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2014 Fandango Libri s.r.l.

Viale Gorizia 19
00198 Roma

Tutti i diritti riservati

ISBN 978-88-6044-399-1

Per le foto degli autori Alessandro Montanari

Copertina:
2012, Simone Bramante/Photographer
Simone@brahmino.com
Art director Federico Mauro

www.fandango.it
Andrea Delogu
Andrea Cedrola

La Collina
Ad Alessandro

A Gerardo, per tutti i libri che mi ha comprato


Ad Amina Marie, per tutti i libri che legger
Perch, soprattutto, un demone, che sia il nostro o quello
di un altro, non sopporta linnocenza, e quello che no ad
allora era bloccato nei suoi eetti, nascosto nelle sue inclina-
zioni, ma marchiato a fuoco n dallinizio, lui lo vuole in
modo irrevocabile, contro il miglior consiglio e la migliore
volont: e in questi casi, come ciascuno sa, contrastarlo, un
demone, non serve che a farlo incrudelire sebbene in molti
casi anche assecondarlo, alla ne, non porti a risultati diversi.
Leonardo Pica Ciamarra, Ad avere occhi per vedere
6 febbraio 1989

Riccardo urla, Dove sei? Scatta in piedi e lo ripete a voce pi


bassa, Dove sei? Nellucio non c nessuno. Riccardo si guarda
intorno impaurito, colpa del risveglio improvviso, di un incubo
da dormiveglia che riempie la stanza e scompare lentamente. Il
contenitore di vetro pieno di caramelle caduto dalla scrivania,
il rumore amplicato dal silenzio della notte. Per terra vetri
sparsi sul parquet chiarissimo, quasi bianco. Riccardo li schiac-
cia, dalla scrivania al terrazzo. Ha bisogno di aria.
al terzo piano di una grande villa, costruita da centinaia
di ragazzi al centro della Collina, il mondo che Riccardo ha
creato. Da l pu averne una visuale ampia, quasi totale.
Respira, rientra, torna alla scrivania, sprofonda nella poltrona
girevole in pelle nera, inclina leggermente il busto. Il gomito sul
legno massiccio, la guancia schiacciata sul pugno chiuso. Sta per
assopirsi di nuovo ma di nuovo viene ridestato. Stavolta dal tele-
fono che squilla. A questora non se laspettava. Resta fermo, in-
deciso se rispondere. Alla ne alza la cornetta, Riccardo Mannoni,
chi parla? Resta in attesa, annuisce. In pochi secondi cambia espres-
sione due volte: la prima sorpresa, la seconda rabbiosa. Chiu-
detevi dentro e togliete la chiave.

Su in mansarda c solo una porta. Riccardo apre senza bussare.


Un abat-jour si accende sul comodino di anco al letto a una
piazza e mezza. Dal piumone sbuca una ragazza poco pi che

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ventenne, la pelle olivastra, capelli lunghi, lisci, neri. Una canot-
tiera bianca. Sintravedono i capezzoli larghi, scuri. Si chiama Sa-
brina e ha i lineamenti di unindiana dAmerica. Lo guarda, Che
succede? Riccardo le fa cenno di andare, Abbiamo un problema in
macelleria. Sabrina annuisce, Dieci minuti.

Una canzone metal proviene da una stanza del primo piano.


Al centro del corridoio, in piedi, una donna. Non pi tanto
giovane, ciabatte e vestaglia di pizzo. Riccardo non si ferma,
Vai a dormire, e raggiunge il piano terra. Soltanto luci al
neon. I lampadari piovono ninnoli di cristallo ma sono
spenti.

La luce forte dei lampioni. Riccardo attraversa nella notte un


viale alberato, il corso principale di un luogo che ricorda un
paese del Nord Europa: casette numerate con tetto rosso e giar-
dino curato, una piscina scoperta e il palazzetto dello sport, due
capannoni grandissimi e simmetrici, lippodromo, la chiesa, un
campo da calcio regolamentare, vigne e campi coltivati a perdita
docchio, una mensa imponente, un parcheggio con pi di cin-
quanta macchine in sosta e a delimitare il tutto, molto pi in
l, unaltissima recinzione.

Riccardo sale su una Panda 4X4 blu. Arretra un po lo schienale


del sedile del passeggero, stende le gambe e aspetta pi o meno
dieci minuti. Arriva Sabrina, si mette alla guida. Porge a Ric-
cardo un mazzo di chiavi (otto chiavi grandi, diciotto chiavi pic-
cole), mette in moto, Come stai? Riccardo evita il suo sguardo,
Bene, meglio.
Da un secondo viale meno illuminato raggiungono una vasta
area poco curata. Riccardo scende dalla macchina, il motore an-
cora acceso, D a Ivan di portare la pistola.

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La macelleria una grande struttura in cemento senza intonaco.
Riccardo prova ad aprire il portone blindato con una delle otto
chiavi grandi. Trova quella giusta al secondo tentativo, entra.
Latrio precede la grande cella frigorifera. Carcasse di vitello
sono appese a ganci in acciaio, ssati alle pareti bianco panna.
Gli va incontro un ragazzo, occhi piccoli e guance rosse, Dob-
biamo andare in porcilaia. Riccardo lo aerra per la maglia e lo
ssa inferocito. Lo molla solo quando il ragazzo china il capo.

Sul fondo, in mezzo ai maiali a riposo, ci sono altri tre ragazzi,


no a quel momento immobili. Non appena si accorgono di Ric-
cardo si fanno da parte. Lasciando che passi, che guardi.
E Riccardo lo vede, l sul terriccio, tra le ghiande e la merda.
Sgrana gli occhi, si passa una mano sul volto. un attimo. Poi
arriva Sabrina. Non ha trovato Ivan. Che cazzo signica?
A casa non c, risponde Sabrina.
Vai, e non tornare senza di lui. Sabrina sta per andare ma quasi
per caso guarda per terra, tra le caviglie di Riccardo.
Sabrina tace, le pupille dilatate per lo shock, riesce a reprimere
un conato. Riccardo le rivolge unocchiata veloce. Lei fa un
cenno, Non niente, poi esce dalla macelleria.
Riccardo si volta di nuovo e abbassa lo sguardo. Sul terriccio
insanguinato giace il cadavere di un ragazzo.

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I

RITORNO

10 agosto 31 dicembre 1984


Gli angeli sono caduti

Sorrido agli alberi al di l del nestrino, a Milano li tengono


chiusi nei parchi, qui sono liberi ai bordi della strada, disordi-
nati, bellissimi. Mi sollevo oltre il tettuccio aperto della Cin-
quecento rossa. Avanza in salita sbuando, il parabrezza
lesionato e il motore aaticato dai trecento chilometri appena
percorsi. Barbara mi riprende, incazzata, mi dovr abituare.
Non obbedisco e parlo con Ivan, tutto come prima? Lui guida
con la fronte fasciata e mi rassicura, Certo amore mio. Voglio in-
formazioni pi precise, Fiocco di neve ancora l? Ivan mi chiede
chi sia, questo Fiocco di neve, e stupita di tanta ignoranza mi
butto a sedere, il mio vitellino.
Lavranno sgozzato il tuo vitellino, interviene Barbara.
Ivan le lancia unocchiata, prova a rimediare attraverso lo
specchietto retrovisore, Nel senso che dopo un anno il vitellino
diventa vitello ed buoniiiiissimo da mangiare: ce ne sar un altro,
ancora pi bello. Mi metto a ridere, missione di Ivan compiuta,
infatti sorride anche lui. Barbara invece impassibile, ha parlato
senza staccare gli occhi dal nestrino e continua a guardare il
sentiero sterrato, pieno di buche, lungo e dritto. Finch non
vede, laggi in fondo, un cartello giallo su cui riportata una
scritta nera: LA COLLINA.
Barbara ssa il cartello, Rieccoci qua.
Scendiamo tutti e tre dalla Cinquecento. Barbara in canottiera
e gonna, Ivan col pantalone di lino e la camicia a maniche corte,

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io con il vestitino rosso e i sandali di gomma che mi tormentano
le dita. Ci avviciniamo alla sbarra dellingresso. Sotto il sole bat-
tente aspettano in venti tra ragazzi e ragazze, tutti pi o meno
coetanei di Barbara e Ivan (nessuno di loro supera i trentanni) e
tutti vestiti quasi nella stessa maniera: pantaloncini al ginocchio,
maglietta a maniche corte e scarpe da ginnastica, anche le donne.
A loro stato raccomandato telefonicamente di non presentarsi
in gonna. Qualcuno ci riconosce, saluta, noi ricambiamo, Bar-
bara fredda e io sorridente. Ivan distribuisce pacche sulle spalle
continuando a camminare, vuole entrare al pi presto, si avvicina
alla sbarra.
Allinterno, nellucio in legno immerso tra pioppi e altro
genere di verde, si muove un ragazzo piccolo e magro, con gli
occhiali spessi. Ivan richiama a gesti la sua attenzione, viene
ignorato. Insiste, fa un schio. Il ragazzo gli risponde anche lui
a gesti: bisogna aspettare. E allora aspettiamo.

Barbara in piedi, fuma una sigaretta, la nisce in cinque tiri,


la butta sul terriccio e la schiaccia, batte il piede per terra, mo-
vimenti veloci, continui, accende unaltra sigaretta, la nisce,
la spegne, batte il piede, accende e spegne.
Trascorre cos la prima mezzora, nch la monotonia non
viene infranta.

I get up in the evening


And I aint got nothing to say
I come home in the morning
I go to bed feeling the same way

Barbara di quella canzone s innamorata al primo colpo, due


mesi prima, ne maggio, appena uscito il 45 giri, Dancing in
the dark.

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I aint nothing but tired
Man Im just tired and bored with myself
Hey there baby, I could use just a little help

Lha comprato e ha fatto giusto in tempo a impararla a memo-


ria (sapeva di non poterlo portare su: vietato entrare con i
dischi). E adesso, mentre una ragazza canta con la voce alta e
bellissima, Barbara le va dietro, sussurra le parole, muove le
labbra, continua a cantare tra s, gli occhi chiusi. Vorrebbe non
nisse mai e invece, gi alla seconda strofa, qualcuno le poggia
una mano sulla spalla. Barbara costretta a interrompersi, lo
sguardo fulmineo, il sorriso dellaltro, Ti ho gi vista da qualche
parte, Barbara nega, prova ancora a seguire la canzone, Ma non
ricordo dove. Quello non si placa, Dove posso averti vista? Bar-
bara continua a dissuaderlo ma non c niente da fare, Rompi-
coglioni, e si rinchiude in macchina. Cinque secondi, il caldo
l dentro insopportabile, torna alla sbarra, vicino a una coppia
di danzatini.
Li guardo. Cercano di rilassarsi. Entrambi si stanno mas-
sacrando le unghie e non riescono a star fermi. Barbara li
sente, prima lui, So che stavolta i miei angeli hanno program-
mato ogni cosa, la ragazza perplessa, lhanno programmata
come si deve. Il ragazzo se ne accorge, Io ci credo a queste cose.
Lei allinizio non risponde, poi dice di rispettarlo, rispetta
tutti, qualunque punto di vista, Anche stronzate di quel ge-
nere. Lui la vede avviarsi lungo il sentiero, Che fai, piccola
mia? La ragazza accelera il passo, il ragazzo ha capito, la rag-
giunge e la abbraccia mentre lei, un misto di tosse e lacrime,
prima lo allontana con una spinta e poi dopo un secondo si
lascia abbracciare.
Mi sembra proprio che pianga, s, allora guardo da unaltra
parte... la sbarra, la Cinquecento, Barbara, gli alberi, lucio, altri
alberi, Ivan, la coppia che torna indietro, Ivan... Mi fermo su

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Ivan. preoccupato, lo vedo, ma quando si accorge di me sorride
allistante, si stampa un bacio sul palmo della mano destra e lo
spedisce con un soo. Corro via senza destinazione. Chiss se
qualcuno ha visto. Per fortuna sono tutti piuttosto distanti, op-
pure distratti, tranne un ragazzo biondo. vicino a me, seduto
per terra, la schiena contro il muretto. Mi fa una boccaccia. Lo
ripago con la stessa moneta, la smora peggiore che conosco:
occhi incrociati e guance incavate. Lui cambia argomento con
un gioco dombra sullasfalto, le mani intrecciate a formare un
coccodrillo, che sparisce appena scioglie le dita. Deve essere una
specie di mago. Mi do e lo raggiungo poco pi in l. Una ra-
gazza sta tremando anche se ci sono trenta gradi allombra. ap-
poggiata al tronco del castagno. Occhi chiusi, piedi scalzi e
sporchi, tanti nei sul viso. Non mi fa nessun eetto, non min-
curiosisce, ricomincio a giocare con il ragazzo biondo al gioco
delle ombre.
Tutti gli altri, nel frattempo, aspettano.

Alcuni camminano avanti e indietro, da soli; qualcuno parla


con il vicino dattesa; Stavolta mi sembrava fatta ma poi mi
sono accorto che gli anni Settanta mi sono tornati addosso; qual-
cuno sospira, Scusa, ma queste storie sono tutte uguali. E gi
una storia di merda averla vissuta, figurati a sentirla raccontare
di nuovo.
Sinterrompe allimprovviso per avvicinarsi alla sbarra del-
lingresso. Tutti gli altri, Barbara esclusa, fanno la stessa cosa.
Lobiettivo il ragazzo con gli occhiali, appena uscito dallu-
cio. Gli guardo le labbra, serrate ondulate sottili, come io dise-
gno i gabbiani. Ha penna e matita nel taschino, quaderno in
mano, cappellino con visiera in testa. Si avvicina al mago
biondo delle ombre, gli chiede nome e cognome e lo scrive sul
quaderno: 1) Johnny Marao. Il ragazzo con gli occhiali prende
anche gli altri nominativi e continua a numerare.

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Ciao Giulio. Nessuna risposta. Ivan riprova, Riccardo lo sa-
peva che saremmo arrivati.
Finch non lo vedo non vi posso far entrare. Giulio lo dice e
d le spalle a Ivan, si guarda intorno, Chi Caterina Salvati? La
ragazza sotto il castagno si alza e lo segue oltre la sbarra, i sandali
in mano. Johnny si lamenta, Perch lei pu entrare e noi no? Ivan
gli dice di farsi i cazzi suoi. Johnny si fa avanti, Stai calmo.
Era solo un consiglio, e comunque sto calmo quando voglio stare
calmo.
Johnny sceglie di non ribattere. Ivan gli fa un mezzo sorriso,
Bravo, hai capito, si appoggia alla nostra macchina e continua a
ssare Johnny, che invece guarda il sentiero sterrato. Alcuni, in
realt molto pochi, tre o quattro al massimo, si arrendono e se
ne vanno. La maggior parte invece aspetta.

Una luce a intermittenza lampeggia nel cilindro di plastica di


anco alla sbarra. Di giorno neppure si noterebbe. Adesso col
buio attira gli sguardi: tutti sono concentrati su quella luce per-
ch la sbarra a breve si alzer.
Vedere Riccardo che saluta con la mano attraverso il nestrino
della Croma la prova concreta che siamo tornati. Alla guida
c un ragazzo con i capelli lunghi. Riccardo scende dal sedile
posteriore e cammina verso di noi. Gli fanno spazio, lo salutano,
quelli che gi lo conoscono e quelli che lo incontrano per la
prima volta. Riccardo incrocia Barbara, appena un cenno, non
ricambiato, lui prosegue, ignora lei e chiunque altro. Ivan prova
a trattenere la commozione. Riccardo lo abbraccia e Ivan, che
pure non piccolo, da quellabbraccio sembra essere inghiottito,
tornato Il Nio. Ivan lo guarda dritto negli occhi, Ho provato,
e non ce lho fatta. Riccardo approtta di quella frase per rivol-
gersi a tutti: Cos come una volta dentro bisogna essere pronti per
andarsene, altrettanto importante essere pronti per entrare. Voi
dovete essere sicuri di volerlo e io devo essere sicuro che lo vogliate.

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Fa una lunga pausa, osserva le reazioni dei presenti, li passa
in rassegna uno alla volta. Sono zitti e fermi, lo stanno ascol-
tando con attenzione, In Collina sarete liberi, ma scoprirete una
libert diversa da quella che vi ha condannato fuori. Qui dentro,
rispettando le regole, troverete la libert del vivere in comune, del
non pensare solo a se stessi. La libert dellaltruismo contro la li-
bert dellegoismo.
Unaltra pausa, stavolta ad approttarne Barbara, La libert
di lasciare una bambina dodici ore sotto il sole.
Smettila.
Riccardo lo tranquillizza, Non ti preoccupare, Ivan. La cono-
sciamo bene la nostra Barbara... di nome e di fatto. Per stavolta
ha ragione: se mi fossi accorto della bambina, non vi avrei fatto
aspettare. Ho commesso un errore. Nessuno perfetto. Barbara sem-
bra intenzionata a raccogliere la sda, invece non dice niente
perch Riccardo mi prende in braccio e mi d un bacio sulla
guancia. Lui ha lo stesso odore buono di un anno fa e io la stessa
soggezione. Mi mette gi e dice che noi tre possiamo entrare.
Gli altri, invece, devono attendere, E se domani mattina sarete
ancora qui signicher che volete realmente entrare, che siete re-
almente pronti.
Johnny il mago delle ombre si fa avanti, Io voglio veramente
entrare, io sono pronto. Riccardo gli d un buetto, contempo-
raneamente dalla Croma arriva un colpo di clacson. lautista
con i capelli lunghi, Agostino Mel [nato il: 26/02/1958 / a:
Carpi (Mo)/ capelli: neri / occhi: verdi / altezza: 1,80 metri / segni
particolari: nessuno /cittadinanza: italiana]. Una piaga gli segna
la guancia sinistra, gli occhi mi sembrano spenti. Riccardo fa
segno di aspettare e si concentra su Johnny, una mano intorno
alla spalla, apprezza il suo atteggiamento, lo spirito giusto, ma
dovr comunque aspettare, Questa la regola.
Barbara mi dice di sbrigarmi, va avanti, io invece resto l,
guardo Riccardo, vuole risalire in macchina ma Johnny gli

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sbarra la strada, Vengo dalla comunit di Armando Pescatori. Ric-
cardo si blocca, lo invita a continuare.
Sono stato un anno e non mi servito a niente. Armando uno
con le palle mosce.
Un altro colpo di clacson, ma Riccardo ancora su Johnny,
Domani vieni in ucio dopo pranzo, per stanotte resti qua fuori
lo stesso. Johnny accetta il verdetto e si appoggia al muro. Ric-
cardo rientra nella Croma. Si avvia veloce lungo il sentiero. Poi
torna Barbara, mi aerra per il polso e mi trascina via.
Nellucio del posto di blocco per prima cosa c la perqui-
sizione. Giulio controlla anche me. Rido a crepapelle, Mi fai il
solletico cos. Ivan e Barbara lasciano fare, sapevano che sarebbe
successo, e consegnano i rispettivi documenti didentit. Vi sa-
ranno restituiti al momento delluscita denitiva. Giulio lo dice
mentre esce dallucio e con un ampio movimento del braccio
ci invita a seguirlo.
Lungo il viale dei pini le casette tutte uguali mi fanno venire il
magone. Entriamo in una macchina rotta, i maschi davanti e le
femmine dietro. Soprattutto la numero 2 mi fa venire il magone.
Quel catorcio non parte ma Giulio non si scoraggia, prova e ri-
prova, alla ne mette in moto. Abitavamo nella 2, tutti e tre, men-
tre adesso mi hanno preparata con un lungo discorso: io e Barbara
nel dormitorio femminile, Ivan in quello maschile.
Giulio guida per un chilometro, oltrepassa prefabbricati e
supera cantieri no a un capannone, lo indica a Ivan, Riccardo
ha detto che tu dormi qui. Ivan mi bacia, prova ad allontanarsi,
io non mi voglio staccare e mi esibisco in un lamento che ben
presto diventa un pianto vero e proprio. Barbara gli dice di an-
dare, Sono solo capricci, Ivan chiude lo sportello. Lo saluto con
la mano. Continuo a piangere. La macchina riparte, si allon-
tana. E Ivan sparisce.
Barbara non in vena di preamboli, mi colpisce con uno
schiao sulla guancia. Lancio un ultimo grido, per mi calmo,

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di un altro ceone faccio volentieri a meno. Per dispetto incro-
cio le braccia e mi giro dallaltra parte. Dal nestrino abbassato
mi arriva un odore che ricordo bene, stiamo passando davanti
alle stalle, cerco di guardare allinterno ma riesco solo a vedere
due o tre gabbie, le pi vicine alla porta di metallo. Nessuna
traccia di Fiocco di neve. Un minuto dopo siamo fermi davanti
a un capannone identico a quello dov entrato Ivan.
Io e Barbara scendiamo dalla macchina e intorno, anche se
buio, riconosco il luogo in cui sono nata e ho trascorso i primi
quattro anni della mia vita. La Collina casa mia, tutto ci che
c l dentro mio. Barbara mi ha preso a schia e Ivan non
con me... altrimenti sarebbe perfetto.

Dentro non vedo quasi niente, solo qualche letto a castello male
illuminato da piccoli neon. Sono posizionati in vari punti del
dormitorio per fare orientare chi nella notte deve andare in
bagno (di notte puoi alzarti solo per andare in bagno). Sotto-
fondo di respiri pesanti. Qualcuna russa piano, altre pi forte,
c chi parla nel sonno. Indietreggio lentamente, senza voltarmi
muovo la mano, vado a vuoto, Barbara non la trovo, non an-
cora entrata, immobile sulla soglia del capannone scruta
lesterno. Forse ha notato qualcosa che a me sfugge, mi sembra
che nel punto che sta ssando non ci sia niente. un punto
imprecisato oltre il piazzale del dormitorio, quasi del tutto buio
e completamente deserto.

Lo stesso piazzale lindomani mattina, poco dopo le sette,


unesplosione di luce e suoni. Stavolta sono io che lo sso, in-
cantata dal risveglio della Collina. Le ragazze mi passano di
anco, sembra che nessuna sia di cattivo umore, una di loro si
accorge di me, mi fa una carezza, La sintesi perfetta dei genitori:
stessi colori scuri e stessi lineamenti, ma pi dimpatto. Mi hanno
fatto un complimento, sono contenta, e sorridendo le guardo

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avanzare: vanno a fare colazione in mensa, dove ci saranno
anche i ragazzi del dormitorio maschile; dopo mangiato ognuno
raggiunger il proprio settore e lavorer no a mezzogiorno;
unora di pausa pranzo e a lavoro per il secondo turno, che -
nisce alle diciannove; quindi la cena, poi tutti in sala cinema a
guardare le repliche estive di Uccelli di rovo o della Piovra (si
tira a sorte), no alle ventitr. Poi si va a dormire.

Rimasta sola nel capannone, Barbara si agita sul letto, tra spasmi
e urla. La scimmia le sta mangiando il cervello sotto i miei
occhi. La guardo e non mi godo la vendetta perch ancora non
so di preciso cosa le stia capitando. Barbara vuole vomitare,
prova ad alzarsi, le gambe labbandonano, si lascia cadere sul
letto, sooca un conato dopo laltro, si mette seduta sul copri-
letto sudato, spalle al muro respira forte, un altro conato, prova
di nuovo a rialzarsi, sembra decisa a fare qualcosa e nello stesso
tempo sembra non sapere che cosa, ansima, chiude gli occhi,
sente un rumore di passi, riapre gli occhi, rianimata da un po
di speranza, due ragazzi adagiano sul letto a castello di anco
al suo una coetanea priva di conoscenza.
Daniele, dammi qualcosa.
Mi dispiace Barbara.
La tentazione di uscire forte, provo a resistere, alla ne resto
ma evito Barbara. Mi concentro sulla ragazza svenuta. Daniele
le passa due dita tra i capelli biondi, francese, si chiama Fa-
bienne... Hai visto com bella? Barbara risponde con un lo di
voce, Io sto male, poi nalmente vomita di anco al letto. Da-
niele prova a mettersi in salvo ma troppo tardi: le scarpe si
sono gi sporcate.
Per calmarmi devo camminare, cammino, incrocio i ragazzi
in uscita dalla mensa e diretti nei rispettivi reparti. I nuovi ar-
rivati che non sono ancora in grado di lavorare invece passeg-
giano con gli animatori, ragazzi pi grandi che li sorvegliano

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ventiquattrore su ventiquattro. Cantano in cerchio, seduti in-
torno a una chitarra, sul bordo della piscina scoperta. Riccardo
insieme a uno di quei gruppetti. Incoraggia e consiglia, d in-
dicazioni e abbraccia. Quando passo di l mi vede e gli faccio
ciao con la mano. Grande e grosso com mi sembra fatto apposta
per essere abbracciato. Mi sorride, batte un dito sullorologio. Lo
so che sono in ritardo. Lasilo il nostro lavoro e anche noi dob-
biamo essere puntuali. E poi voglio arrivare presto per vedere
com diventato, prima di partire mi piaceva, sono curiosa di sa-
pere chi rimasto.
Entro, mi guardo intorno, non riconosco nessuno.
Venticinque bambini, tra i due e i cinque anni. Io sono la pi
grande credo, ne ho cinque e mezzo (mi tocca lultimo anno
dasilo prima diniziare la scuola, fuori). Mi muovo confusa,
ununica sala, le pareti con sopra i disegni attaccati con lo scotch,
soprattutto ritratti di Riccardo. Il sotto azzurro cielo, sul
piccolo tavolo c uno stereo a batterie, suona motivetti e can-
zoncine tutte uguali. I bambini pi piccoli sono disposti in due
le da sei su vasetti di tutti i colori. A gestire la situazione una
maestra giovane e una maestra esperta, due ragazze della comu-
nit. (I ruoli non sono mai ricoperti da esterni).
La maestra esperta cerca di convincere i bambini piccoli a
restare sui vasetti nonostante le proteste, dicono di non averne
bisogno, non la devono fare la cacca. Lei insiste, li sprona, Do-
vete dimostrare forza di volont.
La maestra pi giovane invita noi pi grandi a cantare con
lei una canzone appena partita dallo stereo. Non la conosco, mi
annoio ma non sono la sola, il bambino di anco del mio
stesso e identico umore.
Tu come ti chiami?
Gennaro.
Io sono Valentina, la glia di Ivan.
Gennaro non dice una parola, non parlo neanchio, il risul-

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tato che siamo gli unici a non fare niente. Gli altri bambini
invece cantano, giocano e si muovono sui loro vasetti come se
fossero girelli.
E avanti cos no al termine della giornata, quando nessuno
viene a prenderci perch non ce n bisogno (in Collina non ci
sono pericoli e conosciamo la strada), sia chi torna alle casette
sia chi va, come me, al dormitorio femminile, dove trovo uno
scenario pi o meno sempre uguale per due settimane, a ogni
ritorno dallasilo.
Poi Barbara inizier a sentirsi un po meglio e con la ne dei
dolori e il ritorno alla normalit ricominceranno anche certe
abitudini, prima fra tutte lo straziante spazzolamento dei ca-
pelli, ne facevo volentieri a meno. Quando Barbara spazzola mi
fa rimpiangere i giorni in cui non riusciva neppure ad alzarsi
dal letto. Colpisco la mano che regge la spazzola, Mi fai male,
lei mi ordina di star ferma e ricomincia, poi si volta.
Hai bisogno di qualcosa, Fabienne?
Un po di eroina, sil est possible.
Barbara sorride per un momento, poi Fabienne urla e si
stringe il ventre con entrambe le mani. Allora Barbara smette
di spazzolare ma non interviene. La crisi durer una trentina di
secondi. Pu solo accertarsi che lattacco non abbia conse-
guenze, perdita di conoscenza o crisi respiratoria. Il dolore in-
vece passa, Fabienne sta meglio, riesce anche a parlare, Non ho
bisogno solo di hrone. Ho bisogno di mdicaments. Io prendevo
trenta Roipnol a giornata. Cest normal che se togli tutti insieme
svengo. Enculs! Quando esco chiamo la polizia. Io ero qui solo per
dire ciao al mio amico. Questo sequestro di persona.
Lo sfogo interrotto da un attacco pi feroce del precedente.
Fabienne si indica la gola. Barbara capisce, riempie un bicchiere
dacqua, laiuta a bere, lascia il rubinetto aperto, vado imme-
diatamente a chiuderlo, Riccardo dice che non dobbiamo consu-
mare acqua, preziosa per costruire La Collina. Fabienne

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allontana il bicchiere, Riccardo un ciccione di merda. A Barbara
viene da ridere ma si accerta che nessuno abbia sentito. Poi si
stringe nelle spalle, Chi se ne frega, daltra parte si saprebbe pre-
sto. Si distratta, inlo di fretta i miei pantacollant preferiti,
quelli neri, ne approtto per scappare. Barbara non mi ri-
chiama, o non la sento, sono gi nel piazzale, dove incrocio Da-
niele, che entra nel dormitorio con il camice bianco.
Fabienne la prima a vederlo, Et voil le docteur Strangelove.
Mi mancano ancora quattro esami.
Barbara si volta verso di lui, Pensa te come stiam messi.
Daniele si avvicina a Fabienne per misurare la pressione, lei
aerra lo strumento e lo butta per terra, Cazzo me ne faccio di
questo? Come di vostra merda homopathiques non me ne faccio
un cazzo, voglio i miei mdicaments, porca Eva. Daniele raccoglie
lo strumento con aria professionale tradita da un eccesso di ti-
midezza, Lo facciamo per te, vedi che gi stai meglio?
Mieux? Un cazzo meglio. Non posso vomitare perch... je ne
peux pas manger... e senza mangiare non si pu vomitare... Va te
faire foutre!
Barbara e Fabienne restano di nuovo da sole:
Gli hai fatto paura.
Il est con.
Credo che gli piaci.
un coglione, ma carino.
Barbara si dice daccordo, Non male, mentre Fabienne con-
tinua a girarsi e rigirarsi nel letto. Cerca la posizione giusta per
alleviare i dolori.

Durante i quindici giorni di convivenza forzata, Barbara ha sa-


puto che Fabienne Dutronc [nata il: 01/03/1963 / a: Toulouse /
capelli: biondi / occhi: azzurri / altezza: 1,72 / segni particolari:
nessuno / cittadinanza: francese] era scappata di casa due anni
prima, senza dare notizie per alcune settimane, no a quando,

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ormai lontana, non aveva telefonato ai genitori per rassicurarli.
Il padre, dopo aver ascoltato le ragioni della glia, provando a
mascherare la rabbia aveva detto che poteva anche non tornare:
loro non lavrebbero cercata.
Fabienne aveva iniziato un giro per lEuropa con pochi soldi
in tasca, spostandosi in autostop o su vagoni merce in cui sin-
lava di nascosto, di notte, senza sapere dove fossero diretti.
Quando si svegliava, se era gi spuntato il sole scendeva alla
prima fermata e leggeva il cartello della stazione. Quindi cercava
un lavoro, qualunque cosa, per mantenersi durante la sosta sem-
pre breve, mai pi di una settimana. A star ferma proprio non
era capace. Aveva diciannove anni.
Durante uno spostamento che lavrebbe portata ad Am-
burgo, aveva conosciuto un ragazzo italiano, un ragazzo molto
dolce che, quando avevano fatto lamore la prima volta, nel
parco pubblico di Altona, quasi deserto dopo il tramonto, aveva
provato a chiederle in un francese improbabile se lei lavesse
mai fatto. Fabienne aveva sorriso, laveva baciato sulla bocca,
gli aveva tolto i jeans e laveva fatto stendere sulla panchina. Si
era messa su di lui, aveva sollevato la gonna e scostato le mu-
tandine, poi aveva chiuso gli occhi. Ma prima di iniziare a muo-
versi li aveva riaperti. Avevano gi nito.
Pian piano le cose erano migliorate: lui aveva imparato come
si fa, lei aveva imparato qualche parola ditaliano.
Si erano trasferiti a Roma, nel quartiere Laurentino, dove il
ragazzo abitava con i genitori.
Fabienne dopo un mese lo aveva lasciato ed era andata a vi-
vere al Quarticciolo con un simpatizzante brigatista. Era durata
ancora meno.
Cos Fabienne si era spostata a Napoli e l aveva conosciuto
un giovane laureando in farmacia (appassionato di miscugli che
lui chiamava combinazioni chimiche) con il quale aveva ini-
ziato ad assumere farmaci di ogni tipo, che quello preparava

27
amorevolmente apposta per lei.
Con leroina, invece, era cominciata a Genova, dove si era
imbattuta nella commessa di un negozio di scarpe, mora, bellis-
sima. Giocavano di notte, a serrande del negozio abbassate, con
un aspirante cantautore che, si dicevano Fabienne e la commessa,
era molto pi bravo a fare lamore che a suonare la chitarra.
Leroina aveva modicato giochi e negozio, trasformato in
una specie di cabina in cui si facevano tutti e tre insieme, no
a quando il ragazzo non aveva detto basta.

Era lui lamico che Fabienne voleva salutare, durante lincontro


mensile con lesterno, il giorno in cui era stata trattenuta.
Giulio aveva controllato sul registro il nome e il cognome
del ragazzo e aveva risposto che quel nominativo non risultava.
Poi aveva alzato gli occhi, notando che Fabienne, per tenersi in
piedi, si reggeva al tavolo. Laveva scrutata per qualche secondo
e quando lei, provando ad allontanarsi dallucio, per poco
non era caduta, Giulio aveva fatto un segno impercettibile.
Diverse mani lavevano aerrata.
In infermeria avevano riferito a Daniele che bisognava trat-
tenerla, stava male, era in stato confusionale per consumo re-
cente di eroina. Daniele le aveva detto con dolcezza, in francese,
di non preoccuparsi. E le aveva somministrato un calmante.
Fabienne si era svegliata nel dormitorio femminile e per
prima cosa aveva visto un centinaio di ragazze rifare i letti si-
stemando le lenzuola al millimetro. Poi aveva sentito una voce
maschile ordinare di tenerla ancora l, sotto osservazione. Da-
niele aveva risposto allistante, Va bene Riccardo.
Al primo attacco Fabienne, mai in astinenza prima di allora,
aveva chiesto aiuto alla vicina di letto, Barbara, che in quel mo-
mento stava male quanto lei e non poteva fare nulla. Avrebbe
dovuto abituarsi a quella merda, le aveva detto.
Due settimane dopo, mentre Fabienne era ancora in condi-

28
zioni pessime, a Barbara avevano comunicato che era pronta
per lavorare.
Lei aveva accolto la notizia con gioia. Quella novit sarebbe
stata un antidoto contro la noia. E poi non le poteva andare
meglio, era stata collocata nel settore Fotolitograa.

Il primo incontro nel reparto Lorenzo Savina [nato il:


14/10/1965 / a: Settimo Torinese / capelli: neri / occhi: neri / al-
tezza: 1,79 / segni particolari: nessuno / cittadinanza: italiana],
il responsabile del settore.
Lorenzo e Barbara si stringono la mano nella sala dingresso
comunicante con la camera oscura tramite una porta massiccia.
Sopra, una lampadina rossa. Lorenzo ha lespressione seria e i
modi gentili... In fotolito il lavoro sar graticante perch crea-
tivo... Barbara lo guarda negli occhi, si distrae, pensa di ricono-
scere in quegli occhi qualcosa di proprio... Lavoriamo per alcune
case editrici, anche per quella dei miei genitori... Barbara non sa
bene cosa, si sforza di capire... Agenzie di viaggi e studi graci...
anche una grande azienda di Venezia ha notato la qualit... il tuo
lavoro consister nel cambiare colori, inserire scritte e trasportare
tutto su pellicola... fotomontaggi per campagne pubblicitarie...
quando devo descrivere un colore, ormai mi viene da dire 60% di
giallo, 35% di magenta, 5% di nero...
A te piace stare qui?
Come ti ho gi detto, il lavoro creativo.
Non dicevo alla fotolito.
Lorenzo costretto a rispondere:
No, non mi piace.
Hai gli?
No.
Ti obbligano i tuoi genitori?
Non pi.
Allora perch non te ne vai?

29
Lorenzo studia il viso di Barbara, cerca un dettaglio che gli
faccia dire la verit. Osserva gli angoli degli occhi e della bocca,
il naso, le guance scavate, ancora provate dal digiuno dellasti-
nenza... Alla ne indica la porta della camera oscura, Se la lam-
padina rossa accesa, signica che qualcuno sta sviluppando le
fotograe: in quel caso assolutamente vietato entrare, perch tutto
il lavoro andrebbe perso.
Lorenzo apre la porta e fa per entrare. Si ferma. Barbara non
lo ha seguito. Si guardano in silenzio. Passa qualche secondo...
Sentono bussare, si voltano. La mia maestra pi giovane sta sulla
soglia e dice di scusarla per... non sa come dire... ha qualcosa
dimportante da comunicare. Balbetta qualche parola a proposito
della bambina, non si spiega bene. Barbara si preoccupa, la scuote,
vuole sapere che mi succede. La maestra continua a non trovare
le parole. Barbara sinfuria, Lorenzo prova a calmarla, lei esce lo
stesso dalla fotolito e si precipita allasilo, dove mi trova che non
sto esattamente piangendo ma ho gli occhi pieni di lacrime.

I miei pantacollant. Allimprovviso la maestra giovane aveva s-


sato con grande perplessit i miei pantacollant. Che ho fatto? La
maestra non aveva risposto, sembrava che un dubbio le si stesse
ingrossando nel cervello e presto sarebbe scoppiato se non avesse
chiamato la maestra pi esperta, che si era posizionata di fronte
a me e aveva guardato quei pantacollant nello stesso modo della
collega. Io ero pi preoccupata di prima, Che cosa ho fatto? Le
due maestre si erano consultate e avevano deciso di convocare
Barbara, che adesso pretende di sapere perch sua glia stia pian-
gendo. la maestra pi esperta a chiarire.
La bambina non pu... diciamo cos... vestirsi in quel
modo.
In quale modo?
Non pu vestirsi con i pantaloni cos attillati.
Io continuo a non capire, Barbara invece comincia a realizzare.

30
Ha cinque anni e mezzo la bambina.
Allasilo siamo solo ragazze, ma fuori non pu andare in
giro cos. Ti vorrei ricordare che gli animatori non fanno sesso
da anni. E lo sai quanto siano importanti per la comunit.
Tu sei pazza.
Riccardo dice...
Che cazzo me ne frega a me di cosa dice Riccardo.
Barbara mi porta fuori dallasilo, mi tiene per mano, non
una parola lungo il tragitto, mi accompagna nel dormitorio.
L c Fabienne che guarda il sotto, pi calma rispetto a
unora prima. Barbara si accerta che non le manchi nulla, io le
tiro la manica e le chiedo se devo cambiarmi, Non ci pensare
neanche, e fa per tornare a lavoro, ma prima si volta verso Fa-
bienne, Perch stasera non vieni a cena con noi? Fabienne dice
no, poi prova ad alzarsi. Ce la fa, allora cambia idea, Essere
chiusa qua dentro est insupportable. Barbara contenta, glielo
dice, e le raccomanda di presentarsi alle sette in punto, Senn
non ti fanno entrare.

Sembra di stare nella cucina di un grande ristorante: disposte


su diversi fornelli, pentole e padelle sono riempite, stessi ingre-
dienti, da cinque ragazzi della comunit, i cuochi. Uno di loro
nisce di aettare una cipolla, controlla attentamente di non
essere visto, inla il coltello nella cintola dei pantaloni, lo rico-
pre con il grembiule e inizia a passare piatti di pasta con sugo
semplice a una ragazza che li appoggia sul carrello portavivande
e li trasporta nella sala adibita a mensa.
Pi di trecento ragazzi sono seduti a tavole in legno da dieci
posti, apparecchiate con fazzoletti di carta, bicchieri e posate di
plastica, cestini col pane gi aettato e bottiglie dacqua natu-
rale. Niente alcolici, tranne una bottiglia di vino sul tavolo in
fondo, quello vicino al palchetto con un subwoofer in bella vista
e il microfono collegato da un lunghissimo cavo nero.

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Bambini e adulti siedono vicini. Gennaro di anco a me e
lancia occhiate fugaci. Mi volto allimprovviso, Perch mi
guardi? Lui si fa rosso e corre a sedersi tra sua madre e suo padre,
io dico con la faccia che gli uomini sono stupidi e infantili e mi
giro dallaltra parte. Fabienne sta ascoltando Barbara, che parla
gi da un po di tempo, Anchio la prima volta ci sono arrivata
svenuta. Non sapevo dove fossi. E appena sveglia ancora non me
ne rendevo conto. Ero in tutte le stanze in cui ho dormito in vita
mia ma non in quel capannone. Poi la mente al capannone si
abituata, e dopo pure il corpo...
Ivan e un suo amico con i ba da moschettiere si fermano
davanti alle ragazze, Volete avere lonore di cenare al sicuro, pro-
tette da infallibili guardie del corpo?
Non farci caso, sono due imbecilli. Purtroppo li conosco bene,
soprattutto quello con i capelli ricci, dice Barbara indicando
Ivan.
Ma lo sai che il signore qui di anco a me specializzato in ritratti
dellanima? Legge nel pensiero. E quello che legge lo mette sulla tela.
Altrimenti non lo chiamerebbero Pittore.
A Barbara sfugge un sorriso involontario ma lo ritira appena
si accorge che Ivan la guarda soddisfatto per averglielo strappato.
Pittore nel frattempo tenta con Fabienne un baciamano goo e
improbabile. Seduto poco distante anche Daniele prova ad atti-
rare lattenzione di Fabienne, ma lei lo ignora completamente.
Da un altro tavolo Lorenzo guarda in direzione del nostro. Bar-
bara se ne accorge, lo saluta. Lui ricambia con un cenno, poi os-
serva Ivan sedersi di anco a lei, nonostante le sue proteste
(deboli, in verit). proprio su Ivan che mi lancio io, e lui mi
solleva orgoglioso e mi mostra agli altri, Sono riuscito a fare una
glia pi bella di me. In quel momento passa la ragazza con il car-
rello, Intero o mezza porzione? Torno subito al mio posto e mi ri-
metto a sedere, Intero... Intero!

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Stanno mangiando tutti tranne Fabienne, che ancora non ce la
fa, quando Johnny il mago delle ombre si mette in piedi, Ciao
Riccardo. Anche gli altri fanno a gara nel salutarlo. Un ragazzo
basso e grassoccio (indossa una felpa con su scritto il suo nome:
T*I*T*O) gli va incontro e Riccardo lo liquida con una pacca
sulla spalla, continuando ad avanzare, Agostino e Giulio di
anco, no al suo tavolo, lunico con il vino. Riccardo riempie
un bicchiere, lo vuota con un sorso, accende la cassa e batte due
colpi sul microfono. Echeggiano in tutta la sala.
Fabienne vede un centinaio di ragazzi voltarsi in direzione
di quel suono, poi la voce di Riccardo, Si vericato un episodio
di una gravit inaudita.
Il cuoco che ha rubato il coltello, fermo sulla soglia della cu-
cina, fa due passi indietro.
Una ragazza scappata. E non siamo riusciti a recuperarla.
Il cuoco si ferma, ma il suo volto ancora pallido.
Quando da qui si esce male, senza essere ancora pronti, il co-
pione sempre lo stesso.
Quasi tutti i ragazzi abbassano lo sguardo.
I vostri genitori mi hanno dato ducia anch io impedisca il
ripetersi di questo copione. Anch io vi tenga lontani dalle piazze,
lontani dalla morte.
Barbara di nascosto fa un gesto, Ma vai a cagare, mentre Fa-
bienne si alza in piedi, Mes parents ne vous demande pas quoi que
ce soit.
I ragazzi sono sbalorditi: come fa a non sapere che vietato
interrompere Riccardo? Una regola, la pi semplice. Ma Ric-
cardo semplicemente invita Fabienne a tradurre, I miei genitori
sono in Francia e non sanno che esiste questo posto. Io sono citta-
dina francese...
Nessuno perfetto.
Fabienne cerca di ribattere ma la sua voce ricoperta dalle
risate dei ragazzi e da altre parole di Riccardo, amplicate dal

33
microfono, Il tribunale mi ha riconosciuto il diritto di trattenervi
anche se siete maggiorenni, a meno che i vostri genitori non rmino
una richiesta per farvi uscire.
Barbara lunica a sapere (oltre a Riccardo, evidentemente)
che i genitori di Fabienne non andranno mai a reclamarla. Al-
lora le stringe il braccio e la invita a calmarsi, a sedersi, se insiste
solo peggio, ne parleranno dopo. Ma Fabienne non ha inten-
zione di restare, esce dalla mensa e si lascia alle spalle un mor-
morio indistinto, i commenti degli altri. Barbara le va dietro,
si libera dalla presa di Ivan. Riccardo le segue con lo sguardo, si
stringe nelle spalle e quando ormai sono fuori ricomincia come
se non fosse successo niente, Mi stato adato un compito
arduo, impossibile da assolvere da solo, perch io sono uno e voi
siete tanti. Per questo motivo esiste un gruppo addetto a riportarvi
indietro se assecondate il vostro desiderio di andare incontro alla
morte. I ragazzi di questo gruppo dovrebbero essere i vostri angeli.
Ebbene, fornendo prova dimperdonabile incapacit, la notte scorsa
sono caduti.
Riccardo si interrompe, si avvicina al nostro tavolo, guarda
Ivan, ricomincia, Quando in gioco ci sono la vita e la morte, non
sono ammessi errori.
Ivan lo ssa. Per lui in quella sala non c pi nessuno. Con-
tano solo le parole di Riccardo.

I primi giorni dopo il nostro ritorno, quando Barbara non riu-


sciva ancora ad alzarsi dal letto, Ivan stava quasi altrettanto male
ma voleva a ogni costo ricominciare a lavorare, con il pensiero
sso di riprendersi il posto da caposettore delle stalle e respon-
sabile del gruppo di recupero. Ivan sapeva di essere in scimmia,
di non essere forte come un tempo, ma limportante era non
lasciar trasparire nulla.
La mattina dellottavo giorno uscito dal dormitorio con
laria riposata anche se in realt non aveva chiuso occhio.

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Si avvicinato alle stalle, forza di volont, come se la scimmia
fosse morta o almeno stesse sonnecchiando. Ha raggiunto il suo
gruppo. Ne facevano parte Paride da Piacenza (pochi denti
sparsi), Carmelo (di bellaspetto, con i capelli lunghi e ondu-
lati), Ciacione (grasso, la faccia simpatica) e Tito (la solita ma-
glietta con le iniziali del suo nome). stato proprio Tito ad
accorgersi per primo di Ivan e appena lha visto ha preso la rin-
corsa, ha caricato col piede come un toro, ha iniziato a correre
sollevando la polvere dal terreno e gli saltato addosso. Ivan
nito a terra, braccia a croce. Ha sentito male alla schiena, gli
altri ridevano, lui non troppo.
Rimettiamo insieme il vecchio gruppo: siamo in missione per
conto di Dio. Ivan si voltato verso quella voce impostata, Pit-
tore, vieni qua, fatti abbracciare. Pittore ha teso la mano destra,
Ivan ha sorriso, Giusto, ha nto di stringergli la mano e invece
gli ha cinto la vita, lo ha sollevato e poi lo ha messo gi. se-
guita una spinta di Pittore, subito restituita, poi si sono battuti
reciprocamente le mani sulle spalle, sempre pi forte...
Bisogna spalare la merda.
Lunico a non divertirsi era Veleno, il nuovo capo del gruppo.
Dopo aver pronunciato la sua frase di bentornato, ha passato
una vanga malandata a Ivan. Lui gli ha rivolto un sorriso di
presa per il culo. Nel frattempo Pittore cantava:

La zappa, il tridente, il rastrello, la forca,


Laratro, il falcetto, il crivello, la vanga,
E la terra che spesso tinfanga

Veleno non ha capito la canzone e si innervosito ancora di


pi, col braccio teso a reggere lattrezzo che poi Ivan ha preso
svogliatamente in consegna, una concessione. Pittore gli pas-
sato di anco e ha indicato Veleno, Fatti passare la scimmia che
a questo ce lo togliamo subito dai coglioni. Ivan lo ha guardato,

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Gi mi passata la scimmia, e ha cominciato a lavorare con tutta
la forza che aveva. Pi sentiva male e pi lavorava, spalava e sca-
vava, senza sosta.
A sera, quando il gruppo si trasferito a mensa per la cena,
Pittore ha lasciato la falce per terra e ha iniziato a far rientrare
le pecore nel recinto. Ivan lo ha fermato e gli ha detto di andare
anche lui a mangiare, Me ne occupo io.

La pecora non morta subito, le reazioni nervose scuotevano il


corpo e ne prolungavano lagonia. Ivan lha guardata, ha visto
il sangue nero sullerba, ha osservato la falce, la bestia agoniz-
zante, e ha colpito ancora, pi volte, pi forte di prima. Altro
sangue gli ha sporcato pantaloni e scarpe. Ivan ha ssato la pe-
cora, nalmente era morta. Si guardato intorno, allimprov-
viso terrorizzato, come se soltanto in quel momento avesse
realizzato. Poi, un rumore di passi.
Fa che non sia Veleno, fa che non sia Veleno, fa che non sia Ve-
leno, e quando ha riaperto gli occhi, Ivan si trovato davanti
un ragazzo mai visto prima. In quel momento ha lasciato cadere
la falce.
Non volevo farlo. Non so perch lho fatto.
Non devi aver paura, compagno.
Non sono un compagno.
Me ne occupo io.
Perch?
Perch dobbiamo restare uniti.
Il ragazzo ha aerrato la pecora per le zampe e lha trascinata
dietro le stalle, una scia di sangue sullerba.

Ivan ha corso per due chilometri, no al viale dei pini. Senza far
rumore ha raggiunto la casetta numero 7. Un respiro profondo.
Ha bussato. Nessuna risposta. Ha iniziato ad agitarsi. Era con-
fuso. Ha abbassato la maniglia. La porta si aperta. Non se

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laspettava. Ha trattenuto il ato. Si fatto avanti. Un lamento
prolungato, dal bagno, si spezzato allimprovviso. La voce di
Riccardo ha risuonato dolcemente, Stai tranquillo, adesso passa.
Lacqua ha scrosciato nel lavandino. Ivan ha fatto un passo in-
dietro ma era troppo tardi per andar via: anche se passato oltre,
Agostino ormai lo aveva visto. Subito dopo dal bagno uscito
anche Riccardo. Con la mano destra reggeva una siringa, Ivan
non ha creduto ai suoi occhi, poi si accorto della ala di mor-
na nella mano sinistra. Ha riconosciuto letichetta.
Si sono guardati. Ivan ha provato a scusarsi, Riccardo lo ha
interrotto, Ormai i dolori sono insopportabili, non ce la faccio pi
a vederlo cos, ha buttato ala e siringa in una busta di plastica,
Dimmi perch sei venuto.
La situazione aveva tolto a Ivan la lucidit necessaria. In qual-
che modo lha riaerrata, Ho ammazzato una pecora, lo ha con-
fessato tutto dun ato. Riccardo lo ha guardato senza
commentare e lui, tra limbarazzo e la paura, ha continuato, Ho
provato a farla rientrare nel recinto ma non ne voleva sapere. Ci te-
nevo a dirtelo di persona. Mi dispiace, non so perch lho fatto, ma
non volevo fartelo sapere da qualcun altro.
Riccardo ha sorriso e lo ha guardato intensamente, Quando
ti ho visto la prima volta eri debole, come lo sei adesso, ma gi ti
brillava una luce negli occhi. Ho visto quello che vedo nei miei
quando mi guardo allo specchio: la voglia di fare grandi cose. Te
ne sei andato e hai vanicato le vittorie che avevi ottenuto, sia su
te stesso che sugli altri. Ora non posso fare niente per aiutarti, la
ducia dei tuoi devi riconquistarla da solo. In qualunque modo
va bene, non ti fermer. E sono sicuro che non avrai problemi. Ivan
ha annuito, Riccardo ha concluso, Adesso vai. Vai a dormire.
Ivan ha scosso il capo, E chi ci riesce, a dormire, con la scimmia
che mi ritrovo. Riccardo gli ha dato uno schiao dietro la nuca.
Ivan si lamentato. Riccardo ha sorriso, Ma come, il Nio di
San Babila che si fa male per uno schiaetto?

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Ivan lo aveva sentito dire, Agostino aveva la malattia... ma erano
voci... La Collina si regge sulle voci, dunque sulla reputazione...
Ivan tornava in dormitorio, sapeva di dover aspettare... Tutto si
basa sulle scelte, giuste o sbagliate... Al primo errore la colpa si
sarebbe scagliata addosso a Veleno senza piet... La precisione,
la capacit di cogliere le occasioni... la prima cazzata che far Ve-
leno... Perch in Collina, lo sanno tutti, chi sbaglia paga.

E per Veleno il conto, peraltro molto salato, arrivato una set-


timana dopo, quando ha infranto con un grido il silenzio not-
turno del capannone maschile, scappato uno. Svegliatevi!
Ha buttato gi dal letto Ciacione, Carmelo e Paride. Si sono
vestiti in fretta e precipitati fuori dal dormitorio. Ivan e Pittore
di fretta non ne avevano aatto. Si sono preparati con grande
calma e hanno svegliato Tito, che si stropicciato gli occhi, an-
cora assonnato, Lo prendiamo, Ivan, lo prendiamo.
Invece non lo avevano preso. E Riccardo a mensa ha detto,
Ho bisogno di persone che non sbagliano mai.

Veleno manda Ivan a prendere il pane e cioccolata, la merenda


per il gruppo. Lui obbedisce, va e torna. Il capo ha diritto a essere
servito per primo. Ivan non lo guarda neppure, Veleno gli va
contro ma allontanato con una spinta.
Ivan fa per passare il panino a Paride, Sei con me? Paride si
volta per un momento verso Veleno, poi torna a Ivan, prende il
panino e lo scarta. Veleno ringhia, Tammazzo, Ivan neppure si
volta, lo allontana con unaltra spinta. Veleno gli centra la pancia
con una testata, lo butta gi. Sono tutti e due per terra, provano
a colpirsi, vanno a vuoto. Il primo pugno lo mette a segno Ivan,
lo zigomo destro di Veleno, che per gli restituisce il pugno, la
tempia sinistra di Ivan. Pittore sta per intervenire. Fermo! Non
sono cazzi tuoi. Ivan si prende un altro pugno da Veleno, stavolta
sul mento, non si lascia stordire, si solleva sulla schiena, sferra

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un calcio. La suola della scarpa colpisce Veleno sul naso. San-
guina, non pi lucido, prova ad alzarsi, cade, si regge il naso
con le mani. Ivan si mette in piedi, si toglie lerba dai vestiti, di
nuovo calmo raccoglie i panini, nel frattempo erano caduti. Ne
porge uno a Ciacione, lo guarda negli occhi. Ciacione subito
annuisce. Lo stesso fa Carmelo. Tito mangia il panino in due
morsi. Lultimo tocca a Pittore, a lui non c bisogno di chiedere.
Veleno ancora per terra. Si lamenta e si tocca il naso, le
mani sporche di sangue. Ivan si piega sulle ginocchia, Prendilo,
gli porge il panino, mangialo. Veleno lo prende e glielo tira in
faccia, prova a colpirlo ancora ma Ivan pi veloce, gli aerra
le narici con le dita. Veleno urla, il naso era gi rotto. Il gruppo
osserva in silenzio. Ivan butta Veleno di nuovo per terra e lo
guarda dallalto in basso, Per oggi puoi andare, ti do mezza gior-
nata di ferie. Veleno emette un gemito, si lamenta pi forte di
prima, se ne va. Il dolore vince la rabbia. Gli altri lo guardano
andar via, Ivan richiama la loro attenzione, il naso di Veleno
guarir, E non era neppure cos bello prima di rompersi. Adesso
devono pensare a cose pi importanti, devono mantenere alta
la concentrazione, non possono pi sbagliare. Loro sono dav-
vero Gli angeli della Collina, come dice Riccardo, e hanno il
compito pi delicato, riportare indietro chi scappa, con ogni
mezzo. Ivan guarda i suoi e capisce che sa come motivarli. Sono
tutti dalla sua parte e non lo deluderanno. Allora conclude, Io
stesso vorrei essere ripreso, se provassi a scappare in un momento di
debolezza. a questo che dobbiamo pensare, sempre e soltanto a
questo.

