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Obiettivi : Realizzazione di una monografia sui primi aspetti della civiltà greca
¾ Avvicinare l’alunno al mondo greco attraverso la presentazione della sua
civiltà
¾ Individuare gli aspetti fondamentali della civiltà e della cultura greca
¾ Consapevolezza dell’importanza della civiltà greca che costituisce le “radici”
della nostra
¾ Capacità di confrontare la civiltà greca con le altre civiltà, oggetto di studio
degli alunni
¾ Approccio consapevole e meditato con le nuove tecnologie
Descrizione dell’attività:
La tematica è stata affrontata dalla prof.ssa Papa per dare direttive organizzative e gli
orientamenti per la ricerca. E’ stata elaborata , per tanto , una mappa concettuale che
è servita come guida per tutto il lavoro. Successivamente la classe è stata divisa in
gruppi di lavoro , a ciascuno dei quali è stato affidato il compito di effettuare
ricerche sui vari argomenti. In laboratorio, infine,il materiale raccolto è stato
organizzato in un unico documento Word.
Strumenti dell’attività:
• Seminari di approfondimento e dibattiti in classe con la guida dell’insegnante
• Filmati
• Documenti reperibili in rete
• Materiale didattico in forma cartacea sintetizzato e schematizzato al fine di
rendere più accessibile e chiaro l’argomento proposto
Modalità d’uso:
Si seguiranno criteri di opportunità , secondo le esigenze contingenti
L’attore:
In Grecia si chiama υποκριτής (colui che risponde): il suo ruolo non è da confondere
con quello dei mimi e dei saltimbanchi. Era di condizione libera e godeva di un certo
prestigio sociale. Nel teatro antico calcano le scene solo uomini che, con la maschera,
recitano anche le parti femminili (le donne sono escluse dalla recitazione almeno fino
all’età moderna: in Inghilterra fino alla fine del XVII secolo). Il numero degli attori
era inizialmente di due (con Eschilo), poi fu portato a tre (da Sofocle).
• Il Coro poi, che è alla base della nascita della tragedia, inizialmente era
formato da 12 coreuti (con Eschilo), poi il numero fu portato a 15 (con
Sofocle) e progressivamente (con Euripide) venne a prendere il suo ruolo
centrale.
La maschera consentiva all’attore di assumere vari ruoli, di far riconoscere al
pubblico i personaggi e, con la sua apertura boccale, anche di amplificare la voce.
Poteva essere fatta così:
• Biacca
• Maschera leggera di lino
• Maschera lignea (in seguito anche policroma) con attaccati i capelli (non si
usavano parrucche separate)
Costumi:
• Solenne e fastoso costume tragico, con ampie maniche che coprivano le
braccia e arrivavano fino alle caviglie; travestimenti vistosi e fantasiosi
(anche animaleschi) nella commedia.
• Coturni (alti calzari per la tragedia); stivali morbidi dalle suole sottili,
talvolta decorati e allacciati che coprivano parte del polpaccio (per la
commedia).
La tragedia greca
Metri usati:
• Trimetro giambico: nelle parti recitate
• Metri lirici e corali: nelle parti cantate / con accompagnamento di flauto o
cetra.
Argomenti trattati:
• La tragedia greca non affronta mai esplicitamente argomenti di attualità, ma
lo fa sempre attraverso il “mito”, poiché il coinvolgimento emotivo del
pubblico era tanto grande che, assistendo alle Fenicie di Frinico in cui si
rievocavano i drammi delle guerre persiane, il pubblico scoppiò in pianti e
gemiti. Il teatro di Eschilo è incentrato sul rapporto tra l’uomo e gli dei;
quello di Sofocle affronta l’isolamento dell’eroe e quello di Euripide tratta
numerosi temi quali la guerra, l’amore, la schiavitù, il mondo dell’infanzia
ecc.
