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LA STORIA DI ATLANTIDE

di Michael Baigent
(tratto, per gentile concessione della Marco Tropea Editore, dal volume "Misteri Antichi" 1999)

Nessuno sa quando fu fondata l'antica città egizia di Sais, anche se le prime testimonianze che la riguardano risalgono al
3000 a.C. Situata nella regione del delta del Nilo, per millenni passò completamente inosservata, finché non divenne la
capitale del regno durante la XXVI Dinastia. I numerosi templi della città erano affidati a una casta sacerdotale chiusa che
si occupava dei riti e conservava gelosamente la tradizione storica. Gli antichi egizi, infatti, credevano che la saggezza e la
conoscenza fossero un dono degli dèi ispiratori della loro civiltà, e che qualunque innovazione o nuova versione di quanto
era già scritto li avrebbe allontanati sempre più dalla purezza della verità delle origini. Secondo la tradizione, sulle grandi
colonne di pietra di uno dei templi di Sais era stata scritta in geroglifici la storia misteriosa del primo regno noto
nell'antichità, quello di Atlantide. Eccone la versione di Platone:
"Novemila anni fa, nell'oceano Atlantico, il vero oceano, oltre le Colonne dí Ercole, c'era un'isola più grande della Libia e
dell'Asia messe insieme. I suoi re erano uniti in una confederazione che governava non solo l'isola, ma molti altri paesi:
l'Africa sino all'Egitto, l'Europa sino alla Toscana".
L'autore ci dà anche una descrizione di Atlantide: quasi tutte le sue coste scendevano a picco sul mare e le alte scogliere
la proteggevano dall'Atlantico burrascoso e dagli eserciti invasori. Al di là delle scogliere, c'erano le foreste, i laghi, i fiumi
e dietro si alzavano grandi catene montuose, con vulcani e numerose sorgenti d'acqua calda sfruttate dalla popolazione.
Atlantide era grande più o meno come la Spagna: raggiungeva una lunghezza di quasi settecento chilometri e l' estremità
settentrionale era alla stessa latitudine dello stretto di Gibilterra.
Era un'isola ricca di risorse naturali: le sue foreste, i suoi laghi e le sue paludi ospitavano un gran numero di animali
selvatici, soprattutto elefanti. Forse il racconto si riferisce ai mastodonti, una specie ormai estinta di elefanti ma molto
comune durante l'ultima Era Glaciale. La parte meridionale dell'isola era molto diversa: le montagne si arrestavano e
facevano da protezione a una vasta pianura fertile, profonda più di 370 chilometri e larga oltre 500. Il paesaggio era
punteggiato di fattorie, villaggi, città e templi, tutti collegati alla capitale da una rete di canali, attraversati da
imbarcazioni che trasportavano il legname delle foreste dell'interno e i prodotti agricoli da vendere nelle città, o da
esportare grazie ai fiorenti porti.
La capitale di Atlantide si trovava sulla punta meridionale della grande pianura. Era a pianta circolare e al centro sorgeva
il tempio del dio Poseidone e di sua moglie, la mortale Cleito: nelle immediate vicinanze c'erano le mura della cittadella
reale, dove si trovava il palazzo del sovrano. Al di là delle mura c'era il primo dei grandi canali concentrici che
circondavano e dividevano la città: i canali erano tre, e ognuno disponeva di un porto per la flotta militare e commerciale,
che rendeva Atlantide rinomata. Il dio più importante, fondatore della civiltà di Atlantide, era Poseidone. La cronaca
antica racconta che il dio scese dal cielo e decise di sposare Cleito, una ragazza orfana che, come gli altri abitanti
dell'isola, conduceva una vita semplice e frugale. Il loro figlio più grande, Atlante, divenne il primo re dell'isola.
Il culto di Poseidone veniva celebrato con il sacrificio di tori. Al centro della città sorgeva il suo tempio, circondato da un
bosco sacro dove i tori vivevano in libertà. Ogni cinque o sei anni, il re e i suoi parenti, che governavano le varie
province, si riunivano nel tempio per rinnovare l'alleanza con Poseidone e per discutere degli affari di stato.
Per prima cosa dovevano catturare un toro, servendosi di bastoni e di funi, perché le armi di ferro erano proibite. Una
volta catturato, lo portavano all'interno del tempio, dove su una colonna di metallo erano scolpite la storia e le leggi del
paese; qui l'animale veniva sacrificato e il suo sangue fatto colare sull'iscrizione. Allora i governanti giuravano fedeltà alla
legge e, per suggellare il patto, bevevano il sangue del toro misto a vino. Dopo questo rito di rinnovamento, riunivano la
corte e discutevano degli affari dello stato.
Per molti secoli la saggezza e la moderazione regnarono su Atlantide. Ma, con il tempo, queste virtù cominciarono a
tramontare lasciando il posto all'avidità e all'ambizione. La ricchezza e l'orgoglio fecero perdere al popolo il favore degli
dèi e lo condussero alla rovina.
Il fascino del potere si impadronì di Atlantide: i suoi eserciti occuparono la penisola iberica, la Francia meridionale e l'Italia
settentrionale, creando un impero che veniva tenuto con la forza delle armi. Cercarono di invadere anche l'Egitto e la
Grecia, ma furono infine sconfitti dagli ateniesi, che conquistarono il predominio.
Dopo la sconfitta gli dei, delusi, decisero di distruggere l'isola, che fu scossa da violenti terremoti e colpita da inondazioni.
La catastrofe si abbatté su Atlantide, che venne inghiottita dal mare e scomparve per sempre.
Tutto ciò che ne rimase, fu un enorme mucchio di fango che da allora rese impossibile attraversare l'oceano Atlantico.

Le fonti della storia


La storia di Atlantide, la sua ascesa e la sua violenta distruzione vennero raccontate per la prima volta dal greco Platone,
uno dei primi e certamente dei massimi filosofi della storia. Nacque intorno al 427 a.C. e insegnò ad Atene sino alla
morte, avvenuta circa ottant'anni dopo. Nei suoi scritti, generalmente in forma di discussione e dialogo tra amici e
discepoli, si serviva spesso di leggende e della storia tramandata ma senza mai ricorrere all'invenzione. Si appropriava del
materiale che trovava, così come lo trovava, solo per spiegare più chiaramente la sua filosofia. Nei suoi ultimi anni di vita,
quando aveva già raggiunto la notorietà, scrisse due dialoghi collegati fra loro, il "Timeo" e il "Crizia", nei quali Crizia, che
era un suo anziano parente, riferisce la storia di Atlantide, così come l'aveva sentita. Evidentemente, Crizia aveva
raccontato la storia a Platone che, com'era nel suo stile, l'aveva poi trasformata in dialogo; ma lui dove l'aveva ascoltata?
Nel dialogo, spiega che da sempre veniva tramandata nella sua famiglia; era stata raccontata per la prima volta a suo
nonno da un parente, il grande ateniese Solone, che ne aveva lasciato una dettagliata versione scritta. Certamente
Platone doveva aver letto quegli appunti un secolo e mezzo dopo. Solone era un personaggio enormemente stimato dai
greci, soprattutto all'epoca di Platone, e dunque una falsa attribuzione sarebbe stata impensabile; era anche considerato
uno degli uomini più saggi del suo tempo, perché aveva concepito le leggi che governavano Atene.
In un periodo di forti tensioni civili, Solone fu incaricato di stilare un sistema politico e legale soddisfacente ed equo per
tutti. Svolto il suo compito con grande competenza e consapevole che per la sua fama molti gli avrebbero rivolto le
proprie petizioni, Solone decise di allontanarsi da Atene, e di lasciare che i suoi concittadini imparassero a convivere
seguendo le leggi così come erano scritte. Perciò, non appena il suo sistema legislativo fu entrato in vigore, lasciò la città
e si imbarcò per l'Egitto.
Come molti ateniesi, Solone si dedicava al commercio marittimo e possedeva navi; non è quindi strano che abbia scelto
come meta l'Egitto, dove risiedeva da tempo una comunità greca. Il faraone Amasis (570-526 a.C.) aveva concesso ai
greci di usare come base commerciale il porto di Naucratis, vicino alla capitale Sais, sul delta del Nilo, e fu durante il suo
regno che Solone arrivò nel paese. Durante la permanenza in Egitto, che durò alcuni anni, egli visitò Sais, dove ebbe
modo di parlare a lungo con Sonchis, uno dei sacerdoti della città. Visitò anche Heliopolis, dove divenne amico di un' altro
sacerdote, Psenophis, che gli trasmise l'antica saggezza custodita nei templi. Entrambi i sacerdoti erano "i più istruiti fra i
sacerdoti egiziani".
Durante la conversazione con uno di loro, forse lo stesso Sonchis, Solone udì per la prima volta la storia di Atlantide:
forse fu l'ira che fece dimenticare all'egiziano la sua riservatezza sacerdotale. Mentre si trovava nel tempio di Sais,
l'ateniese cominciò a esaltare la millenaria antichità della storia greca e, a un certo punto, uno dei sacerdoti anziani,
spazientito, sbottò.
"Solone, Solone" lo interruppe esasperato "voi greci siete bambini: non esiste un solo greco che possa essere chiamato
vecchio !" Solone, preso alla sprovvista, gli chiese cosa intendesse dire.
"Voi" spiegò il sacerdote "non possedete ancora un passato in cui credere, nulla che vi venga da un'antica tradizione; e il
vostro sapere non è canuto di vecchiaia".
L'egiziano descrisse le sciagure che nei tempi remoti avevano distrutto l'umanità: in Grecia, per esempio, c'era stato un
grande diluvio e le città della costa erano state inghiottite dal mare. Poiché nessuno dei sopravvissuti sapeva scrivere, la
civiltà aveva dovuto ricominciare dal principio e il ricordo dei tempi precedenti al disastro era andato perduto. Ma in Egitto
nessuna di quelle calamità naturali aveva avuto effetti così devastanti; e dunque, spiegò il sacerdote, "tutti quegli
avvenimenti sono stati conservati qui nei nostri templi".
Venuto a conoscenza di questi fatti, Solone si rese conto con grande emozione che avrebbe potuto imparare qualcosa del
passato e chiese con ansia al sacerdote di continuare il suo racconto. Questi, all'inizio, si mostrò riluttante, ma poi decise
di non nascondergli nulla della storia di Atlantide. Ecco spiegato come l'ira ebbe la meglio su di lui, inducendolo a rivelare
qualcosa su cui forse avrebbe preferito tacere. La mancanza di ulteriori informazioni su Atlantide potrebbe indicare che si
trattava, forse, di verità riservate al circolo ristretto dei sacerdoti. Comunque, riluttante o no, l'egiziano raccontò a Solone
quanto era accaduto novemila anni prima ad Atlantide.
L'ateniese, colpito dalla drammaticità dell'accaduto, decise di trasformarlo in un grande poema epico, come quelli scritti
da Omero sulla guerra di Troia. Alla fine dei suoi viaggi, tornò ad Atene e cominciò a lavorarci, ma poi abbandonò
l'impresa, forse intimorito dalla vastità del compito che si era assunto. Qualunque ne sia stata la ragione, Solone passò le
annotazioni che aveva stilato all'avo di Crizia, che le tramandò ai membri della sua famiglia, sino a giungere a Platone.
Fu il filosofo greco a inventare la storia di Atlantide ? Pare poco probabile, se è vera la fama di obiettività dei suoi scritti.
Del resto anche Solone era considerato uomo di grande onestà e saggezza e la linea familiare attraverso cui il racconto si
è tramandato sembra sicura. Tuttavia, probabilmente, più persone, compreso il sacerdote egiziano, vi hanno aggiunto
qualche dettaglio: si tratta, dunque, di una storia vero che con il tempo è diventata sempre più fantasiosa e che contiene
sicuramente elementi che sembrano derivare da fonti diverse.
Platone stesso sapeva che la sua versione era difficilmente credibile, tanto che avvertì la necessità di affermare in modo
esplicito che si trattava di "un racconto che, pur suonando strano era comunque assolutamente vero". E anzi, nel
"Timeo", vuole sottolinearne per ben cinque volte la completa veridicità: un'inesistenza che indica chiaramente come si
aspettasse di provocare una certa incredulità. Non si sbagliava: il suo discepolo Aristotele lo rifiutò immediatamente,
considerandolo una favola. Diamo per scontato il fatto che Platone abbia tramandato con fedeltà qualcosa in cui almeno
lui credeva. Solone, però, potrebbe aver portato alcune modifiche alle confidenze del sacerdote o essersi trovato in
difficoltà con la comprensione dei geroglifici, alcuni dei quali, come Platone rivela, aveva tradotto personalmente. Il
sacerdote egiziano, a sua volta, forse si era limitato a inventare una storia, per dimostrare che la cultura greca non era
antica come Solone sosteneva. Forse, nella sua irritazione, inserì qualche particolare fantasioso in una storia vera.
Il racconto pone tre problemi principali:
- Platone è l'unico a riportarlo. E ciò significa che, anche se vero, non era molto noto e nessun'altra fonte dell'antico
Egitto lo conserva. Quando Alessandro Magno invase il Paese e ne assunse il dominio, centinaia di studiosi greci ebbero
accesso agli antichi documenti egizi, così durante il regno ellenistico venne costruita la famosa biblioteca alessandrina,
che conteneva tutto ciò che la sapienza del mondo antico aveva prodotto. Se i particolari della storia di Atlantide avessero
raggiunto la biblioteca, molti di quelli che vi lavoravano nei secoli successivi li avrebbero certamente menzionati.
Nemmeno gli archeologi moderni ne hanno trovato una versione sui papiri o nelle iscrizioni, anche se è vero che molti dei
documenti dell'antico Egitto sono andati perduti. Come è vero, del resto, che una certa parte delle conoscenze antiche
venne sempre tenuta segreta.
- Vi si asserisce che novemila anni prima, cioé circa nel 9565 a.C., esisteva una civiltà che conosceva l'uso dei metalli, le
tecniche della navigazione, delle costruzioni in pietra squadrata e dellíagricoltura. Tali conoscenze vennero raggiunte nell'
Età del Bronzo, che comincia solo nel 3200 a.C. La storia , quindi, sembrerebbe ambientata seimila anni in anticipo.
- L'enorme isola, culla di questa cultura, sarebbe scomparsa nellí Atlantico in un giorno o poco più a causa di un
terremoto, ma non sembra che esistano documenti o prove che sostengano líipotesi di una tale catastrofe.
Trascurando per il momento il particolare dell'uso dei metalli, sicuramente civiltà avanzate come quella di Atlantide
c'erano già intorno al periodo indicato da Platone: studi compiuti negli ultimi trent'anni hanno dimostrato che una civiltà
con una alto grado di specializzazione esisteva a Catal Huyuk, in Anatolia; cinte murarie e torri di pietra furono costruite a
Gerico, nella valle del Giordano, in epoca molto antica, forse addirittura intorno al 7000 a.C.; la lavorazione dei metalli
cominciò però circa duemila anni più tardi. Dunque, che verso il 9000 a.C. esistesse una civiltà come quella di Atlantide
non è poi così impossibile; mancano solo le prove. Certe civiltà, poi, sono andate completamente perdute e ancora oggi,
ogni tanto, si scoprono i resti di qualche sconosciuto impero del passato.
In ogni caso, la maggior parte degli studiosi non ha discusso il livello di civilizzazione descritto nel racconto di Atlantide,
ha solo detto che una datazione così remota era impossibile, sostenendo che, se la storia ha un fondo di verità, allora la
civiltà scomparsa che vi è descritta dovrebbe essere datata fra il 1500 e il 2000 a.C., dunque all'Età del Bronzo e non
prima. Non ci sono molti dubbi sul fatto che l'Atlantide descritta da Platone sia una civiltà della tarda Età del Bronzo e
quindi, o dobbiamo considerare sbagliata la datazione di Platone e cercarla fra le culture a noi note, o dobbiamo
concludere, contraddicendo tutte le prove archeologiche di cui disponiamo, che è l'Età del Bronzo è cominciata circa
seimila anni prima. Naturalmente, gli studiosi hanno scelto di prendere in considerazione solo i siti archeologici conosciuti.
E' possibile che un insediamento culturalmente avanzato dell'Età del Bronzo sia semplicemente scomparso? Che sia
sprofondato per sempre sott'acqua dopo un'eruzione vulcanica o un cataclisma tellurico? In effetti, questo è avvenuto in
almeno due casi. Gli studiosi hanno abbandonato la zona dell'Atlantico, la cui ipotesi appariva troppo eccentrica, e si sono
concentrati nuovamente sul Mediterraneo, dove, proprio nel periodo in discussione, un agglomerato urbano fu distrutto
da un'esplosione e un altro, in seguito a un violento terremoto, sprofondò in un lago nel quale, oggi, restano soltanto i
profili delle sue mura.

