Dichiarazione di Indipendenza Thomas Jefferson definì con chiarezza le
sfide che le colonie stavano affrontando sotto il governo dell'impero britannico. Tuttavia il suo documento, firmato il 4 luglio 1776, non era una litania di recriminazioni. Se così fosse stato, probabilmente non avrebbe colpito l'immaginazione del mondo, attirato il sostegno di altre nazioni e unificato le colonie. Il primo paragrafo della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America recita: Quando nel corso degli umani eventi si rende necessario a un popolo sciogliere i vincoli politici che lo avevano legato a un altro e assumere tra le altre potenze della Terra quel posto distinto ed eguale cui ha diritto per Legge naturale e divina... Immaginate per un momento di essere un cittadino di una di quelle tredici colonie e cercate di assimilare il seguente concetto: "... quel posto distinto ed eguale cui ha diritto per Legge naturale e divina". All'epoca in cui Thomas Jefferson scriveva queste parole l'Inghilterra era la più grande potenza del mondo, e Jefferson dichiarava senza giri di parole che queste giovani e differenti colonie erano "eguali" a quel colosso politico. Potete sicuramente immaginare lo sbigottimento collettivo che questo concetto ispirò tra i cittadini delle colonie, seguito dal conseguente crescendo di orgoglio ed entusiasmo. Come potevano anche solo aspirare a un ideale così elevato come quello di essere pari all'Inghilterra? Perché ne avevano "diritto per Legge naturale e divina". Questo non era affatto lamentarsi: era una visione avvincente per un futuro sfolgorante. Era concentrarsi al di là del problema. Rosa Parks non si sedette in fondo all'autobus a lagnarsi con tutti sull'ingiustizia di essere costretti a mettersi là dietro. Rosa Parks si sedette al posto che le spettava, con tutti gli altri, a prescindere dal colore della pelle. Non solo vide al di là del problema: visse in prima persona la soluzione. Oggi ho in serbo un sogno per tutti gli utopisti. Nel corso di gran parte della mia vita ricordo di aver sentito notizie di "colloqui di pace" sul Medio Oriente. Quando ascolto quali sono gli argomenti di discussione agli ennesimi "colloqui di pace" ho sempre la netta impressione che siano più "colloqui di guerra" oppure colloqui del tipo "se smetti di fare questo, io smetto di fare quello". I presidenti degli Stati Uniti hanno invitato più volte i leader del Medio Oriente a un tavolo comune nel tentativo di far loro accantonare ciò che li rende diversi e farli così riconciliare. Ma il punto focale di questi colloqui sono state le "differenze", e di conseguenza il loro successo è stato, a parer mio, minimo. E se invece di partecipare a questi "colloqui di pace" i leader delle nazioni in conflitto si riunissero per parlare di come cambierebbero gli scenari ponendo fine a ogni disaccordo? E se si riunissero per costruire un sogno collettivo di pacifica coesistenza e di comprensione reciproca? Quando avverranno questi veri "colloqui di pace", le regole saranno semplici. Anziché discutere di quello che sta avvenendo attualmente o di cosa è successo in passato, l'attenzione resterà concentrata esclusivamente su cosa potrebbe accadere quando non esisterà più acrimonia tra le parti in causa. Potrebbero chiedersi: "Come sarà, cosa si proverà, che effetto farà, che profumo ci sarà nell'aria quando tra noi ci sarà la pace? Come sarà quando la guerra e l'inimicizia tra noi saranno un ricordo così lontano che saremo costretti a consultare dei libri di storia perché quell'epoca ci sembrerà ormai inverosimile?". Il punto focale dei colloqui sarà unicamente l'esito desiderato: la pace. Soltanto questo. Al tavolo delle trattative non si pronuncerà mai la parola "come". Si converrà che la domanda "Com'è possibile?" dovrà essere messa al bando fin da principio. Nel momento in cui le due parti in causa tentano di tracciare la strada per una coesistenza pacifica, le domande sui confini geografici, le rivendicazioni, il disarmo, la limitazione delle armi, le differenze religiose e culturali riportano tutta l'attenzione sulle questioni irrisolte. E quel nodo li tiene incatenati ai problemi. Una volta Abramo Lincoln disse: "Il modo migliore per neutralizzare un nemico è quello di farselo amico". Il primo gradino per una transizione di questo tipo comincia nella nostra stessa mente. E le nostre parole rivelano a tutti ciò che pensiamo. A mano a mano che procediamo in questa fase della nostra trasformazione, va benissimo ricorrere a espressioni come "Ma certo!", "Come volevasi dimostrare!", "Che fortuna!" e "Capita sempre a me!", ma solo quando ci succede qualcosa che percepiamo come positivo. Pronunciatele come esclamazioni di ringraziamento quando le cose vi vanno bene. Ho un amico che ha sempre avuto l'abitudine di dire: "Sono l'uomo più fortunato del mondo. Mi va tutto bene". Ha una splendida moglie e una bellissima famiglia, un'attività di grande successo, era plurimilionario già all'età di trent'anni e gode di ottima salute. Si potrebbe dire che è solo fortunato, il che mi trova d'accordo. Però aggiungo che è la sua convinzione di esserlo a renderlo effettivamente fortunato. Allora perché non provare quello che ha funzionato per lui? Quando qualcosa vi va bene, anche se si tratta di una piccola cosa, dite: "Ma certo!". Nelle nostre parole c'è molto potere. E quando modifichiamo il nostro modo di esprimerci cominciamo a cambiare la nostra vita. Circa un anno fa stavo guidando sull'interstatale ed ero sulla corsia di sorpasso perché stavo viaggiando di poco oltre il limite di velocità. A un certo punto mi trovai davanti un furgoncino che andava a una ventina di chilometri orari sotto il limite. Mentalmente cominciai a brontolare: "Se vogliono guidare così piano non sanno che devono stare sulla corsia di destra e permettere agli altri di superarli?". Pochi giorni dopo mi trovai di nuovo sulla corsia di sorpasso dietro un altro automobilista prudente che viaggiava a una velocità decisamente inferiore al limite imposto. Di nuovo notai che il conducente era al volante di un furgoncino e questa volta protestai ad alta voce e con una certa veemenza dicendo che la ritenevo una scorrettezza. Pochi giorni dopo, mentre ero in auto con Gail e Lia, fui di nuovo costretto a rallentare da un automobilista sulla corsia di sorpasso a bordo di... indovinate un po'... un furgoncino. Questa volta diedi voce alle mie lamentele con i miei famigliari. Nelle settimane successive la situazione si ripeté, e ogni volta si trattava di un furgoncino. Cominciai a notare che i furgoncini con certi simboli o adesivi particolari erano le lumache più incallite. La cosa divenne motivo di irritazione istintiva per me, e me ne lagnavo con chiunque conoscessi. Pensavo che fosse una cosa divertente da raccontare, niente di più di un'osservazione arguta, ma notavo che stava accadendo con sempre maggiore frequenza. Alla fine cominciai a capire che mi ero convinto che i conducenti di furgoncino fossero dei maleducati e impedissero il regolare scorrimento del traffico. Mi ero convinto che lo facessero apposta, e questo diventò la pura e semplice verità ogni volta che mi mettevo al volante. Trovai un modo per riformulare questa osservazione pensando al campionato NASCAR (acronimo di National Association for Stock Cars Auto Racing, una famosa serie di gare automobilistiche). Se nel corso di una gara NASCAR ci sono rottami in pista o c'è qualche rischio per i piloti, esce una safety car che fa rallentare tutti. I piloti devono restare dietro la safety car finché non è stato eliminato il rischio e il circuito è di nuovo sicuro. "E se i furgoncini fossero le safety car dell'interstatale?", pensai. "Forse sono là per farmi rallentare in modo da non farmi prendere multe o, peggio, restare coinvolto in un incidente". Ogni volta che mi trovavo sulla corsia di sorpasso dietro un furgoncino che procedeva a bassa velocità cominciai a ringraziare questi ostacoli e a pensare a loro come a delle safety car. La cosa diventò talmente un'abitudine che presto scoprii di aver dimenticato che si chiamavano in un altro modo, e presi a riferirmi ai furgoncini esclusivamente come alle "safety car". ''Ops, c'è una safety car là davanti", dicevo ai miei familiari. “Sarà meglio rallentare”. La cosa interessante è che quando cambiai modo di chiamarli e cominciai ad apprezzare i furgoncini perché mi ricordavano di rallentare, mi capitò sempre meno frequentemente di restare bloccato dietro uno di loro nella corsia di sorpasso. Oggi per me è estremamente raro essere rallentato da un furgoncino nei miei spostamenti da pendolare, e, quando mi capita, dentro di me li ringrazio. Cambiando atteggiamento mentale riguardo ai furgoncini e accogliendoli festosamente come safety car, avevo cambiato quello che rappresentavano per me, cosicché diventarono dei doni anziché delle provocazioni. Se inizierete a chiamare le persone e gli avvenimenti della vostra vita con nomi sostitutivi che sprigionino energia positiva in voi stessi, scoprirete che non vi irriteranno più, anzi, potranno esservi di grande aiuto. Cambiate le parole che usate e vedrete che la vostra vita cambierà. Per esempio:
Invece di... provate... problema opportunità dovere fare contrattempo sfida nemico amico scocciatore insegnante sofferenza segnale pretendo gradirei lamentela richiesta lotta percorso Tu hai fatto questo Io ho creato questo
Fate una prova. Può darsi che all'inizio vi sembri strano, ma poi vedrete che funziona. Esprimendovi con un linguaggio diverso darete una nuova forma alla realtà. Potete creare la vita che desiderate. Sono cresciuto credendo che quando sarei morto, se avessi avuto fortuna, sarei andato in paradiso. Un giorno, mentre leggevo la Bibbia, fui colpito dal commento di Gesù circa il fatto che "il Regno di Dio è vicino". E cominciai a pensare: "Forse sono già morto e questo è il paradiso". Mentre meditavo su questa cosa, mi venne in mente una citazione di John Milton: "La mente è padrona di se stessa e da sola può fare di un paradiso un inferno, e di un inferno un paradiso". Forse il paradiso è già qui, o almeno potrei fare in modo che sia così. Quando si chiede alla gente: "Come stai?", a volte ho sentito mugugnare amaramente: "Un altro giorno in paradiso". È un modo di dire e decisi di adottarlo. Non per fare il sarcastico, ma per dire la verità. "È un altro giorno in paradiso", rispondo quando mi chiedono come sto. All'inizio era imbarazzante, ma adesso è diventata un'abitudine. Ho notato che questo commento fa sorridere allegramente gli altri e mi ricorda che in quel momento posso scegliere tra l'essere felice o l'essere triste; in altre parole, tra essere in paradiso o all'inferno. Con le parole che usate, con le frasi che pronunciate, avete la possibilità e la scelta di creare la vita che state vivendo. Scegliete con saggezza.
6. Critici e sostenitori
Criticare è più facile che costruire (Zeusippo).
La critica è una forma di lamentela più tagliente. La sua caratteristica principale è che è diretta specificamente contro qualcuno con l'intento di sminuire quella persona. Alcuni sono convinti che criticare sia un modo efficace di cambiare il comportamento di un altro. In realtà spesso sortisce l'effetto opposto. Nell'introduzione al volume ho accennato al fatto che da qualche tempo abito con i miei famigliari in una casa che si affaccia su una strada vicino a una curva dove, purtroppo, il nostro cane Ginger è stato investito e ucciso da un'auto. Siccome abitiamo a pochi metri di distanza dal punto in cui il limite di velocità cambia da quaranta a ottanta chilometri orari, la gente passa spesso di gran carriera davanti a casa nostra. La cosa mi preoccupava parecchio, specie dopo la morte di Ginger. Spesso vedevo le auto sfrecciare davanti a casa mentre ero al volante del mio piccolo trattorino tagliaerba a falciare il prato. Gridavo ai conducenti di rallentare. A volte non solo alzavo la voce ma agitavo le braccia nel tentativo di convincerli a diminuire la velocità. Con mia crescente irritazione, scoprii che lo facevano di rado e che distoglievano lo sguardo fingendo di non vedermi. C'era un'auto sportiva gialla che era la peggiore di tutti, e a prescindere da quanto mi sgolassi o agitassi le braccia, la ragazza al volante passava davanti a casa nostra a una velocità decisamente pericolosa. Un giorno, mentre stavo tagliando l'erba nel giardino sul retro e Gail era davanti a casa a piantare dei fiori, vidi da lontano arrivare l'automobilista spericolata con la sua vettura gialla, velocissima come sempre. Non reagii, perché sentivo che qualsiasi cosa avessi fatto per cercare di farla rallentare sarebbe stata inutile. Quando l'auto passò, notai che aveva gli stop accesi, segno che la ragazza al volante stava frenando; infatti lo fece portandosi entro il limite consentito. Rimasi stupefatto. Era la prima volta che vedevo quell'auto sportiva passare a velocità normale e non a rotta di collo. Notai anche che la guidatrice, di solito piuttosto immusonita, stava sorridendo. Incuriosito, spensi il trattorino, andai sull'altro lato della casa e chiesi a Gail che cosa avesse indotto la donna a rallentare. Senza alzare lo sguardo dalle aiuole Gail disse: "È stato facile. Le ho sorriso e le ho fatto ciao con la mano". "Che cosa?!", esclamai. "Le ho sorriso e l'ho salutata con la mano come se fosse una vecchia amica, e lei ha ricambiato il sorriso e ha rallentato", spiegò Gail. Per mesi avevo cercato di convincere la ragazza a rallentare criticandola. Inconsciamente il mio intento era quello di farle capire che sbagliava a guidare in quel modo spericolato. Gail l'aveva trattata con gentilezza e la ragazza aveva risposto con altrettanta gentilezza. Mentre ci riflettevo, capii dove avevo sbagliato. La donna di passaggio non poteva aver sentito le mie proteste a causa del rumore del tagliaerba, e il mio gesticolare probabilmente mi aveva solo reso ridicolo. Per lei ero il tipo infuriato a cavallo del trattorino. Non c'era da meravigliarsi che volesse evitare di incrociare il mio sguardo e desiderasse passare oltre il più in fretta possibile. Aveva invece visto Gail come l'educata, cordiale signora della porta accanto che la trattava da amica. Io ero stato critico, mentre Gail l'aveva fatta sentire apprezzata. Non vidi mai più quell'auto sportiva gialla passare a tutta velocità. Da allora rallentò sempre, decelerando sotto il limite di velocità consentito finché non arrivava in fondo alla strada. A nessuno piace essere giudicato male. E, anziché ridimensionare ciò che non ci piace, la nostra critica spesso non fa altro che amplificarlo. Criticare significa trovare dei difetti in qualcuno o in qualcosa. E quando critichiamo qualcuno, questi si sente in dovere di giustificare il proprio comportamento. Il tentativo di giustificarsi nasce quando una persona sente che sta subendo un'ingiustizia. Dal suo punto di vista la critica è un'ingiustizia a cui ribattere con qualunque mezzo a disposizione. In questo caso, quando le urlavo dietro, la ragazza continuava ad andare a tutta velocità per giustificare il suo diritto di farlo. C'era un metodo molto più efficace e affettuoso di convincerla a rallentare, e Gail lo aveva adottato al posto mio.
