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PAOLO TROVATO
BANDELLO NELL’«AMINTA»
(CON QUALCHE APPUNTO
SULLO “STILE MEDIO” DEL TASSO)*
*Alcuni snodi di questo saggio sono stati esposti una dozzina di anni fa, in una lezio-
ne (inedita) tenuta a Venezia, nell’ambito di uno dei corsi di aggiornamento per italiani-
sti organizzati alla Fondazione Cini da Francesco Bruni. Ringrazio per i loro utili sugge-
rimenti gli amici Andrea Afribo, Davide Colussi, Enzo Mengaldo, Cristina Montagnani,
Arnaldo Soldani.
Così fui prima amante che intendessi / che cosa fosse Amore (Am. 436-37)
Il giovane di lei ardentissimamente s’accese, non avendo per innanzi mai pro-
vato che cosa fosse amore (Bandello, I 20).5
…Chi t’amava / più che le care pupille degli occhi (Am 1548-49)
…Quella persona che dice amare più che le pupille degli occhi (Bandello II
25); …Quella che più che le pupille degli occhi suoi amava (Bandello II 55);
…Quella che più cara aveva e più amava che le pupille degli occhi suoi (Ban-
dello III 57).7
8. Nella raccolta esemplare del Sansovino (Cento nouelle scelte da i più nobili scrittori […]
nelle quali piaceuoli & aspri casi d’amore, & altri notabili auenimenti si leggono, In Venetia,
appresso Fran. Sansovino, 1561) 27 novelle su 100 sono tratte appunto dal Bandello.
9. Graziosi 2001.
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Allo stesso modo, uno scambio serrato come quello di Am. 985-88
(«Tu mi scherni… TIRSI. Non burlo io, no…») è costruito su modelli
simili a quelli che seguono:
CAPI. Que haeis, senora? Burlais de mi? Y bien podeis. AGNOL. Mi burlo? Ve
n’avederete, se sarà burla (Piccolomini, Amor costante I 12);
MARG. Voi vi volete burlare di me? RAFF. Come burlare? (Piccolomini, Raf-
faella 314-15);
FLA. Dite voi da dovero o pur mi burlate? ROSP. Ti giuro per l’anima mia che
non potresti far cosa che mi fosse più cara (Ruzzante, Vaccaria V 5);
Dite da dovero over burlate voi? Io dico da dovero e non burlo (Straparola,
Notte I, 3);
CIUL. Eh, eh! Che burlate voi? ALF. Io dico da miglior senno… (Lasca., La
gelosia V 4);
CAM. Tu burli, Magagna. MAG. Io non burlo… (Tasso [?], Intrichi d’amore I 5)
Vorò veder ciò che Tirsi havrà fatto / e, s’havrà fatto nulla… (Am. 1034-35)
Io vo’ aspettarlo, e intendere / quel ch’egli ha fatto (Ariosto, Lena II 3)
Aminta, V, sc. 1
[ELPINO]
Veramente la legge con che Amore
il suo imperio governa eternamente 1840
non è dura et obliqua; e l’opre sue,
piene di providenza e di mistero,
altri a torto condanna. O con quant’arte
e per che ignote strade egli conduce
l’huomo ad esser beato, e fra le gioie 1845
del suo amoroso paradiso il pone,
quando ei più crede al fondo esser de’ mali!
Il re Torrismondo, V [sc. 1]
NUTR.
A detti falsi
forse troppo credete, e ’l dritto e ’l torto
alma turbata e mesta, egra d’amore
non conosce sovente, e non distingue
dal vero il falso, e l’un per l’altro afferma.
ALVI.
Siasi de la novella, e del messaggio,
e de la fé norvegia, e del mio regno, 2835
e de gli ordini suoi turbati e rotti,
ciò che vuol la mia sorte, o ’l mio nemico.
Basta ch’ei mi rifiuta, e ’l vero io ascolto
del rifiuto crudele. Io stessa, io stessa
con questi propi orecchi udii pur dianzi: 2840
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tattico della frase (non infrequente, come del resto nell’italiano di oggi, è
ad es. l’anteposizione delle dipendenti finali, come in «Ma per istarne
anco più occulto… / deposto ho l’ali…» o «E per far sì bell’opra a mio
grand’agio / io ne vo…»).
Frequentissime, al contrario (l’esemplificazione che segue è voluta-
mente ridotta al minimo), le ripetizioni e i parallelismi, e specialmente le
ripetizioni che sottolineano i parallelismi:
MOSTROMMI l’ombra di una breve notte / all’hora quel che ’l lungo corso e il
lume / di mille giorni non m’HAVEA MOSTRATO.
Altri SEGUA i diletti… / me questa vita GIOVA.