L'eruzione di Thera
Nell'estate del 1628 a.C. l'isola greca di Thera esplose con la potenza di trenta bombe all'idrogeno. Il centro dell'isola
scomparve e i frammenti di terreno polverizzati e vaporizzati furono proiettati in cielo per chilometri. Campi e vigneti
vennero sostituiti da un cratere largo e profondo che il mare riempì rapidamente. Le poche zone dell'isola rimaste intorno
al bordo del cratere furono coperte in breve tempo dai detriti vulcanici, strati e strati di cenere incandescente.
I resti dell'isola, terreni inabitabili per generazioni, forse per centinaia di anni, costituiscono oggi le cinque piccole isole
greche note con il nome di Santorini, la più grande delle quali è Thera. Come tutte le isole greche, Thera è oggi un
popolare centro turistico, che colpisce i visitatori per le alte scogliere vulcaniche che si innalzano, ripide, dalle azzurre
acque dell'Egeo. Piccole case bianche si stringono tutt'intorno al bordo aguzzo del cratere, come uccelli marini appollaiati,
pronti a spiccare il volo al primo segno di pericolo. Fili sottili di fumo si alzano ogni tanto da una delle isolette al centro
del cratere pieno díacqua, ricordando ai turisti che il vulcano sottostante è ancora attivo. Anche Thera ha le sue rovine
del periodo classico: templi, case, edifici pubblici ed un teatro. Ma ormai da molto tempo si sa che sotto gli strati di detriti
vulcanici giacciono le prove concrete di una civiltà dimenticata. Negli anni, l'erosione ha portato alla luce tracce di mura e
di vasellame e nel secolo scorso furono scoperti i resti di tre case, una delle quali decorata da pitture. Ma gli scavi non
vennero ultimati perché gli archeologi erano pochi e i fondi limitati. Gli archeologi impararono molto presto che i fondi
venivano concessi solo a fronte di scoperte sensazionali e che erano le isole come Creta, con i suoi grandi palazzi, ad
attrarre il maggiore interesse. E proprio a Creta si trovavano le imponenti rovine di una grandissima civiltà, dedita alla
navigazione e al commercio, di cui prima non si sapeva nulla. La capitale dell'isola era Cnosso, con il suo splendido
palazzo, e qui, nel 1899, Sir Arthur Evans diede inizio a una campagna di scavi. La civiltà di Creta è nota anche come
civiltà minoica, dal nome di uno dei suoi re, Minosse, reso famoso dal mito greco del Minotauro.
Una delle caratteristiche della civiltà minoica era l'amore per le decorazioni: i suoi vasi sono finemente dipinti e gi
affreschi trovati nelle case raffigurano con fedeltà quella che doveva essere la vita quotidiana di Creta; líarte minoica ci
aiuta, soprattutto, a farci un'idea della religione che la caratterizzava, il culto del toro.
Gli archeologi hanno anche scoperto che quella raffinata e prospera civiltà venne improvvisamente sopraffatta e distrutta.
Le mura di ville e palazzi furono abbattute, le case bruciate, il vasellame distrutto. Anche la potenza di Creta svanì, a
quanto pare da un giorno all'altro: le sue navi smisero di colpo di controllare le vie marittime e i suoi mercanti di
importare beni di ogni genere da tutte le parti del mondo conosciuto.
Gli studiosi notarono subito che esistevano numerosi paralleli fra la descrizione che Platone fa di Atlantide e la cultura
cretese dell'Età del Bronzo, non ultimo il particolare che entrambe erano cessate all'improvviso. Anzi, nel giro di una
decina d'anni dalla scoperta delle rovine di Creta qualcuno, peraltro anonimo, ipotizzò che esistesse un legame fra le due
isole. Nei cinquant'anni seguenti furono proposti altri paralleli e infine, nel 1967, uno dei teorici più entusiasti,
l'archeologo greco Spyridon Marinatos, cominciò a cercare sottoterra le prove di questo parallelismo.
Il professor Marinatos condusse a Thera scavi sistematici per sette anni sino alla sua morte, avvenuta in loco nel 1974. In
questi sette anni fu fatta la sensazionale scoperta di vari settori di una città vastissima e ciò chiarì due diversi aspetti. Per
prima cosa, Marinatos ebbe la prova che Thera era esplosa quando la civiltà dell'Età del Bronzo era la suo apice. In
secondo luogo, risultò chiaro che esisteva un legame molto stretto fra gli abitanti di Thera e quelli dell'isola minoica.
Forse Thera era un avamposto cretese, una colonia o un alleato molto stretto. In questo modo, venne confermata la
teoria di un'Atlantide dell'Età del Bronzo: l'esplosione di Thera causò la decadenza della Creta minoica e la sua
"scomparsa". Thera, o forse Creta, era Atlantide.
Campioni raccolti sul fondo marino rivelarono che i detriti derivanti dall'esplosione dell'isola erano sparsi in buona parte
dell'Egeo meridionale e si calcolò che lo spessore della cenere caduta su Creta era circa di venti centimetri, abbastanza
per rendere sterile il terreno. Sul fondale, fu anche trovata una certa quantità di pietra pomice e le prove di una
catastrofe estesa: tra palazzi reali, quattro grandi ville di campagna e sei intere città, distrutte contemporaneamente.
Anche gli insediamenti della costa mostravano segni di gravi danni, dovuti agli effetti distruttivi del maremoto, che
certamente deve essere seguito a un'eruzione di quella portata. Le mura erano crollate verso l'esterno e vennero anche
trovati i frammenti di vari effetti personali disseminati per un ampio raggio. Il professor Marinatos, insieme ad altri
studiosi, si convinse che gli scavi di Thera e di Creta avevano finalmente risolto il mistero di Atlantide. In una serie di
pubblicazioni uscite a breve intervallo l'una dall'altra per divulgare e sostenere le loro tesi, gli studiosi conclusero che la
storia di Atlantide tramandata da Platone descriveva, essenzialmente, la cultura minoica dell'Età del Bronzo e la sua
improvvisa scomparsa dopo l'esplosione vulcanica di Thera. Si dichiararono inoltre convinti che l'effetto combinato e
distruttivo dei lapilli, del maremoto e probabilmente dei terremoti conseguenti, indebolirono talmente Creta da renderne
sterile e ignota la fiorente civiltà. Ma in questo gli studiosi si sbagliarono.
Il mondo greco classico conosceva bene Creta e la sua storia. Platone visitò l'isola con l'intenzione di fondarvi una
comunità. Esisteva anche una ricca tradizione mitologica greca incentrata sulla Creta minoica e sul re Minosse. E'
inconcepibile che Solone e Platone non abbiano identificato Atlantide con Creta, se questo fosse stato il suggerimento
della storia originale. Il loro silenzio è una prova evidente che le due isole erano considerate due luoghi assolutamente
distinti. Inoltre, la figura eroica più importante nella storia di Atlantide è Atlante, da cui presero nome sia l'isola sia
l'oceano, mentre non esiste nessun mito greco, riguardante Creta, in cui ad Atlante venga attribuito un simile ruolo. Ma
sono la storia e l'archeologia che mettono fine alla discussione su Thera: la fine improvvisa dell'attività commerciale
cretese, di cui tanto si parla, semplicemente non ci fu. Come non ci fu alcuna brusca rottura dei legami tra Creta e i suoi
partner commerciali. La prova definitiva che il professor Marinatos si sbagliava arrivò quando gli archeologi scoprirono
strati di ceneri vulcaniche di Thera sotto quelli della Creta distrutta, il che dimostrava come l'eruzione di Thera fosse
precedente. Inoltre, il vasellame trovato a Thera risale a un periodo più antico di quello trovato nelle rovine dei palazzi
cretesi. Oggi si pensa che l'eruzione di Thera sia avvenuta addirittura 250 anni prima della distruzione di Creta che, a
quanto pare, fu causata da invasioni e guerre di conquista.
L'esplosione di Thera non determinò la scomparsa della cultura minoica e non può spiegare la storia di Atlantide. Si tratta
di una tesi superata. E' dunque davvero impossibile rintracciare l'origine del racconto di Platone?
La scomparsa di Tantalide
Secondo Platone, prima della distruzione di Atlantide, i suoi eserciti fino ad allora vittoriosi furono sconfitti in battaglia
dagli ateniesi. Il filosofo descrive anche la vita che si conduceva in quei tempi remoti con minuzia di particolari.
Platone comincia con il racconto doloroso della grande erosione che colpì la Grecia. Descrive come, in tempi lontani, la
terra fosse ancora fertile, coperta di foreste e di campi coltivabili, dove pascolavano molte greggi. Ai suoi tempi, il terreno
era già molto impoverito e meno produttivo. Il grande filosofo fa anche una descrizione dettagliata dell'acropoli di Atene,
della sua estensione, delle varie zone abitate dai militari, dagli artigiani e dagli agricoltori. Descrive gli edifici e annota
come vennero distrutti prima della costruzione di quelli a lui contemporanei, e parla dell'unica, grande sorgente che
riforniva di acqua la città ma che un terremoto aveva ostruito molto prima che lui nascesse.
I ritrovamenti archeologici hanno dimostrato, da lungo tempo, che la descrizione di Platone era fedele sotto tutti i punti di
vista. Il filosofo non parla di qualcosa di immaginario, ma riferisce dettagli storici ricavati da documenti sconosciuti.
L'antica Atene e i suoi abitanti ci sono noti: facevano parte di una civiltà della tarda Età del Bronzo, la cui dinastia reale
risiedeva a Micene intorno al 1100 a.C. Fu quella dinastia che invase Creta, distrusse i suoi palazzi e prese il posto dei re
minoici nel palazzo di Cnosso; e che fece la guerra di Troia.
Uno studioso ha persino avanzato l'ipotesi che la storia di Atlantide sia quella della guerra di Troia, che ne sarebbe solo
una versione egizia, rivista e corretta. La tesi non trova prove sufficienti a suo sostegno, dal momento che Troia non
"sprofondò" mai, anche se "cadde", e i suoi resti si possono vedere ancora oggi sulla terraferma. Quindi, a Troia tocca lo
stesso destino di Thera: è una bella idea, ma non funziona.
E' possibile che i legami con l'Età del Bronzo debbano essere considerati soltanto come un substrato sul quale Solone
voleva sviluppare il suo poema epico? Un approccio di questo tipo è abbastanza comune fra gli scrittori e gli artisti: i
pittori rinascimentali dipingevano spesso scene bibliche con personaggi vestiti in abiti "moderni"; il musical West Side
Story era una versione del "Romeo e Giulietta" di Shakespeare ambientato a New York. Anche l'ambientazione della storia
di Atlantide nell'Età del Bronzo era stata una variazione d'artista per creare uno scenario a una catastrofe ben più antica?
Potrebbe esser così. Ma prima di abbandonare l'ipotesi dell'Età del Bronzo dobbiamo ancora prendere in esame alcuni
fatti che mostrano alcuni parallelismi con la storia di Atlantide e che solo di recente sono stati recuperati dal buio della
storia. Si tratta del racconto che riguarda Tantalo, re della Lidia; il regno comprendeva metà della Turchia a partire dal
680 a.C. fino all'invasione da parte degli eserciti persiani nel 546 a.C., solo diciannove anni prima della nascita di Platone,
l'ultimo re di Lidia fu Creso, famoso per il suo amore per la ricchezza e il lusso.
Lo studioso e scrittore Peter James, consapevole di quanto tutte le spiegazioni che collegavano Atlantide all'Età del
Bronzo fossero lacunose, decise di usare un altro tipo di approccio. Per prima cosa, cominciò a studiare la figura di
Atlante, descritto come primo re di Atlantide.
Secondo il mito greco, Atlante era stato condannato a vivere a occidente e a sostenere su di sé, per l'eternità, il peso del
cielo. Il fatto che il re di Atlantide vivesse a occidente spiega perché la storia riferita da Platone sia ambientata
sullíoceano Atlantico. James si chiese se questa non fosse un'aggiunta successiva, dal momento che le navi e i mercanti
greci si spinsero al di là delle Colonne d'Ercole solo nel VII secolo a.C. Ma da dove era stato bandito Atlante? Nessun altro
studioso moderno si è posto questa domanda.
Il poeta greco Pindaro, vissuto nel V secolo a.C., scrive che Atlante era stato bandito "dalla terra dei suoi avi e dalle sue
proprietà". Ma dov'erano questa terra e queste proprieta? James cercò fra i documenti antichi e scoprì che tutti,
inequivocabilmente, indicavano l'Anatolia, la Turchia occidentale. Nell'Età del Bronzo, la Turchia era abitata dagli ittiti, una
popolazione nella cui mitologia figurava un personaggio che, come Atlante, sorreggeva il cielo. In effetti, è possibile che il
greco Atlante derivi da lui, perché l'antica Turchia è una delle fonti primarie della mitologia greca.
Inoltre, Atlante ittita era in qualche modo collegato al culto del toro, e viene spesso raffigurato con la testa di questo
animale e con gli zoccoli al posto di mani e di piedi. I lidi, il cui regno occupava la parte occidentale dell'antico territorio
ittita, avevano una versione peculiare della figura di Atlante; il leggendario re Tantalo che, secondo la leggenda, aveva
accumulato ricchezze favolose. James scoprì vari parallelismi tra le tradizioni che riguardavano la Lidia e la storia di
Atlantide. Il geografo greco Pausania compilò una guida storica dettagliata di tutti i luoghi che aveva visitato, e raccolse
una serie di antiche narrazioni tradizionali che, altrimenti, sarebbero andate perdute. Una di esse descriveva la distruzione
di una città situata sul monte Sipilo, in Lidia, la quale, dopo una spaccatura del terreno, che poi si riempì d'acqua
originando un lago. Il naturalista romano Plinio, vissuto nel I secolo d.C., fornisce un altro particolare di fondamentale
importanza: la città, di cui Pausania descrive la distruzione in seguito al terremoto, era l'antica capitale della Lidia,
Tantalide. Il luogo in cui scomparve non era più un lago, ai tempi di Plinio, ma una palude. Sembra che Pausania fosse
all'oscuro di ciò.
Il parallelo fra Atlantide/Atlante e Tantalide/Tantalo è evidente. Anche i nomi delle due capitali sono stranamente simili.
Dunque James ha davvero risolto, come credeva, il problema di Antlantide? Nel 1994 visitò la regione, vicino alla
moderna città turca di Izmir, e riuscì a individuare il luogo più probabile dove la città era stata inghiottita dalla terra, sulle
pendici settentrionali del monte Sipilo, dove le vecchie carte geografiche indicavano la presenza di un lago o di una
palude. Scolpita sul fianco della montagna, c'è un'immagine molto grande e consunta della dea Cibele, che guarda
Tantalide dall'alto. Ora non resta altro da fare che cominciare a scavare.
Durante i suoi viaggi, Solone non si fermò soltanto in Egitto, ma visitò anche la Lidia. E' possibile che abbia sentito la
storia di Tantalo e che, basandosi su quella, abbia poi scritto quella di Atlantide . Platone ci informa che Solone, quando
decise di usare la storia per il suo poema epico, tradusse i nomi in greco: è possibile che abbia tradotto Tantalo con
Atlante? E' una spiegazione plausibile, ma lascia comunque irrisolti una serie di problemi, in particolare quello della
localizzazione dell'oceano Atlantico. Torniamo, dunque, per un momento alla storia di Platone.

