medaglia.
Quando si lavora gomito a gomito quotidianamente, sembra difficile non
trovare difetti gli uni negli altri. Problemi insignificanti possono diventare grossi
come montagne col rischio di incrinare i rapporti e provocare diverbi. Talvolta
tali situazioni diventano talmente logoranti che portano quasi alla depressione.
Credo che siamo tutti concordi nel ritenere che questo stato d'animo sia poco
salutare e possibilmente da evitare.
Credevo di poter inanellare ventun giorni consecutivi senza lamentele e così
misi al polso il braccialetto viola. Ritenevo che - nonostante la mia attività
commerciale, mia moglie, i miei figli, il mio socio, i miei dipendenti, i miei
fornitori, il mio impegno in un'importante campagna promossa dalla mia chiesa,
i miei gatti, il mio cane, i miei amici, i miei clienti, il mio dirigente bancario e
tutti quelli con cui venivo in contatto - avrei potuto avere una chance.
Cominciai a intravedere un filo conduttore nei miei problemi: me! Ogni volta
che mi imbattevo in un ostacolo che mi impediva di ottenere ciò che volevo,
cercavo qualcosa o qualcuno a cui attribuire la colpa. Cominciai anche a notare
quante lamentele sentissi dagli altri in merito a questioni che ritenevo a dir poco
banali e in molti casi determinate proprio dalle stesse persone che poi trovavano
da ridire. Alcuni recriminavano su situazioni talmente al di là del loro controllo
che lamentarsene non aveva proprio alcun senso. A mano a mano che rovinavo i
braccialetti a furia di cambiarli di polso, cominciai a notare quanto mi stancasse
a morte ascoltare le lamentele altrui e ad accorgermi di essere io stesso un
brontolone.
Fui illuminato dal pensiero che le mie lamentele fossero altrettanto irritanti
per gli altri come le loro lo erano per me. Non avevo più alcuna scusa per non
completare i ventun giorni del programma. Quando qualcun altro si lagnava di
qualcosa, iniziai a tenere la bocca chiusa. Quando mi veniva voglia di sfogarmi,
cercavo una soluzione possibile o, se non altro, di accettare la situazione per
quella che era. Il giorno di San Valentino, mentre ero in giro per acquisti con il
mio socio e le nostre rispettive consorti, conclusi finalmente il ventunesimo
giorno del programma.
Uno dei cambiamenti che questa sfida ha portato nella mia vita è avvenuto
quando mi sono accorto che sentivo meno lamentele anche da parte delle altre
persone con cui ero in contatto. Quando parlavano di qualcosa che non andava,
capivo che lo facevano nel tentativo di comprendere gli accadimenti che
avevano luogo nella loro vita. Sono anche diventato meno critico nei confronti
del prossimo. Cercare le soluzioni e l'accettazione mi hanno portato meno stress
a livello emotivo e più dinamismo a casa e al lavoro. I miei rapporti con moglie,
figli e colleghi sono migliorati in proporzione alla diminuzione dei miei
mugugni. Sono una persona più felice.
Restando in silenzio quando qualcun altro inveisce, evito di essere il suo
uditorio e gli permetto di riflettere sui suoi commenti. Possiamo dire che ci
vogliono due persone per criticare, proprio come bisogna essere in due per
litigare. Il braccialetto viola può aiutare perfino chi sceglie di non indossarlo.
Senza uditorio ci ritroviamo più in sintonia con la risoluzione dei problemi
contingenti e più disposti ad andare avanti nella vita.
Tacere le nostre lamentele può essere paragonato al silenzio della
meditazione: è più facile sentire Dio che ci parla.

Rick Silvey (docente universitario)