12. Qualche accenno alle posizioni teoriche del Tasso, in Da Pozzo 1983, 168-70. Un
buon quadro d’insieme è quello di Grosser 1992. Sull’Arte poetica, da ultimo, il sempre
lucidissimo Javitch 1999.
13. Contini 1939 (1970), 320. Su una linea simile, per il Tasso, Fubini 1967 (1971), 2001:
«Fin dal giovanile Rinaldo, a cui è premessa una prefazione volta a delineare l’ideale di
poema da lui perseguito, e poi con la Liberata e con la Conquistata, a cui si accompagnano
i Discorsi sopra l’arte poetica e Sopra il poema eroico, costante è nel Tasso l’esigenza di render
conto non solo ai critici, ma anche e prima a sé medesimo delle ragioni del suo poetare:
della sua “favola boschereccia” invece egli non ha sentito il bisogno di dare una giustifica-
zione critica […] nemmeno in lettere private […]. L’”arte”, se non dichiarata in discorsi
critici, è presente prima ancora della poesia in tutta la favola […], opera tipica del maturo
classicismo, che ha dietro di sé non solo le rappresentazioni pastorali […], ma anche l’a-
spirazione del Rinascimento tutto a ridar vita alle forme della tragedia antica». Il «singo-
lare vuoto teorico» è denunciato, tra gli altri, anche da Bruscagli 1985, 279. Né vale a ridur-
lo la pur innegabile considerazione che la tradizione pastorale era di casa a Ferrara.
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5. Nel terzo dei Discorsi dell’arte poetica, il Tasso ripropone, pur integran-
dolo e insomma stravolgendolo radicalmente, lo schema diffusissimo della
tripartizione degli stili:
17. Come si sa, diversamente dalla tradizione interpretativa vulgata, l’assenza – nella
maggior parte dei manoscritti e in molte stampe – dell’episodio di Mopso, che è (anche)
una puntigliosamente felice celebrazione del mecenatismo estense, si spiega con il fatto
che quelle copie riflettono messe in scena non ferraresi. Per contro (mi permetto di rin-
viare a Trovato 2003), l’episodio è presente nella tradizione più genuina, cioè nei mss. Ub
(Ferrara, 1577) e Est (1579).
18. Una tradizione riesaminata più volte, da varie angolazioni, dalla critica, da Carducci
a Bigi, fino a Godard a Marzia Pieri a Bruscagli a Di Benedetto. Le parole tra virgolette
sono ricavate appunto da Bruscagli 1985, 292, 293, 309, 314.
19. Cito da Tissoni Benvenuti-Mussini Sacchi 1983, 173. Come è noto, nella rinnova-
ta edizione del Timone e dell’Orphei tragoedia la Tissoni Benvenuti rilancia autorevolmen-
te, e con nuovi argomenti, l’ipotesi del Ponte che il rifacimento dell’Orfeo sia opera del
Boiardo (Acocella-Tissoni Benvenuti 2009, 19-20, 238-44.
20. Ricavo anche queste citazioni da Bruscagli 1985, 310.
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Tre sono le forme de’ stili: magnifica o sublime, mediocre e umile: delle quali
la prima è convenevole al poema eroico per due ragioni; prima, perché le cose
altissime, che si piglia a trattare l’epico, devono con altissimo stile essere trattate;
seconda, perché ogni parte opera a quel fine che opera il suo tutto […]; adun-
que lo stile opera a quel fine che opera il poema epico, il quale, come si è detto,
ha per fine la meraviglia, la quale nasce solo da le cose sublimi e magnifiche.
Il magnifico, dunque, conviene al poema epico come suo proprio: dico suo
proprio perché, avendo ad usare anche gli altri secondo l’occorrenze e le mate-
rie, come accuratissimamente si vede in Virgilio, questo nondimeno è quello che
prevale, come la terra in questi nostri corpi, composti nondimeno di tutti i quat-
tro <elementi>.
Lo stile del Trissino, per signoreggiare per tutto il dimesso, dimesso potrà esser
detto; quello dell’Ariosto, per la medesima ragione, mediocre […]. 21
e in quegli altri:
Parlari, per dire il vero, troppo popolareschi sono quelli, e questi inclinati alla bas-
sezza comica per la disonesta cosa che si rappresenta, disconvenevole sempre all’e-
roico. E anco:
E ancora:
Lo stile eroico è in mezzo quasi fra la semplice gravità del tragico e la fiorita
vaghezza del lirico, e avanza l’una e l’altra nello splendore d’una meravigliosa
maestà; ma la maestà sua di questa è meno ornata, di quella men propria. Non è
disconvenevole nondimeno al poeta epico ch’uscendo da’ termini di quella sua
illustre magnificenza, talora pieghi lo stile verso la semplicità del tragico, il che fa
più sovente, talora verso le lascivie del lirico, il che fa più di rado, come dichia-
rando sèguito.