L'oceano Atlantico
Esistono due ragioni principali per cui non è possibile ambientare la storia di Atlantide nel Mediterraneo dell'Età del
Bronzo. La prima è che Platone situa Antlantide al di là delle Colonne d'Ercole, non lontano da un grande continente. La
seconda, è che la colloca in un periodo storico che precede di millenni il tempo in cui lui visse, addirittura prima della I
Dinastia egiziana, che a quei tempi veniva considerata antichissima. Nessuno si aspetta che quello che dice Platone sia
esatto al cento per cento, ma alcuni punti che sembrano anomali corrispondono a verità. Il primo, di natura geografica,
mostra che, per quanto straordinario possa sembrare, Platone, o i sacerdoti di Sais, conoscevano l'esistenza del
continente americano. Il filosofo greco situa Atlante al di là delle Colonne d'Ercole, quindi oltre il passaggio fra l'oceano
Atlantico e il mar Mediterraneo. Sia lui che un qualunque marinaio del suo tempo dovevano sapere dov'era questo
passaggio. Greci e fenici svolgevano da secoli le loro attività commerciali anche al di fuori del Mediterraneo, sia sulle
coste del Marocco, che dell'Inghilterra meridionale. Platone riferisce ancora che "chi viaggiava per mare a quei tempi
poteva arrivare ad Atlantide e poi continuare in direzione delle altre isole". E' possibile che si riferisca alle Indie
Occidentali?
E continua: "Da quelle isole, poteva poi recarsi in quel grande continente che le costeggia e che circonda il vero oceano".
Si riferisce forse all'America, l'unico continente che si trovi oltre le Colonne d'Ercole, nell'Atlantico e al di là di una serie di
isole? Visto che la descrizione corrisponde alla realtà geografica, bisogna concludere che qualcuno doveva aver raggiunto
l'America ed essere poi tornato indietro e che Platone ne era venuto a conoscenza tramite i sacerdoti egiziani. La storia di
Atlantide potrebbe dunque contenere un fondo di verità. Forse gli egizi attraversarono l'Atlantico in un remoto periodo
della loro storia. Erodoto ci informa, per esempio, che circumnavigarono l'Africa, un viaggio sicuramente molto più lungo.
Un'altra affermazione relativa alla navigazione ci porta a credere alla veridicità del racconto. Platone riferisce che ai tempi
di Atlantide "l'oceano era navigabile", ma, dopo che l'isola sprofondò nel mare, "non fu più possibile passare in quel punto
che venne chiuso dalla massa di fango creato dall'isola che era affondata". Sembrano le parole di un marinaio: un
consiglio dato a chi sta per mettersi in mare diretto a ovest per la prima volta.
E' difficile dare una spiegazione a questi espliciti riferimenti all'oceano Atlantico, alle Indie Occidentali e al continente
americano. Almeno questa parte della storia riportata da Platone deve essere vera. E il fatto che le indicazioni sulla
posizione geografica di Atlantide siano così accurate dovrebbe far riflettere chi sostiene che le vicende descritte da
Platone possano essere ambientate in Anatolia.

Un'Antartide senza ghiacci


L'esistenza di conoscenze marittime così accurate in un'epoca tanto remota ci spinge a interessarci anche alla mappa di
Piri Re'is, del 1513, e a quella di Oreste Finneo, del 1531, che sono tuttora inspiegabili. Esse descrivono in modo
straordinariamente particolareggiato come sarebbe l'Antartide senza la sua calotta di ghiaccio spessa tre chilometri, un
dato conosciuto attualmente solo dopo l'accurata ricerca condotta nel continente antartico negli anni cinquanta per messo
di strumenti ad alta tecnologia. L'unica conclusione logica è che le mappe siano frutto del lavoro di antichi e sconosciuti
cartografi, esperti anche nell'arte della navigazione. Probabilmente, in un ignoto periodo della preistoria, esisteva una
civiltà dedita ai commerci marittimi sulle coste al di là del Mediterraneo. Ma non è stata notata l'importanza che le mappe
potrebbero avere per la leggenda di Atlantide. Platone ci informa che l'isola era il centro di un grande impero che si
sosteneva sulla marineria e dominava su molte altre isole al di fuori del Mediterraneo. La città di Atlantide, la capitale,
aveva grandi porti interni e numerosi cantieri navali, dove le imbarcazioni erano protette da mura di pietra. Il porto più
grande, in particolare, "era pieno di navi e di mercanti provenienti da tutto il mondo, tanto da produrre baccano e
trambusto incessanti di giorno e di notte".
Due scrittori canadesi, Rand e Rose Flem-Arth, hanno suggerito l'ipotesi che Atlantide fosse l'Antartide, un tempo libera
dai ghiacci; poiché è situata al centro di un oceano "che circonda tutto il mondo", collegando fra loro Atlantico, Pacifico e
oceano Indiano, che sono, in fondo, il medesimo oceano, anche se diviso dall'America e dall'Africa. I due autori
sostengono che è quello di Platone: il "vero" oceano, che si apre al di là dello stretto passaggio delle Colonne d'Ercole. Il
filosofo afferma che in confronto a esso il Mediterraneo è "solo un porto dall'ingresso molto stretto". Si tratta di una
descrizione molto accurata, se uno si trova nell'oceano Atlantico.
L'affermazione è davvero straordinaria da parte di un greco del IV secolo a.C.: a quei tempi, il Mediterraneo era il centro
del mondo noto e sminuirne a tal punto líimportanza fa capire quanto fossero determinanti le informazioni di natura
geografica di cui Solone e Platone erano entrati in possesso. I Flem-Arth ritengono che l'Atlantide antartica sia stata
distrutta dal maremoto che sconvolse l'oceano "globale" dopo lo scioglimento della calotta polare: l'improvviso espandersi
di quelle acque ghiacciate fece precipitare repentinamente la temperatura su tutto il pianeta e la terra si gelò. I due
autori canadesi osservano che in Siberia sono stati trovati alcuni mammut congelati nel cui stomaco erano presenti tracce
di erba ancora fresca. Gli esseri viventi dell'Antartide subirono tutti lo stesso destino. I sopravvissuti si sparsero per il
mondo allora conosciuto, portando con sé le loro conoscenze in campo agricolo, architettonico e astronomico. Si tratta di
un'ipotesi tanto assurda da sembrare vera, e tutto sembra sostenerla, tranne che prove concrete. Ma, per un'ipotesi così
squisitamente eretica, ciò non dovrebbe essere un ostacolo che, tutto sommato, potrebbe anche non sussistere; perciò i
due autori suggeriscono agli archeologi di cominciare a scavare in Antartide: sotto la spessa crosta di ghiaccio potrebbero
trovarsi i resti congelati di una grande città. E' sufficiente per far venire a qualcuno la voglia di mettere mano al libretto
degli assegni.

Le Azzorre
Un'ultima zona geografica da prendere in considerazione è quella dove Platone situa Atlantide.
Curiosamente, gli studiosi moderni, anche quelli estranei all' establishment accademico, la considerano in qualche modo
inadatta. Platone colloca l'isola nell'Atlantico, specificando che l'estrema punta settentrionale è alla stessa latitudine dello
stretto di Gibilterra e che l'isola viene prima di un gruppo di altre isole (le Indie Occidentali) e di un continente
(l'America). Esiste una lunga catena montuosa sottomarina, lunga migliaia di chilometri, che attraversa l'Atlantico
partendo dall'Islanda sino alla Spagna: la dorsale medio-atlantica. Le cime più alte della catena affiorano in superficie,
dando origine alle Azzorre, alle isole di Ascension e di Tristan da Cunha. Se Atlantide fosse una grande isola del medio
Atlantico, certamente includerebbe una parte della dorsale; ma non si può parlare di sprofondamento: una catena
montuosa va verso l'alto e non certo verso il basso.
Naturalmente, si può considerare la questione da un altro punto di vista: potrebbe non essere sprofondata la terra, ma
salito il mare. Abbiamo già visto, in un precedente capitolo, che il livello del mare si alzò con conseguenze catastrofiche
intorno all'8000 a.C., verso la fine dell'ultima Era Glaciale: data che non si discosta molto da quella indicata da Platone
per la distruzione di Atlantide. Abbiamo anche visto che i denti di animali trovati sulla piattaforma continentale, al largo
delle coste degli Stati Uniti, indicano che il livello del mare si alzò di oltre centoventi metri.
Dopo più di un secolo di studi, gli oceanografi hanno tracciato mappe dettagliate dei fondali marini di tutto il mondo, che
danno un'idea di quante terre non erano sommerse prima dell'innalzamento del livello marino.
Le Azzorre sono sempre state il luogo preferito in cui situare le rovine di Atlantide, perché si trovano alla stessa latitudine
dello stretto di Gibilterra, esattamente come dice Platone. Anche il fatto che si trovino in una zona sismica depone
parzialmente a favore di questa ipotesi: dopo il violento terremoto del 1522, nella zona ci sono stati altri sedici movimenti
tellurici di una certa entità, il più forte dei quali, nel 1757, superò il settimo grado della scala Richter.
Se osserviamo le Azzorre sulla carta geografica, notiamo subito una serie di particolari. Il primo, è che si tratta
certamente di cime di montagne che superano i 6000 metri di altezza rispetto al punto più basso del fondale marino.

