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17/10/2018 Numeri, numerielli e numericchi: la qualità dei dati scientifici (Parte III) - www.pellegrinoconte.

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Numeri, numerielli e numericchi: la qualità


dei dati scienti ci (Parte III)
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Nelle prime due parti del reportage sulla qualità dei dati scienti ci ho posto l’attenzione
sulla differenza tra riviste chiuse e riviste aperte (qui) e ho evidenziato che la scarsa
qualità dei dati scienti ci non riguarda solo i predatory journal, ma anche giornali
ritenuti molto af dabili (qui). In altre parole ho puntualizzato che la cosiddetta bad
science, ovvero ciò che sfocia nella pseudo-scienza, è trasversale; ne sono pervase un
po’ tutte le riviste: siano esse predatory journal oppure no; siano esse open-access
oppure no. Ne ho discusso anche altrove (per esempio qui e qui), quando ho evidenziato
che lavori poco seri sono apparsi su Nature e Science (riviste al top tra quelle su cui
tutti noi vorremmo pubblicare) e che più che dal contenitore, ovvero dalla rivista,
bisogna giudicare la qualità di un lavoro scienti co sulla base di ciò che viene scritto.
Nonostante questo, tutte le istituzioni accademiche e non, riconoscono che la
probabilità di avere bad science in un predatory journal è più alta che nelle riviste

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considerate non predatory; per questo motivo tutte le istituzioni formulano delle linee
guida per tenersi lontani da riviste di dubbia qualità.

I N C H E M O D O D I F E N D E R S I DA L L A B A D S C I E N C E D E L L E R I V I S T E
P R E D AT O R I E ?

Esistono tanti siti al riguardo. Per esempio, la mia Università, l’Università degli Studi di
Palermo, mette a disposizione una pagina (qui) in cui elenca una serie di siti web da cui
attingere per valutare se una rivista è seria oppure no. In particolare, se la rivista in cui si
desidera pubblicare è compresa negli elenchi dei link riportati ed è anche nella Beall’s
list of predatory journals and publishers, con molta probabilità si tratta di un predatory
journal a cui si raccomanda di non inviare il proprio rapporto scienti co. Se, invece, la
rivista o l’editore sono negli elenchi citati ma non nella  Beall’s list of predatory journals
and publishers, con buona probabilità si tratta di riviste non predatorie. Qual è il limite di
queste raccomandazioni? I predatory journal spuntano come funghi per cui  è possibile
che ci si imbatta in una rivista che non è stata ancora catalogata come predatoria. Cosa
fare in questo caso? Bisogna ricordarsi che tutte le riviste predatorie hanno in comune
alcuni caratteri essenziali che le distinguono dalle riviste più accreditate:

1. Comitati editoriali anomali, non determinati o inesistenti


2. Tendenza a pubblicare lavori scienti ci in settori molto eterogenei tra loro
3. Tasse per la pubblicazione estremamente basse (in genere meno di 150 €)
4. Presenza di immagini sfocate o non autorizzate presenti nei loro siti web
5. Richiesta di invio dei lavori mediante posta elettronica, spesso a indirizzi e-mail non
professionali o non accademici, e non attraverso un sistema di invio on-line
6. Mancanza di qualsiasi politica sulle ritrattazioni, correzioni, errata corrige e plagio (più
della metà delle riviste più accreditate descrive nei propri siti web come comportarsi in
ognuna delle quattro circostanze)
7. Basso o inesistente valore di impact factor (IF)

Tutti questi caratteri possono essere presenti contemporaneamente o in parte in una


data rivista. Tuttavia, la loro presenza non necessariamente deve essere indice di
predazione. Infatti, per esempio, una rivista nuova non ha l’impact factor che si calcola
confrontando il numero di citazioni di tutti gli studi pubblicati in un biennio col numero
totale di studi pubblicati nello stesso biennio (qui). Questo signi ca che una rivista può
cominciare ad avere un IF solo a partire dal terzo anno di vita. Se la rivista è di nuova
fondazione, può attuare una politica di incentivazioni alla pubblicazione fornendo
agevolazioni ai ricercatori che decidono di inviare il loro lavoro. Per esempio, la ACS
Omega (una rivista ancora senza IF della American Chemical Society, ACS) permette la
pubblicazione gratuita a chiunque disponga di voucher (del valore di circa 750 $)

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elargiti dalla ACS a ricercatori di paesi in via di sviluppo o con problemi di fondi di
ricerca per la pubblicazione in open access. C’è anche da dire che attualmente è
abbastanza facile costruire siti web accattivanti ed attraenti. Per questo motivo, a
meno che non si tratti di truffe molto evidenti, è abbastanza dif cile trovare riviste
predatorie con siti web fatti male. In ne, in passato ho pubblicato su riviste molto
importanti del mio settore (quindi non predatorie, non open access e con ottimo IF), il
cui editor rispondeva ad un indirizzo e-mail con dominio gmail.com.

M A A D E S S O S T O D I V E N TA N D O P R O L I S S O . B A S TA A N N O I A R V I .

Ho aperto questo articolo scrivendo che tutte le istituzioni accademiche (e non) si


raccomandano di seguire le linee guida appena indicate per evitare di pubblicare su
riviste dalla scarsa qualità. In altre parole, le linne guida riportate sono un modo per
riconoscere l’attendibilità dei contenitori in cui “versare” le conoscenze scienti che che
noi raccogliamo dalla nostra attività di ricercatori. Per ora non vi voglio annoiare di più.
Nella quarta ed ultima parte di questo reportage dimostrerò che, in realtà, la qualità
della ricerca non dipende dalla tipologia di rivista, ma da ben altri fattori tra cui le
istituzioni che nanziano la ricerca e che, nello stesso tempo, si raccomandano di
tenersi lontani da certi giornali.

A LT R E L E T T U R E

https://www.enago.com/academy/identifying-predatory-journals-using-evidence-
based-characteristics/

https://bmcmedicine.biomedcentral.com/track/pdf/10.1186/s12916-015-0423-3

Fonte dell’immagine di copertina: https://www.efsa.europa.eu/it/press/news/170803

N O T E , S C I E N Z A E S O C I E TÀ

N OT I Z I E DA L M O N D O S C I E N T I F I C O , P S E U D O S C I E N Z A , P S E U D O S C I E N Z E , S C I E N Z A ,
S C I E N Z A E S O C I E TÀ

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