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L'ESTETICA HERBARTIANA OSSIA LA TEORIA HERBARTIANA DEI VALORI ETICO-ESTETICI

Author(s): FRIDA GROSSO


Source: Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, Vol. 27, No. 4 (LUGLIO 1935), pp. 338-356
Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/43069808
Accessed: 26-07-2016 04:22 UTC

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FRIDA GROSSO

Dottore in filosofia

L'ESTETICA HERB AR TI AN A

OSSIA LA TEORIA HERBARTIANA

DEI VALORI ETICO -ESTETICI

I - L'ESTETICA HERBARTIANA IN RAPPORTO ALLA


FILOSOFIA DELLO HERBART

In questo mio lavoro vorrei parlare brevemente dell'estetica herbartiana


perchè, per me, la posizione che in essa lo Herbart assume, in antitesi allo
sviluppo idealistico del kantismo, sviluppo che era allora agli inizi, presenta
oggi un certo carattere di attualità.
L'estetica (ossia la teoria dell'arte e della morale) dello Herbart è in di'
retto rapporto con la sua metafisica.
L'uomo è morale, secondo lo Herbart, se si propone un fine morale. Ma
questo fine, scelto dall'individuo singolo, è universale, ed è l'attuazione env
pirica di una rappresentazione estetica, universale del mondo. Come possiamo
conoscere questo fine per proporcelo con chiarezza ? Esso che, per quanto
concerne i rapporti etici, è costituito di principi originari od idee estetiche, è
immanente alla coscienza della umanità, quale risulta dal suo complesso sto*
rico. Però questi principi originari, immanenti alla coscienza dell'umanità,
non sono soltanto interni alla coscienza ed alla volontà morale, come avviene
nel Kant, sono invece tratti dai rapporti che la volontà universale pone sulla
sostanza universale, cioè sull'essere eterno delle cose e dei valori.
Su ciò non vi è dubbio. Lo Herbart non riduce la moralità alla legge
della volontà pura, ma alla legge della volontà in rapporto alle cose. Questa
legge, che è data dal rapporto fra la volontà e le cose, è universale e costante.
Se il risultato è universale e costante, non c'è dubbio che i termini, cioè la
volontà e le cose siano universali e costanti. La realtà costante ed universale
delle cose ncn può che essere l'essere uno, assoluto certo posto dalla metafisica
herbartiana. Significativa è la posizione dello Herbart su questo punto. Per
lui l'essere eterno, indeterminato, uno, identico a se stesso, fonte perenne di
note e di valori perenni, trascende il soggetto, è, sulla sua datità nessun dub'
bio può essere sollevate.
Dunque, poiché la moralità sta nel proporsi un fine ed il fine morale è
il risultato di una volontà universale e di una sostanza metafisica su cui la

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L'ESTETICA HERBARTIANA OSSIA LA TEORIA HERBARTIANA DEI VALORI ETICO'ESTETICI

volontà si estrinseca, se ignoriamo l'esistenza di questa sostanza, ed il suo


valore, non possiamo intendere l'estetica herbartiana.
« L'uomo morale è compenetrato di umiltà »... « egli appare a se stesso
come chi trova una necessità »... (i). Se questa necessità non è logica, nè ma-
terialistico-empirica, ma estetica, essa però ha una profonda radice metafisica.
Essa « si caratterizza perchè in giudizi assoluti, senza alcuna prova, parla senza
che vi sia violenza alcuna nelle sue esigenze ed è assolutamente indipendente
dalla inclinazione, non la favorisce e non la combatte » (2). « Quando dal
profondo dell'anima erompe un giudizio del gusto, esso viene sentito spesso
come una forza violenta; per la maniera con la quale esso sorge come una
forza violenta che non sta propriamente in quello che esso dice. È fortuna,
se una tale violenza vince subito fin da principio: essa passa col tempo, ma
il giudizio rimane, è la sua lenta pressione che l'uomo chiama la propria co-
scienza » (3).
È ancora la sostanza indeterminata ed eterna, che si fissa in rapporti (ciò
che il giudizio dice), riflessi costantemente dalla sua imperscrutabile unità in-
determinata. Ciò che esiste in noi non è soltanto in noi, anzi è il tutto che ci
trascende nella sua infinità immensa, che ci trascende non perchè esista di là
da noi, ma perchè nella sua infinità è incontestabilmente dato.
Perciò non basta ricercare in noi. « Occorre... dedicarsi con attenzione a
ciò che ci sta dinanzi » (4).
« Occorre inoltre ordinare la conoscenza della natura in un sistema di
forze e di movimenti, i quali, fortemente perseverando sulla via già intra-
presa mentre proseguono nella stessa direzione, ci mostrano il modello della
legge e dell'ordine e di una misura fortemente determinata. Quanto sarebbe
manchevole la rappresentazione del mondo, quanto poco sarebbero compresi
in essa il bene ed il dato, quanto ondeggerebbe favolosamente nell'aereo spa-
zio delle immagini, se si escludesse la natura, e quanto male corrisponderebbe
allo spirito di una vita configurata secondo ragione ! Si crede forse di inse-
gnare ad agire solo per mezzo delle idee morali ? L'uomo sta al centro della
natura ed esso stesso è una sua parte, pervaso nell'intimo dalla sua forza. Egli
si contrappone alla violenza esterna con la sua propria energia, a modo suo,
secondo che egli si accinga prima a pensare poi a volere ed infine ad agire.
La catena della natura attraversa la volontà dell'uomo; ma in un punto de-
terminato per una determinata volontà... Questa sorte è la necessità, che op-
prime gli uomini; è questa necessità, che egli deve assolutamente vedere e
considerare per determinare giustamente i propri passi e la misura di essi, per
ogni singolo momento » (5).
Dunque il fondamento è posto nell'essere uno, indefinito, eterno, indiscu-
tibilmente dato, su cui lo Herbart insiste tanto nella sua metafisica.

(1) Herbart, Ueber die ästhetische Darstellung der Welt, in: Kehrbach, Sämtliche
Werke , I, 263.
(2) Op. cit., pag. 264.
(3) Op. cit., pag. 265.
(4) Op. cit., pag. 273.
(5) Op. cit., pag. 272.

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Lo Herbart per precisare poi la differenza che il pensiero filosofico, nella


coscienza delle proprie distinzioni, pone tra metafisica ed estetica, cioè tra
teoretica e pratica, parte dalla critica alla teoria di Platone (i). Egli, risolle-
vando i problemi della filosofia greca nella loro vitalità, cioè, nella loro attua-
lità, mette in risalto, come creda di doversi distaccare da Platone per due esi-
genze fondamentali:
1) L'immanenza dell'essere contro la trascendenza platonica.
2) L'indeterminazione dell'essere eterno, sostanza delle cose e dei va-
lori, determinato e definito in note qualitative e quantitative negli ideali mo-
delli platonici.
Mi spiego: Platone, dice lo Herbart, posta l'esistenza delle idee trascen-
denti, vuole determinarle come esistenti e conferisce loro l'essere, facendole
partecipare all'idea dell'essere; vuole determinarle come buone e conferisce
loro il bene, facendole partecipare all'idea del bene. Il bene come un Dio del'
l'armonia, cura la perfezione dell'idea, in modo tale, che i rapporti tra le idee
debbano necessariamente essere armonici; ed il tutto perfetto come qualità e
quantità; e come equilibrio di qualità e quantità (2). Questo mondo ideale in
Platone costituisce la sostanza delle cose, una sostanza compiuta determinata
in sè, perfetta.
Per lo Herbart invece, cose ed idee ci appaiono nell'esperienza, immanenti
all'esperienza. L'esigenza pratica ha sciupato in Platone l'intuizione metafisica
dell'essere. La determinazione della sostanza in qualità definite limitate ri-
dotte antropomorfizza, per l'esigenza di concretare il bene, l'essere. Partendo
dall'esperienza noi giungiamo soltanto ad affermare l'essere eterno delle cose
e dei valori, cioè noi giungiamo soltanto ad un essere metafisico, uno, inde-
terminato, assoluto a cui non possiamo attribuire i determinatissimi attributi
platonici con cui si caratterizzano le idee una volta tanto, ed una volta per
sempre perfettamente definite.
Partendo dall'esperienza giungiamo ad affermare soltanto che le cose
sono; di esse non sappiamo che questo, esse sono; le determinazioni delle
cose non sono attributi reali del loro essere. Le determinazioni definiscono le
cose per ciò che hanno, ma non per ciò che sono, cioè le determinano nei loro
rapporti reciproci e nei rapporti di esse con noi; vale a dire fissano delle re-
lazioni. E sulle relazioni si inseriscono i concetti di qualità e di quantità, che
furono invece per Platone attributi reali della sostanza.
Distinguendo poi il compito della metafisica da quello dell'estetica lo
Herbart: dice le determinazioni delle relazioni hanno un doppio aspetto (3);
sotto un primo aspetto sono specificative di quantità, ed allora sono relazioni
teoretiche; sotto un altro aspetto sono specificative di qualità ed allora sono
relazioni estetiche (4). Sono due mondi diversi che si innestano su di un fondo