Se quando mi imbarcai in questa avventura qualcuno mi avesse detto che ci
sarebbe voluto così tanto tempo per completare il programma, non ci avrei mai
creduto. Perché, vedete, non mi sono mai considerato un pettegolo o un
piagnone; magari sarcastico, ma decisamente non un brontolone. Quando però
concentrai l'attenzione sul mio comportamento, mi resi conto che il mostro della
lamentela avrebbe alzato la sua orrenda testa abbastanza spesso da evitarmi di
completare con pieno successo il programma.
Perciò, armato di pratiche spirituali di cui avevo fatto esperienza strada
facendo, mi predisposi a sradicare completamente dalla mia vita l'abitudine alle
lamentele. Tre volte al giorno ringraziavo il Signore per il programma IO NON
MI LAMENTO e immaginavo in cosa si sarebbe tradotta questa mia nuova
esperienza. Usavo anche citazioni e affermazioni positive che mi ispirassero nel
corso della giornata. Il mio obiettivo era trasferire nel conscio le caratteristiche
indesiderabili che si erano radicate nell'inconscio, in modo da poter iniziare il
processo di rimozione delle stesse. Credo che questo sia una parte integrante del
cambiamento. Finché non divenni consapevole di possedere e di esibire queste
caratteristiche, non potei cominciare a sradicarle. Lentamente, ma con sempre
più sicurezza, fui in grado di abbandonare lamentele e pettegolezzi con maggiore
agio.
Questo processo di liberazione ha rafforzato la mia prospettiva ottimistica
della vita. Sono più consapevole di quanti pensieri negativi ostacolassero la mia
capacità di essere in pace con me stesso e con gli altri. Sono stato testimone di
un miglioramento nei miei rapporti con la mia compagna, con i miei famigliari,
con i miei colleghi e con i miei studenti. Sono più paziente e sento meno urgenza
in ogni cosa che faccio. Mentre i politici continuano a fornirmi occasioni di
crescita spirituale, mi sento più rilassato ed emotivamente distaccato dal loro
comportamento. Non fraintendetemi, sono ancora ben saldo nelle mie
convinzioni, ma sono in grado di comunicare le mie opinioni in modo più
elegante.
Ho deciso di prolungare l'esercizio di altri ventun giorni. Questa volta, oltre
ad astenermi dalle lamentele, dai pettegolezzi e dalle battute sarcastiche, mi
concentrerò sull'eliminazione di dubbi e insicurezze. In futuro forse continuerò
con altri aspetti deleteri e controproducenti del mio carattere, così da riuscire a
conformarmi davvero allo spirito di Cristo in tutto quello che penso, dico e
faccio.
Questa esperienza per me si riassume meglio nella seguente citazione di
George Bernard Shaw: "La vita non è una piccola candela, per me. È una sorta di
torcia splendente che ho avuto in consegna per un momento, e voglio che bruci
quanto più radiosamente possibile, prima di passarla alle future generazioni".
Diventando noi stessi persone capaci di non lamentarsi, alzeremo l'asticella
stabilendo un nuovo livello di qualità per le generazioni future.

Tom Alyea (consulente commerciale e principale coordinatore del
movimento A Complaint Free World)

Da fan della vecchia serie di telefilm "Lucy e io", mi piaceva quando Ricky
Ricardo varcava ogni giorno la soglia di casa e diceva a gran voce: "Ciao, Lucy,
sono a casa". Durante i miei primi anni di matrimonio facevo lo stesso: "Ciao,
Mischa, sono a casa". Ma a un certo punto della mia vita divenne molto più
facile dire: "Ciao, Mischa, sono a casa e mi fa male la testa (o la schiena o i piedi
o lo stomaco)".
Lamentarmi era diventato uno stile di vita, un modo per attirare l'attenzione,
per essere più convincente, un modo anche solo per iniziare una conversazione.
Mi sono sempre considerato una persona felice e positiva. È stato così per anni
fino a una domenica di luglio del 2006 quando tornai a casa dalla chiesa e parlai
con mia moglie del programma di ventun giorni consecutivi per smettere di
lamentarsi. Ero entusiasta dell'idea e dissi che avevo intenzione di essere il
primo della congregazione a completare i ventun giorni. Mischa si limitò a
sorridere e osservò: "Ventun giorni? Mi piacerebbe riuscire a vederti anche solo
ventun minuti di fila senza brontolare". E circa sei minuti più tardi mi resi conto
che quella sarebbe stata la sfida di una vita intera. Mia moglie e io eravamo
seduti sul divano e all'improvviso dissi: "Uff, fuori fa un caldo bestiale e
sicuramente mi farà venire mal di testa". Mia moglie mi guardò, poi guardò il
mio braccialetto (che cambiai di polso seduta stante, e per due volte, perché mi
ero lamentato due volte in una sola frase). La verità è che il silenzio in quei sei
minuti mi stava facendo ammattire e dovevo assolutamente iniziare una
conversazione con una frase qualunque. Volevo attenzione e avevo pensato che
quello fosse il modo migliore per ottenerla.
Così quella fu la mia prima sfida: imparare come avviare una conversazione
senza partire da una lamentela. Una volta impegnatomi su quello e risolta la
cosa, spostai la mira altrove. Le camere dei ragazzi sono sempre sottosopra...
Dite un po': lamentarsi del disordine che regna nelle camere dei vostri figli ha
mai fatto sì che fossero pulite e sistemate? Il brutto tempo... che cosa ci
possiamo fare? E così via. L'elenco andò avanti un passo dopo l'altro mentre il
numero di lamentele abituali calava proporzionalmente alla mia comprensione di
quanto fossero negativi quei pensieri, sia per me sia per gli altri.
Dopo cinque mesi trascorsi a impegnarmi nel programma, finalmente arrivai
alla meta agognata! Soffrivo meno di mal di testa? Sì, perché tanto per
cominciare mi ero accorto di non esserne poi così afflitto. Quello che vedo ora è
un corpo sano, che ogni volta si sforza di guarire da eventuali fastidi o piccoli
disturbi. Sono più felice di prima? Potete scommetterci! Cenare con i figli è
molto più bello quando ci si lamenta di meno delle loro stanze in disordine e si
parla di più delle loro speranze e dei loro sogni. Sono contento di aver resistito e
di avercela fatta per ventun giorni di fila? A parte un matrimonio fantastico e tre
figli che amo e che adoro, questa è stata la cosa migliore che mi sia capitata nella
vita.