Lo stile della tragedia, se ben contiene anch’ella avvenimenti illustri e perso-
ne reali, per due cagioni deve essere e più proprio e meno magnifico che quel-
lo dell’epopeia non è: l’una, perchè tratta materie assai più affettuose che quelle
dell’epopeia non sono; e l’affetto richiede purità e semplicità di concetti, e pro-
prietà d’elocuzioni, perchè in tal guisa è verisimile che ragioni uno che è pieno
d’affanno o di timore o di misericordia o d’altra simile perturbazione; e oltra che
i soverchi lumi e ornamenti di stile non solo adombrano, ma impediscono e
ammorzano l’affetto. L’altra cagione è che nella tragedia non parla mai il poeta,
ma sempre coloro che sono introdotti agenti e operanti; e a questi tali si deve
attribuire una maniera di parlare ch’assomigli alla favola (sic; corrige: fav<el>la)23
ordinaria, acciò che l’imitazione riesca più verisimile. Al poeta all’incontro, quan-
do ragiona in sua persona, sì come colui che crediamo essere pieno di deità e
rapito da divino furore sovra se stesso, molto sovra l’uso comune e quasi con
un’altra mente e con un’altra lingua gli si concede a pensare e a favellare.
Lo stile del lirico poi, se bene non così magnifico come l’eroico, molto più
deve essere fiorito e ornato; la qual forma di dire fiorita (come i retorici affer-
mano) è propria della mediocrità. Fiorito deve essere lo stile del lirico e perchè
più spesso appare la persona del poeta, e perchè le materie che si piglia a tratta-
re per lo più sono <oziose>, le quali, inornate di fiori e di scherzi, vili e abiette
si rimarrebbono; onde se per avventura fosse la materia morata24 trattata con sen-
tenze, sarà di minor ornamento contenta.
Dichiarato adunque e perchè fiorito lo stile del lirico, e perchè puro e sem-
plice quello del tragico, l’epico vedrà che, trattando materie patetiche o morali,
si deve accostare alla proprietà e semplicità tragica; ma, parlando in persona pro-
pria o trattando materie oziose, s’avvicini alla vaghezza lirica; ma né questo né
quello sì che abbandoni a fatto la grandezza e magnificenza sua propria. Questa
varietà di stili deve essere usata, ma non sì che si muti lo stile non mutandosi le
materie; chè saria imperfezione grandissima.25
24. Nel senso latineggiante di ‘relativa ai mores’. In PE, p. 199, il latinismo forte è evi-
tato: «Ma se le cose fossero piene di affetti e di costumi, sarebbono per avventura contente di
minor ornamento».
25. AP, pp. 41-42.
26. Come sottolinea Javitch 1999, 529 e 532-33, «prima delle formulazioni di Tasso non
c’è nessuna discussione specifica sullo stile alto o sui tre livelli che metta in relazione stile
e genere»; «Aristotele non diede ai codificatori italiani del Cinquecento una definizione
di genere bell’e pronta né tanto meno un sistema dei generi. Piuttosto costoro, volendo
erigere un tale sistema, compresero che i fondamenti potevano essere tratti dalla Poetica».
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Nel prosieguo del trattato il Tasso precisa che alcune figure e alcuni
artifici sono più propri dello stile alto:
L’umiltà dello stile nasce da le contrarie cagioni. E prima: umile sarà il con-
cetto, se sarà quale a punto suol nascere ne gli animi de gli uomini ordinaria-
mente, e non atto ad indurre meraviglia, ma più tosto all’insegnare accomodato.
Umile sarà l’elocuzione se le parole saranno proprie, non peregrine, non nove,
non straniere, poche translate, e quelle non con quell’ardire che al magnifico si
conviene; pochi epiteti, e più tosto necessarii che per ornamento. Umile sarà la
composizione se brevi saranno i periodi e i membri, se l’orazione non avrà tante
copule, ma facile se ne correrà secondo l’uso comune, senza trasportare nomi o
verbi; se i versi saranno senza rottura; se le desinenze non saranno troppo scelte.
Il vizio prossimo a questo è la bassezza. Questa sarà ne’ concetti se quelli
saranno troppo vili e abietti, e avranno dell’osceno e dello sporco. Bassa sarà l’e-
locuzione se le parole saranno di contado o popolaresche a fatto. Bassa la composizio-
ne se sarà sciolta d’ogni numero, e ’l verso languido a fatto, come:
che tutte queste figure ove si scopre l’affettazione, sono proprie della mediocrità, e sì
come molto dilettano, così nulla movono. 28
come «proprie della mediocrità» sono cioè le seguenti figure: simmetrie perfet-
te, parallelismi, chiasmi, coppie, tricola, isocola, e tutte quelle che producano un
eccessso di simmetria, di regolarità, di armonia.29
Riferimenti bibliografici
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Firenze 1970, pp. 141-56.
