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13 storie per riflettere - II

Amor Ben
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13 storie per riflettere - II

Amor Ben
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Voglio ringraziare tutte le persone che nella mia vita mi hanno


raccontato storie, mi hanno insegnato ad amarle e a scegliere
o inventarne una per ogni occasione, e specialmente le mie
figlie, la piccola Gaia, a cui avevo detto di non saper leggere per
poter spegnere la luce durante la storia della buona notte e la
grande Alice che un giorno le disse “si che sa leggere, ma
preferisce inventare una storia ogni sera apposta per noi, che
c’entra con quello che è successo durante la giornata e ci
insegna qualcosa di utile, capisci?”…

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13 storie per riflettere - II

Indice
Quanto pesa l’acqua? ............................................................................... 6
La penna multicolore ................................................................................. 8
Aquila o gallina ........................................................................................... 10
Condividere i semi ..................................................................................... 12
L’albero dei problemi ................................................................................ 14
La stanza dell’asilo ................................................................................... 16
L’asino caduto nel pozzo ....................................................................... 18
Il pacchetto di biscotti ............................................................................. 20
Dio non sbaglia mai .................................................................................. 22
Ho fatto te ................................................................................................... 24
Il nascondino di Dio ................................................................................... 26
L’elefante del circo .................................................................................... 28
La vita dopo il parto ................................................................................. 30

Amor Ben
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Perché queste storie?


Ogni lunedì sul mio sito www.amorben.es/ottimizzatrice, in cui
parlo di argomenti inerenti il mio lavoro come coach delle
relazioni, pubblico una storia per riflettere, per cambiare punto
di vista, per trovare spunti diversi e, spero, ispirazioni utili.
Sono storie che provengono da diverse culture, alcune si
trovano in più di una, ma sono tutte storie che parlano di
aspetti che normalmente non teniamo in considerazione,
perché ci sembrano poco importanti e che, invece, possono
nascondere chiavi di volta inattese.

Perché 13 storie?
Perché amo particolarmente il numero 13, devo ammettere che
in parte perché è un numero spesso emarginato, ma anche
perché secondo la numerologia è equivalente al numero
quattro, conosciuto come il costruttore, l’organizzatore e (mi
oso aggiungere la mia personale versione) l’ottimizzatore…
Ma soprattutto perché 13 settimane sono un trimestre di
storie e mi piaceva l’idea di fare quattro raccolte ogni anno.

Come leggere questo e-book?


Si può leggere tutto d’un fiato, una storia alla volta, o può
essere aperto “a caso” quando uno è in difficoltà e sente il
bisogno di una nuova ispirazione.

Tutto qui?
Non esattamente. Dopo alcune delle storie ci saranno delle
domande, delle domande per riflettere, per fare autoanalisi e
per allenare la capacità di trovare le risposte dentro di noi,
come facevano le persone che hanno inventato queste storie.

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13 storie per riflettere - II

Quanto pesa l’acqua?