QUANTE ATLANTIDI IN FONDO AL MARE


di Daniele Abbiati ("Il Giornale", 30 maggio 1999)

Se il sonno della ragione genera mostri, non c’è dubbio che quando la mente si limita a sonnecchiare ciò che ne sortisce è
il mito. Una via di fuga dalla realtà o, meglio, un modo più elegante di spiegarla. Del resto secondo fior di scienziati,
Einstein in testa, una teoria che si rispetti dev’essere anche «bella». E allora, non ci sono dubbi: in questo senso Atlantide
stravince. Le notizie che giungono dall’Oceano Indiano e delle quali ha già riferito Il Giornale, lasciano tutti a bocca
aperta. Gli studiosi che lavorano a bordo della nave «Joides Resolution» avrebbero finalmente trovato riscontri
dell’esistenza del mitico continente scomparso. Frugando nel plateau sottomarino delle Isole Kerguelen (Terre australi e
antartiche francesi), nell’Oceano Indiano, si sono rinvenuti frammenti di legno, semi e pollini in un sedimento datato 90
milioni di anni. La prova che in tempi remotissimi almeno una parte di quella regione, ha detto il geologo Mike Coffin,
«era sopra il livello del mare». Affiorato per la prima volta 110 milioni di anni fa a seguito di colossali eruzioni vulcaniche,
il «Sesto Continente» sarebbe poi naufragato per la contrazione del magma. Ma dalla morte di una civiltà probabilmente
avanzatissima nacque un filone letterario. Il primo a intuire la straordinaria importanza di una leggenda pervenutagli di
….. quinta mano fu Platone. Il filosofo greco, in due dialoghi, Timeo e Crizia, riporta infatti le parole di Crizia, il quale a
sua volta replica il racconto fattogli da Solone che aveva riferito al fratello Dropide quanto gli avevano detto alcuni
sacerdoti egizi. Ebbene, proprio all’interno di queste «scatole cinesi» troviamo gli indizi del mito. In estrema sintesi. Oltre
9mila anni prima di Solone un regno perfetto in tutte le sue componenti, dominio di Poseidon, il dio del mare, e collocato
oltre le Colonne d’Ercole, finì a causa di un evento catastrofico. Detto per inciso, novemila anni prima di Solone
significavano, per Platone e i suoi contemporanei, qualche cosa molto vicina all’incommensurabilità. Dopo Platone fu la
volta di Aristotele, Erodoto, Diodoro Siculo, Strabone, Gaio Plinio Secondo e Plutarco (per citare soltanto alcuni).
Riportarono notizie confuse, misero in relazione strane segnalazioni, rincorsero con la ragione e la fantasia ciò che non si
poteva toccare con mano. Dopo di loro vennero innumerevoli schiere di altri autori, dal Medioevo in poi. A guidarci in
questa saga infinita è ora un bel libro di Lyon Sprague de Camp, Il mito di Atlantide e i continenti scomparsi, riproposto
da Fanucci dopo l’edizione dell’80. Ingegnere aeronautico, narratore prima per diletto e poi per professione, precursore
dello stile fantasy, prolifico romanziere, de Camp si è divertito a fare le pulci ai suoi «colleghi» del passato. Chi chiama in
causa le leggende arturiane e quindi l’isola di Avalon, chi vede un legame con il Nuovo Mondo, chi invece preferisce rifarsi
all’Africa, o all’India, o a Iperborea, o alla Thüle del navigatore marsigliese Pitea. Altri citano gli esploratori gallesi come il
principe Madoc ab Owen Gwynnedd, ipotetici ponti sull’Atlantico, l’isola Ogigia sulla quale capita Ulisse, Cartagine, Creta, i
Maya, i Polinesiani, la biblica Tartesso (la destinazione di Giona, nei pressi dell’attuale Cadice), la deriva dei continenti. Lo
scettico de Camp ha buon gioco nel ricordare con ironia le parole di un personaggio di Lewis Carroll: «Ciò che vi dico per
tre volte è vero». Soprattutto quando sottolinea che l’Atlantide dei teosofi corrisponde alle descrizioni di Marte che
leggiamo nei romanzi di Edgar Rice Burroughs. O quando riporta la teoria del tedesco Karl Georg Zschaetzsch (1922, data
alquanto sospetta), secondo cui i veri ariani furono gli Atlantidei. Alcuni, poi, negli ultimi tempi hanno collocato il
continente scomparso 80 miglia al largo delle Land’s End, nel Regno Unito, o su un altopiano della Bolivia. Spetta ora
all’équipe della «Joides Resolution» fare piazza pulita di errori e bugie. Ma sappiamo già che se ci riuscirà rimpiangeremo
l’Atlantide dei nostri sogni.
............................
La tomba e le sue offerte sembrano differenziarsi per molti versi da un'altra tomba trovata nel sito un anno prima. Tale
monumento, associato in maniera chiara alla quarta fase di sviluppo della piramide, ospitava soltanto un donna - una
vittima sacrificale - così come un lupo, un giaguaro, un puma, un serpente e scheletri di volatili, oltre a 400 offerte,
comprese una grande pietra verde e figurine di ossidiana, coltelli cerimoniali e punte di lancia. "Il contenuto di tale nuova
sepoltura sembra significativamente differente dalla tomba che abbiamo scoperto l'anno scorso", ha dichiarato Sugiyama.
"Ma vi sono molti aspetti, qui, forse simili a quelli che riscontrammo dieci anni fa nelle tombe sotto la Piramide di
Quetzalcòatl". Sugiyama nota la presenza di molte lame di ossidiana verde nella nuova tomba - ossidiana che manca nella
tomba della piramide quattro, ma comune nelle sepolture della Piramide di Quetzalcòatl - e un pendaglio nasale in pietra
verde a forma di farfalla che è "esattamente dello stesso stile di quelli trovati nella suddetta Piramide".

Fasi successive
L'attuale scoperta sembra collegarsi ad una fase dello sviluppo della piramide, che seguì alla costruzione della piramide
quattro - una fase distinta nella storia della struttura sconosciuta fino ad ora. Gli abitanti di Teotihuacan edificarono
piramidi più grandi sulla cima di monumenti precedenti, spesso ricostruendo parzialmente i preesistenti. Da ricerche
passate si pensava fossero esistite cinque fasi per la Piramide della Luna, che durante la fase uno (I secolo a.C.) assurse
a monumento più importante di Teotihuacan. Gli scavi mostrano un salto nelle dimensioni e nelle complessità
dell'ingegneria con la costruzione della piramide quattro. Sugiyama e Cabrera hanno trovato evidenze che indicano un
significativo rimodellamento della piramide quattro - un quinto periodo di ricostruzione - che avvenne prima dell'aggiunta
finale alla piramide. Questa quinta fase, che comprende la tomba scoperta di recente, sembra essere un importante
modificazione dell'architettura, della posizione e delle dimensioni della quarta struttura. Parte del rimodellamento
coinvolse lo stile architettonico "talud-tablero" della Piramide della Luna che domina le strutture oggi visibili, compresa la
Piramide di Quetzalcòatl e la Piramide del Sole. L'evidenza nelle differenze delle offerte cerimoniali tra la piramide quattro
e la sua versione rimodellata, la piramide cinque, suggerisce pertanto un importante mutamento nella cultura che può
essersi riflettuto nella costruzione della Piramide di Quetzalcòatl e nella Piramide del Sole. Entrambe furono costruite in
gran parte in una volta e sono più recenti rispetto alla prima fase della Piramide della Luna. "Non vi sono ancora
abbastanza dati per dare una valutazione definitiva, ma la cosa affascinante è che le immagini mitiche che osserviamo nei
murali di guerra dell'ultimo periodo di Teotihuacan - giaguari, coyotes e aquile con vestimenti e copricapi - sono composti
di elementi presenti nelle sepolture più antiche. Le usanze del periodo in questione sembrano aver avuto un effetto
duraturo", ha affermato Sugiyama.

Il luogo degli Dei


Sebbene gli archeologi siano rimasti a lungo affascinati dal sito, la cultura di Teotihuacan e la sua storia sono ancora in
gran parte misteriose. La civiltà ha lasciato enormi rovine, ma non è stata trovata traccia di un sistema di scrittura e
molto poco si conosce dei suoi abitanti, cui succedettero per primi i Toltechi e poi gli Aztechi. Gli Aztechi non vivevano
nella città, ma furono loro a dare i nomi attuali al posto e alle sue strutture più grandi. Lo consideravano il "Luogo dove
nascono gli Dèi", dove sarebbe stato creato il mondo attuale. Al suo apogeo intorno al 500 d.C., Teotihuacan conteneva
forse 200.000 persone, una città superbamente progettata che copriva all'incirca 12 chilometri quadrati, più grande ed
avanzata di ogni altro insediamento europeo del tempo. La sua civiltà era contemporanea dell'antica Roma, e durò a
lungo - più di 500 anni. Gli scavi attuali sotto la Piramide della Luna potrebbero essere una delle più grandi opportunità
per rispondere a domande ancora irrisolte sulla civiltà di Teotihuacan, poiché la sua sottostante, antica e primitiva
costruzione rocciosa non compatta, può aver protetto segreti sepolti rendendo difficoltoso lo scavo sotterraneo. Sugiyama
spera di trovare ancora altre tombe. "Quello che abbiamo notato è che questa tomba si trova a pochi metri ad est
dell'asse nord-sud della città. Questa popolazione era di norma molto precisa e raramente compiva qualcosa
asimmetricamente. Con questo dato di fatto, crediamo di poter scoprire altre sepolture basate su mappe accurate".

IL GIOCO INGEGNERISTICO DI GIZA


di John Anthony West (da "Hera" n. 4 - aprile 2000)

E' recente la pubblicazione di un libro dal titolo "Giza: The Truth" ("Giza: la Verità", Virgin, Londra, 1999) in cui gli autori,
Chris Ogilvie-Herald e Ian Lawton, espongono le loro ricerche circa i monumenti della piana di Giza e su un ipotetica
civiltà perduta. Poiché vi sono state tirate in ballo le mie teorie, quelle di Robert Bauval e di altri professionisti e studiosi,
ho creduto opportuno rispondere attraverso più fonti, compresa questa rivista, considerando che ciò possa rappresentare
un'occasione per riassumere le mie teorie sulla Sfinge.
Quello che Lawton non vuole accettare è che io e Robert Schoch "abbiamo ragione" circa la retrodatazione dell'età del
monumento leonino di Giza. Niente può spiegare l'erosione nel muro di cinta del monumento, soprattutto alle estremità
est e ovest, tranne la pioggia, molta pioggia e per un lungo periodo di tempo. Sino a quando questo non sarà spiegato
nella cornice dell'Egitto Dinastico (e non può esserlo) la teoria di una civiltà perduta, precedente le dinastie conosciute,
resta valida. Nel loro libro Lawton e Gilvie-Herald inoltre attaccano l'analisi forense eseguita sul volto della Sfinge da
Frank Domingo, disegnatore capo della polizia di New York, esperto in identikit. A parte l'assoluta inadeguatezza delle
loro argomentazioni quest'occasione mi permette di riassumere lo splendido lavoro svolto da Domingo. Gli autori
scrivono: "ad un livello non forense la ricostruzione del volto della Sfinge e quello di Chefren, appaiono strettamente
similari, eccetto il fatto che quello della Sfinge è più squadrato. Osservandolo da un punto di vista laterale, una volta che
il naso è stato ricostruito, il volto della Sfinge è apparentemente negroide. Ad ogni modo, il profilo degli occhi, del naso e
delle labbra è marcatamente somigliante al volto di Kefren, sebbene le loro relative posizioni non coincidano
perfettamente".
Frank Domingo è uno dei più quotati artisti forensi del mondo, una riconosciuta autorità in un campo altamente
specializzato. Al contrario la competenza dei due autori in questo settore è praticamente zero. Arrivare a cambiare le
asserzioni di Domingo sul viso della Sfinge e affermare che questa coincide con il volto del faraone Chefren, è equivalente
a me che con competenza zero in medicina, eseguo un'analisi ai raggi X. Domingo, Schoch ed io abbiamo dimostrato
quanto la testa della Sfinge sia sproporzionatamente più piccola rispetto al corpo di leone e certamente rilavorata da
qualche sconosciuto faraone in un'epoca imprecisata molto tempo fa. E' stato anche suggerito dall'egittologo Ahem Fayed
che la testa della Sfinge venne riscolpita in epoche successive, forse da Tutankhamon. Per una serie di ragioni complesse
non possiamo addentrarci in quest'ultima ipotesi, ma non la condividiamo. Inoltre, nel caso si accettasse la teoria del
restiling facciale e ignorando totalmente le prove geologiche a favore di un'età più vetusta per la Sfinge, l'ipotesi
Tutankhamon potrebbe essere impiegata per mantenere inalterata la cronologia standard della storia egizia. Per produrre
il suo studio, Frank Domingo si accertò che il viso della Sfinge e quello di Chefren, esposto al museo del Cairo, venissero
fotografati dalla medesima angolazione così che potessero essere sovrapposti.
Domingo, dall'alto della sua competenza ha dimostrato che il pronunciato prognatismo della Sfinge e la sua totale
mancanza in quello di Chefren mostrano due differenti individui. Pertanto la Sfinge non presenta il volto di Chefren e non
è stata da questi costruita, tantomeno riscolpita. Certo, Domingo non è infallibile, può sbagliare, ma in questo caso
specifico il giudizio di Lawton e Ogilvie-Herald è totalmente fuori da ogni buon senso. A mio parere la Sfinge resta la
migliore evidenza di una civiltà avanzata vissuta in epoche remote.