39
Siamo fatti di sapone

La mia squadra siamo Gennaro e io, il tesoro da cacciare, lam-


bita posta in palio, il pupazzo Uan, una copia in misura ri-
dotta (nessuno lha mai visto) dellunico e originale, quello del
programma che ci concedono di guardare in sala cinema. Dalle
quattro alle sei del pomeriggio su Italia 1, cartoni animati a raf-
ca. I bambini capaci di leggere dicono il titolo della puntata,
Il titolo, il titolo!, gridiamo, e ogni volta che non fanno in
tempo lo inventano pur di non sentire nelle orecchie le nostre
vocine, e ci invitano ad abbassarle quando il cartone nisce e si
torna nello studio televisivo. Allora tutti a pendere dalle labbra
dei due presentatori, bionda con gli occhi azzurri, lei, mamma
e sbarazzina, sempre col sorriso; lui simpatico e pacioso, dolce,
buo e impacciato, rimproverato da una voce che viene dal-
lalto, chiss da dove. Alla voce lui chiede scusa prima di lanciare
un altro cartone, e alla ne del cartone di nuovo in studio, e
torna la voce, le scuse, un altro cartone e cos via, Il titolo, il
titolo!, e poi il nostro tanto ricercato e mai trovato Uan tra bat-
tute irresistibili, prese in giro e pubblicit. I jingle imparati a
memoria.
Oltre alla mia squadra, alla caccia al tesoro partecipano altre
sette squadre da due, quattordici bambini che sto imparando a
conoscere. Non ho ancora legato. Molti sono nati in Collina e
non li hanno portati via sul pi bello, com successo a me.
Sono aatati, gruppi gi formati e compatti, dicile inserirsi

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in poche settimane. Sto quasi sempre con Gennaro, anche lui
arrivato da poco, un anno fa, aveva la leucemia linfoblastica e i
genitori erano sul punto di arrendersi. Allora lavevano conse-
gnato nelle mani di Riccardo, tutti dicono labbia guarito a forza
di verze, broccoli, rape e rucola coltivati in Collina, verdure
piene zeppe di sulforafano, secondo Riccardo molto pi ecace
delle cure uciali, che comunque non erano state interrotte, e
Gennaro piano piano era migliorato, e poi era guarito. I genitori
avevano ottenuto la pensione anticipata, si erano trasferiti in
Collina e adesso versano quella pensione alla comunit (i soldi
non servono se vivi qui), gli unici ospiti a non aver toccato non
dico una siringa ma neppure una canna in tutta la vita, sempre
perfetti ed esemplari, soprattutto il padre, in prima la durante
la messa della domenica mattina. Ci andiamo anche noi bam-
bini, annoiati ma comunque meno della maggior parte degli
adulti, Riccardo compreso. Resistiamo in attesa dellevento po-
meridiano, la caccia in programma ogni prima domenica del
mese, con tutte le squadre convinte di farcela.
I secondi sono i primi degli ultimi, Ivan me lo dice sempre,
a lui lo dice sempre Riccardo, io lo dico a Gennaro, bisogna
fare attenzione, studiare la mappa con disegno e indicazioni,
concentratissimi, sempre sul chi va l, che La Collina stermi-
nata. Ci vuole accortezza per non cascare nei falsi indizi e nei
depistaggi, senn si perde tempo prezioso e nisce che anche
questa settimana il pupazzo non si trova, o peggio ancora lo
trova unaltra squadra. Bisogna impegnarsi e perlustrare atten-
tamente i cantieri, i campi coltivati e le vigne, i viali e i terreni
che circondano i reparti di lavoro, non lasciare nulla al caso, so-
prattutto non scoraggiarsi anche se nelle altre squadre ci sono
bambini pi grandi che sanno leggere, ma tanto leggere non
serve a niente, basta decifrare i disegni.
Secondo una caratteristica tipica della Collina, anche per la
caccia al tesoro si parte alla pari.

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Ordino a Gennaro di seguirmi.
Sei pronto?
Sono pronto.
Ho una mezza idea, cos lo precedo no al pino grande,
Scava bene, anche laggi, lui scava e si spezza un paio di unghie,
non si ferma, tocca un inizio di radice, Non c niente, gli dico
dinsistere, scava a vuoto per dieci minuti, devo ammettere che
potrei aver sbagliato, Nessuno perfetto, come dice Riccardo, ma
non dobbiamo arrenderci, costanza e forza di volont, ecco cosa
serve, non dobbiamo avere fretta ma neppure rilassarci, non bi-
sogna mai pensare di avere a disposizione chiss quanto tempo
ancora. E perlustriamo ogni angolo, ci inliamo in ogni buco,
arriviamo no alla cancellata, quella grande e lunga, La Collina
nisce l, non ha senso spingersi oltre, attraverso le sbarre io ci
passerei e per un attimo mi passa per la testa, poi lascio perdere,
oltre la cancellata non c niente, solo spine e ortiche, guria-
moci se c il pupazzo.

Trascorrono tre ore, inizia a far buio, Gennaro stanchissimo,


avvilito, vuole andare a casa. Facile per lui, che una casetta ce
lha, la numero 3, mentre io ancora galleggio nel capannone
femminile, nellinsoerenza di Barbara e Fabienne.
Decido di fare lultimo tentativo. So che Gennaro mi seguir
ancora.
Il cantiere dove arriviamo un giorno diventer un ippo-
dromo. Adesso pieno di buche, piccole e grandi. Ordino a
Gennaro di calarsi in uno di quei fossi, lui protesta, gli faccio
notare che neppure il pi profondo, per un bel po non ne
vuol sapere, accetta solo quando gli oro una mano a sostegno
della sua immersione nella terra, la garanzia che non cadr.
Scende in diagonale, fa perno sui piedi, ruota le caviglie per ot-
tenere un attrito frenante col terreno, il resto lo fa la mia presa,
Gennaro mi stringe la mano un po imbarazzato e un po con-

42
tento, continua a scarpinare in discesa no a met percorso, la
presa mi sfugge e Gennaro nisce nella fossa, col sedere sulle
pietre appuntite. Piagnucola, Se non la smetti subito non ti aiuto
a risalire, mi fa arrabbiare, tutta la notte minaccio di lasciarlo
l, non dico a nessuno dov, nisce che non lo trovano pi, o
lo trovano chiss quando, forse troppo tardi. Il suo lamento che
quasi pianto non mi commuove, se non scava non ricever
alcun aiuto. Indico un punto, il terreno laggi mi sembra
strano, di poco rialzato, Uan lhanno nascosto l, sono sicura,
il pupazzo, il trofeo da esibire.
Gennaro non si lamenta pi e inizia a scavare, ha capito che
parlo sul serio, non protesta. Brava, si vede che sei mia glia,
mi direbbe Ivan. Gennaro invece vuole solo farla nita, allora
scava, si spezza unaltra unghia e scava, non c neanche in quel
punto, mi dice, io alzo le spalle, gli dico che dobbiamo provare
altrove, se voglio una cosa me la prendo. Controllo la mappa e
decifro solo qualche disegnino, si vede molto male perch c
buio e perch sono copie di cattiva fattura.
Allungo una mano, la stessa di prima, Gennaro costretto
a fidarsi senn non pu risalire, afferra la mano, lo tiro su per
un po... ancora un po... ancora un po... poi lo lascio cadere.
Di nuovo col culo sul terriccio, mi guarda sbalordito pi che
ferito, non se laspettava, rido e gli tiro un pugno di terra ad-
dosso... questo no, lha visto fare in una scena di Starsky &
Hutch, e lui non morto e non ci sta a quel lancio di terra.
Ci mette tutta la forza, anche un po di rabbia, riesce a risalire,
riemerge, furibondo, mi d una spinta, mi fa indietreggiare,
per poco non cado, lo guardo con gli occhi innocenti, Scusa
ho sbagliato.
ancora minaccioso ma gi pentito per la spinta. Perfetto,
allora, garantisco che questa sar lultima cosa che gli chiedo,
lui mi d le spalle, non mi risponde, non si volta, intende ri-
nunciare al premio cos in fretta? buio, non in fretta, mi dice,

43
e poi non sa neppure se quel premio esiste. Questo il bello, gli
dico, non sapere se c davvero. Cosa gli costa girare a destra
invece che a sinistra? Cosa gli costa andare invece che verso le
casette in direzione del cimitero?
Stavolta mi guarda eccome, non crede alle sue orecchie, al
cimitero non ci va neanche di giorno guriamoci col buio, Io
me ne torno a casa. Pu fare quello che vuole, non mimporta,
e mentre lo dico faccio per allontanarmi, ma prima gli do un
bacio sulla guancia.

Al cimitero della Collina il becchino viene solo la mattina presto


e fa pi paura delle tombe. Un fruscio tra i cespugli. Silenziosa
pi che posso inclino la testa per vedere senza essere vista, ca-
somai ci fosse qualcuno, in eetti i cespugli si muovono. Gen-
naro non fa un passo, io mi sporgo ancora un po e vedo gambe
ricoperte da jeans chiari. Un altro metro e vedo le facce, due
ragazzi, due maschi, volti conosciuti, li chiamano Pietro e
Paolo, venuti a vivere in Collina dalla provincia di Pistoia. A
mensa siedono sempre vicini, lavorano insieme e stanno insieme
anche adesso, dietro ai cespugli.
Non posso avvicinarmi di pi, Gennaro mi supplica di an-
darcene subito da l, a questora ci staranno cercando, saranno
disperati, suo padre gli ha detto che se fa arrabbiare la madre
lei muore di sicuro e Gennaro non la vede mai pi. Non morir
nessuno, deve solo stare zitto. Spero non abbiano sentito, par-
lottano tra loro, accovacciati e vicinissimi.
Io ascolto.
Ho paura.
Stai tranquillo.
Gi sincazzano se trovano un ragazzo e una ragazza.
Se ci trovano lo sai che cosa succede, no?
No, non lo so.
Dai che lo sai.

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S, lo so.
E cosa succede?
Se arriva qualcuno, noi ci sciogliamo e scompariamo.
S.
Ci stringiamo, ci schiacciamo uno contro laltro e ci scio-
gliamo.
E perch?
Perch siamo fatti di sapone.
Esatto.
Non parlano pi, si baciano, uno dei due tira gi la cerniera
allaltro e lo accarezza. Entrambi si abbassano i jeans fino alle
ginocchia. Gennaro sparisce, io li vedo che si baciano ancora
pochi secondi finch nel cimitero entra Riccardo. E scappo
via.
Si accorgono di lui anche Pietro e Paolo, si staccano e sin-
collano al suolo, di schiena, i cespugli come trincea, i panta-
loni ancora calati, provano a non respirare, a soffocare, meglio
che essere scoperti. Non vedono che Riccardo sale su una pic-
cola scala e sostituisce dei fiori ancora freschi con venticinque
garofani rossi. Per fare il cambio scopre una lapide con la
scritta in rilievo al di sotto del marmo, un angelo che spezza
le catene: AGOSTINO MEL N. 26/02/1958 M.
21/10/1984.
Riccardo spolvera il vetro della foto, Agostino di tre quarti,
sorridente, si vedono gli occhi, grandissimi e verdi. Riccardo
accenna sottovoce il motivo di quella canzone che gli ricorda
Agostino pi di qualunque altra... Il sole si nasconde dietro al
molo, la luna fa una virgola nel cielo... Lascia che il mazzo di
fiori nuovi si spalanchi a raggiera nel grande vaso di vetro...
Ma cosa ho detto di male? Non fare loffeso. Ti prego, ritorna
qui...
Agostino lo prendeva in giro per quella canzone che lui voleva
sempre in macchina, Sei un romantico patetico, addirittura qualche

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volta sorrideva mentre lo diceva. Riccardo rispondeva che non era
lui a chiamarsi Mel, Il melodramma ce lhai nel cognome.
Tu nel sangue chai solo colesterolo. E se continui a mangiare
cos non ti servo pi, non ti serve a niente lautista, ti muovi da
solo come una mongolera.
Riccardo si lasciava prendere in giro, sul sedile posteriore
della Croma, e permetteva ad Agostino di cambiare cassetta.
Negli ultimi tempi sempre It must be hell, la faceva suonare cos
spesso che Riccardo aveva nito per appassionarsi e aveva com-
prato vinili e cassette degli Stones, pur senza rinunciare a Mina
e Fred Bongusto, le passioni di una vita.

Pietro e Paolo guardano Riccardo dallalto in basso. Incombe


su di loro. Li fissa. Pietro chiude gli occhi, piange, le mani
sul volto. Paolo tace, non fiata, non muove un muscolo. Ric-
cardo in silenzio, osserva i visi sconvolti dalla paura ma non
prende nessuna iniziativa, Rivestitevi immediatamente e tornate
al dormitorio.
Pietro e Paolo si rivestono in fretta, con il terrore per una
punizione che, ne sono sicuri, non tarder ad arrivare.

Ma Riccardo non pensa a nessuna punizione, in testa ha solo


la canzone e cammina lento no alla casetta numero 7. Viveva
l con Agostino. Non sarebbe servito a niente portarlo in ospe-
dale. Riccardo aveva imparato ad accettare e a convivere con
la sua malattia. Trascorreva la giornata tra le faccende della co-
munit e di sera tornava da lui, zitto per non svegliarlo, caso-
mai riposasse. Se lo trovava sveglio chiedeva, Come stai?
Quando Agostino non rispondeva Riccardo non insisteva, lo
aiutava a togliersi la maglia del pigiama e gli massaggiava il to-
race. Il dolore era concentrato soprattutto l e il massaggio in
quel punto gli garantiva un sollievo temporaneo ma prezioso
per la successiva mezzora. Con un cenno Agostino diceva a

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Riccardo di fermarsi, lui smetteva, si spogliava, gli si sdraiava
di anco e lo abbracciava sotto le coperte. A volte Agostino si
lasciava abbracciare, a volte no.

Il giorno in cui mor, a Riccardo non era sembrato diverso da


tutti gli altri. Iniziato a Bologna, al riformatorio femminile. Ci
andava ormai sempre pi spesso. Come ogni volta aveva perlu-
strato il cortile in compagnia del direttore, un uomo alto, magro
e miope che si sistemava gli occhiali sul naso con la punta del
mignolo, metteva a fuoco, indicava a Riccardo una ragazza e
diceva, ad esempio: Alessia, diciannove mesi per rapina a mano
armata, sedici anni, aggiudicata. Riccardo trascriveva tutte le
informazioni su un block-notes a quadretti e passavano avanti,
attraversavano il vociare disordinato delle giovani detenute e si
fermavano quando il direttore, stessa dinamica di riposiziona-
mento degli occhiali, indicava unaltra ragazza e anche di lei di-
ceva nome, pena da scontare ed et. Di solito cinque o sei alla
volta, tutte quelle per cui il giudice Salvati (grandissima stima
per Riccardo e una glia in Collina) aveva commutato la pena
in domiciliazione coatta in comunit.
A operazione nita Riccardo aveva ringraziato il direttore.
Non gli piaceva per quella stretta di mano molle e sudaticcia.
Aveva fatto per uscire dal cortile del riformatorio e appoggiata
al muro scrostato aveva visto una ragazza con le braccia incro-
ciate dietro la schiena, la pelle liscia e scura, I lineamenti di
unindiana, quelle dAmerica per, non quelle dIndia, come Ric-
cardo dir a Ivan anni dopo.
Chi ?
Si chiama Sabrina Chiaravalle. Entra ed esce da tre anni,
spaccio, piccoli furti. del Pilastro, periferia.
La segue il giudice Salvati?
Il direttore del carcere aveva annuito. Riccardo si era avvici-
nato a Sabrina. Lei gi da lontano aveva visto questuomo

47
grande e grosso farsi avanti. Si era staccata di pochi centimetri
dal muro, le braccia davanti al corpo, sulla difensiva, spiazzata
dal sorriso di Riccardo. Ai sorrisi non era abituata. Riccardo le
aveva poggiato una mano sulla spalla, Sabrina laveva colpita
con uno schiao. Lui aveva alzato le mani e fatto un passo in-
dietro, Vuoi venire con me? Nessuna risposta, Riccardo aveva ab-
bassato le mani e laveva guardata negli occhi, Inizi tutto
daccapo.

Sabrina non parlava molto, In macchina non ha detto una parola,


ma non importava, a parlare sarebbe stata Berta, lanimatrice
migliore. Riccardo laveva adata a lei.
Non sembrava felice di stare l Sabrina, ma neppure arrab-
biata, stava l e basta, in quel posto cos strano, molto pi bello
del riformatorio, su questo nessun dubbio. Incantata a guardare
le radici di una quercia secolare, Berta laveva scossa con dol-
cezza, Andiamo, tesoro. Ti faccio vedere la tua nuova casa, la tua
nuova famiglia.

Riccardo era entrato senza far rumore nella casetta numero 7.


Una canzone degli Stones in sottofondo. Aveva ordinato a Da-
niele di cambiare disco tutte le volte che andava a controllare,
ogni ora e mezza. Let Me Go lasciava un ri alle sue spalle. Sei
bello che fai quasi rabbia. Riccardo lo aveva pensato soltanto,
accarezzandogli piano i capelli, per non svegliarlo. Agostino si
era svegliato comunque.
Stavo sognando.
Che cosa?
Cazzi miei.
Va bene... Va bene.
Il volto di Agostino era ridotto al minimo. Riccardo gli aveva
rimboccato la trapunta nuova di piume doca, la migliore. Ago-
stino aveva provato ad alzare il braccio, non ce laveva fatta, si

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era girato di lato e aveva richiuso gli occhi. Riccardo si era
sporto in avanti per capire cosa volesse. Con quel gesto voleva
semplicemente dirgli di andarsene, voleva tenerlo a distanza.

In portineria Riccardo si era fatto dare la corrispondenza da


Giulio, due pubblicit da altrettante agenzie immobiliari della
zona e una raccomandata rmata Goredo Poli. Dentro, una
foto: Goredo e sua sorella Benedetta insieme al nipote Mar-
tino, sorridente, raggiante, in smoking, alla prima della Scala.
Poche parole, scritte a mano: LA MIA RINASCITA ME-
RITO TUO. Riccardo aveva riposto la foto nella busta.
Nientaltro?
Don Gaetano.
Rompicoglioni.
Mi hai detto di ricordartelo...
Non tu, quel prete un rompicoglioni.
Lappuntamento alle sedici, tra unora e cinque minuti.
Loro sono arrivati?
Ti aspettano alla piscina.

Acqua non ce nera, in inverno la svuotano, ma gli addetti alle


pulizie (un ruolo non proprio piacevole che tutti, a turno, una
volta al mese sono obbligati a ricoprire) tenevano puliti i bordi,
lavando e asciugando quotidianamente le sdraio di plastica.
Adele e Luca, moglie trentacinquenne e glio sedicenne di
Riccardo, erano seduti l, lei scalza e con il vestito a ori, il
foulard di seta al collo e il turbante in testa, lui in jeans e ma-
glietta dei Duran Duran. Era stato Luca a vedere per primo
Riccardo, in lontananza, e lo aveva salutato con un cenno.
Luca sapeva bene che Riccardo lo chiamava: Quel fesso di mio
glio. Anche in pubblico, soprattutto in pubblico. Luca si te-
neva loesa, non lo contraddiceva mai, il suo modo di reagire
era lindierenza.

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Riccardo lo aveva raggiunto a bordo piscina, una veloce
pacca sulla spalla. Il loro rapporto si esauriva in quel saluto, una
volta al mese. Adele si era inlata le ballerine verdi, il sorriso
luminoso. Un bacio sulle labbra, Riccardo laveva sollevata in
aria e lei aveva riso. Luca aveva storto la bocca voltandosi dal-
laltra parte. Piccola e gracile comera, tra le braccia di Riccardo
sembrava che Adele potesse spezzarsi da un momento allaltro.
Riccardo laveva rimessa gi, un altro bacio prima di precederla
lungo i viali della Collina.
Tra poco sar pronta la nostra casa. Sei lunica capace di
accompagnarmi in questavventura.
Ti ho appoggiato n dallinizio e lo far sempre, amore
mio.
Riccardo lo sapeva ed era profondamente grato a sua moglie:
se quellavventura era iniziata, il merito era proprio di Adele e
della sua caparbiet, capace di convincere i genitori a cedere
quel pezzo di terra e quel casotto che loro avevano abbandonato
e sul quale lui aveva costruito un mondo di salvezza e speranza.
Basta parlare del passato. Riccardo nel futuro vedeva Adele al
suo anco, in quella villa. Ma anche Luca. E Claudia, la pri-
mogenita, Sempre che Claudia lo voglia.
Certo che verr, solo in un periodo dicile, ha ventanni e an-
cora non sa cosa fare della sua vita.
Riccardo invece lo sapeva, la vita di Claudia era in Collina,
puntava tutto su di lei, la considerava lunica in grado di eredi-
tare ci che aveva creato. Su Luca non avrebbe puntato mille
lire e daltra parte a Luca interessava veramente poco, cos poco
che si era allontanato a met discorso quando Sabrina era pas-
sata di l con Berta.

Alle vigne lanimatrice spiegava che il vino della comunit era


ormai considerato un prodotto di altissimo livello, venduto a
quattromila lire a bottiglia nei supermercati e no a sedicimila

50
lire nei ristoranti. Ma non aveva potuto dire altro perch Luca
laveva interrotta, Puoi andare, gliela spiego io La Collina alla ra-
gazza. Sabrina aveva fatto un passo indietro. Berta aveva detto
a Luca che non poteva lasciarla da sola, era il primo comanda-
mento degli animatori. Luca le aveva ricordato che di fronte a
lei cera il glio di Riccardo, Questo posto un giorno sar mio,
era diventato aggressivo alzando la voce. Berta gli aveva detto
di stare calmo, Va bene, come vuoi, poi aveva invitato Sabrina a
rimanere con lui, Non preoccuparti.
Berta si era allontanata a passo svelto iniziando a correre
quando Luca non poteva pi vederla. Raggiunto Riccardo aveva
ripreso ato e gli aveva raccontato cosa stesse succedendo. Senza
perdere un secondo Riccardo era arrivato per primo alle vigne,
aveva visto Luca che provava a baciare Sabrina, lo aveva aerrato
per la maglia, e gli aveva dato uno schiao in faccia, Non az-
zardarti mai pi a toccare una delle ragazze. Un altro schiao,
ancora pi forte del primo, col dorso della stessa mano, Non le
devi neppure guardare. Luca si era pulito con la maglietta il san-
gue che usciva dal naso, senza protestare. Riccardo aveva chiesto
a Sabrina se stesse bene. Lei aveva annuito. Sembrava calma.
Invece allimprovviso si era scagliata contro Luca. Adele aveva
urlato, Berta aveva cercato di fermare Sabrina. Riccardo aveva
ordinato alla moglie di stare zitta e allanimatrice di togliersi di
mezzo. Luca si proteggeva e rideva, Non mi fai niente, tossica di
merda. Il terzo schiao di Riccardo, stavolta in pieno volto.
Questo fesso non capisce niente e quellaltra, che capisce eccome,
neppure mi vuole vedere.

Riccardo aveva camminato per mezzora (quando cos incazzato


lo fa sempre: attraversa i luoghi pi isolati della comunit dove
sicuro di non incontrare nessuno), poi si era calmato, concentrato
sullappuntamento successivo, un incontro importante. Don
Gaetano era sempre in orario e doveva tenerselo buono, almeno

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per il momento. Le quattro erano passate da dieci minuti, non
voleva farlo aspettare.
Riccardo era tornato al gabbiotto del posto di blocco ma
cera soltanto Giulio. Gli aveva chiesto dove fosse il prete. Giu-
lio aveva abbassato gli occhi, Mi dispiace. Riccardo lo aveva
guardato senza capire, Mi dispiace che cosa? Ma era stato un at-
timo, poi era uscito sbattendo la porta a vetri.
Con movimenti e gesti automatici Giulio aveva preso scopa
e paletta, aveva buttato i cocci nel cestino di plastica, aveva stu-
diato il buco nella porta e si era asciugato la fronte sudata. Poi
uno scatto, il telefono, aveva composto un numero, si era messo
in attesa, ha parlato, Vetreria Giannini? Sono Giulio Sassi dalla
Collina: venite subito.

Il medico e il prete erano ai piedi del letto di Agostino. Si erano


accorti di Riccardo e si erano alzati entrambi, don Gaetano con
un movimento secco, inusuale per un uomo di settantanni, una
vitalit che aveva comunque bisogno dellaiuto di un bastone, il
pomo di ottone a testa dalce, il legno bianco, sottile ma solido,
come il corpo magro del prete, le ossa sporgenti e appuntite.
Riccardo se lera sentite addosso quando don Gaetano lo aveva
abbracciato, prima di baciarlo sulle guance. Riccardo non aveva
reagito, il prete si era fatto da parte. Agostino aveva le mani
giunte, incrociate sul petto, gli occhi chiusi. Era stato Daniele,
appena aveva avuto la certezza, acqua e detersivo sulle labbra: se
Agostino faceva le bollicine, signicava che era vivo; se non le
faceva, non cera pi respiro.
morto.
Quella di Riccardo non era una domanda. Non aveva rispo-
sto il prete e non aveva risposto il medico. Un passo avanti, Ric-
cardo avrebbe voluto guardare gli occhi di Agostino ma ha
dovuto accontentarsi delle palpebre. Non erano diafane, niente
verde degli occhi. Riccardo era caduto in avanti, sulle ginocchia.

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Nessun dolore, eppure limpatto era stato forte. Sembrava gli
avessero sparato alle spalle.
Daniele si era sforzato di non piangere. Don Gaetano aveva
raccolto altre forze scagliando il bastone contro il muro. Ric-
cardo si era voltato, lo aveva ssato. Il prete aveva provato a ti-
rarlo su, Alzati, che non serve a niente, sentiva il sudore di
Riccardo sui palmi delle mani, aveva stretto la presa e provato
ancora. Riccardo non reagiva. Don Gaetano era riuscito a solle-
varlo solo con laiuto di Daniele e insieme lo avevano sistemato
sul bordo del letto. Unite le mani il prete aveva chiuso gli occhi
pregando a voce alta, Signore, liberaci da questa peste, da cui grazie
al tuo aiuto scamper. Non puoi evitare la morte. Ma ti chiediamo
di non ridurci a un mucchio di ossa gi prima di morire.
Don Gaetano aveva riaperto gli occhi. Riccardo respirava
forte. Aveva provato a guardare Agostino ma non cera riuscito.
Aveva rivolto unocchiata al medico, poi al prete. Una parola
sola, Andatevene. Non si erano mossi. Riccardo aveva conti-
nuato a guardarli, Per favore.
Daniele era uscito per primo, don Gaetano aveva raccolto il
bastone e lo aveva seguito.
Nella stanza entrava qualche raggio di sole attraverso le per-
siane. Riccardo era andato ad abbassarle del tutto, poi era tornato
a sedersi sul bordo del letto. Adesso il buio era completo, poteva
anche guardare Agostino, tanto comunque non lo vedeva.

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La casetta nostra

Ivan mi lancia in aria e mi riprende a tempo di musica, rido,


mi lancia di nuovo e canta, rido ancora, rido sempre, ballo con
lui e non ho paura di cadere ma voglio lo stesso stringere la sua
mano, come dice la canzone che stiamo ballando. Ivan mi sol-
leva e mi tiene sospesa, mi rimette a terra, sudato, non si
ferma, continua a ballare, ha solo i pantaloni del vestito e la
cintura nera, il vestito quello bello. proprio un gran ballerino,
ha trasformato un rocknroll in un twist, meglio cos, pi facile
e pi bello.

Giocavamo a nascondino, dieci minuti fa, quando mi ha detto


della casetta. Contavo io senza spiare, no a cinquantuno, la fac-
cia schiacciata contro il pino gigante. Ho nito e ho sentito una
canzone a volume alto, ho seguito la musica, ho capito che pro-
veniva dalla casetta di Riccardo e non volevo entrare, ma la porta
era aperta. Ivan era seduto sul divano, Non si entra in casa degli
altri. Lui mi ha risposto con un sorriso, Adesso casa nostra. Ci
ho messo un po a capire ma quando ho capito gli sono saltata
addosso, ho fatto mille feste e non mi sono accorta che un po
si commosso, o almeno emozionato, per subito si ripreso,
ha cambiato disco ed partito il nostro twist, che adesso bal-
liamo, e mi agito e sudo, dentro la casetta fa caldo perch nal-
mente da una settimana i termosifoni hanno ripreso a
funzionare.

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Per un po di giorni erano stati fuori uso, Riccardo aveva so-
speso la distribuzione del gas in tutta La Collina per colpa di
quelli che consumavano troppo, inutilmente, termosifoni
sempre accesi, a novembre poi, Questo me lo chiamate freddo?
Lo sapevano quegli spreconi che per fondare La Collina Ric-
cardo aveva dormito in un casolare senza porta e finestre? Topi
dappertutto, quasi un girotondo intorno al letto di paglia. I
ragazzi non sapevano cosa significasse fare i sacrifici, per que-
sto mettevano i termosifoni al massimo al primo soffio di
vento. Allora Riccardo li aveva staccati e le mamme riscalda-
vano i bambini con il phon. Barbara aveva un Imetec a tre ve-
locit, non lo metteva al massimo senn nel dormitorio
femminile andava via la corrente, lo teneva acceso a pochi cen-
timetri dal mio corpo fino a quando non mi addormentavo.
Poi mi metteva addosso tre coperte, una in pi di quelle con-
cesse, la terza glielavevano passata di nascosto i genitori di
Ivan, nonno Gavino e nonna Clara, che ultimamente si da-
vano da fare, si sforzavano anche di mettere da parte la loro
antipatia nei confronti di Barbara e provavano con tutte le
forze a credere alle parole di Ivan, le nuove lettere che lui spe-
diva quasi ogni settimana.
(Cari mamma e pap, sono contento che dora in poi verrete ogni
tanto a trovarmi, sar bello vederci, passare la giornata insieme.
Qui va tutto bene, io sempre in stalla e Barbara fa i turni in
fotolito. Mi sono dimostrato valido, ho recuperato in fretta, ho di
nuovo la ducia di Riccardo, che tiene molto sia a me che alla bam-
bina. Cresce sempre pi bella Valentina, la vedrete.
Il tempo vola, sono felice di essere tornato, adesso tutto si siste-
mer, e chiss che non mi iscriva alluniversit. La Collina paga
gli studi a chi vuole laurearsi. Cos sulla porta della mia casa a
Milano, quando saremo pronti ad andar via da qui, ma non c
fretta, metteremo una targhetta: DOTT. IVAN CARRAU.
Pap, fai ancora i rebus e scrivi alla Settimana Enigmistica?

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bello, quando ti penso, saperti tranquillo, una gioia per me, cos
ti dedichi al tuo sogno dimparare linglese, spero che tu riesca a
convincere la mamma per questo, perch una cosa molto bella, e
so perfettamente che riuscirai a superare ogni esame.
Mamma, la notte prima di addormentarmi faccio sempre un pen-
siero per te, mai mi sono addormentato senza, da quando sono qui.
Tutto quello che avete fatto per me stato sempre per amore e
non pensate che quello che successo sia colpa vostra.
State tranquilli, ora va tutto bene. Ivan)

Il nonno e la nonna avevano smesso di crederci molti anni fa


ma ngere era bello. Portavano di nascosto regali e prelibatezze,
mica solo la coperta, anche la cioccolata, vietatissima, tanto che
a Barbara una volta, quando io non ero ancora nata, un pezzo
di cioccolato bianco e clandestino scoperto da Giulio le era co-
stato un mese di punizione. Adesso per lei e Ivan i controlli
sono meno serrati, alla mia famiglia sono concessi alcuni privi-
legi da quando Ivan ha ripreso il cuoco in fuga, ma questo non
lo ha scritto. Non importa, abbiamo riavuto la casetta ed solo
merito suo.
Riccardo gli ha consegnato le chiavi il giorno prima del no-
stro festeggiamento ballerino, non le chiavi della casetta numero
2, dove sono nata, ma della numero 7 (a Riccardo non serve
pi, adesso che Agostino morto), dove Ivan e io balliamo il
nto twist e la famiglia si riunita, Barbara compresa, anche se
adesso non c perch lei deve ancora rispettare gli orari e i turni
di lavoro (come tutti gli altri, i ragazzi normali, che non hanno
gli orari elastici di Ivan, lo speciale).

Barbara e Lorenzo inseriscono il negativo nellingranditore che


proietta limmagine. Non sono subito daccordo, alla ne scel-
gono limmagine ristretta di Lorenzo. Il contrasto per lo decide
Barbara, un piccolo compromesso. Carta nellacido, ssaggio

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ed ecco limmagine come pi o meno dovrebbe venir fuori a
lavoro concluso: un acquario pieno di Bunocefali, pesci neri e
pigri, piatti e allungati, onnivori che stanno volentieri con qua-
lunque altro pesce. Nella foto ci sono diverse altre specie, ad
esempio i Pesci combattenti, lunga coda e lunghe pinne, rosse o
blu, aggressivi e portati alla lotta, soprattutto tra di loro, come
nella foto. Si attaccano, due rossi e uno blu, e non si capisce chi
sia alleato con chi. Secondo Barbara un blu e un rosso stanno
attaccando il secondo rosso. Lorenzo appende la foto ad asciu-
gare, la guarda bene, daccordo, in eetti i due rossi non sem-
brano coalizzati contro il blu. Barbara ne convinta,
Evidentemente non questione di colore.
Sono al buio, quasi al buio, c quella luce strana della camera
oscura che i due si lasciano alle spalle.
In piedi nellatrio, Lorenzo sfoglia il catalogo e mostra a Bar-
bara gli ultimi lavori. Comincia con un fotomontaggio che ri-
produce la facciata esterna di un grande supermercato. Le mura
sono trasparenti e allinterno si vedono famiglie immortalate
nei vari reparti, in momenti di vita quotidiana. In cima cam-
peggia lo slogan: UN GRANDE MAGAZZINO UNA
GRANDE CASA.
Lhanno riutata, troppo addirittura per loro. Lorenzo lo dice
sorridendo, mentre continua a sfogliare, uno dopo laltro, i riuti
e i successi, no alla ne del catalogo. C una foto diversa dalle
altre, un fotomontaggio. Barbara appena la vede scoppia a ridere.
Lorenzo la guarda e sa che arriver una seconda reazione.
Augusto Pinochet ha la faccia di Riccardo. I suoi colonnelli,
quella dei responsabili delle stalle. Barbara non lo sa, ma Ivan
Hugo Salas Wenzel, braccio destro del dittatore cileno e capo
dei servizi segreti.
E se glielo dico a Ivan?
Non glielo dici.
Vedremo.

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Non lo farai.
Non hai nemmeno un po paura?
E di cosa dovrei aver paura?
E se lo dicessi a Riccardo?
Lorenzo guarda Barbara con sarcasmo.
Ivan mio marito.
Lo so. Secondo te perch ti avrei fatto vedere la foto?
Che ti di di me non signica che non hai paura.
Io non ho paura di niente.
S, va be, mettila via, scemo.
E perch dovrei?
Non fare il coglione, mettila via.
Non ho paura.
Dai che andiamo. Gi non ci pagano, gurati se mi metto
pure a fare gli straordinari gratis.
Prima o poi devi prendere una posizione, Barbara, decidere
da che parte stare.
Sono fotomontaggi, una presa per il culo, non fare leroe.
Mi serve per rimanere lucido.
Tu sai cosa succede quando scappi e ti riprendono? Non ti
hanno mai preso?
Non ho mai provato a scappare.
Io s, e non divertente.
Non faccio i fotomontaggi per far ridere.
E allora perch?
Te lho detto.
Mettila via.
Non ho paura, Barbara. Bisogna rimanere lucidi.
Va bene, ho capito. Per puoi mettere via sta foto prima
che niamo nella merda? Eh? Che dici?
Resta.
No, io me ne vado.

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Nel dormitorio femminile, tra ragazze che si lavano nei bagni sul
fondo, ragazze che si vestono, ragazze che parlano di tutto e
niente, ragazze appena arrivate che ancora stanno male, Fabienne
ascolta Barbara e alla ne scatta in piedi, La musique?
Non sa pi da quanto tempo non ascolti una canzone, musica
vera, qualcosa che non siano i jingle delle pubblicit che inter-
rompono Dallas. Pur di non restare nel dormitorio (dalle 20 alle
22.30, per regolamento, o vai in sala cinema a guardare la televi-
sione o resti in dormitorio), si sorbiva i programmi che decide-
vano gli animatori, un palinsesto che lei deniva Merde, ma in
alternativa alla chiusura serale in dormitorio provava a farseli
andar bene. Presto per li aveva odiati e per questo aveva esultato
a gran voce (si rischia una punizione, cos) quando nel bel mezzo
della serata televisiva il segnale si era interrotto ed era comparsa
la scritta: Per ordine del pretore vietata la trasmissione in questa
citt dei programmi regolarmente in onda nel resto dItalia.

I ragazzi avevano reagito male, alcuni erano inferociti, rivole-


vano indietro i programmi a cui erano aezionati, ormai ne ave-
vano bisogno. Che se ne facevano della Rai? Volevano i loro
programmi. Portobello, roba da vecchi, volevano Drive in non
Domenica in, e poi sulla Rai facevano poca pubblicit, e ad al-
cuni gli spot piacevano pi dei programmi.
E furono lieti di partecipare alliniziativa di Riccardo di scen-
dere in piazza per protestare insieme ad altre centinaia di per-
sone contro loscuramento dei canali. Benedetta Poli gli aveva
detto pi volte che era troppo importante e Riccardo aveva pen-
sato: A buon rendere.
A Milano arrivarono dalla Collina con due pullman, un cen-
tinaio di ragazzi, i pi tranquilli, quelli che in comunit stavano
bene, li scelse Giulio personalmente. Ma cera comunque un
cordone di sicurezza composto dagli animatori pi robusti,
Sembrano il famoso servizio dordine della CGIL, scrisse un

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giornalista, e quel cordone funzion, non scapp nessuno, e
tutti gridarono, insieme agli altri manifestanti: CINQUE!
CINQUE! CINQUE!. Richiedevano indietro il loro canale
preferito, nessuno capiva il motivo di quellingiustizia (per Gen-
naro a far oscurare i canali era stato Gargamella).
La sollevazione popolare e poi un decreto parlamentare fecero
riapparire come per magia la loro televisione e i ragazzi tornarono
tranquilli ogni sera in sala cinema, a cantare insieme allalbero di
Natale e ai giovani che nello spot, con le accole in mano, ci di-
cevano: Canta insieme a noi. Il mondo in armonia.
Barbara e Fabienne, se non volevano passare la serata in dor-
mitorio, erano costrette ad ascoltarli.

Adesso, invece, andranno in casetta ad ascoltare tuttaltro.


Barbara la abbraccia:
Comment allez-vouz, madame?
Fabienne sospira:
La merde de la merde...
Barbara le porge la mano. Fabienne non vuole alzarsi dal
letto:
Dai, vieni. Che ti faccio vedere casa.
Ma petite bourgeoise, con la sua bella casetta.
Barbara si avvia fuori dal dormitorio:
Vous savez que jaime la bohme... per a casa si pu ascol-
tare la musica.
La musique?

A Ivan era stato permesso di prendere qualcosa dalla casa di


Milano per portare in Collina ci che serviva, Barbara gli aveva
fatto una lista di dischi, libri e videocassette, tutte cose che non
servivano nel vero senso della parola ma per lei erano necessarie.
Alcuni LP per, come prevedeva, non erano passati: Cocaine
di Eric Clapton, naturalmente, e neppure White Rabbit (Ric-

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cardo non la capiva ma Giulio, che nella sua vita pre-Collina
aveva girato il mondo, India e Africa comprese, sapeva che non
si parlava di conigli). Per fortuna era entrato Breakfast in Ame-
rica dei Supertramp, e Barbara e Fabienne concordano su
quello dopo una lunga trattativa, Take The Long Way Home
come prima canzone. La strada verso la casetta a Fabienne sem-
bra innita, non vede lora di ascoltare larmonica e il piano
dellintro, la batteria, due colpi di grancassa, e inne la voce
di Rick Davies. Fabienne non ascolta quella canzone da molte
vite fa, sar come andare a Woodstock, o almeno a un piccolo
concerto.
E in eetti trovano la casetta trasformata in una specie di Pa-
lasport, gi piena di musica.
Il twist mio e di Ivan sinterrompe di colpo.
Che c?
Vorremmo sentire anche noi un po di musica.
E questa non va bene, immagino.
Va bene, ma la mia va meglio.
Facciamo decidere a Valentina.
Barbara sincazza, quella frase la fa sempre incazzare, lo sanno
lei e Ivan il perch. Io e Fabienne non capiamo. Ma non mim-
porta, voglio solo continuare a festeggiare. Allora tiro Ivan per
il braccio, Lasciamo perdere e andiamo. Lui segue il mio consi-
glio e senza smettere di guardare Barbara mi fa salire sulle spalle.
Faccio ciao con la mano da lass, tendo il braccio in avanti, Al-
lattacco! E usciamo.
Barbara adesso prover a calmarsi, mentre Fabienne agitata
in maniera diversa, non riesce a star ferma, Il disco dov? Bar-
bara indica la vetrina, al posto di tazze e bicchieri c una pila
di trenta dischi. Fabienne studia le copertine, una ad una, si
gode lodore della custodia di cartone, estrae il disco, lo mette
sul piatto. Chiude gli occhi e respira profondamente. Barbara
se ne accorge. Ecco cosa la fa calmare, vederla un po felice, o

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almeno contenta, per la prima volta da quando la conosce. Fa-
bienne si sposta alla parete di sinistra, in un angolo sono am-
mucchiati diversi libri in attesa di essere sistemati. Barbara le
dice che quelli sono i libri uciali e sono belli... Ma questo
unaltra cosa... Apre la dispensa, dentro c un contenitore di
latta del Panettone Motta che non contiene il dolce ma un libro.
Barbara vuole che Fabienne lo legga, dice che scritto in un
italiano un po dicile ma sicura che capir il senso del rac-
conto. Barbara lha letto e riletto, voleva portarlo in Collina
ma non sarebbe passato, Altro che Clapton. Allora laveva messo
sotto la gonna (Barbara ora pu indossare la gonna, ma solo
se lunga e larga, anni Cinquanta) e laveva trattenuto allaltezza
dellanca con lelastico delle mutandine.
Fabienne annusa il libro, tira su col naso, sorride con malizia.
Buon odore.
Scema.
Fabienne guarda la copertina, legge il titolo.
In francese uguale.
Cosa?
Si dice Libertin.
Passano al lato pratico della questione: Fabienne non potr
portare il libro nel dormitorio, lo legger a casa di Barbara, di
nascosto. La casetta numero 7 sar il loro covo, lo utilizzeranno
per leggere e ascoltare quello che vogliono, per parlare di ci
che in pubblico non pu essere neppure nominato. Potranno
parlare anche di Riccardo, per a bassa voce (le pareti delle ca-
sette sembrano fatte di cartapesta).
Insomma, nch dura bisogna approttare dei privilegi per
la nuova posizione di Ivan, che non sono pochi e che Barbara
accetta di buon grado, anche se, quando lui aveva ottenuto la
promozione, e di conseguenza la casetta numero 7, lei aveva
minimizzato.

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Ivan le aveva fatto dondolare le chiavi sotto il naso, La-ca-set-
ta, cantilenava. Lei non si era scomposta, Innanzitutto abbassa
la voce. Erano nel dormitorio femminile e molte dormivano,
me e Fabienne comprese.
E poi ce lavevamo a Milano la casetta, aveva precisato Barbara.
Ivan si era incazzato, quelle chiavi se lera guadagnate, aveva
lavorato ancora in scimmia, aveva fatto a botte, si era fatto il
culo, e quando il cuoco e il suo complice erano scappati aveva
rischiato pure una coltellata.

Ivan daltra parte lo sapeva. In cambio di cinque sigarette aveva


avuto una soata dalla cameriera della mensa, che aveva visto
il cuoco rubare quel coltello, e da allora, ogni notte, nel dormi-
torio, Ivan cercava di star sveglio il pi a lungo possibile per
sorprenderlo. Le mani nel sacco, pensava, prima o poi trover il
coraggio e scapper: solo questione di tempo.
E infatti il momento era arrivato, Ivan aveva visto il cuoco
uscire dal dormitorio con un altro ragazzo (un complice del-
lultima ora) ma non si era mosso subito, voleva dargli un po
di vantaggio per poi riprenderli con grande clamore, lungo la
strada. Allora aveva contato no a cento nella mente e poi aveva
urlato, Sono scappati!
Si erano svegliati tutti. Ivan aveva acceso le luci e tirato gi
dal letto i suoi, uno a uno, Veleno compreso, che non aveva
osato ribellarsi, anche perch Ivan continuava a urlare, mentre
gli altri osservavano assonnati e sconvolti e si guardavano in-
torno per capire chi fosse scappato.

Anni dopo, quando lavvocato che doveva difendere Ivan gli


disse di riferire ogni dettaglio (a lui, non di certo al giudice)
senza tralasciare nulla di tutto ci che gli era capitato o aveva
fatto in Collina, Ivan gli descrisse cos quellimpresa.
Siamo scesi con due macchine. Da quando ero di nuovo capo

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delle stalle volevo che chi scappava venisse circondato. Io ero con
Tito e Pittore nellAlfa delta integrale, rossa, una donazione fatta
a Riccardo il mese prima. Serviva per quando cera la neve, la usa-
vamo solo per la neve perch consumava troppo. E quella volta cera
la neve. Gli altri erano sulla Panda blu 4X4. Comunicavamo con
i walkie-talkie.
Labbiamo presi mentre facevano lautostop, il cuoco e quellaltro
sgato, che subito si messo a piangere, tutta colpa sua, indicava
il cuoco, che invece ha tirato fuori il coltello. Gli dico che i coltelli
me li avevano gi puntati addosso un sacco di volte, mi dispiaceva
per lui ma non mi faceva paura. E quello niente, mi punta il col-
tello e mi dice non ti avvicinare. E io gli dico dai, non fare il caz-
zone, dammi qua.
Quello mi sferra il colpo, lo scanso, lo disarmo e gli do un caz-
zotto in faccia. Allora non ci ho visto pi, che devo dire? non so
cosa mi ha preso, ho iniziato a picchiare, calci e pugni.
Tito faceva il tifo, tutto contento lui. Paride, Ciacione, Pittore
e Carmelo mi provavano a fermare. Veleno zitto e fermo secondo
me sperava che lammazzavo, il cuoco, cos nivo in galera e mi
toglievo dai coglioni. Io continuavo a picchiare e mentre picchiavo
gli gridavo al cuoco: Cazzone, lo capisci o no che lo faccio per il
tuo bene? Lo capisci o no? Lo capisci?.
Mi calmo che quello ha la faccia piena di sangue, lo carico
nellAlfa, torno in Collina slittando sulla neve e lo consegno a
Riccardo come un trofeo. E quando Riccardo, la sera stessa, rac-
conta a mensa il fatto, mi prendo lapplauso generale. In parti-
colare lapplauso di Riccardo. Solo Barbara non applaude, anzi
se ne va incazzata insieme allamica sua francese. Se ne andavano
sempre in anticipo da mensa, ma quella sera Barbara se ne va
perch mi vede felice mentre mi fanno lapplauso per quanto ero
stronzo, mi ha detto cos, una settimana dopo, in mezzo a una
delle mille litigate.
Riccardo fa smettere di applaudire e fa alzare una ragazza, le

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fa i complimenti perch lei avrebbe lasciato La Collina il giorno
dopo, ma lavrebbe lasciata bene, non con una fuga: dopo cinque
anni il suo percorso nito e pu tornare a casa. Parte un altro
applauso. Riccardo abbraccia la ragazza e lei sorride, ma debole,
mi ricordo gli occhi dietro il sorriso, cera paura, molta paura. Per-
ch quando te ne vai dalla Collina sei felice ma hai pure tanta
paura.
Finita la cena tornano tutti a dormire. Io invece me ne vado al
cimitero, dove andavano tutti a scopare. Quella sera ci vado io, a
mensa una ragazza durante lapplauso mi guardava come se mi
volesse mangiare. E mangiamo, ho pensato. A scimmia nita ti sale
tutta la voglia che avevi perso e Barbara non si faceva avvicinare.
Me ne sono andato al cimitero con questa, la chiamavamo La tren-
tenne di Rovigo, perch aveva trentanni e perch era di Rovigo.
Aveva pure una bella bocca, con le labbra piene di carne (s im-
piccata un paio danni fa, nel garage di casa sua, ho saputo, lha
trovata il glio).
Quella sera al cimitero scopiamo dietro ai cespugli. Mi diceva
scopami Ivan, me lo diceva ogni due secondi. Io le dicevo ma falla
nita, stai zitta che senn ci beccano. Facciamo di fretta, dieci mi-
nuti e ciao. Di fretta per non farci vedere da Barbara, mica da
Riccardo. Di regola non si poteva fare, scopare dappertutto, senn
La Collina diventava un bordello a cielo aperto. Ma le punizioni
erano per gli altri, non per me: dopo il fatto della pecora avevo ca-
pito che a Riccardo bastava che gli raccontassi tutto di persona e
non mi succedeva niente.
Chiunque ti scopi meglio di tua moglie, mi ha detto cos. E mi
ha lanciato le chiavi della casetta, tanto a lui non servivano pi.

In realt anche Barbara non ce la faceva pi a stare nel dormi-


torio, voleva andarsene al pi presto e avere di nuovo una vita
privata, per quanto possibile. Per questo Ivan laveva presa in
giro, Vuoi far crescere la bambina in un capannone con cinquanta

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drogate? Una di loro, grande e grossa, stesa sul letto, sembrava
dormire e invece no, si tirata su lentamente, Aho, a Ninetto
de nun so che, che te credi che sei er cocco de Riccardo e nun te
meno?

Barbara e Ivan hanno camminato abbracciati no alla casetta


numero 7. Ingresso-salotto, le due stanze, quella per loro e
quella per me, la carta da parati ovunque, il bagno e una piccola
cucina piastrellati dazzurro.
Si sono baciati gi allingresso, in piedi, si sono stesi e rotolati
sul parquet, era scomodo e sono passati al divano, di fronte alla
televisione spenta. Dopo in camera, sul tappeto, senza fermarsi,
senza staccarsi mai. Alla ne proprio sul tappeto si sono distesi.
Guardavano il sotto, sudati e pieni. Ivan stava per dire qualcosa
ma Barbara gli ha detto di stare zitto. Era daccordo, Hai ragione,
non diciamo niente, lha guardata e ha sorriso.
Gli veniva da ridere ogni volta che ricordava quel fattaccio
successo a Milano negli anni Settanta, quando Barbara lavorava
al Giambellino per Sandro Ferri (sarebbe diventato il suo primo
marito) e Sandro Ferri a sua volta lavorava per Epaminonda,
lunico boss in tutta la citt che aveva leroina nella cosiddetta
Settimana della scoppiatura, comera stata chiamata, quando
maa e ndrangheta non si mettevano daccordo sui prezzi e a
farne le spese erano gli eroinomani, che per sette lunghissimi
giorni non trovarono un solo grammo di roba e Milano era di-
ventata un lazzaretto: ragazzi in scimmia dappertutto, disperati,
alcuni di loro neppure sapevano di esserlo, in scimmia, non
cerano mai stati prima di allora e non conoscevano nessuno
che ci fosse stato. Anche i pi ingenui e impreparati avevano
capito che stavano male perch volevano una dose, due fratelli
di Sesto San Giovanni per una dose si erano accoltellati.
Ivan e Pittore non erano arrivati a tanto ma ci mancava poco,
avevano diciottanni e passavano le giornate interminabili della

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scoppiatura a cercare il modo di farsi o a litigare, no a quando
a Pittore non era arrivata una voce, Un po di roba circola al
Giambellino, ce lha la Barbara del Giambellino.
Arrivati nel quartiere lavevano vista nella Porsche blu me-
tallizzato, il trucco abbondante, la pelliccia, sicura di s. Ivan
aveva tirato fuori la pistola, Dammi la roba, Barbara lo aveva
guardato un momento soltanto, Ma pensa te sto scemo, e aveva
fatto segno a qualcuno. Erano arrivate tre motociclette, tre
Honda, in tutto sei persone, tutti con il casco integrale. Uno di
loro, senza togliersi il casco e senza parlare, si era fatto conse-
gnare la pistola da Ivan. Lui non aveva protestato, e mentre con-
segnava aveva guardato Barbara. Era distratta, gi non pensava
pi a quello che era successo.
Ivan lavrebbe rivista soltanto quattro anni dopo in Collina
insieme a Sandro. E quando le aveva ricordato quellepisodio, a
Barbara proprio non era venuto in mente, come non fosse mai
successo. O come se, al Giambellino, la persona nella Porsche
non fosse stata lei ma qualcuna che le assomigliava soltanto.

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Uomo di ducia

Ciao Ivan.
Ciao Riccardo.
Come stai?
Bene. Tu come stai?
Meglio.
Ha nevicato molto.
Lo vedo.

La luce forte del sole fa splendere tutta La Collina (qui c


pi verde che in Irlanda). La neve di fine novembre si
sciolta, rimane qualche chiazza ai bordi dei viali oppure
nelle zone dombra, sotto gli alberi pi grandi, ma quei re-
sidui sono bianchissimi. A Milano quando la neve iniziava
a sciogliersi i pezzi sopravvissuti qua e l erano sporchi di
nero.

Ci sei mancato.
Com andata?
passato un mese.
Lo so. Com andata?
Non successo niente, quindi andata bene.
Niente nuove, buone nuove.
Esatto.

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Dopo le tempeste di novembre, i cantieri avevano ripreso a fun-
zionare a pieno ritmo, mentre i settori di lavoro, quelli al co-
perto, non avevano mai smesso. In realt le cose andavano
sempre meglio: era stato inaugurato un nuovo reparto, la con-
ceria, e i prodotti della comunit vendevano e rendevano come
non era mai successo. La qualit era molto alta, i clienti non
compravano solo per benecenza, la motivazione dei ragazzi
della Collina si trasferiva in quello che quotidianamente pro-
ducevano. Tutto era fatto a mano e curato nei dettagli.

Mi chiedevano di te.
Mi siete mancati anche voi.
Riccardo dov? Quando torna?
E tu cosa rispondevi?
Dicevo che eri allestero. Questioni importanti della co-
munit.
Bravo.
Dove sei stato?
Lascia perdere.
Scusa.

Dopo la morte di Agostino, Riccardo era scomparso per un


mese e ancora oggi nessuno sa dove abbia trascorso tutto quel
tempo. C qualche voce, niente di pi. Fatto sta che se nera
andato e aveva lasciato La Collina in unordinata autogestione,
con la supervisione di Goredo e Benedetta Poli, i due magnati
che hanno nanziato il progetto n dallinizio.
Unautogestione pi organizzata di quella del 1980, durante
il processo, quando Riccardo era stato costretto a star lontano
dalla comunit da poco fondata e i Poli si erano delati (per
poi tornare ad assoluzione avvenuta). Tutto era rimasto in mano
ai ragazzi. Coordinatore era stato nominato Ivan. E fu in quel
periodo che inizi la storia con Barbara, prima di nascosto per-

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ch lei era sposata con Sandro, pure lui in Collina, e poi alla
luce del sole, quando Barbara a Sandro laveva lasciato.
In seguito, Barbara e Sandro avevano divorziato e un anno dopo
Barbara e Ivan si erano sposati e un anno dopo ancora ero nata io
e dopo quattro anni ce neravamo andati dalla Collina e dopo un
anno eravamo tornati e dopo due mesi dal ritorno avevamo di
nuovo la casetta perch Ivan aveva ripreso il cuoco in fuga.

Alle stalle com andata?


Tutto sotto controllo. Non scappato nessuno.
Hai fatto un ottimo lavoro. Spero che i ragazzi abbiano
imparato qualcosa e si dimostrino altrettanto capaci adesso che
tu non ci sarai pi.
Perch? Cosa ho fatto?
Domani mattina ti aspetta il sarto al gabbiotto del posto
di blocco. Alle otto in punto. Non fare tardi.
Che cos?

la chiave della Croma. Ivan non se ne accorge subito. Poi, men-


tre Riccardo si allontana, legge la scritta La Collina incisa sul
portachiavi di ferro. A poco pi di un mese da quelle della casetta
ecco unaltra chiave. Ivan non ci crede, invece deve crederci. Il
ruolo pi ambito, il passo che gli cambier la vita. Lautista con
Riccardo giorno e notte, lo accompagna ovunque, incontri daf-
fari e conferenze, sempre vicino a lui, anco a anco. Ivan sar il
suo braccio destro, entrer a conoscenza della sua vita, potr os-
servarlo da vicino e da lui imparare come si fa.
Se passi cinque minuti con lui tutti chiedono: Che ha fatto Ric-
cardo?, Come sta Riccardo?, Ha detto qualcosa di me, Ric-
cardo?, immagina che succede a chi ci passa tutto il giorno insieme.
Ivan scuote il capo, poi pensa che se Riccardo un dio, allora
il suo autista un semidio, e sorride.