TESTIMONIANZE Stavo andando benissimo nel programma IO NON MI LAMENTO e mi stavo liberando dell'abitudine di lamentarmi sempre. Finalmente ero arrivata a diversi giorni consecutivi e vedevo che ciò stava cambiando positivamente la mia vita. Mio marito ha insistito perché smettessi. Diceva che non ero più una persona divertente. Suppongo che lamentarsi sia divertente e che io non volessi più condividere i suoi brontolii. Questo mi rattrista. (Lettera firmata)
l grandi leader sanno che la gente reagisce molto più favorevolmente all'apprezzamento che alla critica. L'apprezzamento spinge una persona a eccellere in modo da ricevere altri apprezzamenti. Le critiche avviliscono, e quando sviliamo qualcuno in realtà lo induciamo implicitamente a continuare ad agire nello stesso modo. Se, per esempio, critichiamo una persona definendola pigra, questa accetta il giudizio come un dato di fatto e, trovandosi in nostra compagnia, si sentirà autorizzato ad agire come una persona degna dell'etichetta che le abbiamo affibbiato. La necessità primaria di tutti è quella di essere stimati e apprezzati, di sentire che contiamo. Anche se siamo introversi di natura, desideriamo comunque attenzione dagli altri, specie da chi consideriamo importante per noi. Perfino quando l'attenzione è negativa, come nel caso delle critiche, le persone spesso reiterano il comportamento che ha suscitato biasimo solo per attirare l'attenzione. Di rado è un gesto consapevole; viene generalmente messo in atto senza pensarci. Desideriamo tutti attenzione da parte degli altri e cerchiamo di ottenerla in qualunque modo. E se l'attenzione consiste in una critica, le persone si adattano alle aspettative di chi le disapprova. L'attenzione guida il comportamento. Permettetemi di ripeterlo: "L'attenzione guida il comportamento". Per quanto ci piacerebbe che fosse il contrario, invece è così. Se critichiamo qualcuno, stiamo sollecitando dimostrazioni future di quello che di lui non ci piace. Questo è vero nei riguardi del coniuge, dei figli, dei dipendenti e degli amici. Nella commedia di George Bernard Shaw, Pigmalione, Eliza Doolittle spiega questo fenomeno al colonnello Pickering: "Vede, in verità e in tutta franchezza, a parte le cose che chiunque può scegliere liberamente (l'abbigliamento o il modo adatto di esprimersi e così via), la differenza tra una signora e una fioraia non è nel comportamento, ma in come viene trattata. Per il professor Higgins sarò sempre una fioraia perché mi ha sempre trattato come tale, e lo farà sempre. Ma so di poter essere una signora per lei perché lei mi ha sempre trattato come una signora, e lo farà sempre". Nel dirigere il corso della nostra vita abbiamo un potere molto maggiore di quello che crediamo. Ciò che pensiamo delle persone determina come si mostrano al nostro sguardo quando ci mettiamo in relazione con loro. Il modo in cui ci esprimiamo comunica agli altri che cosa ci aspettiamo e quale tipo di comportamento prevediamo che assumano. Se usiamo parole di critica allora il loro comportamento rifletterà le aspettative insite in ciò che diciamo. Sappiamo tutti di genitori che si concentrano sugli scarsi risultati scolastici di un figlio anziché festeggiarne i successi. I ragazzi portano a casa una pagella con quattro 9 e un 6 e il genitore dice: "Perché hai preso 6?". Tutta l'attenzione si concentra sull'unico voto appena sufficiente anziché sui quattro voti eccellenti. Un po' di tempo fa nostra figlia Lia iniziò ad avere delle difficoltà in alcune materie e noi, da genitori attenti, amorevoli e intelligenti, focalizzammo l'attenzione sulle insufficienze nel tentativo di spronarla a migliorare. Sorprendentemente anche le altre valutazioni cominciarono a calare. Col tempo Gail e io prendemmo coscienza che i voti di Lia erano esattamente i "suoi" voti. Decidemmo allora di lodarla per i buoni risultati in altre materie e semplicemente le chiedevamo se fosse soddisfatta della sua pagella. Se Lia rispondeva "sì", anche se aveva una media al di sotto di quel che ritenevamo dovesse avere, non facevamo commenti. Ben presto il suo rendimento cominciò a migliorare e ora sono diversi anni che prende solo voti alti. "Essere critico è il mio lavoro". Ho sentito questa frase da una quantità di persone che lavorano nel campo dei media e la cosa mi rattrista. Ho un diploma di laurea in giornalismo radiotelevisivo e mi è stato insegnato che il lavoro di un giornalista è quello di riportare i fatti, di spiegare che cos'è accaduto. Tuttavia certe persone che lavorano in questo campo pare siano convinte che il loro compito sia quello di creare sdegno. Lo fanno per convincere la gente ad ascoltare o a guardare i notiziari o a comprare un quotidiano. È una mera questione di indici di ascolto e di denaro. È importante che ci informino, non che ci manipolino, e la critica spesso viene usata per influenzare il pubblico. Non sto dicendo che non dovremmo avere critici teatrali, letterari o cinematografici. Un buon critico (preferisco il termine "recensore") ci può far risparmiare tempo e denaro rendendoci edotti se un film, un libro o una commedia valgono la nostra attenzione e i nostri soldi. In realtà c'è un solo recensore cinematografico che in genere gradisce gli stessi film che piacciono a me, e dato che il suo lavoro è quello di visionare tutte le pellicole e di recensirle, trovo preziose le sue informazioni e ho fiducia nel suo giudizio. È facile capire se un giornalista è un recensore o un critico. Ieri sera a cena ho letto un articolo riguardante un film in programmazione questa settimana. Il critico si perdeva in lunghi e oscuri giri di parole e in lambiccati riferimenti cinematografici che dicevano ben poco riguardo al film e sembravano invece voler dire: "Vedete come sono intelligente?". Come nel caso di altri tipi di lamentele, la critica può essere una forma di vanto, un modo per dire: "I miei gusti sono così raffinati che quello che mi stai offrendo non è alla loro altezza". Avete visto il film Hitch. Lui sì che capisce le donne? ll personaggio interpretato da Kevin James frequenta una giovane ereditiera che è circondata da arroganti snob. A una festa si sta discutendo di ristoranti, film, lavori teatrali e inaugurazioni di gallerie d'arte, tutti etichettati come "disgustosi" da due giovanotti. Questi in pratica stanno dichiarando: "Nulla ci soddisfa... niente è all'altezza perché noi siamo molto sofisticati". Ascoltatevi attentamente mentre parlate durante la fase di Competenza Consapevole e verificate se state esprimendo delle critiche. Quand'ero in questa fase del programma, la chiamavo la fase del "non voglio spostare il braccialetto". Cominciavo a parlare e, notando una critica che si stava formando nella mia mente, dichiaravo semplicemente: "E non ho intenzione di spostare di polso il mio braccialetto". Provate a farlo quando vi cogliete in fallo quasi sul punto di esprimere giudizi critici su qualcuno; dite semplicemente: "Non ho intenzione di spostare di polso il mio braccialetto". Un'altra cosa utile da fare in questa fase è quella di ricorrere a qualcuno che come voi si sta impegnando in questo programma e incoraggiatevi l'un l'altro. Notate bene: egli non è una persona da sorvegliare per poter cogliere in flagrante quando si lamenta, critica o spettegola. Non dovete fargli notare la cosa quando succede. Se lo fate, vi state lamentando e dovreste spostare il braccialetto. È invece una persona con cui condividere i vostri successi e che vi incoraggerà a proseguire se e quando sarete costretti a ricominciare da capo. Trovate qualcuno che sappia aiutarvi a ricomporre le situazioni quotidiane in modo positivo, qualcuno che vi sorvegli, che vi aiuti a cercare il bene in qualsiasi situazione vi troviate. Vi occorre un "capo della claque": qualcuno che vi incoraggi a gran voce quando avrete la tentazione di lasciar perdere; una persona che voglia sinceramente che ce la facciate. Circa otto anni fa conobbi un uomo che aveva aiutato una persona a cui voleva molto bene ad affrontare quella che molti avrebbero ritenuto una situazione tragica. E tutto ebbe inizio il giorno in cui vidi lungo una strada un cartello molto particolare. Il cartello era un semplice pezzo di cartone malridotto con sopra delle grosse lettere trasferibili come quelle che si trovano in cartoleria. Stavo per imboccare la strada sopraelevata che attraversa il fiume Waccamaw, appena fuori Comvay, nella Carolina del Sud, quando notai il cartello. Là, conficcato per terra tra le cartacce e un nido di formiche rosse, mi rivolgeva il seguente invito:
SUONA IL CLACSON SE SEI FELICE
Scossi il capo di fronte all'ingenuità di chi aveva ideato quella scritta e continuai a guidare... senza suonare il clacson. Sbuffai tra me: "Che sciocchezza". Felice? Che cos'è la felicità? Non avevo mai saputo cosa significasse essere felici. Sapevo cos'era il piacere. Ma anche nei miei momenti di maggior piacere e di grande appagamento mi scoprivo a pensare che presto o tardi mi sarebbe successo qualcosa di brutto che mi avrebbe riportato con i piedi per terra, alla realtà. "Essere felici è un imbroglio", pensavo. La vita è dura e impegnativa e, se le cose vanno bene, dietro il primo angolo c'è sempre in agguato qualcosa che ti fa cadere in un batter d'occhio dal mondo dei sogni. "Forse si è contenti da morti", pensavo, ma non ero sicuro nemmeno di quello. Una domenica, un paio di settimane dopo aver visto il cartello, Gail e Lia - che all'epoca aveva due anni - stavano viaggiando in auto con me lungo l'autostrada 544 per Surfside Beach, dove stavamo andando a trovare degli amici. Stavamo cantando in coro a squarciagola le canzoncine preferite dai bambini, ridendo e divertendoci insieme. Quando fummo in prossimità della sopraelevata che attraversa il Waccamaw, vidi di nuovo il cartello e, senza pensarci, diedi un colpetto di clacson. "Cos'è stato?", domandò Gail. "C'era qualcosa sulla strada?". "No" risposi. "C'era solo un cartello sul ciglio della strada che diceva: SUONA IL CLACSON SE SEI FELICE. Mi sento felice, perciò ho suonato il clacson". Il cartello aveva perfettamente senso per Lia. I bambini non sono pressati dalla fretta, dalle pesanti responsabilità, dal disappunto o da qualsiasi altro malessere e ferita che gli adulti si portano appresso. Per Lia la vita è tutta nel momento presente, e il momento è destinato alla felicità. Quando arriva il momento successivo, anche quello è destinato alla felicità. Dai un colpo di clacson e festeggia questo momento felice. Più tardi quel giorno, sulla via del ritorno, quando rivedemmo il cartello, Lia strillò: "Suona il clacson, papà, suona il clacson!". A quel punto del giorno, ormai, la prospettiva piacevole che avevo provato quella mattina, quando non vedevo l'ora di stare con i nostri amici e di divertirmi in loro compagnia con i miei famigliari, era cambiata. Avevo cominciato a pensare alle tante cose che mi aspettavano in ufficio il giorno dopo e a preoccuparmi per tutti quegli impegni che mi attendevano. Ero tutt'altro che felice, ma nonostante ciò diedi qualche colpetto di clacson per accontentare mia figlia. Non scorderò mai quello che avvenne subito dopo. In fondo al cuore, e solo per un momento, mi sentii più contento di quel che ero solo pochi secondi prima: come se suonare il clacson mi avesse reso più felice. Forse era una sorta di riflesso pavloviano. Un riflesso condizionato, insomma. Forse suonare il clacson mi aveva spinto inconsciamente a evocare una parte dei buoni sentimenti che avevo in me l'ultima volta che l'avevo fatto. Da quel giorno in poi non riuscimmo più a passare su quel tratto dell'autostrada senza che Lia mi ricordasse di suonare il clacson. Notavo che, ogni volta che lo facevo, il mio termometro emozionale saliva. Se su una scala da uno a dieci a livello emotivo mi sentivo a due, quando suonavo il clacson la mia contentezza saliva di parecchi punti. Notai che mi succedeva ogni volta che passavamo davanti al cartello e suonavo. Cominciai a farlo ogni volta che passavo di là, anche se ero in macchina da solo. Un giorno Gail tornò a casa e vidi che stava soffocando a fatica le risa. Intuendo che la cosa avesse a che fare con Lia, e non volendo metterla in imbarazzo, aspettai che nostra figlia andasse nella sua cameretta a giocare, dopo di che domandai a Gail cosa ci fosse di tanto divertente. Gail scoppiò a ridere a crepapelle. Cercando di riprendere il fiato, mi raccontò che cos'era successo. "Oggi", esordì, "ero in macchina e mentre guidavo parlavo con Lia; improvvisamente ho invaso l'altra corsia e senza volerlo ho tagliato la strada a un automobilista. Non l'avevo proprio visto. Per poco non ho buttato fuori strada quel poveretto". Gail scoppiò di nuovo a ridere. Io non capivo il lato umoristico della faccenda. Gail proseguì: "L'uomo al volante dell'altra auto era talmente fuori di sé dalla rabbia che ci ha inseguito, si è affiancato a noi, ha alzato il medio e si è attaccato al clacson". Commettiamo tutti degli errori quando guidiamo. Quello di Gail poteva avere conseguenze tragiche, perciò mi sentii preoccupato non solo per mia moglie e nostra figlia, ma anche per il conducente dell'altra vettura. Pensai che non ci fosse proprio nulla da ridere e che mia moglie forse era