(1) Herbart, Einl. in die Phil., pagg. 146-147*148, Leipzig, G. Hartenstein, 1850.
(2) Herbart, Op. cit., pagg. 248-40.
(3) Tarozzi, Introdu g. alla trad . della « Pedagogia generale dedotta dal fine dell' edu*
caftone », Bologna, Zanichelli, 193 1, pag. XV.
(4) V. Marpillero, Appendice al « Disegno di legione di pedagogia » dello Herbart*
Sandron, II ed., pag. 271.

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l'estetica herbartiana ossia la teoria herbartiana dei valori etico-estetici

comune. La differenza tra pratica e teoretica (e tra metafisica ed estetica) sta


dunque nella differente determinazione dell'essere, che può venir determinato
qualitativamente, e quantitativamente. Per quanto riguarda poi la costituzione
pratica di criteri morali e di opere d'arte, lo Herbart nota come si aggiunga
necessariamente il giudizio estetico (etico artistico di approvazione e di disap-
provazione).
« Il rappresentato del giudizio del gusto deve poter essere rappresentato
in modo puramente teorico; disgiunto dal giudizio del gusto, vale a dire senza
approvazione e disapprovazione, semplicemente come oggetto del conosci-
mento » (i).
Ma, benché il valore dato già riconosciuto sia per lo Herbart, in certo
modo, indifferente, nella formazione dell'opera d'arte e del principio morale,
si aggiunge necessariamente un giudizio di approvazione e di disapprovazione.
Il rappresentato del giudizio del gusto viene ad essere costituito dall'in-
differente e da un completamento (2) : che cos'è questo completamento ? È
la conciliazione dei valori esistenti, compiuti dalla volontà. Questa concilia-
zione, attuata dalla volontà, deve essere approvata da un sentimento o ten-
denza volitiva in un giudizio di approvazione.
Per portare un esempio, dice il nostro Autore, possiamo immaginare di
avere a disposizione parecchie note musicali, parecchi intervalli, una quinta,
una terza, e così via; queste note, questi intervalli sono assolutamente indif-
ferenti se non vengono conciliati in un rapporto estetico (3).
Se ci chiediamo « come, avendo a disposizione certi dati, potremo attuare
la rappresentazione estetica », che cosa risponderemo ?
Perchè essa sia possibile, risponde lo Herbart:
1) Occorre la compatibilità degli elementi. Questi elementi non stanno
passivamente l'uno accanto all'altro, ma debbono essere compatibili fra di loro
(note con note, colori con colori, pensieri con pensieri, ecc.) (4).
2) Occorre la volontà che attua il rapporto fra gli elementi compatibili
(il musico deve fare risuonare le note per produrre il rapporto) (5).
3) Occorre infine il giudizio di approvazione e di disapprovazione, che
giudica il rapporto, che la volontà ha attuato tra gli elementi conciliabili.
Questo giudizio è una specie di consenso della volontà stessa, che attua.
Così vediamo che il rappresentato del giudizio del gusto, come lo chiama
lo Herbart, del gusto costitutivo dell'opera d'arte o del principio morale, è il
risultato di varí elementi :

1) Dei valori;
2) Della volontà, che attua il rapporto fra valori esistenti (note per la

(1) Herbart, Schriften Zur praktischen Philosophie (Hartenstein, 1850), pag. 18.
Ciò prova che è molto dubbio, che « le relazioni tutte quante nella loro generalità, co-
stituiscono il campo di speciali giudizi, cioè dell'estimazione o valutazione », Tarozzi,
op. cit pag. XV.
(2) Op . cit*, pag. 18.
(3) Op . cit., pag. 18.
(4) Op. cit., pag. 19.
(5) Op. e loc. cit.

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creazione delPopera d'arte» musicale, diritti di ognuno, per la creazione dei


principi del diritto, ecc.);
3) Del giudizio di approvazione e di disapprovazione, che approva o
disapprova la volontà.
Così, se l'estetica ha in comune con la metafisica e con la teoretica i pre
supposti dell'essere dato, essa come filosofia se ne distacca, perchè assume
questo dato come valore, cioè come determinato qualitativamente, se ne di-
stacca ancora come teoria della pratica, cioè dell'attuazione volontaria, perchè
concilia i dati per mezzo di un giudizio di approvazione e di disapprovazione
creando rapporti suoi particolari.
Come si vede, lo Herbart distingue pratica e teoretica. Ma ciò che è si-
gnificativo ed è importante, secondo lui il rappresentato del giudizio del gu-
sto non è soltanto il prodotto di un'attività pratica. La conoscenza del valore
è conoscenza speculativa non solo, ma anche il giudizio sui rapporti estetici,
attuati dalla volontà, ha valore speculativo. Questi rapporti, realizzati da tutte
le volontà consenzienti, « si presentano sotto un aspetto speculativo, perchè
possono essere percepiti col pensiero e non coi sensi » (1).
Così pratica e speculazione si alternano nella creazione della rappresenta-
zione estetica, ed in tale realizzazione si fa sentire la doppia esigenza della
valutazione contemplativa e dell'attuazione pratica, due esigenze distinte e
poste in luce come tali anche se unificate nell'attualità presente.
Chiarite le linee di contatto e le divergenze dell'estetica con la metafisica,
mi pare utile vedere con precisione la definizione herbartiana della rappresen-
tazione estetica e dell'estetica.
Premetto: l'estetica dello Herbart può essere definita come la determina-
zione precisa dei rapporti universali posti tra valori universali. Questi rapporti,
che la volontà universale attua ed il giudizio approva, realizzano una rappre-
sentazione del mondo che lo Herbart chiama estetica.
L'estetica dello Herbart vorrebbe essere intesa alla determinazione della
sola forma delle relazioni attuate dalla volontà universale, che costituiscono
nel loro complesso la rappresentazione estetica del mondo. Ma in tutta la trat-
tazione herbartiana, vi è un richiamo continuo al contenuto metafisico, cioè
ai valori su cui si attuano le rappresentazioni della volontà. Nonostante l'in-
decisione dei critici dello Herbart (2), su questo punto io persisto a credere,
come dissi e confermerò, che questo contenuto esiste indiscutibilmente. Persi-
sto a credere che l'assunzione di questo contenuto, implicita in tutta la teoria
dello Herbart, si spieghi, dico si spieghi, non dico si giustifichi, richiamandoci
ai reali indiscutibilmente esistenti posti dalla metafisica.

(1) Herbart, Schriften Zur praktischen Philosophie, pag. 20.


(2) Il Mauxion a pag. 49'5o dell'opera L'Education par l'instruction (Alean, 1906),
dice che, come il Kant, lo Herbart pone una differenza tra ciò che è e ciò che deve eS'
sere. Ma secondo me, a differenza del Kant, lo Herbart pone il fondamento di ciò che
deve essere in ciò che è; ciò è evidente, se pensiamo alla persistenza con cui combatte
la libertà noumenica.