La commedia greca
Metri usati:
• Trimetro giambico e tetrametro trocaico per le parti recitate
• Varietà di metri nelle parti liriche
Argomenti trattati nella commedia antica (Aristofane, Eupoli, Cratino), di mezzo
(Anassandride, Alessi), e nuova (Menandro, Filemone, Difilo):
• Commedia antica: Aristofane affronta sulla scena in modo diretto i
problemi che affliggono l’Atene del V secolo: tema della pace (Acarnesi,
Pace, Lisistrata), tema della struttura della società (Cavalieri, Vespe,
Uccelli, Ecclesiazuse), tema della distribuzione delle ricchezze (Pluto),
tema dell’educazione (Nuvole, Tesmoforiazuse, Rane);
• Commedia di mezzo: rinuncia alla tematica politica e alla sua carica
aggressiva (parodia del mito, amore come protagonista delle trame,
tipizzazione dei personaggi come il soldato fanfarone e il parassita
ingordo);
• Commedia nuova: trame borghesi (bambini “esposti” appena nati e
ritrovati da adulti in seguito all’agnizione; giovani che si innamorano di
etere; vecchi scorbutici e avari che si redimono ecc.).
Il teatro a Roma
Nel 240 a.C. pare si sia svolta a Roma la prima " regolare " rappresentazione teatrale
( opera di Livio Andronico ) e tutti i poeti dell'età arcaica compongono opere teatrali.
Il teatro latino ha origini etrusche ed etrusco è anche il nome histrio che designa
l'attore. La cultura teatrale etrusca potrebbe anche essere stata influenzata dalla
cultura greca e così questa sarebbe giunta ai Romani.
Anche a Roma, come in Greci, lo stato organizzava gli spettacoli durante cerimonie
pubbliche religiose.
L'attore:
• A Roma l'attore, histrio, non recitava soltanto, ma era anche un mimo e una
specie di saltimbanco. La sua considerazione sociale era nettamente
inferiore a quella dell'attore geco.
• Nel 207 a.C. Fu fondato il collegium scribarum histrionumque
(confraternita degli autori e degli attori).
• I magistrati che organizzavano gli spettacoli dovevano contattare il
dominus grecis (capocomico): egli dirigeva la compagnia,faceva da
impresario e poteva collaborare anche con gli autori.
Scenografie:
Maschera:
La tragedia
• Conosciamo meno bene il teatro tragico latino delle origini: sembra che i
Romani non possedessero le strutture sceniche, coreografiche e musicali del
teatro greco. Mancando il “coro” nella tragedia, l'elemento che dava
solennità all'opera, i latini innalzarono tutto il livello stilistico dei drammi.
Viene così usato un linguaggio elevato, distante dalla lingua d'uso.
L'atellana
Il teatro a Roma
Nel 240 a.C. pare si sia svolta a Roma la prima " regolare " rappresentazione teatrale
( opera di Livio Andronico ) e tutti i poeti dell'età arcaica compongono opere teatrali.
Il teatro latino ha origini etrusche ed etrusco è anche il nome histrio che designa
l'attore. La cultura teatrale etrusca potrebbe anche essere stata influenzata dalla
cultura greca e così questa sarebbe giunta ai Romani.
Anche a Roma, come in Greci, lo stato organizzava gli spettacoli durante cerimonie
pubbliche religiose.
Le più comuni feste teatrali erano:
Spettacoli rappresentati:
L'attore:
• A Roma l'attore, histrio, non recitava soltanto, ma era anche un mimo e una
specie di saltimbanco. La sua considerazione sociale era nettamente inferiore a
quella dell'attore geco.
• Nel 207 a.C. Fu fondato il collegium scribarum histrionumque (confraternita
degli autori e degli attori).
• I magistrati che organizzavano gli spettacoli dovevano contattare il dominus
grecis (capocomico): egli dirigeva la compagnia,faceva da impresario e poteva
collaborare anche con gli autori.
Scenografie:
Maschera:
La commedia
La commedia palliata che conosciamo meglio è quella di Plauto, che si rifà come
modello alla commedia nuova di Menandro, ma con alcune differenze:
La tragedia
Conosciamo meno bene il teatro tragico latino delle origini: sembra che i Romani non
possedessero le strutture sceniche, coreografiche e musicali del teatro greco.
Mancando il “coro” nella tragedia, l'elemento che dava solennità all'opera, i latini
innalzarono tutto il livello stilistico dei drammi. Viene così usato un linguaggio
elevato, distante dalla lingua d'uso.