sotto shock. "Che cosa c'è di tanto divertente in questa storia?", volli sapere. "Quando lo sconosciuto ha suonato furiosamente il clacson", spiegò Gail, avvertendo la mia apprensione e cercando di ricomporsi", Lia lo ha indicato col dito e ha esclamato: 'Guarda, mamma, com'è felice!'". Mi ci volle un secondo per immaginare la scena, dopo di che anch'io scoppiai a ridere. Che prospettiva preziosa ha un bambino! Grazie alla nostra esperienza con il cartello, il suono del clacson significava soltanto una cosa per la nostra bambina: che quella persona era felice. La sensazione positiva che provavo quando suonavo il clacson alla vista del cartello iniziò a espandersi. Mi ritrovai a non veder l'ora di passare su quel tratto di strada, e anche prima di arrivare al cartello notai che cominciavo a sentirmi interiormente più contento. Col tempo, quando imboccavo la 544, notai che il mio livello emotivo iniziava a salire. Quel tratto di strada fino al fiume cominciò a diventare un posto di ringiovanimento emotivo per me. Il cartello era sul bordo dell'autostrada in prossimità di un bosco che separava le case vicine dalla sopraelevata. Dopo qualche tempo mi ritrovai a domandarmi chi avesse messo il cartello e per quale motivo. All'epoca ero assicuratore e vendevo polizze alla gente direttamente a domicilio. Un giorno avevo un appuntamento con una famiglia che abitava un paio di chilometri a nord della 544. Quando arrivai a casa loro, la madre mi disse che suo marito si era dimenticato dell'appuntamento e che avremmo dovuto perciò fissarne un altro. Per un attimo mi sentii avvilito, ma mentre mi allontanavo in auto dalla nuova zona residenziale mi resi conto che stavo costeggiando il bosco che si vedeva dall'autostrada. Mentre procedevo, calcolai approssimativamente il punto che doveva trovarsi all'altezza del cartello SUONA IL CLACSON SE SEI FELICE, e quando ebbi l'impressione di essere nelle vicinanze, mi fermai alla prima casa lungo la strada. L'edificio era una costruzione a un solo piano, grigia, prefabbricata, con finiture rosso scuro. Mentre salivo i gradini color cannella del portico verso l'ingresso, notai che l'abitazione era semplice ma ben curata. Cominciai a prepararmi su cosa dire se qualcuno fosse venuto alla porta. "Salve", avrei detto. "Ho visto un cartello lungo l'autostrada dall'altra parte del bosco e mi chiedevo se ne sa qualcosa". O forse: "Siete voi quelli del SUONA IL CLACSON SE SEI FELICE?". Provavo un certo imbarazzo, ma volevo saperne di più sul cartello che aveva avuto un impatto così forte sul mio modo di pensare e sulla mia vita. Quando suonai il campanello, non ebbi occasione di pronunciare nessuna delle frasi di circostanza che mi ero preparato. "Si accomodi!", disse l'uomo alla porta con un bel sorriso cordiale. Mi sentivo davvero imbarazzato. "Forse stava aspettando qualcuno", pensai, "e crede che sia io." Nonostante ciò entrai e l'uomo mi strinse la mano. Spiegai che da più di un anno mi capitava di passare ogni tanto lungo quel tratto di autostrada e che avevo visto il cartello SUONA IL CLACSON SE SEI FELICE. Secondo i miei calcoli la sua casa era la più vicina a quell'insegna e gli domandai se per caso ne sapesse qualcosa. Il sorriso dell'uomo si fece ancora più smagliante e mi disse che aveva messo lui il cartello più di un anno prima, e che non ero il primo che si fermava a chiedere informazioni al riguardo. Mentre si udivano due colpetti di clacson da un'auto a poca distanza, l'uomo spiegò: "Sono l'allenatore del liceo locale. A mia moglie e a me piace tanto vivere qui vicino alla spiaggia e ci piace la gente. Siamo stati felici insieme per tanti anni". I suoi penetranti occhi azzurri parvero leggermi dentro. "Un po' di tempo fa mia moglie si ammalò. I medici le dissero che non c'era niente da fare. Le consigliarono di prepararsi perché le restavano quattro mesi di vita... sei al massimo". Mi sentii molto a disagio durante il breve silenzio che seguì; lui non lo era affatto. "Sulle prime restammo scioccati", proseguì. "Poi ci arrabbiammo. Poi ci abbracciammo e piangemmo per giorni. Alla fine accettammo l'idea che la sua vita presto sarebbe giunta al termine. Mia moglie si preparò a morire. Facemmo portare un letto d'ospedale nella nostra camera da letto e lei giacque là per settimane intere al buio. Eravamo disperati”. "Un giorno ero seduto qui fuori sotto il portico mentre lei tentava di dormire. Soffriva così tanto che le era difficile chiudere occhio. Io sentivo che stavo affogando nella disperazione. Mi faceva male il cuore. Eppure, mentre ero lì fuori seduto, sentivo le macchine passare sulla sopraelevata per andare alla spiaggia". Per un momento i suoi occhi dardeggiarono verso un punto nell'angolo della sala. Poi, come ricordandosi che stava parlando con me, scosse la testa e riprese il filo della storia. "Sa che il Grand Strand - come la gente chiama il tratto di cento chilometri di spiaggia lungo la costa della Carolina del Sud - è una delle località di maggiore attrattiva turistica degli Stati Uniti?". "Ehm... sì, lo sapevo", risposi. "Oltre tredici milioni di turisti all'anno vengono sulle spiagge di questa zona". "Esatto", disse. "E si è mai sentito più felice di quando va in vacanza? Si programmano le ferie, si risparmia e poi si va a godersi un po' di bel tempo con la propria famiglia. È fantastico". Un lungo colpo di clacson di un'auto di passaggio sottolineò la frase. L'allenatore rifletté un momento, poi continuò. "Mentre ero seduto là fuori fui colpito dal pensiero che, sebbene mia moglie stesse morendo, la felicità non doveva per forza morire con lei. Anzi, la felicità era nell'aria qui attorno a noi. Era nei milioni di automobili che passavano a poche centinaia di metri da casa nostra ogni giorno. E così andai là a piantare quel cartello. Non che mi aspettassi granché dall'iniziativa; volevo solo che le persone a bordo delle loro auto non prendessero per scontato il proprio momento felice. Quel momento speciale, assolutamente irripetibile, con le persone che amavano di più, avrebbe dovuto essere assaporato e loro avrebbero dovuto sentirsi consapevoli della felicità di quel momento". Diversi colpi di clacson provenienti da altrettante auto in rapida successione lo interruppero un istante. "Mia moglie cominciò a sentire i colpi di clacson", disse. "All'inizio solo uno ogni tanto. Mi chiese se ne sapessi qualcosa, e le spiegai del cartello. Con il tempo, il numero delle auto che suonavano cominciò ad aumentare e quelle strombazzate diventarono una sorta di medicina per lei. Mentre era là a letto, udiva i clacson e trovava grande consolazione a sapere di non essere isolata in una stanza buia in attesa della morte. Poteva partecipare della felicità altrui. Era circondata da persone contente". Restai seduto in silenzio per un momento, riflettendo seriamente su ciò che quell'uomo aveva condiviso con me. Che storia toccante ed entusiasmante! "Le farebbe piacere conoscere mia moglie?", mi domandò l'uomo. "Sì", dissi con una certa sorpresa. Avevamo parlato così a lungo di quella donna che cominciavo a pensare a lei come a un personaggio di una storia meravigliosa più che a una persona reale. Mentre ci incamminavamo lungo il corridoio verso la camera da letto mi preparai al peggio, non volendo apparire scioccato alla vista di una persona malata e in punto di morte. Ma quando entrai nella stanza vi trovai una donna sorridente che tutto sembrava fuorché una moribonda. Un altro colpo di clacson proveniente dall'esterno e la donna disse: "Questa è la famiglia Harris. È bello risentirli. Mi sono mancati". Dopo che ci fummo presentati, mi spiegò che la sua vita si era di nuovo riempita di voci come un tempo. Centinaia di volte al giorno e anche durante la notte udiva le strombazzate dei clacson che le dicevano che nel suo mondo c'era felicità. "Non sanno che sono distesa qui ad ascoltare", disse, "ma io li conosco. Sono arrivata a distinguerli dal suono particolare dei loro clacson". La donna arrossì, poi continuò. "Fantastico spesso su di loro. Invento delle storie. Li penso mentre trascorrono il tempo sulla spiaggia o giocano a golf. Se è un giorno di pioggia, me li immagino all'acquario o a fare spese. Di notte me li vedo al luna park o a ballare sulla spiaggia sotto le stelle". La sua voce andò calando di tono; poi, scivolando nel sonno, osservò: "Che vite felici... che vite assolutamente felici". L'allenatore mi sorrise ed entrambi ci alzammo e uscimmo in punta di piedi dalla camera da letto. In silenzio mi accompagnò alla porta, ma mentre stavo per congedarmi fui assalito da una domanda. "Ha detto che i dottori le avevano dato sei mesi di vita... al massimo, vero?". "Esatto", rispose l'uomo con un sorriso già consapevole della domanda successiva. "Ma ha detto che sua moglie era a letto da mesi quando ha pensato di andare laggiù a mettere il cartello". "Già", disse. "E io ho visto il cartello per la prima volta, e sono passato qui davanti più volte... da oltre un anno", conclusi. "Precisamente", disse l'uomo; poi aggiunse: "La prego, torni ancora a trovarci". Il cartello restò al suo posto per un altro anno e poi, un giorno, improvvisamente sparì. "Dev'essere morta", pensai con tristezza mentre passavo là davanti. "Se non altro è stata felice negli ultimi mesi ed è sopravvissuta ben oltre le più rosee previsioni. I suoi medici saranno sicuramente stupiti". Pochi giorni dopo stavo percorrendo la 544 verso la spiaggia e per la prima volta mi sentii triste anziché felice mentre mi avvicinavo al ponte. Controllai di nuovo, chiedendomi se il vento o la pioggia avessero semplicemente deteriorato il piccolo cartello fatto a mano con un vecchio pezzo di cartone. Ma non c'era proprio più. Provai una profonda tristezza. Mentre imboccavo la sopraelevata notai una cosa che mi risollevò immediatamente il morale. Nel punto in cui una volta era piantato il piccolo cartello c'era una nuova insegna. Era alta un metro e mezzo e larga due, con un fondo giallo brillante bordato di luci lampeggianti. Su ambo i lati, a grandi lettere luminose, c'era il familiare SUONA IL CLACSON SE SEI FELICE! Con le lacrime agli occhi strombazzai per far sapere all'allenatore e a sua moglie che stavo passando. "Questo è Will", immaginai che dicesse la donna con un sorriso malinconico. Con il sostegno di un marito amorevole, anziché concentrarsi su quel che era la realtà - una realtà confermata da medici esperti - quella donna meravigliosa si era concentrata sul bene che la circondava. E così facendo aveva sconfitto i pronostici, abbracciato la vita e toccato il cuore di milioni di persone. Voi potete essere esattamente lo stesso tipo di sostegno per qualcuno, qualcuno che tenta di cambiare la propria vita smettendo una volta per tutte di lamentarsi. Trovate con chi rallegrarvi e chi sostenere: egli farà lo stesso per voi. Insieme, potete farlo succedere.
Parte quarta - COMPETENZA INCONSAPEVOLE
7. Padronanza
Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche (Fil 2,14).
Esistono diverse specie di pesci ciechi che vivono in grotte sottomarine. La maggior parte si trova negli Stati Uniti nella regione delle grotte calcaree del delta del Mississippi. Si tratta di esemplari che crescono fino a una lunghezza di circa dodici centimetri e sono quasi privi di pigmentazione. Oltre a essere bianchi, nessuna di queste specie - tranne una - ha gli occhi. Gli zoologi ipotizzano che in ere precedenti questi pesci possano essere rimasti vittime di spostamenti di masse terrestri o di faglie e siano così rimasti intrappolati in caverne sotterranee. Immersi completamente nel buio e incapaci di vedere, i pesci si adattarono all'ambiente circostante. Ora queste specie di pesci prosperano nell'oscurità totale. Nel corso di generazioni e generazioni di cicli riproduttivi, la pigmentazione per proteggerli dal sole andò persa perché non più necessaria. Nello stesso modo, con il passare del tempo, questi pesci cominciarono a produrre avannotti privi di occhi. I loro corpi si sono adattati geneticamente all'ambiente assumendo le caratteristiche attuali.
TESTIMONIANZE Quattro anni fa il mio primogenito, un giovanotto di ventitré anni che faceva l'agente di polizia, fu colpito da un ictus mentre stava guidando. Senza entrare nei particolari, devo dire che è stato un percorso lungo e difficile, ma nonostante tutto si è trattato di una disgrazia che tutta la nostra famiglia ha affrontato con fede in Dio e con amore incondizionato. Ben si sta riprendendo (tutti i dottori dicevano che non ce l'avrebbe fatta) e accetta le sue menomazioni con una pace interiore che è una lezione per tutti noi. La grazia divina è all'opera e cresce in lui. Ha una lieve afasia, una emiparesi al lato destro e un certo rallentamento nell'elaborazione degli stimoli, eppure continua a migliorare... e tutto senza mai lamentarsi. Da qui il motivo della richiesta di braccialetti. Se Ben sa accettare la sua croce senza lagnarsi, sicuramente possiamo farlo anche noi. Voglio che le persone che hanno aiutato Ben nella sua guarigione abbiano tutte un braccialetto. La ringrazio di cuore e le auguro buona fortuna per la sua missione. Lei e la sua chiesa avete avuto una forte influenza su noi tutti. (Noreen Kepple, Stonington, Connecticut).