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Nellucio del posto di blocco, il giorno dopo, Ivan ero di
se stesso, lo dimostra il suo sguardo mentre il sarto gli prende
le misure della divisa da autista. Non una divisa tipo guar-
diano notturno oppure operaio, un vestito vero e proprio, ele-
gantissimo e blu. Ivan in piedi sullo sgabello e c pure Johnny
Il Biondo. Sta parlando con Giulio, che lo invita a raccontare
cosa successo da quando ha cominciato a farsi.
Mi chiamo Johnny e sono di Firenze.
Il sarto prende le misure a Ivan e Giulio trascrive ogni det-
taglio del racconto di Johnny su un grande quadernone dalla
copertina rigida e rossa. Ho iniziato a sedici anni quando mio
padre se n andato, e Giulio scrive. Sono stato arrestato due volte,
e Giulio scrive. Mia madre la puttana pi famosa di Rifredi, e
Giulio scrive.
Johnny si ferma, si accorto che Ivan lo sta ascoltando. Si
guardano. Johnny non saluta Ivan e Ivan non saluta Johnny,
ma di nuovo Johnny a distogliere lo sguardo per primo.
Quindi ricomincia a parlare, e Giulio ricomincia a scrivere.

Era stata unidea di Riccardo, gli era venuta da poco, una delle
sue tante intuizioni. Aveva stabilito che i ragazzi dovevano rac-
contare la propria storia a Giulio appena entravano in Collina
(Johnny e tanti altri vivevano in Collina da prima che suben-
trasse questa consuetudine, ma erano comunque obbligati a
parlare).
Passata la scimmia da poco, oppure ancora in corso, butti
fuori tutto. A chi ti ha preso, accolto e accettato racconti ogni
particolare. Riccardo fa trascrivere tutto perch tutto pu servire
prima o poi, lo ripete sempre. Bisogna farsi venire idee nuove,
soprattutto in questo periodo di cambiamenti, per fare al pi
presto il grande salto: della Collina se ne parla gi molto ma non
abbastanza, e ci che ha ottenuto no a ora non gli basta pi.

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Ivan guida la Croma con il vestito nuovo, guarda nello spec-
chietto retrovisore, si d unaggiustata ai capelli, lancia unoc-
chiata a Riccardo, seduto dietro. Sembra che dorma. Lautoradio
trasmette un programma di musica classica.
Spegni questa stronzata e vai pi veloce, devo parlare con i Poli
prima della conferenza.
Ivan accelera. Riccardo si mette dritto, Noi vogliamo diven-
tare grandi, vogliamo diventare adulti. Ivan sa che Riccardo sta
ripetendo, come fa sempre, i passaggi pi importanti del di-
scorso che terr di l a poco. Ha preso labitudine di pronunciare
quei discorsi davanti allo specchio e li ripassa anche in mac-
china, nel tragitto dalla Collina ai paesi e alle citt (soprattutto
di provincia) in cui si tengono le conferenze.
Ivan lo ascolta con attenzione, senza fare domande, aspetta
sempre che sia Riccardo a parlare per primo, non solo durante
i viaggi ma anche alle cene dopo gli incontri, quando restano
da soli, e Riccardo beve, parla, racconta, rivela qualche trucco
del mestiere. Lo chiama Il mestiere della vita, dice sempre nes-
suno perfetto ma lui vuole arrivare il pi vicino possibile alla
perfezione. Ivan lo segue, rispetto e attenzione, non si perde
nessun passaggio di quei discorsi. Riccardo parla di tutto perch
per Ivan non ci sono segreti. A parte la morte di Agostino, di
lui Riccardo non parla mai, neanche quando Ivan lo accompa-
gna a Milano, al laboratorio di analisi. Ivan sa ma non chiede.

La Collina sta crescendo, si sta espandendo, come luniverso. Ric-


cardo lo dice a voce alta nella Croma, quella frase non gli piace.
Tira fuori il block-notes e la cancella, pensa a qualcosa di me-
glio, si concentra, sta per scrivere ma costretto a interrompersi
perch si accosta una Volkswagen in corsa. Riccardo sbua, Che
rompicoglioni!
Dal nestrino della Volkswagen sbuca la testa bianca di don
Gaetano, pochi capelli al vento. Gesticola, vuole attirare lat-

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tenzione di Riccardo. Lui fa nta di niente e dice a Ivan di tirare
quello scassone di Croma pi che pu. Ivan accelera ma la mac-
china di don Gaetano gli sta addosso.
Ivan, lo sai mio nonno come li chiamava i preti e i carabi-
nieri?
Come?
Carne venduta.
Sono daccordo.

La Volkswagen stata distaccata quanto basta perch la Croma


parcheggi per prima, e con netto anticipo, nella piazza del Mu-
nicipio. Riccardo scende con leskimo addosso ( sempre vestito
con eskimo, pantaloni a coste, mocassini e maglione). Un gruppo
di persone si avvicina e lo saluta. Ivan li invita gentilmente a farlo
passare ma Riccardo vuole abbracciare quegli uomini e quelle
donne venuti n l apposta per lui. Lo dice alla piccola folla
(una ventina di persone in tutto), i genitori di alcuni ragazzi
della Collina. Riccardo li saluta e li abbraccia, nel frattempo
cerca con lo sguardo Goredo e Benedetta Poli. Li vede, fa
segno di aspettare un minuto, loro sorridono davanti alla porta
del Municipio, in compagnia dellavvocato Roberto Attico, le-
gale di ducia, giovanissimo ma gi molto conosciuto negli am-
bienti altolocati di Milano.
Riccardo li raggiunge. I Poli e lavvocato gli stringono la
mano. Andiamo.
Manca ancora mezzora allinizio della conferenza, Riccardo
vuole discutere qualcosa dimportante. Goredo dice che non
c fretta, Ne parliamo dopo a cena. Riccardo insiste, Centra con
la conferenza, e Ivan apre le portiere della Croma.
Riccardo e Benedetta Poli si siedono davanti, Goredo e lav-
vocato Attico dietro. Ivan si allontana di qualche metro per farli
parlare tranquilli, ma continua a tenere sotto controllo la situa-
zione (Riccardo gli ha detto che non deve mai perderlo di vista).

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Ivan accende una sigaretta, ne fuma met, solo adesso la mac-
china di don Gaetano si ferma nel parcheggio. Ivan sorride, li ha
staccati di quasi dieci minuti. Lautista apre la portiera e porge la
mano a don Gaetano per aiutarlo a scendere, ma il prete lo col-
pisce con il bastone. Lautista non protesta, si fa da parte. Don
Gaetano lancia unocchiata alla Croma, vede Riccardo parlare
con i Poli, entra nel Municipio dove si terr lincontro.
Il suo autista invece raggiunge Ivan. Hanno la stessa et,
ormai si conoscono bene (Riccardo e don Gaetano sono invitati
spesso insieme a quelle conferenze). Ivan gli ore una sigaretta,
lautista del prete la prende e lo ringrazia, fuma e sta zitto. Di
solito parla molto. Ivan gli chiede come va e laltro risponde
che va tutto bene, ma gi mentre lo dice scoppia a piangere, le
mani sul volto per non farsi vedere da Ivan, che gli mette una
mano sulla spalla, Cosa successo? Lautista di don Gaetano sin-
ghiozza, Mi ammazzo, fa un tiro, la sigaretta cade perch la
mano trema, Ivan la raccoglie e gliela passa, lautista di don
Gaetano fa un altro tiro e smette di piangere per un secondo,
Se continua cos mi ammazzo.

Tra il pubblico della conferenza, oltre ai genitori dei ragazzi


della Collina, siedono i Poli e Attico in prima la, due consi-
glieri comunali, un assessore, qualche curioso e pochi giornali-
sti. Ivan in piedi in fondo alla sala, con lautista di don
Gaetano, che sembra essersi calmato.
La moderatrice del dibattito presenta gli ospiti sul palco: uno
psicologo, un esperto di droghe e i rappresentanti delle maggiori
comunit dItalia, don Gaetano Barra e Riccardo Mannoni.
I due si guardano, risentito lo sguardo del prete, disteso
quello di Riccardo. La moderatrice li invita a iniziare, Decidete
voi chi vuole parlare per primo. Si danno vicendevolmente la pre-
cedenza e alla ne la spunta Riccardo, Non mi permetterei mai
di precedere un uomo di chiesa, caro don Gaetano. Il pubblico

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ride, Riccardo indietreggia con la sedia, lascia il proscenio a don
Gaetano, che gli lancia un altro sguardo, stavolta pienamente
rancoroso, prima di esporre la sua idea di comunit con un di-
scorso piuttosto breve in cui associa il messaggio di Ges Cristo
al suo lavoro di educatore.
Al termine di un tiepido applauso, la moderatrice d la pa-
rola a Riccardo. Lui si schiarisce la gola e inizia a parlare con
tuttaltro ritmo e originalit. Il pubblico segue con attenzione,
il discorso veloce, coinvolgente, Riccardo parla della vita in
comunit, dei suoi ragazzi, spiega la giornata tipo e i metodi di
recupero, basati sulla forza di volont e sul lavoro.
Ogni padre vuole che i propri gli imparino un mestiere.
Ebbene, i miei gli se ne vanno dalla Collina con competenze
speciche. Diventano falegnami, ceramisti, conciatori, restau-
ratori. Imparano a vendemmiare e a imbottigliare il vino. Il no-
stro vino, fatto con le nostre uve. Ormai considerato un vino
pregiato. Non vedrete mai i ragazzi della Collina vendere colla-
nine sulla spiaggia. Noi non vogliamo lelemosina. Noi vo-
gliamo diventare grandi, vogliamo diventare adulti.
Un grande applauso, commozione dei genitori in sala e rin-
graziamenti di Riccardo, poi linterruzione di un anziano
giornalista.
Mi complimento con lei, dottor Mannoni, per i risultati
ottenuti, che non ha esitato a elencare. Tuttavia ha dimenti-
cato... mio dovere di cronista farglielo notare... di precisare
che le altre comunit non ottengono i medesimi risultati perch
non dispongono dei fondi che ogni mese entrano nelle casse
della Collina. Donazioni che provengono essenzialmente dallo
stesso conto in banca, tutti conosciamo quale. Daltra parte, il
titolare del suddetto conto presente in sala, piazzato in prima
la, come sempre quando lei parla in pubblico. Ha inoltre di-
menticato di precisare, dottor Mannoni, che quei risultati li ot-
tiene applicando con i suoi gli, o chiamiamoli eroi per usare

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un termine da lei stesso utilizzato, metodi che qualcuno consi-
dera poco ortodossi, se non selvaggi e primitivi. Mi riferisco na-
turalmente allastinenza forzata e ad altre pratiche di cui il mio
giornale rifer anni fa, ai tempi del processo, e che mi sembra
inutile ripetere.
Ivan tiene gli occhi ssi sul palco, Fagli il culo, e Riccardo ri-
prende il microfono.
Innanzitutto non sono dottore, non avevo tempo, ma non
siamo qui per discutere della mia istruzione, ci sono argomenti
molto pi importanti. Lei ha parlato dellastinenza forzata, de-
nendola una pratica selvaggia. Allora le chiedo: secondo lei
cosa dovrei fare, imbottire i ragazzi di metadone? solo unaltra
droga, ormai risaputo. Quanto alle pratiche, come dice lei, un
tribunale le ha ritenute necessarie a gestire una situazione deli-
cata come la nostra, aermando quello che penso da sempre:
un drogato capace di intendere, ma non di volere. Occorre
trattenerlo.
Dopo aver a lungo atteso la ne del secondo applauso, in un
clima a lui ostile ( partito anche qualche schio), il giornalista
prova con un altro argomento.
In Collina non ci sono psicologi o medici specializzati, con
sucienti basi teoriche...
Con tutta la sua teoria e la sua losoa, quanti ragazzi ha
salvato dalla droga?
Non il mio mestiere.
Quanti?
Ovviamente nessuno.
Ecco, io ne ho salvati duecento in sei anni. E altri duecento
sono sulla buona strada. Quando ne avr salvato uno, almeno
uno, soltanto uno, potr parlare con me.
Ivan fa partire il terzo applauso, stavolta incontenibile. Ap-
plaudono Goredo e Benedetta Poli, applaude lavvocato Attico,
applaude malvolentieri don Gaetano, applaude il pubblico,

76
compatto. Riccardo sorride e ringrazia pi volte, Questapplauso
non per me ma per i ragazzi, fa per scendere dal palco ma don
Gaetano gli si avvicina, reggendosi sul bastone, e approtta della
confusione, gli parla allorecchio. Riccardo ascolta, poi risponde
sottovoce, Se tu mi ricatti, io ti ammazzo. Don Gaetano lo
guarda negli occhi, senza paura, Riccardo lo ignora, ricomincia
a sorridere.
Sei la nostra ultima speranza; Guariscilo tu mio glio, come
guarivi i malati di cancro; Siamo nelle tue mani.
Riccardo abbraccia tutti, stringe forte a s quei genitori che
vedono in lui la soluzione denitiva del problema, la ne della
tragedia.

Il ristorante si riempie di Buonasera dottore e Buonasera avvocato,


e i Poli e Attico, a loro agio, invitano Riccardo e Ivan a seguirli
in fondo alla sala, il tavolo rotondo, quello di sempre, Goredo
carissimo, La bellissima Benedetta, prendono posto, rispondono
con la mano allennesimo saluto. Il Ristorante da Marino come
al solito aollato e in attesa di ordinare, i Poli continuano a in-
teragire, a distanza, con gli altri clienti, gesti che dicono Ti
chiamo domani oppure Ci vediamo dopo, saluti che sinterrom-
pono allarrivo del cameriere. Al tavolo si parla sottovoce di quel
Rompicoglioni di giornalista, Riccardo dice Capisco Repubblica,
lUnit e tutta la banda dei miei coglioni, per quello un gior-
nalista di Lucio Lapido, Goredo si stringe nelle spalle, Lucio
Lapido cos, lo conosciamo, di quel che vuol scrivere scrive, c
poco da fare, discussione presto interrotta dalle noci di capesante
in sfoglia di zucchina con insalatina di taccole, letti di triglia
con quinoa croccante, sgombro in brodo di sesamo, il tutto ser-
vito con originalissimi impiattamenti in mezzo ad altri Avvocato
buonasera, si ricorda? Ma certo ma certo, e tempura di gamberi
e altre crudit, Il babbo come sta? Purtroppo morto, avvocato,
Per la miseria, Cosa vuol farci, avvocato? In eetti niente, e sin-

77
naano cena e interazioni con due bottiglie di Cristal ghiac-
ciato. Ma quello Di Marzio? Lo vuoi conoscere? Direi proprio
di s, Sanit, giusto? Sottosegretario, Avanza per, avanza, Tu che
dici, Benedetta? Presentaglielo, cosa vuoi che ti dica, Dopo per,
prima c il pesce bianco con salsa al latte di cocco e asparagi,
freddo di cipolle rosse con ostriche e pane al gorgonzola, carr
di rombo in crosta derbe con cicoria di campo, A Milano questo
posto lunico posto. Contemporaneamente ai calamari rosolati
e ripieni con passata di peperoni, arriva al tavolo il sottosegre-
tario, Caro Francesco, Carissimo Goredo, e stringe mani e in-
cassa e dispensa sorrisi e Il nostro presidente che fa? lo dice
Goredo Poli mentre vengono servite mazzancolle seppie e salsa
cocktail al mango, Il presidente sempre sfuggente anche con i
suoi, immaginate con me che non sono del suo partito, Sfuggente
come tutti i socialisti, Non sapevo che il presidente fosse socialista,
Avvocato avvocato, che linguaccia, Ma basta e basta e basta parlare
di politica, Conosce Riccardo Mannoni, Francesco? Piacere Man-
noni, Piacere mio, Riccardo d una vigorosa stretta di mano al
sottosegretario, che si massaggia e dice Sono un suo grande fan,
complimenti, vada avanti, Grazie onorevole, Arrivederci Goredo,
Arrivederci caro, un assaggio di letto di cernia e una tartare di
ombrina e salmone, un altro po di champagne e Riccardo, lhai
vista la foto del nostro avvocato con Armani? Un altro bicchiere
di Cristal e Monsignore le voglio presentare il nostro Mannoni, ne
avr sentito parlare, il monsignore annuisce e sorride ampia-
mente, lavvocato Attico si lamenta, Mi ha ripreso il male al
anco e devo fermarmi, Ma sono tutti assaggini avvocato, La verit
che non mi piaciuta la tartare, Ma quella non Lory Del Santo?
Non pare certo la Montalcini, e la bottarga di tonno con pomo-
dori cont porta con s un entusiastico Squisito davvero, e arriva
lo chef, abbraccia Riccardo ancor prima dei Poli, Riccardo
spiazzato, non lo ha mai visto prima di allora, lo chef si spiega,
In Collina avete salvato il mio fratellino, aveva quattordici anni

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quando ha iniziato, sapete, un piccolo paese della Sardegna
Anchio sono sardo, Scusa Ivan, lascia parlare, lo chef ha menzio-
nato La Collina anche durante unintervista rilasciata a un set-
timanale francese di cucina, Non lo sapevo, dice Riccardo,
Qualcuno vuole il dolce? Un coro di No grazie, a posto cos, tranne
Riccardo, che chiede cosa c, lo chef elenca e Riccardo sceglie
bign di San Giuseppe e biscottoni alle mele, Perbacco, lo chef
saluta, lascia il tavolo, Parliamo del Capodanno piuttosto? E par-
liamo del Capodanno.

Il Capodanno in Collina era considerato un evento. Quella sera


i ragazzi, e non solo Ivan, potevano bere qualche bicchiere e le
ragazze potevano truccarsi e vestirsi come volevano. Cerano
musica, balli ed esibizioni, un piccolo lampo di novit no ad
allora molto sobrio: sulle pareti uno striscione di plastica con
scritto BUON ANNO (scotch nero su fondo bianco) e basi
musicali.
Per il Capodanno di ne 84 Riccardo voleva qualcosa di di-
verso. I Poli si erano dati da fare organizzando una festa in
grande stile, costumisti e scenogra, unorchestra vera e propria,
il maestro di recitazione e limpianto dilluminazione delle
grandi occasioni. Perch il 1985 per La Collina sarebbe stato
lanno del lancio mediatico.
Proprio per questo Riccardo rimprovera a Goredo e Bene-
detta lassenza della televisione, non capisce che senso abbia aver
nanziato Tutto quellambaradan se poi la gente non vedr
cosa succede. Benedetta lo invita a calmarsi, gli ricorda che sar
presente un importante giornalista, Racconter tutta la serata per
lo e per segno, lhanno scelto apposta, scrive sul quotidiano pi
importante dItalia. A Riccardo fa piacere ma tuttaltro che
calmo, non aatto daccordo, non capisce come Benedetta
possa paragonare un testo scritto, per quanto potente, a un l-
mato. Dovrebbe sapere che oggi con due minuti dimmagini

79
televisive si ottiene pi che con un romanzo di mille pagine.
Lo so bene, per chi mi hai presa? Ho letto McLuhan e Debord, io.
Ma non posso scomodare le mie amicizie per il vostro Capodanno.
Lavvocato sorride, Ecco il punto! Riccardo corregge, Il nostro
Capodanno. Goredo fa da paciere, come sempre, Caro Ric-
cardo, sai bene quanta energia, e denaro, abbiamo riversato nella
causa. Perch riteniamo la comunit un progetto nobile e te una
persona perbene, oltre che un grande medium. Gli anni del pro-
cesso, per, sono ancora freschi nella memoria della gente.
Riccardo lo interrompe, Freschi? Sono passati cinque anni. Be-
nedetta puntualizza, Quattro. Goredo riprende la parola, Quat-
tro o cinque ha poca importanza. Televisivamente non sono molti e
noi dobbiamo muoverci come equilibristi: il ritorno dimmagine che
vogliamo rischia di trasformarsi in un boomerang che potrebbe spac-
carci la fronte. Non solo la nostra, caro Riccardo, ma anche la tua.
Riccardo vuota il suo bicchiere di Cristal tutto dun ato.
Ivan se ne accorge, fa un sorso anche lui, Posso dire una cosa? Lo
guardano in silenzio. Poi lavvocato Attico interviene, Sentiamo
cosha da dire il nostro contatto con il Paese reale.
Ivan sorride, nervoso, comincia, Credo che abbiate ragione
tutti e due. Forse per le televisioni grandi troppo presto. Ma avete
speso tanti soldi, un peccato sprecarli. Ogni lasciata persa, come
si dice. Allora... perch non fate venire una televisione locale? Non
una piccolissima ma una televisione tipo Telemondo. Non lo man-
dano in diretta, cos montano quello che vogliono... quello che vo-
lete... lo mandano uno, due, tre giorni dopo. E se capite che ne
viene fuori il boomerang, nisce l, lhanno visto quattro stronzi e
la fronte non ve la spacca. Se invece funziona, e secondo me fun-
ziona, lo vendono a Canale 5, che lo manda in tutta Italia. Credo
che cos... Eh? Che cosa dite?
Attico sorride e ripete Eh? Che cosa dite?, calcando laccento
milanese di Ivan. Goredo pensieroso, Non lo so... non lo so.
Benedetta pi decisa, Ribadisco che secondo me basta il giorna-

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lista. Ivan sta per ribattere ma Riccardo gli tocca il braccio, sotto
il tavolo. Ivan annuisce, ne parleranno pi tardi, dopo la cena,
che si avvia a conclusione in un silenzio quasi totale, a parte
qualche battuta dellavvocato, il tintinnio del cucchiaino di Ric-
cardo nei piatti con il dolce e il gorgogliare dello champagne
che Ivan continua a versare nel suo bicchiere.

E fuori, quando Riccardo dice a Ivan (sono rimasti da soli, dopo


saluti un po pi freddi del solito) che lidea ottima, Ivan fe-
lice di essergli stato utile. Lo dice barcollando e abbraccia Ric-
cardo, poi vuole aprire la porta della Croma, non trova le chiavi.
Riccardo ride, brillo anche lui. Aiuta Ivan, le trova, non riesce
ad aprire, Secondo me meglio che restiamo qui a dormire e do-
mani ce ne andiamo. Ivan lo tranquillizza ma Riccardo insiste.
Anche Ivan insiste. Va avanti cos un paio di minuti e Riccardo
inizia a perdere la pazienza, Non voglio morire come uno stronzo,
sul pi bello, solo perch il mio autista non regge un bicchiere di
champagne. Ivan si arrende, Va bene va bene. Riccardo si calma
e gli restituisce la chiave, Conosco un hotel, lHotel Sempione,
poco lontano, tra piazza della Repubblica e la stazione Centrale,
camminano, Due stelle ma pulito e dignitoso, imboccano viale
Tripoli, E non si spende molto, sono arrivati.

Riccardo ha ragione, il posto non male e il portiere di notte


gentilissimo. Appena vede Riccardo lo saluta con un sorriso,
Buonasera signor Mannoni. E solo adesso, nella hall, quando il
portiere, senza che loro aprano bocca, prende le chiavi della
stanza numero 23, Ivan scopre che Riccardo aveva gi prenotato
una matrimoniale.

piccola e anonima, carta da parati verde, un tavolino di legno,


un armadio beige, un piccolo televisore in bianco e nero, una
nestra, il letto a due piazze. Ivan semisdraiato sul piumone,

81
ancora vestito con labito blu. Riccardo nel bagno comuni-
cante, ha lasciato la porta aperta, si lava i denti con lo spazzolino
e il dentifricio dellhotel. Dallo specchio lancia qualche occhiata
a Ivan, Tu di solito dormi vestito?
Riccardo sputa nel lavandino. Ivan alza le spalle, neppure se
nera accorto, prova ad aggiungere qualcosa, E poi questo vestito
cos bello che mi viene voglia di portarmelo a letto. Si pente subito
di averlo detto, Riccardo ha sorriso. Posso fumare? Riccardo ri-
sponde di s, Fumavo anchio, lo sai, e si chiude a chiave nel bagno.
Ivan accende una Marlboro rossa, ssa la porta del bagno, fa qual-
che tiro, sente il rumore dello sciacquone. Riccardo esce in ca-
nottiera bianca, ha la camicia ripiegata sullavambraccio, i
pantaloni abbottonati, la cintura slacciata. Appende la camicia a
una gruccia nellarmadio a due ante e si toglie i pantaloni. Ivan
guarda le calze scure a rombi verdi e granata, Riccardo piega i
pantaloni, li ripone con cura sulla sedia e spegne la luce princi-
pale. Contemporaneamente Ivan accende la luce dellabat-jour.
Riccardo si mette a letto, calzini, mutande e canottiera, sinla
sotto il piumone, pancia in su. La sigaretta nita. Ivan ne ac-
cende unaltra con il mozzicone della precedente. Riccardo ha gli
occhi rivolti al sotto, Sai cosa stavo pensando? Lo dice, si volta
verso Ivan e lo guarda negli occhi, Secondo me allavvocato Attico
gli piaci. Ivan schiaccia la seconda sigaretta nel posacenere, Ma
cosa dici? Ne ha fumata pi di met in quattro tiri.
Riccardo ha ripreso a guardare il sotto, Spegni la luce. Ivan
esita. Poi esegue, spegne labat-jour. Un momento dopo sente
la mano di Riccardo che si posa sulla sua coscia. Ivan riaccende
labat-jour.
Riccardo.
Che c?
A me non mimporta di quello che fai con gli altri. Te lo
giuro, non sono moralista...
E ci mancherebbe.

82
Infatti. Ma se la cosa diventa cos non ce la faccio. Sempli-
cemente perch non mi piace. Non ti giudico, per non ce la
faccio.
Non ce la fai a fare che cosa?
Adesso non ti serve un amante. Un amante fa scenate, ca-
pricci, come faceva Agostino.
Cosa centra adesso Agostino?
Scusa, ho detto una cazzata.
Altro che cazzata, mi viene voglia di prenderti a schia.
Volevo solo dire che un amante ti crea problemi e un uomo
di ducia te li risolve. Perch io non sono soltanto un autista,
vero? Io sono il tuo uomo di ducia. Amanti ne puoi avere
quanti ne vuoi. In questo momento decisivo, come lo chiami
tu, ti servo pi come amante o come uomo di ducia?
Riccardo lo ssa a lungo, accenna un mezzo sorriso, ne viene
fuori una smora. Ivan aspetta che dica qualcosa. Riccardo non
dice niente, si alza, va in bagno, chiude di nuovo la porta.
Adesso Ivan pu spogliarsi. Toglie pantaloni e camicia, ca-
nottiera e calzini, si mette sotto le coperte, spegne la luce e
chiude gli occhi.

83
Incidenti

Una macchia rossa. Il bruciore intenso, insopportabile, arriva


dopo, insieme a un sapore dolciastro nella gola, immagino sia
sangue, lo sento che galleggia nella gola... la gola per non centra
niente con gli occhi... penso ma non parlo, per qualche secondo
fatto di rosso e bruciore e sapore dolciastro non emetto suono,
poi li tiro fuori tutti insieme, ne esce un urlo ritardatario e fortis-
simo, acuto, sottile e tagliente, una lama nel cuscino soce e si-
lenzioso che a quellora, tardo pomeriggio di ne novembre, sono
le stalle.
Quando arrivano gli altri, perch li sento arrivare, tanti passi,
tutti veloci, al rosso subentrato il nero. Non ho il coraggio di
aprire gli occhi. In mezzo al nero sento la voce di Pittore, si scusa
con Ivan, insistevo per andare alle stalle ma Ivan alle stalle non
lavora pi. Non glielo dai un bacio a zio Pittore? Mi aveva conse-
gnata a lui. I ba a punta mi avevano pizzicato, avevo stronato
con la mano, poi li avevo lasciati l a parlare, Ivan e Pittore, e mi
ero precipitata da sola nella stalla scostando la porta cigolante.
Avanzavo, passavo in rassegna le mucche e i vitelli allineati e se-
reni. Ero arrivata in fondo, cera Fiocco di neve, il nuovo Fiocco di
neve, laltro lavevano mangiato davvero, come aveva detto Bar-
bara, ma per me il nuovo era il vecchio, lo stesso vitello di sempre.
Gli avevo accarezzato il muso, mi sembrava che sorridesse, quindi
mi ero piegata per prendere la paletta gialla, avevo raccolto un
bel po di farina per animali, gliela davo da mangiare ogni giorno.

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Volevo servirlo per bene e avevo avvicinato la paletta carica, a un
centimetro dalla bocca. Fiocco di neve aveva annusato, il naso
nero, ma invece di mangiare aveva soato, forte, il suo modo di
respingere linvito. Il soo mi aveva riempito la faccia di farina
e una quantit sostanziosa era entrata nellocchio sinistro, il
lampo rosso, il bruciore, la gola, lurlo.
Quel giorno al posto della farina cera la calce, capitata l
chiss come. Testa di cazzo, che cazzo ci faceva la calce nella stalla?
Veleno si difende perch Ivan lo accusa di averlo fatto apposta,
Sapevi che mia glia tutti i giorni d la farina ai vitelli e lhai so-
stituita con la calce. Veleno nega, giura che non vero, gli dice
che pazzo. Ivan non lo ascolta, mi ha gi presa in braccio e
corre, mi porta non so dove, il bruciore aumentato, il nero
sempre nero, Ivan urla che serve del latte, sento voci lontane e
voci vicine, sento Ivan che grida contro Paride, Sei un cretino, e
gli d una pedata nel culo mentre mi tiene in braccio e corre
(Paride mi voleva bagnare gli occhi con lacqua, non sapeva che
mischiata con la calce fa presa, e addio occhio). Ivan urla di chia-
mare Daniele, le macchine sono lontane, si perderebbe ancora
pi tempo, nel frattempo arriva il latte, lo ha rimediato Pittore.
Ivan mi bagna delicatamente le palpebre, Prova ad aprire gli occhi
Valentina. Piagnucolo di no. Mi passa altro latte, Va bene, non ti
preoccupare. Le ciglia adesso sono bianche, gocciolano sulle
guance, io vedo nero per, ancora nero, non ho il coraggio di
aprire gli occhi, mi restano le orecchie, ne sento arrivare altri,
Che succede? la voce di Riccardo, poi Daniele, Deve essere ope-
rata ma qui non si pu. Riccardo dice a Ivan di portarmi alleli-
cottero, al galeone, lo chiamano cos, un punto isolato della
comunit con lerba alta tuttintorno al quadrato rasato, la lettera
H dipinta a vernice rossa, di solito atterra l lelicottero di Gof-
fredo e Benedetta Poli (come ogni weekend sono in Collina).
Sento di essere ancora in braccio a Ivan, Resisti amore mio.
Poi, Che cazzo di colpa ne ho? Barbara arrivata da poco, colpa

85
tua pezzo di merda, mentre corriamo verso lelicottero, provo a
fare no con la testa ma non se ne accorgono, sento anche lac-
cento francese e dolce di Fabienne, Tutto andr bene, che mi
piace.
Devo aprire gli occhi, fermare Barbara e Ivan, ci provo, farli
smettere di litigare, riesco ad aprire solo quello destro, la pal-
pebra sinistra come se restasse impigliata da qualche parte,
come se un chiodino la bloccasse, con locchio destro, invece,
vedo ma non vedo bene, mi sembra che ci sia uno strato sottile
di ovatta tra locchio e quello che vedo.
Sono tutti allarmati, Riccardo e Goredo, Benedetta che ordina
al pilota di avviare lelicottero e Barbara che, in corsa, prova a pren-
dermi la mano, il gruppo delle stalle che avanza, quasi compatto,
come se volessero scusarsi con Ivan no allultimo centimetro, e
Fabienne che mentre avanza si blocca di colpo, si volta e si avvia
nella direzione opposta al gruppo che procede verso lelicottero. Il
passo di Fabienne svelto, ma non corre, e subito dopo non la vedo
pi perch mi fanno entrare, lelica agita i capelli.
Nellelicottero possono salire in due, oltre a me e al pilota, sal-
gono Barbara e Benedetta Poli, che si ore volontaria. Riccardo,
Goredo e Ivan ci raggiungeranno in macchina a Milano. Mi
stanno portando in una clinica famosa, specializzata, Barbara e
Benedetta mi stringono una mano ciascuna, mi lamento e con-
tinuo a tenere locchio destro aperto. Barbara mi dice parole dolci
allorecchio, un po mi rasserena, con locchio buono guardo
lerba alta che si fa sempre pi piccola, voliamo oltre le vigne,
dove intravedo Fabienne, minuscola, che adesso corre veloce.

Studiava la situazione da settimane, da quella cena a mensa,


quando il discorso di Riccardo laveva convinta che lunico
modo di andarsene era la fuga. Fabienne aspettava solo il mo-
mento giusto e il mio incidente, lo ha intuito mentre correva
con Barbara verso lelicottero, era proprio il momento giusto.

86
Nellerba alta la proteggono i jeans, almeno parzialmente, da
spine e ortiche. Si sente comunque pungere le mani, tra qualche
ora avr prurito, escoriazioni e ferite, oppure sar ripresa e pu-
nita, non fa niente. Fabienne vuole tornare alla vita vera. Deve
essere lei a decidere se smettere o meno, o forse lo decide
leroina, di certo non pu deciderlo Riccardo.
La recinzione composta da sbarre grigie alte tre metri. Ter-
minano a punta, metallo arrugginito e spesso. Fabienne si ar-
rampica, scivola, si asciuga le mani sulla camicetta a righe, si
arrampica di nuovo e scivola di nuovo, prova a passare tra le
sbarre strettissime, magra ma comunque non ce la fa. Cambia
tattica, cerca un punto meno dicile da superare, ricomincia a
correre, ha sentito dire che il cuoco e il suo amico sono stati
bloccati proprio al recinto, non pu farsi prendere anche lei.
Corre e passa di anco ad altre sbarre, decine di metri di sbarre.
Si ferma e riprende ato, si fa forza, ne aerra due vicine ma
non consecutive, cos, tendendo le braccia, potr darsi una
spinta maggiore, si tira su, la schiena dritta, si blocca a mezzaria
come se facesse esercizio con gli anelli, stringe i denti e si d
unaltra spinta, scivola, perde qualche centimetro ma non molla,
un altro colpo di schiena, le sembra che si spezzi, resiste, ancora
uno sforzo, adesso in cima, fa perno su se stessa per scavalcare,
in quel momento che lo sente, il dolore la fa urlare, crede sia
stato un proiettile, poi si accorge che la punta di una sbarra lha
ferita sulla coscia sinistra. Fabienne non riesce a contenere un
urlo ma deve recuperare la calma, stare zitta, sospesa lass,
met dentro e met fuori, non pu tornare indietro proprio
adesso. Si solleva, poi scivola gi, atterra e cade, le spine sul
volto e sulle braccia, il sangue.
Ma Fabienne dallaltra parte.
Si mette in piedi, zoppica, si trascina oltre i campi, sulla
strada asfaltata, la camicetta ricoperta di sudore, una striscia
rosso scuro sul lato sinistro dei jeans.

87
La strada il punto pi pericoloso, ogni macchina che per-
corre la salita pu venire dalla Collina o andare in Collina. Ap-
pena sente un motore, Fabienne si nasconde nel canaletto di
scolo che separa lasfalto dalla campagna. La macchina passa,
riemerge dal canale, al sangue e al sudore si mischiata lacqua
sporca. Manca poco ed in discesa, il bivio, guarda a destra, a
sinistra. Di nuovo a destra. Distante non pi di cinquecento
metri sintravede una villetta isolata, il piano terra ultimato, il
secondo ancora in costruzione.

Apre la porta un uomo in pantaloni di velluto e camicia di anella,


guarda Fabienne da capo a piedi, non sembra sorpreso di vederla.
Lei lo supplica di farla entrare. Alle spalle delluomo fanno capo-
lino una donna di mezza et e due gemelli sui dieci anni. Per fa-
vore, Fabienne si rivolge alla donna, che per si allontana quando
luomo le fa segno di andare.
Da dove vieni?
Dalla Collina. una comunit...
Lo so che cos.
Ho bisogno di aiuto.

Fabienne si lava il viso, mette la testa sotto al rubinetto aperto,


acqua fredda, si lascia colpire la nuca dal gettito forte, pettina
allindietro, con le mani, i capelli lunghi e bagnati, la gamba fa
male. Senza bussare entra la donna con un bicchiere dacqua,
Fabienne lo beve tutto dun ato, la donna estrae dalla tasca
una scatolina di metallo, prende ago e lo, tira fuori da una
busta di plastica un pantaloncino, una maglietta e un paio di
mutandine. Tutto bianco, pulito. Fabienne si spoglia, indossa
la maglietta pulita, si cambia le mutandine, di spalle alla donna
che nel frattempo sterilizza lago con un accendino. Poi disin-
fetta la ferita di Fabienne, acqua ossigenata e ovatta, la richiude
con otto punti di sutura, reggono, Fabienne si lamentata solo

88
al primo. La donna ripone ago e lo nella scatolina, senza par-
lare esce dal bagno e chiude la porta.
Fabienne indossa anche il pantaloncino e resta seduta sullo
sgabello, si riposa, aspetta, non succede niente, allora si alza,
vuole uscire, si avvicina alla porta, mette la mano sulla mani-
glia, sente una frenata che proviene dallesterno, si volta di
scatto, sente ruote strisciare sullacciottolato del vialetto. Ab-
bassa la maniglia, la porta chiusa a chiave, prova di nuovo ad
aprire, Che cazzo succede? Non riceve risposta, sente luomo e
la donna discutere, sente uno dei gemelli che frigna e laltro
che ride e lo prende in giro. Luomo ordina silenzio, la donna
continua a parlare in un dialetto che Fabienne non conosce e
non capisce.
Il bagno senza nestre, c solo un piccolo obl, troppo
piccolo per uscire. Allesterno non si vede quasi niente ma si
sente distintamente il rumore di unaltra frenata. Nello sportel-
lino di anco allo specchio c una boccetta di Valium quasi
piena, Fabienne la inla in tasca. Dopobarba e schiuma Denim,
collirio, una confezione da sei di lamette Gillette. Ne sono ri-
maste solo due, ne prende una e toglie il coperchio di plastica,
la stringe come un pugnale, si nasconde dietro la porta, che
viene spalancata pochi secondi dopo. Fabienne esce dal suo na-
scondiglio e sferra un colpo con la lametta. Pittore urla e cerca
di fermare il sangue, Fabienne si butta fuori dal bagno sca-
gliando colpi alla cieca ma viene immediatamente bloccata da
un muro di cinque persone, dieci mani. Le braccia di Fabienne
si muovono senza colpire nessuno, Veleno la blocca, Ciacione
la disarma, Paride le tappa la bocca perch sta urlando. Il pa-
drone di casa spalle al muro, nel corridoio, non fa niente no
a quando non vede sua moglie che vuole intervenire. Luomo
la prende e la porta di forza in camera da letto, dove si sono gi
rifugiati i gemelli. Adesso quello che rideva sta zitto, luomo li
chiude dentro, la donna batte forte i pugni contro la porta.

89
Luomo si scansa per far passare il gruppo delle stalle. Fabienne,
denitivamente bloccata, trascinata via.
Veleno mette una mano sulla spalla delluomo e gli porge
una banconota da centomila lire, Un presente da parte di Ric-
cardo. Luomo riuta, Veleno alza le spalle, Meglio cos, rimette
la banconota nel portafoglio ed esce.
Luomo va nella stanza da letto, i bambini sono in piedi e
guardano la madre, sta piangendo. Luomo le ordina di smet-
terla, lhanno deciso insieme, vero o no? Rispondimi.
Lhanno deciso insieme di avvisare La Collina quando tro-
vano un ragazzo che scappato, possono dare una mano, chi
meglio di loro che abitano cos vicini. Lhanno deciso insieme,
vero, entrambi colpiti dalle parole di Riccardo, lette sul gior-
nale: Bisogna fermare i ragazzi che scappano per ritornare tra le
braccia della morte. Sono daccordo con Riccardo, sia luomo
sia la donna, che per adesso urla contro il marito, Ma lhai
visto come lhanno trattata? Luomo non risponde, scosta la tenda
bianca e merlettata della nestra: quelli delle stalle continuano
a trascinare Fabienne, lei punta inutilmente i piedi sul vialetto,
nisce nella prima delle due macchine, lAlfa delta integrale.
Sul sedile posteriore la trattengono Paride e Carmelo; alla guida
c Ciacione; di anco a lui Veleno. Nella Panda 4X4 salgono
Pittore e Tito. Fabienne prova unultima volta a ribellarsi, an-
cora trattenuta. Veleno incrocia il suo sguardo nello specchietto
retrovisore. Ciacione parte quando Fabienne prova a colpirlo,
Veleno si volta tranquillo e con uno schiao a mano aperta le
spacca le labbra.

Il mio unico occhio non bendato mette a fuoco dal divano


dellentrata lo specchio lungo e stretto che riette Barbara in-
cazzata e Ivan che si fa il nodo alla cravatta.
Io la trovo, e quando la trovo...
Che fai?

90
Vi denuncio.
E io che centro? Mica cero io quando scappata...
Tu centri eccome.
Ti giuro che non centro. E ti giuro che non so dov.
Ivan ha sbagliato il nodo e deve ricominciare daccapo.
E sono pure di fretta.

Quel vestito davvero bellissimo, gli casca addosso alla perfe-


zione, merito del sarto ma anche merito di Ivan, gli sta bene
tutto quello che mette, anche per questo Riccardo se lo porta
sempre in giro e ormai alle conferenze lo fa pure salire sul palco.
Ivan il suo capolavoro.
Ieri cera una piccola troupe, venuta in comunit per docu-
mentare i miracoli di Riccardo Mannoni. Non era proprio te-
levisione, erano due giornalisti, amici di Goredo Poli. Hanno
intervistato i ragazzi, hanno parlato in tanti, tutti felici di essere
l, poi Riccardo ha accolto nellucio un nuovo arrivato. Da-
vanti a lui e alle telecamere ha telefonato a sua madre, Signora
stia tranquilla, qui con me, al sicuro. Riccardo si messo in
ascolto e poi ha ripreso, Per devo avvertirla che se suo glio vuole
andar via io far di tutto per trattenerlo, in qualunque modo,
meglio dirlo prima. I documentaristi riprendevano e il ragazzo
in scimmia assisteva con gli occhi lucidi. Voglio che lei mi dia il
suo permesso, signora, e in quel momento ha messo il vivavoce e
si sentita la donna che piangeva, Non se ne deve andare n
quando non guarito. Il ragazzo si commosso, Riccardo ha ga-
rantito il suo impegno e ha riattaccato.
I documentaristi sono usciti con lui, hanno inquadrato i
campi e i cavalli, gli alberi e i vitelli, hanno ripreso i ragazzi al
lavoro nella macelleria, nella vigna, in pellicceria e in porcilaia,
fotolito, manutenzione e conceria.
Hanno intervistato anche me, ero un po in imbarazzo per
questo cavolo di occhio bendato, ma quello che volevo dire lho

91
detto, Io dalla Collina non me ne voglio andare mai pi.
Ero felice di parlare perch mi piace essere ripresa dalla tele-
camera, Ivan mi riprende sempre a casa con la Panasonic che i
miei nonni gli hanno regalato per il suo compleanno. Lui mi
riprende e io faccio le smore, mi schiaccio la punta del naso
con il dito e tiro in dentro le guance come un pesce. Un tempo
incrociavo pure gli occhi, quando erano tutti e due liberi.
Ora ne funziona uno solo, locchio destro, ma pare che sia
salvo pure il sinistro, hanno fatto giusto in tempo, il viaggio
stato brevissimo, e durante quel po di tragitto Barbara era dolce
con me, non era mai stata cos dolce, avevo paura e glielo di-
cevo. Non devi aver paura se con te c la mamma.
Hanno detto che mi era salita la febbre a quaranta in dieci
minuti, Barbara mi diceva di parlare piano e ogni tanto guar-
dava Benedetta Poli che chiacchierava con il pilota dellelicot-
tero, provavo ad ascoltare cosa dicesse, non ci riuscivo,
confondevo le parole.
Siamo arrivati a Milano, sul tetto dellospedale ci aspettava
una barella, mi hanno fatto una siringa, le gambe piano piano
sparivano, si staccavano dal corpo, poi le braccia, nello stesso
modo, mi sembrava che si sbriciolassero.
Mi sono addormentata. Mi hanno operata. Mi sono svegliata.
Goredo Poli ha rilasciato unintervista con Benedetta, un
miracolo. Erano di anco al lettino, dopo loperazione andata
bene. Avevo caldo, avevo freddo, un occhio bendato e un oc-
chio libero, quello che dal divano dellentrata della casetta nu-
mero 7 continua a seguire la scena dellennesimo litigio tra
Barbara e Ivan.
Ancora non mi preoccupo delle conseguenze, non considero
la possibilit di una separazione. Litigano come litigano tutti,
punto e basta. Come hanno litigato ieri, nel cortile, quando Ivan
mi fumava di anco e io gli ho detto di stare attento, Se mi bruci
laltro occhio divento cieca. Non lho fatto apposta, c rimasto

92
male, si sentito in colpa, allora stato vicino a me tutta la sera,
nch non mi sono addormentata e ho fatto il solito sogno della
spiaggia, dove arriviamo io e Barbara, il mare agitato, lei si
stende a prendere il sole, io faccio un castello di sabbia, poi al-
limprovviso sono dentro a una buca, lho fatta io stessa. Barbara
si sporge e mi chiama, arriva il vento forte, i suoi capelli si sciol-
gono, la guardo, un fascio nero viene dalle nuvole, la investe e
alla ne il vento se la porta via, la trascina lontano, non so dove.
Io resto nel fosso, non riesco a uscire, non posso fare niente per
aiutarla, posso soltanto sperare di svegliarmi.
Ma neanche svegliarsi serve a niente perch la notte succes-
siva dovr dormire di nuovo e rifar lo stesso sogno, pi o meno
uguale. Da quando ho avuto lincidente, a parte pochi dettagli,
lo faccio sempre identico. Come ieri notte, anche se ero pi
tranquilla, Ivan mi teneva per mano e mi cantava sottovoce can-
zoni famose cambiando le parole per farmi addormentare.
Mi ha comunque svegliata il sogno. Il sudore mi aveva stac-
cato la benda, non ho il coraggio di guardarmi allo specchio, fa
impressione locchio appiccicato, chiuso dalle medicine, le po-
mate me le mettono due volte al giorno, la sera e la mattina,
non voglio metterle e urlo, una tragedia tutte e due le volte. Ma
al mattino urlo pi forte, consumo troppe energie e crollo in
un sonno nalmente senza sogni di spiagge e vento.
Cos quella mattina, sul divano. Poi mi ero svegliata, li avevo
trovati allo specchio che litigavano di Fabienne.
Pregate che non le succeda niente.
Ancora? Ma si pu sapere che deve succedere?
Quello che successo a Daria, per esempio.
Daria stata ostile n dallinizio. Riutava il cibo. Che do-
vevano fare? Lasciarla morire di fame?
No, ma neppure adarla a quel bastardo di Ciacione per
due settimane.
Smettila che la bambina ti sente.

93
Meglio. Cos non diventa una decerebrata come la maggior
parte di quelli che stanno qua dentro a leccare il culo a lui.
Ti ho detto smettila che la bambina ci sente.
Smettila tu e guardami in faccia quando parlo. Pensi solo
a queste cazzate.
Non sono cazzate. Un nodo fatto bene la prerogativa di
ogni comunit di recupero che si rispetti.
Smettono per un momento, ma sono sicura che andranno
avanti tutto il giorno. E infatti Barbara ricomincia.
Guardami negli occhi, sono stufa di chiedertelo.
Non lo so dov Fabienne ma sono sicuro che sta in Collina
e la stanno curando. Qui al sicuro. Il pericolo fuori.
Mi fai ridere, ti giuro, ma purtroppo non c niente da ri-
dere. Non capisco se parli sul serio o se mi vuoi prendere per il
culo. E sarebbe meglio la seconda.
Il nodo della cravatta perfetto, pronto il pirata di pap?
Mi butto gi dal divano, mi avvicino a Ivan ma Barbara mi
ferma, Non ti muovere, sto ancora parlando con tuo padre.
Guardo Ivan, mi dice di non ascoltarla, Andiamo, esito ancora,
guardo Barbara, guardo Ivan, loro ssano me, arrivo nel salone,
ancora qualche secondo e alla ne vado da Ivan. Lui mi avvolge
con il braccio, Barbara scuote il capo, Bravi, bella coppia, poi fa
per uscire ma Ivan la ferma sulla soglia, Daniele. Lo dice piano,
sottovoce. Barbara non capisce. Ivan ripete, Chiedi a Daniele.

Come si gestisce un divorzio in Collina? restano tutti e due? io


con chi vado se uno parte? e se restano tutti e due, la casetta
numero 7 a chi rimane? e io continuo a vivere nella casetta?
spero di s, ma con chi?
Pu anche darsi che non si separino, allora resteremo in ca-
setta tutti e tre. Ivan che mi porta a giocare e Barbara che mi
tiene ferma se sta parlando, devo starla a sentire, a forza di
strattoni.

94
Fuori non esistono gli orari come quelli che ci sono qui e
non esistono le mezze porzioni della mensa. Te lo ricordi, vero?
E lo sai che fuori non credono in Riccardo ma credono in Dio?
Tu non credi in Dio.
Io non ci credo, ma la gente ci crede. In un Dio o nellaltro.
Per nessuno crede a Riccardo. Perch Riccardo non Dio.
Quindi Dio non esiste?
No... Cio, non lo so... Ma di sicuro non Riccardo.
E chi Dio, come fai a dire che non esiste?
Non lo so, ma di certo non Riccardo.
E allora chi Riccardo?
Riccardo un uomo, un essere umano e basta, come me e te.
Seee, vabb.
Vabb cosa?
Niente.

Barbara cammina veloce lungo il viale dei pini, evita le pozzan-


ghere, arriva al pronto soccorso, entra senza bussare. Daniele
sta auscultando il torace di un ragazzo che non avr pi di quat-
tordici anni.
Dov?
Daniele le fa segno di aspettare. Barbara non vuole aspettare,
Portami da lei. Daniele capisce che meglio accontentarla su-
bito. Sorride al ragazzo, Tutto a posto, stai bene. Il ragazzo si ri-
veste ed esce dopo aver lanciato unultima e ancora pi
interrogativa occhiata a Barbara. Lei lo ignora e dice a Daniele
di fare in fretta. Lui ripone lo stetoscopio nella borsa di pelle
marrone:
meglio se la vedi tra un paio di giorni.
Voglio vederla ora. Adesso. Subito.
Daniele la precede fuori dal pronto soccorso e aspetta che
esca anche lei. Poi chiude la porta, la guarda negli occhi, Io ti
ho avvisata.

95
Decapitazione del vecchio

Festoni di carta ritagliati e intrecciati, stelle lanti, palloncini


pieni di coriandoli. Alle spalle del palco, raddoppiato in lungo
e in largo, la scritta BENVENUTO 1985, per il momento na-
scosta, assemblata con lampadine rosse, arancioni, gialle, verdi,
blu, indaco e violetto. Le pareti riempite di murales con un gi-
rotondo di omini e cuori che si tengono per mano. I tavoli uniti
e disposti in modo da formare, al centro della sala, ununica
grande C: la C di Collina.
unoccasione decisiva, Riccardo lo ha detto nel discorso u-
ciale per linizio dei preparativi del Capodanno, un mese fa,
quando ha raccolto tutti in sala cinema: La televisione mostrer
ci che siete in grado di fare: non il vostro recupero ma la vostra
competenza, non la vostra riabilitazione ma il vostro talento. Tutto,
e dico tutto, deve essere perfetto.
Fuori piove ma non me ne accorgo, guardo a bocca aperta
la mensa trasformata, sono travolta dai colori ma soprattutto
dai rumori e dalle voci. Lagitazione dei ragazzi, vogliono che
tutto sia perfetto allarrivo di Riccardo e delle telecamere. Faccio
capolino nelle cucine, non posso entrare, dovrei essere con gli
altri bambini, sono seduti in cerchio in un angolo della mensa.
Ma non voglio perdermi quel viavai trascinante: si aetta, si
condisce, si accendono e si spengono i fornelli, si danno e si ri-
cevono ordini. Tutti indaarati e collaborativi, ovunque si met-
tono da parte le invidie. Sabrina la chiamano La cocca, appena

96
arrivata e gi collocata nel posto cos ambito di aiuto-cuoca. Sa-
brina che adesso mette in frigo una torta a quattro piani, una
specie di torta nuziale, solo che al posto degli sposi, in cima, si
libra in volo un grande angelo di zucchero. Spalanca le ali.

Raggiungo gli altri bambini, sono vestiti da angioletti come me,


i maschi di celeste e le femmine di rosa, il primo dei due co-
stumi della serata. Questi sono per la foto, verr scattata tra
poco. Domani compariremo su un giornale importante, mi ha
detto Ivan, e insieme al fotografo c anche un cronista dello
stesso giornale che scriver larticolo.
Mi siedo vicino a Gennaro. Un bambino veneto sta dicendo
che Riccardo il giorno prima lha incrociato allasilo e gli ha
fatto una carezza, Proprio una carezza, e poi a suo padre, Come
va il nostro campione?
Gli altri fanno una faccia da niente male. Non mi scom-
pongo. Una bambina di Orvieto giura che Riccardo una volta
lha presa in braccio, lha sollevata, lanciata in aria e poi ripresa.
Non capisco, con me lha fatto un sacco di volte, ma per il mo-
mento continuo a star zitta perch poi viene il turno di Gen-
naro, che si alza in piedi e tira su col naso, A me Riccardo mi ha
resuscitato.
Non ci vedo pi, Ti ha guarito soltanto, non ti ha resuscitato,
e passo al contrattacco, Comunque nessuno dei vostri padri lavora
con Riccardo e sta tutto il giorno con lui. Se la sono cercata,
quando sono arrivata avrebbero dovuto interrompere la gara,
n dallinizio non cera storia, A nessuno Riccardo vuol bene
quanto a lui.
Stanno zitti, abbassano lo sguardo, la mia vittoria allultimo
minuto: ci chiamano per la foto.
Due le, un maschio e una femmina, un angelo rosa e un an-
gelo azzurro. Siamo pronti, il fotografo scatta, i bambini si di-
sperdono, io non mi muovo, il fotografo li ferma, Ancora qualche

97
scatto. Sospiro, logico, Mica un giornale importante fa solo una
foto. Gennaro si rimette in posa controvoglia. Seguono pi di
venti click. Poi ci lasciano liberi.

Ivan si tiene a braccetto con Pittore e altri tre ragazzi, anche


loro in la, ripresi con una super8 dal padre di Gennaro, che li
inquadra mentre fanno avanti e indietro. Percorrono la mensa
in lungo e in largo a grandi passi. Chiedo a Ivan cosa stiano fa-
cendo e lui senza fermarsi mi dice che fanno il passo di Pippo
Baudo, Come limitazione del Drive-in. Si diusa la voce che
ci sarebbe stato anche lui, Pippo Baudo in persona, una pre-
senza garantita da Ted Harper, famoso dj televisivo e radiofo-
nico, che dinoccolato sta vagando per la sala.
Ted passa il Capodanno con noi ma non viene solo per le
feste, si vede molto spesso, da tempo segue e promuove Il sogno
di un uomo, come lo chiama lui dal 1979, prima visita in co-
munit, e da quel giorno viene in Collina appena pu, non
come un qualunque ospite famoso ma come Un militante
(auto-denizione), sempre pi innamorato di Riccardo, Un
uomo a cui il Paese tutto dovrebbe essere grato, insistendo su que-
sto Molto italiano sentimento dellingratitudine, tasto su cui
batte anche adesso, nella mensa addobbata a festa, quando gli
si avvicina una telecamera di Telemondo, per il momento lunica
emittente in sala, le telecamere gi in funzione.