L'atellana
Il teatro di Euripide
Euripide, nato secondo la tradizione, a Salamina nel 480 a.C., proprio il giorno della
battaglia contro i Persiani, ebbe umili origini che tuttavia gli permisero una buona
formazione culturale. Visse nell'Atene del V secolo a.C. , in un'età di crisi politica
(sono gla anni della fine delle guerre persiani e della rovinosa guerra del
Peloponneso) , subendo l'influenza da un lato della Sofistica, verso cui ebbe un
atteggiamento critico, e dalla altro della medicina ippocratica.
Si tramanda che avesse composto, con scarso successo, circa novanta tragedie, di cui
ne restano diciassette, che in ordine alfabetico sono: Alcesti (438), Andromaca,
Baccanti (406-405: fu rappresentata postuma), Ecuba, Elena (412), Elettra, Eracle
furente, Eraclidi , Fenicie, Ifigenia in Aulide, Ifigenia in Tauride, Ione, Ippolito
(428), Medea (431), Oreste (408), Supplici, Troiane (415).
L’intervento del Coro a quello di un personaggio (Medea) o lo stasimo commatico
lega il canto del Coro a quello dell’attore (Supplici III e IV Stasimo; Medea V
stasimo) o il Coro è occasionalmente diviso in due semicori (Alcesti) o viene
raddoppiato (Ippolito, IIIstasimo: Coro dei cacciatori e delle donne di Trezene).
L’importanza del Coro viene tuttavia recuperata da Euripide nella sua ultima
tragedia, le Baccanti, il cui titolo rimarca il ruolo da protagonista assunto dal Coro
delle invasate donne di Tebe. Ma si tratta di un’opera anomala e di discussa
interpretazione nel vasto panorama di soluzioni del teatro euripideo.
Deus ex machina. Si tratta senza dubbio dell’elemento più spettacolare del teatro
euripideo. È usato nell’Alcesti (Eracle), nella Medea (la protagonista appare in alto,
sul carro del Sole), nell’Ippolito (Artemide), nell’Andromaca (Teti), nelle Supplici
(Atena), nell’Elettra (Dioscuri), nell’Elena (Dioscuri), nell’Ifigenia in Tauride
(Atena), nello Ione (Atena), nell’Oreste (Apollo), nell’Ifigenia in Aulide (Artemide) e
nelle Baccanti (Dioniso).
Elemento patetico. Euripide una il pathos in molte scene delle sue tragedie, come ad
esempio nel momento in cui Medea si congeda dai figli o Alcesti dal marito e dalla
vita.
Sensibilità verso il problema della guerra e della schiavitù. Euripide visse quasi
tutto l’arco della durata della guerra del Peloponneso: nel 431 a.C., anno di inizio del
conflitto, compose Medea, in cui traspare ancora un certo ottimismo e fiducia nella
potenzialità di Atene, come dimostra il III stasimo della tragedia. Il motivo
encomiastico è presente anche nelle Supplici, in cui compare l’alleanza tra Atene e
Argo, tradizionalmente esaltata dalla propaganda democratica di Atene.
Ma negli anni del conflitto prese sempre più corpo l’idea che la guerra è sempre e
comunque male, nella consapevolezza che il conflitto può mutare rapidamente le sorti
dei vincitori e dei vinti, capovolgendole, come avviene ad esempio nell’Ecuba, nelle
Troiane, negli Eraclidi e nella Andromaca.
Amore sulla scena teatrale. Le dichiarazioni d’amore sulla scena sono una delle
innovazioni euripidee. Fedra, ad esempio, tra mille difficoltà dichiara il suo amore
per Ippolito alla Nutrice; Medea arde di passione e di sdegno per il tradimento subito
da Giasone; Acesti sacrifica la sua vita, come estremo dono d’amore per il marito
Admeto.
Influenza culturale della medicina ippocratica. L’agonia di Fedra è verbo tale che
la Nutrice, preoccupata della prostrazione della padrona, vorrebbe chiamare un
medico; e la pazzia di Eracle, per i dettagli e la precisione delle descrizioni, richiama
ad attenzione “clinica” delle varie sintomatologie, proprio della cultura medica del
tempo.