Catherine Bohm (infermiera)

Quando ricevetti il braccialetto scoprii ben presto che passare un giorno
intero senza lamentarsi era molto difficile. Il sabato e la domenica andava bene;
poi arrivava il lunedì e un altro giorno di lavoro. Anche se la mia attività mi
piace moltissimo, come molte altre presenta problemi di tipo amministrativo e
organizzativo.
Dopo cinque mesi di tentativi vidi alcune persone ricevere un "certificato di
felicità" e mi decisi sul serio. Chiesi a tutte le mie colleghe di darmi una mano ad
astenermi da critiche e lamentele, e a impedirmi di partecipare ai loro
pettegolezzi. Furono tutte disponibili e bravissime; se davano inizio a una
conversazione negativa, mi toccavo col dito il braccialetto dandogli una tiratina e
si cambiava argomento.
Le cose stavano procedendo bene verso l'obiettivo delle due settimane di fila.
Dopo una giornata particolarmente difficile, uno dei medici mi fece davvero
irritare. Mi resi conto che in effetti non avevo informato né coinvolto i dottori
riguardo al mio piccolo piano. Il giorno seguente tutte le infermiere diplomate
dovettero spostarsi in auto da un capo all'altro della città per dare una mano a
trasferire l'intero archivio di referti medici dal vecchio al nuovo sistema
computerizzato, senza che nessuno ci avesse istruite su come fare. Era un
compito gravoso e difficile, e dopo che terminammo andai a pranzo con due
colleghe e ci lamentammo senza posa per due ore consecutive.
Quel pranzo mi obbligò a ricominciare tutto... dall'inizio. Al tentativo
successivo, quando ormai avevo raggiunto il ventesimo giorno, incappai in
un'infermiera a cui non piacevo per niente e che non mi parlava quando eravamo
di turno insieme. Poi arrivò lo stesso dottore che mi aveva fatto uscire dai
gangheri il quattordicesimo giorno del primo tentativo. Mi mancava un giorno
soltanto per raggiungere l'obiettivo e mi trovai faccia a faccia con i miei più
acerrimi avversari. Mi misi a ridere e dissi tra me: "Signore, tu sì che hai un gran
senso dell'umorismo! Comunque accetto". Non solo ce la feci a resistere senza
lamentarmi una sola volta, ma quello fu uno dei giorni più belli che avessi mai
trascorso in ospedale.

Patricia Platt (insegnante)