Dicono che una volta all’Università di Berkeley, in California. Un


professore della Facoltà di Psicologia fece il suo ingresso in
aula, come ogni martedì. Il corso era uno dei più gremiti e
decine di studenti parlavano del più e del meno prima dell’inizio
della lezione. Il professore arrivò con il classico quarto d’ora
accademico di ritardo. Tutto sembrava nella norma, ad
eccezione di un piccolo particolare: il prof. aveva in mano un
bicchiere d’acqua.
Nessuno notò questo dettaglio finché il professore, sempre
con il bicchiere d’acqua in mano, iniziò a girovagare tra i banchi
dell’aula. In silenzio. Gli studenti si scambiavano sguardi
divertiti, ma non particolarmente sorpresi. Sembravano dirsi:
“Eccoci qua: oggi la lezione riguarderà sicuramente l’ottimismo.
Il prof. ci chiederà se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto.
Alcuni diranno che è mezzo pieno. Altri diranno che è mezzo
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vuoto. I nerd diranno che è completamente pieno: per metà
d’acqua e per l’altra metà d’aria! Tutto abbastanza scontato!”.
Il professore invece si fermò e domandò ai suoi studenti: —
Secondo voi quanto pesa questo bicchiere d’acqua?
Gli studenti sembravano un po’ spiazzati da questa domanda,
ma in molti cercarono di rispondere: il bicchiere aveva
certamente un peso compreso tra i 200 e i 300 grammi. Il
professore aspettò che tutti gli studenti avessero risposto e
poi raccontò il suo punto di vista: — Il peso assoluto del
bicchiere d’acqua è irrilevante. Ciò che conta davvero è per
quanto tempo lo tenete sollevato — Felice di aver catturato
l’attenzione dei suoi studenti, il professore continuò —
Sollevatelo per un minuto e non avrete problemi. Sollevatelo
per un’ora e vi ritroverete un braccio dolorante. Sollevatelo per
un’intera giornata e vi ritroverete un braccio paralizzato”.
Gli studenti ascoltavano attentamente il loro professore: — In
ognuno di questi tre casi il peso del bicchiere non è cambiato.
Eppure, più il tempo passa, più il bicchiere sembra diventare
pesante. Lo stress e le preoccupazioni sono come questo
bicchiere d’acqua. Piccole o grandi che siano, ciò che conta è
quanto tempo dedichiamo loro. Se gli dedichiamo il tempo
minimo indispensabile, la nostra mente non ne risente. Se
iniziamo a pensarci più volte durante la giornata, la nostra
mente inizia ad essere stanca e nervosa. Se pensiamo
continuamente alle nostre preoccupazioni, la nostra mente si
paralizza. — Il professore capì di avere la completa attenzione
dei suoi studenti e decise di concludere il suo ragionamento
con un consiglio, com’era solito fare — Per ritrovare la serenità
dovete imparare a lasciare andare stress e preoccupazioni.
Dovete imparare a dedicare loro il minor tempo possibile,
focalizzando la vostra attenzione su ciò che volete e non su ciò
che non volete. Dovete imparare a mettere giù il bicchiere
d’acqua.

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La penna multicolore

Dicono che una c’era un professore di una scuola elementare


del sud d’Italia che era famoso per la sua rigidità, per la sua
esigenza e per la sua fermezza. Quello che nessuno sapeva
era che aveva perso molti ragazzi e bambini per strada, alcuni
avevano lasciato la scuola per andare a prendersi cura dei
fratelli più piccoli, altri a lavorare con i genitori perché erano
poveri e avevano bisogno di soldi, e altri erano proprio finiti
male in mano a cattive compagnie.
Ogni sabato si disponeva a correggere i compiti con la sua
temibile penna rossa. Tutti la temevano, poteva ferire più di
una pistola, poteva massacrare le aspettative di un allievo
sfortunato, di uno poco attento o di uno con difficoltà. Ma,
dopo tanti anni di delusioni, era diventato sempre più esigente
e critico nei confronti di quei bambini a cui un tempo regalava

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tutto il suo tempo, per il ricordo di quelli che avevano preso in
ostaggio pezzetti del suo cuore e l’avevano portato via.
Però, quel sabato non trovava la sua penna rossa. E, senza,
non poteva fare il suo lavoro. La cercò per tutta la casa, nella
sua scrivania, nel piccolo ufficio, persino in cucina… Niente.
Pensò che forse l’aveva presa la sua bambina e, arrabbiato,
andò a cercare tra i giochi della piccola, ma niente, non era
nemmeno li. Quello che trovò fu una penna multicolore, che la
bambina di quattro anni usava per disegnare e che gli fece
ricordare quando aveva iniziato a insegnare.
All’inizio usava proprio quella penna, per scrivere un maniera
garbata e simpatica le cose che si “potevano migliorare”, ma
anche quelle speciali, originali e degne di merito… ma con gli
anni aveva visto che poche cose miglioravano e aveva
cambiato stile, comprato una penna rossa e fatto notare
soltanto gli errori. Si rese conto che aveva perso la sua
scintilla… e decise di riprenderla… prese la penna multicolore e
si dispose a ricominciare da capo.
Quando sua figlia lo vide e chiese “perché stai correggendo i
compiti con la mia penna da disegnare cose belle?”, rispose
“perché voglio che i compiti e la scuola diventino cose belle”