Corro a sedermi vicino a Ivan, sono rimaste poche sedie libere,


i trecentoventidue ragazzi della comunit pi qualche ospite
sono gi tutti seduti, tranne i sedici impegnati in cucina e
tranne Barbara. Le tengo il posto ma ancora non c, Chiss se
arriva. Ivan mi dice di s, se non c mi dispiace, Alla ne arriva.
Guardo la madre di Gennaro, gli soa il naso, rido, se ne
accorge, con la mano allontana il fazzoletto. Ivan inizia a rac-
contare una storiella divertente che parla di una rana. La madre

98
di Gennaro lascia stare il fazzoletto e ascolta come gli altri, che
gi ridono ancor prima del nale. Ivan si accorge che stiamo
ascoltando anche io e Gennaro, Tappatevi le orecchie. Capisco
che la storia prevede qualche parolaccia e ascolto ancora pi at-
tentamente. Allora Ivan in alcuni passaggi abbassa la voce, no
alla battuta nale, non la capisco ma ridono tutti quelli a cui
arrivata la storia. Ride anche la madre di Gennaro, ride e guarda
Ivan in un modo che non mi piace, ma la capisco, il padre di
Gennaro brutto e pelato, e continua a ridere e a guardare Ivan
anche quando arriva Barbara. Che ti avevo detto? Si siede tra me
e Ivan, sulla sedia lasciata libera per lei, ma non tutto, c di
pi, si lascia abbracciare da Ivan senza opporre resistenza. Lui
le chiede come sta e Barbara risponde che sta un po meglio ma
ancora non mangia. Non so di chi stiano parlando ma limpor-
tante che Ivan labbracci di nuovo e di nuovo Barbara si lasci
abbracciare. Ha bisogno di calma, un paio dore di tranquillit
servono anche a lei. Mi sorride, Sei pronta per il balletto? Mi fa
una carezza. Sono pronta, s. Barbara riempie un bicchiere dac-
qua, beve e guarda davanti a s, il viso quasi del tutto ricoperto
dalla plastica. Riesco per a vedere gli occhi. Come qualche
mese fa, la sera in cui siamo arrivati, ssano qualcosa, un punto
lontano, che ancora non so decifrare.

Fuori ha smesso di piovere, dentro si spengono le luci.


Fischi dei ragazzi, un accenno di applauso, segue un silenzio
di dieci secondi, poi il suono di un violino. Ci voltiamo tutti
in direzione del palco, un occhio di bue illumina Berta, la re-
sponsabile delle animatrici. Sillumina anche il resto del palco.
Venti ragazze vestite di bianco. Il coro della Collina. Lo dirige
Giulio. Via con la bacchetta e ragazze e violino iniziano Imagine,
per in italiano. Rispettoso silenzio, totale, tanto che posso sen-
tire Barbara, In italiano fa cagare, e Ivan, Dai, per favore. Ma
subito dopo, In eetti fa cagare, ammette.

99
Le ragazze a me sembrano bravissime, dal mio posto vedo
gli occhi lucidi di quasi tutte loro, una commozione che con-
tagia anche chi ascolta e che diventa incontenibile quando alla
ne della canzone parte un grande applauso.
Altra musica, stavolta non solo il violino. Durante lesibi-
zione salita sul palco unorchestra di ventotto elementi. At-
taccano lInno alla gioia, si riaccendono le luci.
Riccardo e sua moglie Adele, Goredo e Benedetta Poli, lav-
vocato Attico e Ted Harper. Sono tutti vestiti in maniera piut-
tosto semplice (lidea degli smoking e degli abiti da sera stata
scartata allultimo momento in favore di un abbigliamento pi
discreto). Le telecamere li cercano e li inquadrano, il giornalista
prende appunti, i nuovi arrivati salgono sul palco. Vedo un fo-
nico correre e porgere il microfono a Riccardo. Batte due colpi.
Lapplauso continua ma diminuisce. Riccardo batte altri due
colpi sul microfono e si dionde il silenzio generale, lo stesso
che a ogni pranzo e cena segue quel suono. A breve arriver un
rimprovero, forse la punizione, Chiss stavolta a chi tocca. Per-
sino quella sera, una sera di festa, i ragazzi reagiscono ammuto-
lendo. La tensione nella sala si sente, si tocca, latmosfera si
ribaltata nel giro di qualche secondo, dalla gioia (e relativo inno)
alla paura. I Poli, Attico, Adele e Ted Harper si accorgono che
qualcosa non va, Riccardo si aretta a parlare, Buonasera a
tutti... Siamo felici e eri di aver organizzato questa serata... Parlo
anche a nome dei miei ospiti.
Frasi di circostanza che per riportano lentamente la situa-
zione alla normalit. I ragazzi si tranquillizzano a vicenda, i Poli
ricominciano a sorridere, Harper alza il pollice in direzione delle
telecamere, entrambe puntate su Riccardo, che adesso pu par-
lare liberamente, Ringrazio innanzitutto Benedetta e Goredo
Poli, perch hanno reso possibile questa splendida serata: la sceno-
graa e i costumi, le coreograe dei balli a cui assisteremo a breve,
le luci e le decorazioni. Quindi vi dico grazie. Per la generosit,

100
nota ma discreta. So che condividete il mio sogno ed per questo
che da anni lo sostenete, da illuminati benefattori che non sban-
dierano ai quattro venti il loro altruismo. Grazie Benedetta, grazie
Goredo: benefattori senza clamori.
I Poli invitano alla calma, lapplauso invece aumenta sempre
di pi, sia dintensit che di volume. Poi Riccardo introduce
anche lavvocato Attico, Nonostante la giovane et uno dei pi
stimati legali dItalia. Lavvocato si fa passare il microfono, Si-
curamente il pi bello, e Riccardo se lo riprende senza troppi
complimenti per salutare Lamico Ted, che non ha bisogno di
presentazioni.
Alla fine augura a tutti Buona fine e buon inizio, poi scende
dal palco, seguito dai Poli, dallavvocato e da Adele. Solo Har-
per non scende, prende il microfono e parla velocemente, con
un po dimbarazzo, Ho sentito Baudo al telefono: vi saluta
tutti... un grande abbraccio... ma purtroppo non potr essere dei
nostri.

Sul giradischi collegato alle casse gira Their Satanic Majesties Re-
quest degli Stones, prima traccia del lato due, Shes a Rainbow.
Lha voluta Riccardo, che adesso insieme agli altri prende posto
dove capita. Non hanno un tavolo speciale. Si siedono in mezzo
ai ragazzi, sono tra i ragazzi, mangiano quello che mangiano
loro, gnocchi e vitello (adulto, mi rassicura Ivan), le nostre ver-
dure e il nostro vino.
Ivan alza il bicchiere pieno no allorlo e grida, Viva gli sposi.
Sembra davvero un matrimonio, di quelli importanti, il glio
di un ambasciatore o di una contessa, quattrocento invitati e
un padrone di casa famoso che dispensa abbracci a favore di te-
lecamera, riempie calici, propone brindisi in rima, saluta tutti,
sorride a tutti e da lontano attira a gesti lattenzione di Ivan,
che subito lo raggiunge e lo abbraccia. Li vedo parlare, ridono,
si avvicina anche Pittore, Riccardo gli d una pacca sulla spalla

101
cos forte che gli fa rovesciare il bicchiere. Ivan scoppia a ridere,
il vino nito sui pantaloni di pelle di Ted Harper, incazzatis-
simo. Ivan gli d una spinta scherzosa, Harper non smette din-
cazzarsi. Riccardo gli fa notare di essere inquadrato. Ted si
calma, sorride malvolentieri, si siede ma volta le spalle a Ivan e
Pittore. Loro continuano ad abbracciarsi e fanno il brindisi in-
crociato, quello degli sposi, appunto, e a me viene da ridere,
continuo a guardarli no a quando sulla sedia di Ivan non si
siede Lorenzo, che non avevo mai incrociato prima di allora
perch sta sempre chiuso nella fotolitograa.
Lorenzo discute con Barbara, sento lei soltanto, Ne parliamo
domani. Ivan sta tornando. Lorenzo gli restituisce il posto e lo sa-
luta con un ciao sbrigativo. Ivan non risponde. Lorenzo si allon-
tana, fa per uscire dalla mensa, immediatamente Veleno lo aerra
per la maglietta (uscire prima della ne della festa assolutamente
vietato). Lorenzo si libera dalla presa, estrae dalla tasca un certi-
cato medico rmato da Daniele, Neppure dovrei essere qui. Ha
crisi dasma da tre giorni e non pu stare in luoghi fumosi (quella
sera a mensa era consentito fumare). Veleno gli strappa il foglio
di mano e d unocchiata. Lorenzo si mostra sorpreso, Non cre-
devo che sapessi leggere. Veleno alza il pugno, nge di colpirlo, si
ferma a un centimetro dal suo volto. Lorenzo non si scompone,
riprende il foglio e se ne va, seguito dallo sguardo di Veleno ma
anche da quelli di Ivan e Barbara. Hanno visto tutta la scena e
adesso che Lorenzo uscito si guardano tra loro. Barbara abbassa
gli occhi. dicile reggere lo sguardo di Ivan quando cos duro.

Le quattordici esibizioni previste sono state preparate con cura


maniacale. Un maestro di recitazione, un maestro di canto e un
coreografo, tutti e tre esterni, hanno chiesto un budget e un com-
penso altissimi. Daltra parte hanno lavorato con i ragazzi per un
mese, anche con noi bambini. Adele fa il giro della Grande C e a
ciascuno di noi dice di seguirla dietro le quinte del palco.

102
Tra poco riprodurremo la famosa scena di Fantasia, i bam-
bini pi grassi vestiti da struzzi e noi pi magri da ippopotami
ed elefanti, unaccortezza della stessa Adele, che continua a in-
citarci durante il cambio dabito, mentre va in scena il primo
numero della serata, un assolo di chitarra di un ragazzo triestino
(una promessa mancata della scena Blues degli anni Settanta);
segue un imitatore bravissimo; il terzo numero la scena madre
di Romeo e Giulietta, eseguita alla perfezione dalla glia del giu-
dice Salvati (assente perch odia la pubblicit) e da Johnny Il
Biondo, che recitando incrocia lo sguardo di Sabrina, uscita
dalle cucine per vederlo esibirsi, e dimentica la battuta, riu-
scendo poi a riprendere le la del suo monologo per portarlo a
conclusione con successo.

Finalmente tocca a noi, sono pronta, partono gli archi, entro


in scena per prima, da sola, lippopotamo col tut, ho provato
e riprovato, nonostante il mio occhio cos cos. Ballare su quel
palco la cosa pi naturale del mondo, gli applausi non mi
emozionano, anzi mi caricano. Adesso mi hanno raggiunta gli
struzzi, gli elefanti e gli altri ippopotami, ci muoviamo bene, il
coreografo ci segue con attenzione e annuisce guardando Adele,
mentre i cameraman girano intorno al palco per tutta la durata
del numero, dieci minuti buoni.
Alla ne ci inchiniamo, ringraziamo il pubblico per lap-
plauso, conto sedici inchini. Gli altri bambini lasciano il palco
quando un tecnico porta il microfono per il numero successivo.
Io decido di restare, faccio un piccolo salto e aerro il micro-
fono. Mi guardano tutti, qualcuno ride, qualcuno sorpreso,
Barbara preoccupata, non sa cosa voglio dire, Ivan felice,
Quella mia glia.
Mi schiarisco la voce, Grazie a tutti per lapplauso. Faccio una
piccola pausa, poi riprendo, E adesso Ivan Carrau racconter una
storia bellissima: la storia della rana.

103
Giulio fa no con la testa, non era previsto e siamo gi in ri-
tardo, ma tutti battono le mani a tempo, I-van! I-van! I-van!,
lui dice di no, assolutamente no, Non ci pensate neanche. Per
ride, lo vedo, vuole salire. Il padre di Gennaro lo spinge, lo fa al-
zare, Ivan raggiunge il palco, prende il microfono, mi guarda fal-
samente contrariato. Ridono tutti, io gli lascio il palco, Ivan
guarda il pubblico e, con voce sicura, comincia, C questo pe-
scatore che va a pesca, e un giorno, mentre pesca, ha voglia di fare
pip, allora che fa? Naturalmente inizia a fare pip, ma mentre la
fa, allimprovviso, vede avvicinarsi una rana. Il pescatore prova ad
allontanare la rana col piede, d calci a vuoto perch la rana ve-
loce, salta, si sposta veloce, si avvicina sempre di pi, sempre di pi,
e quando vicinissima fa un grande salto e... gli si attacca proprio
l, insomma, avete capito bene dove. Il pescatore dopo il primo mo-
mento rimane un po cos, perplesso, poi gli piace, sempre di pi... e
quando hanno nito mette la rana in una scatolina e la porta a
casa. A casa la rana esce dalla scatolina non si sa come e inizia a
saltellare nelle stanze. La moglie del pescatore vede la rana e grida,
Che schifo! ma il pescatore la guarda serio e fa: Che schifo? Bella,
se questa impara a cucinare, tu puoi fare le valigie.
Il silenzio che accompagnava la storia si prolunga per qualche
secondo anche dopo la battuta nale, un tempo che mi sembra
innito... ma arrivano lapplauso e la risata liberatori. Riccardo
si alza in piedi. A Ivan brillano gli occhi, non lho mai visto
cos, sono contenta perch un po anche merito mio. Scende
dal palco, mi abbraccia. Barbara ride, Che scemo. Si complimen-
tano tutti, anche quelli che avevano gi sentito la storia poco
prima. Ivan ringrazia ancora e si siede, poi vedo lui e Barbara
che si baciano sulla bocca.

In un attimo quasi mezzanotte.


Le altre dieci esibizioni previste hanno riscosso lo stesso suc-
cesso delle prime quattro. E adesso, alle 23.50 in punto, tocca

104
al numero pi atteso, La decapitazione del vecchio, come il nu-
mero sar battezzato dallimportante cronista dellimportante
quotidiano in un articolo che diventer molto popolare, con
grande gioia del suo autore: [] Fino a poco tempo fa erano
zombie che aollavano le nostre citt e i nostri paesi. Di loro ave-
vamo paura, s, dobbiamo ammetterlo. Li temevamo. Quegli
sguardi spenti e le andature barcollanti. Adesso sono ragazzi nor-
mali, hanno dei gli, bambini altrettanto normali, alcuni dei
quali sono nati e continuano a nascere in Collina. [] Come tutti
i ragazzi normali, anche loro festeggiano larrivo del nuovo anno
[] Non si pu denire normale, invece, il veglione a cui ho par-
tecipato in Collina. Scenograe ranate, cibo squisito, balli e canti
eseguiti dai ragazzi. Tutti di talento [] Riccardo Mannoni, padre
non padrone, ha organizzato questa magica serata con laiuto di
Benedetta e Goredo Poli, curando ogni dettaglio, [] i tempi
perfetti e la musica classica o jazz eseguita da unorchestra fenome-
nale. [] Particolarmente emozionante, oserei dire scioccante, La
Decapitazione del Vecchio, che provo a raccontare sperando che
pochi tratti di penna possano rendere giustizia allo straordinario
eetto scenico.
A sette minuti dalla mezzanotte sono partite le sveglie e le cam-
pane di Time, capolavoro dei Pink Floyd [] Tutti sono ammu-
toliti e si sono messi a sedere. Dal fumo bianco articiale sono
emersi cinque uomini incappucciati, ragazzi della comunit. I cin-
que hanno trascinato sul palco un sesto ragazzo, perfettamente
(anzi, hollywoodianamente) truccato da vecchio e ricoperto di
stracci. Sulla schiena recava un cartello con su scritto, a caratteri
gotici, LANNO IN CORSO. Arrivati sul palco, i cinque incap-
pucciati uccidono il vecchio con scuri di plastica, mimando il ta-
glio della testa, perch il vecchio viene steso sul palco in modo che
il cranio penda dietro lo quinte, scomparendo alla vista del pub-
blico e creando cos leetto della decapitazione. Dalle stesse quinte,
un secondo dopo (non lo scriviamo per modo di dire: esattamente

105
un secondo dopo!), emerge Riccardo Mannoni. Tra le braccia tiene
un bambino di pochi mesi, lultimo nato in Collina. A venti se-
condi dalla mezzanotte, Mannoni, guadagnato il proscenio, solleva
il bambino e lo tiene cos per tutto il conto alla rovescia, no al-
larrivo del 1985, come segnala unimponente scritta costituita da
lampadine che si accendono alternando tutti i colori dellarcobaleno
e che si solleva (tramite un sosticato congegno elettronico) alle
spalle di Mannoni e del bambino, quel bambino che diventa sim-
bolo di un nuovo anno.
Non ci vergogniamo a dire che, assistendo a questa scena, siamo
stati attanagliati dalla commozione. E tra lacrime di gioia ab-
biamo pensato: Forse non tutto perduto. Perch La Collina,
ormai ne siamo certi, un lampo di speranza in questo buio deso-
lato e desolante che sono gli anni Ottanta.

Dopo la mezzanotte ci baciamo, Buon anno, ci abbracciamo,


Buon anno, Buon anno, qualcuno piange a suon di Buon anno.
Per me bellissimo, lanno scorso stata una noia mortale, a
Milano, nellappartamentino di nonna Clara e nonno Gavino,
che hanno litigato con Barbara e ce ne siamo andati a dormire
a mezzanotte e venti. Adesso invece luna passata.
Hanno tirato gi la palla sferica a specchi, quella delle disco-
teche, Its My House, la voce di Diana Ross e il ritmo scatenati,
come i ragazzi, come me, che ballo e vedo Ivan e Barbara ba-
ciarsi ancora mentre ballano. Mi sembrano felici.

Alcune monete e uno stetoscopio sono appoggiate su un tavolino


di legno. Sul comodino ci sono tre bicchieri di plastica, una bot-
tiglietta dacqua a met e due aspirine ancora confezionate.
Lambiente riscaldato da una stufa elettrica posizionata tra
due letti singoli, entrambi a ridosso della parete.
Sul letto di destra Fabienne prova a dormire ma non ci riesce,
il corpo magrissimo e il volto gono, un cerotto sul sopracciglio

106
destro. vestita con una camicia da notte bianca, sintravede
qualche livido sulle gambe e sulla schiena. Nel braccio destro
inlato lago di una ebo.
La ragazza sul letto di sinistra sta meglio ma anche lei molto
magra, ha lividi sparsi sul corpo e un cerotto le copre lorecchio
destro.
Si chiama Daria Colasanti [nata il: 01/03/1963 / a: La Spezia
/ capelli: castani / occhi: neri / altezza: 1,51 / segni particolari: nes-
suno / cittadinanza: italiana] ed stata portata in Collina dai
suoi genitori, costretta dopo sei anni di tossicodipendenza da
eroina.

Fin dal primo giorno, come Fabienne, Daria non aveva accet-
tato le dinamiche interne, ritenendo assurdi certi metodi e certe
regole, a cui aveva deciso di non sottostare.
Superata la scimmia aveva provato a scappare pi volte, ma
era sempre stata ripresa ancor prima della recinzione.
Allora aveva scelto un altro tipo di protesta, la resistenza pas-
siva: Daria non lavorava, non guardava la televisione con gli altri
in sala cinema e dopo un po di tempo aveva smesso di mangiare.
Riccardo laveva adata a Berta che laveva seguita a lungo,
giorno e notte, provando in ogni modo a farla collaborare.
Ma dopo tre settimane lanimatrice aveva dovuto ammettere
il proprio fallimento perch, tuttaltro che intenzionata ad ar-
rendersi, Daria aveva anche smesso di parlare.
Riccardo non accettava che una delle sue ragazze si oppo-
nesse alla cura, voleva che guarisse, come lo voleva per tutti gli
altri, ma perch ce la facesse doveva collaborare. E un giorno
entr di mattina presto nel dormitorio femminile, butt Daria
gi dal letto, la trascin a mensa fuori dallorario dei pasti, la
port nelle cucine, prepar del riso in bianco, prov a farla
mangiare, il cucchiaio trov la resistenza dei denti, lincisivo ce-
dette, la ragazza lo sput.

107
Daria doveva ricominciare a parlare e mangiare: con quel-
latteggiamento nuoceva sia a se stessa che agli altri. Riccardo
decise allora di adarla a Ciacione, gli ordin di chiudersi con
lei nel nuovo casolare e di uscire solo quando si fosse convinta
a cambiare.
Ciacione lavorava alle stalle no a sera, poi andava a mensa
e ritornava nel casolare verso le ventuno, portando con s, in
una ciotola di plastica, qualcosa da mangiare, che Daria riut
sistematicamente per tre giorni e tre notti.
Ciacione pass al pugno di ferro caldeggiato da Riccardo,
iniziando a picchiarla, anche con un bastone. Allinizio non col-
piva forte per paura di spaccarle un osso, o addirittura di ucci-
derla, e temeva non tanto la legge, quella esterna, quanto una
reazione violenta di Riccardo (va bene il pugno di ferro, ma
senza conseguenze irrimediabili).
Poi inizi a picchiarla in testa, ma Daria era impassibile,
come se non sentisse dolore, e si limitava a proteggere la faccia
con le mani. Piangeva e urlava, invece, quando restava da sola,
pur sapendo che nessuno lavrebbe sentita: i suoi erano sfoghi
per non impazzire.
La mattina del sesto giorno Ciacione si svegli e lanci un
urlo: la faccia e la testa di Daria si erano gonate. Corse a chia-
mare Daniele e lo port nel casolare. Il medico vide Daria e
guard Ciacione come si guarda un pazzo. Gli chiese se Ric-
cardo sapesse, gli rispose che aveva carta bianca purch la ra-
gazza collaborasse. Sentite quelle parole, Daniele si limit a
medicare Daria e a darle vitamine che sopperissero alla man-
canza di cibo e, prima di andarsene, invit Ciacione a calmarsi,
senn un giorno, ne era certo, lavrebbe trovata morta.
Daniele usc e non parl a nessuno di quello che aveva visto.
Ciacione non poteva pi picchiare Daria ma non sopportava
lidea di fallire: avrebbe fatto qualunque cosa pur di non delu-
dere Riccardo. Fu allora che, memore della sua esperienza in

108
carcere, gli venne lidea delle docce fredde.
Ciacione spogliava Daria completamente e le scagliava con-
tro il getto gelato, due volte al giorno, la mattina prima di an-
dare a lavorare, quando riutava la colazione, e la sera di ritorno
dalla mensa, quando riutava la cena. Ma niente da fare, anche
il nuovo metodo fall: Daria non cambiava.
E al nono giorno, dopo lennesima e inutile doccia, Cia-
cione decise che lindomani mattina si sarebbe arreso. Prese
uno straccio e asciug Daria, le spalle, la testa, la schiena, il
seno. Si soerm sul seno, lo stron pi a lungo degli altri
punti. Daria stavolta reag, con le ultime forze rimaste gli si
scagli contro ma Ciacione la blocc senza alcuna dicolt,
la tenne ferma per i polsi, poi la butt sul letto e la leg mani
e piedi, con uno spago, alla rete di ferro. Quindi riprese ad
asciugarla con lo straccio. Daria urlava, Ciacione la imbavagli,
ricevendo un morso che gli fece uscire un po di sangue dal
dito. La pun con uno schiao in faccia, non troppo forte, e si
lav le mani dal sangue. Quindi ricominci ad asciugarla, tutto
daccapo, la testa, le spalle e il seno. Stavolta non si ferm, pro-
segu no alle gambe e al basso ventre. La ragazza prov a rea-
gire, di nuovo inutilmente. Ciacione butt via lo straccio e le
inl un dito nella vagina. Entrava e usciva col dito, cos per
dieci minuti. Non ne prov piacere e si ferm. Allora si tolse i
pantaloni e le mutande, prese la mano di Daria e se la pos sul
sesso, guidandola avanti e indietro no a quando non n.
Ciacione non dichiar il suo fallimento a Riccardo, come
aveva deciso la sera prima, ma and avanti per altri due giorni
e due notti con lo stesso copione: le faceva la doccia, lasciugava,
la legava al letto e si faceva masturbare.
Prov una sola volta a montarle sopra, si strusciava ma non
si eccitava, allora smise subito e non ci riprov pi.
Il dodicesimo giorno, senza accennare allaspetto sessuale
della questione, Ciacione disse a Riccardo che non ce laveva

109
fatta. E quando Riccardo vide le condizioni siche di Daria,
preso dallo spavento, la fece portare durgenza in infermeria,
ordinando a Daniele di seguirla no a guarigione avvenuta. E
non pun Ciacione, si limit a rimproverarlo per non aver ot-
tenuto i risultati sperati.
Daria e Fabienne restarono nella stanza dellinfermeria, vi-
cine e silenziose, per quattro giorni e quattro notti, entrambe
nutrite con la ebo, perch anche Fabienne riutava il cibo.
Al quinto giorno di ricovero, per, improvvisamente, Daria
ricominci a mangiare, oltre che a pronunciare qualche parola.
In poco pi di due settimane recuper le forze e le fu con-
cesso di passeggiare sul ballatoio, tenuta sempre sotto controllo
da Berta, che le diede il permesso di fumare tre sigarette al
giorno.
Questo pomeriggio Daniele le ha detto che presto sarebbe
stata dimessa. Daria ha sorriso, Sono contenta, e lo ha ringraziato
per essersi preso cura di lei. Daniele si dedicato a Fabienne:
ha misurato la pressione, lha auscultata, le ha cambiato la ebo.
Torno durante la festa, le ha promesso.

E poco dopo luna, Daniele entra nella stanza.


Non ha il camice da medico, vestito elegante. Si avvicina al
letto di Fabienne, le porge una fetta di torta. Lei di spalle, non
reagisce allinvito. Lui le prende la mano, le accarezza il polso.
Fabienne solo adesso gli rivolge uno sguardo. Daniele le sorride
e prova di nuovo a farla mangiare. Fabienne riuta ancora, si volta
dallaltra parte. Daniele non insiste, le tiene la mano. Daria chiede
se pu fumare una sigaretta. Daniele risponde di no, Mi dispiace
ma quelle che ti toccavano le hai fumate.
Daria lo supplica, Per favore, solo unaltra.
Daniele la prega di non insistere, bacia la mano di Fabienne,
esce dallinfermeria, chiude a chiave la porta, percorre un lungo
corridoio, esce sul ballatoio del secondo piano. Aaccia sul piaz-

110
zale asfaltato e si vede lesterno della mensa, da dove arriva anche
la musica, un po pi forte che nella stanza di Fabienne e Daria
ma comunque attutita dalla distanza. Daniele tira fuori dalla tasca
del pantalone tre sigarette piegate, le controlla, nessuna delle tre
spezzata, ne accende una, fa un lungo tiro, resta sul ballatoio,
fuma, riette, senza accorgersene arrivato al ltro, butta gi la
sigaretta, sullasfalto del piazzale. Imbocca la rampa di ferro,
schiaccia la sigaretta, si avvia verso la mensa. Poco prima di en-
trare si ferma, riette un momento, alla ne torna indietro, fa lo
stesso percorso a ritroso, piazzale, scale, ballatoio, corridoio e
stanza di Fabienne e Daria. Le trova nella stessa posizione in cui
le aveva lasciate. Di lui si accorge solo Daria che subito si tira su,
Daniele le fa segno di seguirlo fuori, Solo qualche tiro, in fretta,
Daria non se lo fa ripetere due volte, si alza di scatto.
Voglio venire anchio, lidea di uscire ha fatto recuperare le forze
a Fabienne, ma quando prova a mettersi in piedi non ce la fa.
Daniele e Daria la aiutano e lentamente, sorreggendola, raggiun-
gono il ballatoio. Fabienne si appoggia alla ringhiera, Daniele
passa a Daria una delle due sigarette rimaste, gliela passa gi ac-
cesa. Fabienne ascolta la musica, una canzone di Gloria Gaynor,
non ricorda il titolo ma la riconosce e le piace, respira a pieni pol-
moni, con gli occhi chiusi si riempie dellaria fredda della notte,
Daria invece fa un lungo tiro dalla sigaretta, la fuma no in
fondo. Anche Daniele fuma, si avvicina a Fabienne e le tiene la
mano, si appoggiano alla ringhiera del ballatoio, la musica come
soce sottofondo, guardano gi, posano gli occhi sul piazzale
asfaltato, e un attimo dopo, su quello stesso piazzale, vedono
schiantarsi il corpo di Daria.

Fino allinfermeria ci sono duecento metri. Ivan cammina a


passo svelto ma quando arriva nel piazzale Daria gi morta,
se ne rende conto appena la vede. Ivan alza lo sguardo, Fabienne
ancora sul ballatoio, appoggiata alla ringhiera, gli occhi sgra-

111
nati, sembra che neppure lo veda. Ivan raggiunge Riccardo. Al
centro del piazzale sta ssando il corpo di Daria. Ivan lo aiuta
a sedersi sul primo gradino delle scale. Riccardo guarda ancora
la ragazza, intorno a lei si formata una chiazza disomogenea
di sangue. Riccardo aonda la faccia tra le mani. Poi inizia a
piangere, tutto nito. Continua a piangere anche quando ar-
rivano Giulio e Daniele, lavvocato Attico, Benedetta e Gof-
fredo Poli. Tutti guardano muti e sconvolti il corpo di Daria,
tutti si accorgono che il pianto di Riccardo diventato sin-
ghiozzo. Benedetta Poli lo abbraccia, gli fa forza, Riccardo re-
cupera un po di calma, si stacca dallabbraccio, si asciuga gli
occhi, dice a Daniele di chiudere la porta della mensa e rima-
nere allesterno, per accertarsi che nessuno esca (Soprattutto te-
lecamere e giornalista). Meglio che anche lavvocato Attico e i
Poli si facciano vedere dentro.
Quando gli altri vanno via dal piazzale, Riccardo ordina a
Giulio di chiamare lambulanza. Poi si volta verso Ivan e lo
guarda negli occhi: Vai a liberarli.
Ivan non esegue lordine, riette qualche secondo, dice a
Giulio di fermarsi, di non chiamare lambulanza, almeno per il
momento, Torna qui con il furgone, quello grande, il Ducato. E
portami pure i walkie-talkie e le chiavi delle celle.
Che signica?, chiede Riccardo.
Li nascondo io, risponde Ivan.

Prova ad aprire la porta della porcilaia, non la trova al primo


colpo, cerca di tenere la mano ferma, deve restare calmo, non
avere fretta anche se c poco tempo, riesce ad aprire e dentro,
poco lontano dalle gabbie dei maiali, nel buio intravede Pietro,
uno dei due ragazzi che Riccardo ha sorpreso al cimitero. legato
a un palo di ferro con una catena e quando vede Ivan sgrana gli
occhi, gli chiede se sia venuto a liberarlo, Ivan non risponde, lo
libera. Pietro non ha la forza di stare in piedi, rinchiuso da quasi

112
due mesi, Ivan lo prende di peso, lo carica sul retro del furgone
e lo lega al portapacchi in ferro del vano di carico.
Nella cassaforte del reparto pellicceria ci sono una scodella
per il cibo e un secchio per i bisogni. E accovacciato, anche lui
in catene, c il cuoco che aveva tentato la fuga. Si copre gli
occhi con la mano, la luce dopo un mese e mezzo di buio non
riesce a sopportarla. Ivan gli si avvicina, il cuoco da terra prova
inutilmente a colpirlo sulle gambe, Ivan non reagisce, lo libera,
se lo carica in spalla e lo mette nel furgone.
Una grande botte. Una ragazza che Ivan non conosce si sve-
glia di colpo e urla di farla uscire, non sopporta pi di dormire
nello stesso posto in cui piscia. Vicino a lei c la scodella per i
bisogni e poco pi in l accucciato un dobermann. Ha laria
stanca, sembra malato, gli occhi assonnati, non si muove. Ivan
dice alla ragazza di mantenere la calma, lei invece continua a
urlare, Non ho fatto niente.
La piccionaia una gabbia circolare, allaperto, le sbarre lun-
ghe e strette, posizionata in discesa. Qui sono rinchiusi il com-
plice del cuoco e un altro ragazzo che Ivan non conosce.
Tremano per il freddo, sono incatenati alle sbarre in due punti
opposti, niscono entrambi nel furgone, legati per i piedi agli
altri prigionieri.
Nel reparto manutenzione rinchiuso Paolo, laltro ragazzo
del cimitero, Ivan lo carica nel furgone.
Paolo e Pietro si guardano, il terrore prevale sulla gioia di
rivedersi. Ivan lega Paolo al portapacchi, sul lato opposto a
quello di Pietro e chiude i portelloni. I prigionieri sbandano
perch il furgone parte di colpo, la ragazza del tino ha smesso
di urlare, Pietro e Paolo continuano a guardarsi negli occhi,
sono uno di fronte allaltro, Pietro si sporge in avanti n dove
pu, lo stesso fa Paolo, senza farlo notare agli altri arrivano a
sorarsi le dita, per un secondo, poi sono separati da una bru-
sca frenata.

113
Ivan entra nel casolare dove Daria ha trascorso gli undici
giorni con Ciacione. Legata al letto c una ragazza che Ivan
non ha mai visto. Lei invece sembra riconoscerlo, lo ssa. Ivan
prova a guardare altrove. Quello della ragazza uno sguardo fe-
rito, umiliato. nuda, coperta solo da un lenzuolo. Ivan la slega
e la porta fuori dal casolare, il corpo pieno di lividi. La ragazza
trema, Ivan la avvolge con il lenzuolo e la carica sul furgone.
Percorre un paio di chilometri, tira al massimo no al grande
piazzale con lerba alta, buio e deserto, dov parcheggiato lelicot-
tero dei Poli, distante dal cuore della comunit. Si ferma, scende
dal furgone e parla alla trasmittente, Sono al galeone. Tutto a posto.

Nel piazzale asfaltato arriva lambulanza, seguita a breve di-


stanza da tre volanti della polizia con le sirene accese. I primi
a uscire dalla mensa sono i Poli e lavvocato Attico, seguiti da
ragazzi, giornalista e telecamere. A noi bambini non per-
messo uscire, restiamo dentro con Adele e le maestre dellasilo.
Provano a distrarci, Cantiamo. Barbara fuori, mi alzo ma
una maestra mi ferma, mi fa sedere di nuovo, io inizio a urlare,
laltra maestra prova a calmarmi, non ci riesce, Adele le ordina
di chiudere a chiave la porta della mensa, a me ci pensa lei,
Quando tutto sar finito, usciremo insieme, non smetto di ur-
lare, Voglio uscire ora, Adele cambia tono, Urla quanto vuoi,
ma io non ti faccio uscire, mi guardo intorno e capisco che ur-
lare inutile perch oltre a noi bambini (Gennaro lunico
che, stranamente, mantiene la calma) l dentro non rimasto
nessuno.

Alla vista del corpo di Daria qualcuno urla e qualcuno piange.


Un poliziotto fotografa, gli altri tengono lontani ragazzi e teleca-
mere. Riccardo si avvicina a un cinquantenne dai capelli grigi e
gli occhi azzurri, Si buttata gi, commissario Salce, sono sconvolto.
Salce non risponde, ordina ai suoi di perlustrare la comunit,

114
Andate in piccionaia, nel porcile, in macelleria. In tutti i posti
dove li abbiamo trovati laltra volta.
appena morta una delle mie ragazze, lasciateci in pace.
Il commissario ssa Riccardo, Stavolta ti faccio il culo.

Al galeone, Ivan sente il motore delle volanti che girano a vuoto,


e alle sue spalle, dallinterno del vano di carico, i ragazzi battono
contro i portelloni del furgone, gridano di aprire, Qua dentro
non si respira. Ivan apre e i prigionieri si calmano di colpo, Non
gridate, tra poco vi riporto ai dormitori.
Quindi non ci rimetti in cella?
Ivan scuote il capo, molto lentamente. Poi chiude i portel-
loni, si accende unaltra sigaretta e controlla lorologio.

Quando le volanti tornano nel piazzale i portantini stanno ca-


ricando sullambulanza il corpo di Daria, coperto con un telo
bianco. I poliziotti dicono al commissario di non aver trovato
nessuno.
Lasciateci vivere da soli questo momento di dolore.
I ragazzi sono dalla parte di Riccardo, vogliono essere lasciati
in pace, per loro la polizia il nemico, lo sempre stato, urlano
contro gli agenti, a un poliziotto arriva una spinta, quello fa per
reagire ma Salce gli dice di star fermo, poi ordina a lui e agli
altri di andar via e sale sulla volante.
Goredo Poli si rivolge alla telecamera, Quello che successo
ci distrugge, per il momento non so cosaltro aggiungere. Riccardo
riuta di parlare. Benedetta Poli dice al cameraman che rispon-
der lei a tutte le domande che vogliono.
Alla ne dellintervista Riccardo fa per lasciare il piazzale ma
costretto a fermarsi quando alle sue spalle sente la voce di Bar-
bara, Ivan dov? Riccardo la ignora, prosegue. Barbara gli taglia
la strada. Sono lontani dagli altri, Riccardo se ne accerta.
Guarda Barbara, Se non lo sai tu che sei la moglie, cosa vuoi che

115
ne sappia io. Lei con rabbia ma senza urlare, ripete la domanda,
Ivan dov? Riccardo la ssa, Dovrai avere molta pazienza, siamo
solo allinizio.

Vedo Barbara entrare a mensa. Le corro incontro. Mi dice di an-


dare e immediatamente la seguo, attraverso la sala con lei, mano
nella mano. Percorriamo il viale dei platani e il viale dei pini.
Quello pi grande ondeggia come se ci fosse una tempesta, invece
fa freddo ma non c un lo di vento. La guardo e vorrei chie-
derle: Cosa successo?; Ivan dov?. Per non dico niente, e an-
cora tenendoci per mano arriviamo alla nostra casetta.
Barbara entra. Io mi fermo sulla soglia. Fisso un punto lon-
tano in fondo al viale deserto e provo a scorgere qualcosa. Mi
concentro ma non ci riesco, non vedo ancora niente.

Ivan sente un colpo, seguito a ruota da altri colpi, tutti uguali.


I paesi circostanti continuano a festeggiare il nuovo anno. Sono
gli ultimi fuochi, la mezzanotte passata da un pezzo. Ivan ac-
cende unaltra sigaretta, lancia qualche occhiata alla trasmit-
tente, controlla pi volte lorologio e da solo, nel buio, aspetta.

116
II

IL NIO DI SAN BABILA


C un incrocio. La freccia a sinistra segna Trezzo sullAdda, la
freccia a destra indica Milano.
Mio padre gira a destra. Io non capisco, gli chiedo perch.
Mio padre mi sorride nello specchietto, ci siamo trasferiti a
Milano, unidea della mamy. Non sei contento?
Mia madre si gira verso di me, sorride pure lei. Io la guardo
incazzato, mi viene da piangere. Decido di resistere, aspetto il
rosso del semaforo e mi butto fuori dalla Seicento.
Corro allincrocio, con mia madre che grida, Ivan! Ivan!
Mio padre mi rincorre, me lo sento addosso, mi prende e mi
dice di non fare star male la mamma, ti prego.
Ma non volevo tornare in macchina, non ci volevo andare a
Milano. Gli do una ginocchiata nei coglioni. Mi viene da ridere
se ripenso alla faccia di mio padre, oggi.
Schia e mi butta nella macchina. Fa guidare mia madre.
Lui mi tiene fermo sul sedile di dietro.

I miei sono sardi tutti e due, si sono trasferiti in Lombardia a


ventanni, ma io sono nato a Trezzo sullAdda. Quellanno son
tornato dalle vacanze in Sardegna e come al solito non vedevo
lora di rivedere la mia ragazzina, i miei amici, il ume... tutto
il mio mondo, mi faceva star bene, me li sentivo proprio ad-
dosso tutta quella campagna e tutto quel verde.
Per i miei era diverso, per loro Trezzo sullAdda era Angelo,

119
mio fratello. Era morto a due anni, mia madre diceva ucciso
dalle chiacchiere della gente, invidiosi di quanto era bello. Io
nemmeno me lo ricordo. Ho visto le foto, per. In casa erano
dappertutto.
Mio padre sera licenziato apposta per potermi dare pi pos-
sibilit a Milano, me lo ripeteva sempre. E a quattordici anni
mi ritrovavo in una citt che non conoscevo, un quartiere che
abitavano solo ricchi. Aveva trovato posto come portiere in un
palazzo da miliardari, in via Serbelloni, a San Babila. Era
schiavo del palazzo ma guadagnava bene.
Sono scappato con il Vespino per tornare a Trezzo sullAdda,
ma mio zio mi ha ripreso, mi ha menato e mha riportato in-
dietro tutte e due le volte, o solo la prima, o la seconda, quando
mhanno tolto il vespino. Allora ho capito che non potevo pi
scappare. Sono rimasto a Milano. Da solo. A Milano negli anni
Settanta. Piombo, sparatorie per strada, manifestazioni, Epa-
minonda, Francis Turatello. Agli hippy si sostituivano i tossici.
E i malavitosi.
Mi son trovato dentro a questa situazione, mi ci hanno but-
tato loro. Per non avere troppo tempo libero mi sono iscritto a
un corso di karate, una palestra di via Rossini. Mi sfogavo, mi
faceva bene. E una sera, proprio tornando dal karate, vedo una
Volkswagen nera decappottabile che scappa veloce da una Lan-
cia Fulvia HS. La Lancia ferma la Volkswagen e dalle macchine
scendono tre... anzi quattro persone... e inizia una rissa spaven-
tosa. Anche perch arrivano altre macchine e ne scendono degli
altri. Ne vedo bene uno, un ragazzo bellissimo, piantato, coi
capelli lunghi e i Ray-Ban neri. Per prima cosa che fa d un
pugno in faccia a un altro e gli spacca gli occhiali.
Gli si fanno addosso in cinque e a quel punto mi butto den-
tro anchio, senza sapere chi chi, ma per lidea di aiutare quello
coi Ray-Ban.
Vinciamo noi, e gli altri scappano.

120
Quando tutto calmo, quello coi Ray-Ban si volta e mi dice
bravo camerata, ci vediamo stasera in San Babila, al bar Borgo-
gna, facciamo una festa, mi devi chiamare Mamma Rosa.
A San Babila mi trovo davanti una banda, saran stati tre-
cento, tutti con Kawasaki 500, Mc 3 Honda e tutti tirati.
Io allora mi spavento, ero un ragazzino. Sto per andarmene,
ma quando mi vede il ragazzo coi Ray-Ban dice: Ecco il Nio.
Poco tempo dopo mette ai miei ordini quattro ragazzi gio-
vani ma comunque pi grandi di me. E inizio a far muovere
questo piccolo gruppo nel grande gruppo di Mamma Rosa.
Non avevo pi bisogno del Vespino, mi hanno dato una mo-
tocicletta.
Quando si dice le aspettative. Gli dico ai miei che non
scappo pi, ho la mia compagnia adesso. Loro tutti contenti.

San Babila a quei tempi era sotto protezione di un politico di


destra. Il nostro vero capo. Anche il capo del nostro capo. Per-
ch San Babila era proprio al centro di Milano e noi servivamo
per tenere lontani i compagni, che allora erano tanti. Con noi
l presenti tutta la zona era off-limits, se passavano di l e di-
cevano una parola in pi cera sempre un nostro gruppetto
pronto, arrivavamo tutti insieme, quattro o cinque alla volta,
ti circondavamo e non potevi pi reagire. Botte e coltellate,
se serviva.
La cosa pericolosa che noi ci credevamo forti davvero, ce
lo facevano credere e quindi andavamo a fare raid incazzati con
le moto alle manifestazioni dei compagni.
I compagni io li vedevo come degli snob, con la parlantina
giusta e le donne che li adoravano. E ascoltavano la musica giu-
sta, pi intelligente. A quattordici anni, a quei tempi, come
compagnia, mi trovavo meglio con quelli di San Babila, che
non erano tanto sosticati, diciamo cos. E avevo il mio spazio.
In un libriccino che sintitola I trecento pi pericolosi di san

121
Babila c anche il Nio di San Babila. Han fatto il mio nome,
Ivan Carrau.
Ero pi motivato degli altri, ma non per una motivazione
politica. Della politica non me ne fregava un cazzo. Anzi molti
compagni li ho salvati. Come lultimo che abbiamo pestato, a
Sesto San Giovanni. Era gi per terra, pieno di sangue, ma si
gira e fa il pugno, il pugno chiuso. Uno dei nostri tira fuori il
coltello a scatto e gli si avvicina per ucciderlo. Ammazzare era
il salto di qualit. Lo fermo, posso farlo perch il capo sono
io e faccio leva sul suo cameratismo. Gli dico che se quel tizio,
sanguinante per terra, fa il pugno, vuole dire che ha le palle.
un camerata che ha sbagliato da che parte stare. Lui ci ha pen-
sato sopra, poi lha guardato e ha detto cazzo, vero. Addirittura
gli ha dato la mano.

San Babila si espande. Mamma Rosa comincia a fare movimenti


grossi, eroina e cocaina. A noi pi piccoli ci d lo smercio. Co-
caina soprattutto, leroina era dei compagni.
Quasi tutta Milano la comprava da noi. Venivano in San Babila,
parcheggiavano, entravano in uno dei nostri tre o quattro bar. Non
vendevamo per strada: movimento tranquillo, soldi a palate. Cos
tanti che la polizia lo blocca. Ceravamo allargati troppo.
Il nemico di Mamma Rosa, Epaminonda, nel frattempo
era diventato potente. Avevamo addosso sia la polizia sia Epa-
minonda. Quando succede cos, significa che il gioco sta per
finire.
Epaminonda decide di far fuori Mamma Rosa, che viene a
saperlo e scappa in periferia, non mi ricordo dove, al quarto
piano di un palazzo.
Ma al posto di Epaminonda, arriva la polizia, e circonda il
palazzo. Forse si son messi daccordo, non si mai saputo.
Mamma Rosa, nascosto dentro il palazzo, pensa che sia Epa-
minonda, e spara. I poliziotti sparano. E uccidono Mamma

122
Rosa. La sera stessa la polizia arrivata con le camionette: due
giorni e ci sparpagliamo tutti. Finisce San Babila. Finisce il mo-
vimento.

Avevo una ragazzina in viale Majno, dove cera questo Mario,


un boss, uno potente. E in viale Majno cera il bar dove faceva
movimenti. La saracinesca era mezza abbassata, entro lo stesso,
devo telefonare alla mia ragazza, il barista un amico. E quando
lui mi vede mi fa segno di fermarmi.
Io mi giro. Vicino al telefono a gettoni c una tavolata di
pezzi da novanta, una riunione degli alti livelli.
Mi scuso, Mario per mi fa segno, vieni qua. Vado. Mi dice
Ti conosco, parla in siciliano, stavi a San Babila. Non ci gira
attorno, vuole un favore, devo portare una Mercedes a Lugano,
lasciarla l e tornare col treno. Non devo guardare cosa c nella
macchina, tu non devi fare un cazzo, devi solo portare la mac-
china a Lugano. In cambio mi dava soldi e protezione.
Accetto, ovvio, e porto la Mercedes a Lugano e non faccio
un cazzo. Mimmagino ma non guardo cosa c dentro.
Quando torno, Mario mi tira fuori centomila lire, a quel tempo
era tanto. E allora mi viene unidea che mi servita moltissimo
dopo, perch Mario si legato molto a me... dicevano pure che
gli assomigliavo quando era giovane. Gli dico che non voglio i
soldi, non lho fatto per i soldi, mi faceva piacere farti il piacere.

Proprio in quel periodo, prima di fare il salto, ho cominciato a


farmi. Speedball. Sempre pi gi sempre pi gi. Mi lascio con
la danzata, perdo i miei amici, uno muore, un altro scappa,
chi va allestero, chi va in galera.
Restava solo Mario, che per si era accorto che mi facevo e
un giorno mi guarda disgustato. Ma come cazzo ti sei ridotto?
Eri un bel ragazzo, avevo grandi progetti per te, e tu inizi a farti
come un coglione qualunque.

123
Quel discorso mi serve, sono davvero pentito, gli prometto
che mi disintossico.
Infatti mi disintossico. Torno da lui, mi vede meglio, Adesso
sei pronto a ricominciare, ho le lacrime agli occhi.
Il suo ragionamento per era vecchia scuola: con la droga
non ti ci devi drogare, con la droga ci devi fare i piccioli. Cos
quando non nemmeno una settimana che ho smesso devo fare
un movimento di droga. Devo portare un carico in Sicilia.
E puntuale, al terzo che porto... insomma, ho ricominciato
a farmi. Mario mha scoperto, mha pestato, non farti vedere
mai pi senn tammazzo.

Con i movimenti per Mario avevo messo da parte una barca di


soldi. Anche perch la droga era gratis. Mi facevo ero e coca in-
sieme. Quindi la mia scimmia era enorme. Lero non mi piaceva
come sballo, non ero di quelli tipo zombie. O meglio, mi pia-
ceva la botta dellero ma subito dopo mi facevo di coca per non
girare come un cadavere. Anche perch lero ti fa passare la vo-
glia di scopare. E a me scopare mi piaceva, mi facevo tutte
quelle della mia zona, ragazze ricche con lo szio del delin-
quente proletario. Poi tornavano a casa a sposarsi i gli degli
amici di famiglia. Stava bene a loro e stava bene a me. Tutti
contenti.
Ma ho cominciato a farmi cos tanto che neanche con la
botta di coca e neanche con lo Speedball pensavo pi a scopare.
Pensavo solo a farmi.

In quel periodo ho fatto un movimento a Trento che stata


lultima goccia.
Vado a Trento con la roba che mi aveva dato Samir, legi-
ziano, un altro boss di Milano, ho lavorato pure per lui. Parto
con la 850 di mio zio, poverino, la macchina non lha mai pi
rivista.

124
Il movimento va male. Il gancio di Trento, quello che deve
pagare, quando gli do lero, invece dei soldi tira fuori il coltello.
Faccio lo stesso, sono pi veloce, gli do una coltellata in pancia,
ma non credo che sia morto.
Recupero i soldi... Samir mi ammazzava se non gli portavo
i soldi... abbandono la 850 dello zio e torno a Milano in treno.
Non ho cucchiaino, non ho niente, ho i miei Ray-Ban, il
treno si muoveva, sbaglio, ne metto troppa, sono nervoso, non
so se lho ammazzato e poi c buio, quindi non vedo. Sciolgo
tutto, mi faccio. Collasso. So che sto soocando, ne ho visti
tanti star male e anche morire, ti si gona il collo. Chiamo aiuto
con un poco di voce. Una signora mi sente, fa sfondare la porta.
Mi sveglio in ambulanza, mentre mi portano al Niguarda di
Milano. E l mi salvano per miracolo.

Mio padre e mia madre, quando sono tornato a casa, han detto
basta.
Conoscevano la titolare di una casa editrice che abitava nel pa-
lazzo dove lavorava mio padre. E lei conosceva La Collina. Aveva
anche una radio a Milano e aveva fatto unintervista a Riccardo. I
miei genitori, disperati, le chiedono consiglio. E lei chiama Ric-
cardo, gli racconta la storia e lui dice: Mandamelo subito.
Mio padre mi accompagna in macchina. Stiamo zitti tutti e
due per duecento chilometri. Che cosa dovevamo dire? Mio
padre era arrivato al punto che un mese prima era andato a
prendermi la roba... stavo talmente male che non riuscivo a
camminare, vomitavo, mi cagavo addosso... E mio padre mi
andato a prendere la roba e quando tornato mi ha detto ma
ti rendi conto?
Siamo arrivati alla sbarra della Collina. Lui voleva scendere,
non lho fatto scendere. Ci siamo dati la mano e se n andato.
Era il 1978.

125
A quel tempo La Collina era una bomba denergia. Una cosa
magica, indescrivibile. Un cantiere a cielo aperto.
Poi la situazione lentamente cambiata e a un certo punto,
pi o meno a ne anni Ottanta, Riccardo ha cominciato a com-
mettere un errore dopo laltro, a gestire male la situazione e non
ha rimediato a un sacco di cazzate che facevano quelli della ma-
celleria.
Non accettava pi consigli da nessuno. Non come allinizio.
Allinizio qualche consiglio lo ascoltava. Veniva lui da me, in
ucio, quando cera un problema.
Il primo ucio, quello dove sono entrato dopo che mio
padre mi ha lasciato alla sbarra. Cera una tavola ed erano seduti
Riccardo e Armando Malaguti, il primo socio di Riccardo,
quello che poi se n andato quando sono subentrati i Poli, e
Agostino.
Cerano pure alcuni ragazzi, quando sono arrivato, seduti al
tavolo con Riccardo, che mi ha fatto sedere e mi faceva do-
mande. Io rispondevo, lui mi guardava incuriosito, mi stavano
addosso, quegli occhi. La mia vita a Riccardo stuzzicava la cu-
riosit, era molto attratto e attento. Io gli ho raccontato tutto.
Alla ne mha detto: Io ho avuto fortuna a incontrare te e tu
hai avuto fortuna a incontrare me.
Non ci ho fatto caso, la sera stesso avevo una scimmia tal-
mente forte che gli occhi mi si sono stortati dal male.

Quando ho smaltito la scimmia ha cominciato ad adarmi


compiti importanti. Anche perch Agostino non si era ancora
ammalato ma gi cominciava a dare i numeri e non gli poteva
pi dare responsabilit. Li dava a me, i suoi compiti.
Riccardo mi voleva bene, a quei tempi, secondo me.
Barbara no. Barbara la odiava. E lei odiava lui. Si odiavano
perch Barbara era tosta e Riccardo quelle cos le odiava, un po
le temeva, secondo me.

126
E Barbara forse era la pi tosta di tutte, soprattutto alla ne
degli anni Settanta. Ad esempio, quando ha dovuto dire al ma-
rito di me e lei, l ho capito.
Era arrivata in Collina col primo marito, nel 79, io cero gi
da un po, non ci siamo piaciuti subito. Poi una volta lho vista
nella roulotte, la scimmia le era passata, un po di trucco, pro-
prio bella. Iniziamo a stare insieme e dobbiamo dirlo al marito.
Sandro, uno importante nello spaccio del Giambellino, in
Collina lavorava alle cucine. Sto per entrare, voglio parlarci io,
ma Barbara mi ferma, vado da sola. Dico di no, al massimo an-
diamo insieme, ma lei lo sa che se entro lo pesto appena dice
mezza parola sbagliata. Dice: Io e te siamo nel torto. Se entri
e gli meni siamo nel torto due volte. E Riccardo non ce la fa
passare.
Mi d un bacio, entra in cucina e chiude la porta.
Mi siedo sul pavimento, con la schiena appoggiata al muro.
E dopo due minuti sento Sandro che grida, schia, qualcosa
che si rompe, altre grida. Mi mangiavano quelle grida, voglio
entrare e lo voglio ammazzare quel pagliaccio. Ma prima di en-
trare io, esce Barbara. Ha la faccia cos. Si vede che lha pestata.
Le ammaccature sulla faccia come se le avessero fatte a me. Bar-
bara dice Tutto risolto. Tira fuori un fazzoletto e ci sputa sopra
il sangue. Lho lasciato.
Le donne cos mi piacciono. A Riccardo invece stavano sul
cazzo. E quando io e Barbara abbiamo iniziato a stare insieme
facevamo pi attenzione a non farci vedere da Riccardo che dal
marito.
Poi Barbara rimasta incinta e abbiamo dovuto dirlo a Ric-
cardo. S incazzato, sapeva che con un glio ce ne saremmo
andati. E infatti ce ne siamo andati. Non subito per, nell83,
dopo quattro anni che nata Valentina.
Lei stava male ad andar via. La Collina il paradiso per un
bambino. E pure Riccardo le piaceva, soprattutto quando lab-

127
bracciava. Perch Riccardo abbracciava tutti, abbracciava sem-
pre... con le mani giganti... e quando tabbracciava ti batteva le
mani sulla schiena e sembrava che il peggio era passato.
Ai nuovi arrivati trasmetteva subito sicurezza e allinizio so-
prattutto, quando eravamo cinquanta, non duemila. Si vestiva
con eskimo e jeans, lavorava con i ragazzi, ascoltava le loro sto-
rie, li seguiva passo passo. Molti di quegli anni ce lhanno fatta,
sono usciti e hanno cominciato una vita normale. O comun-
que una vita senza eroina, ma con qualche eetto collaterale.
Perch La Collina non te la togli dalla testa, ne parli sempre
anche quando sei fuori. Provi a parlare daltro ma poi torni l.
Tutto quello che succede ti riporta alla Collina, continuamente.
Non so come spiegare, succedeva quello che succede pure fuori
ma in un altro modo. Lo stesso sport ma con regole leggermente
diverse, ecco. Quindi se ne parla. E molti quando escono hanno
la stessa et di quando sono entrati. Perch secondo me, da
quello che ho capito, il tempo in Collina come con leroina si
ferma.

Riccardo era rassicurante, gi daspetto. Era alto, grosso e grasso.


Tanto che Valentina una volta mi ha detto Pap, ma quando
Riccardo muore, come ce lo fanno entrare, nella bara?
Valentina ce le aveva queste uscite, e ancore ce lha... Valen-
tina... Io ammazzo se mi toccano Valentina. Era per lei che la-
voravo senza fermarmi mai, perch Riccardo mi aveva promesso
una buonuscita e una casa, quando nivo il mio percorso in
Collina e potevo uscire. Puntavo tutto su Valentina. Da grande,
quando avrebbe avuto dei gli, Valentina non doveva avere un
passato di dolore come quello mio e di Barbara. Lavevo deciso
e dovevo fare in modo che succedesse. La vita doveva arontarla
pure lei, ovvio, ma non doveva essere strangolata, come noi,
che certe volte mi sento un reduce di guerra. Quella degli anni
Settanta. Un disastro di cui non parlavo mai a Valentina perch

128
era dicile spiegare a una bambina di nove anni che a Milano,
quando suo padre aveva unaltra vita, cera un morto di droga
al giorno. E pure a volerlo spiegare, lo dico sinceramente, non
sapevo come, o almeno non ancora.