Ho iniziato il mio tentativo di ventun giorni pensando: "Sarà facile! Io mi
lamento poco... e poi vivo da sola". Be', mi ci sono voluti quasi quattro mesi per
raggiungere la meta!
Quando ero adolescente mio padre e mio zio abusarono sessualmente di me.
Nel tentativo di superare il trauma delle violenze carnali ricorsi all'alcol, alla
droga e cominciai a frequentare gente poco raccomandabile. Più di diciotto anni
fa mi disintossicai completamente e cominciai a superare il trauma della violenza
subita da ragazza. Però continuavo a lottare con la scarsa autostima e la
depressione. Non sapevo come evitare di pensare in modo negativo. Avevo
tentato con le affermazioni solenni, la psicanalisi e i manuali che insegnano a
contare sulle proprie forze. La gente mi diceva: "Smettila di pensare in quel
modo", ma non sapevo come fare. Impegnarmi per una vita scevra da lamentele
finalmente mi ha liberata!
All'inizio del programma dovevo spostare di polso il braccialetto molte volte
al giorno. Poi cominciai a farcela per un paio di giorni, quindi arrivai a sette e
infine quasi a quattordici. Mi bloccai quando un articolo sul movimento fu
pubblicato sul nostro giornale locale. Molti dei miei studenti mi riferirono che i
loro genitori avevano visto il mio nome sul giornale. Lessi in classe l'articolo e
anche loro vollero sperimentare il programma. Be', avere venticinque studenti
del quarto anno che mi tenevano d'occhio fu un grande stimolo!
Una delle difficoltà che incontrai durante questo processo di miglioramento
personale era dovuto alla mia accresciuta consapevolezza della quantità di
negatività espressa dagli altri. Provavo rabbia ed ero critica nei loro confronti. A
volte avrei voluto nascondermi, ma non era sempre possibile, né mi avrebbe
aiutato a risolvere il problema. Perciò imparai a essere un'ascoltatrice migliore.
Mi sforzavo di leggere tra le righe del messaggio che l'altra persona stava
inviando. Per esempio, quando un collega si lamentava della sua classe, anziché
aggregarmi alle lamentele o starmene seduta in silenzio, facevo commenti del
tipo: "Mi sembra una situazione veramente frustrante. Quando mi succedevano
cose del genere ecco come cercavo di risolvere il problema". Mentre continuavo
a impegnarmi nel programma IO NON MI LAMENTO, cominciai ad
accorgermi che la qualità dei miei rapporti con gli altri migliorava.
Ma fino a quel momento il dono più grande che ho ricevuto è stata la
liberazione dalla depressione! La gioia e la soddisfazione che sento
quotidianamente mi hanno dato la pace che cercavo e per cui pregavo fin da
quando ero bambina. Certo, ci sono ancora momenti in cui mi sento frustrata, ma
anziché lamentarmi ringrazio Dio per le opportunità che scaturiscono comunque
dalla situazione. E dato che ho scelto di non piagnucolare, ricordo a me stessa la
mia definizione preferita di amore: "accettazione incondizionata e ricerca del
bene".

C'è qualche commento dei cosiddetti "campioni" che vi ha colpito? Avete
trovato nelle loro storie un cambiamento o un miglioramento che vi piacerebbe
vedere nella vostra vita? Potete rendere reale tutto ciò eliminando
sistematicamente dal quotidiano le lamentele dilaganti. Spostando il vostro
braccialetto da un polso all'altro più e più volte senza stancarvi, alla fine avrete
successo.

Conclusione

Uva uvam videndo varia fit

Lamentarsi non è da confondersi con l'atto di informare qualcuno di un
errore o di una carenza in modo da correggerli. E astenersi dalle lamentele non
implica necessariamente rassegnarsi a qualcosa di brutto. Non c'è alcun male nel
dire al cameriere che la vostra minestra è fredda e che ha bisogno di essere
riscaldata, se vi attenete ai fatti, che sono sempre neutrali. "Come osa servirmi
una minestra fredda!". Questo è lamentarsi. (Eckhart Tolle, Una nuova terra).