Come vennero costruite le piramidi?


Vediamo ora cosa affermano i due, circa la costruzione delle piramidi: "le nostre ricerche sono a favore della spiegazione
ortodossa su "come" le piramidi vennero erette (nel 2.500 circa) e sul "perché" (in primo luogo come edifici funerari ma
vi sarebbe coinvolta anche una forte componente esoterico-simbolica). Crediamo che non esistano prove conclusive che
richiedano di andare a cercare spiegazioni al di fuori delle teorie non ortodosse, sebbene vi siano casi "eccezionali"
riguardanti i blocchi granitici da 70 tonnellate posizionati in alto (a nostro avviso mediante una rampa a spirale) tra un
mezzo ed un terzo dell'altezza della Grande Piramide, a formare il soffitto/pavimento della Camera del Re e della Regina.
Non crediamo che la logistica impiegata per la costruzione della piramide di Cheope in 20 anni - o quella di suo padre
Snefru che ha costruito tre rilevanti piramidi nello stesso periodo - fosse "impossibile" o richiedesse qualcosa di più
avanzato rispetto ad una dedizione di massa ad un superbo progetto "nazionale", ovvero al potenziamento del lavoro
umano o animale grazie all'uso di una "tecnologia avanzata", come Chris Dunn asserisce. I lettori saranno al corrente che
abbiamo approfondito anche le teorie alternative, in particolare, la retrodatazione della Sfinge e la correlazione delle
piramidi con Orione e pensiamo che queste siano assolutamente errate, non per assunto ideologico ma perché crediamo
che non vi siano sufficienti prove a supporto".
Équipe di esperti asseriscono che attualmente è impossibile spiegare il fatto che blocchi da 200 tonnellate siano stati posti
con facilità a formare le strutture del tempio della Valle e del tempio della Sfinge e i blocchi da 70 tonnellate siano stati
impiegati per la Camera del Re nella Grande Piramide. Dopo concertati e approfonditi studi, coinvolgenti i metodi di
costruzione della piramide, nessuna semplice rampa, leva o slitta (strumenti che gli Egiziani potevano avere a loro
disposizione) è capace di spiegare come quelle pietre sono state posizionate. Questo comunque non esclude che gli
Egiziani potessero farlo in quel modo. A supporto di questa convinzione c'è solo un ingegnoso quanto inappropriato
esperimento fatto con rampe e funi, tentato dall'egittologo Mark Lehner, mediante il quale blocchi da una tonnellata e
mezza o due, vennero con successo ma approssimativamente posti al di sopra di una rampa di 6 metri (l'esperimento
venne filmato, ma a telecamere spente un bulldozer spinse i recalcitranti blocchi ad una distanza notevolmente più
accessibile. La mancanza di tempo per l'esperimento fu la spiegazione). Questo interessante piccolo esercizio venne
avanzato da Lehner e ora da Olgivie-Herald e Lawton, come "prova" che quello era il metodo impiegato dagli antichi,
ignorando completamente i problemi derivanti dallo spostamento di monoliti di 200 tonnellate nel Tempio della Valle e da
blocchi di 70 tonnellate posti a circa 50 metri d'altezza nella Grande Piramide. La tecnologia non lavora come il body
building. I metodi tecnologici hanno dei limiti auto-imposti. Ciò che funziona con 10 tonnellate non è scontato che lo
faccia anche con 70 o 200 tonnellate. Esiste su questo argomento una totale mancanza di argomenti esplicativi validi.
Come potrebbe essere stato fatto? Lo stesso Zahi Hawass, direttore dei lavori a Giza ed egittologo ortodosso non sa
realmente come le piramidi vennero erette, sebbene egli si rifaccia alla teoria delle rampe in una forma o in un'altra.
Riconosciuti ingegneri si domandano come sia stato possibile per un popolo così antico erigere quelle opere senza una
pur rudimentale tecnologia. In ogni caso, questo è vagabondare senza meta. L'ipotesi sulla costruzione delle piramidi è
un gioco senza regole ed ognuno può giocare. Credo che il metodo migliore per approcciarsi a questo gioco sia quello di
essere cauti e sistematici. E a questo fine offro il mio contributo. Al contrario di molti preferisco evitare conclusioni di
qualsiasi tipo e catalogare i diversi soggetti per un più fruttifero approccio al problema. Esistono a mio parere quattro
possibili spiegazioni per la costruzione delle piramidi, nessuna delle quali esclude le altre.

Tecnologia semplice
Rampe, funi, slitte e leve. Questa è la sola soluzione accettata dagli egittologi, sebbene risulti evidente la sua
inadeguatezza. In ogni caso non può essere esclusa. Mettere un violino nelle mie mani e provare a farlo suonare può
essere un'esperienza fallace, mentre darlo ad un virtuoso può creare un armonico concerto. Il fatto che oggi non si sia in
grado di mettere 200 tonnellate su una rampa non esclude che gli antichi Egizi potessero farlo. Significa solo che nel
migliore dei casi, evidenze alla mano, a questa teoria si potrebbe dare la precedenza rispetto alle altre spiegazioni, tutte
ipotetiche (inclusa questa!).

Tecnologia avanzata
I blocchi sarebbero stati innalzati e posizionati con tecnologie sconosciute (levitazione sonica o antigravità). Non ci sono
prove a sostegno di una tecnologia avanzata nell'antico Egitto, ma chi può conoscere come sarebbe apparso un elemento
tecnologico di quei tempi? Supponete che fra 5000 anni venga ritrovato un computer e che la tecnologia del futuro non
impieghi più elettricità e microchip. Aggiungete che non esistano registrazioni o reperti riguardanti tale strumento.
Proveniente da qualche scavo archeologico sarebbe un muto oggetto di plastica senza parti mobili. Probabilmente
sarebbe scambiato per un artefatto cerimoniale/religioso. Chi potrebbe capire che quei chip, in un lontano passato, erano
in grado di elaborare complessi calcoli matematici con il solo tocco di alcuni tasti? Forse alcuni familiari ma misteriosi
simboli dell'Egitto, lo Djed (o Zed) per esempio, potrebbero essere degli strumenti tecnologici di cui oggi abbiamo perso
memoria e di cui non conosciamo più l'impiego. Graham Hancock nel suo libro "The Sign and the Seal" ("Il Mistero del
Sacro Graal", Piemme 1995) presenta ciò che credo sia un buon esempio per questa ipotesi, scrivendo che l'Arca
dell'Alleanza potrebbe essere stata un congegno tecnologico. Testimonianze dell'Antico Testamento alla mano, la
descrizione dell'Arca non suona come un mero simbolismo religioso. In ogni caso la possibilità di levitazione sonica fu da
me in principio considerata nel video "Mistery of the Sphinx". Dico in principio perché al momento attuale, nell'era
spaziale, con il suono siamo in grado di far levitare solo un pisello. E' indubbio comunque che siano state rilevate
proprietà di risonanza sonora a specifiche frequenze nella Camera del Re della Grande piramide e nella Camera sepolta
della Piramide Rossa di Dashur. Forse questa risonanza combinata ad un'antica tecnologia anti-gravità avrebbe potuto
spostare i blocchi.

Meta-tecnologia
Il potere della mente è tra le ipotesi avanzate. Anche in tal caso non ci sono prove a supporto. Potrebbe essersi trattato
di una conoscenza segreta dell'Ordine sacerdotale Egizio e i suoi riferimenti nei testi potrebbero essere stati mal
interpretati. Gli Egiziani erano maestri nel tenere segreti. Gli antichi testi egizi si riferiscono più volte ad una conoscenza
segreta. Furono i loquaci Greci e Pitagorici che portarono tali segreti fuori dal tempio. L'antica lingua egizia, a differenza
del Sanscrito, non è una tradizione vivente e ha dovuto essere ricostruita attraverso frammenti da studiosi per lo più ostili
alle tradizioni mistico-esoteriche (con grave danno alla comprensione del pensiero della classe dominante d'Egitto).
Possibili riferimenti a quella meta-tecnologia (soft-technology) potrebbero essere stati fraintesi o ignorati. Yogi, maestri
Zen, sciamani possono arrivare a prestazioni mentali che il resto dell'umanità reputa impossibili. Esiste una mole di prove
che i poteri mentali esistono e possono essere in grado di compiere azioni straordinarie che nessuno potrebbe
immaginare di poter compiere in un normale stato di coscienza. E' anche ipotizzabile che le Piramidi siano il colossale
risultato dell'impiego di una forza mentale collettiva, una sorta di energia di coscienza di gruppo, forse amplificata da
tecnologia semplice e/o da tecnologia avanzata.
Ingegneria aliena
E' la spiegazione che gradisco meno delle altre. Preferisco pensare all'opera di gente come noi ma sgombra del nostro
banale bagaglio materialistico-razionalista. In ogni caso, chi studia seriamente la fenomenologia UFO afferma che
qualcosa c'è là fuori e che periodicamente ci visita. Il perché non so immaginarlo, ma chi può saperlo? Noi stessi
viaggiamo nel cosmo, perché qualcun altro non potrebbe venire qui, e una volta qui, per ragioni a noi oscure, costruire
piramidi? L'ipotesi degli ingegneri alieni, fino a quando qualcuno non fornirà dati sufficienti che possano adeguatamente
spiegare come le piramidi sono state erette è solo più stramba delle altre, ma forse non può essere trascurata.

Conclusioni
Anche per le piramidi permangono quindi altrettanti dubbi di quanti ne presenta la Sfinge. Con lo spirito di ricerca che ci
contraddistingue torniamo in Egitto per continuare la nostra campagna di ricerca geologica. Non è impossibile che in un
momento del prossimo futuro arriverà una chiarificazione su queste complesse questioni, particolarmente quella della
datazione della Sfinge. Per il Leone dalla testa umana di Giza una data però è da escludersi con certezza: il 2.500 a.C.
Non risiede comunque nella data reale l'importanza della questione ma nelle implicazioni che questa comporterà.
di John Anthony West

UNA NUOVA TEORIA AMMETTE I VIAGGI SPAZIO-TEMPORALI

LONDRA, 12 APRILE - Nell'Universo ci sarebbero misteriose scorciatoie, sfruttabili per vertiginosi viaggi nello spazio-
tempo. Un fisico russo, Serghiei Krasnikov, in forza in osservatorio astronomico di San Pietroburgo, ha messo a punto una
nuova teoria secondo cui nel cosmo sono presenti "buchi" abbastanza grandi da permettere in pochi secondi di saltare da
un capo all'altro del creato o di andare avanti e indietro nel tempo.
L'esistenza di questi strani buchi (in inglese "wormholes" e cioè tarli) è stata per la prima volta ipotizzata decenni fa dal
fisico tedesco Ludwig Flamm sulla scia della teoria della Relatività enunciata da Albert Einstein nel 1915, ma negli ultimi
tempi è prevalsa tra gli scienziati la convinzione che - se davvero esistono - questi enigmatici interstizi non possono
essere abbastanza grandi e abbastanza stabili per fulminei viaggi intergalattici da parte di esseri umani. Secondo la rivista
britannica New Scientist, che gli dedica un articolo nel numero in edicola, Krasnikov ha ora individuato a livello teorico un
nuovo tipo di "buchi": "compatibili con le leggi conosciute della fisica, stabili e senza limiti di dimensione".
Questi 'wormholes' su cui hanno rimuginato decine di scrittori di fantascienza (nel serial di fantascienza Star Trek Deep
Space Nine vengono utlizzati con regolarità), creano a detta del fisico russo "il proprio rifornimento di materia in quantità
sufficiente per renderlo abbastanza grande e tenerlo abbastanza aperto a lungo per l'uso della gente". La materia
"esotica" necessaria per il funzionamento del tutto sarebbe generata "dalle curve dello spazio e del tempo". "Se c'è ad
esempio un buco che connette le vicinanze della Terra con quelle della stella Vega potremo un giorno volare tramite
quella scorciatoia", ha detto alla rivista britannica lo scienziato di San Pietroburgo.
Non è però ancora tempo per allacciarsi le cinture e prepararsi a tour istantanei nelle più lontane pieghe del cosmo: al
momento l'uomo non possiede tecnologia così sofisticata per rapidi spostamenti da una galassia all'altra tramite buchi che
secondo il prof. Krasnikov potrebbero essere "residui" del Big Bang di 15-20 miliardi di anni fa.
E' una teoria da prendere sul serio, anche se può naufragare su qualche dettaglio tecnico, ha commentato il prof. Ian
Moss, un esperto di relatività che insegna all'università di Newcastle. Più scettico il prof. Paul Davies dell'Imperial College
di Londra: "provare che qualcosa è teoricamente possibile - avverte - non significa provarne l'esistenza".
Da dove veniamo ?
Ci sono batteri nella polvere interstellare ?
Due ricercatori russi hanno dato la notizia che cambia molte teorie fino ad oggi scontate, la vita non sarebbe nata sulla
terra, ma bensì arrivata dal profondo cosmo. In un frammento di meteorite caduto in Australia nel 1969 si sono trovati
fossili di 4.5 miliardi di anni, anteriori alla vita sulla Terra (3.8 miliardi di anni fa). I due studiosi che propongono questa
scoperta sono Stanislav Zhmur e Lyudmila Gerasimenko. I batteri trovati sul meteorite sono del tipo cianobatteri, ossia
molto simili a quelli terrestri. L'idea che la vita sul nostro pianeta sia arrivato dal cosmo non è nuova, ma questa scoperta
sembra rafforzare le vecchie teorie (ipotesi panspermia). Il primo chimico ad ipotizzare una simile teoria fu lo svedese
Svante Arrhenius (Nobel), i primi anni del '900, immaginò infatti che i microrganismi viaggiassero da un pianeta all'altro e
persino fra sistemi solari diversi, spargendo la vita in tutto l'universo, da qui nasce il nome panspermia, ossia "semi
dappertutto". Ma una domanda che ci si può fare è: come fanno i batteri a sopravvivere ad un clima ostile come quello
che lo spazio, con temperature di meno 270° e un bombardamento continuo di radiazioni ? Le risposte non si ebbero,
così le ricerche sull'origine della vita presero un'altra direzione, di tipo "terrestre" come la vecchia ipotesi del "brodo
primordiale", secondo cui i componenti chimici disciolti in pozze d'acqua si combinarono dando vita alle prime cellule.
Questa ipotesi dopo vari test e studi sugli atomi fu scartata per la bassissima probabilità di veridicità. Lo studioso Hoyle
rilanciò però negli anni '70 la teoria della panspermia, considerando che le radiazioni infrarosse emesse dalla polvere
interstellare era sorprendentemente simile a quella emessa in laboratorio da batteri disidratati, avanzò l'ipotesi che alcuni
di questi grani di polvere fossero batteri resistenti alle radiazioni simili a quelli terrestri. Il deinococcus radiodurans, può
sopportare una dose di raggi X milioni di volte superiore alla maggior parte di esseri viventi. Un esperimento fatto dalla
NASAÒ dimostrò che una colonia di Bacillus subtilis mantiene la sua vitalità anche dopo 6 anni di esposizione al vuoto e
alle radiazioni cosmiche. In altri esperimenti questi batteri hanno evidenziato la capacità di entrare in una specie di stato
di vita sospesa, interrompendo il metabolismo, e aspettando che la situazione esterna migliori. In questo stato gli
scienziati hanno dichiarato che possono vivere per più di circa 25 milioni di anni.