Anche Valentina mi adora, mi ha sempre adorato. Con Barbara


era pi complicata la situazione. Barbara era pi lucida di me e
non ha mai creduto nella Collina. Non voleva che Valentina
prendesse le abitudini e la mentalit della Collina.
Per questo ha voluto andarsene. E pure perch le mancava
la libert. A me della libert non me ne importava tanto, io in
Collina ci stavo bene. Ma lei per convincermi diceva: Ce la
possiamo fare.
Lo sapeva che non era vero, ma voleva andarsene per Valen-
tina, che invece voleva restare. Insomma, era complicato.
In ogni caso, ce ne siamo tornati a Milano e dopo neanche
sei mesi abbiamo ricominciato a farci, ovvio. Io prima di lei, e
me lha sempre rinfacciato.
Poi smettevamo, poi ritornavamo a farci, poi smettevamo,
poi ritornavamo a farci.
Finch una volta sono tornato a casa con la fronte e la faccia
insanguinata. Avevo fatto una rapina in uno studio dentistico.
Ne facevo parecchie perch i dentisti non dichiaravano un cazzo
al sco e non potevano denunciare la rapina.
Ero scappato in macchina, avevo una Cinquecento rossa,
non mi ero fermato a un posto di blocco, mi avevano inseguito,
ero andato a sbattere contro un albero, avevo spaccato il para-
brezza della macchina con la testa.
A casa Barbara mi fascia la fronte. Io gli dico che torno in
Collina. Barbara non ci crede, stai scherzando? Non sto scher-
zando, glielo dico, se continua cos sento che va a nire male,
mi ammazzano, mi arrestano, la bambina va a nire male. E
poi la roba e i soldi non bastano mai. Barbara mi risponde che

129
lei non ci torna in Collina. Allora dico che vado, e che Valentina
la porto con me.
Barbara non se laspettava, glielo avevo promesso che non
tornavamo in Collina. E continua a dire che non si muove da
l, quella casa sua. Le dico di far decidere a Valentina. Fac-
ciamo decidere alla bambina.
Mi guarda con una rabbia... faceva sempre quegli occhi
quando sapeva di aver perso. Perch Valentina voleva tornare
in comunit lo sapeva pure lei. E allora, come mhanno inse-
gnato, continuo a colpire sul sopracciglio aperto: Perdi pure
lei, come hai perso Aurora. E pure lei non la vedi pi.
Aurora era la glia che Barbara aveva con Sandro. Glielave-
vano tolta quando aveva cominciato a farsi e a spacciare. Per que-
sto era andata in comunit la prima volta. E quando ho nominato
Aurora s incazzata davvero e ha iniziato a urlare pezzo di merda,
ti sei fatto per tornare su. Sei un senza palle. E lunico modo per
tornare l era farti di nuovo. Tu volevi solo tornare su.
Mi ha provato a colpire e ho bloccato la mano. Lei ha fatto
resistenza per un po. Alla ne ho liberato la presa e calmo
calmo gli ho ripetuto: Valentina viene con me.

130
III

PERMANENZA

1987 1988
Brutto

Uno dei quattro morto. Lo guardo e non dico niente, come


gli altri, tutti zitti, hanno capito anche loro. facile. Quello
morto non si muove e non respira, sul sedile posteriore, in
mezzo alle molle schizzate fuori dalla tappezzeria. Lo sportello
aperto, il vetro del nestrino lesionato. Ci sbirciamo attraverso
e respiriamo piano, non vogliamo disturbare.
A parte quello morto, gli altri cuccioli sono tre, succhiano le
mammelle a occhi chiusi. La madre non si muove neppure
quando ci vede, troppo impegnata, i tre le danno da fare, si
staccano dalle mammelle solo per riprendere ato, a turno,
come quello nero con la coda bianca, smette di mangiare e si
stira, una zampata al fratello vicino.
Mi chiedo da quanto tempo la 1100 sia ferma qui, poco
dopo la sbarra del posto di blocco, nel parcheggio esterno. Mi
sforzo ma proprio non ricordo se prima di allora ho notato que-
sta macchina abbandonata.
Faccio un passo avanti, silenziosa pi che posso, la cagna mi
sente lo stesso, muove la testa, il corpo sempre fermo nella stessa
posizione. Ci guardiamo, mi ringhia, non mi azzardo a fare un
altro passo.
Un colpo di clacson, Forza!, la voce dellautista. Gennaro
mi tocca la spalla, dobbiamo andare. arrivato il pulmino,
quello non aspetta perch gi devia il percorso apposta per noi
sei. Il mio gruppo. Io che sono il capo, e poi Gennaro, Alba,

133
Sara, Mirco e Rosa (in Collina siamo divisi in vari gruppetti,
con i bambini pi grandi da una parte e quelli pi piccoli dal-
laltra).
Andiamo tutti alle scuole elementari gi al paese. Sono in
quinta, questanno abbiamo lesame ma sono tranquilla, la mae-
stra mi piace, non fa mai domande sui nostri genitori o sulla
Collina e ogni settimana ci assegna un tema. Barbara vuole leg-
gerli sempre, devo andare bene a scuola, importante. Devo
fare come Gennaro, cos bravo a leggere e scrivere. Mi fanno
rabbia certi discorsi, le rispondo a tono, La maestra mi dice che
sono brava, me lha detto anche allultimo tema, bisognava par-
lare di un giornalista ucciso a Palermo il giorno prima, e co-
minciavo cos: Il giornalista era buono, quelli che lo hanno ucciso
erano cattivi.

Faccio segno a Gennaro di andare, Dite che sono malata, lui sin-
cammina e gli altri lo seguono, mi volto, potrebbero raccontarlo
a qualcuno. Sono gi sul pulmino, se viene fuori la storia i cani
li portano via. Senza parlare tra loro prendono posto e mi scru-
tano, si liberano di cappotti, impermeabili e cappucci. Ultima-
mente il tempo non buono, i cuccioli devono restare al caldo,
pioggia e vento nonostante da calendario sia iniziata la prima-
vera. Siamo stati costretti per questo a ritoccare il programma
dei giochi stagionali, ma nessun problema, ne inventiamo di
nuovi: La Collina un luna park, materiale per divertirsi ce n
in abbondanza.
Lascio cadere a terra lo zaino, vicino alla ruota anteriore de-
stra della 1100. Abbasso piano piano il nestrino e allungo il
collo nella macchina per esaminarli da vicino. La cagna si volta,
mi studia ma non ringhia. Benissimo. Sono belli come suc-
chiano, hanno fame, mi somigliano. Ho una fame cento volte
il mio peso. Gi di mattina presto la fame mi butta gi dal letto,
quello senza sbarre. Il giorno in cui tornai dallasilo e vidi il letto

134
senza sbarre, sono diventata grande, pensai, adesso posso andare a
ritirare la colazione da sola (possiamo farlo grazie a Ivan: gli altri
devono mangiare a mensa). E da allora spinta dalla fame mi
butto gi dal letto senza sbarre e corro a mensa come stamat-
tina, la mensa nuova, spaziosa il triplo di quella vecchia perch
ormai siamo quasi duemila. C il primo e il secondo turno,
mille ragazzi al primo e mille al secondo (se trovi pieno il
primo vai al secondo turno).
Arrivo in pigiama e in ritardo di venti minuti buoni, la
mensa vuota. La attraverso in diagonale, dieci foto di Riccardo
alle pareti, busso alle cucine, solo due ragazze che riempiono le
lavastoviglie. Una sempre la stessa, laltra mai vista. Senza
guardarle e sbadigliando faccio lordine, Casetta numero 7, fa-
miglia Carrau. Un cornetto, un cappuccino, un cornetto, un bic-
chiere di latte, un cornetto, due sigarette e un cornetto.
La ragazza Sempre la stessa sta gi per scattare, ma la ragazza
Mai vista prima cantilena come una poesia, Mi dispiace ma la
colazione a questora non si serve pi, sei in ritardo anche rispetto
al secondo turno.
Sospiro, incrocio le braccia, unocchiata a Sempre la stessa,
che dice qualcosa a Mai vista prima, glielo dice allorecchio, non
sento bene cosa, mi arrivano solo poche parole, Ivan Au-
tista Riccardo, insomma le parole giuste. Mai vista prima
corregge la sua espressione severa con qualcosa di pi acco-
gliente. Poi riempie il vassoio e me lo consegna sorridendo.

Nella stanza di Barbara per poco non rovescio tutto quel ben
di dio. Colazioneeeeee.
Si tira su di scatto, grida. Io indietreggio col vassoio in equi-
librio, salvo per miracolo. Non sapevo stesse dormendo. Ha gli
occhi sbarrati come dopo un brutto sogno. Mi chiede se mi ha
spaventato. Mostro il vassoio, La colazione. Barbara va in bagno,
signica che non vuole mangiare a letto. Faccio dietrofront, di-

135
rezione cucina, appoggio il vassoio sul tavolo e, coi gomiti pure
sul tavolo e i pugni a reggere le guance, aspetto che ritorni.
Non devi andare a scuola?
Non devi andare al lavoro?
Rispondere a una domanda con unaltra domanda peggio
che non rispondere.
Quello non lo mangi?
No.
Posso prenderne met porzione?
Met cornetto. Non met porzione.
Qui si dice met porzione.
Tutte cazzate.
Posso prenderlo o no?
Se lo chiami met cornetto.
Va bene, va bene: posso prendere met cornetto?
Lo azzanno e bevo un sorso di latte. Barbara accende una si-
garetta. Io continuo a bocca piena:
Ivan dov?
Non lo so.
Stavolta tornava, no?
Se fanno tardi si fermano a dormire da qualche parte, lo sai.
Ti dispiace che spesso non torna a dormire con te?
il suo lavoro.
Ti dispiace o no?
Perch dovrebbe?
Hai risposto con una domanda.
Barbara spegne la sigaretta a poco pi di met, non la fuma
mai intera. Mi precipito sul terzo cornetto e di nuovo inizio io.
Posso iscrivermi a scuola di karate?
No.
Ti prego.
Ne abbiamo gi parlato.
Lo so, contro le regole.

136
Esatto.
Ma a te non ti piacciono le regole.
Non mi va di elemosinare un permesso duscita a quel de-
ciente di Giulio.
Prima dici che sei contro le regole e poi le rispetti.
Infatti.
Infatti che?
Non sono coerente.
Non ti capisco.
Vai che perdi il pulmino.
Mi carico lo zaino sulle spalle e con le mani inlate nelle ta-
sche del cappotto, quello rosso col cappuccio, viale dei pini e
senza fretta il viale dei platani, arteria verde della Collina di ne
marzo. Primule, calendule, violacciocche, pratoline e sassifra-
ghe, tutte gi orite nonostante il freddo. So i nomi a memoria
grazie a Berta, lanimatrice esperta di ori. In questo periodo si
piantano le prime rose rustiche e ori ornamentali come i cri-
santemi. Bisogna seminare, Berta dice Marzo asciutto e april
bagnato, beato il villano che ha seminato. Ma questo marzo non
tanto asciutto, allora si pota e si concima, rododendri e azalee
lestate prossima spunteranno dappertutto.
Costeggio il piazzale della mensa e in lontananza vedo lorto,
i ragazzi a seminare cipolle, bietole, cardi, cicorie, lattughe ro-
mane, prezzemolo, ravanelli e spinaci (in parte saranno venduti
al mercato ortofrutticolo, in parte niranno sul tavolo della
mensa e nella mia pancia). I responsabili dellorto sono un cen-
tinaio, mi sembra sconnato, dalla zona delle vigne n quasi al
posto di blocco. L mi fermo un momento, prima della sbarra,
ci sono le telecamere. Invece no, non minteressa, subito prose-
guo, non vale la pena, solo TeleCollina, non la televisione vera,
lhanno attivata lo scorso anno (i ragazzi girano e montano i ser-
vizi). Ieri ne hanno trasmesso uno proprio sul posto di blocco e
nel servizio si vedeva Ivan scendere dallAlfa rossa insieme a Ric-

137
cardo, con la voce dello speaker: Il posto di blocco un servizio
che viene svolto giorno e notte con la massima seriet, da sempre fon-
damentale per il ricevimento e il controllo delle persone che hanno
un appuntamento con Riccardo, per lo smistamento del traco di
provenienza esterna, per esigenze e bisogni dei nuovi arrivati. Il
blocco ha nella puntualit, nella correttezza e nella disponibilit i
suoi principi ispiratori, che si sono raorzati ed evoluti cos come si
raorzata ed evoluta La Collina.
Senza fermarmi faccio ciao con la mano alla telecamera, sotto
lo sguardo attento di Giulio, il coordinatore delle riprese dal bal-
concino del gabbiotto. Supero la sbarra con un balzo, come nella
pubblicit dellOlio cuore, pronta a inlarmi nel pulmino per ri-
pararmi dal freddo, ma invece di trovare gli altri al solito posto
di attesa li vedo nel parcheggio, intorno alla 1100 abbandonata.
Gennaro mi fa segno di raggiungerli, da come lo fa lo capi-
sco, si tratta di una faccenda importante. Anche perch gli altri
non staccano gli occhi dai nestrini. Mi faccio largo, unoc-
chiata allinterno e nellordine cagna, cuccioli vivi che succhiano
e cucciolo morto.
Poi, larrivo del pulmino; la mia decisione di restare; la loro
partenza.

Apro lo sportello, allungo la mano, una mossa avventata, la cagna


ringhia di nuovo, ancora pi minacciosa, indietreggio di un passo,
Quanto sei brutta, la scruto per bene, un cane oggettivamente
brutto, il corpo troppo grande rispetto alla testa, il pelo scarseggia
qua e l, boccioso dove invece presente, a ciu bianchi neri e
zozzi, in altri punti appiccicato. Un cane brutto, insomma, ma
per il momento non mi interessa il suo aspetto, voglio solo che si
calmi. Faccio il giro e apro lo sportello del cucciolo morto. Credo
che la madre non smetter di allattare i cuccioli vivi per difendere
il cucciolo morto. Infatti cos, mi guarda con indierenza mentre
lo prendo e mi allontano dalla macchina, veloce, per non farmi

138
vedere da nessuno e per non beccarmi uninfezione. Per devo
farlo. Se restasse con i cuccioli vivi sarebbero loro a pagarne le con-
seguenze. Mentre quello morto resta morto lo stesso, no?
Dunque, secchioni dellimmondizia. Ne apro uno e lo lascio
scivolare. Mi faccio il segno della croce, Padre e glio e spirito
santo e smack.
Unaltra occhiata allinterno della macchina: i cuccioli vivi
hanno nito di mangiare, stanno dormendo tutti e tre. il mo-
mento giusto per fare la mossa successiva, allora via da l, cos
in fretta che quasi mi dimentico lo zaino, un Invicta giallo e
verde che a nonno Gavino e nonna Clara, me lo hanno detto
loro, costato quarantanovemilanovecento lire.

Trenta roulotte ultima generazione sono perfettamente allineate


in un piazzale asfaltato non lontano dalla sbarra. Zaino in spalla
busso alla porticina della terza da destra. Nessuna risposta, ri-
provo, aperto. Nella fessura ci passa appena appena un occhio,
Posso? A una prima occhiata, da quella angolazione, la roulotte
sembra vuota. Marinella Leandri [nata il: 19/09/1952 / a: Bat-
tipaglia / capelli: biondi / occhi: azzurri / altezza: 1,65 / segni par-
ticolari: nessuno / cittadinanza: italiana] seduta in fondo, sulla
sedia di vimini.
Mi saluta con un cenno. Le spiego subito il problema ma
non dico di quello morto. Marinella ci pensa su e nellattesa,
un po in imbarazzo, mi guardo intorno: tutto pulito e ordi-
nato, ogni cosa al suo posto, un tavolino e una sedia, radiolina,
una branda e due specchi, entrambi coperti con asciugamani
rosa. Non faccio in tempo a spiegarmene il motivo che Mari-
nella si fa sospettosa, Come hai fatto a entrare nel canile senza le
chiavi?
Ha partorito fuori la sbarra. Marinella reagisce come non me
laspettavo, scatta si alza e trema, dun tratto rianimata, la paura
sulla faccia.

139
Non sintenerisce quando li vede dormire sotto lo zampone
sporco, come tutto il resto, della madre, anzi singrugnisce. Le
chiedo se li pu visitare.
Devono sparire immediatamente. La supplico di non farlo ma
gi sincammina verso la roulotte a prendere qualche strumento
che non voglio neppure immaginare. Metto da parte tutto il
mio orgoglio, la prego almeno di lasciarli nella macchina se pro-
prio non vuole visitarli (in Collina i cani randagi non sono ben
accetti).
Non lo diciamo a nessuno, cos no alla roulotte. Se non li
vuoi visitare almeno non dire a nessuno che li hai visti, mi sbatte
la porta in faccia. Provo ad aprire, chiusa a chiave, batto i
pugni contro le lamiere, salto e picchietto pure le nestrelle.
Niente da fare. Sono costretta a calmarmi, devo calmarmi, solo
mantenendo la calma potr avere una buona idea. Devo riet-
tere. Pensare. Ragionare...
Prendo foglio e penna nellInvicta e scrivo a caratteri maiu-
scoli, sottolineato: DICO A TUTTI QUELLO CHE HAI
FATTO. In realt non so cosa Marinella abbia fatto ma qualcosa
di sbagliato, come tutti quanti, avr pur fatto. Inlo il foglio
sotto la porta. Sento i suoi passi. Ricompare.
Chi cavolo te lha detto?
Si dice il peccato ma non il peccatore.
Te lha detto lui, vero?
Mi stringo nelle spalle, non sto dicendo s ma neppure sto
dicendo no. Marinella guarda altrove, la rabbia negli occhi,
come se fissasse il suo accusatore. Invece sta solo decidendo
cosa fare, lo capisco quando si accoscia e mi appoggia le mani
sulle spalle, Oltre a te qualcuno sa che quei mostri sono in quella
macchina? Faccio no con la testa, ennesima bugia della gior-
nata, e tendo il bluff allestremo, sperando che non si spezzi:
con la mano destra sul cuore mimo un giuramento solenne.
Marinella si alza, mi guarda, Stronza, e va a prendere il neces-

140
sario per visitare Brutto. Perch ho appena deciso che il mio
cane (s, certo, sar Il mio cane) si chiama cos pure se una
femmina.

La sera stessa prima di cena raduno al cimitero i cinque testi-


moni, attruppati tra la Cappella Limone e la Cappella Barretta
(quello della Collina funziona anche come cimitero comunale
del paese). Il becchino va e viene, si fa le otto ore e torna a casa,
lunico esterno (a parte gli animatori, Giulio, Ivan e pochi altri)
ad avere il permesso di entrare e uscire. gi andato via, posso
addestrare al silenzio i miei. Mi promettono di tacere ma la pru-
denza come si dice non mai troppa, pretendo il giuramento,
lho imparato dai telelm di malavita che guardo insieme a
Ivan. Premo sul mio dito la punta di un taglierino per locca-
sione rubato nel gabbiotto di Giulio. Fuoriesce una goccia di
sangue. Ripeto loperazione con gli altri, uno alla volta, e schiac-
cio per un secondo la mia ferita sulla loro. Accettano tutti
tranne Gennaro, il soldato no ad allora pi dato a sorpresa
si riuta, Mia madre mi ha detto che col sangue si prendono le
malattie. Le malattie di cui parla sua madre toccano solo ai
grandi, Mica a noi bambini, ma il cacasotto irremovibile, si
volta e se ne va senza darmi la possibilit di contrattare e con-
vincerlo. Corre, addirittura, sa di essere stato protagonista di
un atto vile, il primo vero gesto dinsubordinazione da quando
sono il capo.

Durante i giorni successivi, cinque volte al giorno, voglio con-


trollare come sta quella specie di famiglia nella macchina.
Vado da sola, tranne di sera, quando viene pure Marinella per
le cure necessarie. Abbiamo coperto i vetri con dei giornali, i
finestrini abbassati a met per lasciar passare laria. I cuccioli
cresceranno e allora decideremo cosa fare. Per il momento non
voglio pensarci.

141
Tutto la liscio no al quarto giorno, una mattinata piena
di nebbia. La macchina vuota. Apro tutti gli sportelli mezzo
arrugginiti, pure il cofano, spero di trovarne almeno uno. Invece
niente, nella 1100 soltanto polvere e sporcizia, nessuna traccia
di Brutto e gli.
Punto subito alla roulotte di Marinella, apro senza bussare,
viene fuori dal bagno tutta nuda, mi vede e si copre alla meglio
con lasciugamano che toglie da uno degli specchi.
Che vuoi? Lo sa benissimo cosa voglio, Avevamo un patto e
tu lhai infranto. Marinella nega, non le credo, allora mi sup-
plica, Non denunciarmi, sistema lasciugamano che stava per ca-
dere, Non so perch tuo padre te lha detto, sto per chiederle cosa
centri mio padre, poi capisco, mi sale una rabbia che ho voglia
di prenderla a schia, lei si trascina no alla sedia di vimini,
lasciugamano cade e le scopre una spalla e un seno, inizia a
piangere, Ho solo fatto quello che mi hanno chiesto di fare, si copre
di nuovo, Non glielho detto io che cerano i cani, le mani sul
volto, La madre per riuscita a scappare, prova a sorridere, Sei
contenta che la madre scappata? Se la trovi ti aiuto a nascon-
derla... ma non mi denunciare.

Gennaro apre senza chiedere chi , mi vede e chiude di colpo, fac-


cio resistenza, spingo, sono pi forte, lui scappa in bagno, entro,
si chiude a chiave, Che succede? Al padre non rispondo, il traditore
in bagno non ata, batto piedi e mani contro la porta, prova a
calmarmi anche sua madre, batto ancora pi forte, la madre mi
aerra per la spalla, Mi fai male, il marito la rimprovera, Apri, lei
gli d del codardo, che litighino pure, Hai paura di una bambina,
voglio soltanto che Gennaro esca dal bagno, Questa me la paghi.

Ispeziono ogni angolo della Collina, per colpa della nebbia vedo
poco e niente, se mi spingo pi in l al posto del cane trovo il lupo,
passa unora, magari pure vestito da nonna e con la nonna dentro

142
la pancia. Faccio per tornare indietro, mi sto quasi per arrendere
e non credo ai miei occhi quando la vedo che beve in una poz-
zanghera vicina a un canaletto di scolo, poco lontana dalle vigne.
Esulto e lei mi ringhia, per abitudine o per tensione ma non per
attaccare, ne sono sicura. Allora mi avvicino piano piano, lei ri-
comincia a bere. Solleva lo sguardo, ringhia di nuovo, ormai non
le credo pi, le accarezzo la testa, stavolta si da, non so perch
e non me ne importa, mi do anchio e aondo la mano nel
pelo, sul dorso, quel pelo sporco e appiccicoso. Non protesta,
mi lecca la mano. Penso fatta, le dico Andiamo.

Mi hanno raccontato che non era riuscita a evitare il peggio ma


si era difesa bene, un morso ben assestato a Giulio, prima di
scappare ringhiando, com nel suo stile. Non lavevano inse-
guita perch Marinella era occupata a trasferire i cuccioli nel
canile e Giulio sanguinava.
Adesso infatti ha la mano fasciata. Per raggiungere la mia ca-
setta e mettermi in salvo sono obbligata a passare davanti al
posto di blocco. sul balconcino del gabbiotto, le braccia con-
serte. Faccio segno a Brutto di star zitta e conto no a tre nella
mente, poi inizio a correre. Brutto mi imita. Giulio ci vede co-
munque e si lancia allinseguimento, veloce anche lui, superato
il piazzale della mensa lo avverto ancora alle mie spalle. Stessa
cosa allimbocco del viale dei pini, dove per lo distanziamo quel
che basta a tagliare per prime il traguardo, cortile della casetta
numero 7, porta aperta come sempre e dentro tutte e due,
Brutto e io, pi tranquille ma non ancora al sicuro.
Io chiudo la porta a chiave, Brutto abbaia, Barbara assiste
muta. Giulio bussa forte. Prego Barbara di non aprire. Lei mi
dice di andare in camera da letto. Apre la porta. Giulio ansima.
Barbara lo guarda male, Che vuoi? Giulio mostra il mignolo pi
corto, fasciato sulla punta, la garza macchiata di mercurio
cromo, Quella bestia mi ha staccato un dito.

143
La prima falange del mignolo non serve a niente, a Barbara
viene da ridere. Giulio abbassa la mano, Il regolamento impedisce
di tenere animali in casetta. Barbara mostra anche lei il dito,
quello medio per, Col cazzo! e sbatte la porta. Giulio non de-
siste, Sar meglio per te aprire al pi presto. Barbara risponde con
una vocina sottile, Mio marito mi ha ordinato di non aprire a
nessuno in sua assenza, si sposta in camera da letto e con le mani
sui anchi guarda me tutta sudata e Brutto tutta sporca. Si siede
sul letto. Brutto la segue. Barbara la butta gi con una spinta,
Adesso vado al lavoro, quando torno non lo voglio trovare qui den-
tro. Annuisco, Promesso, ma sono tranquilla: a Barbara fare le
cose vietate in Collina piace pi di tutto.

Sei la moglie di Ivan, puoi essere lunica possibilit di farle arrivare


fuori.
Lorenzo chiude la porta della camera oscura e accende la luce
rossa. Barbara non riesce a staccare gli occhi dalle fotograe,
sono sei, appena stampate, Queste non dovevo vederle.
Barbara si rigira la prima foto tra le mani. Non chiarissima.
In primo piano un grande leccio, tra i rami quasi spogli sintravede
Veleno, nel piazzale della macelleria d un cazzotto in faccia a un
ragazzo che Barbara non riconosce; la punizione continua con la
seconda foto, il ragazzo in attesa di un nuovo colpo, quello della
terza, una scarpata di Carmelo in faccia; lui stesso nella quarta foto
sputa addosso al ragazzo, che nella quinta ha le mani sul volto,
mentre sullo sfondo quelli del gruppo stanno ridendo, si vede ni-
tidamente; cos com chiara la sesta foto, con Sabrina che porta
via il ragazzo dal piazzale.
Riccardo nelle foto non c mai.
Per ora ci accontentiamo.
Se lui non c non serve a niente.
Dimmi se lo vuoi fare.
Diranno che sono mele marce in un contesto tranquillo.

144
Per ora facciamo uscire le foto, poi vediamo cosa succede.
A chi le vuoi dare?
Conosco un giornalista. Ha scritto un paio di articoli con-
tro La Collina.
Anche a me serve un motivo valido per uscire...
Lo troviamo.
Per aver il permesso.
Barbara...
E in ogni caso non so se lo farei.
Lorenzo porge a Barbara una settima fotograa, scattata pi
di recente: Veleno, di spalle, schiaccia una ragazza contro le
sbarre della piccionaia, mentre sullo sfondo Paride colpisce Fa-
bienne con una ciotola di metallo.
Barbara non dice una parola, e continua a ssare la foto.

Paride dice a Veleno di sbrigarsi, Fa freddo. Veleno alza la gonna


e abbassa gli slip della ragazza, poi si cala pantaloni e mutande,
resta solo col maglione addosso. Fabienne vestita con jeans e
maglietta (avere freddo fa parte della punizione) e la ragazza
oltre alla gonna ha solo la canottiera. Veleno scosta la bretella e
le palpa un seno, quindi le divarica le gambe con un colpetto
del piede sulla caviglia, la sistema per essere pi comodo, La
minchia non vuole preoccupazioni, lo dice con un accento paler-
mitano talmente forte che gli altri scoppiano a ridere solo
quando lo ripete pi lentamente, La-minchia-non-vuole-preoc-
cupazioni. Lunico del gruppo a non ridere Tito, un po in di-
sparte ma comunque nella gabbia, gli occhi ssi sulla ragazza
che contrae il viso ed emette un gemito. Veleno lha presa per i
anchi e si muove avanti e indietro, prima piano e poi sempre
pi veloce. Il silenzio viene infranto da un grido di Fabienne.
Scatta in piedi e prova a intervenire. qui che Paride la colpisce
con la ciotola. Risospinta a terra Fabienne si trascina no al
fondo della cella, si solleva a fatica, la schiena contro le sbarre.

145
Si pulisce col dorso della mano un rivolo di sangue sulle labbra.
Veleno continua a muoversi. Fabienne chiude gli occhi, non
serve a niente, sente le voci e i rumori, un lamento, un grido
soocato, un grugnito, poi di nuovo silenzio. nita.
Veleno si tira su i pantaloni. La ragazza in ginocchio, ag-
grappata alle sbarre per non fare entrare il terriccio a contatto
con i genitali. Lui estrae dalla tasca tre sigarette e gliele lancia
(lo fa ogni volta: un piccolo premio). La ragazza si riveste come
pu, ancora da terra. Carmelo le porge un ammifero acceso.
La ragazza lo guarda dal basso in alto, vede un volto butterato al
di l della amma. Si quasi fatto buio. La ragazza sposta lo
sguardo sugli altri. Fumano e parlano. Solo Tito continua a s-
sarla. La ragazza guarda Fabienne. Carmelo lascia cadere una sca-
tola di ammiferi vicino alle sigarette, Datti fuoco. Fabienne
ricambia lo sguardo solo per un secondo, poi abbassa gli occhi.
Le manca la forza, il coraggio di sostenerlo.
Il gruppo della macelleria esce dalla gabbia. Paride chiude a
chiave il cancello. La ragazza prende una delle tre sigarette. La
accende da terra, fa un lungo tiro, guarda di nuovo Fabienne.
Perch a lei non tocca quello che tocca a me? Sono rinchiuse in-
sieme da quasi due settimane e Fabienne non mai stata toc-
cata. Non giusto. I primi giorni condividevano le sigarette,
parlavano a lungo oppure cantavano, cercavano in qualche
modo di passare il tempo, le ore scandite solo dai pasti, due
volte al giorno.
Quando la ragazza ha capito che la punizione toccava solo a
lei, ha smesso di cantare con Fabienne, ha smesso di parlare e
non ha pi condiviso le sue sigarette. Da allora trascorrono di-
stanti le ore di chiusura, tutto il giorno in punti opposti della
gabbia. Solo di notte si avvicinano, si stendono sul terriccio, si
avvolgono nelle due coperte concesse, si stringono luna allaltra
e sempre in silenzio si addormentano abbracciate.

146
La mattina successiva Daniele e Sabrina le trovano cos. Fa-
bienne e la ragazza non si svegliano con il rumore delle chiavi
di Sabrina n con la voce di Daniele, Puoi tornare a casa Fa-
bienne.
Lei apre appena gli occhi, indietreggia di scatto, si accorge
di Daniele e si calma. La ragazza ha un brivido di freddo e senza
aprire gli occhi si rannicchia sotto le coperte. Solo adesso Da-
niele si accorge della ferita di Fabienne, Che ti hanno fatto?
Aiutami ad alzare. Daniele la sorregge e la porta fuori dalla
gabbia. Prima di uscire per ssa Sabrina, Se lhanno toccata va
a nire male.

Daniele riuscito a ottenere uno sconto di pena anche stavolta.


Non pu evitare del tutto le punizioni di Fabienne (non
quando lei aronta Riccardo faccia a faccia, in pubblico) ma
pu ottenere piccoli favori: Fabienne si riutava di lavorare in
qualunque altro settore e lui riuscito a farla assegnare al ca-
nile; pu ridurre la durata della chiusura; pu impedire che
Veleno e gli altri le facciano violenza. Questultimo punto non
stato rispettato. Il patto stato infranto. La ferita sulla guan-
cia parla chiaro. Daniele a Riccardo laveva detto: Se la so-
rano me ne vado. E non sarebbe stato facile trovare un altro
medico capace e discreto. Riccardo gli aveva risposto che ne-
anche sapeva cosa facessero quelli della macelleria quando rin-
chiudevano i ragazzi. Daniele invece lo sapeva benissimo, i
ragazzi rinchiusi li curava tutti i giorni. Riccardo aveva tagliato
corto: Non so di cosa parli.

Ora Daniele si sente tradito e si ripromette che a breve prender


una decisione. Per il momento vuole solo portare a casa Fabienne.
Quando gi sono fuori dalla piccionaia indica laltra ragazza a Sa-
brina, Tu prendi lei. Sabrina risponde che la sua punizione non
ancora nita, Ho lordine di farla uscire tra otto giorni.

147
Allalba del nono giorno, invece, Sabrina non va a liberarla,
se la dimentica in piccionaia, e i responsabili della macelleria,
convinti che l dentro non ci sia pi nessuno, non portano da
mangiare n da bere.
Paride e Sabrina trovano la ragazza per caso, la notte suc-
cessiva, quando vanno a rinchiuderne unaltra (Sei pi sporca
del bastone del pollaio, le aveva detto Riccardo davanti a tutti
in seguito a un tentativo di fuga). La ex compagna di cella di
Fabienne immobile, le labbra livide. Pensano subito sia
morta.
Paride si agita, Riccardo mammazza pure a me, Sabrina cerca
di restare lucida, Portiamola subito al pronto soccorso. La nuova
arrivata guarda la ragazza in piccionaia, Io lei la conosco. Sabrina
le ordina di stare zitta e la chiude nella gabbia. Prende laltra
ragazza per le braccia, Paride per le gambe, e la caricano insieme
sul sedile posteriore di una Panda parcheggiata l davanti.

Nella casetta numero 18 la prima a svegliarsi Fabienne, Il tele-


fono. Daniele corre a rispondere, non fa in tempo, resta in attesa,
picchietta le dita sul comodino, il telefono suona di nuovo, sta-
volta alza la cornetta al primo squillo. Non sente bene (la linea
sempre disturbata), ma riesce a distinguere la parola emergenza.
Si veste alla svelta, corre controvento fino al pronto soc-
corso (gli stata assegnata la casetta pi vicina), crede anche
lui che la ragazza sia morta. Le preme due dita sul collo, c
ancora tempo, anche se poco. Daniele spinge in unaltra
stanza il lettino a rotelle. Sabrina fa per entrare ma Daniele
non glielo permette, chiude la porta. Poi muove pianissimo
la ragazza. Il sangue troppo freddo per lipotermia in corso,
deve evitare che arrivi al cuore. Le copre la testa con un cap-
pello di lana e avvolge il corpo con tre coperte ma la ragazza
non reagisce. Daniele si sdraia sul lettino, di fianco a lei, sem-
pre attento a non urtarla, la riscalda con il corpo, ancora

148
niente, le soffia sul collo, non deve stringere ma non deve la-
sciar passare il freddo, il fiato caldo sulla pelle. Si avvicina an-
cora, continua a soffiare fino a quando la ragazza non muove
una mano. Allora Daniele si ferma, la guarda e soffia di nuovo.
La ragazza tossisce.

Da solo nello stanzino, Daniele seduto e fermo da dieci mi-


nuti. Adesso si alza e inizia a camminare avanti e indietro. Nel
frattempo lancia qualche occhiata in direzione della porta,
quindi rivolge lo sguardo alla sedia, fa un passo avanti, la ssa
con insistenza. Unultima occhiata alla porta, poi colpisce la
sedia con un calcio. A quellora il rumore forte. Fa per an-
darsene ma dallaltra stanza sente la voce di un infermiere,
Tutto bene? Daniele alza subito la sedia, la sistema dovera
prima, poi entra nella prima stanza. La ragazza stesa sul let-
tino, sta meglio.
Grazie.
No, non mi ringraziare.

Fabienne sta cullando Jean. Ha da poco compiuto un anno ed


nato in Collina. Era stato svegliato dal telefono e aveva iniziato
a piangere e strillare. Fabienne laveva preso subito tra le braccia
e cullando gli aveva parlato, Mon bb a peur, mais la peur nira
et commencera la joie. Il bambino non si calmava.
Fabienne prova con una canzone:

Monsieur le Prsident
Je vous fais une lettre
Que vous lirez peut-tre
Si vous avez le temps

Quando torna Daniele Jean piange ancora in braccio a Fabienne.


Daniele si avvicina e lo bacia. Il bambino continua a piangere.

149
Daniele e Fabienne si guardano, lei scuote il capo e lui prova in
qualche modo a sorriderle. Poi appoggia su una sedia la borsa da
medico e si chiude in bagno. Fabienne invece culla ancora Jean,
che per non smette di piangere.

150
Lavorare, lavorare

Primo pomeriggio.
Guida Ivan, di anco Johnny Il Biondo. Riccardo controlla
lorologio, Quanto manca? Ivan risponde che in dieci minuti sa-
ranno a Milano.
La macchina una 740 turbo, appena comprata, ha unela-
borazione alla centralina da 250 cavalli.
Ivan mi ha detto che serve per i viaggi lunghi, Belgio,
Olanda e Francia (vanno a trattare lacquisto di cavalli puro-
sangue o a vedere gli appartamenti nuovi di Riccardo). Con
la Volvo vanno anche in Germania, per le mostre dei cani.
Sulle autostrade tedesche Riccardo si diverte, non ci sono li-
miti di velocit, e se Ivan va sotto i duecento lui lo rimprovera,
Non ti senti bene? Ivan sorride e schiaccia lacceleratore, Ric-
cardo se la gode, Che senso ha una macchina del genere se poi la
guidi sotto i duecento?

Ivan e Johnny scendono, elegantissimi e armati. Ivan ha una Sig


Sauer p 226 e una Colt Mustang 308 acp da caviglia; Johnny ha
la Beretta 9X21 (Ivan la usa per girare in comunit, mi dice che
una buona pistola, Non la Mustang n la Sauer ma una
buona pistola). Nel cofano c un fucile Remington 770 caricato
a pallettoni.
Johnny apre la portiera a Riccardo. Lui si sgranchisce, nel-
lultimo tratto si era assopito (ormai dorme meno di cinque ore

151
a notte). Si guarda intorno. Ivan lo tranquillizza, Ho gi con-
trollato, tutto a posto.

Il portone di ferro battuto e vetro collega il parcheggio agli


studi televisivi. A met corridoio il presentatore va incontro a
Riccardo. Si sorridono e si abbracciano. Il presentatore rias-
sume la scaletta. Poi, a Ivan e Johnny, Non andiamo in diretta,
dice, sentitevi liberi.

Nello studio televisivo, un tecnico comincia a contare con le


dita: quattro, tre, due, uno...
PRESENTATORE: Riccardo Mannoni, come ormai tutti sap-
piamo, il fondatore della Collina, famosa comunit di recupero
per tossicodipendenti che dal mese scorso diventata Fondazione
La Collina. Riccardo potr correggermi se sbaglio.
RICCARDO: Tutti gli introiti, benecenza o ricavato della
vendita dei nostri prodotti sono destinati alla Fondazione.
PRESENTATORE: Mi hanno accusato di avere simpatie per
Mannoni, ma lItalia cos: basta avere ba che si somigliano e ti
accusano di fare favoritismi.
Risate. Applausi.
PRESENTATORE: I ragazzi che vedete sono due dei milleno-
vecentosettantasei ospiti della comunit.
RICCARDO: Ormai siamo tanti.
Ivan lo ha guardato in faccia, mentre Riccardo lo diceva, e
per come lha detto, per lo sguardo profondo e per la tensione
della voce, Ivan si sentito forte, potente.
PRESENTATORE (alzando le mani): Fra poco avrete un eser-
cito tutto vostro.
Il pubblico ride e applaude di nuovo.
RICCARDO: La Collina ha pi abitanti di molti Comuni
italiani.
Il presentatore invita la regia a far partire un lmato. Ric-

152
cardo dovr commentarlo. molto ingrassato, fa uno sforzo
per voltarsi verso lo schermo.
RICCARDO: Negli anni ci siamo evoluti, siamo diventati
grandi.
Le immagini mostrano La Collina, luminosa e brulicante. I
cantieri si sono trasformati in un teatro, un cinema, un palaz-
zetto dello sport e una grande villa al centro.
RICCARDO: Lhanno costruita i ragazzi... la villa... per me
ma soprattutto per loro stessi.
Riccardo non sapeva che il lmato lavrebbe mostrata quella
villa, che ormai tutti chiamano la Reggia, unidea dellavvocato
Attico, Quel piccolo stronzo, come lo deniva Riccardo parlan-
done con Ivan. La Reggia la chiamavano i ragazzi (un compli-
mento a Riccardo e a loro stessi, per tirarla su avevano lavorato
giorno e notte) ma anche i giornalisti, tutto materiale per una
rivista satirica che lo attaccava di continuo. Lui la strappava e
la buttava nel fuoco, sempre pi nervoso e suscettibile, in ge-
nerale ma soprattutto con lavvocato Attico. Riccardo non ne
sopportava lironia.
RICCARDO: Nelle nostre scuderie vengono allevati i migliori
cavalli del mondo e i nostri cani vincono mostre dappertutto. Ab-
biamo anche preso un orso da un circo di provincia che non si po-
teva pi permettere di sfamarlo.
Dopo la consegna dellorso da parte dei gestori del circo, le
immagini mostrano le scuderie, i cavalli, i cani. E scene di vita
quotidiana in comunit, con i ragazzi che lavorano, suonano,
cantano e ridono insieme a Riccardo, sempre in mezzo a loro,
come se fosse uno di loro.
PRESENTATORE: proprio ai ragazzi che vorrei dare la pa-
rola. Ivan e Johnny, che abbiamo il piacere di ospitare, parleranno
a nome di tutti loro.
Il presentatore passa il microfono a Ivan.
IVAN: Voglio parlare dellultimo episodio della mia vita

153
prima di conoscere Riccardo. La mia vecchia vita. stato nel
1978. Vado in overdose, sul treno... venivo da Trento... e mi por-
tano al Niguarda di Milano. Un infermiere diceva di sentire an-
cora i battiti. Allora la dottoressa ha deciso di provare, anche se
non cerano speranze. Mi fanno un medicinale nel cuore e mi
rialzo di colpo. Mi assegnano un lettino e un giorno passa di l...
insieme a un gruppo di dottori... una ragazza che stava alle
medie con me. Non sapevo che fosse medico. Lei mi riconosce.
Quando tutti vanno via, mi si avvicina: Ma tu non sei Ivan
Carrau?. Io la guardo e rispondo: No, non sono io... Questa
leroina, non sei pi tu.

Per gli applausi viene gi lo studio. Riccardo abbraccia Ivan.


Lui si commuove perch ha guardato in prima la e ha visto
sua madre e suo padre. Mentre applaudivano si sono a loro volta
commossi, nonno Gavino e nonna Clara, sempre presenti a
ogni apparizione televisiva. Ivan a pretenderlo, sente che
glielo deve, no a dieci anni prima hanno sudato sangue per
colpa sua. E quando ha ricominciato a farsi, nonna Clara, con
Ivan l presente, ha detto a nonno Gavino: morto il glio sba-
gliato, questo che c rimasto non ce la far mai.
In tre anni cambiato tutto. Adesso, quando accompagna
Riccardo a Milano e ha qualche ora libera (ci sono cose che
Riccardo pretende di fare da solo), Ivan va in via Serbelloni,
a San Babila, e appena entra in casa nonno Gavino lo accoglie
con un sorrisone e Ivan lo saluta con un abbraccio, poi bacia
sua madre, la solleva da terra, lei ride, Lasciami lasciami, Ivan
la mette gi e la bacia di nuovo, ancora pi forte. Se per
strada incrociano qualche vicino, c chi dice: Lho visto lal-
tra sera in televisione: comera bello!; oppure: Ne parlavo ieri
con mio marito: chi lavrebbe detto che il figlio della Clara fi-
niva in Tv.
Nonna prende Ivan per il braccio e ricominciano a cammi-

154
nare. Lo tiene stretto, resta un fondo di paura, Ivan potrebbe
scappare da un momento allaltro, l per strada, divincolarsi,
iniziare a correre e da lontano urlare: Mi faccio di nuovo, vi
siete illusi di nuovo, cretini che non siete altro, non nir mai.

Sera.
Sembra di stare in aperta campagna ma i tetti di Milano indi-
cano lesatto contrario: un grande terrazzo di citt, con le piante
posizionate da un agronomo professionista in modo da ricreare
unossigenazione che quasi neutralizza linquinamento. Lo spiega
Benedetta Poli ai suoi ospiti, accomodati intorno al tavolo ro-
tondo, in ferro, quello da giardino: oltre a suo fratello Goredo,
ci sono lavvocato Attico, Riccardo, Ivan, Johnny, un fantino
biondo di nome Schwazer e Geremia Santon (capelli grigi e un
angioma sulla guancia destra), imprenditore veneto che di tanto
in tanto studia Riccardo, incuriosito dal suo modo di muoversi
e di parlare. Non si conoscevano, li hanno presentati quella sera.
Santon ci teneva a essere presente.
Con lodore di tutte queste piante mi sembra di stare in Collina.
Benedetta Poli daccordo con Ivan, servono proprio a questo:
quando lei e suo fratello non vanno in comunit, ne sentono una
tale mancanza da volersi sentire l anche se sono a Milano. Johnny
annuisce, Anchio non posso fare a meno della Collina, se resto in
un altro posto pi di un giorno mi manca da morire. Santon sorride,
Sei diventato dipendente. Ivan lo guarda male ma nessuno ha fatto
caso alla battuta. Lavvocato Attico rilancia, Uno slogan meravi-
glioso: La Collina, non ne potrai pi fare a meno.

Tre cameriere portano a tavola il primo di una lunga serie di


antipasti. Benedetta Poli invita Ivan a deliziarli con una delle
sue storie di malavita che sa raccontare cos bene (lo fa sempre,
durante quelle cene). Ivan ci pensa su, poi inizia il racconto
delle rapine ai dentisti, che non potevano denunciarle perch

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non dichiaravano gli incassi. Goredo Poli lo interrompe, Eet-
tivamente non conosco un solo dentista che versi cento lire al sco.
Geremia Santon sta dalla parte dei dentisti, Il sco un terrorista
legalizzato che attenta quotidianamente alle buone intenzioni degli
investitori. Lavvocato Attico concorda, con un per, Qualcuno
dovr pur pagarle, queste benedette tasse, e lo dico da investitore.
E Goffredo Poli, a proposito di investitori, comincia a par-
lare di soldi, Un orso costa molto, mantenerlo un impegno, e ci
sono gi le tigri, il puma e tutti gli altri animali, nel giardino
della Reggia... cio, della villa. Riccardo non daccordo, la te-
levisione ha mandato in onda il momento in cui lorso veniva
portato in Collina e i proprietari del circo lo hanno abbrac-
ciato e ringraziato davanti a milioni di telespettatori, Alla co-
munit lorso ha fatto bene, te lassicuro. Benedetta alza le mani,
Se lo dici tu ci fidiamo.
Riccardo li rassicura anche sui cavalli, Ho convinto il proprie-
tario di Monsieur Poiccard a vendere: se voi siete daccordo, e mi
appoggiate nanziariamente, il cavallo pi famoso del mondo
manger nelle nostre scuderie gi domani. Goredo chiede
quanto costi quel benedetto cavallo e Riccardo risponde mentre
mastica, Ottocento milioni, poi beve un bicchiere di Cristal e
aspetta le reazioni.
Santon fa finta di essere disinteressato ma segue con atten-
zione. Attico rivolge unocchiata ai Poli. Benedetta annuisce
e Goffredo dice che va bene, Vediamo come va questo cam-
pione. Attico sorride al fantino, Schwazer e Monsieur Poiccard
insieme: la furia e la precisione austriaca in sella alleleganza
francese.
Goredo sospira, Riccardo Riccardo, croce e delizia: mi con-
vincerebbe a comprare lEmpire State Building per piazzarlo al ga-
leone. Anche Ivan pensa la stessa cosa, Non conosco nessuno che
parli meglio di Riccardo. Attico gli stringe il braccio, Che incor-
reggibile adulatore. Ivan risponde che non un adulatore, Io non

156
lecco il culo a nessuno, lo dice perch lo pensa, Nessuno pi con-
vincente di lui. E guardando Riccardo conclude, Dovresti entrare
in politica. Riccardo si mette a ridere, Per lamor del cielo, siamo
tra persone perbene, non pronunciamo brutte parole.

Notte.
Ivan da solo, seduto sui divanetti della hall dello Sheraton
Diana Majestic, lhotel preferito da Riccardo nelle trasferte a Mi-
lano. Ivan lo aspetta perch si sono separati dopo cena, quando
lui e Johnny sono andati a recuperare la Volvo nel garage dei Poli.

Riccardo aveva preferito aspettare sul marciapiede, davanti al


palazzo, una zona tranquilla, con la strada deserta ma illuminata
a giorno dalle vetrine dei negozi, le luci accese anche in orario
di chiusura. Respirava profondamente, come gli aveva ordinato
il gastroenterologo se si sentiva scoppiare (inspirare-trattenere
per dieci secondi-espirare). Riccardo aveva ripetuto quattro volte
lesercizio, a occhi chiusi, talmente assorto che quando alle sue
spalle era comparso Geremia Santon per poco non gli era ve-
nuto un colpo.
Me lo dicono tutti che sembro un fantasma, e la cosa non
mi dispiace.
Cosa vuole?
Ho una proposta importante.
Sentiamo.
Per da soli.
Sullaltro lato della strada si era appena fermata la Volvo. Ric-
cardo aveva fatto segno a Ivan e Johnny e loro se nerano andati
(quando succede cos, signica che devono aspettarlo in hotel).

Ivan si alza dal divanetto appena Riccardo oltrepassa la porta


automatica dellhotel.
Che fai ancora sveglio?

157
Ti devo parlare... Se non sei troppo stanco.
Dimmi.
Lo so che hai tanti cazzi per la testa, ma vorrei parlare di
quella casa.
Riccardo si siede e invita Ivan a fare altrettanto.
I miei genitori hanno venduto lappartamento di Milano.
Lavevano comprato loro e non gli potevo dire di non venderlo.
Me lhai gi detto.
Non ho pi una casa mia... mi sento quasi pronto per la-
sciare La Collina... la mia cura quasi nita... no?
Continua, Ivan. Alla ne ti dir cosa ne penso.
Vorrei la sicurezza di un posto dove vivere quando il per-
corso sar nito.
Capisco.
Anche quella liquidazione, se la possiamo chiamare cos.
Chiamala come pi ti piace.
Chiunque lavori per qualcun altro riceve dei soldi. Io per te...
ormai lavoro da anni... i soldi non li ho mai voluti e non li voglio...
lo faccio con piacere... e rientra nel mio percorso di recupero. Ma
voglio che mia glia viva bene una volta fuori dalla Collina.
Riccardo lo guarda serio, ma senza severit.
Innanzitutto, non siete ancora pronti. In particolare tua
moglie. E lo sai benissimo. Ma soprattutto non credo sia il mo-
mento giusto per partire. Si stanno muovendo scogli impor-
tanti. Non voglio dirti di pi, preferisco che le proposte si
concretizzino. Per sono certo di una cosa: nei prossimi mesi
avr pi che mai bisogno del Nio.

Sotto casa dei Poli, sul marciapiede deserto e illuminato, Santon


aveva ribadito il concetto gi espresso, Una proposta che non
vorr riutare, ed era arrivato subito al dunque.
Grosse societ straniere, lussemburghesi e olandesi soprat-
tutto, faranno donazioni ttizie alla comunit. Adesso che La

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Collina una fondazione, meglio ancora. La societ dona...
un esempio... il corrispettivo di un miliardo di lire alla Fonda-
zione La Collina. lei stesso il presidente, se non sbaglio.
Non sbaglia.
Le societ donano il miliardo alla Fondazione, dunque a
lei, per scaricarlo dalle tasse e abbattere il reddito. Ma le societ
ngono di donare il miliardo. Quei soldi in realt non si muo-
vono. E La Collina deve ngere di ricevere la somma fantasma.
Tutto chiaro n qui?
Continui.
Successivamente verseranno alla Collina il dieci per cento
della cifra, un piccolo presente per il disturbo. A loro conviene
perch quella cifra davvero misera. Si parla dintroiti miliardari
che scaricherebbero dalle tasse. Per lei un vero aare, perch
facendo al contrario lo stesso discorso, quel dieci per cento
una cifra notevole. E la ricever senza muovere un dito.
Insomma io tengo in caldo il miliardo, che in realt non
esiste, o almeno non si muove, e mi prendo la percentuale.
Parlo di un miliardo per semplicare, ma le cifre in que-
stione sono molto pi alte.
Sta facendo benecenza ai ragazzi, Santon?
Non sono tipo da benecenza, lo avr capito.
E che ne so. In questo momento lei quello che spiega e
io sono quello che ascolta.
Allora le spiego che il suo dieci per cento di guadagno
dovr depositarlo in una banca francese di mia ducia. In qual-
che mese ricaver il venti per cento dinteressi. Questultima
somma la prester al sottoscritto. Ho degli amici in Jugoslavia.
Capisco. E da questo scambio con i suoi amici io sono
escluso?
Certo che no.
Ah, ecco.
Avr un ulteriore venticinque per cento.

159
Sono armi?
Questo non la riguarda. Dovr solo decidere in quale banca
svizzera depositare il ricavato di tutta loperazione. Con altri in-
teressi che la faranno felice, dottor Mannoni, glielo garantisce
uno che ne sa qualcosa.
Non sono dottore.
Cambia poco.
Non minteressava laurearmi perch non mi piacciono i
pezzi di carta.
Capisco perfettamente, certo, ma non si preoccupi, non
dovr rmare niente. Basta una stretta di mano. A nessuno dei
due conviene fregare laltro.

Mattina.
Tornato in Collina verso le undici, un ca e una sigaretta,
Ivan si rade con la radiolina accesa, Denim original e unaltra si-
garetta, scarpe nere da lucidare, apre il cassetto del comodino e
sceglie una pistola, ce ne sono tre, prende la Sig Sauer del giorno
prima, la carica e la inla nella fondina di pelle. Nel giardino, la
terza sigaretta in bocca, gi accesa. Sente un rumore dallinterno
della casa, schiaccia la sigaretta, si nasconde dietro il pino grande,
tira fuori la pistola dalla fondina, sente un fruscio, procede len-
tamente no alla casetta, il braccio teso e larma impugnata a
due mani, a met vialetto uno scatto improvviso, quasi di corsa
no alla nestra della cucina, si accovaccia, scosta piano piano
lanta, di nuovo aspetta, poi si rimette in piedi e punta la pistola
contro la nestra, che in quel momento si spalanca e sbuco io.
Gli punto contro la Beretta, siamo vicinissimi e ci guardiamo
negli occhi. Faccio un piccolo movimento, Ivan resta immobile,
ci riprovo, indico un punto nel cielo, Quello cos? Ivan stavolta
si distrae, guarda il punto indicato dal dito, ne approtto e
premo il grilletto, Bum bum bum bum bum, cinque volte anche
se Ivan crollato al primo Bum. Dalla porta di casa esce Brutto,

160
lo annusa stecchito sullerbetta. Lascio la Beretta sul davanzale,
scavalco e prendo la testa di Ivan tra le mani. Lui apre un occhio
e subito lo richiude.
Proprio tu, Jane.
Non dovevi tradirmi, Jack.
Io lo sso, lui tossisce. Sta per crollare.
Ti ho sempre amata.
Poi muore. Io inizio a piangere. Brutto abbaia. Ivan ancora
morto, tra le mia braccia, ma non resistiamo oltre e scoppiamo
a ridere tutti e due. Ivan si alza, si pulisce il vestito con le mani,
mi prende in braccio, fa nta di mordermi il naso, mi mette
gi. Ridiamo ancora e facciamo per entrare nella casetta ma ci
accorgiamo che imbambolate sul viale dei platani due ragazze
ci guardano perplesse.
Reggono un vassoio ciascuna e su ogni vassoio ci sono tre
piatti fondi coperti da altrettanti piatti piani messi alla rovescia
(Barbara ci tiene molto che il cibo non arrivi gi freddo). Ivan
raggiunge le ragazze e ssa quella col caschetto biondo e gli
occhi blu, Stavo solo morendo. La vedo sorridere, prendo la Be-
retta, mi faccio avanti, intimo di consegnare il malloppo, la pi-
stola puntata contro quella col caschetto perch non stacca gli
occhi blu di dosso a Ivan, una bambina, le piace giocare. Laltra
mi porge il vassoio e io me ne vado. Prima di entrare per mi
volto: Ivan dice qualcosa allorecchio della ragazza col caschetto.
Adesso lo sento, parla un po pi forte, Hai avuto paura che fossi
morto davvero? Le accarezza il collo con la punta delle dita, lei
chiude gli occhi. Come avreste fatto senza di me?