Dopo i vari mesi necessari per liberarvi delle lamentele, scoprirete che siete cambiati. Proprio come, nell'arco di varie generazioni, il pesce cieco delle caverne ha abbandonato per sempre quello che non gli serviva più, scoprirete che la vostra mente non produce più il diluvio di pensieri inopportuni e infelici con cui eravate abituati a convivere. Poiché non li esprimete a parole, la fabbrica delle lagnanze chiude i battenti. Avete chiuso il rubinetto e il pozzo si è prosciugato. Cambiando modo di esprimervi, avete trasformato il vostro modo di pensare. Adesso siete diventati inconsapevoli (non ci fate più caso) della vostra competenza (di non lamentarvi). Di conseguenza, siete diversi: siete diventati più felici. Quando iniziammo il programma IO NON MI LAMENTO decidemmo di rilasciare un certificato di felicità a chi completava il ciclo dei ventun giorni consecutivi senza lamentele, critiche o pettegolezzi. Scegliemmo di chiamarlo così perché sapevamo che eliminare i mugugni e i brontolii aveva un potente effetto rigenerante sulla coscienza di una persona. Più che modificare il comportamento, non lamentarsi cambia la mente e la vita. Quando avrete completato con pieno successo il vostro ciclo di ventun giorni consecutivi, visitate il nostro sito web - www.AComplaintFreeWorld.org - e saremo lieti di spedirvi l'attestato per festeggiare la vostra trasformazione. Nella fase di Competenza Inconsapevole, una fase successiva ai ventun giorni consecutivi, non siete più un "Ahi!" in cerca di un male. Ora i vostri pensieri sono piuttosto rivolti a ciò che desiderate e cominciate a notare che non soltanto siete più felici, ma che anche le persone che vi stanno intorno lo sembrano. Attraete gente allegra e ottimista, e la vostra natura positiva sta ispirando chi vi sta intorno a raggiungere livelli mentali ed emotivi ancora più elevati. Per parafrasare Gandhi, siete diventati il cambiamento che desideravate vedere nel mondo. Quando qualcosa vi va bene, la vostra reazione immediata è quella di pensare: "Ma certo!". E quando vi si presenta un problema o un ostacolo, non gli concedete alcuno spazio né sprecate energia per esprimerlo agli altri; cominciate piuttosto a cercare in esso la benedizione nascosta. E, cercando, troverete. Un'altra cosa che noterete è quanto vi sentiate a disagio, adesso, quando qualcuno che vi sta vicino comincia a lagnarsi. È come se un odore sgradevole all'improvviso si diffondesse nella stanza. Poiché avete impiegato un mucchio di tempo a controllarvi per abolire le lamentele, quando le sentite da qualcun altro esse vi faranno l'effetto di un rumore sgradevole durante un momento di silenzio sacrale. Anche se i brontolii altrui vi risulteranno fastidiosi da ascoltare, non vi sentirete obbligati a farlo notare all'altra persona. Resterete in silenzio e, dato che non criticate né vi lamentate, la persona non sentirà il bisogno di giustificare il proprio comportamento reiterandolo, e smetterà in fretta. Comincerete a provare gratitudine per le cose apparentemente più insignificanti: perfino quelle che di solito davate per scontate. Per quanto mi riguarda, ricordo di aver pensato: "Se l'ultima volta che mi sono spazzolato i capelli avessi saputo che sarebbe stata davvero l'ultima, mi sarei goduto molto di più quel momento". (Se non capite questo commento, date un'occhiata a una mia foto.) Quando entrerete nella fase di Competenza Inconsapevole il vostro atteggiamento mentale principale sarà di apprezzamento. Avete ancora tante cose che desiderate per voi stessi, e questo è un bene. Ora, con la vostra energia positiva di recente scoperta, potete elaborare un'immagine mentale di ciò che desiderate sapendo che, nel frattempo, sta fluendo verso di voi. Anche la situazione finanziaria potrebbe migliorare. Il denaro, in sé e per sé, non vale nulla. I soldi consistono in monete e foglietti di carta che simboleggiano un valore. Quando comincerete ad apprezzare di più voi stessi e ciò che vi circonda, emanerete vibrazioni a un livello tale che attirerete maggiori benefici economici. La gente vorrà darvi e fornirvi cose per le quali in passato avreste dovuto pagare in moneta sonante. Conosco uno che riceve gratuitamente una quantità di prestazioni professionali solo perché le persone che forniscono queste prestazioni lo trovano simpatico e desiderano fargli un piacere. La stessa cosa può accadere a voi. La chiave è quella di apprezzare le piccole cose e provare gratitudine. Se qualcuno vi tiene aperta una porta, o si offre di fare qualcosa per voi, ritenetela una generosa benedizione dell'Universo. Così facendo, ne attirerete molte di più. Le persone positive e felici sono piacevoli da frequentare. Adesso che siete diventati persone così, le vostre finanze potranno migliorare tramite aumenti di stipendio e una minore precarietà. Nel nostro lavoro siamo pagati per la capacità di fare o produrre qualcosa. Il nostro grado di competenza nel mestiere che svolgiamo detta in larga misura la retribuzione che percepiamo. Ma una persona che brilla di luce propria e di gioia in ufficio vale tanto oro quanto pesa. Conosco una ditta di Seattle, nello stato di Washington, che tempo fa aveva un'addetta alla reception di nome Martha. Martha aveva il sorriso più bello, più luminoso e più sincero che avessi mai visto. Era sempre complimentosa, sinceramente felice e sempre disposta a fare qualunque cosa per chiunque. Potevi avvertire la sua presenza in ufficio e tutti i suoi colleghi si scoprivano più allegri e produttivi grazie a lei. Qualche tempo fa feci tappa in quella ditta per fare visita ad alcuni amici. L'atmosfera era cambiata. Era come se qualcuno avesse dipinto i muri di un colore più scuro, o avesse abbassato le luci. È quel che provavo mentre ero in piedi davanti alla reception. Poi mi accorsi che Martha non c'era più. "Dov'è Martha?", domandai. "Ha cambiato ditta", rispose una sua collega. "L'hanno convinta offrendole il doppio dello stipendio che potevamo permetterci di pagarle". Dopo essersi guardata furtivamente intorno un momento, la donna aggiunse: "L'altra azienda ha fatto un affare". La personalità ottimista e felice di Martha aveva un effetto benefico su tutti i colleghi, e la sua assenza aveva abbassato di molto il livello generale di cordialità e anche di produttività. Gli addetti alle vendite mi dissero che i reclami erano aumentati sia di numero sia di animosità da quando non c'era più Martha a rispondere al telefono. Il vostro atteggiamento, che è un'espressione esteriore dei vostri pensieri, stabilisce come la gente si rapporterà con voi. E questo vale non solo per gli esseri umani ma anche per gli animali. Proprio mentre sto scrivendo, i nostri due cani stanno abbaiando e facendo le feste al furgone dell'UPS che ha imboccato la via principale del nostro quartiere. Gibson e Magic non stanno difendendo il loro territorio. Non stanno abbaiando per impedire al furgone dell'UPS di parcheggiare davanti a casa nostra, al contrario sperano che si fermi proprio da noi. A differenza degli addetti alle consegne di altre ditte di spedizione che hanno paura degli animali o si rifiutano di averci a che fare, il nostro autista dell'UPS ha deciso di imparare i nomi di tutti i cani che incontra nel suo solito giro di consegne. Si porta perfino dietro dei biscottini. Può sembrare ridicolo, ma Gibson e Magic vogliono bene all'autista dell'UPS, noi vogliamo bene a loro e di conseguenza vogliamo bene all'autista dell'UPS. La semplice intenzione di quell'addetto alle consegne di essere una persona felice e servizievole ci ha indotto ad affezionarci più all'UPS che ad altre ditte di spedizioni, a prescindere dalle pubblicità con cui ci martellano in televisione. Se ha aspirazioni manageriali, immagino che quell'autista un giorno o l'altro dirigerà una filiale dell'UPS. Vogliamo tutti avere vicino persone che rendono straordinario ogni giorno. E quelle persone alla fine hanno buone probabilità di ricevere promozioni per il loro lavoro. Uno dei doni più grandi che riceverete liberandovi delle lamentele è il miglioramento dei rapporti con i vostri famigliari, sia nel presente sia nel futuro. Nel bene o nel male tendiamo a influenzare chi ci sta vicino. Come ho detto in un capitolo precedente, entriamo in sintonia con l'energia altrui e specialmente con chi consideriamo figure autorevoli, come per esempio i nostri genitori. Ricordo mio padre in cucina. Ogni volta che preparava da mangiare, prendeva un asciugapiatti e se lo metteva sulla spalla sinistra; lo chiamava il suo "canovaccio da cuoco". In quel modo il canovaccio era sempre a portata di mano nel caso mio padre dovesse togliere qualcosa di caldo dai fornelli o dovesse asciugarsi le mani. Oggi, ogni volta che sono in cucina, mi troverete sempre con il mio personale "canovaccio da cuoco". E non è mai sulla spalla destra, ma sempre sulla sinistra. Era così che faceva mio padre, ed è così che faccio io. Forse mio padre a sua volta lo aveva visto fare da mio nonno e lo imitava, chissà? L'unica cosa che so è che ho preso questa abitudine da lui. Non cercò mai di trasmettermela, ma il suo comportamento lo ha fatto. E so che, volente o nolente, io la sto passando a Lia. Mi resi conto che prima che adottassimo uno stile di vita libero da lamentele stavo insegnando a Lia che la cena in famiglia era un momento per brontolare e spettegolare. Le stavo praticamente inculcando che quello era il modo in cui la gente agisce. Sono così contento che adesso il nostro tavolo da pranzo sia un luogo dove parliamo di eventi fortunati e di prospettive luminose. È questo che voglio insegnarle, in modo che lo trasmetta ai suoi figli e ai suoi nipoti. Facciamo in modo che il tempo trascorso in famiglia sia gioioso e felice, non un momento per dare sfogo a mugugni e proteste su come le cose non sono andate per il verso giusto nel corso della giornata. Sono convinto che la nostra vita sia migliorata, perché durante il giorno non cerchiamo (e perciò non troviamo) episodi negativi per garantirci di avere argomenti di conversazione la sera. Essendo persone che non si lamentano, otterrete più di quel che desiderate con minore sforzo. Ricordate la donna della mia congregazione con gli elenchi delle lamentele? Dopo aver dato una scorsa a un paio dei suoi elenchi capii che, a prescindere da quel che facevo, lei trovava sempre dei difetti. Senza averne l'intenzione, cominciai a nutrire una forte resistenza mentale a qualsiasi cosa mi chiedesse e a provare irritazione per lei perché nulla sembrava soddisfarla. Idee che lei proponeva, anche se buone, venivano accantonate perché avevo la sensazione che avrebbero suscitato altre lamentele e altre critiche. Quando cominciai a ignorarla e a rifiutarmi di parlare di quelli che considerava i nostri difetti, la donna smise di portarmi i suoi elenchi. E la cosa interessante è che, dopo che la piantò, noi cominciammo pian piano ad adottare quasi tutto quello che lei aveva suggerito. Non perché si fosse lagnata a quel proposito, ma perché aveva smesso di lamentarsi. Adottammo i cambiamenti suggeriti perché capimmo che avevano senso. Ma per lungo tempo non li avevamo presi in considerazione perché avevamo una reazione negativa alle sue richieste. Adesso siete persone positive che parlano di quel che desiderano anziché brontolare riguardo a ciò che non funziona. La gente vorrà lavorare con voi e per voi, e raggiungerete e riceverete più di quello che avete mai sognato. Dategli tempo, state a guardare e accadrà. La gente mi chiede spesso: "E gli ideali sociali? Come posso contribuire a cambiare in meglio la situazione se non mi lamento e non protesto?". Ripeto: il cambiamento inizia con l'insoddisfazione. Inizia quando una persona proprio come voi nota un divario tra ciò che è e ciò che potrebbe essere. L'insoddisfazione è l'inizio, ma non può essere la fine. Se vi lagnate di una situazione, forse riuscirete ad attrarre altre persone che mugugneranno insieme a voi, ma non riuscirete a cambiare granché. Però se siete capaci di cominciare a parlare in termini di come sarà quando l'ostacolo non esisterà più, quando il ponte sarà gettato, quando il problema sarà risolto, allora potrete infondere entusiasmo e spingere la gente a un cambiamento positivo. Quando cesserete di lamentarvi, scoprirete di essere meno spaventati o arrabbiati. La rabbia è paura diretta all'esterno. E poiché non siete più persone fondate sulla paura, attirerete nella vostra vita meno persone spaventate o arrabbiate. Nel suo libro Una sedia per l'anima, il famoso autore di bestseller Gary Zukav scrive: "Lamentarsi è una forma di manipolazione". Io ho un amico che è ministro di culto di una confessione diversa dalla mia. Le massime autorità della chiesa alla quale appartiene gli mandarono un consulente per dargli una mano a far crescere la sua congregazione. "Trovi qualcosa di cui hanno paura", gli disse il consulente. "Sfrutti quella paura per creare malcontento. Si lamenteranno della situazione con altre persone. Questo li renderà uniti e attirerà altra gente verso la sua congregazione". Un tale approccio al problema sembrò molto scorretto al mio amico, che considerava il suo ministero un mezzo per servire i bisognosi, non per infiammare una folla e creare tumulto. Telefonò a un ministro suo collega e gli domandò come la tecnica della paura e della rabbia avesse funzionato nella sua congregazione. "Benissimo", rispose l'altro. "Il metodo mi ha procurato una quantità di nuovi fedeli. Il problema è che sono un branco di persone perennemente arrabbiate e spaventate che si lamentano in continuazione... e adesso non so più come fare a trattare con loro". Il mio amico diede le dimissioni da ministro di culto per diventare cappellano in un ospedale. Conduce un vita integerrima ed è molto felice. L'altra sera stavo guardando in tv con mia moglie e mia figlia il vecchio film The Music Man, di cui è protagonista Robert Preston. Nel film, Preston recita il ruolo del professar Harold Hill, un commesso viaggiatore logorroico e senza scrupoli che vende porta a porta strumenti musicali per bande e orchestrine. Arrivato a River City, nell'Iowa, chiede a una sua vecchia conoscenza, un personaggio interpretato da Buddy Hackett: "In questo posto c'è qualcosa a cui posso appigliarmi per creare dello scontento?". Hackett gli parla del primo tavolo da biliardo arrivato da poco in città, e Preston comincia a sobillare la cittadinanza spaventando tutti con discorsi sulla inevitabile corruzione morale derivante dal gioco del biliardo. Naturalmente la soluzione alla "corruzione morale" e all'“isterismo di massa" rappresentato dal gioco del biliardo è quella di spingere tutti i giovani a formare una banda musicale. E il professor Harold Hill capita proprio a fagiolo per salvare una situazione disperata vendendo a tutti strumenti musicali e uniformi da banda. Appicca le fiamme della lamentela per condizionare la gente ai fini del profitto personale. Zukav ha ragione. Lamentarsi è una manipolazione della vostra energia, e adesso che siete persone libere da lamentele noterete quando qualcuno sta usando parole ed espressioni negative per approfittarsi di voi, e alzerete delle sane barriere protettive. Quando sentite questi discorsi prendete le distanze e così vi terrete lontano dai guai. Alcuni affermano: "Ma certi psicanalisti sono convinti che lamentarsi sia una cosa salutare". Come ho già detto, ha perfettamente senso lamentarsi (esprimere dolore, sofferenza o malcontento) all'occorrenza. E un'espressione di dolore, sofferenza o malcontento diretta verso qualcuno che possa veramente aiutare quella persona è salutare... a patto che sia concepita come metodo per ottenere ciò che si vuole in futuro e non come mezzo per recriminare riguardo al passato. Parlare a uno psicologo dei momenti difficili della vostra vita come mezzo per superarli e lasciarseli indietro può essere salutare. Un buon professionista sa attribuire un significato a questi avvenimenti e fornire speranza per una vita futura migliore. Tuttavia lamentarsi con un amico - sfogarsi, come spesso si dice - può scatenare un'estrema negatività, che attirerà verso di noi altri problemi oltre a quelli che abbiamo già. Per tacere del fatto che ci spinge ad allearci con persone negative dalle quali possiamo essere plagiati. Alcune volte abbiamo tutti bisogno di analizzare quello che sta avvenendo nella nostra vita per poter affrontare meglio la situazione. Analizzare e lamentarsi non sono la stessa cosa. Analizzare significa condividere i vostri sentimenti riguardo a un episodio che vi è capitato e non limitarsi a rimuginare sui fatti. Se il vostro capufficio alza la voce con voi, può darsi che vogliate parlare dell'esperienza con il vostro coniuge e confidargli come vi siete sentiti. Può darsi che diciate: "Ho provato sorpresa e tristezza quando si è messo a urlare". Quando analizzate un'esperienza assicuratevi che quel che dite sia incentrato esclusivamente sui sentimenti e non sulla vicenda in se stessa. Usate parole come:
• incollerito/a • triste • contento/ a • felice • arrabbiato/a • spaventato/a • gioioso/ a
"Mi sento arrabbiato/a quando fai così", stabilisce che l'esperienza è vostra e significa che la state "analizzando". "Ho l'impressione che tu sia un idiota quando fai così", è semplicemente un'offesa, nonostante il tentativo di farla passare per un punto di vista personale. I vostri sentimenti sono il migliore indicatore di quanto vi sentiate bene a vivere in armonia con la parte migliore del vostro io. Discutere dei vostri stati d'animo con un'altra persona, evitando di dilungarvi sui retroscena e sui drammatici resoconti infarciti di "lui ha detto/lei ha detto" può essere salutare. Perfino con uno psicanalista è importante non soffermarsi troppo a lungo sulla sofferenza scaturita da una determinata esperienza. Studi recenti hanno dimostrato che parlare di sintomi nevrotici in realtà aumenta i sintomi stessi. 4 Un bravo psicanalista sa quanto tempo ed energia dovrebbero essere dedicati al passato e come aiutarvi a utilizzare ciò che è accaduto per migliorare la qualità della vostra esistenza futura. E ora davanti a voi avete la vita che avete sempre sognato. Ancora di più: mantenendo saldi i vostri propositi e parlando solo della realtà che desiderate, raggiungerete obiettivi a breve termine per i quali avreste pensato ci volessero anni. Nella sua pièce teatrale Fiction, uno dei personaggi di Steven Dietz osserva: "Agli scrittori non piace scrivere; a loro piace avere scritto". Per similitudine, alle persone non piace cambiare, ma piace essere cambiate. E voi avete sfoderato la buona volontà, il tempo e gli sforzi necessari per continuare a spostare di polso il vostro braccialetto, ricominciando da capo innumerevoli volte. Siete una persona nuova. Siete cambiati. Oliver Wendell Holmes ha detto: "Una mente tesa da un'idea nuova contraendosi non ritorna mai alla dimensione originale". Ce l'avete fatta. Se avete letto questo capitolo e non avete ancora completato il programma IO NON MI LAMENTO dei ventun giorni consecutivi, lasciamo che questo serva come augurio. Potete farcela. Nel capitolo successivo leggerete le testimonianze di persone che sono riuscite a completare il programma e capirete che cosa ha significato per loro.