La sintesi migliore di questo libro si trova nella citazione di Eckhart Tolle.
Rivolgere un appunto direttamente a qualcuno al fine di migliorare una
situazione obiettivamente carente non è lamentarsi. Redarguire qualcuno o
deplorare una situazione con voi stessi o con qualcun altro è lamentarsi. E
lamentandovi attirerete su di voi altri episodi sgradevoli: esattamente il contrario
di ciò che volevate.
Se aggredite verbalmente un cameriere per una minestra fredda, può darsi
che torni con un piatto di minestra calda, ma chissà cosa potrebbe avere aggiunto
nella vostra fondina, spinto dalla rabbia: forse è meglio non saperlo. Quando ci
si lamenta con veemenza con qualcuno o lo si critica apertamente, questi si sente
attaccato e la sua prima reazione spesso è quella di difendersi, anche passando al
contrattacco. Anche nel caso in cui ciò non avvenga, lagnandovi avete immesso
nell'Universo vibrazioni del vostro essere vittima, e così facendo avete espresso
inconsapevolmente un invito ad altre persecuzioni.
Lagnarsi è spesso un modo per farsi notare. Tutti desiderano essere al centro
dell'attenzione altrui, ma le persone che si lamentano molto talvolta cercano di
attirare attenzione a causa di una scarsa autostima. Si lamentano con chi hanno
vicino per mostrare di essere raffinati e di possedere gusti da intenditore,
specialmente quando si sentono insicuri in un particolare ambito. Possono anche
lamentarsi per legittimare limiti che si sono imposti da soli, per giustificare il
fatto che non riescono a sforzarsi di crescere e di migliorare.
Una lamentela può essere una richiesta di attenzione, ma è anche un segnale
lanciato all'Universo che qualcosa non va. L'Universo, essendo sì generoso ma
anche neutrale, vi ricompensa con altro "male". Quando qualcuno si lamenta di
qualcosa, sta inconsapevolmente facendo richiesta di ricevere altro di cui
lamentarsi, e la spirale negativa si autoalimenta.
L'unico metodo per uscirne è smettere di lamentarsi ed esprimere invece
gratitudine verso ciò che di buono abbiamo ricevuto. Nella vita di ognuno ci
sono molte, moltissime cose per cui essere riconoscenti. Per ricordarmelo, non
appena mi sveglio ogni mattina scrivo cinque cose per le quali provo gratitudine.
Ho scoperto che, se invece di pensarle semplicemente le scrivo su un foglio, il
gesto mi predispone alla gratitudine per tutto il giorno.
Ciò che esprimete a parole lo confermate nei fatti. Parlate di cose tristi e
negative e ve ne capiteranno. Parlate di cose di cui siete riconoscenti e le
attirerete. Vi esprimete secondo un modello abituale che dimostra ciò che
pensate, e questo crea la vostra realtà quotidiana. Che ve ne rendiate conto o no,
ogni giorno stabilite una rotta e poi la seguite. I risultati possono essere piacevoli
o dolorosi.
Quando ero bambino, una delle storie che mia madre era solita raccontarmi
riguardava un panettiere, uno straniero e un negoziante taccagno. In questa
storia, una delle mie preferite da bambino, lo straniero arriva in un paesello in
cerca di cibo e di un posto dove pernottare. Di fronte alle richieste di aiuto, il
negoziante taccagno e sua moglie scacciano lo sconosciuto.
Lo straniero entra allora nella panetteria. Il fornaio non ha più un soldo, è
molto povero e ha quasi finito le scorte di farina. Nonostante ciò invita lo
sconosciuto a entrare e divide con lui un pasto frugale. Poi gli offre il proprio
letto per dormire. Il mattino dopo lo straniero ringrazia il fornaio e gli dice: "La
prima cosa che farai stamattina continuerà per tutto il giorno".
Il panettiere non comprende il significato di quella frase strana. Nondimeno
decide di cuocere per il suo ospite una piccola torta per il viaggio. Controllando
le ultime scorte di cui dispone, trova due uova, un po' di farina bianca, zucchero
e spezie. Comincia a preparare la torta. Con sua grande sorpresa, più ingredienti
usa, più le scorte sembrano moltiplicarsi. Quando prende le due uova rimaste,
nota che al loro posto ce ne sono altre quattro. Rovescia il sacco per scuotere
fuori l'ultima farina rimasta e, quando lo depone di nuovo per terra, il sacco è
pieno. Felicissimo di questa fortuna, il panettiere si mette d'impegno a preparare
ogni specie di ghiottoneria e ben presto la piazza del paese si riempie del
profumo delizioso di pane, pasticcini, biscotti e torte. Gli acquirenti fanno la fila
per comprare le sue prelibatezze.
Quella sera, stanco, felice e con il registratore di cassa traboccante di soldi, il
fornaio viene avvicinato dal negoziante taccagno. "Come hai fatto ad avere così
tanti clienti, oggi?", gli chiede l'avaro."A quanto pare, tutti in paese hanno