Appena Ivan mette piede nel salone gli sparo di nuovo. Barbara
mi riprende, Valentina, posa immediatamente la pistola. Ivan la
rassicura, scarica la pistola. Barbara risponde che ci manche-
rebbe altro.
Mi siedo a tavola, ho fame, sui vassoi ci sono due orentine

161
con insalata per Ivan e Barbara e un controletto con patatine
fritte e ketchup per me. Ivan mi ruba una patatina e la mangia
a bocca aperta. Il piatto mio, Tu mangiati quellinsalata schi-
fosa. Ivan ruba unaltra patatina, Non si dice schifosa. Brutto
mi scruta in attesa di qualche avanzo. Io la ignoro e mi volto
verso Ivan, Dopo andiamo al galeone? Barbara chiede a fare cosa.
Niente, e Ivan mi strizza locchio. Ricambio, ci guardiamo com-
plici. Barbara scuote il capo, Ho i servizi segreti dentro casa.
Squilla il telefono (la nostra lunica casetta col telefono: serve
per chiamare Ivan in caso di urgenza). Lo sento che dice Arrivo.
Riattacca e torna a tavola. Non si siede. Mangia due bocconi
di bistecca ancora in piedi, beve un bicchiere dacqua, chiede a
Barbara com la carne, lei risponde che buonissima. Ivan le
d un bacio, poi bacia anche me. Gli chiedo quando torna. Pre-
stissimo, risponde.

La macchina ferma al posto di blocco, al di qua della sbarra,


una Renault 5 bianca. Ivan tira fuori un quaderno a quadretti
e una Bic blu, inla la testa nel nestrino, accende il quadro,
deve fare un piccolo sforzo per vedere cosa c scritto sul con-
tachilometri. Poi scrive: Renault 5 TARGA: BO 998182, Km:
110.898 110.999. Strappa il foglio, quaderno e penna in
tasca e consegna il foglio a Giulio.

Ivan percorre un sentiero di ghiaia, il cercapersone inizia a squil-


lare, accelera il passo, tuttintorno una vegetazione da giardino
zoologico. Il cancello elettrico si apre quando Ivan suona al ci-
tofono. Iniziano le recinzioni, reti a maglie molto strette a pro-
tezione delle gabbie degli altri animali (non sono proprio
gabbie, piuttosto contenitori senza tetto). La tigre sonnecchia;
il puma solleva appena la testa; gli struzzi gironzolano con quei
culetti spelacchiati e quellaria stupida che a Ivan, e a me, ogni
volta fanno ridere.

162
Anche quella volta Ivan ride, tra s, mentre sale i dieci gradini
che conducono allingresso della Reggia. Riccardo lo aspetta
sulla soglia, Muoviti, sei in ritardo.

Pomeriggio.
La Volvo si ferma quando Riccardo ordina a Ivan di fermarsi.
Gli consegna un biglietto, Vienimi a prendere a questo indirizzo
alle 18 in punto.
La macchina lontana, Riccardo raggiunge un anonimo pa-
lazzo di periferia, suona al citofono, c scritto ANALISI CLI-
NICHE. Sale al secondo piano, entra nello studio, non c quasi
nessuno, soltanto una ragazza incinta accompagnata da un ra-
gazzo con i capelli rasati. Riccardo li guarda e spera che non lo
riconoscano, i due non sembrano neppure averlo visto. Ric-
cardo si siede, nellattesa sfoglia qualche rivista, la segretaria in-
vita i ragazzi a entrare, Riccardo continua a sfogliare, c un
articolo sulla Collina, non lo legge perch lha gi letto. Poi
tocca a lui, entra nel laboratorio, la dottoressa gli cinge il braccio
con il laccio emostatico, dice di lasciarlo rilassato, prende la si-
ringa e cerca la vena. Riccardo ha gli occhi chiusi ma non resi-
ste, li riapre, e appena vede lago sviene. Lo fanno riprendere
con aceto e schiaetti, si scusa, gli dicono che non importa, gli
dicono che succede. Riccardo chiude di nuovo gli occhi e
stringe i denti, gli fanno il prelievo, ovatta, deve tenere premuto
qualche secondo, via lovatta, cerotto, Riccardo ringrazia, paga,
chiede quando pu ritirarle. Per quel tipo di analisi deve passare
una settimana.
Riccardo chiama un taxi, si fa lasciare davanti a un casolare
di campagna. C scritto Villa Lapido. Suona al videocitofono,
il cancello automatico si apre, percorre lacciottolato del viale,
bussa alla porta della villa solo per educazione perch la porta
aperta. Gli va incontro Lucio Lapido, magrissimo e alto. Porge
la mano destra e sorride.

163
Vorr perdonarmi di tutto quello che no a ora successo?
Altrimenti non avrei accettato il suo invito.
Benissimo.
Si stringono la mano e si voltano entrambi. Una ragazza entra
nella stanza attraverso la porta-nestra che d sul giardino.
bellissima e giovane, la gonna larga a ori, una fascia a impedire
che i lunghi capelli biondi le niscano sugli occhi. D un bacio
sulla guancia a Lapido, Ciao nonno, poi tende la mano a Ric-
cardo, Ciao Ilde, piacere di conoscerti.

Ivan arrivato. Il maggiordomo lo fa accomodare nel salone, sul


divano a sei posti. In una foto alla parete Lapido ritratto con
Nixon. Ivan la nota, guarda lorologio: le 18 in punto.
Nellaltra stanza Riccardo scruta Ilde da capo a piedi, soer-
mandosi sulle dita piene di anelli. Lapido se ne accorge, Periodo
hippy, dottor Mannoni. Sempre meglio di quello precedente, il pe-
riodo femme fatale. La signorina Ilde... come spiegare... diciamo
che qualche anno fa passata nel giro di due mesi da che non fu-
mava neanche una sigaretta a farsi di cocaina... conoscenze poco
raccomandabili, come sempre...
Ilde abbassa gli occhi. Riccardo la scuote, Allora, Ilde, ci vo-
gliamo mettere in riga o buttiamo via la giovent? Per lei risponde
Lapido, Ci vogliamo mettere in riga! Poi torna su Riccardo e
mette in chiaro che dopo una visita in compagnia della signora
Poli si reso conto di essersi sbagliato sul conto della comunit,
Mi sono sinceramente pentito di aver dettato al giornale una linea
editoriale tanto accanita ai tempi del processo. Riccardo sorride,
Nessuno perfetto. Anche Lapido sorride, quindi invita Ilde ad
aspettarli di l, Devo discutere alcuni dettagli col dottor Mannoni.

Ivan la vede entrare e si alza in piedi. Tende la mano. Ilde lo


guarda annoiata e gli porge la sua. Ha una stretta debolissima.
Braccia sottili ma tutto il resto rotondo, occhi anchi e seni, le

164
spalle piccole e ossute. Mette un disco, parte una canzone di Ma-
donna. Ivan la conosce ma non ricorda il titolo. Per dire qualcosa
lo dice, La conosco ma non ricordo il titolo. Lei ha chiuso gli occhi,
sta ballando. Ivan non ha mai visto un culo cos bello in vita sua.
Ilde allimprovviso smette di ballare, gli siede di anco, scivola
sui cuscini di pelle del divano, Ci vorrebbe un whisky.
Sono totalmente daccordo. Ilde si avvicina, troppo secondo
Ivan, che guarda la porta dellaltra stanza, cerca di capire se Ric-
cardo stia arrivando. Ilde parla senza guardarlo, una storia che
ho sentito in un lm: lui le disse che lamava e lei per sbaglio prese
uno stuzzicadenti. Allora lui la odi per tutta la vita. Ivan non ha
il tempo di rispondere perch Ilde subito ricomincia, Tu li co-
nosci quelli della Magliana? Ivan risponde di s, certo che s, li
conoscono tutti.
Quando vivevo a Roma, era luomo mio il capo della Banda.
Ilde sta per aggiungere altri dettagli ma sono arrivati Ric-
cardo e Lapido, che ignora Ivan e prende per mano Ilde, Sei
contenta che ti prendono? Sei contenta? Lapido per la gioia non
si accorge che sta stringendo troppo il polso sottile di Ilde, cos
forte che lei urla, Lasciami, testa di cazzo!

Ilde toglie il broncio duecento chilometri dopo. La Volvo im-


bocca la salita per La Collina.
Riccardo sonnecchia e mormora qualcosa dincomprensibile.
Ivan si volta, Cosa? Ilde dice che parlava nel sonno. Ivan guarda
attraverso lo specchietto retrovisore e incrocia gli occhi della ra-
gazza, grandi e scuri. Lei se ne accorge, distoglie lo sguardo e
prende a rosicchiarsi ununghia gi massacrata.
Al posto di blocco il gruppo di chi attende pi folto del
solito. Su un pulmino bivaccano alcuni ragazzi di Roma, quar-
tiere Primavalle, reduci di una comunit costretta a chiudere e
assegnati alla Collina grazie allintercessione del sottosegretario
Di Marzio.

165
Lui e Riccardo hanno iniziato a frequentarsi piuttosto assi-
duamente: Riccardo si fa fotografare con il sottosegretario e il
sottosegretario gli concede qualche favore. Troppo poco, se-
condo Riccardo. Di Marzio gli risponde che se vinceranno le
prossime elezioni (Di sicuro, come sempre) da sottosegretario di-
venter ministro per la Sanit (O inizio a chiacchierare e faccio
nire mezzo partito nella merda).
Riccardo aspetta e per il momento si accontenta di quei pic-
coli favori, come lassegnazione dei ragazzi che provengono da
comunit in chiusura, perch lobiettivo sempre lo stesso: es-
sere tanti, sempre di pi. E Di Marzio gli chiede: Se vuoi pi
gente possibile, perch li fai aspettare due giorni fuori prima di farli
entrare?. Riccardo risponde secco: Questa la regola.

I ragazzi di Primavalle scendono dal pulmino e si avvicinano


alla Volvo non appena si ferma al posto di blocco. Tra loro si fa
largo un uomo che trascina una ragazza, Maria Luisa Casa-
grande [nata il: 15/12/1966 / a: Terni / capelli: neri / occhi: ca-
stani / altezza: 1,70 / segni particolari: nessuno / cittadinanza:
italiana], il volto livido e gli occhi pesti. Non fa parte del
gruppo del pulmino, stata accompagnata da suo padre, che
continua a portarla di forza verso la Volvo. Ivan chiede a Ric-
cardo cosa deve fare, lui risponde di entrare appena Giulio alza
la sbarra.
Luomo batte il pugno contro il nestrino, Io te lho riportata,
Riccardo, tu per te la devi riprendere. Mentre lo dice quasi
schiaccia il volto della glia contro il vetro. Ilde distoglie lo
sguardo. La sbarra si alza. Riccardo dice a Ivan di non partire.
Abbassa il nestrino e accarezza la ragazza. Il padre prova a fer-
marlo, No, Riccardo, non la devi accarezzare. Non se le merita le
carezze sta cretina: stava qui, si era ripresa, stava meglio, ed scap-
pata. Riccardo guarda la ragazza, Perch te ne sei andata, Maria
Luisa? Lei sta per piangere, non risponde, ancora il padre a

166
parlare, Credeva che io e mia moglie ce la riprendevamo a braccia
aperte, dopo che ci ha ammazzato tutti e due, per tre anni a farsi
e a farsi chiavare in mezzo alla strada, sulle panchine, da tutti i
tossici del paese. Maria Luisa urla, Pap, ti prego! Anche il padre
alza la voce, Ma che vuoi pregare, che vuoi pregare, che channo
pure perquisito casa.
Ho chiesto a sua glia, perch risponde lei?
La Volvo viene circondata dai ragazzi del pulmino. Uno di
loro batte contro il nestrino di Ivan, Ce devi fa entra, so ven-
tiquattrore che aspettamo.
Riccardo ordina di partire.
I ragazzi si scansano per non essere investiti e lanciano insulti
in romanesco. Il padre di Maria Luisa corre verso lingresso ma
Giulio lo ferma. Con lui ci sono Veleno, Paride, Carmelo, Cia-
cione e Tito.
Il padre di Maria Luisa ritorna al parcheggio e si appoggia a
una macchina, la testa tra le mani. Maria Luisa prova a conso-
larlo ma viene allontanata con uno spintone. La ragazza si siede
a terra, stessa macchina ma dalla parte opposta, le braccia in-
torno alle gambe e il mento sulle ginocchia.
Dallingresso arrivano urla e rumori. Poi una frenata. Un
altro grido. Maria Luisa vede uno dei ragazzi del pulmino crol-
lare a terra, colpito da un cazzotto di Paride.
Ivan dice a Riccardo e Ilde di chiudersi in macchina e torna
alla sbarra.
I ragazzi di Primavalle hanno provato a entrare di forza e
quelli della macelleria hanno dovuto fermarli. I romani sono di
pi ma sono in scimmia. Ivan lo sa, per questo non si preoccupa.
Veleno e gli altri stanno gi picchiando, i pugni e i calci per
non sembrano bastare. Ivan arriva di corsa e travolge uno dei
loro, che stava prendendo Paride a pugni nello stomaco. Ivan gli
d un paio di testate ma qualcuno lo solleva di peso e lo butta
per terra. Si rialza e lo colpisce con un calcio nei coglioni.

167
La rissa non si placa, dura pi del previsto, pi di quello che
Ivan si aspetti. Allora tira fuori la Sig Sauer e spara due colpi in
aria.

Si voltano contemporaneamente tutti i ragazzi in sala cinema;


si voltano quelli che sono rimasti nei dormitori, in scimmia; si
volta chi sta in casetta; ci voltiamo io e Barbara.
Sar stato un tuono.

I ragazzi romani scappano nel pulmino. Ivan ripone la pistola


nella fondina. Un ultimo irriducibile (Sparame! Sai che cazzo
me frega) steso da un calcio in pancia di Ciacione.
Ivan chiede a Giulio quanti fossero e lui risponde sedici. Sale
con Veleno sul pulmino e li conta. Ne manca uno. Ciacione lo
trascina dentro, quello che si beccato il calcio in pancia. Ivan
aerra per il bavero lautista, Ora tu non li fai scendere no a
quando non vengono a dirti che possono scendere.
Va bene, va bene. Ivan gli punta lo stesso la pistola alla tem-
pia, E se si viene a sapere di sta cosa sei morto. Lautista alza le
mani, Ma che cazzo stai a fa? Ivan ripone la pistola nella fondina
ed esce dal pulmino insieme a Veleno. Si scambiano unoc-
chiata, annuiscono, labbiamo risolta.
Ivan rientra in Collina. Riccardo ancora fuori dalla mac-
china.
Che succede, Ivan? Si pu sapere?
Non succede niente. Tutto a posto.

La telecamera sistemata sul cavalletto davanti alla nestra della


mansarda della Reggia, la stanza di Sabrina. Giulio invita Ilde a
sedersi su una sedia di fronte alla telecamera. Lei chiede di cosa
deve parlare e Sabrina risponde, Di quello che vuoi. Giulio ac-
cende la telecamera.
Ma nonno daccordo con questa cosa?

168
Sabrina annuisce, Puoi anche parlare del tuo rapporto con lui,
se ti va.
Ilde continua a non capire il motivo di quellintervista e Giu-
lio le spiega che fa parte del percorso di recupero, Quando starai
bene e rivedrai il video ti accorgerai di comera spento il tuo viso al
momento dellarrivo. Sarai cos era del tuo miglioramento che non
vorrai tornare indietro.
Ilde alza le spalle, in fondo in fondo non gliene importa
niente. Allora comincia: Il nonno parla male di tutti, attacca
anche le persone di cui scrive bene. Dice che fanno tanto i demo-
cratici, ma lui se li ricorda durante la guerra. E dice pure che si
dovrebbero lavare la bocca col sapone prima di parlare di lui. Dice
sempre cos: lui. Insomma, ci siamo capiti di chi parla. Dice che
oggi non c un politico che valga la met di quello che valeva lui.
E per una volta sono daccordo con mio nonno.

A ne intervista, Sabrina estrae la cassetta dalla telecamera e la


porge a Giulio, che accompagna Ilde al dormitorio femminile,
le indica il suo letto, esce dal capannone e torna nel gabbiotto
del posto di blocco.
Ripone la cassetta in un armadio insieme ad altre centinaia
di cassette tutte uguali, poi richiude larmadio e si passa una
mano sul viso. Prova a lavorare, consulta i libri contabili, usa la
calcolatrice, prende qualche appunto, ma non ce la fa, troppo
stanco. Dal divano ricava una brandina, la ricopre con un len-
zuolo, tira fuori una valigia nascosta nel bagno, toglie i vestiti e
apre una cerniera sul fondo. Prende una scatolina di metallo e
ne estrae un foglio di quaderno appallottolato. Contiene mari-
juana e un pacco di cartine.
Giulio controlla che la porta dellucio sia chiusa e le per-
siane siano abbassate. Prepara una canna. Esce dallucio e per-
corre qualche centinaio di metri, no a un casolare
abbandonato. Si guarda intorno e inizia a fumare.

169
Alla ne schiaccia la canna, raccoglie il mozzicone, torna nel
gabbiotto, srotola il ltro di cartone e lo butta nel water. Scarica,
si accerta che sia andato gi, si mette qualche goccia di collirio
e accende lo stereo. Parte Ziggy Stardust di David Bowie. Giulio
si sdraia sul lettino, chiude gli occhi e sorride alla musica.

Notte.
Ivan entra in camera da letto senza far rumore ma Barbara
sveglia. Lui sinla sotto le coperte, lei accende labat-jour.
Sono a pezzi.
successo qualcosa?
Un po di problemi, ma tutto risolto. Voi che avete fatto?
C stato lincontro con lesterno.
Com andata?
Ho visto Aurora.
Anche Ivan accende la luce e si tira su, le spalle poggiate allo
schienale del letto.
Come sta?
Cos.
ancora arrabbiata?
Credo di s.
Cera pure Sandro?
Non voluto entrare.
Barbara sorride.
Sapessi le feste che si sono fatte Aurora e Vale quando si
sono viste.
Sono contento che si vogliono bene.
Figurati io.

Aurora non la chiamo mai sorellastra, la parola mi fa venire


in mente Cenerentola, storie di orfani e maltrattamenti. una
mia amica, punto e basta, e quando c lincontro con lesterno
mi metto vicina al posto di blocco e guardo scorrere la la (va

170
lenta perch Giulio e Sabrina devono perquisire le borse dei pa-
renti). Aurora la fanno passare subito, ci abbracciamo e ci ba-
ciamo e andiamo in giro per La Collina. Sta quasi tutto
lincontro con me. Ha tredici anni, quattro pi dei miei, ma io
non me ne accorgo.
Oggi abbiamo visto un insetto bellissimo, tutto colorato,
fermo sopra un ore giallo. Ci siamo avvicinate e quello non si
mosso. morto. Non so perch mi sono messa a ridere quando
lha detto. Aurora ha riso pure lei per mi ha chiesto cosa ci
fosse da ridere, se quello era morto.
Ma pure tu stavi ridendo, ho risposto io, e allora lei ha detto,
Cercava di mangiare da quel ore e l sopra morto... credeva di
stare a tavola e si trovato dentro a una tomba. Abbiamo conti-
nuato a ridere, un attacco di quelli impossibili da fermare, ci
siamo buttate sul prato e per calmarsi c voluto un bel po.

Le ho trovate sul prato che ridevano ma non mi hanno vo-


luto dire perch. Mi sono seduta con loro e abbiamo fatto il
gioco del Se potessimo tornare indietro. Lo abbiamo inven-
tato un po di tempo fa. Aurora ha smesso di ridere. Ma non
mi importa, lei qua dentro non ci viene a vivere...
Lo sai che non sono daccordo.
Anche Valentina era un po a disagio. Allora ho detto: Se
potessimo tornare indietro, eviteremmo il silenzio che c ap-
pena stato. Mi hanno guardata, si sono ricordate del gioco.
Valentina si mangiata un pezzo di margherita e io lho sgri-
data. Lei ha detto: Se potessimo tornare indietro, non man-
gerei questo ore. Abbiamo riso, toccava ad Aurora, speravo
che partecipasse al gioco. Ha pensato, e senza guardarmi ha
detto: Se potessimo tornare indietro, cambieremmo queste
parole assurde.
Mentre Barbara parlava, Ivan le accarezzava una gamba con
la punta delle dita. Adesso le d un bacio. Barbara ricambia il

171
bacio e Ivan inizia a spogliarsi. Si spoglia anche lei. Si baciano
di nuovo. Un bacio lungo, profondo...
E dopo un po nella mia stanza arriva il rumore. Non mi va
di ascoltare ma sono contenta: quando c il rumore signica
che le cose vanno bene. Per, appurato che stasera non si litiga,
anzi tutto il contrario, mi tappo le orecchie e ogni tanto le libero
per capire se nito. Il rumore c ancora, rido e schiaccio di
nuovo le orecchie, poi vedo Brutto che si stira, si solleva a fatica
ed esce dalla mia stanza. A bassa voce le dico di fermarsi, di
certo non posso seguirla, mimbarazza far sapere a Ivan e Bar-
bara che sono sveglia.
Brutto non si ferma e spinge la porta della loro stanza. Sono
sdraiati di schiena, nudi, gli occhi al sotto. Brutto fa il suo
ingresso come sempre, lenta, goa e indierente. Ivan la guarda.
Non ho mai visto un cane cos brutto.
Infatti si chiama Brutto.
una femmina e si chiama Brutto. Bah.
una femmina e si chiama Brutto, allora?
E allora non si pu tenere un cane dentro la casetta. N
maschio n femmina, n bello n brutto.
Ma non si pu neppure pranzare, in casetta. E la bambina
non pu mangiare il ketchup. E io non posso fumare trenta si-
garette al giorno. Tante cose non si possono fare e noi le facciamo.
Infatti siamo fortunati. Ma non bisogna tirare troppo la
corda.
Fortunati?
Barbara, per favore.
Silenzio. Ivan sta per addormentarsi, Barbara no.
Valentina vuole andare a scuola di karate.
In Collina non c una scuola di karate.
Fuori c.
Io non la posso accompagnare. Non ho tempo. Lo sai.
Posso accompagnarla io. Cos cambio anche un po aria.

172
Ci vuole un permesso per una cosa del genere.
Anche tu facevi karate. Fa bene. Lo dici sempre. Rilassa. E
lei sta diventando violenta perch nervosa.
Non violenta, sa farsi rispettare. Gennaro uno sgato e
non arriver da nessuna parte.
Gennaro un bambino educato e perbene.
Dovresti essere contenta che Valentina sa difendersi gi alla
sua et. Se quel bambino cos debole sono cazzi suoi e lo sa-
ranno per sempre: la vita non il giardino dei Mini Pony.

Dopo il colpo basso non ho degnato Gennaro di uno sguardo


per un sacco di tempo. Poi per abbiamo fatto pace. Siamo
nello stesso gruppo ed era dicile vedersi tutti i giorni senza
parlarsi. E poi di quel gruppo io sono il capo, e un capo, mi
dice sempre Ivan, deve farsi rispettare ma deve anche saper per-
donare. In eetti funziona, dal giorno in cui lho perdonato da-
vanti a tutti Gennaro mi dimostra pi rispetto di prima e
accetta di guardare Karate Kid anche due volte al giorno. Una
settimana fa, al combattimento nale, ho imitato la mossa del
protagonista e per sbaglio, giuro, lho colpito con un calcio vo-
lante in faccia.
Dieci minuti dopo ero con Barbara nella casetta numero 3,
a chiedere scusa. Il padre di Gennaro minimizzava, Sono bam-
bini, succede. Barbara non poteva crederci, Gli ha tagliato in due
la lingua... che per fortuna era in mezzo ai denti, senn glieli rom-
peva. Io ero di anco a lei, a testa bassa. La madre di Gennaro
mi ssava con rancore, ma senza intervenire. Barbara si scusata
da parte mia e mi ha trascinata sul viale, Quando arriviamo a
casa ti ammazzo.
Ho capito che prima di trovarmi faccia a faccia con lei, da sole
senza Ivan, dovevo far passare un po di tempo e far sbollire la
rabbia. Allora mi sono divincolata e sono scappata. Barbara te-
neva il passo, mi stata dietro no alle stalle. Avevo deciso di ri-

173
fugiarmi l. entrata anche lei, passata davanti alle mucche per
raggiungere le gabbie dei vitelli e in una di queste cero io, la testa
in mezzo alle ginocchia, per diventare invisibile.
Quando mi ha vista allinizio non ha detto niente. Ha fatto
un passo avanti, verso le sbarre, poi si bloccata.
Vieni fuori da l, ha detto.
Io non mi sono mossa, lho guardata. Continuava a ssare la
gabbia in cui mi ero rifugiata.

174
Faccia a faccia

Quando Anna per la prima volta ha visto Marco, ha capito su-


bito che le piaceva, ma non sapeva ancora si chiamasse cos.
Quella canzone, Anna e Marco, lascoltava gi cento volte al
giorno, tutti i giorni, e dopo arrivava anche a duecento. Ci si
vedeva proprio in quel locale che fa schifo, a ballare e poi via,
mano nella mano, e a quel punto chi se ne importava pi del
futuro. Ad Atri, il loro piccolo paese, avevano se stessi.
Nella sua stanza dei quattordici anni costruiva un castello
troppo grande e troppo in fretta, Anna. Senza conoscere Marco
e il suo passato, breve perch aveva la sua stessa et, ma molto
pi incasinato, e lindolenza dei progetti e dei sogni, che inu-
tile farne, Tanto che cambia?
Era fatto in quel modo, secondo lui non poteva cambiare,
inutile voltarsi e ricominciare, avanti piano e dritto, senza ba-
dare a che cosa gli scorresse di anco.
Nelleroina Marco cera nito cos, in uno stato di sonnam-
bulismo. Svegliarsi, cercare la roba, farsi, godersi la botta, cer-
care la roba, farsi di nuovo. Quella vita sembrava fatta apposta
per lui.
Il castello di Anna per era pronto e lei era una custode
molto attenta, quel che poteva fare lo faceva, per il momento
iniziare un discorso, creare un contatto anche minimo, quando
lo vedeva ai giardinetti, in attesa, di che cosa non lo sapeva.
Marco lavvertiva come un piccolo elemento di disturbo,

175
Parla pure, piccola rompicoglioni dai capelli rossi, i capelli di Anna
erano rossi e lunghissimi, sai a me che cazzo me ne frega. Anna
continuava, stessa panchina di Marco, lui neanche rispondeva.
Lauricolare, una buona idea, laveva tolto dal suo e appog-
giato allorecchio di Marco. Il walkman era vecchio, Anna come
sono tante, Anna permalosa, aveva funzionato, il walkman non
la tattica, Marco aveva scrollato le spalle e aveva lanciato unoc-
chiata ai giardinetti.
Anchio mi chiamo Anna, ma non sono come tante e non sono
permalosa.
Dallaltra parte un mezzo sorriso, per Anna gi una piccola
vittoria, e Marco, la scimmia non era ancora forte, Perch no?
La canzone la conosceva, ma non aveva mai fatto caso alle
parole.
Non male.
A canzone quasi nita Marco si era tolto lauricolare, il tipo
era arrivato e Anna laveva guardato allontanarsi.
Sparisci pure, tanto domani ti trovo qua.
Ma il giorno dopo Marco ai giardinetti non cera, e neanche
i successivi.
Anna si era rinchiusa in camera e aveva smesso di fare tutto.
Per poi capire, un mese dopo, che in quel modo non avrebbe
mai saputo dove Marco fosse nito.

Lanimatore spinge con la mano il piatto di minestra. il primo


turno, mormorii e rumori di posate. Marco il piatto di minestra
neppure lo vede, solo lodore gli fa venire la nausea. Ha gi vo-
mitato non sa pi quante volte e neppure sa cosa, non mangia
niente, dieci giorni senza cibo, da quando arrivato. I genitori
lo hanno portato in Collina, piena notte e si era fatto, lhanno
legato mani e piedi, neanche cos si era svegliato.
Pensa sempre che quando avrai smaltito la scimmia avrai
un appetito che non hai mai avuto.

176
Non voglio mangiare, non voglio mangiare mai pi.
Invece mangerai, un giorno mangerai e dormirai, fumerai
e non ti brucer la gola, un giorno avrai voglia di fare lamore.
Il cucchiaio nisce per terra, il rumore si sente in tutta la sala.
Giulio scatta in piedi. Si alzano anche Paride e Carmelo. Lanima-
tore li rassicura, Tutto sotto controllo, poi prende il cucchiaio, lo
pulisce con un fazzoletto, lo aonda nel piatto di minestra e lo
avvicina di nuovo alla bocca di Marco. sicuro che stavolta non
lo respinger.
Non voglio mangiare.
Lo so.
Non voglio mangiare...
Lanimatore gli prende la testa tra le mani.
Anchio ho pianto tanto. Devi pensare sempre a quel
giorno in cui starai bene.

Marco e il suo animatore passeggiano no alle vigne, oltre cento


ragazzi sono impegnati nella raccolta delluva. Mi bastano i ve-
stiti, non mi serve nientaltro di mio. Quello che mi serve me lo
dar la comunit. Ha preso qualche chilo, le occhiaie si sono un
po ritirate. Non posso fumare pi di dieci sigarette al giorno, devo
educarmi allautocontrollo, a saper gestire quello che mi date. Lani-
matore lo ascolta, ducioso, convinto che Marco superer
il colloquio per lidoneit al lavoro. Per due mesi non potr vedere
nessun esterno, neppure i miei genitori e i miei amici... Tanto amici
non ne ho e i miei genitori mi odiano.
Lanimatore gli mette una mano confortevole sulla spalla,
Con la vecchia vita bisogna tagliare del tutto, almeno i primi
tempi, non vogliamo che qui dentro restino su di voi tracce del
mondo esterno, quello che vi ha quasi disintegrati.
E comunque adesso non importante, bisogna concentrarsi
su quellesame, Continua, Marco.
Non si possono avere rapporti sessuali di nascosto e non posso

177
uscire a mio piacimento: il collegamento quotidiano con lesterno
siete voi animatori. Marco si blocca, Come si fa a diventare
animatore?
Bisogna conquistarsi la ducia di Riccardo, risponde lanima-
tore, bisogna non sbagliare mai e dedicare tutte le energie alla co-
munit: non disperdere le energie, in nessun modo.

Guarda Marco e impara. Il caporeparto della falegnameria


ormai lo dice sempre pi spesso, ogni volta che rimprovera
qualcuno per un lavoro fatto male.
Marco non aveva mai lavorato in vita sua, dopo qualche set-
timana ha imparato molto pi di tanti che stanno in falegna-
meria da mesi. questione di volont, il suo animatore lo diceva
sempre. La parola a Marco era sconosciuta, adesso la parola
chiave. Ha cos tanta volont da lavorare anche dopo il suono
della campanella, mezzora in pi, poi esce dalla falegnameria,
una sigaretta davanti allingresso, lontano dagli altri, i suoi cin-
que minuti di solitudine.
Marco spegne la sigaretta contro il muretto, mette in tasca il
mozzicone. Aspetta. Tra poco dal settore della lana usciranno
le ragazze (gli intervalli sono volutamente sfasati). Non aveva
mai pensato alle ragazze, dei loro sorrisi non gli importava, i
loro occhi non li vedeva, i capelli non li aveva mai accarezzati,
i capelli lisci, rossi... i capelli lunghi, lisci e rossi... Lha ricono-
sciuta subito, Ciao Anna, a lei gli occhi stanno brillando, Ciao
Marco. Si sorridono, nel frattempo cercano tutti e due qualcosa
da dire. Ad Anna viene fuori cos, Mi ricordavo che eri pi
magro. Marco risponde che infatti, Mangio molto di pi, qualche
chilo lha preso. Stai bene, dice Anna, e guarda dallaltra parte.
Marco dice grazie, poi non lo sapevo... cerca le parole, le pi
delicate... non credeva che Anna... non sapeva che anche lei...
Insomma, perch sei qui?

178
Il tipo che vendeva la roba aveva detto ad Anna che, se non
erano cazzate, Marco lo avevano portato in Collina, la comunit
famosa.
La roba la vuoi? Anna aveva risposto che non aveva soldi.
Poi tutta la notte per provare a capire la cosa giusta da fare.
Voglio la roba. Ma non sapeva cosa servisse, come funzio-
nasse.
Il cugino della madre. Poco pi grande di lei, la pecora nera
della famiglia. Lei metteva leroina, lui lesperienza e il suo ca-
solare fuori paese. Cerano tornati diverse volte.
Poi Anna aveva detto ai genitori di avere un problema. La
madre aveva pianto, il padre un cazzotto contro il muro, si era
fratturato il polso. Non sapevano cosa fare. E Anna aveva detto,
So che c un posto dove ti guariscono da questa cosa.

Quando ci siamo conosciuti gi mi facevo.


Mi dispiace. Non me nero accorto.
Ma adesso va meglio.
Anche per me.
Silenzio, suona la campanella. La pausa nita.
Ci rivediamo?
Siamo qua.

una decisione che Giulio non prende mai a cuor leggero. Con-
sulta per lennesima volta i permessi rmati dagli animatori. Nel
gabbiotto, in piedi di fronte a lui, Anna e Marco, in attesa.
Giulio continua a riettere, Anna sora la mano di Marco,
lui si volta, prima sorpreso, poi deluso, non roviniamo tutto
proprio adesso, glielo dice con gli occhi. Marco vuole essere in
regola, perch rovinare tutto con qualche stupida infrazione? Il
permesso di passeggiare insieme glielo concederanno solo se
non commettono errori.

179
assurdo chiedere un permesso per passeggiare insieme, aveva detto
Anna.
Marco non sapeva pi come dirlo, Non assurdo, la regola.
Come faceva Anna a non capire, proprio lei, gi punita per
un ritardo sul lavoro? Marco era daccordo con quella puni-
zione, e non glielo aveva nascosto.
Anna dal settore lana, poco faticoso e graticante, si era ri-
trovata a lavorare nel canile (essere trasferiti a un settore pi
duro la punizione se dimostri negligenza), ma non laveva
presa cos male. Al canile aveva conosciuto Fabienne, si erano
piaciute subito. Anna sta imparando un po di francese e forse
Fabienne lunica persona con cui in Collina sia riuscita a sta-
bilire un contatto. Oltre che con Marco, naturalmente, ma nel
loro caso non si tratta di amicizia.

Giulio lo sa bene. per questo che prima di accordare il per-


messo deve pensarci bene. Certo, le dichiarazioni scritte dagli
animatori parlano chiaro: di quei due ragazzi ci si pu dare. E
alla ne cede, rma, a una sola condizione, per il momento non
potranno stare da soli. Anna protesta, cerca di trattare, Marco
subito interviene, Grazie Giulio, va benissimo cos.
Cinque minuti dopo Anna e Marco camminano mano nella
mano lungo i viali della Collina. Dietro di loro, discreti ma pre-
senti, i rispettivi animatori li seguono a debita distanza.

Hanno cominciato a fare barchette di cartone, le costruiscono


bene, sono forti e solide, le lasciano andare lungo i rigagnoli
che si formano in discesa dopo i temporali.
Da soli tutta unaltra cosa, Marco lo deve ammettere, Anna
aveva ragione, ma anche lui aveva la sua. Hanno aspettato e
tutto andato liscio, e adesso nessuna ombra a coprire sorrisi,
passeggiate, baci e il racconto di se stessi.
Mia sorella sposata con un francese. Quando esco vado a vi-

180
vere da loro per un po di tempo. Stanno in campagna.
Marco la odiava la campagna, prima di arrivare in Collina,
Avevamo galline, polli e conigli. Dovevo dimostrare a mio padre
di avere coraggio. Avevo dodici anni. Dovevo uccidere un coniglio.
Mi disse Gli dai una botta forte in testa, neanche se ne accorger,
io non volevo ma lui insisteva, allora ho preso il bastone e ho colpito
il coniglio, proprio sulla testa. Il coniglio non morto e si voltato,
mi ha guardato negli occhi. I suoi tremavano dalla paura.
Marco si interrompe, Anna gli ha preso la mano. Si siedono
sullerba, di anco al rigagnolo, le barchette intorno a loro.
Anna a baciarlo per prima. Marco si scosta. Anna gli sorride,
Va tutto bene.
Si baciano di nuovo. Anna fa sdraiare Marco, si mette su di
lui. Marco prova a opporsi, una resistenza debole, Anna inla
la mano nei suoi jeans. Lo accarezza dolcemente, lentamente.
Si sbottona la camicia, raccoglie i capelli rossi con un elastico.
Ti amo, dice Anna a Marco.
Anchio, dice Marco ad Anna.

Gi dal letto a castello con un salto, per poco non cade. Di


corsa ai bagni del dormitorio. C la solita la, oggi non le pesa.
In pochi minuti a colazione, vuole far parte del primo turno,
lo stesso di Marco. A lui piace svegliarsi presto. Anna lo sa.
In sala non c, lo cerca, non lo vede, niente di grave, si in-
contreranno a pranzo. Latte e biscotti e dritta al canile.
Non in ritardo ma non vede lora di raccontarlo. Marco le
ha detto cento volte che nessuno deve sapere, lha fatta giurare.
Perdere la ducia di Riccardo gi prima di conoscerlo. Non
laveva mai visto, come molti nuovi arrivati (ormai siamo pi
di duemila e Riccardo non solo non ricorda i nomi ma non ha
neanche il tempo di incontrare tutti personalmente), il suo
grande obiettivo era conoscerlo, conquistare la sua ducia e
prima o poi diventare animatore. Fare qualcosa di utile.

181
Anna gira intorno a Fabienne a passo di danza.
Sei diventata pazza?
S, sono diventata pazza. Voglio parlare da sola e ballare da
sola come fanno i pazzi, perch io sono pazza.
Anna le fa segno di seguirla dietro la struttura in cemento, l
sono al sicuro.
Labbiamo fatto. Per tutti e due era la prima volta.
Non vi ha visti nessuno, vero?
Anna fa no con la testa.
Non sei felice per me?
Fabienne non risponde subito, poi sorride, Sono felice.

Pulizia generale delle gabbie, i cani si abbaiano contro per tutto


il tempo, sono divisi soltanto da una rete bucherellata e possono
vedersi.
Le gabbie circondano la grande struttura di cemento. Oltre
a Riccardo, solo la veterinaria ha le chiavi.
Cosa c l dentro?
Per quello che si dice non lo voglio sapere.
Al di l del cancelletto venti cuccioli di cane sono trasferiti
da un furgoncino al cortile recintato. Riccardo e Marinella si
siedono su sgabelli vicini.
La veterinaria esamina un cucciolo alla volta, gli allarga la
bocca per controllare i denti. Poi passa il cucciolo a Riccardo e
dice S oppure No. Quando Marinella dice No Riccardo fa una
croce sul cane con la bomboletta rossa e lo sistema in una cesta.
Fabienne dice ad Anna di continuare a lavorare, Non ti muo-
vere, si fa avanti da sola, alle spalle di Riccardo e Marinella.
Non sapevo che ai cani piacessero i tatuaggi.
Riccardo la vede, subito si volta di nuovo, Ricomincia, allora
la veterinaria prende un cucciolo, No. Riccardo segna e ripone
nella cesta. Ma Fabienne prende il cucciolo in braccio e inizia
ad accarezzarlo.

182
Rimettilo a posto.
Riccardo lo dice con calma, Fabienne continua ad accarez-
zarlo, Mon petit, moi je te sauverai.
Il cane sta per addormentarsi, ha gi chiuso gli occhi, Ric-
cardo si alza, Mettilo nella cesta.
Io lavoro qui e voglio sapere, insiste Fabienne.
Uno schiao in faccia, con il dorso della mano. Fabienne
non reagisce, un schio continuo nellorecchio destro.
Riccardo le prende il cucciolo dalle mani, lo mette nella cesta
e si siede, di nuovo tranquillo. Vai avanti.

Fabienne ancora sul divano, la stessa espressione di unora


prima, la sguardo sso in avanti, contro il muro. ferma cos
da quando Daniele glielha detto, Il timpano rotto. E ha ag-
giunto che se continua cos, Non dovevi farlo amore mio, nir
per farsi ammazzare, E io non potr evitarlo.
Jean si avvicina al divano, alle spalle di Fabienne, Maman, a
voce bassa allorecchio ferito, Maman tu ne parle pas? Il bambino
le tocca una mano, Fabienne si volta di scatto. Lui sta per pian-
gere, lei se ne accorge, sempre pi spaventato, lo prende in
braccio, troppo tardi, Tu ne parle pas? Jean scoppia a piangere.
Facevo nta, mon amour.
Il bambino tira su col naso, Fabienne lo imita, Je jouais, fa
una smora. Il bambino continua a piangere, Tu es malade, in-
dica la fasciatura sullorecchio. Mamma sta bene, lo lancia in
aria e lo riprende al volo, maman va bien. Jean inizia a ridere e
Fabienne continua a lanciarlo in aria, lo bacia forte. Schiaccia
le labbra contro il suo viso.

Fabienne si guarda allo specchio e immagina il suo volto ridotto


a una maschera liscia. Di notte, tra la veglia e il sonno, vede
quella faccia piatta, senza naso, senza bocca, senza orecchie e
senza occhi, una specie di uovo rosa, e non pu dormire.

183
Lo sta raccontando a Barbara mentre tirano per le briglie due
cavalli neri (la domenica mattina consentito andare a cavallo
per qualche ora).
Fabienne monta in sella, ci prova anche Barbara, non ci riesce.
Fabienne scende da cavallo, prova ad aiutarla, Barbara sospira,
Sono un disastro.
Ci vuole forza di volont, cara Barbara, non devi arrenderti,
devi provare e riprovare, puoi farcela. Dobbiamo dimostrare al
mondo di avere forza di volont e coraggio, dobbiamo dimostrare
che sappiamo fare tutto e lo sappiamo fare al meglio. Barbara ride
e riprova, ancora non riesce a salire. Fabienne si mette sullat-
tenti, La volont, cara Barbara, ti manca la forza di volont. Con
la volont si pu fare tutto. Non sei pi una drogata di merda che
non ha volont, sei una ragazza della Collina, dove si allevano i
migliori cavalli del mondo, e tu neppure sai salirci sopra. Barbara
piegata su se stessa, laccento francese e la faccia di Fabienne,
con quellespressione cos bua, la fanno ridere ancora, Basta,
senn non salgo pi. Fabienne sorride, poi subito indurisce il viso,
Non ridere, cara Barbara, qui tu non riderai, tu non piangerai, qui
si riga dritto e basta.

Mi sento in colpa, dice Fabienne mentre procedono a galoppo,


Non mi era mai successo. Neanche verso i miei genitori.
Quando viene rinchiusa, Fabienne vede con i suoi occhi cosa
succede ai compagni e alle compagne di cella. Mentre loro su-
biscono, lei non fa nulla per difenderli. Prova a ripetersi che
non pu agire diversamente. Veleno e gli altri della macelleria,
se intervenisse nel bel mezzo di un pestaggio, carichi come sono,
non penserebbero di certo al patto tra Daniele e Riccardo e lei
subirebbe lo stesso trattamento delle altre ragazze rinchiuse.
Fabienne racconta a Barbara che Maria Luisa, per un mese
con lei in piccionaia, ha sognato le sbarre della cella. Si avvici-
nava lentamente e non sapeva se fosse nel sogno o nella realt e

184
quando si svegliata la prima immagine erano state proprio le
sbarre, la stessa immagine del sogno, solo a una distanza diversa.
Quando dico a Daniele: Andiamo via, tutti e tre, lui risponde
che in Collina ci lavora, grazie alla Collina ancora vivo, e grazie
a Riccardo si laureato. Io dico che se non ricomincio a farmi
per mio glio, non per Riccardo. E lui: se Jean nato perch esiste
La Collina.
Cavalcano leggere, Barbara e Fabienne, si superano a vicenda,
si guardano mentre luna passa di anco allaltra, attraversano la
comunit sotto lo sguardo di animatori e ragazzi, lontane da ca-
sette, reparti e mariti, e si ritrovano oltre i campi coltivati, uno
spazio immenso davanti e La Collina alle spalle.
Non c pericolo, hanno il permesso di raggiungere qualun-
que punto della comunit, hanno dei gli in Collina.

Barbara lancia unultima occhiata allesterno e raggiunge Fa-


bienne, gi tornata indietro, e senza parlare avanzano no alle
scuderie. Davanti allingresso campeggia la scritta: I migliori
cavalli del mondo.
Prima di entrare Fabienne si ferma, La cosa peggiore che non
riesco pi a fare lamore: dopo quattro anni a vedere quello che
fanno alle altre ragazze, e a sentire che mi chiamano troia e put-
tana, forse lo credo davvero.
Non devi pensarla neanche una cosa del genere.
Fabienne la interrompe, Per me peggiore essere diventata cos
che essere rinchiusa.
Lo dice un momento prima di entrare nelle scuderie.
Barbara scende da cavallo, lei non entra, allunga una mano nella
tasca stretta dei jeans e tocca un foglio piegato in quattro. Lo tiene
sempre con s. Non si decide a ricopiarlo e consegnarlo ma non
se ne separa mai. Non sa se quello che c scritto sia la verit, ma
mentre scriveva, di getto, dopo lincontro con Aurora, chiusa nel
bagno della casetta, Barbara era convinta delle sue parole.

185
Caro Lorenzo, avevi ragione tu, sarebbe stato bello conoscersi fuori
sono sicura che se ci fossimo incontrati fuori da qui, io avrei siamo
qui dentro, tutti e due, anche se vorremmo essere ad Alexanderplatz
oppure a Soho (ma anche Bordighera o Casalpusterlengo andreb-
bero bene), labbiamo detto tante volte. Ma siamo qui e dobbiamo
partire da questo presupposto dato di fatto.
Non un posto da cui possiamo evadere, n tu che hai un pro-
getto che fuori di qui non potresti portare a termine, n io che qui
dentro ho la mia vita. Perch, mi piaccia o no, la mia vita qui
dentro. Lunico modo per uscire sarebbe che La Collina smett questo
posto smettesse di esistere. Cos la mia vita, che resterebbe pure
molto male, se questo posto non esistesse pi, perch lei qui ci sta
bene... la mia vita sarebbe costretta a venire via con me (Niente
pi ci legherebbe a questi luoghi, neanche questi ori azzurri...
Scusa, non ho resistito.). E allora potrei vivere, perch, per deni-
zione, io senza la mia vita non posso vivere. Ne ho gi lasciata un
pezzo a Milano met a Milano, e la vedo una volta al mese. Come
pena pu bastare anche per me, che con me stessa sono e voglio
essere! molto dura.
Tu mi dirai che proprio quello che vuoi, far chiudere questo posto
e uscire, tutti l fuori,liberi,. Che questo posto debba chiudere sono
daccordo con te, e lo sai bene, e se venissero diuse le le foto chiude-
rebbe di certo, e forse con le foto c una possibilit, anche su questo
hai ragione. Il dramma problema che io non so se voglio rischiare.
Ho paura. Tutto qui. questo il problema. La paura di perdere anche
Valentina La paura di perdere. Se giochiamo, e perdiamo, non so
cosa succeder. Sono diventata una che quando legge un romanzo,
se sono a inizio pagina, sbircio sulla successiva sperando che non suc-
ceda quello che temo. Non voglio sorprese, ecco tutto, forse perch nella
vita ne ho gi avute troppe, quasi tutte brutte.
Ho sentito in un lm, una
Te lo ricordi cosa dice
Qual era il lm che abbiamo visto insieme in sala cinema, dove

186
la ragazza diceva alla signora, una professoressa universitaria... la
ragazza chiedeva, mi pare cos: Perch alcuni possono salvare e altri
soltanto essere salvati? E la signora rispondeva non lo so.
Probabilmente tu sei fatto per salvare, io no.
So che questo non mi aiuter So che questo non servir
So che questa lettera non una buona motivazione per riutare
la tua proposta, ma una motivazione, la mia motivazione.
Mi dispiace.
Barbara.

La festa di fine estate questanno si svolge in un grande spazio


allaperto, a met strada tra la mensa e il parcheggio. Con lab-
battimento di due casolari e una gettata dasfalto venuta
fuori una piazza simile a quella di un paese vero e proprio. Ci
sono fontanelle, panchine, cespugli a forma danimale e le
aiuole piene di fiori bianchi. Gennaro e io stiamo attenti a
non calpestarli in mezzo al solito viavai che precede le mani-
festazioni pubbliche in Collina. Tutti impegnati a fare qual-
cosa. Oggi il compito pi importante spetta ai ragazzi della
falegnameria. Stanno issando un grande pannello di legno tre
metri per tre e si fanno coraggio a vicenda, si caricano come
una squadra di rugby prima della partita. C anche Marco, il
pi determinato del gruppo, suda e sospinge il pannello,
Forza! Forza!
Ce la mettono tutta quanta, la forza, e Gennaro e io guar-
diamo a bocca aperta, ce la faranno, ne siamo convinti. Infatti
ci sono quasi, basta un altro piccolo sforzo, io e Gennaro
siamo gi pronti ad applaudire quando uno di loro cede,
molla la presa. Il pannello crolla a terra. Lo voltano: si lesio-
nato nel mezzo ma non si rovinato del tutto. I ragazzi della
falegnameria chiamano rinforzi, arrivano in tre dal settore ma-
nutenzione, adesso venti mani accompagnano verso lalto il
pannello e finalmente riescono a posizionarlo sulla struttura

187
in ferro creata appositamente, due sbarre colorate di blu e
bloccate nel cemento. Marco e un suo collega lo fissano con
la fiamma ossidrica. pronto. Adesso si legge chiaramente la
scritta alla base: Secondo Memoriale Agostino Mel. Sul resto
della superficie stato riprodotto a bomboletta, enorme e bel-
lissimo, il volto di Agostino. Sorride e guarda lontano.

Ci sono telecamere e giornalisti (ormai ci siamo abituati), tutti


i ragazzi della comunit, moltissimi genitori, personaggi famosi
con parenti in Collina o che nel corso degli anni, come Lucio
Lapido, presente in veste di ospite e non di cronista, hanno spo-
sato la causa di Riccardo.
Lui si muove a suo agio tra la folla e si ferma solo per rispon-
dere alle domande di una televisione olandese, Non merito
mio, sono i ragazzi ad avercela fatta.
Amo mio marito innanzitutto per la sua umilt, e anche perch
grazie a lui non ho solo due gli, ma ne ho duemiladuecentoventi.
Adele sorride a Luca, lui dalla faccia vorrebbe piuttosto stare
allinferno. Invece non c Claudia, che si dela, parte nessuno
sa per dove ogni volta che arrivano le telecamere. assente
anche lavvocato Attico, negli ultimi tempi non si vede cos
spesso. Sono in prima la Benedetta e Goredo Poli. Salutano
tutti e da tutti sono salutati, abbracci e strette di mano.
Ivan appoggiato con la schiena alla grande fontana in pietra.
Di anco, Pittore. Di fronte c Ilde, la nipote di Lapido. Non vo-
glio avvicinarmi troppo perch Pittore se ne va, e Ivan parla e parla,
gesticola e parla, Ilde ride, si porta il mignolo alla bocca e si rosic-
chia lunghia. Ivan le d un colpetto sulla mano, Ilde scoppia a ri-
dere di nuovo, sempre pi vicina. Cos tanto che mi chiedo dove
sia quellingenua di Barbara. Allora se le va proprio a cercare.
dalla parte opposta della piazza, sul prato con Fabienne,
una delle poche aiuole calpestabili. Parlano sottovoce, mi avvi-
cino in compagnia di Brutto, sinterrompono. Posso stare con

188
voi? Fabienne guarda Barbara, Io stavo andando, posso restare.
Quelle due non riprendono a parlare, nch Barbara non dice
Stai attenta, mia poulette.
A cosa deve stare attenta? Fabienne andata via, Barbara si
stende sullerba e chiude gli occhi, Alle domande di una bambina
che non si fa i fatti suoi.
Non cedo alla provocazione e mi sdraio di anco a lei, a
beccarmi in faccia il sole di ne agosto. Si sdraia anche Brutto.
Poi una sensazione piacevole alle dita, una specie di formicolio.
Barbara mi ha preso la mano.

Alle spalle di Fabienne il vociare della festa si attenua e scom-


pare. Cammina piano, ogni tanto si volta indietro per control-
lare. Non c nessuno, prosegue. Le vigne e lorto sono vuoti
ma il problema la macelleria. Deve passarci per forza davanti.
Non c nessuno neanche l. Tra poco arriver alla porcilaia, il
punto pi pericoloso. Fa una curva stretta e se la trova davanti.
Si ferma. Controlla. Di guardia non c nessuno. Unaltra curva
ed ecco il canile. Fabienne si guarda intorno unultima volta,
poi apre il cancelletto e supera le gabbie dei cani. Abbaiano forte
ma non importa: chiusi l dentro abbaiano sempre. Fabienne si
ferma davanti al portoncino della grande costruzione in ce-
mento. Tira fuori dalla tasca un pezzo di ferro lungo e sottile,
lo inla nella serratura, lo muove a destra e a sinistra, ne piega
la punta e riprova. Muove con meno forza ma con pi preci-
sione. Sente un click, spinge il portone, fa due passi avanti e
viene sommersa dai cuccioli. Strepitano e gli saltano sulle
gambe. Fabienne li sente ma non li vede, dentro totalmente
buio. Si fruga nelle tasche, prende laccendino, fa luce: al di l
dei cuccioli che festeggiano il suo arrivo, oltre quei guaiti che
sembrano una voce sola, ci sono almeno venti cuccioli morti.
Giacciono qua e l, sparsi sul pavimento. Fabienne deve fare
uno sforzo, avanza. Laccendino si spegne, la mano le trema, lo

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riaccende, avvicina la amma a uno dei cuccioli morti. Non ha
segni di percosse. Fabienne ne controlla altri due, anche loro
non sono feriti e anche loro, come il primo, hanno dipinta ad-
dosso la X rossa.
Fabienne scansa i cuccioli vivi, prende in braccio un cucciolo
morto, lo porta allesterno della costruzione in cemento e lo
adagia fuori dal cortile. Ripete loperazione varie volte, poi co-
mincia a raccoglierne due o tre insieme, dipende dal peso, deve
risparmiare tempo. I cuccioli ancora vivi raggiungono i cuccioli
morti sul viale, li annusano e abbaiano forte.

Sono terminati i tornei sportivi e le relative premiazioni, com-


prese la gara di ballo serale e le coreograe delle ginnaste. Si ri-
versano tutti in pista, ci si pu scatenare, anche noi bambini, le
canzoni ad alto volume, limpianto stereo di ultima genera-
zione. Si alternano lenti a pezzi pi movimentati, da Marcella
Bella a Prince, da Boy George a Ornella Vanoni. E quando
parte Lappuntamento Anna si decide a raggiungere Marco. Lha
evitata per tutta la festa, faceva nta di non vederla se lei lo
guardava. Anna capisce la sua prudenza ma vuole ballare quella
canzone con lui. Nientaltro. Giulio ha rmato e nessuno sa del
rigagnolo. Sono autorizzati a ballare insieme.
Marco non risponde, Anna insiste, vuole sapere cosa c che
non va.
Lasciami stare.
Marco si sposta di qualche passo, Anna lo raggiunge, si av-
vicina ancora e lo prende per mano. Marco si divincola, colpa
tua, io non volevo farlo.
Allora questo il problema?
Marco di nuovo non risponde. Anna sorride, Non colpa di
nessuno. Non abbiamo fatto niente di male.
Anna si avvicina ancora, troppo secondo Marco, che la allon-
tana con una spinta e la fa indietreggiare di almeno un metro.

190
Anna riesce a restare in piedi e gli rivolge uno sguardo ferito.
Marco non lo regge. Si volta dallaltra parte e batte le mani a
tempo come la maggior parte dei ragazzi gi sta facendo: Ric-
car-do e A-de-le! Ric-car-do e A-de-le! Ric-car-do e A-de-le! .
Avvicinano marito e moglie e concedono loro tutta la pista.
Adele si stringe a Riccardo, poggia la testa sulla sua spalla. Luca
si rivolge a due ragazze l vicino, Mi viene da vomitare, mi ac-
compagnate al bagno? Le ragazze ridono e lo seguono in dire-
zione della Reggia.
Adele e Riccardo continuano a ballare, nella stessa posizione,
dondolano appena, un po fuori tempo. Adele non si accorge che
Riccardo sta guardando il pannello, ssa il volto di Agostino
come se potesse guardarlo negli occhi e col dorso della mano eli-
mina una lacrima che gli scorre sulla faccia. Stavolta Adele lo ha
visto, viene da piangere anche a lei, resiste, tocca la guancia di
Riccardo. Non una carezza, un modo per dire Guardami.
Tutto questo lhai creato tu, non piangere e goditi il momento.
Riccardo si asciuga unaltra lacrima, Grazie.
E continuano a ballare al centro della pista.