8. I campioni dei ventun giorni consecutivi
Il privilegio di essere padroni di noi stessi non ha prezzo (Friedrich Nietzsche).
"Ma lamentarsi non fa bene alla salute?". Quando mi intervistano sul fenomeno IO NON MI LAMENTO, i media spesso mi mettono a confronto con qualche psicologo convinto che lamentarsi sia salutare. Quando succede, ricordo a tutti che non è nei miei intenti cambiare le persone. Se vogliono lamentarsi, che si accomodino! Inoltre desidero chiarire che il mio non è un invito a restare zitti di fronte a ciò che non va. Non trattenete il disagio, non interiorizzatelo; assicuratevi solo di descrivere sinteticamente i fatti e di concentrarvi sui sentimenti, evitando di trasmettere energia negativa ("come osi farmi questo?") in quello che state dicendo. Per quanto riguarda la salute, mi chiedo se qualcuno di questi psicologi consideri il suo lavoro solo ascoltare la gente che si lamenta e non tema di limitare i propri mezzi di sussistenza. Come ho già avuto modo di dire, un buon terapista aiuta a superare gli eventi traumatici del passato rielaborandoli e utilizzandoli per un presente più soddisfacente e un futuro più luminoso. Io non sono uno psicologo. E non interpreto tale ruolo nelle mie apparizioni televisive. Le mie affermazioni si basano unicamente sulla mia personale esperienza di metamorfosi esistenziale, con la quale mi sono lasciato alle spalle un atteggiamento di mugugno costante, e sulle tante persone che hanno condiviso con me quanto siamo diventati più felici e più sani liberandoci delle lamentele. Se lamentarsi fosse veramente un metodo per godere di un maggiore benessere, allora la popolazione del mio paese, gli Stati Uniti, sarebbe tra le più floride del mondo. Eppure, nonostante quello che molti definiscono "il sistema sanitario più all'avanguardia del pianeta", gli Stati Uniti sono il fanalino di coda rispetto a tutti gli altri paesi del mondo per numero di decessi annuali dovuti a malattie cardiovascolari. La popolazione statunitense ha grossi problemi anche con l'ipertensione, l'infarto, l'ictus, il tumore e altre patologie. Il dottor Michael Cunningham, uno psicologo dell'università di Louisville, ha avanzato l'ipotesi che la predilezione per le lamentele dell'uomo moderno probabilmente ha origini ancestrali. I nostri antenati avevano sviluppato l'attitudine di lanciare grida d'allarme quando qualcosa minacciava la tribù. "Noi mammiferi strilliamo", afferma il dottor Cunningham. "Parliamo di cose che ci infastidiscono come un mezzo per ricevere aiuto o per cercare un gruppo con cui organizzare un contrattacco". Il dilagante atteggiamento di insofferenza che caratterizza la nostra specie non è più necessario, ma il salto evolutivo rispetto al passato non è ancora avvenuto perché, come abbiamo discusso, quando ci lamentiamo da questo fatto traiamo ancora benefici sociali e psicologici. Quando brontoliamo, stiamo dicendo che "qualcosa non va". Quando lo facciamo spesso, viviamo in una condizione perenne di "male incombente" e questo aumenta lo stato di ansia. Immaginate se qualcuno vi dicesse in continuazione: "Stai attento", oppure: "Stai in guardia, sta per accadere qualcosa di spiacevole", o ancora: "Le esperienze negative del passato preludono a esperienze analoghe nel futuro". Se qualcuno vi facesse ripetutamente notare che siete circondati da potenziali pericoli e insidie, non vi sentireste molto più stressati? Certamente sì. E, quando vi lamentate di frequente, la persona che sta suonando la sirena d'allarme siete voi. Lamentandovi, aumentate il livello di stress. State dicendo: "Qualcosa non va", e il vostro corpo reagisce di conseguenza. Tale situazione di disagio collettivo mi ricorda i cadetti militari all'università che ho frequentato da giovane. Ogni volta che una delle reclute passava davanti a un veterano doveva "fare fortezza". Questo voleva dire stringere le braccia ai fianchi, incassare la testa nelle spalle e irrigidire tutto il corpo come per prepararsi a un attacco. Quando, lamentandoci, la nostra mente si concentra su ciò che è sbagliato, ilnostro corpo reagisce. "Facciamo fortezza" o, in altre parole, ci irrigidiamo. I muscoli si tendono spasmodicamente, il battito cardiaco accelera, la pressione sanguigna aumenta. Questo vi pare salutare? Secondo un articolo apparso su www.forbes.com, negli Stati Uniti le classifiche di vendita dei farmaci con obbligo di prescrizione medica vedono ai primi sette posti medicinali destinati alla cura di disturbi e malattie derivanti dallo stress. Nel 2005, sempre negli Stati Uniti, si sono spesi 31,2 miliardi di dollari in farmaci per combattere l'ansia, la depressione, il bruciore di stomaco, gli scompensi cardiaci, l'asma e l'alto tasso di colesterolo. "D'accordo", potrete anche pensare. "Ho capito che lamentarsi danneggia l'organismo e che gli scompensi cardiaci, la depressione e le ulcere possono essere provocati dallo stress... ma non certo l'asma e il colesterolo alto!". Be', uno studio del dottor Andrew Steptoe e di alcuni suoi colleghi dell'University College di Londra ha evidenziato gli effetti dello stress sul colesterolo. I risultati di questa ricerca sono apparsi sul numero del novembre 2005 di "Health Psychology". Il dottor Steptoe e la sua équipe hanno misurato il tasso di colesterolo di un gruppo di volontari in condizioni normali, dopo di che li hanno sottoposti a situazioni stressanti. Misurando di nuovo il livello di colesterolo di ogni partecipante hanno scoperto che era aumentato considerevolmente. Lo stress fa aumentare il colesterolo. Per quanto riguarda l'asma, Heather Hatfield di WebMD dichiara: "Quando il nostro livello di ansia comincia ad aumentare gradualmente... i sintomi dell'asma possono aggravarsi in modo esponenziale". Lo stress aumenta gli episodi di crisi asmatica, e lamentarsi aumenta i livelli di stress. A mio parere, l'attitudine alla lamentela non ci fa stare meglio: nuoce alla salute. Ma non prendete in considerazione solo la mia opinione. Vorrei terminare questo capitolo con i commenti di quelli che chiamo i "campioni dei ventun giorni", ossia persone che hanno completato il programma per liberarsi delle lamentele.
Joyce Cascio (autrice)
Un anno fa, se qualcuno mi avesse chiesto: "Sei una persona che si lamenta spesso?", avrei risposto subito: "Oh, no. Io no. Mi lagno molto di rado". Però sarebbe stato più corretto dire: "Sì, sono una persona che si lamenta, ma sono assolutamente inconsapevole di quante volte o di quanto spesso lo faccio". Non mi accorgevo affatto di lamentarmi. In una scala mentale da 0 a 10, un 10 è una persona che brontola senza tregua e uno 0 è una persona che non si lamenta mai. In base a questa scala, sentivo di non aver bisogno di un gran miglioramento, perché non mi consideravo una brontolona estrema, un 10. Ritenevo di essere a un livello intermedio, forse un 5 o, in certe circostanze particolari, magari un 6. Tuttavia quello che mi sfuggiva del tutto, e quello che la mia scala mentale non mostrava, era che lamentarsi a qualsiasi livello nuoceva a me e alle persone con cui mi relazionavo. Mi accorsi per la prima volta di quanto spesso mi lamentassi nell'estate del 2006. La mia attività lavorativa, che avevo iniziato nel 2004, sembrava destinata a fallire. Le persone che mi erano più vicine dubitavano che ci fosse una possibilità di successo. Mi sentivo scoraggiata, depressa e molto negativa, per lo più verso me stessa. Le mie conversazioni erano tremendamente spossanti perché gran parte della mia energia era spesa in difesa della mia posizione lavorativa e a sottolineare i fattori negativi e le avversità che stavo affrontando. Alla fine, stanca e depressa da tutto quel gran parlare, decisi di prendermi un periodo di riposo alla ricerca di solitudine e silenzio. Avevo bisogno di allontanarmi da tutti. Tenevo regolarmente un diario e un giorno, verso la fine di luglio, cominciai a descrivere il dolore che le mie stesse parole mi causavano. Mi resi conto che lamentarmi era il modo in cui esprimevo le mie frustrazioni senza in realtà manifestar le apertamente. Usavo le lamentele anche per crearmi delle scuse per fare o non fare certe cose. Per la prima volta capii come il lagnarmi incessantemente stesse in effetti bloccando la mia capacità di prendere decisioni. Fondamentalmente il mio atteggiamento mi stava impedendo di comunicare in modo diretto e sincero con tutti, me compresa. Neanche a farlo apposta, quella stessa settimana, senza che ne sapessi niente, il reverendo Will Bowen stava distribuendo nella nostra congregazione i braccialetti IO NON MI LAMENTO, chiedendo a chi li accettava di impegnarsi in un programma di ventun giorni consecutivi. Quando poche settimane più tardi tornai a casa, fui entusiasta di venirne a conoscenza e cominciai immediatamente a portare al polso il mio braccialetto. Sono felice di dire che ce l'ho fatta a raggiungere l'obiettivo. Oggi continuo a portare al polso il mio braccialetto come promemoria costante per me stessa, e per sostenere questo fantastico movimento che sta toccando il cuore di tante persone. Che cos'è successo dopo che ho completato il programma?
• La mia vita è più appagante, più felice. • Le prospettive per la mia attività lavorativa non potrebbero essere migliori. • I miei rapporti con il prossimo sono più positivi e ci sono meno conflitti nella mia vita e nelle mie relazioni con gli altri.
Continuo a incappare in eventi e circostanze difficili, ma quel che è cambiato è il modo in cui reagisco a questi eventi e a queste circostanze, e questo modifica il risultato finale. Oggi sono più schietta nella comunicazione con me stessa e con gli altri. Impegnarmi nel programma IO NON MI LAMENTO mi ha cambiato la vita, e sono certa che la stessa cosa succederà a chiunque è disposto a fare un tentativo.
Cathy Perry (insegnante)
Il 24 aprile è stato il mio ventunesimo giorno libero da lamentele. Cominciai a portare al polso il mio braccialetto viola lo scorso luglio, quando il reverendo Bowen presentò per la prima volta il suo programma. Nel corso della sfida lasciai perdere e ricominciai da capo diverse volte. Mi ci vollero parecchie settimane solo per stare un giorno intero senza lamentarmi. Diventò molto più facile quando mio marito cominciò a portare il braccialetto nell'ottobre del 2006; affrontare la sfida insieme a un'altra persona serve molto perché ci si può sostenere e spronare l'un l'altro. Questo programma mi ha aiutato ad aprire gli occhi sull'atteggiamento di insofferenza che avevo adottato. È stato proprio un processo di acquisizione di consapevolezza dei miei pensieri e del mio modo di esprimermi. Non appena mi resi conto su cosa mi concentravo realmente fui in grado di cambiare il mio modo di pensare a proposito di me stessa, degli altri e delle situazioni in cui mi imbattevo ogni giorno. Ho abbandonato la mia litania quotidiana fatta di espressioni del tipo "sono stufa", "non dormo abbastanza" e "non c'è mai tempo sufficiente per fare tutto"; ora riesco a dormire serenamente ogni notte e mi sento bene. È cambiato il mio punto di riferimento emotivo e di conseguenza è diventato più facile mantenere un atteggiamento positivo. Ho continuato a sentirmi sempre meglio a mano a mano che l'effetto del pensiero positivo si è diffuso in ogni campo della mia vita. Adesso dormo di più e ho più energia. Mi sento più felice e rilassata. Anche i rapporti con i miei famigliari sono migliorati; nelle nostre conversazioni quotidiane prevalgono i commenti positivi e casa nostra ora è davvero un'oasi di pace. Il programma IO NON MI LAMENTO non è facile. Ci vuole tempo e uno sforzo costante per farcela. Però, una volta che le vostre abitudini e il vostro modo di pensare iniziano a cambiare, le difficoltà diminuiscono. La chiave di volta è continuare a provarci. Per me questa sfida non significava solo smettere di lamentarmi; implicava trasformare le lamentele in gratitudine per le benedizioni che riceviamo. Oggi vedo il bene anziché solo il lato negativo delle cose.