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Aquila o gallina

Dicono che una volta un guerriero indiano incontrò un uovo di


aquila, lo raccolse e lo collocò vicino a quelli di gallina che aveva
nel suo pollaio per vedere cosa succedeva. Il piccolo di aquila
nacque e fu allevato dalla mamma chioccia insieme agli altri
suoi pulcini.
Così, credendosi lui stesso un pulcino, il piccolo di aquila passò
la vita comportandosi come i suoi fratelli, in quel piccolo cortile.
Grattava la terra in cerca di semini e insetti con cui alimentarsi.
Non volava, a volte agitava leggermente le ali mentre saltellava
ma si alzava poco da terra. Per lui era normale, così facevano
tutti i suoi fratelli e sorelle.
Un giorno vide un ave maestosa che plana in cielo sopra di loro
e rimase ammirato.

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─ Che bellezza! ─ disse alla gallina che aveva più vicino ─ Che
animale è?
─ È un aquila, la regina delle avi ─ le rispose questa ─ ma non
t’illudere: non sarai mai come lei, lei appartiene ad un’altra
specie. Anzi, devi fare attenzione perché è pericolosa…
potrebbe mangiarti per colazione e non sentirebbe nessun
rimorso.
Da quel momento, il piccolo ignorò l’aquila come gli era stato
detto di fare. Non ne parlò mai più con nessuno, ma ogni tanto
guardava le aquile quando nessuno se ne accorgeva e
sognava come sarebbe stato volare così nel cielo insieme a
loro.
Anzi, si chiedeva come mai nessuno dei suoi fratelli avesse le
sue inquietudini, ma aveva troppa paura di essere emarginato
perciò teneva tutto per se… e morì credendo di essere una
gallina strana.

Sei pronto a impegnarti


per cambiare le cose o
preferisci lamentarti
perché nessuno
lo fa?

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Condividere i semi

Dicono che una volta c’era un contadino che aveva seminato


dei fiori di una bellezza particolare, ogni giorno seminava e
raccoglieva dei fiori che erano i più belli e fragranti che
nessuno potesse conoscere. Ogni anno vinceva il premio ai fiori
più grandi e di maggior qualità, e… com’era da aspettarsi
l’ammirazione di tutti nella sua regione.
Un giorno si avvicinò un giornalista di un canale di televisione a
chiedergli il segreto del suo successo, e lui rispose:
─ Il mio successo lo devo al fatto che, di ogni raccolto prendo i
semi migliori e li condivido coi miei vicini, perché anche loro li
seminino.

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─ Come? ─ disse il giornalista ─ ma quello è una pazzia, non ha
paura che i suoi vicini diventino famosi come lei e le tolgano
importanza?
─ Lei non ha mai lavorato in campagna, vero? ─ rispose il
contadino.
─ No. Cosa c’entra?
─ Io lo faccio perché, avendo anche loro dei fiori belli, quando il
vento porta i loro semi nel mio terreno, e il mio raccolto sarà
migliore. Se i loro semi fossero di poca qualità anche il mio
raccolto perderebbe qualità, visto che s’incrociano sempre!
Se ci sentiamo tutti come nemici fra di noi, se crediamo che
perché qualcuno possa vincere qualcuno deve perdere, e
cerchiamo di guadagnare lavorando contro gli altri, prima o poi
il vento ci riporta i frutti dei loro raccolti e li mischia con i nostri,
indebolendoci. Se, invece, pensiamo di essere tutti parte di una
squadra, e lavoriamo per la squadra, siamo più forti.

Se un tuo caro amico ti


raccontasse tutto
questo per avere un tuo
consiglio, cosa
gli diresti?