Critica agli dei tradizionali e dominio della tyche. Euripide fu anche accusato di
“ateismo” e, se questo rilievo sembra eccessivo, è pur vero che l’autore ebbe un
atteggiamento critico verso gli dei tradizionale. Nell’Alcesti, ad esempio, Eracle
irrompe in casa di Admeto e, ignaro del lutto che lo ha colpito, si lascia andare a
gozzoviglie più consone ad una commedia; nell’Ippolito Afrodite è una dea
vendicativa, che vuole punire il giovane che le preferisce Artemide. Artemide stessa,
poi, non si dimostra sufficientemente protettiva verso il suo devoto, se permette che
la vendetta della dea dell’amore si compia promettendo solo dopo la morte di Ippolito
un culto riparatore in suo onore. Nell’Eracle sono gli dei ad inviare al semidio il
demone della follia, senza che questo abbia commesso delle colpe. Nell’Efigenia in
Tauride Afrodite risparmia di Agamennone, ma la costringe a vivere in un esilio,
sacerdotessa di un rito cruento. Nella tragedia a sfondo borghese dello Ione (sarà un
modello per le trame delle commedie menandree, con l’agnizione finale del figlio
abbandonato in fasce) Apollo è un irresponsabile don Giovanni che deve prendersi
cura del figlio nato dalla sua unione con la mortale Creusa. Sempre Apollo,
nell’Elettra, è visto come autore di un responso non saggio. La tyche, ovvero una
forza imperscrutabile e casuale, interviene in numerose trame delle già citate tragedie
euripideee: Elena, Ifigenia in Tauride, Ifigenia in Aulide, Ione, Oreste ecc. è la
progressiva sfiducia negli dei tradizionali che porta a dare spazio a questo elemento
soprannaturale, che tanta fortuna avrà nella cultura ellenistica del IV-III sec. a.C.
Rimane poi da prendere in esame l’ultima tragedia dell’autore, le Baccanti, di
impianto arcaico e dal messaggio enigmatico. Il dramma si impernia, infatti,
sull’incontro-scontro tra Penteo e Dioniso: i due si fidano a vicenda e dopo le inutili
esistenze della ragione alla irrazionale dottrina sionistica, a poco a poco il dio fa in
modo che il re della città provi curiosità e desiderio di conoscere il nuovo. Penteo
allora si traveste da donna, ma scoperto dalle Menadi vieni fatto a brani delle propria
madre, Agave, senza che questa, invasata, lo riconosca. Quale è la lettura del
messaggio poetico? La tragedia si presenta dialetticamente ad una interpretazione che
metta in luce i pericoli dell’irrazionalità ( e quindi della dottrina dionisiaca) o ad una
chiave interpretativa che metta in guardia dall’opporsi ostinatamente all’invadenza
del dio, capace di possedere le menti degli uomini attraverso il potere magnetico del
suo sguardo. Dioniso, poi, non appartiene alle divinità olimpiche, i suoi culti sono
extracittadini e riservati in particolare alle donne, tradizionalmente emarginate dalla
società greca. Sostenere le ragioni di Dioniso significa sostenere anche le ragioni del
“diverso”, di chi non è interrogato nella polis.
Spunti eziologici nei finali delle tragedie. Euripide concluse alcune delle sue
tragedie con riferimenti all’origine di un culto, anticipando così un gusto pre-
ellenistico per la poesia eziologica e dotta. È il caso, ad esempio, della Medea,
dell’Ippolito, degli Eracliti, dell’Eracle, dell’Ifigenia in Tauride e dell’Elena .
Biografia
Il pensiero di Erodoto
• Ακοή: ho sentito
• Οψις: ho visto
• Γνωμη: ho ragionato
Erodoto dichiara quindi espressamente che lui ha un metodo e che i suoi racconti
sono veridici. In realtà Erodoto accosta in maniera asistematica dati autentici a fatti
palesemente fabulosi: il fine era quello di far divertire gli spettatori. Erodoto è quindi
ancora a una via di mezzo fra il logografo e lo storico: è un narratore. Si può tuttavia
ritenere Erodoto il padre della storiografia perché ci sono degli assunti metodici
corretti. È però fondamentale tenere ben presente le finalità epico-narrative, la scarsa
criticità e la quasi totale assenza di ricerca scientifica delle fonti.