Don Perry (ingegnere civile)
Mia moglie ha iniziato il programma IO NON MI LAMENTO nel luglio dell'anno scorso, e quando me ne ha parlato ho provato curiosità. Avendo notato gli effetti che stava avendo su di lei, nell'ottobre del 2006 cominciai anch'io a portare al polso il braccialetto viola. Lo portai per due mesi prima di completare un giorno intero senza brontolare e il 18 aprile di quest'anno è stato il mio ventunesimo giorno libero da lamentele. Nel corso della sfida mi resi conto di quanto l'atteggiamento lagnoso influenzasse il mio umore e quanto fossi diventato pessimista riguardo a un sacco di cose. Fui sorpreso di venire a sapere come gli altri reagivano alla mia negatività. Un giorno, al lavoro, il mio capo mi chiese spiegazioni in merito al braccialetto. Quando gli dissi del programma fu contento e commentò: "Quando ti metti a gridare, Don, fai paura!". In seguito riferii questa conversazione a casa e i miei famigliari concordarono sul fatto che "facevo paura", e che spesso volevano uscire dalla stanza quando "esplodevo" mentre leggevo il giornale o guardavo la tv. Adesso ho capito che gran parte della mia rabbia e delle mie lamentele avevano origine dalla mia insicurezza riguardo al lavoro. Mi lamentavo con tutte le persone a portata d'orecchio del gran daffare che avevo o delle scadenze incombenti, perché temevo di non riuscire a far tutto in tempo. E, se non ce la facevo, significava che non ero bravo abbastanza per il mio lavoro. Di conseguenza, mi lamentavo a gran voce perché ero spaventato e arrabbiato. Ma ora mi rendo conto che ci sarà sempre un mucchio di lavoro da svolgere, e l'unica cosa che posso fare è dare il meglio di me. Questa consapevolezza mi ha aiutato ad accettare il fatto che non posso avere il controllo completo di tutto quel che succede in ufficio o in altri ambiti della mia vita, e che lamentarsi non migliora la situazione. Ho scoperto che diminuendo le lamentele diminuiscono anche le preoccupazioni. Lasciar perdere quell'apprensione ossessiva mi ha aiutato a godermi maggiormente il tempo trascorso a casa e a essere più rilassato. Il programma IO NON MI LAMENTO mi ha aiutato a diventare più felice nei miei rapporti di lavoro e a casa. Il mio atteggiamento negativo faceva ammalare anche chi mi stava intorno, mentre il mio nuovo modo di relazionarmi con gli altri è un toccasana per tutti. La felicità che mi ha dato si è diffusa. Adesso il mio capo mi chiama "Mr Sole Splendente".
Marcia Dale (direttrice dell'ufficio ecclesiale)
Ho infilato al polso il mio braccialetto il 23 luglio di un paio di anni fa, vale a dire dal primo giorno in cui il reverendo Will Bowen ha proposto a membri della nostra congregazione di impegnarsi ad abolire del tutto le lamentele per ventun giorn consecutivi. All'epoca pensai: "Non sarà mica difficile. Io sono una persona ottimista. Ho una famiglia stupenda e un'attività che adoro: lavoro alla Christ Church Unity! Ventun giorni? Ce la faccio senza problemi!". Poi indossai il braccialetto e in effetti presi coscienza di quante affermazioni negative uscivano dalla mia bocca! Questa consapevolezza mi risultava sbalorditiva. Sempre più spesso mi fermavo a metà frase e mi chiedevo: "Voglio davvero concludere questa dichiarazione? Pronunciarla produrrà qualcosa di positivo?". E sempre più spesso la risposta era: "No". Ho rovinato due braccialetti a furia di spostarli prima di completare finalmente i miei ventun giorni consecutivi a metà novembre di quest'anno. Volutamente continuo a portare il braccialetto (come un nodo al fazzoletto) per ricordare che le mie parole hanno un enorme potere e che ho la responsabilità di sceglierle con saggezza. Mi sono accorta che non si tratta di tenere per sé le proprie emozioni e di dipingersi in faccia un sorriso alla Pollyanna. Negli ultimi mesi ho dovuto affrontare alcune situazioni pesanti a livello personale e familiare. Ma prima di lasciare libero sfogo alle parole ci penso su e mi propongo di realizzare qualcosa di positivo con ciò che dico. È possibile affrontare situazioni difficili (e persone difficili) senza fare i pessimisti. E il risultato è sempre decisamente migliore! Ho trovato che, anche se sono molto occupata nella vita di tutti i giorni, le cose sembrano scorrere meglio e senza intoppi. Alcune "amiche" con cui di solito passavo del tempo si sono allontanate da me perché senza nulla di cui lamentarsi non avevamo più molto da dirci. Ma questo ha aperto la porta ad altre benedizioni. L'accresciuto senso di pace che provo è straordinario!
Marty Pointer (tecnico informatico)
Nei quattro mesi successivi al conseguimento dell'obiettivo dei ventun giorni consecutivi senza lamentele credo che il beneficio maggiore che ho notato sia stato una più facile accettazione delle persone che non condividono i miei stessi valori e di eventi sui quali non posso avere alcun controllo. Adesso lascio andare le cose per il loro verso. Mi accorgo di prendere cortesemente le distanze dalle persone che sembrano trovare piacere nel criticare e nel trovare da ridire, e a essere attratto da quelle che cercano il lato positivo di ogni cosa. Una splendida ricompensa sono state diverse nuove amicizie con spiriti affini che non avrei mai conosciuto se non avessi completato la sfida dei ventun giorni. Portando a termine il programma ho scoperto in me una bontà d'animo che non avrei mai creduto di avere. Se da un lato nessuno si comporta sempre in modo impeccabile (e devo ammettere una ricaduta di tanto in tanto), ho trovato molto più facile vedere la Luce dentro di me dopo avere imparato a vedere con maggiore facilità al di là dei difetti altrui e degli inconvenienti. Mentre sto scrivendo, mia madre, che ha novantatré anni, giace a letto in attesa di ricongiungersi con i suoi genitori e molti altri cari che l'hanno preceduta. Pesa meno di quaranta chili e da una settimana non mangia più. L'infermiera della casa di riposo dice che non sa come mai sia ancora viva, essendo priva di riserve di energia. È debole e indifesa. Questa situazione è stata fonte di notevole sofferenza per me e mi sono sforzato di sopprimere le mie lamentele verso Dio, facendo appello alle tante lezioni che avevo appreso mentre ero impegnato nel programma. Uno di questi suggerimenti, ricordo, era di chiedere aiuto. Così ho chiesto aiuto al Signore. Ieri mi sono svegliato e ho riflettuto sul fatto che Dio aveva concesso a mia madre un corpo forte e meraviglioso che si è mantenuto in perfetta salute per novantatré anni. Quel corpo le ha concesso di visitare tanti posti diversi, le ha permesso di dare alla luce e di nutrire tre figli, di suonare diversi strumenti musicali, dì realizzare centrini, esprimere e scrivere i propri pensieri e di fare una miriade dì altre cose. Quel corpo sta ancora cercando di svolgere il suo compito, anche se cede giorno dopo giorno. Adesso sono in grado di lodare Dio con somma gratitudine per questo dono meraviglioso, e di accettare con sollievo la sua volontà di porre fine alla parte terrena della vita di mia madre. Qualche giorno fa, mentre ero in visita alla casa di riposo in compagnia del cappellano, ho potuto cogliere di sfuggita come il progetto IO NON MI LAMENTO può cambiare il mondo. Gli occhi del cappellano si sono fatti lucidi mentre spiegavo il programma dei ventun giorni a mia madre, e prima ancora che terminassi lei mi ha chiesto cinquanta braccialetti da distribuire al personale della casa dì riposo. Mi ha detto che, nonostante il personale svolga con passione il proprio lavoro al servizio dei moribondi, è costituito pur sempre da esseri umani, con tutto ciò che questo comporta. Mia madre è convinta che accetteranno dì buon grado l'opportunità dì servire meglio concentrandosi ancora di più sul fatto di trasmettere solo energia positiva. Sei mesi fa non avrei mai immaginato come ventun giorni consecutivi senza lamentele avrebbero cambiato la mia vita, ma è successo davvero e ora ne hanno beneficiato anche altre persone intorno a me.
Gary Hild (capo chef)
Un giorno dell'autunno scorso il mio buon amico Will Bowen ha condiviso con me il suo programma IO NON MI LAMENTO mentre ci stavamo godendo uno splendido pomeriggio a cavallo nei dintorni di casa sua, a nord di Kansas City. Fui subito affascinato dall'idea. Nella mia veste di cuoco professionista sento il dovere di essere critico - nei confronti di me stesso e del mio staff - per garantire il massimo livello di qualità a clienti dai più variati e sofisticati palati. In oltre trent'anni ho vissuto la mia vita lavorativa in cucine professionali, passando gradualmente dal vecchio stile manageriale europeo, rigido e caratterizzato da una precisa gerarchia, a uno stile più umano basato sul lavoro di squadra. II nuovo programma di Will si è rivelato un'idea che funziona in modi che non avrei mai sospettato. Per essere più preciso, dopo essermi "diplomato" nel corso dì ventun giorni di fila senza lamentarmi, ero molto più consapevole di come comunicavo con il mio staff di cucina. Adesso scelgo le parole da usare con maggiore attenzione e penso al mio ruolo più come a quello di un insegnante con eccellenti capacità culinarie piuttosto che a quello di un capo inflessibile o di un manager. Questo libera energia, da parte mia come anche da parte degli altri, da usare per un dialogo più piacevole e libero da stress. Credo che il processo mentale innescato da IO NON MI LAMENTO vada di pari passo con la Legge di attrazione. Il mio modo di pensare e di esprimermi è ora improntato alla gratitudine e alla collaborazione, e lo stesso atteggiamento ritrovo da parte degli altri nei miei confronti. Oggi porto ancora il mio braccialetto come promemoria e affronto il carico di lavoro quotidiano in un'unica maniera: estrema gratitudine espressa nel modo più positivo possibile. Se mi viene la tentazione di fare una critica, mi fermo e mi sforzo di presentarla come un suggerimento, così le persone si sentono più apprezzate e seguono quello che dico. Questo ha cambiato il mio punto di vista su tutto e mi ha liberato da stress e preoccupazioni: una specie di sottoprodotto dell'intero processo. Sono molto fortunato ed enormemente grato.
Jack Ring (titolare di un negozio di abbigliamento)
Mi sono sempre detto che sarebbe stato difficile evitare di lamentarsi finché non ho dato il via al mio tentativo personale di raggiungere l'obiettivo dei ventun giorni. Ho un lavoro in proprio; sono titolare di un negozio di abbigliamento maschile. Considero questa attività un vero piacere. Poiché lavoro a stretto contatto con i clienti e con i fornitori, conosco parecchie persone. Molti dei miei fornitori sono gli stilisti che compaiono sulle riviste di moda, alcuni dei quali sono tra le persone più fantasiose, brillanti ed espansive che si possa sperare di conoscere. Tuttavia, come si suol dire, esiste il rovescio della medaglia. Quando si lavora gomito a gomito quotidianamente, sembra difficile non trovare difetti gli uni negli altri. Problemi insignificanti possono diventare grossi come montagne col rischio di incrinare i rapporti e provocare diverbi. Talvolta tali situazioni diventano talmente logoranti che portano quasi alla depressione. Credo che siamo tutti concordi nel ritenere che questo stato d'animo sia poco salutare e possibilmente da evitare. Credevo di poter inanellare ventun giorni consecutivi senza lamentele e così misi al polso il braccialetto viola. Ritenevo che - nonostante la mia attività commerciale, mia moglie, i miei figli, il mio socio, i miei dipendenti, i miei fornitori, il mio impegno in un'importante campagna promossa dalla mia chiesa, i miei gatti, il mio cane, i miei amici, i miei clienti, il mio dirigente bancario e tutti quelli con cui venivo in contatto - avrei potuto avere una chance. Cominciai a intravedere un filo conduttore nei miei problemi: me! Ogni volta che mi imbattevo in un ostacolo che mi impediva di ottenere ciò che volevo, cercavo qualcosa o qualcuno a cui attribuire la colpa. Cominciai anche a notare quante lamentele sentissi dagli altri in merito a questioni che ritenevo a dir poco banali e in molti casi determinate proprio dalle stesse persone che poi trovavano da ridire. Alcuni recriminavano su situazioni talmente al di là del loro controllo che lamentarsene non aveva proprio alcun senso. A mano a mano che rovinavo i braccialetti a furia di cambiarli di polso, cominciai a notare quanto mi stancasse a morte ascoltare le lamentele altrui e ad accorgermi di essere io stesso un brontolone. Fui illuminato dal pensiero che le mie lamentele fossero altrettanto irritanti per gli altri come le loro lo erano per me. Non avevo più alcuna scusa per non completare i ventun giorni del programma. Quando qualcun altro si lagnava di qualcosa, iniziai a tenere la bocca chiusa. Quando mi veniva voglia di sfogarmi, cercavo una soluzione possibile o, se non altro, di accettare la situazione per quella che era. Il giorno di San Valentino, mentre ero in giro per acquisti con il mio socio e le nostre rispettive consorti, conclusi finalmente il ventunesimo giorno del programma. Uno dei cambiamenti che questa sfida ha portato nella mia vita è avvenuto quando mi sono accorto che sentivo meno lamentele anche da parte delle altre persone con cui ero in contatto. Quando parlavano di qualcosa che non andava, capivo che lo facevano nel tentativo di comprendere gli accadimenti che avevano luogo nella loro vita. Sono anche diventato meno critico nei confronti del prossimo. Cercare le soluzioni e l'accettazione mi hanno portato meno stress a livello emotivo e più dinamismo a casa e al lavoro. I miei rapporti con moglie, figli e colleghi sono migliorati in proporzione alla diminuzione dei miei mugugni. Sono una persona più felice. Restando in silenzio quando qualcun altro inveisce, evito di essere il suo uditorio e gli permetto di riflettere sui suoi commenti. Possiamo dire che ci vogliono due persone per criticare, proprio come bisogna essere in due per litigare. Il braccialetto viola può aiutare perfino chi sceglie di non indossarlo. Senza uditorio ci ritroviamo più in sintonia con la risoluzione dei problemi contingenti e più disposti ad andare avanti nella vita. Tacere le nostre lamentele può essere paragonato al silenzio della meditazione: è più facile sentire Dio che ci parla.