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2. - ESTETICA COME DETERMINAZIONE DELLA FOR'


MA UNIVERSALE DELLE RELAZIONI ESTETICHE

La forma estetica, ossia la forma dei principi morali ed artistici, cioè delle
espressioni di bellezza, è assolutamente distinta dal bello di natura, come dalle
esaltazioni mistiche di un soggettivismo che voglia trascendere la natura (i).
Il bello esiste, per lo Herbart, nella forma della rappresentazione spogliata da
ogni interesse soggettivo, non è soltanto il bello oggettivo esistente al di là
di noi, e neppure un bello trascendente la natura, è Tuno e l'altro, perchè è
la forma delle infinite rappresentazioni risultanti dai rapporti posti tra noi e la
natura, tra noi e noi (tra noi ed i nostri sentimenti); dalla volontà e da un
giudizio di approvazione, che valuta la volontà costituente i valori. Tali rap"
porti, per assumere carattere di bellezza, devono essere posti dalla volontà in
quanto universale e disinteressata, cioè spoglia da ogni soggettività (tendente
al gradevole, all'utile od all'affettività individuale). Devono inoltre rispondere
ad un giudizio di approvazione universale e disinteressata (cioè parimenti spo-
glio da ogni carattere di soggettività, sia pure universale, che tenda a cristal*
lizzare l'arte o la morale in una categoria intellettuale astratta (ornante, pate*
tico, solenne, generi letterari, ecc.) (2). Tali rapporti costituiscono una forma
estetica comune all'arte ed alla morale. Morale ed arte formano un complesso
unico, perchè tanto in arte, quanto in morale, agiscono simultaneamente una
volontà universale, ed un giudizio di approvazione e di disapprovazione uni-
versale, per creare una rappresentazione estetica del mondo, che ha valore
universale, assoluto ed eterno.
Questa rappresentazione ha valore assoluto ed eterno, perchè la volontà,
che attua la rappresentazione, prescindendo da ogni elemento soggettivo, in-
dividuale e contingente, si sottrae alla necessità del cambiamento, e può così
raggiungere una realizzazione di puri rapporti estetici validi di là dal tempo.
Così lo Herbart pone l'accento sulla pura forma estetica e la mette in evi*
denza, come elemento sostanziale della sua dottrina estetica. Definita la forma
in generale, egli vuole scendere a determinare, con precisione, la forma delle
rappresentazioni etiche, ed in seguito quella delle rappresentazioni artistiche.
Vuole determinarle in idee e principi precisi, che eromperebbero una volta per
sempre, quasi come le formule dell'imperativo categorico kantiano, che erom-
perebbero a differenza dell'imperativo categorico del Kant, dalla natura, cioè
dall'unità dell'essere nella sua totalità, anziché dalla legge della volontà pura.
Questi principi hanno così di fronte al principio della morale kantiana (la
volontà che si vuole per se stessa, cioè vuole il solo disinteresse) (3) il merito

(1) Herbart, Einleit. in die Phil., pagg. 41-42.


(2) Herbart, Einleit . in die Phil., page. 124 e s e gg.
(3) Lo Herbart cerca effettivamente di concretare il principio morale kantiano in
principi metafisici. Perciò va di là dalla concezione della morale kantiana, che, per
quanto riguarda il mondo empirico, esclude si possa determinare alcun bene o valore.
Il Kant, preoccupato di salvaguardare il disinteresse della morale (egli polemizza col-
l'utilitarismo dell'indirizzo empirico politico), non vede come si possa volere, pur man-
tenendo il disinteresse (quel disinteresse, che è esigenza di ogni morale, che non vo-

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di fondarsi sulla natura, cioè di essere veri e propri principi metafisici. Ma lo


Herbart per arrivare alla determinazione di tali principi formali (od astratti)
assume un contenuto empirico che crede universale ed universalizzabile (i).
Per la mancanza di un più esplicito riconoscimento del fondamento divino
delPessere egli nega all'essere conoscibilità e validità riducendo la validità dei
principi al riconoscimento umano di essi. Così quel contenuto che egli crede
universale ed universalizzabile pare tutťaltro che universale.
Infatti.
Egli ha posto Tessere, che nella sua immensità non riducibile ne a mate"
ria, ne a forma, indeterminato e non mai definito dai rapporti con cui lo co^
nosciamo, ci appare come inconfutabilmente dato. Ma la datità inconfutabile
di un essere così posto, qualitativamente indeterminato, porterebbe necessa-
riamente lo Herbart all'agnosticismo gnoseologico. Lo Herbart supera questo
agnosticismo anche per quanto riguarda l'estetica, oltre che per la metafisica,
e per l'esigenza di concretare in leggi, attribuendo all'essere la proprietà di
valere rispettivamente al soggetto, trae da esso la certezza di ciò che la cono*
scenza determina, fissando rapporti e dando a questi rapporti il valore di prin-
cipi inconfutabili.
Ma posto l'essere nella sua suprema immensità data e non determinata, il
passo da esso alle determinazioni concrete in principi precisamente formulati
appare sempre come una sostituzione di un particolare ad un universale. Tale
carattere hanno, come vedremo, i principi dello Herbart.
Dunque lo Herbart suppone dato l'essere, ammette la sua possibilità,
sempre indeterminata però, di valere sotto certi aspetti determinati e neces-
sari soltanto per quanto riguarda il rapporto stretto fra cose ignote, suppone
date le norme che con l'essere e col suo relativo valere sono strettamente con-
nesse, senza però essere una determinazione precisa di esso e del suo valore.
Le norme dunque sono necessariamente connesse con l'essere, ma da esso sono
tratte liberamente da una volontà, che con esse consente. Ora, questo derivare
necessariamente dall'essere, che in se non ha qualità e quindi non ha valore,
che assume valore dalla sua manifestabilità, valore che si concreta e si deter-
mina nel consenso, non dà, secondo me, alle norme, sufficiente garanzia di
validità. Neppure il consenso universale mi pare possa garantire v da parte sua
e per se stesso, come pare talora pensare lo Herbart, questa validità. Basta
infatti la validità che può loro garantire chi le assume come universalmente
riconosciute, se questo stesso che le assume non può attribuire all'essere un
più determinato e preciso valore di quello di essere qualitativamente indeter-
minato nella sua impenetrabile totalità ? Per quanto immensa sia la certezza

glia confondersi colFutilitarismo), disinteressatamente un bene empirico, cioè si possa


voler un bene perchè è bene. La morale cristiana, che appresa giustamente il mondo
creato , in quel suo valore intrinseco , valore che nòn può non derivare dall'analogia del
mondo col suo Creatore, quando proclama essere bene volere un bene, è ben più vera
della morale del puro disinteresse, voluto perchè è tale .
(i) Per quanto riguarda l'assunzione di un particolare contenuto nella pura forma
kantiana, assunzione di cui il Kant non si rende conto, vedi: E. Iu VALTA, Il vecchio e
il nuovo problema della morale, Bologna, Zanichelli, 1914.

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L'ESTETICA HERBARTIANA OSSIA LA TEORIA HERBARTIANA DEI VALORI ETICO'ESTETICI

di chi assume il principio» per quanto immensa sia la fiducia nell'umanità che
consente e lo determina» se Tessere non vale per quello che è (i)» ma soltanto
in riferimento ai rapporti che in esso si possono allacciare» non vedo come si
possa garantire la validità del principio.
Ho anticipato queste osservazioni critiche perchè appaia più chiaro ciò
che dirò via via parlando delle cinque idee etiche dello Herbart.