Erodoto introduce nel suo pensiero anche quella che noi oggi potremmo chiamare
filosofia della storia. Secondo Erodoto, infatti, protagonista della storia è la divinità,
che è garante dell'ordine universale ed è quindi una divinità conservatrice. Nell'attimo
stesso in cui l'ordine viene compromesso la divinità interviene, in base a quel
principio che l'autore definisce come φθόνος τῶν θεῶν (invidia degli dei). Tale
principio filosofico si basa su una concezione arcaica della divinità: nella Grecia
antica, gli dei possedevano attributi piuttosto "umani", ed erano piuttosto gelosi della
propria gloria e del proprio potere. L'uomo che ottiene troppa fortuna, dunque,
incorre nella loro φθόνος, invidia, e viene conseguentemente ucciso o privato della
propria gloria. Egli deve quindi adeguarsi alla loro volontà, cercando di capirla con le
divinazioni, gli oracoli e l'oneiromanzia (interpretazione dei sogni). Quella di Erodoto
non è degradazione cabalistica, ma è uno schema mentale di asservimento alla
divinità, tipico dell'età arcaica.
Relativismo erodoteo
L'ambiente in cui viene a contatto lo storico è l'Atene di Pericle, nella quale i valori
tradizionali dell'aristocrazia naturale vengono contestati veementemente dai sofisti,
intellettuali polemici che fondano la propria critica nella condanna dei nomoi,
convenzionali ovvero artificiali quindi non degni di rispetto, importanza, interesse.
Erodoto risponde unendo e facendo propri alcuni aspetti contrari delle due visioni,
riuscendo a sfuggire alle critiche e dando significato proprio alla sua ricerca. Egli,
attraverso il relativismo di Protagora rifiuta di riconoscere come unica degna di
attenzione la tradizione greca, affermando che ad ogni uomo i propri costumi
appariranno sempre i migliori, e contesta ai sofisti l'inutilità o la dannosità dei nomoi
affermando che essi meritano attenzione e rispetto in quanto espressione per ciascun
popolo della propria tradizione e cultura. La modernità di Erodoto è chiara proprio in
questo passaggio culturale e storiografico.
La questione erodotea
Una prima ipotesi sistemerebbe l'opera mettendo prima le guerre persiane e poi i
λόγοι (discorsi) introduttivi.
Jacoby, nel 1913, ipotizzò che in origine l'opera fosse stata composta in chiave
acroamatica (destinata cioè alla pubblica lettura, in discorsi separati) e che poi
Erodoto, venuto a contatto con l'ideologia periclea, abbia fuso assieme tutti i vari
discorsi. De Sanctis teorizzò invece che Erodoto avesse raccontato la storia dal punto
di vista dei Persiani e che, di conseguenza, abbia presentato i vari popoli da essi
incontrati.
Infine, l'ipotesi unitarista afferma che Erodoto raccontò la storia delle colonie greche
secondo un'ottica universalistica, rappresentando lo scontro fra Oriente e Occidente. I
sostenitori di tale ipotesi mettono in luce l'episodio iniziale dell'opera,
l'assoggettamento delle colonie greche da parte di Creso (560 a.C.), e l'episodio
finale, la liberazione di Sesto, ultima città greca in mano ai Persiani.
La novella di Gige e Candaule
William Etty, Candaule, re di Lidia, mostra di nascosto sua moglie a Gige, una delle sue guardie
del corpo, mentre va a letto
Erodoto, Storie I, 8-12
Appena Gige fu giunto, la donna disse: “delle due strade che ora ti si presentano, ti do
la scelta, Gige, di prendere quella che vuoi: o uccidi Candaule e hai me e il regno di
Lidia; oppure devi morire subito, perché tu, per il futuro, obbedendo in tutto a
Candaule, non veda ciò che non devi. In vero, deve morire l’autore di questa trama o
tu, che mi hai contemplato nuda e hai fatto cose non lecite”. Gige in un primo
momento a queste parole sbalordì, poi la supplicò di non essere costretto a fare una
simile scelta. Tuttavia non la persuase, ma comprese davvero che era ferma necessità
o uccidere il suo signore o che egli stesso fosse ucciso da altri: scelse di sopravvivere.