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L’albero dei problemi

Dicono che una volta un contadino assunse un falegname per


aggiustare delle cose nella sua cascina, non lo conosceva
personalmente ma gli avevano detto in città che era un bravo
lavoratore e anche come un tipo onesto. Ma il primo giorno fu
un disastro.
La sega elettrica si era fermata a metà lavoro e questo gli
aveva fatto perdere delle preziose ore di lavoro, alcuni attrezzi
si erano bagnati e rischiavano di arrugginirsi… e, quando si
apprestava a tornare a casa, il suo camioncino non voleva
collaborare. Il contadino preoccupato si offrì di portarlo a casa
e fecero tutto il tragitto in silenzio.
Una volta arrivati, lo invitò a entrare un attimo per conoscere
la sua famiglia. Mentre camminavano verso la porta, si fermò
alcuni secondi davanti ad un albero tutto attorcigliato,

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gesticolando come se appendesse delle cose dai suoi rami con
entrambe le mani.
Mentre la moglie gli apriva la porta osservai una sorprendente
trasformazione. Il suo viso, fino ad un attimo prima stanco e
segnato dalla giornata difficile si era rilassato e un sorriso
morbido e affabile apparve non appena vide i suoi due bambini.
Baciò sua moglie e mi offrirono di cenare con loro.
La cena fu distesa e persino divertente, quando alla fine lo
riaccompagnò in macchina, il contadino, passando vicino
all’albero ricordò i movimenti di prima e chiese cosa fosse quel
rituale a cui aveva assistito in silenzio, e cosa avesse di speciale
quell’albero.
─ Ah, sì… quello è il mio albero dei problemi, ─ rispose il
falegname ─ so che non posso evitare di avere problemi al
lavoro, ma una cosa è sicura, non me li porto in casa, quando
incontro mia moglie e i miei figli. Prima di entrare li appendo
all’albero e li riprendo la mattina seguente quando esco.
─ La cosa divertente è che ─ aggiunse ─ al mattino quando
esco a riprenderli, ce ne sono sempre meno di quelli che ho
appeso la notte precedente.

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La stanza dell’asilo

Dicono che una volta una anziana decise di andare in una casa
di riposo alla morte del marito. Non aveva più nessuno di cui
prendersi cura e decise di lasciare che altri si prendessero
cura di lei. Aveva 78 anni, era minuta e fragile nel corpo, ma
sempre sorridente e dolce nei modi. Arrivò vestita di tutto
punto e con un profumo floreale che metteva di buon umore.
Dopo qualche ora di attesa nella hall, una giovane molto
preoccupata per averla fatto aspettare si avvicinò e le disse
che la stanza era pronta. La operatrice si scusava a parole e a
gesti, ma l’anziana non sembrava comprendere tutto quel
dispiacere.
Mentre la portava verso la stanza, le raccontava com’era
fatta, la disposizione dei mobili, le caratteristiche dei vicini,
persino quello che si vedeva dalla finestra.

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─ Meraviglioso, la adoro!!! ─ affermò, con l’entusiasmo di un
bambino di 8 anni a cui hanno appena regalato un cucciolo…
─ Ma, non l’ha ancora vista, aspetti!
─ Non importa, ─ rispose ─ se una cosa ho imparato in tutti gli
anni che ho è chela felicità è qualcosa che dipende da me. Se mi
piace o non mi piace la stanza non dipende dalla stanza, da
come sono predisposti i mobili, ma da come predispongo la mia
mente, dal mio atteggiamento.
─ Ho già deciso che mi piace, ogni mattina devo decidere se
voglio passare la giornata pensando al mio corpo che non è
più giovane, a mio marito che non c’è più, a tutte le cose che
avrei voluto andassero in modi diversi, o posso essere grata di
essere ancora viva, amare le cose come stanno e lasciare che
la vita mi sorprenda senza più opporre resistenza…
─Ogni giorno è un regalo, e mentre i miei occhi me lo
permettano, guarderò ogni giorno con allegria e mi
concentrerò nei ricordi felici della mia vita.

La tua vita sarebbe


perfetta se non
fosse per…?