IL MITO DI TIFONE E LA DISTRUZIONE DI ATLANTIDE


Axel Famiglini

Come già affermato ne " La fine di Atlantide", probabilmente il continente perduto fu distrutto dalla caduta di un
meteorite nel periodo che va dal 10000 al 9000 a.C. Platone infatti sembra volercelo suggerire attraverso la storia del
mito di Fetonte, inserita nel "Timeo" proprio nei paragrafi dedicati ad Atlantide. Tuttavia mi sono reso conto che esiste
almeno un altro mito che potrebbe riguardare la distruzione di Atlantide avvenuta attraverso la caduta di un piccolo corpo
celeste.
Infatti nella "Storia Naturale" di Gaio Plinio Secondo ( libro II, 91) possiamo trovare un interessante riferimento ad una
cometa che avrebbe portato gravi danni all'Egitto e all'Etiopia ai tempi del re Tifone. Molto probabilmente questo racconto
fu portato dall'Egitto ed ellenizzato, come poi avvenne per moltissimi altri miti.
Ecco cosa dice Plinio:
Una ( cometa ), tremenda, fu sperimentata dai popoli d'Etiopia e d'Egitto, e le diede il suo nome Tifone, re di quei tempi:
aveva un aspetto infuocato ed era ritorta a forma di spirale, truce già a vedersi, più un nodo di fiamme, per così dire, che
una stella.
Innanzitutto, seguendo l'interpretazione evemeristica, possiamo subito collocare temporalmente il periodo storico-mitico
in cui è ambientato l'avvenimento. Infatti Tifone, re d'Egitto, è la traduzione greca del nome del dio egizio Seth,
probabilmente vissuto nel periodo dello Zep-Tepi nel 10000 a.C. Tifone-Seth è il famoso fratello di Osiride, che uccise
quest'ultimo per invidia e per ottenere la corona. Secondo quanto emerge dalla mitologia (vedi: Fuga dalle colonie di
Atlantide: Osiride e l'Egitto - L'opera civilizzatrice di Osiride, Eracle ed Atlantide), Tifone era un re-governatore di
Atlantide prima della distruzione di quest'ultima ed era sottoposto ad un governatore superiore chiamato Ammone (che a
sua volta sarebbe il padre di Osiride e Seth/Tifone).
Quindi, considerato che il periodo storico coincide con quello della distruzione di Atlantide, potremmo facilmente credere
che la cometa Tifone fosse la responsabile delle grandi catastrofi che hanno portato alla fine della glaciazione,
all'estinzione di molte specie viventi e alla fine della civiltà atlantidea, i cui sopravvissuti dovettero fuggire dalla propria
terra per ricominciare una nuova esistenza.
La versione greca del mito di Tifone è molto interessante. Qui ripropongo il riassunto compiuto dallo Pseudo Apollodoro
nella "Biblioteca" ( libro I, 6):
Quando gli dei ebbero vinto i Giganti, Gea, ancora più adirata, si unisce al Tartaro e, in Cilicia, partorisce Tifone che
aveva natura mista, di uomo e di bestia. Per la statura e la forza, Tifone era superiore a tutti i figli di Gea; fino alle cosce
la sua forma era di uomo, ma di tale altezza da superare tutte le montagne; con la testa sfiorava spesso le stelle; se
stendeva le braccia, con uno toccava l'Occidente, con l'altro l'Oriente; dalle braccia stesse emergevano le teste di cento
serpenti, dalle cosce si dipartivano le spire di vipere enormi che si estendevano fino alla testa, emettendo sibili acuti.
Aveva ali su tutto il corpo, dei capelli sudici ondeggiavano sulla testa e sulle guance, gli occhi lanciavano fiamme. Così
spaventoso e così enorme era Tifone quando sferrò il suo attacco contro lo stesso cielo gridando e sibilando e scagliando
pietre incandescenti; dalla bocca esalava grandi vampe di fuoco. Quando gli dei videro che assaliva il cielo, andarono a
rifugiarsi in Egitto, e poiché lui li inseguiva, si trasformarono in animali. Mentre Tifone era ancora lontano, Zeus gli scagliò
contro i fulmini, quando fu più vicino, lo colpì con la falce d'acciaio, quando si diede alla fuga, lo insegui fino al monte
Casio che domina la Siria. Qui, vedendolo coperto di ferite, lo aggredì. Ma Tifone lo avvolse nelle sue spire e lo tenne
fermo, gli strappò la falce e gli recise i tendini delle mani e dei piedi; poi se lo caricò sulle spalle e attraverso il mare lo
trasportò fino in Cilicia, giunse all'antro Coricio e ve lo depose. Mise là anche i tendini, che nascose in una pelle d'orso, e
vi pose a guardia Delfine, che era per metà serpente e per metà fanciulla. Ma Ermes ed Egipan sottrassero i tendini di
nascosto e li riattaccarono a Zeus. Recuperato il suo vigore, subito Zeus si mosse dal cielo sopra un carro trainato da
cavalli alati e, scagliando fulmini, inseguì Tifone fino al monte chiamato Nisa, dove le Moire lo trassero in inganno
dicendogli che avrebbe acquistato forza se avesse assaggiato i frutti effimeri. Inseguito di nuovo, egli giunse in Tracia e,
nella lotta che si scatenò presso l'Emo, scagliò intere montagne. Ma il fulmine di Zeus le respingeva contro di lui, e, sul
monte, il suo sangue sgorgò a fiumi: per questo, dicono, il monte fu chiamato Emo. Mentre si lanciava in fuga attraverso
il mare di Sicilia, Zeus gli scagliò contro l'Etna, un monte che è in Sicilia, un monte altissimo dal quale ancor oggi
erompono fiamme che hanno origine, si dice, dai fulmini scagliati da Zeus.
La lotta raccontata tra Zeus e Tifone potrebbe essere interpretata in modi diversi. Innanzitutto potrebbe essere la
versione greca delle lotte tra Horus, il figlio di Osiride, e Seth per la rivendicazione del trono di Osiride. Inoltre nella figura
gigantesca di Tifone si nasconderebbe la vicenda della meteora che colpì la terra sconvolgendola radicalmente.
Esaminiamo questo enunciato:
Quando gli dei videro che assaliva il cielo, andarono a rifugiarsi in Egitto, e poiché lui li inseguiva, si trasformarono in
animali.
Probabilmente il "cielo" in questo caso è da identificarsi con Atlantide, la mitica terra ad Occidente. Infatti gli antichi egizi
collocavano il mondo degli dei e l'aldilà proprio nelle terre occidentali. Questa terra, che era lo specchio del mondo dei
morti celeste ( il Duat ), era il luogo dove il faraone diventava Osiride e poteva rinascere. Per gli antichi egizi il mondo dei
morti era un luogo di beatitudine e quindi è molto probabile che questa idea fosse nata dall'antico ricordo di una
prosperosa patria occidentale. Tuttavia anche il racconto della catastrofe, della distruzione e delle innumerevoli morti
potrebbe aver creato l'idea di un occidente pericoloso, esprimendolo attraverso il viaggio notturno allegorico del Sole
attraverso il mondo infero. Detto questo ci si accorge che c'è una sorta di contraddizione tra un mondo infero positivo e
quello negativo. Questa positività e negatività potrebbero ricordare il periodo prima e dopo la distruzione di Atlantide.
Ritornando alla frase già analizzata, si ripropone la storia della venuta degli dei in Egitto. Infatti la stessa mitologia
egiziana asseriva che gli dei ("gli uomini rossi") venivano da un luogo a occidente chiamato Punt. Il Punt era un luogo di
grande beatitudine e benessere, che dopo il periodo dell'antico regno veniva ricercato e identificato con l'Africa Orientale.
Tuttavia la collocazione di Punt originale era a occidente. Il Punt era con tutta probabilità Atlantide e possiamo così
asserire che gli dei d'Egitto erano forse abitanti di Atlantide che stavano fuggendo dalla loro patria in cerca di una nuova
terra dove andare . E dove andare? In Egitto, che probabilmente era da tempo una colonia Atlantidea.
Inoltre il fatto che gli dei si trasformarono in animali può farci capire che questi uomini eccezionali ( perché portatori di
tecnologie e conoscenze ben presto dimenticate in Egitto dopo la grande catastrofe meteorica) furono subito identificati
dalla popolazione imbarbarita come Dei dei culti locali animaleschi creati dagli Egiziani ritornati ad uno stadio di vita
selvaggio.
Uno dei capi di una delle innumerevoli spedizioni/migrazioni atlantidee era forse "Osiride" ( direi con certezza che il nome
degli dei non corrispondeva al reale nome delle persone, poiché il dio Osiride potrebbe essere stato un dio predinastico
che assimilò altri culti e altre leggende, facendole proprie - Infatti Osiride soppiantò nei suoi santuari maggiori neter più
antichi: Andjiti a Busiri e ad Abido un lupo chiamato Khentimentiu. Per questo dio vedi il commento ) che aveva portato
con sè la moglie Iside, mentre il fratello Seth e la cognata Nefti dovevano essere già in Egitto ( per il discorso sui nomi
degli dei vedi sopra). Comunque, nonostante il fatto che molto probabilmente molti fuggiaschi atlantidei si diressero verso
l'Egitto, per quanto riguarda Osiride, la questione sembra essere stata più complessa. Osiride non sarebbe fuggito da
Atlantide, ma da una sua colonia. Per approfondire ciò, rimando all'articolo Fuga dalle colonie di Atlantide: Osiride e
l'Egitto.
Nonno di Panopoli, ultimo grande poeta antico, nelle "Dionisiache", descrive in modo molto suggestivo e realistico il mito
di Tifone. Vediamo alcuni versi:

Canto I, 239-256 (Tifone sta scuotendo con le mani gli astri.)

La volta celeste è tutta in fermento: le Pleiadi settemplici


fanno eco con pari numero di bocche
alle sette zone del cielo levando alto grido di guerra,
e con strepito uguale rispondono i pianeti.
Al vedere i serpenti che spaventosi formano il corpo del gigante,
il Serpentario fulgido scuote dalle mani salvifiche
i draghi screziati di verde, nutriti di fuoco,
e li scaglia a guisa di dardi maculati e sinuosi;
attorno alle vampe fischiando turbini e le saette anguiformi
scoccate oblique dall'arco scatenano nell'aria un delirio bacchico.
Anche il Sagittario spavaldo scaglia i suoi dardi,
compagno di percorso al Capricorno dalla coda di pesce.
Nell'orbita del carro, il Drago risplende a mezzo tra le orse gemelle,
e guizza la coda lucente nel suo dorso etereo.
Accanto a Erigone, Boote auriga del Carro
suo compagno di viaggio agita la verga con il braccio fulgente.
Alle ginocchia dell'Immagine e presso il Cigno suo vicino
la Lira stellata annunzia la vittoria di Zeus.

Questa descrizione delle catastrofi di Tifone nel cielo stellato può essere interpretata anche come mito cosmologico
secondo gli studi di Giorgio De Santillana e Hertha von Deschend ne "Il Mulino di Amleto". Infatti Tifone potrebbe essere
il grande "palo" o "albero del mondo" (asse di rotazione terrestre) che si sposta, a causa della precessione degli equinozi,
e sconvolge la volta celeste cambiando posizione e forma agli astri e alle costellazioni.
Concludendo, analizzando questo mito, abbiamo potuto vedere come questo possa essere interpretato in modi diversi e
secondo molte chiavi di lettura (vedi: I miti nell’antichità). Il mito si presenta a strati e viene costruito anche in tempi
successivi. La difficoltà sta proprio nel trovare la giusta chiave interpretativa per ogni mito. In questo mito c'era una
chiave storica e astronomica. Attraverso queste nuove informazioni che aggiungiamo alle conoscenze precedenti su
Atlantide, possiamo solo sperare di arrivare sempre più vicino alla verità.