comprato dolci o pane da te... alcuni perfino più volte". Il panettiere gli racconta
la storia dello straniero che aveva accolto in casa e anche della strana predizione
fattagli la mattina.
Il negoziante e sua moglie escono di corsa dalla panetteria e imboccano la
strada che esce dal paese. Corrono corrono finché finalmente raggiungono
l'uomo a cui avevano rifiutato soccorso la sera prima. "Gentile signore", dicono
"la preghiamo di perdonarci se ieri sera siamo stati sgarbati. Dovevamo essere
usciti di senno per non aiutarla. Per piacere, torni in paese con noi e venga a casa
nostra, e ci faccia l'onore di accettare la nostra ospitalità". Senza dire una parola,
lo straniero si unisce a loro e torna in paese.
Quando arrivano a casa del negoziante taccagno, al viaggiatore viene servita
una cena sontuosa con ottimo vino e dei dolci prelibati per dessert. Gli viene
data una stanza lussuosa, con un soffice letto di piume d'oca. La mattina dopo,
mentre lo sconosciuto sta per partire, il negoziante e sua moglie non resistono
più per l'eccitazione, in attesa che l'uomo pronunci le sue parole magiche a loro
beneficio. Infatti lo straniero ringrazia i padroni di casa e dice: "La prima cosa
che farete stamattina continuerà per tutto il giorno".
Spingendo frettolosamente lo straniero fuori dalla porta, il negoziante e sua
moglie si precipitano al negozio. Aspettandosi un gran numero di acquirenti, il
negoziante prende la scopa e comincia a spazzare il pavimento per prepararsi
all'assalto della clientela. Volendo essere certi di avere abbastanza moneta da
dare di resto, la moglie comincia a contare gli spiccioli che ci sono in cassa. Lui
ramazza e lei conta. Lei conta e lui ramazza. Sono talmente presi da queste
faccende che non riescono a smettere di spazzare e di contare i soldi finché il
giorno non volge al termine.
Sia il fornaio sia il negoziante taccagno avevano ricevuto la stessa
predizione. Il panettiere comincia la giornata in modo positivo e generoso e
riceve grande abbondanza. Il negoziante avaro la comincia in modo negativo ed
egoistico e non ne ricava niente. La predizione è neutrale. La vostra capacità di
creare la vita che desiderate è neutrale. Usatela. Raccoglierete ciò che
seminerete.
E ricordate che, quando qualcuno vi critica aspramente, lo fa perché spinto
dalle proprie paure e insicurezze personali. Le critiche provengono da quella che
percepiscono come una posizione debole, e amplificano le loro pungenti accuse
come metodo per apparire grandi e forti quando in realtà sono piccoli e deboli.
Proiettano i loro timori e il loro disagio sugli altri. Tentano di ferire perché sono
sofferenti.
Se vogliamo migliorare il mondo, il primo passo deve consistere nella cura
della disarmonia che alberga nella nostra anima. Modificare il linguaggio alla
fine modifica i pensieri, i quali, a loro volta, modificheranno il nostro mondo.
Quando smettiamo definitivamente di lamentarci, rimuoviamo lo sfogo primario
della nostra negatività, cambiamo modo di pensare e diventiamo più felici. Non
potendo esprimere i pensieri distruttivi, la mente cessa di produrli. Quando
smettiamo di esternare verbalmente il malcontento, la mente comincia a trovare
spazio per la felicità e la gratitudine. La nostra fabbrica di pensieri è in
produzione a ciclo continuo, e in assenza di richieste di negatività si attrezza di
nuovo e produce pensieri felici.
Il mondo esteriore è una proiezione del mondo interiore. I rapporti con gli
altri dipendono dal rapporto che abbiamo con noi stessi. Non potete curare gli
altri se prima non curate voi stessi. Tutto comincia da voi. In Mt 7,3 Gesù dice:
"Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi
della trave che hai nel tuo occhio?". Se intorno a voi notate una grande quantità
di persone che si lamentano in continuazione, forse dovreste controllare che non
ci siano travi nel vostro occhio.
Al completamento dei ventun giorni consecutivi liberi da lamentele siete
cambiati. Da persone assuefatte ai piagnistei, dopo anni di dolore siete ora in
convalescenza. Gli alcolisti dicono che, a prescindere da quanto a lungo sono
stati sobri, se passano troppo tempo vicino agli alcolici finiranno per bere. Se la
gente intorno a voi si lamenta, provate ad analizzarvi interiormente per vedere se
siete stati voi ad attirare queste persone. Se quando siete diventati liberi da
lamentele gli altri insistono a mugugnare, evitateli. Se questa gente lavora con
voi, cambiate ufficio, oppure cambiate lavoro. L'Universo vi sosterrà lungo la
nuova strada positiva che avete intrapreso. Se si tratta di amici, forse vi
accorgerete che siete evoluti oltre il rapporto che avevate finora con loro. Perfino