Nella mansarda della Reggia, Sabrina sente bussare, si sveglia,


controlla la sveglia. Mezzogiorno e un quarto. Cazzo!
Nella stanza entra Riccardo. Sabrina si copre con il lenzuolo,
Cos successo? Riccardo le risponde di andare a chiamare Johnny,
Digli di venire subito.
Sabrina fa di corsa le scale e ancora pi velocemente rag-
giunge la roulotte. Si ferma, riprende ato. Le nestrelle sono
oscurate da piccole tende verdi.
Sabrina non pu vedere che allinterno sono accese dieci can-
dele, lo stereo ad alto volume sintonizzato su Radio Deejay. Johnny,
in mutande bianche e a petto nudo, interrompe una serie di es-
sioni. La maniglia della porta si abbassa. Johnny prende la pistola
nel cassetto, se la inla nelle mutande, dietro la schiena.

191
Chi ?
La maniglia si ferma a met, Sono io.
Johnny apre la porta.
Non ti facevo tipo da candele.
Sabrina lo dice e si siede sul letto. Johnny appoggia la pistola
sul comodino, beve mezza bottiglia di una bevanda energetica
allarancia, Che vuoi?
Sabrina prende la pistola e gliela punta contro. Johnny le af-
ferra il polso. Lei non reagisce. Lui stringe. Sabrina fa una smor-
a di dolore. Johnny sorride e molla la presa. Sabrina si
massaggia il polso e poi, con la punta della pistola stretta nel-
laltra mano, gli abbassa le mutande e resta a guardarlo. Johnny
si volta, Vattene.
Sabrina poggia la pistola sul comodino, Riccardo ti vuole ve-
dere: vieni direttamente vestito cos.

Manca solo il dolce, lo servono due cameriere sul tavolo di


vetro. Alle due estremit sono seduti Adele e Riccardo, e di
anco a loro i gli, Claudia e Luca. Al tavolo ci sono anche i
Poli e lavvocato Attico.
Johnny guarda Sabrina, seduta a tavola con gli altri. Non sa-
peva che mangiasse con loro. Lei evita il suo sguardo, Johnny
saluta, la risposta arriva solo da Adele, e non questo lunico
segnale di unatmosfera molto tesa. Lo si pu leggere sul volto
di tutti i presenti e soprattutto su quello dellavvocato Attico,
Proprio non capisco.
Per adesso non capisce neanche Johnny. La cameriera gli porta
una sedia. Lui sta per sedersi ma Riccardo lo ferma, inutile che
ti siedi, tra un minuto ce ne andiamo. Johnny non si siede e inizia
a capirci qualcosa quando Attico chiede cosha il libro che non
vada e Riccardo risponde, Hai scritto che Riccardo Mannoni un
sanguigno, un passionale e tante altre stronzate del genere.
Lavvocato prova a ribattere, La casa editrice entusiasta e in-

192
tende distribuirlo in maniera massiccia.
Questo libro non uscir, dice Riccardo.
Attico si alza, Ho trascorso sei mesi della mia vita a scrivere
questo libro. Ogni sera, dopo una giornata in tribunale, stavo alla
macchina da scrivere per tre ore.
Benedetta Poli lo invita a calmarsi ma lui non obbedisce. Gof-
fredo Poli gli fa segno di star gi, allora lavvocato si siede. Ric-
cardo apre il libro a una pagina segnata. Un passionale, un
sanguigno, con una casa n troppo esagerata. Daltra parte, qualche
peccatuccio di vanit si pu concedere a un uomo perbene come
Mannoni, che ha dedicato tutta la sua vita al prossimo.
Attico si stringe nelle spalle, Cosa c che non va? vero che la
casa esagerata. Claudia daccordo, vero, pap, non c niente
di male in quello che c scritto. Riccardo si alza e butta il libro
sul tavolo. Qualche bicchiere si rovescia. Uno batte contro il
piatto di Luca e si rompe.
Silenzio.
Una cameriera fa sparire dalla tavola i cocci e lancia unoc-
chiata preoccupata in direzione di Claudia. Riccardo le si av-
vicinato, la guarda dallalto in basso, Su di te avevo puntato tutto
e invece non ci sei quando devi esserci e parli quando non devi par-
lare. Claudia si alza, Credi che mi fai paura? Adele non interviene,
non si muove neanche quando Riccardo sta per colpire sua glia.
Claudia non ha paura del colpo, resta ferma, pronta a riceverlo.
Ma Riccardo non la colpisce, si blocca un attimo prima.
Posso andare adesso?
Riccardo non risponde, si limita a guardare Claudia mentre
esce dalla sala da pranzo e poi di casa.

Fabienne tormenta il piatto con la forchetta senza toccare cibo,


Daniele invece ha quasi nito. Le voci dei ragazzi si abbassano
e poi scompaiono. Riccardo appena entrato in mensa, Johnny
e Sabrina al suo anco.

193
Fabienne si alza, lo aspetta in piedi. Daniele la guarda, Che
succede Fabienne?
Riccardo va dritto al loro tavolo, prende una fettina di carne
dal piatto di Fabienne e gliela spinge in bocca, tutta intera. Da-
niele si alza ma viene trattenuto da Johnny. Riccardo spinge la
carne ancora pi gi. Fabienne non riesce a respirare. Riccardo
tiene ferma la mano nella sua bocca e la toglie prima che resti
senza ato. Fabienne sputa la carne e recupera laria.
Cos impari a chiuderla quella bocca... ha succhiato cos tanti
cazzi che se li metti in la fanno il giro del mondo.
Per favore, Riccardo.
Stai zitto pure tu, dice Riccardo a Daniele, Non so come fai a
scopartela: piuttosto lo metterei in un bicchiere pieno di mosche.
Fabienne continua a tossire anche mentre Johnny la porta
via. Daniele stavolta non prova neppure a intromettersi. Sabrina
sottovoce si rivolge a Riccardo, Davanti a tutti non va bene.

Neanche due ore dopo, allinizio del viale dei pini, li vedo da
lontano, Ivan e Barbara. Posso anche sentire qualche parola,
Barbara parla a voce alta e Ivan le dice di abbassarla. Sono vicina
al posto di blocco, zaino in spalla, appena tornata da scuola, e
sto decidendo se passare di l oppure no. Per tornare a casa sono
costretta a farlo ma se stanno litigando per colpa mia, come
spesso succede, sar fermata e rimproverata.
Decido di rischiare, tanto se la discussione riguarda me
prima o poi mi beccano. Passo, non li guardo. Loro non mi fer-
mano. Arrivo in casetta, mi chiudo dentro. Barbara non si cal-
mata, n tantomeno ha abbassato la voce, tutto il contrario, la
sento anche da l, Te lhanno detto cos successo a mensa?
Non sento cosa risponde Ivan. Barbara continua, Per poco
non la soocava.
Non voglio sentire altro e mi sposto dallingresso alla mia ca-
mera, dove le voci non mi arrivano e non posso sentire Ivan,

194
Parliamone a casa, ti prego.
Barbara invece vuole arontare subito la questione, l dove
sono. Ivan si guarda intorno, Barbara continua ad alzare la voce,
Non me ne frega un cazzo che mi sentono.
Si abbassano le persiane delle casette numero 8, 12 e 21. Ivan
allora stringe la mano di Barbara, fa per portarla via. Lei si di-
vincola. Ma subito si bloccano, perch alle loro spalle arriva una
voce, Basta cos, Barbara.
Lorenzo non ha mai ricevuto la lettera. Barbara ci ha pensato
a lungo e alla ne lha bruciata, nel lavandino del bagno. Hanno
arontato largomento una sola volta. Lorenzo non voleva met-
terle pressione, Io non te lo chieder pi, rischieresti pi di me e
non posso pretendere niente. Se decidi di andare, sarai tu a dirmelo.
Per questo non vuole che Barbara faccia cazzate che le im-
pediscano di uscire, casomai accettasse, e prova a farglielo capire
con gli occhi, dopo aver parlato, l sul viale dei pini.
E tu che cazzo vuoi?
Lorenzo non sta guardando Ivan, continua a rivolgere la sua
attenzione soltanto a Barbara, che per il momento ha smesso
di urlare.
Questo pupazzo ti dice di stare zitta e tu stai zitta?
Lorenzo si scusa con Ivan per essere intervenuto, Tua moglie
lavora nel mio reparto e io non voglio che la fotolitograa sia messa
sotto cattiva luce. Ivan non vuole sentire ragioni, Te lo puoi ccare
nel culo il tuo reparto: tu non li dai gli ordini a mia moglie. Lo-
renzo si scusa ancora, Hai ragione, ma tu che sei stato caposettore
dovresti capirmi.
Togliti dai coglioni.

Ivan sullAlfa lha quasi raggiunta, non sono lontani dal cancello
della Reggia e deve fare in fretta. Accelera ancora, si accosta e la
supera, percorre un altro pezzo di strada, frena di colpo, si mette
di traverso per sbarrare la strada alla Cinquecento.

195
Barbara scende. Il cancello della villa lontano non pi di
duecento metri. Scende anche Ivan. Che vuoi fare? Barbara
prova a colpirlo, Glielo devo dire di persona che una merda. Ivan
le blocca le mani.
Lo sa gi, perch lo sa, eccome se lo sa, ma voglio dirglielo in
faccia.
Ivan allimprovviso molla la presa, Diglielo.
Barbara spiazzata, esita un istante, poi si scuote e raggiunge
il citofono. Prima di suonare per si volta. Ivan gli fa un cenno,
Vai. Fai quello che devi fare. Allora Barbara suona.
Un lungo minuto, sia per lei che per Ivan. Risponde Adele,
Barbara, cara, dimmi tutto.
Barbara si fa coraggio, Ciao Adele, vorrei vedere Riccardo.
Adele dice di attendere. Barbara attende.
Poi arriva la voce di Riccardo, distorta dal citofono.
Che vuoi?
Aprimi, voglio parlarti.
Dimmi.
Voglio parlarti di persona.
Se vuoi parlare, parla cos.
Voglio sapere dove hanno rinchiuso Fabienne.
E io che ne so.
Lo sai, invece. E io so che cosa hai fatto a mensa.
Dovevo lasciar correre e dire fate tutti quello che volete?
Strozzarla era lunica cosa che potevi fare?
No, forse ho esagerato. Ma tutti i ragazzi sapevano dei cani,
senza una punizione esemplare avrebbero pensato...
Esatto. Avrebbero pensato.
Ma perch sto dando spiegazioni a te?
Infatti non a me che dovrai dare spiegazioni.
Oh che bello, una minaccia.
Non una minaccia.
una profezia?

196
una certezza.
Altro?
Altro, s. Mille altre cose...
Barbara sinterrompe perch Riccardo ha messo gi. Sta per
suonare di nuovo ma sente la mano di Ivan che si poggia sulla sua
spalla, Torniamo a casa, per favore. Barbara si avvia verso la Cin-
quecento. Ivan la raggiunge, entra anche lui. Chiude lo sportello.
Lo fa per il suo bene, vero?
Lo so benissimo che non per il suo bene, non sono un
coglione.
Barbara lo guarda in maniera diversa, poi Ivan continua. Vo-
glio solo quella casa e quei soldi che mi ha promesso, poi ce ne an-
diamo. Dobbiamo avere pazienza. Dobbiamo sopportare e
aspettare.
Barbara sorride amaro, Lo sapevo, gli dice di scendere. Ivan
non si muove. Non vedremo un soldo e non ci dar nessuna casa.
Le ultime parole di Barbara sono un pensiero che Ivan ha
gi fatto ma non lo pu accettare. Intreccia nervosamente le
dita, per un momento Barbara ha la tentazione di prendergli le
mani tra le sue, le mani di Ivan, grandi ma con le dita sottili,
come piacciono a lei.
Scendi.
Ivan stavolta scende, senza protestare. Barbara lo vede risalire
nellAlfa, fare inversione e sollevare una nuvola di polvere. Bar-
bara mette in moto, un ultimo sguardo alla villa, e parte.

La Cinquecento si ferma nel parcheggio. Barbara scende dalla


macchina. Raggiunge la fotolito. Apre la porta senza bussare.
Lorenzo nellatrio. Le chiede com nita, Tutto bene? Barbara
non risponde. Chiude la porta. Si fa avanti. Gli si mette di
fronte, un centimetro dal suo volto, e allorecchio sussurra, Il
giornalista non dovr vedere la mia faccia.

197
Nascita di un sogno

Riccardo alla scrivania di ciliegio dellucio, al secondo piano


della Reggia. Di fronte a lui seduto il poliziotto, laria stanca,
le gambe accavallate, lancia unocchiata distratta al Tintoretto
sulla parete grande, alle spalle di Riccardo.
Controllate dappertutto.
Ivan e Johnny perlustrano ogni angolo della stanza.
Pulita.
Riccardo guarda il poliziotto, Dov?
Quello allunga una mano nella tasca della giacca e tira fuori
un registratore.
Riccardo preme il tasto PLAY. Un fruscio, poi le voci: Buon-
giorno signor Malaguti, sono il commissario Salce, ci siamo sentiti
al telefono.
Riccardo riavvolge il nastro, apre un cassetto, prende un
mazzo di banconote da centomila lire, ne conta dieci e man
mano le appoggia sulla scrivania, una sullaltra.
Ogni cinque del mese vieni qui a ritirare lo stipendio. Finch
va tutto come deve andare.
Il poliziotto fa per prendere i soldi.
La perquisizione?
Il poliziotto annuisce, Giusto. Domani mattina, alle sei.

Riccardo adesso da solo. Guarda lorologio. C ancora tempo.


Chiude la porta a chiave. Torna a sedersi. Aziona il registratore.

198
Buongiorno signor Malaguti, sono il commissario Salce,
ci siamo sentiti al telefono.
Armando Malaguti, molto piacere.
La ringrazio per aver accettato il mio invito, innanzitutto.
Dovere.
Non era tenuto, invece. un colloquio informale, non un
interrogatorio. Ma era molto importante che accettasse.
Se posso essere utile, perch no?
Si ammazzato un altro ragazzo...
Gli eroinomani si ammazzano di continuo, no?
S, certo, ma voglio lo stesso convincere il procuratore a
riaprire le indagini.
Avete trovato altri prigionieri?
Da quattro anni perquisiamo regolarmente La Collina da
capo a piedi, ma non c mai alcun prigioniero.
E non ne troverete.
Forse. Ma la convocher altre volte. Se lei daccordo.
S, glielho gi detto.
Bene, perch nel processo dellOttanta era imputato,
adesso parzialmente estraneo ai fatti. La sua testimonianza
fondamentale: nessuno conosce Mannoni quanto lei.
Quando ho saputo che voleva parlarmi, ho cercato di fare
chiarezza, di ripercorrere le tappe principali di questa storia, e
ho capito che per raccontarla bene, tra i fatti che conosco con
certezza, perch ne sono stato testimone oculare, devo includere
qualche Si dice. una storia piena di Si dice, sa?
Va bene, includa tutti i Si dice che ritiene necessari.
Ecco... si dice... ad esempio... che Riccardo abbia creato
La Collina senza sapere con esattezza dove stesse andando, ma
si dice anche che avesse n dal principio tutto chiaro nella testa.
stato certamente favorito da ottime intuizioni e dal periodo
storico, per dotato di una lucidit... come dire... visionaria,
ecco... una lucidit visionaria cos spiccata da aver ritenuto con-

199
creto, realizzabile, un progetto che alla maggior parte delle per-
sone sarebbe parso la trama di un lm di fantascienza.
Quindi lei appartiene alla seconda categoria.
Concordo con lipotesi di un progetto preciso, s. Perch
conoscevo Riccardo gi quando andava in collina... dodici anni
fa, circa... su quella collina non cera ancora La Collina e lui
aveva una 127 bianca. Andava l con due pacchetti di Alfa senza
ltro e parcheggiava alla ne del sentiero, prima che la strada
sinterrompesse per lasciare il posto al niente. Perch su quella
collina, nel 1976, non cera niente, soltanto una vigna poco cu-
rata, alberi da frutto selvatici, un casotto abbandonato e un ter-
reno incolto. Riccardo fumava e osservava... ragionava...
studiava... analizzava tutto quel niente, ogni santo giorno. Lo
trascorreva cos il suo tempo libero.
Che lavoro faceva?
Il facchino. I suoi genitori, discendenti da una famiglia di
grandi proprietari terrieri, avevano perso tutto quando Riccardo
era adolescente, e a lui era arrivata polvere. Si sentiva cosparso
di polvere, che per sua fortuna non gli copriva gli occhi. E se
gli occhi erano liberi, Riccardo poteva guardare. Ha sempre
detto che chi guarda attentamente prima o poi capisce. E Ric-
cardo aveva capito che quel pezzo di terra era tutto ci che gli
serviva per smettere di fare il facchino. Lavorava nellalbergo
dei suoceri, da dieci anni. Per Riccardo era la morte... ma aveva
trentotto anni, ancora non voleva morire.
Sono stati i suoceri ad aiutarlo, inizialmente?
Non di loro spontanea volont. stata Adele, sua moglie, a
convincerli. Per dieci anni si limitata ad accudire i gli, senza
intervenire nei litigi in famiglia, n da una parte n dallaltra,
neppure quando suo padre umiliava Riccardo. E lo faceva rego-
larmente, quotidianamente. Soprattutto se cera gente, il vecchio
sferrava il colpo. Ma proprio quel suocero era il proprietario di
terra e casotto, che Riccardo conquist in una maniera quanto-

200
meno bizzarra, per nel suo stile, ngendo un malore nella hall
dellalbergo. E quando riapr gli occhi, in mansarda, la prima per-
sona che vide fu Adele. Riccardo sopport la convalescenza, e le
sue cure amorevoli, per tre giorni, poi disse: Senso di sooca-
mento, vertigine. Soprattutto se intorno c gente. Riccardo ca-
librava accuratamente le frasi, pescando sempre i termini giusti.
Tanto che Adele si convinse e combatt contro i genitori per una
settimana, tenacemente, no a quando non la spunt: pezzo di
terra e casotto sarebbero stati, per un tempo non stabilito, il ri-
fugio di Riccardo, che fece sparire un decennio dalla sua mente
appena volt langolo sulla 127 bianca. Guid no alla prima pe-
riferia, dove ad aspettarlo cero io, a mia volta raggiante, convinto
di essere stato la spinta decisiva alla sua sterzata. Avevo trentanni.
Quindi adesso...
Quasi cinquanta, s. E lo so che sembrano molti di pi.
Ma gli uomini infelici invecchiano prima, commissario. Io amo
il mio lavoro e i ragazzi che ospito nella mia comunit, in questo
senso sono soddisfatto, ma Riccardo mi ha lasciato un senso
dinfelicit profonda. Lerrore per stato mio, dovevo capire
che Riccardo e io siamo troppo diversi: lui di quelli che si lan-
ciano nel vuoto, io sono della razza, come dice quel verso bel-
lissimo, di chi rimane a terra.
Quando venne a prenderla, avevate gi in mente il progetto
della comunit?
Pi che una comunit, uno stile di vita, e il casotto dove
dormimmo insieme la prima notte sarebbe stata la chiesa di
quella che consideravamo unepica novella, Il convivio della
collina, un modus vivendi con regole molto vaghe: vivere cri-
stianamente, non pensare solo a noi stessi, seguire il Vangelo e
le scritture di Paolo. Intraprendemmo quellavventura in dodici,
scegliendo tra gli amici pi stretti, uomini e donne capaci di
dormire in tende di fortuna e mangiare ci che coltivavamo. E
dopo faticose giornate di lavoro praticavamo lunghe sedute spi-

201
ritiche. Maestro indiscusso, Riccardo sedeva al tavolo con le
mani piagate.
vero che si procurava da solo le ferite sulle mani?
Andiamo, commissario. Non mi dica che crede alla storia...
No, non ci credo.
Invece gli altri dieci erano impressionati dalle stimmate,
dal sangue che sincrostava intorno alle ferite, e muti e contem-
planti partecipavano al carteggio con le anime, da cui Riccardo
ricavava gli elementi di conoscenza necessari al passo successivo:
aondare le mani nel dolore della gente. Perch eravamo tutti
decisi ad aiutare il prossimo. E nel giro di qualche mese il pros-
simo si pales, sotto forma di sparute presenze prima e di con-
sistenti unit poi. Non successe per miracolo, io e Riccardo lo
sapevamo benissimo. Era merito dellintensa attivit di Espan-
sione della notizia che tutti e dodici portavamo avanti con
scrupolo nei paesi intorno alla collina.
Arrivarono gi i primi eroinomani?
No, i primi ad arrivare furono malati comuni... per cos
dire... persone disperate da un atteggiamento remissivo dei dot-
tori, bravi soltanto a pronunciare sentenze di morte. Riccardo
li accoglieva, armandoli di speranza e forza di volont, e i malati
partecipavano alle sedute spiritiche, mangiavano i prodotti della
terra e dormivano con noi nelle tende malandate, vivendo al
Convivio le ultime settimane prima del trapasso. Comunque
riconoscenti. I meno gravi invece guarivano. Non sono mai riu-
scito a spiegarmene il motivo... neanche Riccardo, a dire il
vero... ma lui immagazzinava ducia e andava avanti. Perch
chi guariva pagava bene, e con il ricavato delle visite acquist
un orto e un casolare da un contadino caduto in miseria.
Quando ringrazi i suoceri dellospitalit su quel terreno di cui
non aveva pi bisogno, narr con distacco i suoi successi. Adele
sospirava: Lo amo, il suocero mormorava: Impostore.
Mi parli di Mary.

202
Mary. Certo. Il paziente numero zero, diciamo cos. Ar-
riv durante un esercizio spirituale, vestita con un abito ridotto
a brandelli. Riccardo not immediatamente le braccia piene di
buchi. Allora le poggi una mano sulla spalla, ma la ragazza si
scost. Riccardo labbracci, anzi la bracc. Lei cap subito di
essere pi debole, dunque si arrese. Trattenerla era un dovere:
la ragazza stava male, non potevamo lasciarla in balia del freddo
e di se stessa. Mary per stava male in un senso diverso da quello
che noi ipotizzavamo... nessuno di noi sapeva nulla riguardo
alleroina... era in crisi dastinenza, aveva una scimmia paurosa
che prima non le permise di dormire e poi le consigli di scap-
pare. Una fuga che sarebbe andata a buon ne se Riccardo non
avesse controllato il casolare e, trovatolo vuoto, non si fosse
messo alla sua ricerca, sorprendendola mezzora dopo mentre
chiedeva un passaggio, cos deciso a salvarla da prenderla a
schia appena lei aveva provato a ribellarsi con calci e urla. Ri-
portata su in collina, era stata rinchiusa in una baracca, legata
mani e piedi, anch stesse al riparo dal suo male.
Un metodo mai pi abbandonato...
Riccardo cap due cose, con quellepisodio: primo, che la
vera piaga del nostro periodo storico era leroina; secondo, che
trattenere un tossicodipendente era piuttosto semplice. Il tutto
confermato dallesito di ci che avrebbe chiamato Cura Mary:
la ragazza guar e incredibilmente, di sua spontanea volont, de-
cise di rimanere. I genitori non esitavano a denire Riccardo
Mannoni Senzaltro un santo, e la diusione della notizia port
in collina, tra gli altri, Roberto Attico, giovane penalista di grido
negli ambienti della Milano bene. Lavvocato non aveva gli, solo
una nipote, la persona a lui pi cara, adolescente inquieta che era
caduta nelleroina da qualche mese... tutto il giorno al parco, tutto
il giorno a farsi... I genitori avevano perso ogni speranza e Attico
consigli loro, come ultimo tentativo, di rivolgersi a Riccardo
Mannoni, di cui si parlava cos bene. Riccardo si rec nel parco

203
personalmente, prese la ragazza e la port in collina, sottoponen-
dola a un metodo gi vincente, la chiusura nel casolare no a so-
pravvenuta guarigione, quella Cura Mary il cui esito fu
nuovamente positivo. Lavvocato Attico si dichiar a disposizione
ogni qualvolta Riccardo avesse avuto bisogno di lui. La notizia
viaggi di bocca in bocca, soprattutto in certi quartieri di Mi-
lano... Comasina, Baggio, Quarto Oggiaro, Porta Nuova, Aori,
Bovisa, Niguarda, Fulvio Testi... e fu a quel punto che i ragazzi
con problemi di eroina iniziarono a recarsi in collina, spontanea-
mente o costretti dai genitori. Li sistemavamo nelle tende e in
cinque roulotte di seconda mano, mentre Riccardo acquist altri
terreni e ristruttur un secondo casolare, che, diviso in stanze dop-
pie o triple, fu adibito a dormitorio. E quando gli ospiti furono
quaranta, sent giunto il momento distituzionalizzare tutto ci.
La Collina nacque ucialmente lundici novembre 1977, una
data scelta da Riccardo in onore di San Martino Vescovo di Tours,
sepolto quello stesso giorno ma nel 397, patrono dellArma di
Fanteria dellEsercito. Questo non un dettaglio inutile, com-
missario, perch La Collina, per Riccardo... soprattutto da quando
sono andato via ma forse n dallinizio... non stata solo una co-
munit, ma un vero e proprio esercito.
Su questo sono daccordo.
Daltra parte si chiama Guerra alla droga, no?
Certo, certo...
Alla cerimonia ceravamo noi dodici, i ragazzi che gi ospi-
tavamo, il prete della parrocchia pi vicina e naturalmente lav-
vocato Attico, accompagnato da Benedetta e Goredo Poli, suoi
assistiti. Due persone che non hanno bisogno di presentazioni.
Direi di no.
Venne stabilito che La Collina sarebbe stata sostenuta dal
lavoro dei ragazzi, divisi in gruppi e guidati dai diversi respon-
sabili, per dimostrare che si pu vivere cristianamente con oc-
cupazioni umili: contadino, allevatore, falegname, macellaio.

204
Dunque niente soldi dallo Stato, n dallinizio.
No, niente. Riccardo voleva fare tutto da solo, quello della
comunit divent il suo pensiero sso. E ad Adele, che lo re-
clamava, raccomand di pazientare ancora un po: non era
quello il posto adatto a far crescere i loro gli. Per non parlare
degli anziani e dopo tutto aettuosi genitori e della loro attivit,
che non poteva e non doveva abbandonare. And a dirglielo in
albergo e quel giorno, di ritorno in Collina, si present con
Agostino... Agostino Mel... un giovane tossicodipendente.
Non ho mai voluto n immaginare n sapere dove Riccardo
labbia trovato. So soltanto che quando arriv in Collina era
strafatto. Credo che Riccardo labbia portato lass senza che
Agostino sapesse esattamente dove stessero andando. Ero fu-
rioso per quella novit... come pu immaginare... capii subito
che non rientrava nella guerra alla droga ma in ben altri pro-
getti. E gli dissi che aveva superato il limite che un educatore
deve sempre rispettare. Lui minimizz e contrattacc, dandomi
del noioso, del moralista. Confessai che non era moralismo ma
gelosia, e di tutta risposta Riccardo scoppi a ridere. Decisi di
lasciar perdere... mi arresi... anche convinto, o forse speranzoso,
che si sarebbe stancato di Agostino, prima o poi, previsione che
si rivel totalmente errata, visto che gli si leg in maniera sem-
pre pi morbosa, no a divenire soocante e geloso, soprattutto
delle donne e soprattutto dalla notte in cui lo trov nascosto
tra lerba alta insieme a una coetanea, prontamente allontanata
dalla comunit per Mancanza di disciplina. Agostino, invece,
non ricevette alcuna punizione...

Riccardo ferma il nastro, guarda la porta, stanno bussando.


Adesso no.
Dallaltra parte arriva la voce di Adele, urgente.
Riccardo sbua, va ad aprire, Che c?
La risposta di Adele un foglio di carta mezzo stropicciato

205
che gli allunga in una mano. Riccardo legge quello che c
scritto: Sar io a contattarvi, quando sar il momento. Claudia.
Che ci devo fare con questo?
Adele lo ssa, Tua glia andata via.
Riccardo torna alla scrivania, Quando avr fame torner.
Adele fa per uscire, Non riesco a crederci, chiude la porta.
Riccardo d unaltra occhiata alla lettera, rilegge quellunica
frase. Appallottola il foglio e lo butta nel cestino. Poi aziona di
nuovo il registratore.

Agostino non aveva il coraggio di andarsene e sfogava il


suo malessere con capricci e scenate pubbliche. Riccardo gli ri-
cordava che avrebbe dovuto essergli grato per averlo strappato
alleroina e soprattutto alla vita di strada.
Benissimo signor Malaguti, tutto molto interessante, glie-
lassicuro. Ma le devo chiedere di tagliare le scene damore... di-
ciamo cos... e arrivare alla fase giudiziaria.
Ha ragione, per Agostino importante non solo perch mi
ha... per la sua storia con Riccardo... centra proprio con quella
che lei denisce fase giudiziaria, o almeno con il suo principio.
Ma prima devo dire che la comunit a quel tempo, al di l del
Problema Agostino, visse un momento di grande incertezza.
Era sul punto di chiudere perch i ragazzi sempre pi spesso se-
guivano i consigli della scimmia e scappavano. Venne perci co-
stituito un gruppo apposito per riportarli indietro. Quelli del
gruppo erano determinati, pur di compiacere Riccardo, che con-
sideravano innanzitutto un padre, prima che un educatore, ma
vinceva lincompetenza, e i risultati furono disastrosi: molti fug-
gitivi riuscivano facilmente nel proprio intento. Allora Riccardo
e io mettemmo da parte le questioni personali e cercammo di ca-
pire cosa fare, come ai vecchi tempi, e la ritrovata complicit...
lavorativa... fu ripagata da un colpo di fortuna: trovammo la per-
sona di cui avevamo bisogno tra i nuovi arrivati del 1978.

206
Ivan Carrau.
Esatto, il Nio di San Babila. Gli adammo il nuovo
gruppo di recupero, che con lui funzionava a meraviglia, ri-
portando indietro il cento per cento dei fuggitivi. a questo
punto che fu decisivo Agostino, perch aiut una ragazza a
scappare dalla comunit. Altrimenti non sarebbe sfuggita al
controllo di Ivan e dei suoi... Non sappiamo come fece, Ago-
stino, ma sappiamo che lo fece, perch messo alle strette da
Riccardo, quando tornammo in comunit, dopo il processo,
confess piangendo come un bambino. Neanche in quelloc-
casione fu cacciato. La ragazza che Agostino aiut a scappare
raccont in questura di aver trascorso in Collina sedici giorni
di prigionia in piccionaia.
Incatenata...
Le catene sono state mostrate anche al processo, come
prove.
Io ancora non cero.
In ogni caso era stata incatenata, s, e quando i poliziotti
fecero irruzione in Collina trovarono altri sette ragazzi incate-
nati in altrettante prigioni. Deposero tutti contro Riccardo e
gli altri responsabili della comunit, me compreso, trascor-
remmo un mese in carcere, in attesa del processo. Fummo con-
dannati in primo grado, com noto. In vista dellappello,
invece, si cominci a muovere lopinione pubblica, quasi total-
mente schierata dalla nostra parte, soprattutto i genitori dei ra-
gazzi, compresi quelli incatenati. Si radunavano davanti al
tribunale, incazzati a morte con i giudici e con lo Stato. Ai gior-
nalisti dicevano Se Riccardo mio glio lo incatena, fa bene,
oppure A me la severit mancata, non sono stata capace di
essere una madre e mio marito non capace di essere padre,
Riccardo ce lha fatto capire con il suo operato: un genitore deve
avere il coraggio di sorvegliare suo glio e di essere severo, un
genitore deve avere il coraggio di punire. Cerano anche per-

207
sonaggi dello spettacolo, tutti riconoscenti a Riccardo. Devo
essere sincero, commissario, non mi aspettavo quelle reazioni.
Un vero e proprio sollevamento popolare. E fummo assolti in
appello... perch... diceva la sentenza... Spinti dalla necessit
di impedire che quelle persone, capaci di intendere ma non di
volere, potessero nuocere a se stessi e agli altri.
Benedetta e Goredo Poli non rilasciarono dichiarazioni.
Li avete incontrati, durante il mese di detenzione?
No, perch in quelle settimane cos delicate i Poli si erano
delati, cercando di capire cosa sarebbe successo. Durante la no-
stra assenza la comunit era stata autogestita dai ragazzi, con Ivan
Carrau come coordinatore. In seguito allassoluzione piena i Poli
tornarono pi convinti che mai e iniziarono a sovvenzionare la
comunit con quantit di denaro che denire ingenti riduttivo.
Lo fecero perch credevano davvero che Riccardo fosse una specie
di santone, ma anche per acquistare popolarit... Benedetta co-
minciava la sua brillante carriera nella carta stampata... e forse ci
credevano... in ogni caso sborsavano mensilmente no a quindici
milioni di lire. Fu per questo che mintromisi, accusando Ric-
cardo di distorcere lo spirito iniziale: se avesse accettato soldi da
un miliardario, avrebbe implicitamente ammesso che solo se si
possiedono beni e denaro possibile aiutare il prossimo. Ric-
cardo, dal canto suo, aveva s in mente di aiutare il prossimo, ma
nel modo pi veloce ed ecace possibile. Dissi che se avesse ac-
cettato quei soldi, avrei lasciato immediatamente la comunit. E
per come la faccenda si evoluta, non credo tenesse molto a cuore
la mia permanenza. Perch di ritorno da alcune commissioni che
ero andato a fare in paese... un giorno come un altro... Riccardo
semplicemente mimped di entrare in Collina. Capii subito che,
nonostante lassurdit della questione, non stava aatto scher-
zando. Gli dissi comunque di non dire stronzate e di farmi pas-
sare, ma lui scosse il capo e ribatt che non era possibile. Mi
alterai... iniziai a urlare... Questo posto lo abbiamo fondato in-

208
sieme e non puoi impedirmi di entrare... Mi scagliai su di lui.
Non ebbe nessuna dicolt a fermarmi. Alle sue spalle vidi farsi
avanti Ivan Carrau e decisi ancora una volta di arrendermi. Andai
via, senza neppure prendere le mie cose, perch passai dalla rabbia
al dolore in pochi minuti. Qualche tempo dopo fondai la mia
piccola comunit in una campagna della Toscana, dove cerco di
portare avanti il messaggio del Convivio. Ma dura. Molto dura.
Le faccio i miei migliori auguri, signor Malaguti. Se li
merita.
Grazie, commissario. Vuole sapere altro?
Per il momento va bene cos.

Ci sono un paio di chilometri da fare, la porcilaia lontana dal


cuore della comunit. Sabrina guida, in silenzio per lintero tra-
gitto. Riccardo pensa alle sue parole: non si puniscono in quel
modo i ragazzi davanti a tutti.
Sabrina gli ha fatto quel discorso quando Fabienne stata pu-
nita a mensa. Riccardo in mansarda va spesso, soprattutto se si de-
prime e beve troppo. Allora si sfoga con Sabrina, che si siede sul
letto, e lui si sdraia con la testa sulle sue gambe. Lei gli accarezza i
capelli. Riccardo si lamenta, Mi manca.
Lo so quanto ti manca.
Quando Sabrina lo vede pi calmo, allora cambia argomento,
Davanti agli altri non va bene. Devi mantenere il controllo.
Lei sar sempre dalla sua parte, qualunque cosa succeda, ma
Riccardo non deve rischiare di mettersi contro i ragazzi, deve
mostrare il suo amore e la sua fermezza ma non esibire la vio-
lenza, Lamore senza paura non basta, ma se la paura prevale sul-
lamore ti abbandoneranno.

Riccardo scende dalla macchina e Sabrina prosegue, fermandosi


poco dopo. Riccardo vuole eseguire quelloperazione sempre da
solo.

209
Tira fuori un mazzo di chiavi, sono ventiquattro, otto piccole
e sedici grandi. Prova ad aprire la porta della porcilaia con una
delle otto grandi. Trova quella giusta al secondo tentativo. Non
sinnervosisce, entra. Si tura il naso per la puzza. Alcuni maiali
sono stati svegliati dal cigolio della porta in legno, altri stanno
ancora dormendo. Sul fondo c Sebastiano Ricci [nato il:
06/01/1956 / a: Palermo / capelli: castani / occhi: castani / altezza:
1,76 / segni particolari: nessuno / cittadinanza: italiana]. inca-
tenato a un palo di ferro, immerso nel buio e nel fango.
Appena si accorge di Riccardo fa per alzarsi, ma le catene gli
impediscono di muoversi. Solleva il capo. Ha un occhio gono,
una fasciatura sulla fronte, il sangue gli si seccato da poco sul
sopracciglio destro. Rivolge a Riccardo uno sguardo duro. Lui
troppo lontano, non se ne accorge e avanza a passo deciso con
le scarpe che aondano nel fango.
Figlio mio, che ti hanno fatto?
Riccardo tira su Sebastiano e gli prende la testa tra le mani.
Lasciami che mi fai male.
Dal sopracciglio ferito riprende a uscire sangue. Riccardo si
accorge che Sebastiano completamente bagnato. Veleno gli ha
tirato addosso un secchio dacqua ghiacciata quando Sebastiano
ha avuto un incubo e ha iniziato a urlare: Sta bruciando, brucia
tutto.
Riccardo e Sebastiano superano i grugniti ed escono dalla
porcilaia. Sabrina li vede, abbassa il nestrino.
Veleno unanimale e gli altri forse sono peggio ancora.
Il reparto macelleria molto importante per La Collina.
Bisogna lavorare sodo, se vogliamo che funzioni.
In falegnameria stavo bene, perch mi avete spostato? Ho
male al fegato e non ce la faccio a fare lavori pesanti.
Se tu non avessi provato a scappare, non saremmo stati co-
stretti a trasferirti.
Io sto male, non posso stare l.

210
Devi concentrarti sul lavoro: tutti i ragazzi che sono scap-
pati avevano mostrato scarso impegno nel lavoro. Perch con
la testa erano gi in piazza.
Non mi prendere per il culo.
Attento.
Voglio tornare in falegnameria.
Vedr cosa posso fare.
Riccardo sta per andar via, ma Sebastiano lo ferma.
E voglio vedere i miei gli.

Nelle altre celle va tutto come previsto. Dalla cassaforte della


pellicceria alla botte, dalla piccionaia alla cantina. Solo abbracci
e ringraziamenti a Riccardo per essere stati liberati.
In tutte le celle tranne nel reparto manutenzione.
Dentro rinchiusa Fabienne, che appena lo vede lancia un
urlo.
Se cominci a sbraitare non ti libero, dice Riccardo.
Fabienne prova a scagliarsi contro di lui ma non si pu
muovere, anche lei incatenata. Sul volto ha un taglio e due
ecchimosi.

Se n occupato Johnny Il Biondo, che lha trascinata in ma-


nutenzione per i capelli. Un primo schiaffo e le ha ordinato
di spogliarsi. Fabienne gli ha sputato in faccia, Johnny ha rac-
colto un po di saliva sulla punta del dito e lo ha portato alla
bocca, quindi un secondo schiaffo. Spogliati, ha ordinato con
lo stesso tono di prima. Fabienne ha urlato, Figlio di puttana.
Johnny le ha strappato la camicetta, la gonna e le mutandine,
poi lha colpita con un terzo schiaffo perch si opponeva. Fa-
bienne si arresa, Johnny lha incatenata ed rimasto a fissarla
per alcuni minuti, mentre lei si contorceva per tentare inutil-
mente di coprirsi.

211
Quando entrato Riccardo, Fabienne era vestita. Daniele aveva
potuto portarle una tuta, lunico indumento concesso.
Riccardo le parla a distanza, Se fai qualche cazzata, sar co-
stretto a picchiarti.
Vi mando in galera per trentanni.
Riccardo si avvicina, Non puoi farlo, lo sai bene, avanza ancora
qualche passo e si ferma di nuovo, Adesso ti libero, apre il primo
lucchetto, ferma, poi il secondo, te lo ripeto ancora, non fare caz-
zate o peggio per te.
Le mani di Fabienne sono libere. Riccardo fa un passo in-
dietro, la osserva. Lei non si muove. Lui allora si rif avanti e
apre altri due lucchetti, alle caviglie. Fabienne si mette in piedi
ma subito cade. Riccardo fa per aiutarla, lei lo respinge. Ric-
cardo raggiunge la porta, aspetta. Fabienne si rimette in piedi,
avanza zoppicando, attraversa la cella, gli occhi ssi su di lui.
Fino a quando non gli passa di anco per uscire.

Cinque volanti della polizia entrano in Collina. Allalba i ragazzi


ancora dormono. Molti di loro sono svegliati dai rumori assor-
danti delle sirene, qualcuno vuole uscire dal capannone ma c
Paride appostato allingresso del dormitorio maschile e Carmelo
e Ciacione allingresso di quello femminile. Non si passa. Non
sta succedendo niente. Controlli di routine.
Il commissario Salce scende da una volante e si apposta da-
vanti al gabbiotto del posto di blocco. Nel frattempo i suoi con-
trollano dappertutto.
Dovete guardare anche sotto le pietre, gli ha pi volte ripetuto
durante il tragitto.

Lei perde tempo e sonno, commissario.


Riccardo guarda i lividi violacei intorno agli occhi di Salce.
Lui non risponde, unocchiata al Tintoretto alla parete e si mette
seduto.

212
Il regalo di un amico. originale, sa?
A Salce non importa. Riccardo continua lo stesso, I falsi non
mi piacciono, sia se parliamo di quadri, sia se parliamo di persone.
Salce si sporge in avanti, Come pu, proprio lei, dire una cosa
del genere? Riccardo gli fa segno di mettersi comodo, di stare
tranquillo, non c bisogno di agitarsi. Io non sono falso, com-
missario. Vado avanti per la mia strada. Salce si lascia ricadere
sulla sedia. La direzione unica e non posso fare inversione. Ric-
cardo apre la cassaforte, Solo i gamberi e i vigliacchi tornano in-
dietro. Prende una valigetta e la poggia sulla scrivania. La apre,
Sono cinquecento milioni in contanti.
Salce distoglie lo sguardo dai soldi, Potrei denunciarla per ten-
tata corruzione.
Certo, lo so. Ma come le dicevo io devo andare avanti, e per
farlo bisogna rischiare.
Salce guarda unaltra volta i soldi dentro alla valigetta. Poi si
alza e se ne va.

Quella notte non riesce a dormire, nonostante labuso di Flu-


nox. Dorme poco e male anche la notte successiva e quella an-
cora dopo. Di giorno si aggira come un fantasma per i corridoi
della questura. Non pu andare avanti cos e prende la sua de-
cisione nella tarda mattinata del quarto giorno. La sera stessa
fa convocare Armando per il pomeriggio del giorno dopo ma
gli dicono che il signor Malaguti ricoverato in ospedale con
due costole rotte, il setto nasale deviato, un occhio in condizioni
critiche. stato aggredito da due uomini non identicati a
volto coperto.
Il commissario Salce lascia passare qualche giorno, in attesa
che Malaguti stia meglio. Quando glielo passano al telefono gli
chiede cosa sia successo. Malaguti racconta ma ancora fatica a
parlare, dice che vuole sporgere denuncia perch ha ricono-
sciuto uno dei due aggressori. Silenzio del commissario. an-

213
cora l? chiede Malaguti. Salce risponde che adesso deve andare,
richiamer il giorno seguente.
Non gli telefoner mai pi.

Ciao Valentina.
Fabienne mi sorride. Io mi guardo intorno, voglio essere si-
cura che non ci sia nessuno.
Barbara c?
La scruto da capo a piedi, Aspetta un momento che guardo.
So bene che Barbara c, ci stavamo truccando insieme nel
bagno. O meglio, lei si stava truccando, io ero l solo per com-
pagnia. Parlavamo della scuola e dei miei amici, dei telelm e
dei cartoni animati, le solite cose di cui possono parlare una
bambina e sua madre.
Perch non litighiamo e basta, Barbara e io, non c solo lepi-
sodio del maglione che ho messo nel congelatore e si frantu-
mato e mi ha dato due ceoni ben assestati. Trascorriamo insieme
anche del tempo buono oltre alle litigate, come testimoniano le
farfalle disegnate sul muro.
Le avevamo disegnate noi, io tenevo fermo lo stencil e Bar-
bara tamponava dazzurro la parete della stanza. Il risultato
come si vede non male. Le farfalle sono ben allineate intorno
alla mensola con il telefono... farfalle sparse sopra al letto... e
qualcuna svolazza pure nel bagno, di anco allo specchio.
L Barbara si stava truccando e io parlavo e smaltivo la ten-
sione, qualunque argomento pur di non pensare alla mia prima
lezione di karate.
Sono agitata come forse non mi era mai capitato nella vita,
non tanto lunga ma comunque undici anni, che non sono
pochi. Non mi sono mai sentita tesa in Collina. Ci sono nata,
tutto familiare, semplice, e anche la scuola, pure se allesterno,
non mi ha mai fatto paura, perch vado con i miei amici e loro
vivono in Collina insieme a me, non c niente da temere.

214
A scuola di karate diverso. Non al paese, in citt, e chi
c mai stata. E anche se mi accompagna Barbara, lei poi se ne
andr e rester l da sola. Con quelli nuovi.

Chi ha bussato?
Barbara lo dice mentre continua a truccarsi. Io non so se ri-
spondere, mi faccio coraggio, Era Fabienne.
Barbara mi chiede se lho fatta entrare e io faccio no con la
testa, Preferisco non aprire.
Sei impazzita?
Glielo spiego che Fabienne non fa altro che mettersi contro
Riccardo, Infrange le regole, e in questo modo fa del male alla Col-
lina. Se ci vedono insieme a lei odiano anche noi, lo dicono tutti.
Oh mio dio.
Barbara mi prende per il braccio e mi trascina no alla porta.
Superiamo la cucina e Brutto, Lasciami, ho capito le sue intenzioni,
Lo dico a Ivan. Lei stringe pi forte, punto i piedi ma non serve a
niente, la porta si spalanca. Per limbarazzo manca poco che spa-
risco quando me la ritrovo davanti. Ma Fabienne non arrabbiata.
Al contrario, sembra tranquilla. Barbara ancora non mi lascia,
Chiedi scusa. Inizio a piagnucolare, Non ho fatto niente, Fabienne
le dice di lasciar perdere. Chiedi scusa, ho detto! Solo adesso mi li-
bero dalla presa e come una molla corro verso il viale dei pini, men-
tre Barbara d un bacio a Fabienne, Scusa mia poulette.

Sono sedute sul divano, nella sala dellingresso, la casa vuota. Il


silenzio si creato appena Fabienne glielha detto, Me ne vado.
Barbara si girata di scatto, lha ssata, il suo prolo, perch
Fabienne guardava davanti e mentre lo diceva non si voltata.
La decisione lhanno presa di comune accordo lei e Daniele.
stato lui a chiedere il permesso di uscita. Riccardo lha r-
mato subito, non vedeva lora. Ma si sarebbe tenuto il bam-
bino. Jean resta qui.

215
Barbara continua a fissare il suo profilo e cerca di capire se
dirlo o meno. Vorrebbe dire Mia poulette, resisti e non aver
paura, tra poco tutti vedranno cosa succede... non temere che
nessuno ti creder... non potranno mai pi far finta di
niente.
Ma Lorenzo le ha detto: Nessuno deve saperlo. Ha ripetuto
pi volte: Nessuno. Un segreto gi non pi un segreto
quando lo conoscono due persone, guriamoci tre. Nessuno.
Barbara resta in silenzio. Fabienne si alza e prende un disco
dalla pila ammucchiata in un angolo della sala.
Sul piatto inizia a girare La chanson des vieux amants, nella
versione di Juliette Greco. Fabienne si siede sul divano, di nuovo
di anco a Barbara. Stavolta per la guarda, e senza cantare sus-
surra: Mais mon amour... mon doux, mon tendre, mon merveil-
leux amour.
Barbara le fa una carezza, Ci conosciamo da quattro anni e gi
siamo vecchi amanti? Le d un bacio, le sora langolo della
bocca. Fabienne si alza e Barbara fa per seguirla. Torno dopo a
salutarti, prima di partire.
Barbara resta ferma vicina alla porta. Guarda Fabienne
aprirla, uscire e richiudersela alle spalle.
Barbara ascolta lultima parte della canzone. Poi torna in
bagno, riprende a truccarsi, si veste, la gonna di pelle nera,
quella al ginocchio, la maglietta di lo a collo alto, scarpe nere
con un piccolo tacco. Prova a camminare, le toglie, meglio di
no. Sceglie le Converse, nere pure quelle, per pi comode.

La luce rossa della camera oscura accesa. Non si pu entrare.


Dopo un quarto dora esce Lorenzo.
Sei bellissima.
Barbara sorride. Lorenzo le va incontro, Sei pronta?
Barbara si avvicina, ancora un po. Lui resta fermo, lei gli
sora le labbra. Lorenzo si fa avanti, stavolta lui a baciarla.

216
Un bacio vero, lungo, profondo.
Non adesso.
Lorenzo apre una borsa di tela. La guarda, non resiste e la
bacia di nuovo. Un bacio ancora pi forte del primo. Riescono
a staccarsi.
Lorenzo tira fuori una cartellina, solleva la molla quel tanto
che basta perch Barbara possa guardare allinterno. Ci sono le
fotograe, una mappa e una lettera.
Sono quelle dellaltra volta, non sono riuscito a farne altre. Lui
ancora non si vede.
Barbara inla la cartellina nella borsa, Per il momento va bene.
Vediamo come reagisce, poi ne faremo altre.
Barbara lo bacia di nuovo, Va bene. Guarda Lorenzo, respira.
E ripete tra s, Va bene.

Quando la vedo arrivare nel piazzale della mensa, tutta bella e


truccata e vestita cos, abbasso subito gli occhi. Pochi secondi
dopo vedo la punta bianca delle Converse.
Sei ancora arrabbiata?
Barbara risponde di s.
Non mi accompagni pi a karate?
Mi accompagna, anche se non dovrebbe. Aspetta che io dica
qualcosa ma non parlo.
Non devi credere a tutto quello che ti raccontano.
Annuisco lentamente, per dare limpressione di aver capito
bene, perch Barbara me lo chiede due volte. Dico di s, Ho ca-
pito benissimo, e la seguo verso il parcheggio.

Sono gi col kimono addosso, cintura bianca, s, ma oh! si inizia


cos, no? E poi chi se ne importa. Per fare amicizia bastato ve-
ramente poco. Barbara se n accorta, mi saluta con la mano,
sorride. Rispondo con un cenno veloce e ricomincio a parlare
con gli altri bambini del corso.

217
Cos questa collina?
La Collina di Riccardo.
S, abbiamo capito. Ma cos?
Diciamo... una famiglia grande dove viviamo tutti in-
sieme... in duemila. Sia i grandi che i bambini.
E vi conoscete tutti?
Quasi tutti, s.
Bello.
S, io ci sto bene.
E come si fa per andare a vivere l?
Non lo so. Io ci sono nata.
Le cinture sono di colore diverso ma il riscaldamento si fa
insieme ed lo stesso per tutti. E appena arriva il maestro,
un uomo abbronzato e con i capelli a spazzola, gli altri bam-
bini fanno linchino. Minchino anchio, poi iniziamo a cor-
rere in fila indiana, uno dietro allaltro, tutti uguali, a parte
le cinture.

Secondo piano, prima porta a sinistra. Secondo piano, prima porta


a sinistra. Secondo piano, prima porta a sinistra.
Barbara lo ripete come un mantra, ad alta voce, mentre guida
la Cinquecento e imbocca una viuzza senza uscita.
Controlla la mappa che Lorenzo ha disegnato e inlato nella
cartellina. C un parco pubblico con una lapide del milite
ignoto. arrivata. Accosta davanti al giardinetto di un palazzo
di tre piani, controlla per lultima volta lindirizzo e il numero
civico, parcheggia, scende dalla macchina, borsa a tracolla e car-
tellina nella borsa raggiunge il portone, lo spinge. chiuso, non
aveva pensato a questa eventualit. Legge i cognomi sul cito-
fono, c anche quello del giornalista, aspetta che entri o esca
qualcuno, dieci minuti cos (il permesso duscita prevede mez-
zora in pi rispetto alla durata del mio corso, il tempo di tor-
nare in Collina dalla palestra).

218
Barbara suona a un citofono: Buonasera, per favore mi pu
aprire...
Hanno messo gi. Suona a un altro citofono.
Posta! Mi pu aprire il portone, per piacere?
Dallaltra parte chiedono come mai la posta a quellora. Bar-
bara prova a rispondere ma subito riattaccano.
Prova ancora, un altro cognome, Polizia, aprite. La voce
dallaltro lato chiede che cosa successo.
Ho detto di aprire. Polizia.
Barbara nel portone sta attenta a non fare il minimo rumore.
Secondo piano, prima porta a sinistra, Secondo piano, prima
porta a sinistra.
Al primo si aprono le porte dellascensore. Barbara accelera il
passo e imbocca la seconda rampa di scale. Le porte dellascen-
sore vengono richiuse, un rumore accompagnato dal pianto in-
sistente di un neonato e dalle parole dolci di una ragazza.
Dal terzo piano arrivano altre voci. Una signora assicura al
marito che c la polizia, hanno suonato al citofono. Il marito
guarda gi e dice alla moglie che non c nessun poliziotto,
Torna dentro, rincoglionita.
Barbara al secondo piano, raggiunge la prima porta a sini-
stra. Legge il cognome sul campanello. Inla subito la cartellina
sotto la fessura della porta. Scende le scale di corsa e non pu
vedere che allinterno dellappartamento un anziano signore ve-
stito di grigio raccoglie la cartellina e se la rigira tra le mani. Poi
apre la porta. Sul pianerottolo non c nessuno. Estrae una fo-
tograa dalla cartellina, rientra e inforca gli occhiali da vista.
La sua espressione cambia di colpo.
Si precipita fuori dallappartamento, poi gi per le scale, esce
dal portone, guarda a destra e a sinistra. L fuori non c nessuno.

219
Di chi sono i soldi?

Gambe lunghe e magre, pelle chiara. La ragazza scosta la tenda


e il fascio di luce investe Ivan come i fari di un camion.
Si chiama cefalea a grappolo, il mal di testa peggiore, quel
giorno il principale nemico di Ivan.
La ragazza torna in reggiseno nero e mutandine bianche, era
vestita cos anche prima di sparire momentaneamente. Il bianco
non le ingrossa il culo; il nero non le mortica il seno. Un corpo
che sda la forza di gravit e vince dieci a zero. Il culo dondolando
si allontana. La ragazza si lascia alle spalle un odore di Chanel e
marijuana. Cammina con la canna quasi spenta in bocca.
Ivan si stringe le tempie spingendo il pollice su quella sinistra
e il medio su quella destra, cerca di concentrarsi, l per lavo-
rare, deve discutere di faccende importanti, con la ragazza fuori
dalla stanza pi semplice. Johnny Il Biondo proprio non
laiuta, sfoglia quella dannata rivista, ogni fruscio di pagina
una punta di spillo che sinla nella testa di Ivan.
Finalmente nella stanza arriva Schwazer, laustriaco, il fantino
di ducia di Riccardo. Sorride, rilassato, si siede sul divanetto
a due posti, al di l del tavolino in vetro che lo separa da Ivan e
Johnny. Sotto i loro occhi prepara tre botte di cocaina. Cazzo
questo no, pensa Ivan, questa non ci voleva. Concentrazione,
serve concentrazione.
Sorride ancora Schwazer, Fantino del cazzo, ma va trattato
con i guanti di velluto, amico di Riccardo, o comunque una

220
delle sue fonti di reddito. Schwazer pure ritratto in una delle
foto appese in sala mensa, vicino a Riccardo sugli spalti di un
ippodromo, sorridente come quando tira fuori una carta di cre-
dito dal portafoglio e stende la coca. Ivan distoglie lo sguardo,
si volta verso la nestra, vede i palazzi di via dAzeglio, nel cuore
di Bologna. Poi la ragazza e i suoi capelli lisci e lunghi, biondi
quasi bianchi, tornano nel salone.
Volete... come si dice... favorire?
Il fantino sorride ancora. Ivan e Johnny non hanno voglia di
sorridere, manco per il cazzo. Schwazer si stringe nelle spalle e
risucchia la prima delle cinque strisce allineate. Ne restano altre
quattro.
Favorire?
Ivan si sporge in avanti, lo aerra per il collo, Non abbiamo
tempo e ti aspettiamo da unora.
Johnny prende Ivan per la vita, lo ributta a sedere. Schwazer
respira a fatica, sforzandosi rovista sotto il cuscino della pol-
trona, la mano riemerge con una Smith & Wesson. Ivan allarga
le braccia, chiude e riapre gli occhi, Ci mancava la pistola.
Johnny alza le mani, Non c bisogno. Schwazer continua a ri-
prendere ato, Allora fai che il tuo amico calmo.
Johnny dice al suo amico di stare calmo.
Ma togli di mezzo sta roba.
Schwazer posa la pistola, credeva Ivan si riferisse a quella,
non alla cocaina, che il fantino risucchia, seconda striscia, e
chiama ad alta voce, Nan... Nan.
Lei ritorna e fa fuori le altre due strisce, veloce, sicura, un-
du, leggermente piegata in avanti, incombe su Ivan e Johnny.
Poi se ne va di nuovo, senza parlare e senza guardarli.
tornata la calma. Johnny non perde tempo, Domani devi
perdere.
Schwazer prepara altre due strisce, Non c problema, ma vo-
glio sapere il perch.