Bozzola 1999 = S.B., Purità e ornamento di parole. Tecnica e stile dei Dialoghi del
Tasso, Firenze, Accademia della Crusca, 1999.
Bruscagli 1985 = R.B., L’Aminta del Tasso e le pastorali ferraresi del ’500, in Studi di
Filologia e Critica offerti dagli allievi a Lanfranco Caretti, Roma. Salerno Editrice,
1985, I, pp. 279-318.
Colussi 2011 = D.C., Figure della diligenza. Costanti e varianti del Tasso lirico nel can-
zoniere Chigiano L VIII 302, Roma-Padova, Antenore, 2011 («Miscellanea eru-
dita», 79)
Contini 1939 (1970) = G.C., Introduzione alle Rime di Dante [1939], in Varianti e
altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), Torino, Einaudi, pp. 319-34.
Da Pozzo 1983 = G.D.P., L’ambigua armonia. Studio sull’Aminta del Tasso, Firenze,
Olschki, 1983.
Fubini 1967 (1971) = M.F., L’Aminta intermezzo alla tragedia della Liberata [1967],
in Id., Studi sulla letteratura del Rinascimento, Firenze, Sansoni, 1971, pp. 200-15.
Graziosi 2001 = E.G., Aminta 1573-1580. Amore e matrimonio in casa d’Este, Pisa,
Pacini Fazzi.
Grosser 1992 = H.G., La sottigliezza del disputare. Teoria degli stili e teoria dei generi
in età rinascimentale e nel Tasso, Firenze, La Nuova Italia.
Javitch 1999 = D.J., Dietro la maschera dell’aristotelismo. Innovazioni teoriche nei
Discorsi dell’arte poetica, in Venturi 1999, II, 523-33.
Molinari 1995 = T.T., Lettere poetiche, a cura di Carla Molinari, Parma, Fondazio-
ne Pietro Bembo / Guanda,
Poma 1964 = T. Tasso, Discorsi dell’arte poetica e del poema eroico, a cura di L.P., Bari,
Laterza.
Quondam 1999 = A.Q., «Sta notte mi sono svegliato con questo verso in bocca». Tasso,
Controriforma e Classicismo, in Venturi 1999, II, 535-95.
Segre 1982 (1984) = C.S., Intertestualità e interdiscorsività nel romanzo e nella poesia
(1982), in Teatro e romanzo. Due tipi di comunicazione letteraria, Torino, Einaudi,
1984, pp. 103-18.
Soldani 1999 = A.S., Attraverso l’ottava. Sintassi e retorica nella Gerusalemme Libera-
ta, Pisa, Pacini Fazzi.
Tissoni Benvenuti-Mussini Sacchi 1983 = Teatro del Quattrocento. Le corti padane,
a cura di A.T.B. e M.P.M.S., Torino, Utet.
Trovato 1994 = P.T., Dizionari di dizionari, «la Rivista dei libri», luglio/agosto
1994, pp. 25-29;
Trovato 1998 = P.T., LIZ e i suoi fratelli, «la Rivista dei libri», giugno 1998, pp. 9-10.
Trovato 2003 = P.T., Ancora sul testo dell’Aminta. Nuovi testimoni e vecchie macroua-
rianti, in Corti rinascimentali a confronto. Letteratura, musica, istituzioni, a cura di
B. Marx, T. Matarrese, P. Trovato, Firenze, Cesati, pp. 161-73.
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Venturi 1999 = Torquato Tasso e la cultura estense, a cura di G.V., indice dei nomi e
bibliografia generale a cura di A. Ghinato e R. Ziosi, Firenze, Olschki, 3 voll.
Vitale 2007 = M.V., L’officina linguistica del Tasso epico. La ‘Gerusalemme Liberata’,
Milano, Led.
ABSTRACT
Prendendo le mosse da alcune riprese intertestuali che legano l’Aminta alle
Novelle di Bandello, da un sommario confronto retorico e stilistico tra il Re Tor-
rismondo e l’Aminta e dalle indicazioni desumibili dagli scritti retorici tassiani, il
saggio suggerisce che, all’interno della tradizionale distinzione dei tre stili, l’A-
minta sia intesa dall’autore come un opera di stile medio.
Building on a little series of textual reminiscences that bind the Aminta to the
Novelle of Bandello, on a brief rhetorical and stylistic comparison between the
Re Torrismondo and the Aminta and on the indications contained in the rhetori-
cal writings of Tasso, the essay suggests that, within the classical distinction of the
three styles, the Aminta is intended by the author as a ‘middle’ style work.
Paolo Trovato
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