COMMENTO:
Il significato di Khentimentiu è molto interessante: "Quello che marcia alla testa degli occidentali". Forse Khentimentiu è
un neter assimilato dal culto di Osiride che divinizzava il capo degli Atlantidei che giungevano in Egitto dopo la distruzione
di Atlantide. Osiride avrebbe così assimilato le caratteristiche di Khentimentiu. Probabilmente anche lo stesso
Khentimentiu aveva assimilato altri culti ancora precedenti: dalla distruzione di Atlantide al periodo protodinastico ci sono
almeno 7000 anni!
Le civiltà antidiluviane
Il primo a scrivere di Atlantide fu lo scrittore greco Platone nei suoi dialoghi: il "Crizia" e il "Timeo". A parlare è Crizia,
parente del filosofo Platone, il quale racconta che un secolo prima, nel 590 a.C., il legislatore Solone si era fermato nella
città di Sais che secondo gli abitanti, l’origine della città si deve alla dea Neith, che nella lingua egiziana corrispondeva a
quella greca Atena, che avrebbe creato la città di Atene. Qui Solone cercò di impressionare i Sacerdoti di Iside illustrando
le antiche tradizioni greche, ma uno di loro aveva sorriso, affermando che quello greco era un popolo fanciullo nei
confronti di quello egiziano che possedeva molta documentazione scritta. Tra questi testi c’era la storia di una grande
isola che si trovava nell’Oceano Atlantico(circa 9000 prima di Solone). Il filosofo greco parla dell’isola misteriosa, sempre
per bocca di Crizia, che prima di descrivere di Atlantide disse: <...Questi erano presso il nonno e ora sono in casa mia, e
quand’ero fanciullo li studiai diligentemente. Se dunque udirete questi nomi,(quelli dei re di Atlantide, che furono tradotti
da Solone in greco)che ho detto, non ve ne meravigliate, perché ne sapete il motivo. Quella lunga narrazione cominciava
press’a poco così...>(Op. Cit. Crizia cap. VII)
Nonostante tutto questo si è sospettato che Platone abbia voluto servirsi di una tradizione come di un mezzo per
diffondere le proprie idee politiche. Platone contrappone Atlantide ad Atene, che si reggeva secondo i principi esplicati da
Platone nel dialogo "Repubblica"(gr. Politéia) ; infatti lo si nota nel "Timeo" durante il colloquio tra Socrate, lo stesso
Timeo, Crizia e Ermocrate sullo Stato perfetto, l’educazione etc.. ma poi a un certo punto la discussione si concentra sul
problema di come si comporterebbe la città perfetta in guerra ed in pace e quindi viene preso in considerazione il
racconto della guerra Atene - Atlantide. Oltre a Platone altri scrittori classici scrissero di un continente scomparso:
- Omero, nell’Odissea scrisse di Ogigia, che ne parleremo poi.
- Aristotele anche se parlò delle Antille(localizzate come Atlantide)non diede molta importanza alla narrazione del suo
Maestro, e questa non - opinione ebbe un peso determinante nel Medio Evo cristiano. Aristotele, infatti, era considerato
un’autorità indiscussa, e ciò che lui aveva detto("Ipse dixit"), e che non a caso concordava con la visione geocentrica
dell’universo sostenuta dalla Chiesa, non poteva essere contestato. Per di più l’esistenza di un continente distrutto
novemila anni prima non coincideva con la data della creazione del mondo secondo la Genesi, calcolata nel 3760 a.C.
- Marcellino, scrisse di una diffusa convinzione sull’esistenza di Atlantide, e che "una grande venne inghiottita".
- Proclo, riferiva che gli abitanti delle isole Atlantide ricordavano che quella più grande e da cui dipendevano si inabissò
nel fondo del mare.
- Plutarco, fece riferimento a un continente chiamato Saturnia.
- Timagene, parlò di "un’isola in mezzo all’oceano" da cui sarebbero generati i Galli
- Tertulliano, scrisse sull’inabissamento di Atlantide come di un esempio dei mutamenti della terra facendo osservare che
era stata "cercata invano".
Altri racconti antichi descrivono o parlano di Atlantide, ma non hanno pieno affidamento come il resoconto fatto da
Teopompo di una discussione tra Mida, re di Creta, e Sileno la quale trattava di un continente lontano.

LA NARRAZIONE DEL "CRIZIA".

La descrizione dell’isola Atlantide incomincia nel III° capitolo. Platone racconta che circa novemila anni prima la sua
descrizione c’era un enorme isola chiamata Atlantide, la quale era più grande della Libia e dell’Asia, che si trovava
nell’oceano Atlantico al di fuori delle colonne d’Ercole (stretto di Gibilterra). La popolazione atlantica combatté una guerra
contro gli Ateniesi i quali vinsero. Dopo questa lungo conflitto l’isola di Atlantide si inabissò. Verso il VII° capitolo Platone
riprende la descrizione di Atlantide parlandone dettagliatamente. Un tempo le divinità dell’Olimpo si erano divisi la terra e
Poseidone, dio del mare( in latino Nettuno) ebbe l’isola Atlantide nell’oceano omonimo. Nel bel mezzo dell’isola c’era una
vastissima pianura fertile ed tutto intorno una cinta di monti bassi ; in uno di questi colli viveva Clito, futura moglie del
dio. Poseidone generò con questa donna cinque coppie di gemelli. Il primo, Atlante ebbe come proprio regno la casa
materna(il colle il quale fu staccato dall’isola per opera del dio del mare) e il territorio intorno ; il secondo figlio, Gadiro,
ebbe la parte più estrema dell’isola verso le colonne d’Ercole ; poi gli altri otto figli li chiamò rispettivamente: Anfere,
Evemone, Mnseo, Autoctono, Elasippo, Mestore, Azae e infine Diaprepe. Dopo aver descritto la fondazione di Atlantide,
Platone si addentra a nei particolari delle civiltà atlantica: < La stirpe di Atlante fu numerosa e onorata, e tramandando
sempre il re più vecchio il regno al maggiore dei figli, lo conservarono per molte generazioni, e possedevano tanta copia
di ricchezza, quanta non ne fu mai per l’innanzi in alcuna dominazione di re, né mai facilmente sarà nell’avvenire, e
avevano accumulato tutto quello che nella città e nelle rimanente regione occorreva accumulare. Molte cose in grazia
della loro potenza venivano ad essi dal di fuori,
moltissime ne forniva l’isola stessa per le necessità della vita, e in primo luogo tutte le sostanze solide e fusibili, che si
scavano dalle miniere: e quel metallo che ora solo si nomina, allora era più che un nome, l’oricalco, che in molti luoghi
dell’isola si scavava dalla terra, ed era a quel tempo il più prezioso dopo l’oro.> (Cit. cap. VII). Questo frammento del
VII° capitolo ci testimonia la grande opulenza dell’isola, il filosofo greco oltre a descrivere nei particolari le ricchezze del
continente atlantico fa un accenno agli elefanti: <V’era in essa anche una grandissima quantità di elefanti: perché per gli
altri animali, quanti pascolano nelle paludi, nei laghi e nei fiumi, e quanti sui monti e sui campi, per tutti v’era pascolo
abbondante, e così anche per quest’animale ch’è il più grande e il più vorace.>(Cit. cap. VII). La descrizione della varietà
di alimenti che disponevano gli abitanti di Atlantide, fa pensare a un paradiso terrestre: <... quanti profumi la terra ora
fornisce di radici o d’erba o di legna o di succhi stillati dai fiori o dai frutti, tutti questi allora produceva e forniva bene.
Così i frutti molli o duri, che ci servono per nutrimento, e quelli che usiamo inoltre per cibo e che chiamiamo legumi, e i
frutti legnosi, che ci danno bevande, alimenti e unguenti, e i frutti scorzuti, che usati per gioco e diletto, difficilmente si
ripongono, e quelli che come eccitanti contro la sazietà poniamo nelle seconde mense per compiacere allo stomaco
stanco, tutti questi frutti quella sacra isola, che allora stava sotto il sole, produceva belli e meravigliosi e infiniti di
numero.>(Cit. cap. VII). Platone si cimenta a descrivere grandi opere di architettura le quali ricordano le ciclopiche
costruzioni esistenti in tutto il mondo: < VIII.- Anzitutto le cinte di mare, che stavano intorno all’antica metropoli, le
congiunsero con ponti, formando una via tra il di fuori e la reggia. Avevano eretto subito fin da principio la reggia in
questa sede del Dio e degli antenati, e i re, ricevendola l’uno dall’altro, vieppiù l’adornavano, e ciascuno cercava di
superare sempre, per quant’era possibile, il predecessore, finché si formò un’abitazione stupenda a vedere per la
grandezza e la bellezza delle opere. Infatti, cominciando dal mare, condussero fino all’ultima cinta una fossa larga tre
pletri, profonda cento piedi, lunga cinquanta stadi, e con essa diedero accesso alle navi dal mare fino a quella cinta, come
in un porto, allargandone la bocca in modo che potessero entrarvi le navi più grandi. E le cinta di terra, che separavano
quelle di mare, le perforarono lungo i ponti tanto che potesse passarvi una trireme per volta, e le ricopersero con tetti di
modo che la navigazione si compisse di sotto perché gli orli delle cinte terrestri si elevavano abbastanza sopra il mare. Ma
la più grande delle cinte, con la quale comunicava il mare, era larga tre stadi, e quella successiva di terra era eguale ad
essa: delle due cinte seguenti, la marittima era larga due stadi, la terrestre era eguale alla marittima precedente: infine
d’uno stadio era quello che circondava l’isola nel mezzo. L’isola in cui stava la reggia, aveva il diametro di cinque stadi.
Questa d’ogni intorno e le cinte e il ponte largo un pletro li rivestirono da una parte e dall’altra con un muro di pietra,
imponendo torri e porte sui ponti lungo tutti i passaggi del mare.> <L’isola in cui stava la reggia, aveva il diametro di
cinque stadi (uno stadio equivale a 177,60 m) . Questa d’ogni intorno e le cinte e il ponte largo un pletro li rivestirono da
una parte e dall’altra con un muro di pietra, imponendo torri e porte su ponti lungo tutti i passaggi del mare. E d’ogni
intorno sotto l’isola, ch’era nel mezzo, e sotto le cinte di fuori e di dentro tagliarono delle pietre, alcune bianche, altre
nere, altre rosse, e così scavarono nell’interno dell’isola due bacini profondi con la stessa roccia per copertura.>(Op. Cit.
VII ). Nel descrivere i colori delle pietre di Atlantide, Platone, senza saperlo, citò i colori predominanti delle pietre che
ancora si vedono nelle Canarie. Una certa analogia possiamo riscontrarla nel diametro di Tenerife (830m) il quale è molto
vicino all diametro dove c’era la reggia che era cinque stadi ( 880m). Platone nella sua opera parlò molto delle ricchezze
del settimo continente come può testimoniare questo frammento del "Crizia": < E rivestirono di bronzo, a guisa di
vernice, tutto il percorso del muro della cinta esteriore, e spalmarono di stagno liquefatto quello della cinta interiore, e
d’oricalco dai riflessi ignei quello della stessa acropoli. IX.- Ma la reggia nell’intero dell’acropoli fu costruita così. Nel
mezzo il tempio sacro a Clito e a Poseidone vi era stato lasciato inaccessibile, circondato d’una muraglia aurea: in questo
tempio avevano da principio generato e messo alla luce la stirpe dei dieci regoli, colà ogni anno da parte di tutti dieci
regni si compivano a ciascuno sacrifizi ordinari. Il tempio di Poseidone era lungo uno stadio, largo tre pletri, d’altezza
proporzionata a queste dimensioni, e con qualcosa di barbarico nell’aspetto. Rivestirono d’argento tutto il tempio al di
fuori, fuorchè gli acroteri, e d’oro gli acroteri: nell’interno la volta si vedeva tutta d’avorio ed era screziata d’oro e oricalco,
e tutto il resto delle pareti, delle colonne e del pavimento lo ricopersero d’oricalco. Vi collocarono statue d’oro, e il Dio
ritto sul carro, auriga di sei cavalli alati, tanto grande che toccava con la testa la volta, e cento Nereidi all’intorno sopra
delfini: perché allora credevano ch’egli ne avesse tante. E v’erano molte altre statue dedicate da privati. Di fuori intorno al
tempio stavano le immagini auree di tutti, delle donne e d’ogni discendente dei dieci re, e molte altre grandi offerti di re e
di privati o delle stesse città o di quelle straniere, in cui imperavano.>(Op. Cit. VIII e IX ). Quando il filosofo greco parla
di sorgenti fredde e calde per le terme possiamo riscontrare una similitudine cioè che oggi a Reykjavik, in Islanda, si
riscaldano le case e si provvede ad avere acqua calda sfruttando le sorgenti calde di origine vulcanica: <Avevano due
fonti, l’una fredda l’altra calda, molto copiose e adatte mirabilmente ad ogni uso per il diletto della virtù delle acque. E vi
stabilirono intorno case e piantagioni d’alberi, che amano l’umidità, e anche vasche, quali a cielo scoperto, quali invernali
e coperte per i bagni caldi, da una parte quelle del re, da un’altra quelle dei cittadini, altrove quelle delle donne, altrove
ancora quelle dei cavalli e delle altre bestie da soma, dando a ciascuna l’ornamento adatto.(Op. Cit. IX). Un cenno
all’irrigazione ricorda uno dei grandi schemi idraulici delle popolazioni precolombiane presenti sulle coste e gli altipiani
dell’America meridionale: < L’acqua corrente la conducevano nel bosco di Poseidone, che per la fecondità della terra
aveva alberi d’ogni genere, di bellezza e altezza meravigliosa, e parte ne derivavano nelle cinte esteriori mediante canali
lungo i ponti.>(Op. Cit. IX). Platone descrive un po’ la città dicendo che lì erano stati costruiti templi consacrati a molte
divinità, poi si potevano trovare giardini, ginnasi, poi intorno all’isola vi era una pista per le corse dei cavalli. E ancora
intorno a questo <ippodromo> c’erano delle caserme per la stragrande moltitudine di soldati. Nella descrizione del porto
dell’antica città si è sospettato che Platone si sia servito come
modello di quello di Tiro o di altre città fenici o cretesi, perché sembra impossibile che siano stati traffici commerciali con
il epoche passate. Però nonostante tutto, in popolo atlantico in ogni caso, si può pensare che esistessero rapporti con i
Fenici perché essi raccontarono di aver visitato un’isola chiamata Antilla. Alcuni sostengono che i Cartaginesi e poi i Fenici
abbiano esplorato le isole Azzorre o la stessa Atlantide: < Gli arsenali erano pieni di triremi e di tutti gli apparecchi
necessari alle triremi, tutti in buon ordine. E così era disposta l’abitazione del re. Ma di là dai tre porti esteriori cominciava
dal mare un muro circolare, distante per ogni parte cinquanta stadi dalla più grande porto, e ritornava nello stesso punto
presso la bocca della fossa situata verso il mare. Tutto questo luogo conteneva molte e frequenti abitazioni, e il canale e
il porto più grande eran pieni di navigli e di mercanti che venivano da ogni parte del mondo e sollevavano giorno e notte
clamore e tumulto vario e strepito per il loro gran numero.>(Op. Cit. IX). Nel decimo capitolo Platone descrive qualcosa
sulla morfologia dell’isola e del suo ordinamento: <X.- Dunque ora ho riferito press’a poco quanto allora si diceva della
città e dell’antica abitazione, ma occorre che tentiamo di ricordare qual fosse la natura della restante e il suo
ordinamento. Si diceva primamente che tutto il luogo fosse molto e scosceso dalla parte del mare, e tutt’intorno una
pianura circondasse la città, e questa pianura, cinta in gira di monti discendenti fino al mare, fosse liscia e uniforme e
tutta oblunga, di tremila stadi da una parte e di duemila dal mare fino al centro. Questo tratto di tutta l’isola era volto a
mezzodì e riparato dai venti del settentrione. I monti che lo cingevano si diceva che superassero per numero, grandezza
e bellezza tutti quelli ora esistenti, e chiudevano tra loro molti villaggi, ricchi d’abitanti, e fiumi e laghi e prati, fornivano
nutrimento sufficiente a tutti gli animali domestici e selvaggi, e selva copiosa e svariata, che porgeva materiale
abbondante a tutti i lavori in generale e a ciascuno in particolare.> La descrizione a proposito di canali interni per
l’irrigazione dei territori ricordano il sistema idrico usato in Mesopotamia e sulla costa peruviana: <Cosi dunque questo
piano era stato fatto da natura e dall’opera di molti re in molto tempo. Era esso un quadrangolo per la maggior parte
retto e oblungo, e dove veniva meno, lo rendeva diritto una fossa scavata all’intorno. Non è credibile quel ch’è stato
tramandato sulla profondità e larghezza e lunghezza di questa fossa, che cioè, come opera umana, avesse oltre restante
lavoro tali dimensioni ; però bisogna dire quel che abbiamo udito. Era stata scavata alla profondità di un pletro con la
larghezza d’uno stadio in ogni punto, ed essendo condotta per tutta la pianura, ne conseguiva che avesse una lunghezza
di diecimila stadi. Era alimentato dai torrenti che scendevano dalle montagne, e girando intorno alla pianura raggiungeva
la città d’ambo le parti, prima di gettarsi infine nel mare. Dalla parte superiore di questa fossa, canali larghi cento piedi,
dopo aver tagliato in linea retta il piano ritornavano nuovamente nel fossato, diretti al mare, e distavano gli uni dagli altri
cento stadi. Per essa trasportavano i materiali dai monti e nelle città, e gli altri prodotti delle stagioni su navi, grazie ai
passaggi trasversali che univano un canale all’altro e alla città. E due volte all’anno raccoglievano i frutti della terra,
giovandosi d’inverno delle piogge e bagnando d’estate i prodotti della terra con l’acque dei canali...>(Op. Cit. X).Platone
fornisce anche di una descrizione su i militari di leva, e l’esercito: <...Era stabilito che ogni capo fornisse per la guerra la
sesta parte di un carro da guerra, fino a formarne diecimila e due cavalli con i cavalieri e inoltre una coppia di cavalli
senza carro, che avevano un soldato armato di piccolo scudo e un auriga oltre il cavaliere di ciascun cavallo e poi due
opliti, due arcieri, due frombolieri, tre lanciatori di pietre, e tre di giavellotto, e quattro marinai come contributo a una
flotta di mille e duecento navi. Tale era l’ordinamento bellico nella provincia del re supremo: quello delle altre nove era
diverso, ma sarebbe lungo riferirlo.>(Op. Cit. X). Una giusta punizione, in quanto, con il trascorrere dei secoli, gli
Atlantidei si sono corrotti: <Quando l’elemento divino, mescolato con la natura mortale, si estinse in loro, il carattere
umano prevalse, allora degenerarono, e mentre a quelli che erano in grado di vedere apparvero turpi, agli occhi di quelli
che sono inetti a scorgere qual genere di vita conferisca davvero la felicità, apparvero bellissimi, gonfi come erano di
avidità e potenza. E Zeus, il dio degli dei, intuito che questa stirpe degenerava miserabilmente, volle impartir loro un
castigo affinché diventassero più saggi. Convoco gli dei tutti, e, convocati, disse...>. Cosa disse Zeus, possiamo solo
intuirlo: infatti con queste parole si conclude il "Crizia". Adesso dopo aver analizzato uno dei dialoghi in cui Platone
descrive Atlantide passiamo a trattare il motivo che spinse lo scrittore ad interrompere la stesura dell’opera. Tutte le
mitologie del mondo contengono elementi reali ; è questa è una verità che si può facilmente riscontrare dopo uno studio
approfondito e sistematico dei vari argomenti mitologici. Da tale studio apparirà evidente che la religione e la mitologia
sono strettamente vincolate l’uno all’altra da un rapporto di interdipendenza. Ora se da veri cristiani accettiamo
incondizionatamente i fatti riportati dalla Bibbia dobbiamo anche ammettere che tutti gli altri testi religiosi riportano così
come la Bibbia eventi realmente accaduti ; dopo un attento esame di tali tesi, ci accorgiamo che gli avvenimenti sono
pressoché simili, e quindi dobbiamo anche dedurre che è possibile che tutte le religioni, e quindi tutti i testi sacri,
provengano da un’unica fonte. Ma qual è la religione più antica che è servita da modello a tutte le altre e da cui tutti i
popoli hanno avuto origine ?. Seguendo le cronologie delle varie mitologie, sembra che si tratti di quella scandinava
basata sul culto del Sole - Odino e da cui è difficile risalire all’origine. Da tali considerazioni deriva che esisteva un tempo
un’unica mitologia, intesa come raccolta di fatti e di personaggi, esisteva una sola religione che una volta diffusasi nelle
varie parti del Globo, assunse caratteri diversi da paese a paese, ed esisteva un’unica civiltà da cui sono scaturiti i fatti
mitologici. Tale civiltà potremo chiamarla "Atlantidea". Platone da importante filosofo e storico quale era, non poteva
certamente fare un discorso di questo genere: l’argomento Atlantide con tutte le numerose implicazioni scientifiche,
storiche e religiose, contrastava con la concezione fortemente ellenocentrica del mondo allora conosciuto. Le masse a
quei tempi avevano bisogno di credere nei miti e non nella realtà che sicuramente essi non erano pronti ad accettare.