Rick Silvey (docente universitario)
Se quando mi imbarcai in questa avventura qualcuno mi avesse detto che ci sarebbe voluto così tanto tempo per completare il programma, non ci avrei mai creduto. Perché, vedete, non mi sono mai considerato un pettegolo o un piagnone; magari sarcastico, ma decisamente non un brontolone. Quando però concentrai l'attenzione sul mio comportamento, mi resi conto che il mostro della lamentela avrebbe alzato la sua orrenda testa abbastanza spesso da evitarmi di completare con pieno successo il programma. Perciò, armato di pratiche spirituali di cui avevo fatto esperienza strada facendo, mi predisposi a sradicare completamente dalla mia vita l'abitudine alle lamentele. Tre volte al giorno ringraziavo il Signore per il programma IO NON MI LAMENTO e immaginavo in cosa si sarebbe tradotta questa mia nuova esperienza. Usavo anche citazioni e affermazioni positive che mi ispirassero nel corso della giornata. Il mio obiettivo era trasferire nel conscio le caratteristiche indesiderabili che si erano radicate nell'inconscio, in modo da poter iniziare il processo di rimozione delle stesse. Credo che questo sia una parte integrante del cambiamento. Finché non divenni consapevole di possedere e di esibire queste caratteristiche, non potei cominciare a sradicarle. Lentamente, ma con sempre più sicurezza, fui in grado di abbandonare lamentele e pettegolezzi con maggiore agio. Questo processo di liberazione ha rafforzato la mia prospettiva ottimistica della vita. Sono più consapevole di quanti pensieri negativi ostacolassero la mia capacità di essere in pace con me stesso e con gli altri. Sono stato testimone di un miglioramento nei miei rapporti con la mia compagna, con i miei famigliari, con i miei colleghi e con i miei studenti. Sono più paziente e sento meno urgenza in ogni cosa che faccio. Mentre i politici continuano a fornirmi occasioni di crescita spirituale, mi sento più rilassato ed emotivamente distaccato dal loro comportamento. Non fraintendetemi, sono ancora ben saldo nelle mie convinzioni, ma sono in grado di comunicare le mie opinioni in modo più elegante. Ho deciso di prolungare l'esercizio di altri ventun giorni. Questa volta, oltre ad astenermi dalle lamentele, dai pettegolezzi e dalle battute sarcastiche, mi concentrerò sull'eliminazione di dubbi e insicurezze. In futuro forse continuerò con altri aspetti deleteri e controproducenti del mio carattere, così da riuscire a conformarmi davvero allo spirito di Cristo in tutto quello che penso, dico e faccio. Questa esperienza per me si riassume meglio nella seguente citazione di George Bernard Shaw: "La vita non è una piccola candela, per me. È una sorta di torcia splendente che ho avuto in consegna per un momento, e voglio che bruci quanto più radiosamente possibile, prima di passarla alle future generazioni". Diventando noi stessi persone capaci di non lamentarsi, alzeremo l'asticella stabilendo un nuovo livello di qualità per le generazioni future.
Tom Alyea (consulente commerciale e principale coordinatore del movimento A Complaint Free World)
Da fan della vecchia serie di telefilm "Lucy e io", mi piaceva quando Ricky Ricardo varcava ogni giorno la soglia di casa e diceva a gran voce: "Ciao, Lucy, sono a casa". Durante i miei primi anni di matrimonio facevo lo stesso: "Ciao, Mischa, sono a casa". Ma a un certo punto della mia vita divenne molto più facile dire: "Ciao, Mischa, sono a casa e mi fa male la testa (o la schiena o i piedi o lo stomaco)". Lamentarmi era diventato uno stile di vita, un modo per attirare l'attenzione, per essere più convincente, un modo anche solo per iniziare una conversazione. Mi sono sempre considerato una persona felice e positiva. È stato così per anni fino a una domenica di luglio del 2006 quando tornai a casa dalla chiesa e parlai con mia moglie del programma di ventun giorni consecutivi per smettere di lamentarsi. Ero entusiasta dell'idea e dissi che avevo intenzione di essere il primo della congregazione a completare i ventun giorni. Mischa si limitò a sorridere e osservò: "Ventun giorni? Mi piacerebbe riuscire a vederti anche solo ventun minuti di fila senza brontolare". E circa sei minuti più tardi mi resi conto che quella sarebbe stata la sfida di una vita intera. Mia moglie e io eravamo seduti sul divano e all'improvviso dissi: "Uff, fuori fa un caldo bestiale e sicuramente mi farà venire mal di testa". Mia moglie mi guardò, poi guardò il mio braccialetto (che cambiai di polso seduta stante, e per due volte, perché mi ero lamentato due volte in una sola frase). La verità è che il silenzio in quei sei minuti mi stava facendo ammattire e dovevo assolutamente iniziare una conversazione con una frase qualunque. Volevo attenzione e avevo pensato che quello fosse il modo migliore per ottenerla. Così quella fu la mia prima sfida: imparare come avviare una conversazione senza partire da una lamentela. Una volta impegnatomi su quello e risolta la cosa, spostai la mira altrove. Le camere dei ragazzi sono sempre sottosopra... Dite un po': lamentarsi del disordine che regna nelle camere dei vostri figli ha mai fatto sì che fossero pulite e sistemate? Il brutto tempo... che cosa ci possiamo fare? E così via. L'elenco andò avanti un passo dopo l'altro mentre il numero di lamentele abituali calava proporzionalmente alla mia comprensione di quanto fossero negativi quei pensieri, sia per me sia per gli altri. Dopo cinque mesi trascorsi a impegnarmi nel programma, finalmente arrivai alla meta agognata! Soffrivo meno di mal di testa? Sì, perché tanto per cominciare mi ero accorto di non esserne poi così afflitto. Quello che vedo ora è un corpo sano, che ogni volta si sforza di guarire da eventuali fastidi o piccoli disturbi. Sono più felice di prima? Potete scommetterci! Cenare con i figli è molto più bello quando ci si lamenta di meno delle loro stanze in disordine e si parla di più delle loro speranze e dei loro sogni. Sono contento di aver resistito e di avercela fatta per ventun giorni di fila? A parte un matrimonio fantastico e tre figli che amo e che adoro, questa è stata la cosa migliore che mi sia capitata nella vita.
Catherine Bohm (infermiera)
Quando ricevetti il braccialetto scoprii ben presto che passare un giorno intero senza lamentarsi era molto difficile. Il sabato e la domenica andava bene; poi arrivava il lunedì e un altro giorno di lavoro. Anche se la mia attività mi piace moltissimo, come molte altre presenta problemi di tipo amministrativo e organizzativo. Dopo cinque mesi di tentativi vidi alcune persone ricevere un "certificato di felicità" e mi decisi sul serio. Chiesi a tutte le mie colleghe di darmi una mano ad astenermi da critiche e lamentele, e a impedirmi di partecipare ai loro pettegolezzi. Furono tutte disponibili e bravissime; se davano inizio a una conversazione negativa, mi toccavo col dito il braccialetto dandogli una tiratina e si cambiava argomento. Le cose stavano procedendo bene verso l'obiettivo delle due settimane di fila. Dopo una giornata particolarmente difficile, uno dei medici mi fece davvero irritare. Mi resi conto che in effetti non avevo informato né coinvolto i dottori riguardo al mio piccolo piano. Il giorno seguente tutte le infermiere diplomate dovettero spostarsi in auto da un capo all'altro della città per dare una mano a trasferire l'intero archivio di referti medici dal vecchio al nuovo sistema computerizzato, senza che nessuno ci avesse istruite su come fare. Era un compito gravoso e difficile, e dopo che terminammo andai a pranzo con due colleghe e ci lamentammo senza posa per due ore consecutive. Quel pranzo mi obbligò a ricominciare tutto... dall'inizio. Al tentativo successivo, quando ormai avevo raggiunto il ventesimo giorno, incappai in un'infermiera a cui non piacevo per niente e che non mi parlava quando eravamo di turno insieme. Poi arrivò lo stesso dottore che mi aveva fatto uscire dai gangheri il quattordicesimo giorno del primo tentativo. Mi mancava un giorno soltanto per raggiungere l'obiettivo e mi trovai faccia a faccia con i miei più acerrimi avversari. Mi misi a ridere e dissi tra me: "Signore, tu sì che hai un gran senso dell'umorismo! Comunque accetto". Non solo ce la feci a resistere senza lamentarmi una sola volta, ma quello fu uno dei giorni più belli che avessi mai trascorso in ospedale.
Patricia Platt (insegnante)
Ho iniziato il mio tentativo di ventun giorni pensando: "Sarà facile! Io mi lamento poco... e poi vivo da sola". Be', mi ci sono voluti quasi quattro mesi per raggiungere la meta! Quando ero adolescente mio padre e mio zio abusarono sessualmente di me. Nel tentativo di superare il trauma delle violenze carnali ricorsi all'alcol, alla droga e cominciai a frequentare gente poco raccomandabile. Più di diciotto anni fa mi disintossicai completamente e cominciai a superare il trauma della violenza subita da ragazza. Però continuavo a lottare con la scarsa autostima e la depressione. Non sapevo come evitare di pensare in modo negativo. Avevo tentato con le affermazioni solenni, la psicanalisi e i manuali che insegnano a contare sulle proprie forze. La gente mi diceva: "Smettila di pensare in quel modo", ma non sapevo come fare. Impegnarmi per una vita scevra da lamentele finalmente mi ha liberata! All'inizio del programma dovevo spostare di polso il braccialetto molte volte al giorno. Poi cominciai a farcela per un paio di giorni, quindi arrivai a sette e infine quasi a quattordici. Mi bloccai quando un articolo sul movimento fu pubblicato sul nostro giornale locale. Molti dei miei studenti mi riferirono che i loro genitori avevano visto il mio nome sul giornale. Lessi in classe l'articolo e anche loro vollero sperimentare il programma. Be', avere venticinque studenti del quarto anno che mi tenevano d'occhio fu un grande stimolo! Una delle difficoltà che incontrai durante questo processo di miglioramento personale era dovuto alla mia accresciuta consapevolezza della quantità di negatività espressa dagli altri. Provavo rabbia ed ero critica nei loro confronti. A volte avrei voluto nascondermi, ma non era sempre possibile, né mi avrebbe aiutato a risolvere il problema. Perciò imparai a essere un'ascoltatrice migliore. Mi sforzavo di leggere tra le righe del messaggio che l'altra persona stava inviando. Per esempio, quando un collega si lamentava della sua classe, anziché aggregarmi alle lamentele o starmene seduta in silenzio, facevo commenti del tipo: "Mi sembra una situazione veramente frustrante. Quando mi succedevano cose del genere ecco come cercavo di risolvere il problema". Mentre continuavo a impegnarmi nel programma IO NON MI LAMENTO, cominciai ad accorgermi che la qualità dei miei rapporti con gli altri migliorava. Ma fino a quel momento il dono più grande che ho ricevuto è stata la liberazione dalla depressione! La gioia e la soddisfazione che sento quotidianamente mi hanno dato la pace che cercavo e per cui pregavo fin da quando ero bambina. Certo, ci sono ancora momenti in cui mi sento frustrata, ma anziché lamentarmi ringrazio Dio per le opportunità che scaturiscono comunque dalla situazione. E dato che ho scelto di non piagnucolare, ricordo a me stessa la mia definizione preferita di amore: "accettazione incondizionata e ricerca del bene".
C'è qualche commento dei cosiddetti "campioni" che vi ha colpito? Avete trovato nelle loro storie un cambiamento o un miglioramento che vi piacerebbe vedere nella vostra vita? Potete rendere reale tutto ciò eliminando sistematicamente dal quotidiano le lamentele dilaganti. Spostando il vostro braccialetto da un polso all'altro più e più volte senza stancarvi, alla fine avrete successo.
Conclusione
Uva uvam videndo varia fit
Lamentarsi non è da confondersi con l'atto di informare qualcuno di un errore o di una carenza in modo da correggerli. E astenersi dalle lamentele non implica necessariamente rassegnarsi a qualcosa di brutto. Non c'è alcun male nel dire al cameriere che la vostra minestra è fredda e che ha bisogno di essere riscaldata, se vi attenete ai fatti, che sono sempre neutrali. "Come osa servirmi una minestra fredda!". Questo è lamentarsi. (Eckhart Tolle, Una nuova terra).