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L’asino caduto nel pozzo

Dicono che una volta un contadino aveva un asino che cadde


in un pozzo. Non si era fatto male, ma non poteva più uscirne.
L’asino continuò a ragliare sonoramente per ore, mentre il
proprietario pensava al da farsi, da una parte, sentiva pena
per l’animale ma dall’altra non poteva fare niente per aiutarlo e
nemmeno sopportare le sue urla…
Finalmente il contadino prese una decisione crudele: concluse
che l’asino era ormai molto vecchio e che non serviva più a
nulla, che il pozzo era ormai secco e che in qualche modo
bisognava chiuderlo. Non valeva pertanto la pena di sforzarsi
per tirare fuori l’animale dal pozzo. Al contrario chiamò i suoi
vicini perché lo aiutassero a seppellire vivo l’asino.
Ognuno di loro prese un badile e cominciò a buttare palate di
terra dentro al pozzo. L’asino non tardò a rendersi conto di
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quello che stavano facendo con lui e pianse disperatamente.
Poi, con gran sorpresa di tutti, dopo un certo numero di palate
di terra, l’asino rimase in silenzio.
Il contadino pensò che forse era morto, guardò verso il fondo
del pozzo e rimase sorpreso da quello che vide. Ad ogni palata
di terra che gli cadeva addosso, l’asino se ne liberava,
scrollandosela dalla groppa, facendola cadere e salendoci
sopra. In questo modo, in poco tempo, tutti videro come l’asino
riuscì ad arrivare fino all’imboccatura del pozzo, oltrepassare il
bordo e uscirne trottando.
La vita ci proverà spesso a buttarti addosso molta terra, ogni
tipo di terra. Principalmente se sarai dentro un pozzo. Il
segreto per uscire dal pozzo consiste semplicemente nello
scuotersi di dosso la terra che si riceve e nel salirci sopra.

Cosa vorresti si
dicesse al tuo
funerale?

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Il pacchetto di biscotti

Dicono che una volta una ragazza stava aspettando il suo


volo in una sala d’attesa di un grande aeroporto. Siccome
avrebbe dovuto aspettare per molto tempo, decise di
comprare un libro per ammazzare il tempo. Comprò anche un
pacchetto di biscotti. Si sedette nella sala VIP per stare più
tranquilla.
Accanto a lei c’era la sedia con i biscotti e dall’altro lato della
sedia un signore che stava leggendo il giornale. Quando lei
cominciò a prendere il primo biscotto, anche l’uomo ne prese
uno; lei si sentì indignata ma non disse nulla e continuò a
leggere il suo libro. Tra sé pensò: “Ma tu guarda, se solo avessi
un po’ più di coraggio gli avrei già dato un pugno…”.

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Così ogni volta che lei prendeva un biscotto, l’uomo accanto a
lei, senza fare un minimo cenno ne prendeva uno anche lui.
Continuarono fino a che non rimase solo un biscotto e la
donna pensò: “Ah, adesso voglio proprio vedere cosa mi dice
quando saranno finiti tutti!”.
L’uomo prese l’ultimo biscotto e lo divise a metà! “Ah!, questo è
troppo”; pensò e cominciò a sbuffare indignata, si prese le sue
cose, il libro, la sua borsa e si incamminò verso l’uscita della
sala d’attesa.
Quando si sentì un po’ meglio e la rabbia era passata, si
sedette in una sedia lungo il corridoio per non attirare troppo
l’attenzione ed evitare altri dispiaceri. Chiuse il libro e aprì la
borsa per infilarlo dentro quando nell’aprire la borsa vide che il
pacchetto di biscotti era ancora tutto intero nel suo interno.
Sentì tanta vergogna e capì solo allora che il pacchetto di
biscotti uguale al suo era di quel uomo seduto accanto a lei che
però aveva diviso i suoi biscotti con lei senza sentirsi indignato,
nervoso o superiore, al contrario di lei che aveva sbuffato e
addirittura si era sentita ferita nell’orgoglio.
Quante volte nella nostra vita mangeremo o avremo mangiato i
biscotti di un altro senza saperlo? Prima di arrivare ad una
conclusione affrettata e prima di pensare male delle persone,
guarda attentamente le cose, molto spesso non sono come
sembrano!