3. - RAPPORTI ETICO-ESTETICI

Vediamo ora quali siano, secondo lo Herbart» i rapporti etico-estetici» in


una costruzione estetica del mondo» che abbia valore universale. Tali rapporti»
«gli dice» non possono essere identificati con l'imperativo di una volontà pura
(cioè valida di per se stessa) ed indeterminata» ma sono determinazioni poste
dall'intelletto e dalla volontà nell'infinita totalità dell'essere ad esse immanente,
determinazioni precisate, definibili formalmente e determinate nella loro forma
in idee e principi dati.
Però» il dovere definire i rapporti in idee e principi» porta con sè la ne-
cessità di assumere un contenuto che lo Herbart sa di assumere» ma che crede
uguale per tutti, e per sempre. Egli crede di poterlo determinare» facendo
astrazione da ogni preconcetto di legge o di costume, crede di potere, per
raggiungerlo, operare in nome di una pura forma volitiva universale (la vo-
lontà pura del Kant ha avuto la sua efficacia), che dovrebbe poter fissare estrin-
secandosi sulla natura principi universali e costanti. Egli non riesce a dare a
queste idee, per quanti sforzi faccia, la validità incontestabile che a loro at-
tribuisce, perchè fonda questa validità su basi che, come dissi, non possono
garantirla. Se i principi assunti hanno validità (validità che io non voglio ne-
gare), essa non deriva dal fatto, che essi sono principi dedotti necessariamente
da una volontà universale su di un essere assoluto intellettualmente determi-
nato, soltanto nella sua forma, cioè nella sua possibilità di rapporti, ma dal
valore di quell'essere che nella sua realtà, così com'è, è bene.
Cercherò di dimostrare con più precisione con un esempio tratto dalla
considerazione herbartiana a proposito dell'idea universale del diritto.
Lo Herbart dice : « Il diritto, nel suo contenuto positivo, non ha valore
assoluto, esso è sorto da stabilimento arbitrario di più volontà consenzienti »;
non di tutte le volontà senza limiti di tempo (2). Però il diritto vale universal-
mente» perchè è dato dall'accordo di tutte le volontà tra loro consenzienti allo
scopo di evitare la contesa. Tutti, infatti, sono concordi nel voler « evitare la
contesa » ; essa porta alla soddisfazione dell'appetito individuale e quindi osta-
cola l'estrinsecazione di ciò che è voluto spontaneamente da tutti gli uomini
senza limiti di tempo. Così pel desiderio morale, disinteressato, di riuscire a
mantenere una pace sicura, « dalla natura umana sgorga un diritto positivo. È

(1) Vale così com'è perchè riflette il bene dell'essere infinitamente buono che la
creò tale.
(2) HERBART, Etnl . in die Pnu., pag. 139.

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positivo poiché gli uomini lo hanno stabilito uniti; è diritto e, come tale, sa-
cro, perchè previene la contesa, è diritto di natura poiché era nella natura
degli uomini che dovesse essere istituito e riconosciuto » (i). Evitare la con-
tesa è dunque condizione formale voluta universalmente, perchè necessaria
alla realizzazione della morale, se vi è un contenuto particolare è giustificabile,
in tali condizioni di forma universale.
Qui c'è, evidentemente, l'assunzione di un principio* Tale principio non
mi pare incondizionatamente universale. Chi difende il diritto, perchè evita
la contesa, suppone, infatti, che i principi morali, voluti dalla volontà univer-
sale e contrastati dall'arbitrio soggettivo e dall'egoismo, si realizzino pacifica-
mente e non abbiano bisogno di essere imposti con una lotta di essi contro la
tradizione, la quale, come dice lo Herbart, ha le basi soltanto nell'arbitrio di
pochi.
Lo Herbart mi opporrebbe: chi difende il diritto non dice che i principi
si vanno realizzando pacificamente, ma bensì che sono realizzati nella società
di fatto, e che la loro effettiva realizzazione giustifica l'arbitrio delle norme
particolari. Essi sono realizzati ed attuati, quindi non occorre una lotta per
imporli. Ma allora osserverò che la teoria dello Herbart suppone che la società
di fatto sia la migliore depositaria dei principi voluti incondizionatamente da
tutti gli uomini, e che debba essere tramandata all'infinito perchè è tale e
perchè occorre evitare la contesa. Come si vede, l'accettazione della idea her-
bartiana del diritto e del principio per cui fu giustificata, « evitare la contesa »,
è condizionata all'accettazione di altri presupposti, che non possono essere ac-
cettati incondizionatamente da tutti gli uomini, quindi l'idea del diritto così
giustificata, non ha quel valore universale che lo Herbart le attribuisce.
Ma l'idea del diritto che evita la contesa e che, come tale, è, secondo lo
Herbart, universale, e necessaria, non è la sola; ma è una delle cinque idee,
date dalla relazione fra giudizio e volontà universale. Quasi tutte queste idee,
che vorrebbero valere universalmente, partono dall'assunzione di un partico-
lare contenuto. Ma mi pare opportuno vederle. Le idee sono: a) Videa della
libertà; b) Videa della perfezione; c) Videa della benevolenza ; d) Videa del di -
ritto (o della proprietà); ed e) Videa dell'equità .
A) Come si può definire l'idea della libertà ? Quale posto ha la libertà
in un sistema di rapporti e rappresentazioni psicologicamente determinate,
nella loro intensità e nelle leggi con cui si succedono; per la necessità del dato
e per le necessità stesse della psiche umana ? Non credo che il determinismo
psichico dello Herbart escluda in modo assoluto la libertà morale (2). Nei rap-
porti nascono le rappresentazioni, nascono necessariamente. Ma le rappresen-
tazioni sono molteplici e, fra esse, il soggetto, che in esse si determina, può
scegliere. La sua volontà aderisce, o non aderisce, approva o disapprova libera-

(1) Herbart, Einl. in die Phil., pag. 140.


(2) Herbart, Ueber die ästhetische Darstellung der Welt. (Kehrbach, Sämtliche
Werke, i, 260). « La filosofia aspetta » ed esige « dagli uomini, ugualmente od imme-
diatamente come estrinsecazione della libertà », che essi vedano « in speciali casi ed in
singoli momenti nel contatto immediato degli uomini e della capacità, ciò che sia da
fare, da scegliere, da evitare come il meglio, come ciò che conviene, come Túnico bene ».

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L'ESTETICA HERBARTIANA OSSIA LA TEORIA HERBARTIANA DEI VALORI ETICO'ESTETICI

mente» L'anima è un ente semplice distinto dalle rappresentazioni ed ha fa-


coltà di scelta» Il determinismo, dunque, non esclude le possibilità di far pre-
valere una rappresentazione su di un'altra, a cui la volontà si volga con pari
intensità, ma che il giudizio disapprovi, non esclude la possibilità di scegliere
l'universalmente valido: il bene, anziché il particolarmente utile: il non bene«
Non si esclude insomma che, nel giuoco determinato delle rappresenta*
zioni determinate, possa intervenire un giudizio di approvazione e di disap'
provazione e che, cooperando una volontà di attuazione, si riesca ad ordinare
liberamente questo stesso giuoco non così determinato da non poter essere va-
riamente determinabile.

Lo Herbart distingue 1' appercezione (i) del dato (<jo(dìk) dal susseguente
giudizio sui valori, in cui si aggiunge l'approvazione o la disapprovazione
(<7tò(pporóvy)), distingue questo giudizio dalla attuazione pratica, e pone nel
passaggio dall'appercezione al giudizio di valutazione la possibilità di aderire
alla scelta universale o di ricalcitrare; pone nel passaggio dal giudizio all'at-
tuazione la libertà di attuare secondo valutazione o no (ávSpsta).
L'individuo è perciò libero di giudicare nel giusto senso o di falsare il
giudizio; formulato un giudizio ex integro animo è libero di attuare in con-
formità ad esso, oppure in modo diverso (2). Ecco che cos'è la libertà herbar-
tiana, che non è però illimitata» E perchè ? Perchè si innesta sulla necessità»
Questa libertà, come ben si comprende, ha un limite» La libertà del giu-
dizio è limitata dalla dipendenza necessaria dei valori assunti dai valori dati;
la libertà di attuazione è limitata dalla necessità che il bene posto come bene
sia attuabile (3). Per questa esigenza il bene, che viene considerato come bene,
dev'essere un valore attuabile, cioè posto storicamente come valore (4)»
Ma anche qui si può dire: vi è un principio assunto come buono, che
non è dimostrato universalmente valido. Si assume, infatti, che la possibilità