La sintesi migliore di questo libro si trova nella citazione di Eckhart Tolle. Rivolgere un appunto direttamente a qualcuno al fine di migliorare una situazione obiettivamente carente non è lamentarsi. Redarguire qualcuno o deplorare una situazione con voi stessi o con qualcun altro è lamentarsi. E lamentandovi attirerete su di voi altri episodi sgradevoli: esattamente il contrario di ciò che volevate. Se aggredite verbalmente un cameriere per una minestra fredda, può darsi che torni con un piatto di minestra calda, ma chissà cosa potrebbe avere aggiunto nella vostra fondina, spinto dalla rabbia: forse è meglio non saperlo. Quando ci si lamenta con veemenza con qualcuno o lo si critica apertamente, questi si sente attaccato e la sua prima reazione spesso è quella di difendersi, anche passando al contrattacco. Anche nel caso in cui ciò non avvenga, lagnandovi avete immesso nell'Universo vibrazioni del vostro essere vittima, e così facendo avete espresso inconsapevolmente un invito ad altre persecuzioni. Lagnarsi è spesso un modo per farsi notare. Tutti desiderano essere al centro dell'attenzione altrui, ma le persone che si lamentano molto talvolta cercano di attirare attenzione a causa di una scarsa autostima. Si lamentano con chi hanno vicino per mostrare di essere raffinati e di possedere gusti da intenditore, specialmente quando si sentono insicuri in un particolare ambito. Possono anche lamentarsi per legittimare limiti che si sono imposti da soli, per giustificare il fatto che non riescono a sforzarsi di crescere e di migliorare. Una lamentela può essere una richiesta di attenzione, ma è anche un segnale lanciato all'Universo che qualcosa non va. L'Universo, essendo sì generoso ma anche neutrale, vi ricompensa con altro "male". Quando qualcuno si lamenta di qualcosa, sta inconsapevolmente facendo richiesta di ricevere altro di cui lamentarsi, e la spirale negativa si autoalimenta. L'unico metodo per uscirne è smettere di lamentarsi ed esprimere invece gratitudine verso ciò che di buono abbiamo ricevuto. Nella vita di ognuno ci sono molte, moltissime cose per cui essere riconoscenti. Per ricordarmelo, non appena mi sveglio ogni mattina scrivo cinque cose per le quali provo gratitudine. Ho scoperto che, se invece di pensarle semplicemente le scrivo su un foglio, il gesto mi predispone alla gratitudine per tutto il giorno. Ciò che esprimete a parole lo confermate nei fatti. Parlate di cose tristi e negative e ve ne capiteranno. Parlate di cose di cui siete riconoscenti e le attirerete. Vi esprimete secondo un modello abituale che dimostra ciò che pensate, e questo crea la vostra realtà quotidiana. Che ve ne rendiate conto o no, ogni giorno stabilite una rotta e poi la seguite. I risultati possono essere piacevoli o dolorosi. Quando ero bambino, una delle storie che mia madre era solita raccontarmi riguardava un panettiere, uno straniero e un negoziante taccagno. In questa storia, una delle mie preferite da bambino, lo straniero arriva in un paesello in cerca di cibo e di un posto dove pernottare. Di fronte alle richieste di aiuto, il negoziante taccagno e sua moglie scacciano lo sconosciuto. Lo straniero entra allora nella panetteria. Il fornaio non ha più un soldo, è molto povero e ha quasi finito le scorte di farina. Nonostante ciò invita lo sconosciuto a entrare e divide con lui un pasto frugale. Poi gli offre il proprio letto per dormire. Il mattino dopo lo straniero ringrazia il fornaio e gli dice: "La prima cosa che farai stamattina continuerà per tutto il giorno". Il panettiere non comprende il significato di quella frase strana. Nondimeno decide di cuocere per il suo ospite una piccola torta per il viaggio. Controllando le ultime scorte di cui dispone, trova due uova, un po' di farina bianca, zucchero e spezie. Comincia a preparare la torta. Con sua grande sorpresa, più ingredienti usa, più le scorte sembrano moltiplicarsi. Quando prende le due uova rimaste, nota che al loro posto ce ne sono altre quattro. Rovescia il sacco per scuotere fuori l'ultima farina rimasta e, quando lo depone di nuovo per terra, il sacco è pieno. Felicissimo di questa fortuna, il panettiere si mette d'impegno a preparare ogni specie di ghiottoneria e ben presto la piazza del paese si riempie del profumo delizioso di pane, pasticcini, biscotti e torte. Gli acquirenti fanno la fila per comprare le sue prelibatezze. Quella sera, stanco, felice e con il registratore di cassa traboccante di soldi, il fornaio viene avvicinato dal negoziante taccagno. "Come hai fatto ad avere così tanti clienti, oggi?", gli chiede l'avaro."A quanto pare, tutti in paese hanno comprato dolci o pane da te... alcuni perfino più volte". Il panettiere gli racconta la storia dello straniero che aveva accolto in casa e anche della strana predizione fattagli la mattina. Il negoziante e sua moglie escono di corsa dalla panetteria e imboccano la strada che esce dal paese. Corrono corrono finché finalmente raggiungono l'uomo a cui avevano rifiutato soccorso la sera prima. "Gentile signore", dicono "la preghiamo di perdonarci se ieri sera siamo stati sgarbati. Dovevamo essere usciti di senno per non aiutarla. Per piacere, torni in paese con noi e venga a casa nostra, e ci faccia l'onore di accettare la nostra ospitalità". Senza dire una parola, lo straniero si unisce a loro e torna in paese. Quando arrivano a casa del negoziante taccagno, al viaggiatore viene servita una cena sontuosa con ottimo vino e dei dolci prelibati per dessert. Gli viene data una stanza lussuosa, con un soffice letto di piume d'oca. La mattina dopo, mentre lo sconosciuto sta per partire, il negoziante e sua moglie non resistono più per l'eccitazione, in attesa che l'uomo pronunci le sue parole magiche a loro beneficio. Infatti lo straniero ringrazia i padroni di casa e dice: "La prima cosa che farete stamattina continuerà per tutto il giorno". Spingendo frettolosamente lo straniero fuori dalla porta, il negoziante e sua moglie si precipitano al negozio. Aspettandosi un gran numero di acquirenti, il negoziante prende la scopa e comincia a spazzare il pavimento per prepararsi all'assalto della clientela. Volendo essere certi di avere abbastanza moneta da dare di resto, la moglie comincia a contare gli spiccioli che ci sono in cassa. Lui ramazza e lei conta. Lei conta e lui ramazza. Sono talmente presi da queste faccende che non riescono a smettere di spazzare e di contare i soldi finché il giorno non volge al termine. Sia il fornaio sia il negoziante taccagno avevano ricevuto la stessa predizione. Il panettiere comincia la giornata in modo positivo e generoso e riceve grande abbondanza. Il negoziante avaro la comincia in modo negativo ed egoistico e non ne ricava niente. La predizione è neutrale. La vostra capacità di creare la vita che desiderate è neutrale. Usatela. Raccoglierete ciò che seminerete. E ricordate che, quando qualcuno vi critica aspramente, lo fa perché spinto dalle proprie paure e insicurezze personali. Le critiche provengono da quella che percepiscono come una posizione debole, e amplificano le loro pungenti accuse come metodo per apparire grandi e forti quando in realtà sono piccoli e deboli. Proiettano i loro timori e il loro disagio sugli altri. Tentano di ferire perché sono sofferenti. Se vogliamo migliorare il mondo, il primo passo deve consistere nella cura della disarmonia che alberga nella nostra anima. Modificare il linguaggio alla fine modifica i pensieri, i quali, a loro volta, modificheranno il nostro mondo. Quando smettiamo definitivamente di lamentarci, rimuoviamo lo sfogo primario della nostra negatività, cambiamo modo di pensare e diventiamo più felici. Non potendo esprimere i pensieri distruttivi, la mente cessa di produrli. Quando smettiamo di esternare verbalmente il malcontento, la mente comincia a trovare spazio per la felicità e la gratitudine. La nostra fabbrica di pensieri è in produzione a ciclo continuo, e in assenza di richieste di negatività si attrezza di nuovo e produce pensieri felici. Il mondo esteriore è una proiezione del mondo interiore. I rapporti con gli altri dipendono dal rapporto che abbiamo con noi stessi. Non potete curare gli altri se prima non curate voi stessi. Tutto comincia da voi. In Mt 7,3 Gesù dice: "Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?". Se intorno a voi notate una grande quantità di persone che si lamentano in continuazione, forse dovreste controllare che non ci siano travi nel vostro occhio. Al completamento dei ventun giorni consecutivi liberi da lamentele siete cambiati. Da persone assuefatte ai piagnistei, dopo anni di dolore siete ora in convalescenza. Gli alcolisti dicono che, a prescindere da quanto a lungo sono stati sobri, se passano troppo tempo vicino agli alcolici finiranno per bere. Se la gente intorno a voi si lamenta, provate ad analizzarvi interiormente per vedere se siete stati voi ad attirare queste persone. Se quando siete diventati liberi da lamentele gli altri insistono a mugugnare, evitateli. Se questa gente lavora con voi, cambiate ufficio, oppure cambiate lavoro. L'Universo vi sosterrà lungo la nuova strada positiva che avete intrapreso. Se si tratta di amici, forse vi accorgerete che siete evoluti oltre il rapporto che avevate finora con loro. Perfino se sono vostri parenti potrebbe essere meglio limitare le vostre frequentazioni con loro. Non permettete ad alcuna persona negativa di derubarvi della vita che cercate. Occorrono ventun giorni per consolidare un'abitudine. Potete perdere l'abitudine di non lamentarvi con ventun giorni del vostro vecchio comportamento, perciò fate attenzione a chi vi circonda, perché potreste essere tentati di seguirne l'esempio. Se non prestate attenzione, affonderete di nuovo nel pantano della negatività. E ricordate che prendere le distanze da una persona lagnosa potrebbe rappresentare proprio la molla che la spinge a esaminare la sua vita e a decidere di crescere. Il modo migliore per essere d'aiuto agli altri è quello di costruirsi una vita scevra da lamentele. Così facendo donerete amore alle persone a voi vicine. La definizione migliore di "amore" che ho trovato in vita mia appartiene al dottor Denis Waitley, uno dei più apprezzati conferenzieri e consulenti americani per il potenziamento delle prestazioni umane: "L'amore è accettazione incondizionata e ricerca del bene". Quando accettiamo gli altri e le situazioni e vi cerchiamo il bene, proveremo sempre maggiore bontà, perché il punto focale su cui concentriamo l'attenzione la attira nella nostra realtà. Questo significa che non cerchiamo di obbligare gli altri a smettere di lamentarsi. Le nostre vibrazioni positive attireranno verso di noi persone felici, e chi non è così si sentirà a disagio in nostra compagnia e si allontanerà. Usare vecchie espressioni in modo nuovo è essenziale per vivere una vita sgombra da lamentele. Quando capita qualcosa di buono, indipendentemente da quanto sia importante, ditevi: "Ma certo!", consapevoli dell'effetto "calamita" sulle benedizioni del cielo. Potete anche semplicemente fare un tacito sorriso d'intesa a voi stessi. Avete trovato un posto libero nel parcheggio proprio davanti all'entrata del negozio in un giorno di pioggia scrosciante? Esclamate: "Che fortuna!". Lì per lì vi dimenticate di mettere una moneta nel parchimetro e quando tornate non trovate nessuna multa sotto il tergicristallo? Esclamate: "Mi capita sempre!". Se qualcuno vi rimbrotta a muso duro riguardo a qualcosa, ditegli: "Grazie per avermi insegnato l'umiltà". Forse all'inizio potrà sembrarvi un po' sciocco, ma ogni volta che usate parole o frasi positive affrontando le vostre esperienze quotidiane, state costruendo con dei solidi mattoni le fondamenta della gioia e della prosperità. Diverse persone hanno usato la definizione "moda passeggera" parlando dei braccialetti viola IO NON MI LAMENTO. Nel suo libro How to Create Your Own Fad, Ken Hakuta fornisce la seguente definizione di "moda passeggera": "Qualcosa che oggi vogliono tutti e che nessuno vuole domani". Se così è, allora i braccialetti viola potrebbero essere una moda passeggera. Di certo, a giudicare dalle migliaia di richieste che riceviamo ogni giorno, oggi sembra che tutti lo vogliano. Quando qualcuno mi chiede quando ritengo che le richieste raggiungeranno il limite massimo, di solito rispondo: "Non appena arriveremo a sei miliardi". Vale a dire un braccialetto per ogni essere umano sulla Terra. In realtà, probabilmente non arriveremo mai a una cifra del genere. Un giorno o l'altro i braccialetti viola forse saranno considerati una banalità risalente al primo decennio del XXI secolo. Ma diventare libero da lamentele non può essere una moda passeggera. È un cambiamento radicale nella coscienza umana che resisterà nel tempo. Il genio è uscito dalla lampada e il mondo non sarà più lo stesso grazie a questa idea semplice eppure profonda. Attualmente stiamo lavorando con alcuni psicologi dell'infanzia per stendere programmi scolastici IO NON MI LAMENTO per bambini. Stiamo lavorando a modelli relazionali IO NON MI LAMENTO, postazioni di lavoro IO NON MI LAMENTO, chiese IO NON MI LAMENTO e molte altre iniziative. Il nostro attuale obiettivo è di incoraggiare i capi di Stato in ogni parte del mondo a proclamare un giorno "libero da lamentele" che abbia cadenza annuale. Non un giorno festivo, ma una giornata come per esempio quella senza fumo che è stata istituita negli Stati Uniti. Una giornata intera in cui la gente possa gustare cosa significhi lasciarsi alle spalle le lamentele, le critiche e i pettegolezzi. Negli Stati Uniti e in Canada ci si sta muovendo a livello istituzionale per far cadere questa data alla vigilia del Giorno del Ringraziamento. Sarebbe più che logico e opportuno: si trascorrerebbe un giorno senza lamentele e si passerebbe direttamente il giorno dopo a una giornata di gratitudine. L'opposto della lamentela è la gratitudine. Se siete convinti e vi sentite spinti a realizzare questo progetto, mettetevi in contatto con un senatore, un deputato o con il presidente della vostra Regione, con il presidente della Repubblica o con un'altra alta carica dello Stato in cui vivete e proponete l'iniziativa. Alziamo il livello di consapevolezza del potere di trasformazione che questo programma ha potenzialmente in sé, in modo che la gente concentri l'incredibile energia collettiva che ne può scaturire sulla soluzione dei problemi piuttosto che sui problemi stessi. Nel romanzo Un volo di colombe di Larry McMurtry uno dei personaggi principali, un cowboy pseudointellettuale che si chiama Gus McCrae, incide un motto in latino in calce all'insegna di legno della sua attività. Il motto recita: Uva uvam vivendo varia fit. McMurtry non spiega la massima e in effetti la scrive in modo errato, presumo per dimostrare la scarsa dimestichezza del cowboy con il latino. L'ortografia esatta è: Uva uvam videndo varia fit. La frase significa che un acino d'uva cambia colore quando ne vede un altro. In altre parole: ogni chicco d'uva ne fa maturare un altro. In una vigna un acino d'uva comincia a maturare prima di tutti e così facendo emette una vibrazione, un enzima, una fragranza o un campo energetico di un certo tipo che viene intercettato da altri acini e grappoli. Quest'unico acino segnala agli altri che è tempo di cambiare, di maturare. Quando diverrete persone che cercano solo i sentimenti migliori e più elevati per voi stessi e per gli altri, sia nei pensieri sia nelle parole, semplicemente per il fatto di essere così segnalerete a chi vi sta vicino che è ora di cambiare. Anche senza volerlo aumenterete il livello di consapevolezza nel prossimo. Il sincronismo (o risonanza) è un principio possente. Credo che sia per questo che agli esseri umani piace abbracciarsi. Quando abbracciamo un'altra persona, anche se solo per un breve istante, i nostri cuori entrano in sincronia e ci ricordiamo che su questo pianeta c'è una sola vita. Una vita che condividiamo tutti. Se non scegliamo come vivere, vivremo per inerzia o per "abbandono", facendoci semplicemente trascinare dagli altri. Spesso seguiamo la massa senza nemmeno accorgercene. Da giovane mio padre dirigeva un motel di proprietà di mio nonno. Il motel sorgeva di fronte al parcheggio di un rivenditore di auto usate, e mio padre fece un accordo con il proprietario del salone. Nelle sere di magra per il motel mio padre attraversava la strada e spostava una decina di auto dal piazzale della concessionaria al parcheggio del motel. In breve tempo il motel si riempiva di clienti. La gente che passava davanti al motel pensava che, se il parcheggio era vuoto, il motel non doveva essere un granché. Al contrario, se il parcheggio del motel era pieno di macchine, gli automobilisti di passaggio presumevano che fosse un ottimo posto in cui fare tappa. Seguiamo gli altri. E ora siete diventati persone che guidano il mondo verso la pace e la comprensione. Stanotte sono stato svegliato verso le tre dai coyote che ululavano. Tutto è cominciato con l'uggiolio di un cucciolo e in pochi minuti tutto il branco era stato contagiato. In breve tempo i nostri due cani, Gibson e Magic, si sono messi a loro volta a ululare, unendosi al coro. Ben presto i cani dei nostri vicini di casa si sono aggiunti e il coro si è diffuso per tutta la valle, in ogni direzione, a mano a mano che i cani delle varie fattorie si aggiungevano agli altri. Come un sassolino lanciato in uno stagno, i coyote avevano prodotto un'increspatura che si era diffusa in cerchi concentrici. Dopo un po', sentivo ululare cani e coyote ovunque chissà fin dove, anche a chilometri di distanza, e tutto aveva avuto inizio da un solo cucciolo di coyote. Chi sei produce un effetto sul mondo in cui vivi. In passato il tuo effetto forse può essere stato negativo a causa della tua propensione a lamentarti continuamente. Adesso però stai sprigionando ottimismo e stai costruendo un mondo migliore per tutti. Sei un'increspatura nell'oceano immenso dell'umanità che si propaga in tutto il mondo. Sei una benedizione.
1) Robin M. Kowalski, Complaints and Complaining: Functions, Antecedents, and Consequences in "Psycological Bulletin", 1996, 119, p. 180. ↵ 2) Ibid., p. 186. ↵ 3) Robin M. Kowalski, Complaints and Complaining: Functions, Antecedents, and Consequences in "Psycological Bulletin", 1996, 119, p. 181. ↵ 4) Robin M. Kowalski, Complaints and Complaining: Functions, Antecedents, and Consequences in "Psycological Bulletin", 1996, 119, p. 181. ↵