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Dio non sbaglia mai

Dicono che c’era una volta un re che aveva un servo molto


fedele e saggio che in tutte le circostanze della vita, belle e
dolorose gli diceva: “Mio re, tutto quello che Dio fa è perfetto,
Dio ha visto il vostro dolore e se ha permesso tutto ciò
accadesse c’è una ragione DIO NON SBAGLIA MAI!“
Il re non credeva molto nella bontà di Dio, però lo lasciava dire.
Un giorno, il re ed il servo andarono a caccia ma proprio
durante la caccia, il re venne aggredito da un animale
selvatico. Il servo riuscì ad uccidere l’animale, ma purtroppo
non riuscì ad impedire che l’animale linciasse la mano al re.
Il re infuriato e triste per l’accaduto, senza neanche un minimo
di riconoscenza per essere stato salvato si adirò e disse:
─ Dio è buono? Se Dio fosse veramente buono io non sarei
stato aggredito e non avrei perso la mano.

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Il servo disse:
─ Mio re, io non so perché tutto ciò è accaduto però so di certo
che Dio sa ogni cosa e se ha permesso che tutto ciò accadesse
c’è una ragione ciò che Dio fa è perfetto Egli non si sbaglia mai.
Il re indignato per la risposta, fece arrestare il servo. Dopo
qualche tempo il re andò nuovamente a caccia e fu rapito da
un gruppo di primitivi che facevano sacrifici umani per le
proprie divinità, ma quando lo misero sull’altare essi si
accorsero che al re mancava una mano… così subito lo
liberarono e lo lasciarono andare perché non era perfetto per
essere offerto agli dei. Di ritorno al palazzo il re fece liberare
immediatamente il servo e lo ricevette con molto affetto
dicendogli:
─ Mio servo fedele io il Signore è stato molto buono con me
sono stato catturato dai primitivi per essere sacrificato agli dei
ma quando essi hanno visto che mi mancava una mano sono
stato risparmiato proprio perché essa mi mancava…. ho però
un dubbio se Dio è così buono perché ha permesso che tu che
tanto lo difendi e che lo ami venissi incarcerato da me?
E il servo rispose:
─ Mio re se io fossi venuto a caccia avrebbero catturato anche
me insieme a voi ed io sarei stato sacrificato al posto vostro
perché infatti a me non manca nessuna mano…ricordate tutto
quello che Dio fa è perfetto Dio ha VISTO IL VOSTRO DOLORE e se
ha permesso che tutto ciò accadesse è stata per una ragione
DIO NON SBAGLIA MAI.

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Ho fatto te

Dicono che in un paese molto povero c’era un giovane uomo


molto indignato con Dio, per tutto il male che vedeva nel
mondo. Era così infuriato e arrabbiato che urlava a
squarciagola domande sull’ingiustizia e il male di cui era
testimone, chiedendo spiegazioni al creatore onnipotente…
─ Oh Dio! Non ti capisco… Ogni giorno vedo (e vorrei non
vedere) tante cose terribili e mi chiedo come puoi permetterle,
come puoi accettare tutto questo male e non fare niente. ─
urlava.
─ In questo piccolo paese i bambini spesso muoiono di fame
perché i genitori non hanno abbastanza soldi per comprare
loro il cibo, i campi sono così aridi e la siccità sta uccidendo le
piante e gli animali. E tu non fai niente per cambiare tutto
questo. ─ continuò alzando ulteriormente la voce.