(1) L'appercezione dello Herbart ha per il Tarozzi il seguente significato psicokv


gico: « L'io è un risultato della complessione e della assimilazione delle rappresenta*
zioni; una volta formato, esso si immedesima con quei gruppi di rappresentazioni, che
dominano sopra gli altri ed assume, in virtù di questo, valore di realtà concreta; inoltre
conforma a se, accentra in sè l'esperienza ulteriore ed esercita sopra di questa una fun^
zione di scelta; qualunque dato rappresentativo subisce il potere di attrazione dell'io
che agisce sopra di esso, come da un centro focale; il fatto ha nome di appercezione e
l'atto volontario che lo rende possibile è l'attenzione ».
(2) Herbart, Schriften Zur praktischen Phil., pag. 34; Einl., pag. 138.
(3) È la negazione della libertà intesa nel senso kantiano di assoluta libertà noume^
nica inserentesi sul fenomeno, non è negazione di libertà morale. E quindi credo sia
esagerato asserire che la psicologia, che definisce matematicamente le forze della rap*
presentazione, porti alla negazione irreconciliabile « de la théorie de la liberté sous toutes
ses forces ». (Mauxion, op. cit., pag. 43).
(4) Com'è concesso alla libertà di negare se stessa (con una costrizione), cioè col
dettare una legge morale, così si permette anche al mondo sensibile, ordinato dall'edu*
catore di esercitare influenza sulla libertà dell'educando. (Ueber die ästh. Darst. d .
Welt t als das Hauptgeschäft d. Erziehung , in: Kehrbach, Sämtl. Werke f Langen^
salze, 1887).

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di un'attuazione più o meno immediata valga a dimostrare la santità del prin-


cipio (i).
Lo Herbart giustifica l'assunzione di questo bene, dicendo che l'accordo
tra volontà e giudizio è piacevole, il disaccordo è spiacevole, quindi soltanto
il bene attuabile è bene, perchè piace universalmente. Ma in un certo senso
piace ed acqueta, in un altro no, infatti, se questa necessità di porre un bene
attuabile soffoca le nostre aspirazioni a mete non attuabili, è tutťaltro che
piacevole.
Per l'Herbart l'intrinseca natura del bene non ha significato, perchè l'es-
sere nella sua identità non è conoscibile; egli fonda il bene sul riconoscimento
universale (sul piacere universalmente). Questo piacere universalmente non
garantisce, secondo me, la validità, perchè prima di tutto non vi è mai la ga-
ranzia della sua universalità; poi perchè non basta il consenso universale per
dare incontestabile valore.
B) La seconda relazione è quella che determina l'idea di perfezione,
cioè il criterio che ci guida alla scelta fra gli enti. Per lo Herbart questo cri-
terio dovrebbe essere fondato sul giudizio teoretico, cioè determinativo di
quantità. La quantità si determinerebbe misurando l'intensità della volontà
che sceglie. Sebbene in generale si scelga l'oggetto della volontà più intensa
e più estesa, non vi è criterio assoluto a cui debba uniformarsi il giudizio. Po-
trebbe offrire maggiore probabilità di certezza, la scelta della volontà psicolo-
gicamente più intensa (2).
Qui, dice lo Herbart, l'idea di perfezione, raggiunta per opera del giudi-
zio estetico, ha il merito di acquistare un significato determinato dalla natura
quantitativa, cioè, teoretica della rappresentazione, e di sfuggire alle solite
incertezze.
Ma io aggiungerei che la perfezione chiusa nei limiti della quantità di-
venta assai povera, anche se più determinata.
C) La terza relazione ha luogo tra la rappresentazione di una volontà
estranea e la propria, o consenziente o dissenziente (3).
Ciò che la rappresentazione della volontà toglie immediatamente a suo
oggetto è il soddisfacimento della volontà altrui (4). L'idea di benevolenza,
ed insieme io direi quella di negazione della volontà altrui (5), è morale, se

(i) Per chi aderisca ai nuovi sistemi, non vi ha nulla di più conseguente che aspet*
tare tranquillamente che il bene radicale e fors'anche il male radicale si estrinsechi
spontaneamente nel suo educando; nulla di più conseguente che di rispettare in silenzio
la libertà, che egli deve presupporre in esso, in quanto esso è uomo, e di non turbarla
con fatiche disordinate, (Herbart, Darsi . d. Welt ., pag. 260).
(2) Herbart, Sehr . prakt. Phil., pag. 38; Einl. in die Phil., pag. 138.
(3) Herbart, Einl . in die Phil., pag. 139 e pag. 91.
(4) Herbart, Einl. in die Phil.f pag. 139 e pag. 92.
(5) Lo Herbart lascia in disparte la giustificazione di una negazione della volontà
altrui, che prescinda da ogni antipatia, perchè assume come bene la soddisfazione della
volontà altrui, egli subisce l'influenza dell'amor cristiano, fraterno, nell'interpretazione
protestante di esso. Interpretazione, che pone in luce il motivo della fraternità indi'
pendentemente dalla cooperazione fraterna pei fini di Dio. Questa stessa mia opinione, o
press'a poco, è espressa dal Poggi, La filosofia di G. F. Herbart , Genova, Scuola Ti-
pografica Derelitti, pag. 52 a pag. 53.

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l'estetica herbartiana ossia la teoria herbartiana dei valori etico-estetici

non è basata su di alcun interesse soggettivo, quale per esempio « la passività»


che sta nella semplice simpatia ». Neppure il merito della persona verso cui
si è benevoli, può essere scelto a motivo di benevolenza morale. « La bontà è
bontà appunto per questo, perchè essa è buona verso la volontà estranea im"
mediatamente e senza motivo ». Però, dice lo Herbart « perchè non sorgano
obiezioni da un'altra parte, è necessario che il volere estraneo rappresentato
(il volere verso cui si è benevoli) sia trovato senza biasimo » (i).
Il concetto, insomma, è questo: la bontà presuppone un giudizio, ma il
giudizio non dev'essere però la ragione ed il motivo della bontà, che dev'es*
sere assolutamente disinteressata.
D) La quarta relazione è quella che dà origine all'idea morale del di'
ritto, idea che nasce dalla intesa tra due persone ed un oggetto (2).
Benché i rapporti, che sorgono nel campo del diritto, interessino coloro
che si occupano degli scambi tra gli uomini e della proprietà, e non coloro
che pensano al proprio nobilitamento morale (3), lo Herbart è contrario alla
scissione tra la morale ed il diritto naturale. È contrario a chi in base a que"
sta separazione di competenza, neghi valore morale al diritto. La confusione
avviene perchè si fonda il diritto naturale « sui diritti dell'uno anziché sul'
l'esigenze riunite dei molti. L'uno si rivela estrinsecandosi in un mondo sen*
sibile comune ai più. In questo mondo comune ogni volere viene in rapporto
con altri voleri. Nel rapporto di volontà diverse può sorgere un contrasto. Per
evitare il contrasto occorre una soluzione data dal diritto positivo, che è con*
cordanza di più voleri pensata come regola, che evita la lotta » (4). Il diritto
positivo risulta non da un diritto reale dell'uno su qualche cosa; ma bensì dal
rapporto tra i molti voleri degli esseri, che vogliono evitare la lotta.
Che cosa si può dire dell'idea herbartiana del diritto ? Già notai che lo
Herbart non dimostra l'incondizionata validità del principio groziano ed hob"
besiano « occorre evitare la contesa ». Ora noterò che vi è un'altra assunzione
ingiustificata. Il principio di proprietà, inteso come appropriazione umana, è
assunto dallo Herbart come bene, senza discussione. Al nostro Autore pare
naturale, anzi, pare bene, che la volontà individuale, estrinsecandosi, possa
appropriarsi alcunché, e che tenda a possederlo. Infatti, poniamo ch'egli non
accetti, anzi, condanni, il diritto di proprietà su di un oggetto, e fondi, invece,
un imperativo, che vieti alla volontà di tendere ad un oggetto e di possederlo.
Negato il diritto di pretendere un possesso, non sarebbe più legittimo il sor"
gere della contesa per il possesso dell'oggetto; non dovrebbe più sorgere con*
tesa e, quindi, non occorrerebbe più una soluzione positiva del diritto per ri"
solverla.
Quindi lo Herbart assume oltre al principio, che è necessario evitare la
contesa, e prima di esso, il principio di proprietà come bene, perchè altrimenti
non giustificherebbe l'idea del diritto che compartisce i beni fra gli individui.
Ma l'approvazione puramente umana non garantisce di per sè il valore della

(1) Herbart, Sehr. z. prakt. Phil. , pag. 44.