LA NARRAZIONE DEL "TIMEO".

Platone nel Timeo fornisce specialmente le notizie delle guerra tra i greci e l’esercito di Atlantide. Prima di raccontare la
grande imprese degli Ateniesi, lo scrittore greco parla dei possedimenti della grande potenza Atlantica, i cui versi sono già
stati citati, in più scrive anche della grandezza dell’isola:L’isola era più grande della Libia e dell’Asia riunite...(Op. Cit. III).
Il poeta continua raccontando come prima era l’oceano prima che l’isola scomparisse:Questo mare era allora navigabile, e
aveva un’isola innanzi a quella bocca che si chiama, come voi dite Colonne d’Ercole.[...] Perché tutto questo mare, che
sta di qua dalla bocca che ho detto, sembra un porto d’angusto ingresso, ma l’altro potresti rettamente chiamarlo un vero
mare, e la terra, che per intero l’abbraccia un vero continente.(Op. Cit. III). Dopo aver parlato della grandezza di
Atlantide il poeta si cimenta nel raccontare le vicende della guerra:Ma benché siano molte e grandi le opere compiute
dalla città vostra, che noi ammiriamo qui scritte, una però supera tutte per grandezza e virtù. Perché dicono le scritture
come la vostra città distrusse un grande esercito, che insolentemente invadeva ad un tempo tutta l’Europa e l’Asia,
movendo fuor dall’Oceano Atlantico[...]Allora dunque, o Solone,(la persona a cui il sacerdote di Sais racconta le vicende
di Atlantide)la potenza della vostra città apparve cospicua per virtù e per vigore a tutte le genti:perché avanzando tutti
nella magnanimità e in tutte le arti belliche, parte conducendo l’armi dei Greci, parte costretta a combattere sola per la
defezione degli altri, affrontati gli estremi pericoli e vinti gli assalitori, stabili trofei, e campò dal servaggio i popoli non
ancora asserviti, e liberò generosamente tutti gli altri, quanti abitiamo di qua alle colonne d’Ercole.(Op. Cit. III).Verso la
fine del III° capitolo il poeta racconta dello sprofondamento della terra in cui molti guerrieri Ateniesi persero la vita e di
un terribile sisma che fece sprofondare l’isola di Atlantide:Ma nel tempo successivo, accaduti grandi terremoti e
inondazioni nello spazio di un giorno e di una notte tremenda, tutti i vostri guerrieri sprofondarono insieme alla terra, e
similmente scomparve l’isola Atlantide assorbita dal mare perciò ancora quel mare è impraticabile ed inesplorabile,
essendo d’impedimento i grandi bassifondi di fango, che formò l’isola nell’inabissarsi.(Op. Cit. III)
Il primo a scrivere di Atlantide fu lo scrittore greco Platone nei suoi dialoghi: il "Crizia" e il "Timeo". A parlare è Crizia,
parente del filosofo Platone, il quale racconta che un secolo prima, nel 590 a.C., il legislatore Solone si era fermato nella
città di Sais che secondo gli abitanti, l'origine della città si deve alla dea Neith, che nella lingua egiziana corrispondeva a
quella greca Atena, che avrebbe creato la città di Atene. Qui Solone cercò di impressionare i Sacerdoti di Iside illustrando
le antiche tradizioni greche, ma uno di loro aveva sorriso, affermando che quello greco era un popolo fanciullo nei
confronti di quello egiziano che possedeva molta documentazione scritta. Tra questi testi c'era la storia di una grande
isola che si trovava nell'Oceano Atlantico(circa 9000 prima di Solone). Il filosofo greco parla dell'isola misteriosa, sempre
per bocca di Crizia, che prima di descrivere di Atlantide disse: <...Questi erano presso il nonno e ora sono in casa mia, e
quand'ero fanciullo li studiai diligentemente. Se dunque udirete questi nomi,(quelli dei re di Atlantide, che furono tradotti
da Solone in greco)che ho detto, non ve ne meravigliate, perché ne sapete il motivo. Quella lunga narrazione cominciava
press'a poco così...>(Op. Cit. Crizia cap. VII)
Nonostante tutto questo si è sospettato che Platone abbia voluto servirsi di una tradizione come di un mezzo per
diffondere le proprie idee politiche. Platone contrappone Atlantide ad Atene, che si reggeva secondo i principi esplicati da
Platone nel dialogo "Repubblica"(gr. Politéia) ; infatti lo si nota nel "Timeo" durante il colloquio tra Socrate, lo stesso
Timeo, Crizia e Ermocrate sullo Stato perfetto, l'educazione etc.. ma poi a un certo punto la discussione si concentra sul
problema di come si comporterebbe la città perfetta in guerra ed in pace e quindi viene preso in considerazione il
racconto della guerra Atene - Atlantide. Oltre a Platone altri scrittori classici scrissero di un continente scomparso:
- Omero, nell'Odissea scrisse di Ogigia, che ne parleremo poi.
- Aristotele anche se parlò delle Antille(localizzate come Atlantide)non diede molta importanza alla narrazione del suo
Maestro, e questa non - opinione ebbe un peso determinante nel Medio Evo cristiano. Aristotele, infatti, era considerato
un'autorità indiscussa, e ciò che lui aveva detto("Ipse dixit"), e che non a caso concordava con la visione geocentrica
dell'universo sostenuta dalla Chiesa, non poteva essere contestato. Per di più l'esistenza di un continente distrutto
novemila anni prima non coincideva con la data della creazione del mondo secondo la Genesi, calcolata nel 3760 a.C.
- Marcellino, scrisse di una diffusa convinzione sull'esistenza di Atlantide, e che "una grande venne inghiottita".
- Proclo, riferiva che gli abitanti delle isole Atlantide ricordavano che quella più grande e da cui dipendevano si inabissò
nel fondo del mare.
- Plutarco, fece riferimento a un continente chiamato Saturnia.
- Timagene, parlò di "un'isola in mezzo all'oceano" da cui sarebbero generati i Galli
- Tertulliano, scrisse sull'inabissamento di Atlantide come di un esempio dei mutamenti della terra facendo osservare che
era stata "cercata invano".
Altri racconti antichi descrivono o parlano di Atlantide, ma non hanno pieno affidamento come il resoconto fatto da
Teopompo di una discussione tra Mida, re di Creta, e Sileno la quale trattava di un continente lontano.

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