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─ Gli uomini sono nervosi e diventano aggressivi, litigano per
delle piccolezze e si fanno del male senza ragioni soltanto
perché possono. Trattano male le loro mogli, e i loro bambini, si
trattano male fra di loro e persino si autopuniscono perché
questa situazione è troppo grande per loro. E tu, te ne stai lì,
permetti che tutto questo succeda senza fare niente per
fermarli. ─ la sua voce era a metà fra l’urlo e il pianto.
─ Tutti sono ansiosi e spaventati, e tu… cosa fai? come puoi
startene lassù senza fare niente? Io ti ho sempre adorato, ho
seguito tutti i tuoi precetti, e tu… cosa hai fatto? ─ disse in un
singhiozzo.
─ Dio… tu cosa hai fatto, oltre a guardare da un’altra parte ─
ripeté esausto con il suo ultimo filo di voce.
Le parole dell’uomo commossero Dio che decise di rispondere
con solo tre parole:
─ Ho fatto te!

Chi è il tuo più


grande idolo e
perché?

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Il nascondino di Dio

Dicono che un giorno Dio si stancò degli uomini. Lo seccavano


in continuazione, chiedendogli sempre qualcosa. Allora decise
di nascondersi per un po’ di tempo. Radunò i suoi consiglieri e
chiese loro:
─ Dove mi devo nascondere? Qual è il luogo migliore?
Alcuni risposero:
─ Sulla cima della montagna più alta. ─ risposero alcuni ─ Pochi
avranno la voglia e si prenderanno la briga di andarti a
cercare là.
─ Il fondo del mare è il posto più sicuro, ─ dissero altri ─
nemmeno se lo volessero potrebbero venire a disturbarti.
─ Sul lato oscuro della luna. Là nessuno ti troverà. ─
aggiunsero altri ─ così sarai anche abbastanza lontano e
potrai riposare.
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Allora Dio si rivolse al suo angelo più intelligente e lo interrogò.
─ Caro amico, tu dove mi consigli di nascondermi?”.
─ Nasconditi nel cuore dell’uomo! E’ l’unico posto dove gli esseri
umani non vanno mai! ─ rispose sorridendo beato l’angelo. ─ In
questo modo ti troveranno solo gli esseri consapevoli: quelli
che avranno capito che ciò di cui hanno bisogno in ogni
momento della loro vita e, in particolare, quando vorranno
ristabilire un contatto con te, è di stare in silenzio e ascoltare.
─ Quelli che capiranno che la fonte è già dentro di loro. ─
continuò ─ E vorranno ricollegarsi a te ritrovando loro stessi,
capendosi a livello profondo.
E Dio sorrise e accettò la proposta. Da allora cercare Dio vuol
dire quindi studiare se stessi, scavare in profondità per
conoscersi, per capire chi e che cosa siamo veramente.

Cosa farebbe il più grande


genio del mondo se avesse
un problema simile a quello
che hai tu ora?