(2) Herbart, Einl. in die Phil., pag. 139.
(3) Herbart, Sehr. Z* prakt. Phil., pag. 45.
(4) Herbart, op. cit., pag. 50.

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proprietà e non dà ad essa valore di bene incontestabile. Questi principi as-


sunti costituiscono per me il contenuto particolare dell'idea del diritto, che
vorrebbe essere universale e che è universale, ma deve ricavare altrimenti la
sua universalità.
E) La quinta relazione data dal rapporto delle volontà tra di loro con-
senzienti, è quella che nasce dal ben fare e dal mal fare intenzionale « in
quanto si traduce in azione » (i). L'azione è buona, se produce un bene, che
deriva come conseguenza necessaria dell'azione buona ed è il premio dell'a-
zione stessa. Il premio deve derivare come fine naturale diretto, voluto per se
e per il suo intrinseco valore; non deve avere valore di mezzo per scopi par-
ticolari (2) ed egoistici.
L'idea che nasce dalla corrispondenza tra azione buona e fine buono, che
è premio dell'azione stessa, è l'idea dell'equità. Essa colma le lacune dell'idea
del diritto, perchè fa seguire una ricompensa plausibile alla accettazione for-
zata del diritto.
Ben più vasto e profondo significato metafisico, e più profondo signifi-
cato umano può avere l'idea di equità fondata su di un equilibrio dell'essere
in generale e non sulla ricompensa. Equilibrio in cui ogni parte ritrova la sua
funzione ed il suo valore, non necessario nè predeterminato necessariamente,
ma profondamente reale.
Ecco quali sono le relazioni etiche, tutte egualmente necessarie « in una
filosofia pratica, in una dottrina del fare e del tralasciare, degli ordinamenti ed
istituzioni fra gli uomini, della vita sociale e civile » (3).
È unilaterale e parziale chiunque scelga a norma della propria condotta
una sola delle cinque idee, scelga soltanto l'equità « e cerchi di livellare gli
svantaggi sociali », o soltanto la costrizione del diritto, o l'idea « per se vuota
della libertà » (4). Ognuna delle cinque relazioni è condizionata dalle altre, e
tutte insieme costituiscono la forma etica della costruzione estetica del mondo.

4. - RELAZIONI ESTETICO-ARTISTICHE

Lo Herbart passa alla determinazione degli altri elementi estetici, e più


precisamente dei rapporti artistici. Egli osserva che la poesia abbraccia tutto
quanto è estetico ed umano, e quindi anche le relazioni etiche, ma oltre a
queste abbraccia altre relazioni, particolari od artistiche.
Prima di chiarire queste relazioni, lo Herbart mette in luce le differenze
che esistono fra arte e morale. Queste differenze sono:

(1) Herbart, Einl. in die Phil., pag. 141.


(2) Herbart, Schrift. prakt. Phil., pagg. 54 e 55.
(3) Herbart, Einl. in die Phil., pag. 143.
(4) Il Fornelli (Fornelli, Scritti herbartiani, Roma, Ed. Albrighi Segati, 1913, pa-
gina 107), da questa affermazione deduce che l'idea della libertà non è una idea parti'
colare, ma è l'atmosfera in cui vivono le altre quattro idee. Secondo me invece l'idea
della libertà herbartiana ha una esistenza a se indipendente dalle altre. Essa è la libertà
di attuare il bene attuabile, il quale per essere ulteriormente determinato, può assumere
come tale altre caratteristiche che gli sono date dalle altre quattro idee. Le cinque idee
formano un tutto inscindibile ed ognuna, non solo quella della libertà, è in se insuffi-
ciente.

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l'estetica herbartiana ossia la teoria herbartiana dei valori etico-estetici

1) L'arte considera l'uomo non solo in quanto agisce, ma anche in


quanto patisce, cioè soffre* Per l'arte scompare l'azione del singolo, essa coin-
volge la vita dell'universo nel suo perpetuo fluire. L'arte tragica condurrebbe
al fatalismo, se non ricevesse sussidio dalla religione. Infinite sono le relazioni
non ancora definite che da questo umano patire fatalistico si potrebbero rica-
vare. Queste relazioni che vorrebbero essere formali, secondo me riguarde-
rebbero un contenuto di sentimento, che lo Herbart vuole definire come un
patire inesorabile (i).
2) Il gusto artistico è uguale al gusto morale; in arte però c'è una li-
bertà assoluta di scelta fra i dati esterni (colori, suoni...) con cui si desidera
estrinsecare la propria attività. La morale, invece, non dà luogo a scelta; essa
cerca necessariamente il collegamento completo di tutte le idee pratiche (2)
fra di loro, cerca l'unificazione sola ed imprescindibile dei principi tutti nel-
l'individuo. All'arte basta un solo rapporto, anche una sola dell'idee pratiche.
È naturale che lo Herbart lasci, così, campo ad una distinzione fra le arti di-
verse, perchè ciascuna abbia particolari dati e relazioni. Lo Herbart cerca di
determinare alcune fra queste relazioni formali, che distinguono le arti fra
di loro.
Le differenze di relazioni formali fra le arti sono date dalle differenze di
spazio e di tempo concesse, per la differenza dei valori tra cui si attuano le
relazioni in diversa misura alle diverse arti (3). Per queste differenze di pos-
sibilità di determinazione di spazio e di tempo, le arti realizzano in modo di-
verso l'una dall'altra la simultaneità e la successione.
La simultaneità nel tempo è propria della musica (accordi) e della poesia,
la simultaneità nello spazio è particolarmente attuata dalla pittura e dalla scul-
tura, meno dalla poesia e dalla musica, benché anche da esse; (gli artisti che
stanno insieme sulla scena rappresentano, anche se non parlano, i loro carat-
teri contemporaneamente, e così, direi io, pei motivi musicali nell'orchestra).
La poesia e la musica si distinguono, poi, per l'attuazione della succes-
sione nel tempo (la poesia descrive i sentimenti in moti, i caratteri in azioni;
la musica realizza il bello successivo con la melodia), la pittura e la scultura
fanno largo uso della successione nello spazio.
Lo Herbart, dunque, parla di due specie di relazioni estetico-artistiche,
che nel linguaggio herbartiano vengono chiamate formali.
Le une, non ancora determinate, dovrebbero essere determinative di
quello che io chiamo il contenuto dell'arte herbartiana, cioè dovrebbero essere
determinative del sentimento del patire. Le altre sono quelle relazioni formali
di simultaneità e successione, simmetriche od asimmetriche, realizzantesi fra
valori dati. Che cosa sono questi valori ? Sono colori, suoni, pensieri, conciliati
in rapporti, cioè in accordi di suoni e di colori, in leggi di ritmo e di propor-
zione, di simmetria e consonanza, in soluzioni musicali, cromatiche, poetiche
date; che con la potenzialità intrinseca alla loro materia dirigono e limitano
in un determinato senso l'espressione del sentimento del patire.

(1) Herbart, Einl. in die Phil,, pag. 146.


(2) Herbart, Einl. in die Phil., pag. 147.
(3) Herbart, Einl. in die Phil. pagg. 99 e segg.

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Queste relazioni di simultaneità, di successione» di simmetria, ecc., sem-


brano determinazione di una pura forma indipendente da ogni contenuto. Ma
lo Herbart ha premesso che Tarte abbraccia le idee poste dall'etica, ha pre-
messo che Tarte, considerando l'uomo in quanto soffre, deve cercare di sfug-
gire ad una interpretazione fatalistica, mediante la giustificazione religiosa. È
evidente che lo Herbart con tutte queste specificazioni tende ad assumere un
contenuto, non soltanto, ma tende a concretarlo in contenuto determinato,
etico, religioso empiricamente ricavato dalla storia e proprio all'arte del suo
tempo. Neanche qui, dunque, egli riesce a salvare la forma dall'assunzione di
un contenuto particolare, contenuto che egli non vorrebbe assumere, perchè
nel suo scrupoloso tentativo di procedere con sicurezza critica egli non vuole
rendersi conto di ciò che effettivamente è. Cioè che la certezza non può es-
sere fondata soltanto sul consenso. Ai filosofi dell'immanenza prevenuti con"
tro quello che essi chiamavano dogmatismo, infatuati di criticismo, questa
certezza non solo pareva sufficiente, ma pareva unica. Se ben si guarda, la
certezza non può essere fondata soltanto sul consenso, ma questo stesso con-
senso deve basarsi su di un'ulteriore certezza (i).