se sono vostri parenti potrebbe essere meglio limitare le vostre frequentazioni
con loro.
Non permettete ad alcuna persona negativa di derubarvi della vita che
cercate. Occorrono ventun giorni per consolidare un'abitudine. Potete perdere
l'abitudine di non lamentarvi con ventun giorni del vostro vecchio
comportamento, perciò fate attenzione a chi vi circonda, perché potreste essere
tentati di seguirne l'esempio. Se non prestate attenzione, affonderete di nuovo nel
pantano della negatività. E ricordate che prendere le distanze da una persona
lagnosa potrebbe rappresentare proprio la molla che la spinge a esaminare la sua
vita e a decidere di crescere.
Il modo migliore per essere d'aiuto agli altri è quello di costruirsi una vita
scevra da lamentele. Così facendo donerete amore alle persone a voi vicine. La
definizione migliore di "amore" che ho trovato in vita mia appartiene al dottor
Denis Waitley, uno dei più apprezzati conferenzieri e consulenti americani per il
potenziamento delle prestazioni umane: "L'amore è accettazione incondizionata
e ricerca del bene". Quando accettiamo gli altri e le situazioni e vi cerchiamo il
bene, proveremo sempre maggiore bontà, perché il punto focale su cui
concentriamo l'attenzione la attira nella nostra realtà. Questo significa che non
cerchiamo di obbligare gli altri a smettere di lamentarsi. Le nostre vibrazioni
positive attireranno verso di noi persone felici, e chi non è così si sentirà a
disagio in nostra compagnia e si allontanerà.
Usare vecchie espressioni in modo nuovo è essenziale per vivere una vita
sgombra da lamentele. Quando capita qualcosa di buono, indipendentemente da
quanto sia importante, ditevi: "Ma certo!", consapevoli dell'effetto "calamita"
sulle benedizioni del cielo. Potete anche semplicemente fare un tacito sorriso
d'intesa a voi stessi. Avete trovato un posto libero nel parcheggio proprio davanti
all'entrata del negozio in un giorno di pioggia scrosciante? Esclamate: "Che
fortuna!". Lì per lì vi dimenticate di mettere una moneta nel parchimetro e
quando tornate non trovate nessuna multa sotto il tergicristallo? Esclamate: "Mi
capita sempre!". Se qualcuno vi rimbrotta a muso duro riguardo a qualcosa,
ditegli: "Grazie per avermi insegnato l'umiltà". Forse all'inizio potrà sembrarvi
un po' sciocco, ma ogni volta che usate parole o frasi positive affrontando le
vostre esperienze quotidiane, state costruendo con dei solidi mattoni le
fondamenta della gioia e della prosperità.
Diverse persone hanno usato la definizione "moda passeggera" parlando dei
braccialetti viola IO NON MI LAMENTO. Nel suo libro How to Create Your
Own Fad, Ken Hakuta fornisce la seguente definizione di "moda passeggera":
"Qualcosa che oggi vogliono tutti e che nessuno vuole domani". Se così è, allora
i braccialetti viola potrebbero essere una moda passeggera. Di certo, a giudicare
dalle migliaia di richieste che riceviamo ogni giorno, oggi sembra che tutti lo
vogliano. Quando qualcuno mi chiede quando ritengo che le richieste
raggiungeranno il limite massimo, di solito rispondo: "Non appena arriveremo a
sei miliardi". Vale a dire un braccialetto per ogni essere umano sulla Terra. In
realtà, probabilmente non arriveremo mai a una cifra del genere. Un giorno o
l'altro i braccialetti viola forse saranno considerati una banalità risalente al primo
decennio del XXI secolo. Ma diventare libero da lamentele non può essere una
moda passeggera. È un cambiamento radicale nella coscienza umana che
resisterà nel tempo. Il genio è uscito dalla lampada e il mondo non sarà più lo
stesso grazie a questa idea semplice eppure profonda.
Attualmente stiamo lavorando con alcuni psicologi dell'infanzia per stendere
programmi scolastici IO NON MI LAMENTO per bambini. Stiamo lavorando a
modelli relazionali IO NON MI LAMENTO, postazioni di lavoro IO NON MI
LAMENTO, chiese IO NON MI LAMENTO e molte altre iniziative. Il nostro
attuale obiettivo è di incoraggiare i capi di Stato in ogni parte del mondo a
proclamare un giorno "libero da lamentele" che abbia cadenza annuale. Non un
giorno festivo, ma una giornata come per esempio quella senza fumo che è stata
istituita negli Stati Uniti. Una giornata intera in cui la gente possa gustare cosa
significhi lasciarsi alle spalle le lamentele, le critiche e i pettegolezzi. Negli Stati
Uniti e in Canada ci si sta muovendo a livello istituzionale per far cadere questa
data alla vigilia del Giorno del Ringraziamento. Sarebbe più che logico e
opportuno: si trascorrerebbe un giorno senza lamentele e si passerebbe
direttamente il giorno dopo a una giornata di gratitudine. L'opposto della