La interrogò dunque così: “poiché mi costringi a uccidere il mio signore contro la mia
volontà, che io sappia in che modo attenteremo alla sua vita”. La donna replicando
disse: “l’attacco avverrà da quello stesso luogo da cui lui mi mostrò nuda; sarà
aggredito nel sonno”. Dopo che ebbero preparato l’attentato, quando fu notte, Gige
seguì la donna nella stanza nuziale: per Gige infatti non c’era remissione, non c’era
scampo alcuno: bisognava che morisse lui o Candaule. Lei gli diede un pugnale e lo
nascose dietro la stessa porta. Quindi, mentre Candaule dormiva, Gige sgusciò fuori
e, dopo averlo ucciso, ebbe la donna ed il regno.
Esercizi grammaticali: il genitivo assoluto.
Er. I, 12.2 Kαί μετά ταύτα αναπαυομένου Κανδαύλεω (…) έσχε καί τήν γυναίκα καί
τήν βασιληίην Γυγης.
Er. I, 8.2 Κρόνου δέ ου πολλου διελθόντος (…) έλεγε προς τόν Γυγην τοιάδε.
Er. I, 30.1 Αυτών δή ών τούτων καί τής θεωρίης εκδημήσας ό Σόλων είνεκεν ες
Αίγυπτον.
Di Demogene di Cos
A poche settimane dalla morte del sovrano Candaule, continuano a trapelare indiscrezioni sulla
vedova e regnante,già pronta alle nuove nozze con la guardia fidata del re,Gige. L’ancella della
sovrana,dopo l’allontanamento dal palazzo,attraverso alcune dichiarazioni ha fatto pensare ad una
gravidanza tenuta nascosta dalla regina. Non ci sarebbe nulla da nascondere se il nascituro fosse
figlio del defunto Candaule, ma in caso contrario dovrebbero essere riconsiderate le testimonianze
in merito alle circostanze che hanno portato alla morte del congiunto:non sarebbe stata una vendetta
giustificata dalla legge dei Lidi sul pudore e la nudità violate, ma un reato condannabile in quanto
architettato per tenere nascosta una relazione illecita!
Fino a qualche giorno fa era una semplice guardia del corpo del re.
Ora Gige è detentore del trono della Lidia.
Di Callistene di Corinto
“Poiché bisogna pure che scompaia o lui che ha combinato questo tranello, o tu che mi hai visto
nuda e hai fatto ciò che non è lecito”: secca e risuonata l’alternativa della regina alla povera guardia
del corpo del re Candaule, Gige. Il re Candaule, orgoglioso della bellezza della propria moglie, non
è riuscito a tenere una così grande felicità dentro di sé ed ha voluto condividerla con uno dei più
fidati tra i suoi uomini, Gige, chiedendogli di osservare nuda la sua donna e verificare se fosse vero
quanto con tanta sicurezza ostentasse. Gige, ad un primo impatto sorpreso e sconvolto alle assurde
parole del re, dopo molta insistenza da parte di questi, che pure lo aveva messo al corrente del suo
piano, si vede costretto ad accettare. Ma il suo gesto, per quanto compiuto con il beneplacito del re,
sarebbe pur stato un atto illecito: nessuno di noi abitanti della Lidia accetterebbe di esser visto nudo
da altri che non sia il proprio uomo o la propria donna. Ancora incerta è l’esatta dinamica dei fatti,
ma di una cosa si è certi: la regina, pur fingendosi in un primo momento inconsapevole, si è resa
conto di tutto il fatto e, per questo, ha messo Gige davanti alla pesante alternativa di scegliere se
togliere la vita a chi gli aveva dato un così illecito ordine o piuttosto che fosse tolta a lui stesso che
lo aveva eseguito. L’esitazione di Gige è molta. Ma a vincere è l’interesse personale. La guardia del
corpo si sente costretta a tradire il suo re e, nel sonno – come aveva progettato la furba regina –
uccide il re. Da ieri il nuovo re della Lidia è Gige, che, con l’uccisione di Candaule ha ottenuto il
suo regno e la sua sposa.