5. - ESIGENZE DELL'ATTUAZIONE

Definiti i rapporti formali, necessari ed universali, della costruzione este'


tica, del mondo, lo Herbart determina le condizioni dell'attuabilità della mo'
rale e dell'arte.
Credo di dovermi fermare su questo argomento, perchè il problema è tut-
t'altro che secondario e collaterale. Lo Herbart con le osservazioni che sto per
esaminare, previene un'obiezione riguardante il motivo dell'azione particolare*
che si attua in condizioni particolari.
Attuare in un mondo empirico vuol dire attuare in certe condizioni par-
ticolari e contingenti, per motivi particolari e contingenti. Ora lo Herbart
dice: io so che questi motivi esistono e sono necessari, ma essi non sminuì-
scono la forma morale, voluta nei suoi principi fondamentali dalla volontà
disinteressata (2). Così dice e si ferma ad esaminare questa parte pratica del-
l'estetica.

(1) Vale anche per la filosofia dello Herbart ciò che il Mazzantini dice per il ra-
zionalismo hegeliano: « ...Quando si tratta dei rapporti tra l'infinito ed il finito, e più
in generale fra le varie forme dell'essere, questa filosofia dell'immanenza... ha perduto
il senso delle distinzioni delle sottili analogie , che costituiscono la gloria della grande
filosofia medioevale. L'uno ed i molti, l'eterno ed il temporale, il necessario ed il con-
tingente, sono stretti insieme e infine violentemente identificati e, nonostante gli sforzi
di qualcuno per evitare la conseguenza, messi sullo stesso piano ». Dal supplemento
speciale al vol. XXV della « Rivista di filosofia neoscolastica » : Spinoza nel III centenario
della sua nascita , capitolo: « Spinoza e l'idealismo contemporaneo », pag. 145.
(2) Lo stesso concetto si trova in Ueber die ästh. Darst . d. Welt . (Kehrbach, I, 260)
dello Herbart: « Il giudizio su ciò che in speciali casi e in singoli momenti nel contatto
immediato degli uomini, e delle attitudini sia da fare, da scegliere e da evitare come il
meglio, come ciò che conviene, come l'unico bene, è diverso dalla conoscenza della legge
generale ».

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Il problema è così impostato: come si può attuare la moralità in deter-


minati atti virtuosi e come si può realizzare Tarte tecnicamente in determinate
opere d'arte ? Per attuare la moralità è necessario conoscere il valore dei mezzi
adatti al fine della virtù.
Dovendo l'uomo stesso attuare la moralità» l'uomo è il primo mezzo di
cui occorre conoscere le possibilità. L'uomo può attuare la moralità secondo
la sua natura religiosa» psicologica, metafisica. È dunque necessaria la cono-
scenza della natura religiosa, psicologica, metafisica dell'uomo, la conoscenza
delle possibilità religiose è richiesta dall'idea di sublimità morale ♦ L'idea di
una sublimità implica un ente supremo a cui riferirsi. La conoscenza della
psicologia giova perchè occorre tener conto dell'influenza dei fattori psicologici
sull'azione morale. La metafisica dà ragione dei rapporti di causalità, che oc-
corre avere presenti nell'attuare la virtù. La politica e la pedagogia, ponendo
l'esigenza dell'ordine la prima, sviluppando l'idea della perfezione la seconda»
sono ugualmente necessarie all'attuazione della virtù, che deve preoccuparsi
dell'ordine e della perfezione.
Tal'è la conoscenza che ci guida nell'attuazione della moralità. Però que-
sta conoscenza non amplia la moralità, anzi, se è possibile, la restringe, perchè
limita, per le possibilità dell'attuazione e per i problemi pratici a questa ine-
renti, l'assoluta realizzazione delle cinque relazioni formali universali. Limita
la forma universale col mescolarla con altri interessi nelle soluzioni concrete
sempre individuali e contingenti.
Così per l'arte; anche per l'arte è necessaria una conoscenza pratica dei
mezzi adatti al fine. Così per esempio : è necessario, dato che non esiste una
costrizione morale, che ci induca all'interesse artistico, che l'opera d'arte sia
divertente per suscitare l'interesse. È d'uopo così conoscere, come in casi par-
ticolari ed in particolari condizioni, l'opera d'arte sarà divertente, benché il
divertimento non abbia a che fare con la perfetta forma artistica.
Vi è un'altra esigenza pratica. L'estetica ci dà pure relazioni formali in
atto nello forma artistica, ma non le norme tecniche necessarie per raggiun-
gere la forma artistica. Nella creazione le norme devono essere determinate
volta per volta, per mezzo di un rapporto contingente e particolare fra materia
e forma, che soddisfa alle esigenze del momento.
Servono, così, all'attuazione pratica per legare l'attenzione di chi si occupi
d'arte, i generi letterari (lirica, drammatica, ecc.) che non hanno valore di
forma universale.
Però, dice lo Herbart, queste soluzioni tecniche di problemi pratici, sono
assolutamente particolari. Non possiamo determinare regola alcuna, che fissata
una volta per sempre, ci impedisca di urtare in queste difficoltà pratiche di
attuazione. È inutile, per sfuggire alle difficoltà contingenti e mutevoli del-
l'attuazione pratica, togliere a modello l'imitazione pratica della natura. Essa
si concreterebbe e si spiegherebbe come stimolo della attività vitale. In tal
modo l'arte verrebbe basata sul corso delle emozioni e sensazioni e diverrebbe
volgarità. Noi sappiamo bene che tutta l'arte non è imitazione seguente il
corso del meccanismo psichico.

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OSSERVAZIONI CRITICHE

I. - OSSERVAZIONI CRITICHE SULL'ESTETICA IN GENERALE

Ma che cosa si può dire di questa teoria estetico-etica in generale ? Lo


Herbart crede di aver determinato la pura forma estetica» indipendente da
ogni contenuto particolare. Riassumendo le obiezioni, dirò:
1) Che si può dubitare vi siano valori indifferenti, riconosciuti come
tali, se la realtà tutta quanta ed essa stessa, non viene assunta nella sua uni-
versale validità, come valore, se il fondamento cioè su cui si estrinsecano le
relazioni, Tessere, non può essere determinato in se stesso nel suo valore.
L'Herbart vuole che la presa di possesso di un oggetto, già determinato come
valido a determinati scopi, sia conquista di un valore indifferente; e pretende
che il giudizio di approvazione e disapprovazione costitutivo dell'opera d'arte
e del principio morale segua la percezione dei valori. Ora si potrebbe discu-
tere, se i valori (accordi di suoni o di colori, valori morali, ecc.), così come
appaiono determinati in rapporti di pura forma, sono dati realmente e se sono
essi stessi il risultato di un giudizio di approvazione o di disapprovazione; si
potrebbe discutere se l'accordo o la successione di note nella melodia, deter-
minati secondo regole formali, siano una relazione (tra note) assolutamente
indifferente o siano essi stessi frutto di un giudizio di approvazione o disap-
provazione, che ha voluto stabilire così le regole armoniche e melodiche. La
nota stessa è assunta come valore. Ogni validità cade se la realtà stessa non
ha un valore determinabile come tale, sebbene indeterminato nella sua infi-
nita determinabilità (i).
2) Che lo Herbart non dimostra validità assoluta dei rapporti universali,
posti dalla volontà universale tra valori. Egli infatti, determinando i rapporti
in idee universali, assume un contenuto storico particolare. Perciò le cinque
idee assumono l'aspetto di principi d'elezione e la teoria assume l'aspetto di
un sistema etico particolare, che risponde ad esigenze etiche particolari.
3) Che non approvo il compromesso che ammette la possibilità di far
rientrare come condizioni di attuabilità pratica motivi non estetici. Se lo Her-