lamentela è la gratitudine. Se siete convinti e vi sentite spinti a realizzare questo
progetto, mettetevi in contatto con un senatore, un deputato o con il presidente
della vostra Regione, con il presidente della Repubblica o con un'altra alta carica
dello Stato in cui vivete e proponete l'iniziativa. Alziamo il livello di
consapevolezza del potere di trasformazione che questo programma ha
potenzialmente in sé, in modo che la gente concentri l'incredibile energia
collettiva che ne può scaturire sulla soluzione dei problemi piuttosto che sui
problemi stessi.
Nel romanzo Un volo di colombe di Larry McMurtry uno dei personaggi
principali, un cowboy pseudointellettuale che si chiama Gus McCrae, incide un
motto in latino in calce all'insegna di legno della sua attività. Il motto recita: Uva
uvam vivendo varia fit. McMurtry non spiega la massima e in effetti la scrive in
modo errato, presumo per dimostrare la scarsa dimestichezza del cowboy con il
latino. L'ortografia esatta è: Uva uvam videndo varia fit. La frase significa che
un acino d'uva cambia colore quando ne vede un altro. In altre parole: ogni
chicco d'uva ne fa maturare un altro.
In una vigna un acino d'uva comincia a maturare prima di tutti e così facendo
emette una vibrazione, un enzima, una fragranza o un campo energetico di un
certo tipo che viene intercettato da altri acini e grappoli. Quest'unico acino
segnala agli altri che è tempo di cambiare, di maturare. Quando diverrete
persone che cercano solo i sentimenti migliori e più elevati per voi stessi e per
gli altri, sia nei pensieri sia nelle parole, semplicemente per il fatto di essere così
segnalerete a chi vi sta vicino che è ora di cambiare. Anche senza volerlo
aumenterete il livello di consapevolezza nel prossimo.
Il sincronismo (o risonanza) è un principio possente. Credo che sia per
questo che agli esseri umani piace abbracciarsi. Quando abbracciamo un'altra
persona, anche se solo per un breve istante, i nostri cuori entrano in sincronia e
ci ricordiamo che su questo pianeta c'è una sola vita. Una vita che condividiamo
tutti.
Se non scegliamo come vivere, vivremo per inerzia o per "abbandono",
facendoci semplicemente trascinare dagli altri. Spesso seguiamo la massa senza
nemmeno accorgercene. Da giovane mio padre dirigeva un motel di proprietà di
mio nonno. Il motel sorgeva di fronte al parcheggio di un rivenditore di auto
usate, e mio padre fece un accordo con il proprietario del salone. Nelle sere di
magra per il motel mio padre attraversava la strada e spostava una decina di auto
dal piazzale della concessionaria al parcheggio del motel. In breve tempo il
motel si riempiva di clienti. La gente che passava davanti al motel pensava che,
se il parcheggio era vuoto, il motel non doveva essere un granché. Al contrario,
se il parcheggio del motel era pieno di macchine, gli automobilisti di passaggio
presumevano che fosse un ottimo posto in cui fare tappa. Seguiamo gli altri. E
ora siete diventati persone che guidano il mondo verso la pace e la
comprensione.
Stanotte sono stato svegliato verso le tre dai coyote che ululavano. Tutto è
cominciato con l'uggiolio di un cucciolo e in pochi minuti tutto il branco era
stato contagiato. In breve tempo i nostri due cani, Gibson e Magic, si sono messi
a loro volta a ululare, unendosi al coro. Ben presto i cani dei nostri vicini di casa
si sono aggiunti e il coro si è diffuso per tutta la valle, in ogni direzione, a mano
a mano che i cani delle varie fattorie si aggiungevano agli altri. Come un
sassolino lanciato in uno stagno, i coyote avevano prodotto un'increspatura che si
era diffusa in cerchi concentrici. Dopo un po', sentivo ululare cani e coyote
ovunque chissà fin dove, anche a chilometri di distanza, e tutto aveva avuto
inizio da un solo cucciolo di coyote.
Chi sei produce un effetto sul mondo in cui vivi. In passato il tuo effetto
forse può essere stato negativo a causa della tua propensione a lamentarti
continuamente. Adesso però stai sprigionando ottimismo e stai costruendo un
mondo migliore per tutti. Sei un'increspatura nell'oceano immenso dell'umanità
che si propaga in tutto il mondo.
Sei una benedizione.



1)
Robin M. Kowalski, Complaints and Complaining:
Functions, Antecedents, and Consequences in
"Psycological Bulletin", 1996, 119, p. 180. ↵
2)
Ibid., p. 186. ↵
3)
Robin M. Kowalski, Complaints and Complaining:
Functions, Antecedents, and Consequences in
"Psycological Bulletin", 1996, 119, p. 181. ↵
4)
Robin M. Kowalski, Complaints and Complaining:
Functions, Antecedents, and Consequences in
"Psycological Bulletin", 1996, 119, p. 181. ↵



Created with Writer2ePub
by Luca Calcinai

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