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L’elefante del circo

Dicono che un giorno un nonno portò suo figlio al circo. Il


bambino adorava il circo, i pagliacci, gli acrobati… e soprattutto
gli animali. A funzione finita, andando verso la macchina, videro
il gigantesco elefante che avevano visto in pista legato a un
piccolo paletto per terra, e chiese: nonno se è così grande e
così forte, come mai non strappa il paletto e scappa?
─ Bella domanda, piccolo… ─ rispose sorridendo il nonno ─ Sai,
anche io quando ero piccolo mi sono chiesto la stessa cosa,
come tu stesso hai notato, durante lo spettacolo fa sfoggio di
un peso, una dimensione e una forza davvero fuori dal
comune, ma dopo il suo numero, e fino ad un momento prima di
entrare in scena, rimaneva sempre legato ad un paletto
conficcato nel suolo, con una catena che gli imprigionava una
delle zampe. Anche a me sembrava che il paletto fosse un
minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per
pochi centimetri. E anche se la catena era grossa e forte, mi
pareva ovvio che un animale in grado di sradicare un albero
potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire. Ma non lo
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faceva. Era davvero un bel mistero. Che cosa lo teneva legato,
allora? Perché non scappava?
─ Ho chiesto a molti, come tu hai chiesto a me, ma nessuno mi
ha saputo dare una risposta convincente. Sai, all’epoca
ancora credevo che i grandi sapessero più dei piccoli perciò ho
chiesto al mio maestro, a mio padre e a mio zio. Loro dicevano
che l’elefante non scappava perché era ammaestrato. Ma non
mi convinsero, perché nella mia mente sorgeva spontanea la
domanda successiva: “Se è ammaestrato, perché lo
incatenano?”.
─ Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e
del paletto e ci pensavo soltanto quando mi imbattevo in altre
persone che si erano poste la stessa domanda. Per nostra
fortuna, qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato
abbastanza saggio da trovare la risposta giusta: l’elefante del
circo non scappa perché è stato legato a un paletto simile fin
da quando era molto, molto piccolo.
─ Se chiudi gli occhi puoi immaginare l’elefantino indifeso
appena nato, legato al paletto. Sono sicuro che, in quel
momento, l’elefantino provò a spingere, a tirare e sudava nel
tentativo di liberarsi. Ma nonostante gli sforzi non ci riusciva
perché quel paletto era troppo saldo per lui. Puoi quasi vederlo
addormentarsi sfinito e il giorno dopo provarci di nuovo e così il
giorno dopo e quello dopo ancora…
─ Finché un giorno, ha accettato l’impotenza rassegnandosi al
proprio destino. L’elefante enorme e possente che vediamo al
circo non scappa perché, poveretto, crede di non poterlo fare.
Reca impresso il ricordo dell’impotenza sperimentata subito
dopo la nascita. E non ha mai più messo alla prova la sua forza,
mai più…
─ Sai, piccolo, anche molti uomini rimangono ancorati a
credenze limitanti legate al loro passato che li tengono
immobilizzati e gli fanno sentire impotenti anche se sono
cresciuti e sono diventati forti e potrebbero fare molto di più.
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La vita dopo il parto

Dicono che c’erano una volta due gemellini che si trovano nel
seno di una donna incinta. Quando il maschietto, impaurito
all’idea del parto e di cosa ci sarebbe al di là di quel momento,
chiese alla sorellina se credeva nella vita dopo il parto?
– Si, certamente. Qualcosa deve esistere dopo il parto. Forse
siamo qui perché abbiamo bisogno di prepararci per ciò che
saremo più avanti.
– Sciocchezze! Non c’è una vita dopo il parto. Come dovrebbe
essere questa vita?
– Non lo so con sicurezza… ci sarà più luce di qui. Magari
cammineremo con i nostri piedi e ci alimenteremo con la bocca.
– Che assurdità! Camminare è impossibile. E mangiare con la
bocca? E’ semplicemente ridicolo. Il cordone ombelicale è da

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dove ci alimentiamo. Io ti dico una cosa: la vita dopo il parto non
è concepibile. Il cordone ombelicale è troppo corto.
– Eppure io credo che deve esserci qualcosa, anche se un po’
diverso dalle cose a cui qui siamo abituati.
– Ma nessuno è tornato dall’aldilà, dopo il parto. Il parto è la fine
della vita. E in fin dei conti la vita non è altro che una triste
esistenza nell’oscurità che non porta a nulla.
– Bene, io non so esattamente come sarà dopo il parto, ma
sono certo che vedremo la mamma e lei si prenderà cura di noi.
– Mamma? tu credi nella mamma? e dove pensi che si trovi?
– Dove? E’ tutto intorno a noi! Noi viviamo in lei e attraverso di
lei. Senza di lei tutto questo mondo non esisterebbe.
– Mah! Non riesco a crederci! Non ho mai visto una mamma, e
pertanto è logico che non esista.
– Bene, però a volte, quando stiamo in silenzio, tu puoi sentirla
che canta o avvertire come accarezza il nostro mondo. Sai che
ti dico? Io penso che c’è una vita reale che ci aspetta e che
adesso ci stiamo solo preparando per quella…
Quando la bambina venne partorita, l’altro fu assalito dal
terrore per ciò che sarebbe successo a lei e, prima o poi, stava
per succedere a lui stesso. Quando poi toccò a lui, la paura fu
tremenda, fino a che non vide la luce e, vedendo quanto era
bello ciò che era là fuori, pianse di gioia…

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