(1) Qui si potrebbe inserire il problema, pur così interessante e fondamentale, del
rapporto fra l'essere supremo e la realtà determinata e sempre indefinitamente deter-
minabile in forme concrete. Il problema di Dio è svolto dallo Herbart nelle opere me-
tafisiche. Quivi lo Herbart lega il concetto di Dio a quello della finalità. Egli parla di
una finalità naturale, che agisce liberamente sulle relazioni fra gli enti, relazioni non
così necessitate da escludere l'inserirsi di una finalità divina ed umana. Posta questa
finalità divina ed umana resterebbe da conciliarla col concetto di creazione. Gli enti,
cioè l'essere, sono, per lo Herbart, eterni; quindi egli esclude la trascendenza di Dio e
la creazione del mondo. L'essere eterno, indefinito, indeterminato, è sostanza che trova
la sua espressione libera nelle sue manifestazioni. Io nego qui che l'essere possa essere
trovato buono se non è buono per se stesso. E non può essere buono per se stesso se
non deriva da un libero atto di volontà del principio buono, che volendolo tale lo creò
X analogicamente a se e cioè buono .

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L'ESTETICA HERBARTIANA OSSIA LA TEORIA HERBARTIANA DEI VALORI ETICO-ESTETICI

bart attribuisse alle relazioni estetiche la forza di agire per se stesse, come
motivi di attuazione, sarei con lui. Ma egli determina una forma estetica viva
per se stessa, necessaria alla contemplazione dell'opera in atto, e una tecnica
puramente pratica su cui agiscono condizioni puramente pratiche, il che non
mi pare giustificabile»
Infatti se per l'attuazione morale devono necessariamente influire motivi,
che non sono morali, se l'uomo morale ha bisogno per agire moralmente di
sfruttare una situazione di fatto matematicamente conosciuta ed essere garan-
tito sugli effetti esteriori non soltanto morali, l'azione morale cessa di essere
morale, come cesserebbe sempre l'opera d'arte di essere opera d'arte, se doves*
sero agire sempre per l'attuazione motivi extra-artistici.
Ed allora, se, come credo, il fine morale non giustifica il motivo, il fine
herbartiano unico e sociale perde anche sotto questo aspetto il suo valore as-
soluto ed imprescindibile* Acquista valore il motivo, perciò, la libertà di ade*
rire ad un ideale, che, benché determinato come bene, possa dall'individuo sin*
golo essere voluto per se stesso, disinteressatamente.
La forma pura (i) non riempita da una necessità naturale, ma aperta agli
infiniti contenuti nella realtà che tutta quanta vale ed in cui l'uomo infinita-
mente si ritrova e si rinnova, ha ben altro più grande significato.
Ma per chiarire meglio queste obiezioni da me formulate, vorrei citare
qualche osservazione del Croce all'estetica herbartiana, perchè le obiezioni del
critico mi paiono in qualche punto avvicinarsi a quanto ho detto e perchè
credo che nella critica al Croce verranno meglio in luce le manchevolezze
dello Herbart.
Dice il Croce : « Dove lo Herbart giustamente notò errori, non fu poi
felice nella correzione, come quando, contro l'estetica materiale, che attribui-
sce all'arte idee filosofiche o commozioni, egli sostenne che l'arte debba valere
soltanto per la forma, senonchè la forma era per lui un aggregato di certi rap-
porti estrinseci rispondenti all'armonia, alla simmetria, al contrasto e via di-
cendo; o allora quando combatteva il dovere quale principio della morale,
notando giustamente che il dovere non poteva essere un momento primario,
senonchè egli rendeva poi elemento primario le idee pratiche, cioè le astrat-
tezze, che egli decorava con quel nome » (2).
Sono d'accordo col Croce nel riconoscere il valore della forma herbartiana
di fronte all'empirismo» Sono d'accordo con lui nell'ammettere che la forma
herbartiana in quanto si determina coinvolge la materia od un contenuto fisso.
Quindi, secondo me, le idee pratiche herbartiane non rispondono alle esigenze
della pura forma. Ma non perchè siano astrattezze come parrebbe lasciar in-
tendere il Croce, ma perchè, come ha detto il critico, lo Herbart anziché limi-
tarsi alla determinazione di una pura forma estetica data dai rapporti di tutte
le volontà consenzienti, la concreta in determinati contenuti.

(1) Quando parlo di forma non parlo di una formalità vuota, ma di una formalità
determinata in principi astratti, universali.
(2) CROCE, Saggio sullo Hegel, Bari, Laterza, 1908, pag. 361.

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FRIDA GROSSO

Questa forma, infatti» non rimane astratta, perchè, se è costituita da rap'


porti formali di simultaneità e di successione, di armonia, di simmetria, cioè,
se è artistica, assume contenuti artistici determinati (Pagire ed il patire, ecc.),
se è costituita da principi etici universali, cioè se è morale, assume contenuti
etici determinati (principio di proprietà come bene, pacifismo come bene, ecc.).
Io limito, dunque, l'osservazione del Croce, e la dirigo in un senso che a
me pare giusto. Io credo che il critico sbagli, parlando qui di astrattezza; sba-
glia, perchè ha in mente che Terrore dello Herbart sia sempre l'intellettualismo
matematico. Da questo intellettualismo herbartiano deriverebbe che l'estetica
e l'etica dello Herbart mettono capo « ad una serie di idee, semplici, irrela-
tive, irreducibili, contate e non pensate » (i). Secondo me, l'irrelativo è invece
dovuto soltanto ad un difetto di astrazione.
Perchè le idee dello Herbart diventano irrelative ? Non certo perchè
vogliano essere pura forma, che vive di là dall'individuale e dal contingente
empirico, che è sempre uguale a se stesso, benché sia suscettibile di contenuti
diversi. Evidentemente no, perchè una simile forma, se anche fosse realtà as-
soluta in sè, ma suscettibile di contenuti varí, sarebbe in un certo senso rela-
tiva o meglio libera essendo unità storica di forma e contenuto. È irrelativa,
perchè non sa mantenersi pura forma, ed assume un solo contenuto, fisso ed
irrelativo, determinato ed umano. È irrelativa in quanto non è astratta, ma
si concreta in determinati principi, assumendo valori storici, che vorrebbero
essere assoluti, particolari che vorrebbero essere universali. Quindi non è l'in-
tellettualismo che disturba, ma l'assunzione nella forma intellettuale di ciò
che non è forma. Qui come nella metafisica, disturba l'irrelativo determinato
che lo Herbart assume nella forma della relazione (2).
Un contenuto alla rappresentazione nitidissima vi è pur nel Croce; il sen-
timento gagliardo; ma nello Herbart non rimane soltanto sentimento gagliardo
ed indeterminato, si concreta in termini precisi; ha un solo difetto, è troppo
concreto per l'infinità di Dio, da cui il creato attinge una perenne possibilità
di rinnovare finitamente il particolare concreto.

(1) Croce, op. cit., pag. 357.


(2) Il Croce propende, secondo me, verso un agnosticismo scettico. Infatti, mi pare,
il suo spiritualismo altro non è che l'esaltazione del concreto particolare. Il concreto pre-
tende all'universalità, perchè in esso è riflesso l'universale o lo spirito. Ma non è mai
l'universale, perchè l'universale o spirito indefinitamente diviene, superandosi nell'inde-
finito realizzarsi concretamente. Nell'astrazione che non è soltanto astrazione (cioè sepa-«
razione di ciò che è proprio da ciò che è comune), ma bensì universalizzazione di idee
o principi oggettivi, il Croce intravede la possibilità di fondare quella metafisica dell'es-
sere o del pensiero contro cui lancia gli strali del suo agnosticismo incredulo, ma senza
di cui nulla, assolutamente nulla è dato affermare e tanto meno la potenziale universalità
della espressione concreta, posta dal Croce.

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