221
Glielo spiega Ivan, Riccardo scommette contro te e Monsieur
Poiccard, domani vincer il brocco. Con gli altri tutto a posto.
Devi solo dire va bene.
Per Schwazer va bene, e fa sparire unaltra striscia dal tavolo,
ma quando Ivan e Johnny fanno per alzarsi li ferma, E io cosa
guadagno?
Ivan perde di nuovo la pazienza, fa un passo avanti, Schwazer
allunga la mano in direzione della Smith & Wesson, con laltra
gli fa segno di stare lontano, un ghigno sul volto. Poi si passa
lindice sulle gengive, nervoso, le strona, Cosa guadagno?
Riccardo ti stipendia. Sette milioni al mese li guadagna un av-
vocato di successo.
Schwazer dice a Ivan che lui non un avvocato di successo,
un fantino, da un momento allaltro pu trovarsi nella merda,
e vuole garanzie. Il tre per cento della scommessa.
Ivan accetta subito perch Riccardo cos gli ha detto di fare:
Vi chieder il tre per cento. Se insiste accettate.
Ivan non vuole aspettare, vuole andar via subito. Anche per-
ch la ragazza tornata in sala, stavolta ha una maglietta larga
a maniche corte, ma gi rimasta solo con le mutandine.
Schwazer le rivolge unocchiata, si accorge che Ivan lha se-
guita con lo sguardo, Diciannove anni. Scelgo giovani perch
meno possibile ha lAids.

In una Mercedes SEC bianca, nonostante il freddo dinizio feb-


braio, Ivan ha tirato gi il nestrino per prendere un po daria
sulla faccia. Non tranquillo, guida Johnny, stare di anco pro-
prio non gli piace. Infatti guida sempre lui, cede il volante sol-
tanto quando il mal di testa gli prende a cazzotti le tempie, la
nuca e tutta la calotta cranica.
Ha dovuto cedere pure alla medicine, non ce lha fatta a re-
sistere, e nel percorso dallappartamento di Schwazer alla pro-
vinciale si sono fermati a una farmacia di Castel Bolognese. Il

222
mal di testa si un po calmato ma torner, la cefalea a volte
sparisce per anni e poi si rif viva, come un terrorista: Non puoi
vivere tranquillo, se al mondo esisto io. Ivan ha letto che alcuni
sammazzano se gli attacchi durano troppo a lungo. Scaccia quel
pensiero dalla testa martoriata e dice a Johnny di girare a destra.
Imboccano una stradina sterrata, piena campagna emiliana.
Ivan continua a fare da navigatore, stringe i denti, segue una
specie di mappa. Il luogo dellincontro ogni volta diverso ma
sempre sperduto in mezzo al nulla, per arrivarci non esistono
cartine stradali uciali.

Geremia Santon ultimamente pi accorto del solito e da


quando sono entrati in aari, ormai quasi un anno, Riccardo ha
visto la sua paranoia montare settimana dopo settimana.
Allinizio lo scambio avveniva nellucio della Reggia. Ric-
cardo passava a Santon i soldi ricevuti in regalo dalle societ
olandesi e lussemburghesi e Santon passava a Riccardo la per-
centuale pattuita. Poi entravano Ivan e Johnny e si portavano
via la valigetta.
Nel garage della Collina Ivan la metteva in un doppiofondo
automatico installato nella Volvo. Quando la valigetta era al si-
curo, Ivan schiacciava di nuovo il pulsante e il doppiofondo si
chiudeva. Johnny entrava in macchina e partivano.
Ivan guidava no al conne con la Francia. Sei ore, pi o
meno. Johnny guardava nel binocolo no a quando non vedeva
un poliziotto calvo, sempre lo stesso, il loro uomo al conne
(un caro amico, lo aveva denito Santon). Ivan si avvicinava e il
poliziotto calvo ngeva di controllare i documenti, unocchiata
veloce allinterno della macchina, poi li lasciava passare.
A Montpellier, in un garage collegato alla banca, Ivan e Johnny
prendevano la valigetta nel doppiofondo, raggiungevano il terzo
piano ed entravano nellucio del direttore, un ometto basso,
con gli occhiali, zoppo e sorridente, si alzava dalla scrivania, li sa-

223
lutava con tre baci sulle guance. Faceva entrare quattro impie-
gati. In presenza di Ivan e Johnny contavano i soldi, versati poi
su un conto che Riccardo aveva intestato al glio minore, Luca,
perch Claudia maggiorenne e Riccardo non ha pi la patria
potest. E perch ormai Claudia se n andata e della Collina e
di suo padre non vuole neppure sentirne parlare. Luca invece
rimasto, e di conti e banche francesi non sa proprio niente.

Ivan e Johnny si fermano nel punto indicato dalla mappa, o al-


meno cos sperano. Daltra parte la strada l sinterrompe, oltre
non c niente, solo ippocastani e cinciallegre.
Ivan.
Che c?
Tu te la sei fatta Ilde?
S.
Mhm.
Mhm, cosa?
E com?
Va bene.
Se me la faccio anchio tincazzi?
Che cazzo me ne frega, mica mia moglie.
Non arriva nessuno, si stravaccano sui sedili.
E Maria Luisa te la sei fatta?
No.
Io s.
E che devo fare?
Niente. Dicevo cos, per passare il tempo.
Ancora non arriva nessuno, stavolta Ivan a parlare per
primo.
E Sabrina te la sei fatta?
Che centra Sabrina?
Perch tincazzi?
Sono cazzi miei.

224
Che ho detto?
Sabrina non centra.
Va bene, va bene, calma. per passare il tempo, no?
Ivan sorride, sta zitto per qualche secondo, poi ricomincia.
E Riccardo te lo sei fatto?
Ma che cazzo dici?
Riccardone il latin lover te lo sei fatto oppure no?
Falla nita, coglione.
Dai che te lo sei fatto.
Non scherzare su queste cose.
Eccolo.
Cazzo, venuto col Bmw.
Hai perso la scommessa, biondo.
Ivan prende la valigetta sotto il sedile e scende dalla mac-
china. Johnny dallinterno della Mercedes vede sorrisi e strette
di mano, Santon che dopo essersi guardato intorno passa la va-
ligetta a Ivan, che a sua volta gli passa la propria. Unaltra stretta
di mano, poi Ivan torna in macchina, inla la valigetta sotto il
sedile e ordina a Johnny di partire.

Riccardo sora con la punta delle dita le banconote, raccolte in


fasci da cinque milioni, tagli da centomila lire. Riccardo ssa il
volto di Caravaggio stampato sulle banconote, poi ordina a Johnny
di mettere la Mercedes nel parcheggio esterno. Ivan invece deve
rimanere.
Il mal di testa diminuito, non sa se siano gli antidolorici
oppure se davvero stia passando. Per fortuna Riccardo silen-
zioso. Divide il contenuto della valigetta in tre parti pi o meno
uguali, passa la prima parte a Ivan, seduto alla sua destra, e si-
stema la seconda alla sua sinistra, la sedia ancora vuota, che va
a occupare Giulio appena entrato nellucio. La terza parte
Riccardo la tiene per s. Contano.

225
Ivan dice: Trecentoquaranta milioni.
Giulio dice: Duecentonovanta.
Riccardo non dice niente.
Ivan e Giulio si guardano, in attesa, ma Riccardo continua a
stare zitto. Ivan si fa avanti, I tuoi quanti sono?
Riccardo non lo guarda, Perch?
Giulio si muove sulla sedia, cerca di mascherare il nervosismo
con un colpo di tosse, Per la contabilit.
Riccardo sistema i soldi nella valigetta, Trecentotrenta, e la passa
a Ivan, che fa per uscire insieme a Giulio. Poi si ferma e si volta
verso Riccardo, Chiudo la porta? Riccardo gli fa segno di sparire.

A met della seconda rampa di scale sta per dire qualcosa ma


Giulio lo ferma, Dopo. Ivan allora tace no al piazzale.
Sono novecentosessanta milioni.
Ho sentito.
Ne devi far risultare novecentocinquantacinque.
La so fare una sottrazione.
Non fare il permaloso. Non il momento.
Basta. Ci sta guardando dalla nestra, sono sicuro.

Lidea era saltata fuori due mesi prima, nel gabbiotto del posto
di blocco, mentre Ivan consegnava a Giulio il biglietto con il
chilometraggio di una macchina in uscita. Era stato Ivan a fare
la proposta e Giulio aveva accettato dopo lunghe e tormentate
riessioni: per la prima volta da quando viveva in Collina pen-
sava pi al suo futuro che al suo passato.
La coppia era perfetta: Giulio lirreprensibile contabile e Ivan
il fedele soldato; Giulio che poteva falsicare i conti e Ivan che
maneggiava centinaia di milioni. In teoria, non poteva esserci
squadra migliore per quella manovra di sottrazione, come la
chiamava Giulio. Mica chiss quanto, due milioni e mezzo cia-
scuno, un mazzetto da cinque, di tanto in tanto, cos, per sicu-

226
rezza, una sorta di pensione, o assicurazione sulla vita, come
invece laveva denita Ivan, parlandone a Pittore, perch era
nelle stalle che avrebbe voluto nascondere i soldi se Pittore non
avesse riutato, Mi dispiace, compare, non me la sento.

Per il momento Ivan e Giulio ancora non hanno visto una lira,
perch quando Ivan portava la valigetta nel garage, dove avrebbe
dovuto sottrarre, trovava Johnny ad aspettarlo.

Stavolta non ci sono n Johnny n la Volvo. Ivan apre la vali-


getta, prende un fascio da cinque milioni, lo inla nella tasca
interna della giacca e chiude. Tira un sospiro di sollievo. Aspetta
ma Johnny non arriva.
Ivan guarda la valigetta, lo aerra una tentazione, gli resiste
poco pi di dieci secondi. Riapre la valigetta e prende un altro
fascio da cinque, poi un altro ancora, li inla tutti e due nel-
laltra tasca della giacca e richiude la valigetta. Comincia a su-
dare, il sollievo si dileguato, di nuovo la tensione. Allora
prende il secondo e il terzo fascio dalla tasca e li rimette nella
valigetta. Cinque milioni non sono pochi, possono bastare, lo pensa
mentre chiude la valigetta e ricomincia ad aspettare.
La Volvo si avvicina con i fari accesi. Johnny si aaccia al -
nestrino, Che hai? Ivan gli chiede perch e Johnny alza le spalle,
Sei tutto sudato.
Il mal di testa, credo. Passiamo da casa che prendo il Naprosyn.
Johnny continua a guardarlo anche quando Ivan schiaccia
due volte il tasto sotto il sedile e si apre e si chiude il doppio-
fondo automatico. Sistema la valigetta, sale in macchina. E
Johnny, prima di partire, lo guarda di nuovo.

La Volvo ferma davanti al cancelletto, il motore ancora acceso.


Ivan entra nella casetta numero 7, C qualcuno? Nessuno ri-
sponde. Ivan va in camera da letto, cerca un posto in cui lasciare

227
i soldi. Un cassetto, un buco, una crepa nel muro, un salvada-
naio, il vuoto di una lampada, il culo del cane... invece non
trova niente di adatto.
Il materasso, un taglio di lato con il coltellino svizzero del
portachiavi. Ivan inla i soldi in mezzo alla lana, sta per rico-
prire il tutto, ma non fa in tempo a concludere loperazione.
Che hai in mano?
E tu che hai in mano?

Neanche Barbara sapeva che Ivan fosse in casa ed uscita dal


bagno con una fotograa fresca di stampa. Glielaveva conse-
gnata Lorenzo.
Barbara se ne stava l, seduta sul water, con le mutandine
alle caviglie, e fissava la foto con gli occhi spalancati perch
in quella foto cero io. Ma non ero in posa, non sapevo che
mi stessero fotografando. E Barbara in quel modo, guardando
una fotografia, aveva scoperto che ero stata involontaria spet-
tatrice di una scena che le ha risparmiato molte spiegazioni
sulla Collina.

Unora prima dincontrare Ivan in camera da letto, Barbara


stata in fotolito. Aveva il primo turno, quello del mattino.
Appena arrivata ha chiesto a Lorenzo se avesse ricevuto no-
tizie dal giornalista. Lorenzo ha risposto di no.
Insieme alle fotograe che Barbara aveva consegnato, Lorenzo
chiedeva al giornalista di mettersi in contatto con i genitori perch
non poteva avere un lo diretto con lui (in Collina i telefoni e la
corrispondenza sono costantemente sotto controllo). I genitori
avrebbero poi riferito a Lorenzo le impressioni del giornalista.
Ma tutto ci sarebbe potuto avvenire soltanto tre settimane
dopo, molto in l, perch lincontro mensile con lesterno cera
stato dieci giorni prima. Lorenzo ai genitori aveva accennato
qualcosa ma non gli aveva detto tutto.

228
Nella fotolito Barbara stringeva le mani di Lorenzo, diceva di
essere duciosa. Per lui era lo stesso, in te che ho ducia. Bar-
bara gli ha preso le mani e le ha strette, Voglio consegnarne altre,
quando sono pronte?
Sono gi pronte.
Barbara lo ha abbracciato forte, non riusciva a star ferma,
ancor meno quando Lorenzo ha detto che nelle foto si vedeva
anche Riccardo.
Voglio vederle. Subito... subito... subito!
Lorenzo le ha dato la cartellina e Barbara ha lanciato unoc-
chiata allinterno. Cera anche Riccardo, s, in tutte quante. Bar-
bara ha chiuso la cartellina, Domani c la lezione di karate.
Perfetto.
Anche Barbara ha mormorato la stessa parola, e ha sorriso
di nuovo, tutto perfetto.
Mentre lo ha detto si avvicinata a Lorenzo. Anche lui ha
fatto un passo avanti, con la mano ha sollevato la gonna e ha
accarezzato le gambe di Barbara. Lei ha sospirato, lo ha baciato,
gli ha sbottonato i jeans.
Aspetta.
Barbara si fermata. Hanno guardato entrambi la porta din-
gresso della fotolito e poi si sono mossi insieme verso la camera
oscura.

Unora dopo, a casa, chiusa in bagno, Barbara ha guardato me-


glio le ultime fotograe scattate da Lorenzo e in una ha visto
limmagine che lha scioccata.
Tre giorni fa, a mezzogiorno e mezzo, o poco ci manca (co-
munque ora di pranzo e dovrei essere a scuola ma non ci sono
andata), sono in giro per La Collina con Brutto, mi segue a di-
stanza, trotterella a fatica, la lingua di fuori per colpa del peso.
Non pu essere il caldo, febbraio e siamo sotto zero, c neve
dappertutto, mi sono imbacuccata per bene, cappotto guanti

229
sciarpa cappello. Lancio uno sguardo di riprovazione a Brutto,
Sei vergognosa, lei mi guarda e abbaia felice. Continuo sul viale
dei platani per raggiungere la mensa, vado a pranzo con il primo
turno, non ho voglia di mangiare sempre a casa, soprattutto se
non vado a scuola.
Brutto allimprovviso inizia ad abbaiare, ora sono io a seguire
lei, si messa a correre, Brutto vieni qua! Lo grido due volte,
non c niente da fare, eppure un cane obbediente. Allinizio
credo sia attirato dal camioncino dei riuti, invece lo ignora e
lo supera senza degnarlo di uno sguardo. Lo supero anchio e
vedo una ragazza camminare a passo svelto nella neve. Costeg-
gia il vialetto, non le importa di bagnarsi scarpe e piedi, porta
un mucchio di vestiti come fossero cartacce. Le cade una ca-
nottiera bianca a pois rosa, non se ne accorge, mi chino e la rac-
colgo. Rumore di passi alle mie spalle, la mia curiosit subisce
attacchi da ogni lato. Unaltra ragazza. Anche lei porta dei ve-
stiti, gonne soprattutto.
Sento Brutto abbaiare in lontananza, sento il furgoncino che
si allontana dietro di me. Alzo lo sguardo, una striscia sottile di
fumo, grigia e nera, come i segnali degli Indiani. Vado verso il
messaggio, sono a poche centinaia di metri dal piazzale della
mensa, Brutto sta sbraitando in direzione di un folto gruppo di
ragazzi. Sono stretti nei cappotti, battono i piedi a terra e si sof-
ano nelle mani chiuse a pugno. Saranno duecento, un quinto
del primo turno, e a dierenza di Brutto stanno in silenzio, guar-
dano il fuoco che aumenta di volume e potenza man mano che
viene alimentato con i vestiti.
Stringo la canottiera bianca e mi faccio avanti, accarezzo
Brutto, mi accovaccio per calmarla, mi lecca la mano, guaisce
e tace, le gratto la testa ma tengo gli occhi ssi sul fuoco, fanno
la stessa cosa i ragazzi, occhi ssi sul fuoco quando Giulio po-
siziona una sedia proprio l davanti, non troppo distante dalle
amme. una sedia pieghevole, di legno.

230
Giulio esce di scena. Una ragazza butta nel fuoco mutandine
da donna, va via anche lei e arriva unaltra ragazza. Calze e cal-
zini da donna niscono nel fuoco. Anche questaltra si allon-
tana. E quando c solo fuoco e vestiti che bruciano e sedia
pieghevole di legno, arriva Riccardo. Sta trascinando Anna verso
il rogo, la tira per i capelli rossi, lunghissimi e sottili. Anna
piange, il viso quello di sempre, bello e delicato, la bellezza la
vedi anche se il viso deformato dal pianto, dalle emozioni tos-
siche che sta provando.
Riccardo stringe forte e tira. Anna non oppone resistenza.
Mi sembra di non aver sentito la voce di Riccardo, forse davvero
non ha parlato. I ragazzi sono immobili. Lui strattona Anna e
la butta sulla sedia, piccola e gracile, per bloccarla basta tenerle
una mano sulla spalla senza quasi fare pressione.
Con la mano libera Riccardo tira fuori dalla tasca un paio di
forbici grandi, da barbiere, e quando taglia il primo ciuo non
voglio guardare ma non riesco a non guardare. Sento un urlo
di Anna, un mormorio leggero dei ragazzi, alcuni si coprono
gli occhi con le mani, altri provano ad andar via, ma Riccardo
grida di fermarsi. Obbediscono. Riccardo taglia ancora, non
bada a dove e non bada a come, taglia e fa un po di pressione
sulla spalla perch Anna ha provato a mettersi in piedi, Non ho
fatto niente di male.
Il pianto diventa isterico quando una goccia di sangue le cade
sulle labbra, ne sente il sapore, Assassino, Riccardo le ha punto una
tempia, e altro sangue nisce nellocchio di Anna, Non ci vedo pi.
Riccardo smette di tagliare solo quando al posto dei capelli
rimasto qualche ciuo rosso sparso qua e l, molla la presa,
non ce n pi bisogno. Anna si passa la mano destra sulla testa,
guarda il palmo su cui piccoli peli si sono impastati col sangue,
si piega in avanti e aonda il viso in tutte e due le mani.
Riccardo si fa da parte, vuole che i ragazzi guardino soltanto
il centro della scena, lesempio.

231
Io mi nascondo, non voglio che Riccardo mi veda, voglio sa-
pere cosa succede senza essere vista, non voglio incrociare i suoi
occhi, per me sarebbero completamente nuovi, come vederli
per la prima volta.

Devo vedere Riccardo. Giulio ha detto a Marco che non riceve senza
appuntamento. Lui ha insistito, quello che aveva da dire era
troppo importante. Giulio ha composto il numero della Reggia.
Quando Riccardo entrato nel gabbiotto Marco scoppiato
a piangere. Era la prima volta che si trovava di fronte a lui, con
la possibilit di parlargli direttamente. Non avrebbe mai imma-
ginato un primo incontro cos, lo sognava durante la cerimonia
dinvestitura per diventare animatore.
Marco non aveva ancora avuto il coraggio di confessare per
timore di essere punito, aveva sentito parlare delle punizioni
ma non le aveva mai sperimentate e non credeva esistessero dav-
vero. Per non ce la faceva pi a trattenere quel segreto, divorato
dal senso di colpa.
Comportati da uomo, Cristo!
Marco ha smesso di piangere e ha guardato Riccardo come un
animale ferito. Lui se n accorto, Liberati Marco, dimmi cos successo.
Allora Marco si deciso, ha respirato a fondo e tutto dun
ato ha raccontato. Di quel giorno al rigagnolo con Anna, i
loro incontri al paese, le passeggiate con gli animatori, il per-
messo accordato di stare da soli, le barchette, di nuovo il riga-
gnolo. E Riccardo al termine del racconto si rivolto a lui con
molta calma, grave, non c dubbio. Se lo facessero tutti in Col-
lina regnerebbe il caos.
Marco ha tirato su col naso, Lo so, una delle prime cose che
mi hanno raccomandato di non fare stata questa, e io sono stato
debole, come sempre.
Era pronto a ricevere qualsiasi punizione.
Sarai trasferito in macelleria, un settore pi duro.

232
Marco ha detto di comprendere benissimo: se lo meritava.
La prossima volta, per, quando ti viene la tentazione di fare
certe cose, pensa a Giulio: in tanti anni non mai venuto meno al
suo dovere.
Giulio si schermito, Ma che dici, Riccardo? Io non sono per-
fetto, ho solo avuto la fortuna di non innamorarmi mai.

Adesso Riccardo vuole che Anna confessi la sua colpa pubbli-


camente, Se non parli da qua non te ne vai, possiamo starci anche
tutta la giornata. Poi si rivolge ai ragazzi, Resterete anche voi n-
ch non parla.
Dal vociare indistinto che arriva no a me emerge una voce,
Parla! Seguono altre due o tre voci, fa freddo e hanno fame, i
ragazzi vogliono andare via, Parla, che ti costa? Anna alza gli
occhi e incrocia lo sguardo della ragazza che ha pronunciato
quella frase.
Ho fatto lamore con il mio ragazzo, ecco cosa ho fatto, tu non
lhai mai fatto?
La ragazza non risponde e Riccardo interrompe il nuovo e
diverso silenzio dei ragazzi, Ve lo dico io cosha fatto: ha infranto
una regola. E chiunque infranga le regole mette in pericolo La Col-
lina. da chi non si comporta bene che dovete sentirvi traditi: se
nessuno rispettasse le regole, questo posto smetterebbe di esistere.
Le parole di Riccardo mi sembrano arrivare da molto lon-
tano, sono ipnotizzata, non capisco bene quello che succede,
tutto opaco, confuso, anche larrivo di Sabrina e Riccardo che
la guarda come a dire faccio quello che voglio, e lei che non ri-
cambia il suo sguardo, e Anna che viene portata via da Paride e
Carmelo e Giulio che si allontana con la sedia.
Mi ridesto soltanto quando va via Riccardo. Allora faccio per
alzarmi. Ed l, in quel preciso momento, che viene scattata la
fotograa. Non sono completamente in piedi ma non sono pi
seduta. Nella foto si vede cos.

233
Barbara non pu giusticare con Ivan lesistenza della fotograa
e Ivan, in quel momento, con il mal di testa di nuovo prepo-
tente, anzi pi forte di prima, non vuole spiegare dove abbia
preso i soldi che sta nascondendo nel materasso.
lui che si muove per primo, si alza, di fronte a Barbara.
Segue un lungo silenzio. Decidono entrambi di non indagare.
Infatti continuano tutti e due a tacere e poi, stavolta prima Bar-
bara e dopo un minuto Ivan, escono uno alla volta dalla casetta.
Lei gi alla ne del viale quando lui risale in macchina, dove
Johnny lo sta aspettando con impazienza.

Ore e ore di musica e chiacchiere, una coda innita per un in-


cidente sulla A1 allaltezza di Modena nord, bestemmie e im-
precazioni, pillole e Autogrill, settecento chilometri percorsi.
Ivan vede il poliziotto calvo che controlla lorologio. Il ritardo
preoccupa innanzitutto lui, tra poco a ne turno.
Ivan dice a Johnny di muoversi e Johnny si avvicina al con-
ne, con le macchine della polizia francese e italiana.
Johnny rallenta quando passa di anco al poliziotto calvo,
che d unocchiata veloce e fa cenno di proseguire, senza fer-
mare la Volvo n controllare i documenti. un errore, Ivan lo
capisce subito, Coglione.
Un secondo poliziotto soa forte nel schietto.
Johnny chiede a Ivan cosa deve fare. Cinque poliziotti avan-
zano compatti verso la macchina.
Che vuoi fare, aprire il fuoco?
Escono con le mani in alto.
Il poliziotto calvo non li guarda in faccia, sa di aver sbagliato
ma ora pu solo aiutare i suoi colleghi a perquisire la Volvo.
Rovistano dappertutto. Ivan e Johnny restano con le braccia al-
zate, Non trovare il pulsante, sbirro francese di merda, ripete Ivan
nella mente, ma il primo poliziotto che riemerge dalla Volvo,
ormai sottosopra, lo ssa, A qui est largent?

234
Ivan dice di non capire, il poliziotto punta il mitra. Johnny
fa un passo indietro, Abbiamo gi le mani in alto, che fai? Un
altro traduce.
Di chi sono i soldi?
Quali soldi?
Prenez-les, immdiatement!
E Ivan e Johnny vengono costretti a entrare in una volante.

Due ore dopo Ivan ammanettato a un termosifone, seduto sul


pavimento di una stanza piccola, buia, spoglia. Lo tiene docchio
un poliziotto armato, in divisa, non lo molla un secondo.
Ivan si volta verso lingresso. Stanno entrando due poliziotti
in borghese. Uno va a sedersi davanti alla nestra, dal lato op-
posto a quello del termosifone, e laltro si avvicina a Ivan, lo af-
ferra per i capelli e gli tira indietro la testa in modo da guardarlo
dritto negli occhi, Di chi sono i soldi?
Non sapevo che nella macchina ci fossero dei soldi.
Il pugno nello stomaco gli toglie per un attimo il respiro.
Ivan non pu neanche stringere il ventre con le mani, sono
bloccate al termosifone dalle manette. Il poliziotto in borghese
seduto dallaltro lato della stanza accende una sigaretta. Il poli-
ziotto che ha dato il pugno stringe pi forte i capelli di Ivan, Il
tuo amico ha ripetuto per unora la stessa cosa. Adesso in infer-
meria che piange e racconta tutto.
Ivan fa una smora di dolore, Di chi sono i soldi? Lancia un
urlo, Non lo so.
Arriva un altro pugno, pi forte del primo. Ivan si piega in
avanti e il poliziotto lo prende di nuovo per i capelli, Di chi sono
i soldi?
Ivan sputa per terra, sangue e saliva, colpisce il poliziotto
sulle scarpe, non voleva farlo ma la bocca era piena e impastata.
Il poliziotto si guarda le scarpe, Ivan balbetta, Non ti volevo... Il
calcio in faccia arriva lo stesso.

235
Ivan ha quasi perso i sensi.
Il poliziotto gli rovescia sulla testa met bottiglia dacqua. Ivan
tocca con la lingua un dente che sta dondolando, sputa altro san-
gue, stavolta fa attenzione e lo lascia cadere sul suo vestito.
Di chi sono i soldi?
Ivan con le poche forze che gli restano sussurra: Non lo so, il
poliziotto sta per colpirlo di nuovo ma laltro lo ferma, Assez! Il
est inutile, poi spegne la sigaretta, trascina la sedia di fronte a
Ivan.
Guardami.
Il poliziotto ha un forte accento francese. Ivan ormai respira
a fatica. Il poliziotto lo aiuta a bere. Lui beve troppo veloce-
mente, tossisce. Il poliziotto in borghese gli pulisce il muso con
un fazzoletto di stoa.
Noi lo sappiamo di chi sono i soldi. La macchina intestata a
te ma sappiamo per chi lavori. Ci siamo informati, stato facile.
Per abbiamo bisogno della tua testimonianza. Finch non parli,
non possiamo fare niente. E nch non parli rimani qui.
Ivan alza la testa, un occhio chiuso, le labbra secche e spac-
cate. Il poliziotto lo ssa, annuisce, come a dire avanti, parla. E
Ivan parla, Non so di chi sono i soldi, un lo di voce.
Il primo poliziotto colpisce il tavolino con un pugno, il se-
condo guarda Ivan, Poveraccio, scuote il capo, Sei proprio un po-
veraccio. Poi esce insieme al suo collega e al poliziotto armato.
Chiudono la porta a chiave e Ivan rimane l per terra, sul pa-
vimento gelido, ammanettato al termosifone, da solo, nello
stanzino vuoto e quasi completamente buio.

236
IV

IL CORPO DEL GIGANTE


C stato un periodo in cui per Riccardo avrei ammazzato. Per
lui sarei morto e avrei ammazzato. E Riccardo infatti lo diceva:
Ivan per me ammazzerebbe.
Quando arrivata la polizia, nellOttanta, per arrestarlo, se
avessi avuto le armi avrei aperto il fuoco.
Ero nel letto a dormire, al capannone. Mi era passata la scim-
mia da un paio di mesi. Sento uno che mi scuote, mi sveglio,
vedo una divisa, dico non ho fatto niente.
Credevo che mi volesse arrestare, no a pochi mesi prima
andavo a dormire tutte le notti con la paura addosso che mi
svegliavano nel sonno e mi arrestavano. Erano anni che vivevo
cos. Invece il poliziotto mi dice scendete tutti dal letto e venite
nel piazzale.
Eravamo un centinaio, eravamo pochi. Ci mettono nel piaz-
zale e il poliziotto inizia, adesso siete liberi, lo dice orgoglioso,
andate via, perch a sto porco... che poi era Riccardo ...e a que-
staltro frocione... parlava di Armando ...ce li portiamo.
Li ammanettano davanti a noi e se li caricano sulla volante.

Quello mi diceva sei libero. Ma libero da che cosa? A me della


libert non mi importava. Ero stato libero per una vita e guarda
che macello. Stavo bene in Collina e in Collina volevo restare.
Altro che libert. Pure gli altri ragazzi uguale. Se non abbiamo
reagito perch Riccardo e Armando, che ci conoscevano, l

239
nel piazzale ci hanno detto non reagite, tutto si mette a posto.
Senn ci buttavamo in mezzo. Riccardo era nostro padre.
Perch con leroina avevamo perso tutto, e senza pi niente
addosso, n dentro, avevamo trovato questa persona che ci dava
una mano. Non era un santo come dicevano tutti, questo lho
capito subito. Forse perch venivo dalla malavita e certe dina-
miche e certi meccanismi li conoscevo. Avevo capito che in Ric-
cardo cera qualcosa che con i santi non aveva niente a che fare.
Per salvava le vite. Questo per me faceva la dierenza.
E quando la polizia ci ha detto andate, siete liberi, noi ab-
biamo detto se andiamo fuori di qua noi andiamo a farci.
E loro, fate il cazzo che volete.
Lo Stato ci ha mollato, in poche parole. Autogestione. Face-
vamo il possibile ma era tosta. E poi Riccardo ci mancava.
Infatti quando tornato ci ha abbracciato tutti, sembrava
fosse stato al fronte. Gran festa, noi tutti contenti, i pianti che
ci siamo fatti. stato bellissimo. Lui ha pianto pi di una volta
davanti a noi.
I ragazzi che hanno trovato incatenati sono andati via ma
poi alcuni sono tornati dopo il processo. Uno no, si suicidato.
Ma quelli che sono tornati Riccardo li ha accolti, li ha ripresi,
per lui stata una vittoria incredibile.

E da l non si pi fermato. Un passo alla volta, ha costruito lim-


pero. stato bravo, un grande uomo daari, aari che sono di-
ventati inarrestabili anche perch la polizia non lo prendeva mai.
Il commissario Salce non trovava mai niente, neanche
quando ci sono stati altri suicidi, dopo Daria, in cinque anni
quattro ragazzi, e tre serano ammazzati prima, e altri ancora si
sono ammazzati dopo. Tutti in Collina. A suicidarsi arrivavano
in condizioni terribili, ma legalmente suicidi erano e come sui-
cidi sono stati archiviati. Un sacco di tossici si suicidano, dice-
van sempre cos.

240
Prima di Salce, Riccardo si era comprato un suo uomo -
dato. Gli dava uno stipendio, un milione al mese. Lo stipen-
diato di questura, lo chiamavamo cos, io e Johnny Il Biondo.
Ma non era lunico a essere dei nostri. Una volta una ragazza
scappata, entrata in un bar, ha chiamato i carabinieri ma in-
vece dei carabinieri arrivata la macchina con Veleno e quelli
della macelleria. Al telefono aveva risposto il carabiniere giusto
e ci aveva avvisati.
Quindi con la legge tutto a posto.
Cera quel rompicoglioni di don Gaetano, come lo chiamava
Riccardo, quel forestiero, che continuava a minacciare e ricat-
tare, perch sapeva di Agostino e tutto il resto.
Ma pure quello ce lo siamo tolto dai coglioni subito subito,
grazie al suo autista, e un po pure grazie a me, per colpa mia.
Io e lautista di don Gaetano parlavamo sempre durante le
pause delle conferenze. E un giorno a Cesena si mette a piangere
e si conda. Mi dice certe cose che a Riccardo fa piacere sapere.
Don Gaetano sinculava i ragazzi della sua comunit. Non
usava la violenza, li avvicinava paterno, tranquillo, e li convin-
ceva a farsi dare il culo, il mio abbraccio va oltre il sesso.
Se veniva fuori in televisione e sui giornali, sai che cosa suc-
cedeva? Don Gaetano era un personaggio pubblico, meno fa-
moso di Riccardo ma comunque molto rispettato.
E sinculava pure questo autista, un bel ragazzo, biondo, e
diventiamo amici, lui si da e mi racconta. Io parlo con Ric-
cardo e Riccardo lo convoca in Collina.
Lautista dice a Riccardo non ce la faccio pi, si sfoga, e gi
pesante, don Gaetano gli piscia addosso dopo che gli fa i pom-
pini, lo vuole denunciare perch secondo lui pazzo e non sa
cosa pu fare.
Riccardo lo ascolta, poi lo abbraccia, Figlio mio. S fatto dire
tutti i nomi dei ragazzi che si faceva don Gaetano. Riccardo se
li segnati e poi ha chiamato don Gaetano. Lautista era ancora

241
nellucio, Riccardo al telefono ha detto: Ho il tuo autista
qui. Cosa facciamo, don Gaetano? Perch lui mi ha fatto una
lista di nomi. E mi ha pure detto che non sempre riesci ad ar-
rivare in tempo nel bagno, non la trattieni e la fai dove capita.
Forse let, don Gaetano? Io ho pensato subito cos: colpa
dellet.
Lautista terrorizzato non capisce. Vuole scappare ma Paride
e Ciacione lo fermano, mentre Riccardo continua a parlare con
don Gaetano: Io non ci credo a quello che lui mi ha detto. Ma
sai che se queste cose vanno sui giornali... Lo sai che cosa suc-
cede, no?.
Don Gaetano capisce che da quel momento linformazione
della malattia di Agostino non gli serviva pi a un cazzo. Dice
a Riccardo che far nta di non aver mai visto Agostino in vita
sua, ma Riccardo gli deve tener fermo lautista.
Quando don Gaetano arrivato con la macchina, se l por-
tato via, lautista, e poi non lho visto mai pi.

Insomma, la polizia non trovava niente, il prete non poteva pi


ricattare, avevamo campo libero. E a ogni pericolo scampato
Riccardo diventava sempre pi forte. Nel corso degli anni ha
messo da parte un sacco di soldi, parliamo di miliardi di lire e
quadri ricettati e immobili sparsi in Europa.
Forse ha iniziato a sentirsi troppo forte, al di sopra di ogni
cosa, e in quel periodo ha cominciato a picchiare. Sempre pi
spesso, davanti a tutti, a mensa. Chiunque faceva una cazzata.
Ma bastava poco, pure una cazzata piccola, batteva due colpi
sul microfono, a mensa, e iniziava il discorso, linosservanza
delle regole mette a rischio La Collina...
Questo lo faceva pure prima, ma in quel periodo inizi a
menare forte. Soprattutto se mentre parlava qualcuno alzava
lo sguardo, gli occhi. Riccardo gli mollava un manone che lal-
tro non se lo dimenticava pi. Oppure faceva il Solepiatti,

242
lo schiao a due mani, lo fece pure al glio di un attore fa-
moso. Ci sono un sacco di fotograe di attori famosi insieme
a Riccardo.

Io allinizio pensavo lo fa per il loro bene, poi mi son detto non


ci prendiamo per il culo. Per ho fatto ancora nta di niente,
continuavo a fare il mio lavoro e lo facevo come si deve, come
voleva lui. il mio lavoro, mi ripetevo cos. Pure se non cera
stipendio. Ma Riccardo diceva che prima di andarmene mi
comprava casa e mi dava la buonuscita. Quindi pensavo che mi
avrebbe pagato tutto insieme.
Allora guidavo giorno e notte, armato, ore e ore, senza fer-
marmi mai. Mi sciacquavo la faccia nei cessi degli autogrill,
quando avevo sonno. Un ca, una sigaretta e altri duecento
chilometri. Perch grazie alla televisione Riccardo era invitato
dappertutto, in tutta Italia, qualche volta pure allestero.
Mangiavamo nei migliori ristoranti e dormivamo in hotel
cinque stelle. Per me era strano, non avrei mai pensato di arri-
vare a mangiare e dormire in certi posti... da piccolo s, quando
sogni che puoi arrivare a fare tutto, nella vita... ma a un certo
punto, con la strada che avevo preso, al massimo mi vedevo in
galera o sul tavolo dellobitorio, nei sogni. Invece ristoranti di
lusso con personaggi assurdi. A Riccardo molti politici gli da-
vano del tu, e alcuni li vedevi in Collina una settimana s e lal-
tra anche.
Mi sentivo potente, utile e importante, avevo a che fare con
la televisione, le armi, gli uomini di potere, le macchine grosse.
Barbara diceva son cazzate, mi diceva che non ero un semidio
come mi credevo io ma solo un numero due, comero sempre
stato, un bravo comandante agli ordini dei generali. Comero
quando spacciavo a Milano, cos quando lavoravo per Riccardo.
Che per era un generale coi controcoglioni. Poteva mettere a
disagio chiunque, con laria da santone e le spalle da pugile.

243
Una combinazione che non solo mette soggezione ma fa pure
paura.
E poi parlava benissimo, questo fa gioco, metteva a segno un
colpo dopo laltro, e oltre ai politici ho visto un cardinale che
lo trattava come un amico dinfanzia.
Il cardinale glielo avevano presentato i Poli, durante un in-
contro, cero anchio.
A Riccardo due scrittori abbastanza famosi gli preparavano
i discorsi e lui li ripeteva con un maestro di dizione. Uno di
questi lha pronunciato quella volta davanti a non so quanti
alti rappresentanti della Chiesa. Una trentina tra vescovi e
cardinali.
Al rinfresco dopo la conferenza, con Riccardo e i Poli c que-
sto cardinale, uno dellest Europa, lamico di Benedetta. Subito
si complimenta con Riccardo per il discorso e dice che tiene
molto a cuore la sua causa, una lotta che lumanit sta combat-
tendo da anni e tante altre cose.
Riccardo ringrazia e inizia a parlare della proposta che aveva.
Per portare avanti la guerra alla droga serve raorzare le comu-
nit gi esistenti e gi collaudate, invece che incoraggiare gente
incapace ad aprire comunit nuove. Perch quello un campo
pieno di avventurieri. Il cardinale daccordo. La Poli dice che
ha gi parlato con il ministro Di Marzio, lidea gli piace parec-
chio, e parla anche lei. Ma Riccardo la interrompe e riprende
in mano la situazione, con la nuova legge non si aprirebbero
comunit nuove (che spreco di denaro pubblico, tra laltro) e
le piccole comunit gi esistenti andrebbero a nire nelle grandi
comunit. Come La Collina.
Il cardinale di nuovo daccordo. Per stavolta ha chiesto che
cosa doveva fare lui, in tutto questo. Riccardo ha risposto che
il ministro era stato chiaro: voleva una parola da parte del papa
la domenica successiva, allAngelus, per la giornata mondiale
contro la droga. Se il papa accennava alla cosa... poche parole...

244
unire le forze, compattare, conuire... era un segnale im-
portante, signicava che la Chiesa era daccordo con la propo-
sta. Allora s che il parlamento avrebbe votato la legge senza
problemi, in parlamento son quasi tutti cattolici, quindi sa
com, eminenza.
Il cardinale aveva capito tutto, arrivederci, e se nera andato.
La domenica dopo andammo allAngelus e il Papa inizi a
parlare della droga. Riccardo era vicino a me, eravamo andati a
San Pietro con una delegazione di cento ragazzi. Riccardo guar-
dava verso la nestra e diceva parla, dillo, parla.
Ma il Papa non lo disse. Nessuna delle parole che doveva
dire. Parl in generale della guerra alla droga, e questo tutto.
Come s incazzato, Riccardo, applaudiva ma sottovoce io lo
sentivo, mhai inculato, diceva, pezzo di merda.
La Chiesa non era daccordo. Diventava tutto un po pi
complicato.

Riccardo fa passare un mese, pi o meno. Poi va a casa di Di


Marzio, che nel frattempo da sottosegretario lavevano fatto mi-
nistro. Era un passaggio che Riccardo aspettava da un sacco di
tempo e invece non cera stato il ritorno che sperava. Anzi, la
prima richiesta pesante era andata a vuoto.
Allora si presenta di persona a casa del ministro, non in mi-
nistero, Riccardo dal ministro ci andava a casa.
Lo sapeva di far comodo a Di Marzio, si facevano comodo a
vicenda. In Collina cerano pi di duemila ragazzi, molti mag-
giorenni, e si votava dentro la comunit, montavamo una ca-
bina elettorale. Quindi tutti i voti dei maggiorenni erano
garantiti e ognuno dei ragazzi, in pi, portava almeno altri dieci
voti, tra familiari, amici e parenti. Arriviamo a un minimo di
ventimila voti. Voti sicuri.
Al ministro la cifra piaceva ma non gliene importava molto:
era Riccardo a piacergli, siamo molto simili io e te, diceva, e so-

245
prattutto Riccardo piaceva agli italiani. Averlo di anco era
unottima pubblicit per qualunque politico.
Il ministro, a casa sua, dice a Riccardo che prover comun-
que a far passare la legge, ma un po pi dicile adesso. Ric-
cardo lo ferma, di quella legge non gliene frega pi niente.
E l fa avanti la proposta vera, il suo grande sogno: fare della
Collina un comune, con tanto di assessori, polizia municipale
e sindaco, una specie di Principato di Monaco, un regno a
parte, un territorio neutro e senza controllo in mezzo allItalia,
ma staccato dallItalia.
Ce laveva in testa da un sacco di tempo e sapeva che per ar-
rivare a quel punto dovevamo essere davvero tanti. Per questo
prendeva sempre gente nuova, impediva di scappare e vietava
luso della pillola e dei preservativi, per farci amare e moltipli-
care. Ormai eravamo tanti, ma per una cosa del genere serviva
lo Stato, che doveva dire bene, La Collina La Collina, non fa
parte di nessun comune, fa riferimento solo a se stessa. Riccardo
sapeva che il percorso era lungo e serviva tempo, tanto tempo,
ma adesso che Di Marzio era diventato ministro i tempi co-
minciavano a essere maturi, almeno per fare la proposta iniziale,
per mettere in moto la macchina.
Riccardo dice che lui sullo Stato non ha mai pesato. Anzi, gli
ha risolto un sacco di problemi. E adesso qualcosa gliela devono
concedere. Il ministro va bene, ci penser, ne parler con chi ne
devo parlare. Ma non vuole lasciarlo andar via a mani vuote e
tira fuori la sorpresa che gli aveva preparato. Il permesso di far
aprire un ospedale allinterno della Collina, un ospedale tutto no-
stro. Non poco, Riccardo lo sa bene, ma non vuole farsi vedere
contento, altrimenti il ministro crede che pu bastare cos, non
serve altro. Lo ringrazia per lospedale, ma un po freddo, senza
entusiasmo. Il ministro si mette a ridere, dice di apprezzare lam-
bizione ma le cose vanno fatte piano piano: Un comune ha bi-
sogno innanzitutto di strutture, no?.

246
Riccardo non aveva pazienza. Ne aveva avuta n troppa nella
vita, me lo diceva sempre. Adesso che viaggiava verso i cin-
quanta gli sembrava di avere poco tempo. Guardava sempre
lorologio, il tempo non gli bastava mai, in quel tempo voleva
fare tutto, una sola vita per fare tutto non basta, mi diceva.
Lui andava avanti ma aveva sempre lincubo che da un mo-
mento allaltro succedesse qualcosa che lo facesse tornare indie-
tro. E non si pu tornare indietro, Riccardo la pensava cos.
La paura secondo me era di finire di nuovo a fare il fac-
chino in una pensione di merda, lo schiavo, o un assicuratore
mediocre che fa piccole truffe. Col cazzo! Andava avanti. E la
stanchezza e il sonno se ne andassero pure a fanculo. cos
che otteneva tutto quello che voleva: dormire poco e fare
molto.
Ma pi otteneva e pi voleva, come succede sempre, e se si
metteva in testa la luna, signicava che voleva la luna.

Sentirsi un Padreterno ha qualche controindicazione. E la storia


del beverone una delle prove.
Perch se il beverone avesse funzionato, lui sarebbe passato
per quello che aveva risolto il problema dellAIDS.
Ma era una follia, io lho capito subito.
Riccardo si adato a un demente, un nto scienziato che
gli ha detto di aver trovato questo beverone per curare lepatite
C e lAIDS. Riccardo si fatto convincere e fece prendere il be-
verone ai ragazzi malati che stavano in comunit.
Loro bevevano ma naturalmente non funzionava, anzi era dan-
noso, un multivitaminico fatto con carni bianche mischiate a che
cazzo ne so. So solo che il fegato ne usciva a pezzi, quindi invece
che migliorare, i ragazzi peggioravano, e dopo neanche due mesi
il nto scienziato stato allontanato a calci nel culo. Da me, ovvio.
Perch Riccardo prendeva le decisioni e poi, quando erano sba-
gliate, toccava a me sistemare tutto. Prendere a calci in culo il nto

247
scienziato non stato un problema, lho fatto con grande, gran-
dissimo piacere, ma cerano cose veramente pesanti che dovevo
fare. E le facevo, per che cazzo.

Come la villa che ho dovuto bruciare. Lho bruciata io la villa.


Per una questione di cani e cavalli... i cani della Collina vince-
vano le mostre e i giornali lo sbandieravano: solo la qualit in
Collina. Ma tante cose non le dicevano, ovvio, ad esempio
come Riccardo si era procurato Michigan, un Mastino tibetano,
uno dei cani pi famosi al mondo, nellambiente delle mostre,
e Riccardo lo voleva a tutti i costi in Collina.
Questo cane, questo Michigan, era di un farmacista austriaco
e di sua moglie, pure lei farmacista. Luomo era un giocatore
dazzardo e Riccardo lo venne a sapere perch gli aveva messo
dietro un investigatore privato, che ha seguito il farmacista per
un anno. Perch questo non voleva vendere il cane e Riccardo
gli ha piazzato uno dietro, se fa qualche stronzata lo incastro.
Ma del ricatto non c stato bisogno, perch il coglione si fatto
arrestare. La moglie neppure sapeva che il marito si era sputta-
nato tutto e stavano fallendo, loro e la farmacia. Cio, lha sa-
puto quando il marito lhanno arrestato.
E quando successo, noi che abbiamo avuto la notizia dal-
linvestigatore, ci siamo precipitati con cento milioni in una
busta e una traduttrice in macchina.
Suoniamo a questa casa tipica austriaca, in mezzo al verde.
Riccardo si presenta alla signora. Lei ci fa entrare. Era depressa
ma era gentile. Non sapeva neanche delle trattative tra Riccardo
e il marito per vendere Michigan, con il marito che voleva in
marchi il corrispettivo di seicento milioni di lire, per il cane.
Prima di fallire tirava sul prezzo, ma ora avevano le pezze al culo.
Riccardo subito chiede di Michigan, tramite la traduttrice.
E la signora dice come fate a sapere del cane? Riccardo risponde
che sa pure che hanno bisogno di soldi. E in quel momento

248
svuoto la busta, i cento milioni sparsi sul tavolo.
E ce ne siamo tornati in Collina: Riccardo, io, la traduttrice
e Michigan.
Quello era un cane veramente col pedigree, altri cani della
Collina invece erano truccati. Li truccava Marinella, la veteri-
naria... E qui arriviamo alla villa bruciata... Marinella gli limava
i denti, faceva cose tecniche che non saprei dire. Pure con i ca-
valli le faceva, raccoglieva lo sperma dei purosangue. Lho ac-
compagnata anchio in una stalla. Ci eravamo comprati lo
stalliere di questo miliardario siciliano. Ci ha fatti entrare di
notte nella stalla, lo stalliere... no a Siracusa siamo andati a
sbattere... e Marinella praticamente ha fatto una sega al cavallo
per raccogliere lo sperma. Cos poteva ingravidare qualche ca-
valla che avevamo nelle scuderie, e quelli che nascevano erano
gli di campione.
A Marinella toccava anche fare liniezione ai cani che non
erano di razza, che non servivano neanche se li truccavi. E lei li
doveva sopprimere, anche i cuccioli.
Perch i canili dei paesi vicini, quando erano pieni, li man-
davano tutti a noi, i cani, mica facevano la selezione. Riccardo
non poteva dire questo lo voglio e questo no, perch in televi-
sione diceva sto risolvendo il problema del randagismo, o al-
meno del sovraollamento dei canili. Quindi prendeva tutto
quello che mandavano, poi la selezione la faceva allinterno. La
faceva Marinella.
E lei a un certo punto non ne ha potuto pi, ha detto a Ric-
cardo che se ne voleva andare, mi sento bene, la cura nita,
no? Le stesse cose che dicevo pure io, quando mi sembrava che
dopo dieci anni, se permetteva, era pure tempo di provare da
solo, l fuori.
Lui temporeggiava, con me come con Marinella, ancora no,
non il momento. Perch gli servivamo. Marinella non gli ser-
viva quanto me per era necessaria, e quando lei ha detto che

249
se ne voleva andare Riccardo ha detto va bene, ma sapevo che
non la faceva partire tanto facilmente. E sapevo pure che la
pezza come sempre ce la dovevo mettere io.
Marinella aveva una villa sul lago di non mi ricordo cosa, un
lago piccolo, non di quelli famosi. Era lunica cosa che le re-
stava, fuori dalla Collina. Non aveva nientaltro. N gli, n
fratelli, genitori, parenti o amici. Niente. Sembrava venuta dal
nulla, sembrava che lavesse cacata la terra.
Aveva solo questa villa e voleva andare a vivere l e da l rico-
minciare. Anche se non aveva una lira almeno aveva una casa,
questo fa la dierenza.
Riccardo me lo dice in macchina, mentre lo accompagno a
una conferenza, a Cosenza mi pare. Dice che devo andare l...
tranquillo che non lo viene a sapere nessuno, vai e la fai saltare,
la villa. Facile facile. Gli ho detto che ci volevo pensare ma lui
s incazzato: Che devi pensare? Che vuoi pensare? arrivato
lintellettuale, che pensa.
Me la sono tenuta perch non ci volevo litigare, e perch gli
portavo rispetto, ma con me ho preteso di avere Johnny Il
Biondo. Cos almeno eravamo due, e se fosse successo qualcosa
non era la mia parola contro quella di Riccardo, bella pesante
come parola, impossibile da vincere.
Invece cos siamo due, e andiamo con la benzina e un po di
tritolo. A Riccardo glielo aveva procurato Santon, limprendi-
tore veneto che tracava con lui.
Comunque andiamo e facciamo saltare la villa. Abbiamo
fatto saltare tutto. E Marinella rimasta.

Ha iniziato a darmi ordini cos, cose grosse. Allinizio facevo


cose piccole, cazzate, non bruciavo le ville. Anche la storia del-
lorso... anche se lorso non ce lho fatta ad ammazzarlo... ma
lui me lha ordinato... Ammazzare un orso tosta. Riccardo lo
aveva preso dal circo con fuochi darticio sui giornali e in te-

250
levisione. E un giorno sono andato sul terrazzo della Reggia e
Riccardo guardava gi, con le mani appoggiate alla ringhiera.
Da dove eravamo si vedeva bene la gabbia dellorso. Sono arri-
vato e stavo per chiedergli un favore, mi serviva un permesso
rmato da lui, per Valentina. Stavo per parlare ma lui mi ha
detto: Lo devi ammazzare.
Allinizio non capivo, ho pensato arrivato il momento che
mi fa paura, prima o poi mi chiede di uccidere qualcuno, pen-
savo sempre, e quando mi ha indicato la gabbia e mi ha detto
che dovevo uccidere lorso mi sono sentito sollevato, allinizio.
Ma dopo no, non mi andava di uccidere un orso. Allora ho
provato a farglielo capire e quello niente, aveva deciso che lo
doveva uccidere e ora lo doveva... anzi lo dovevo... uccidere. Al
circo non avevano una lira e sarebbe morto comunque perch,
un orso mangia molto, consuma molto, costa molto. Allora ho
capito. Di soldi ne faceva tanti ma pi ne faceva e meno ne vo-
leva spendere, se non per comprarsi questo e quello, gli uomini
che gli servivano. Ho capito che il problema erano i soldi, anche
se diceva che lorso era diventato pericoloso, e per quello lo vo-
leva uccidere. Comunque era vero, perch chiuso l dentro a
volte era depresso e altre volte euforico, e una volta mancato
poco che Marinella ci lasciasse il braccio.
E poi come lo giustichi? Dov nito lorso? E lui, non ti
preoccupare, nessuno ne sapr un cazzo, Veleno e gli altri sca-
vano una fossa e lo buttano dentro. Allora ho detto fallo ucci-
dere direttamente a Veleno e a quegli altri. E lui, mica facile,
per uccidere un orso bisogna sapere usare bene le armi, quasi
come uccidere un uomo. Appunto, io un uomo non lho mai
ucciso. Mi ha fatto un sorrisetto e ho capito che si riferiva alla
storia di Trento, glielo avevo raccontato io, che il tizio che mi
doveva i soldi a Trento non sapevo se con quella coltellata
lavevo ammazzato oppure no.
Comunque andiamo avanti cos... devi farlo e non posso

251
farlo... ancora un po... devi farlo e non posso farlo... no a
quando mi aerra per le spalle: Cerca di non rompere i co-
glioni perch non giornata. Ti ho detto di ammazzarlo e lo
ammazzi.
La presa non me la sono tenuta. Mi sono liberato e lho guar-
dato sso. Solo dopo ho detto va bene. Gli volevo far capire che
non lo facevo perch avevo paura di lui ma perch quello era il
mio lavoro, e se del mio lavoro faceva parte uccidere lorso, al-
lora avrei ucciso lorso. Ma non mi doveva toccare. Per questo
mi sono liberato dalla presa. E per sottolineare il concetto...
Voglio cominciare ad avere qualcosa in cambio ...gli ho detto
di Valentina, del permesso che serviva perch voleva andare a
un corso di karate. Lui ha detto va bene, lo avrebbe rmato.
Poi io me ne sono andato e lui rimasto l.
Sto con Marinella davanti alla gabbia dellorso e mi devo
pure sentire addosso le sue guardate storte, non per il fatto della
villa, non lha mai saputo chi lha bruciata, ma per unaltra sto-
ria che ora non importante. Marinella inzuppa un pezzo di
legno in un contenitore pieno di miele e lorso nalmente si fa
avanti perch non ne voleva sapere prima di sentire lodore. Gli
orsi sono golosi. Buono buono quello si mette a leccare il miele
attraverso le sbarre e Marinella gli fa una croce sul torace con
una bomboletta e mi dice l c il cuore, se non lo colpisci esat-
tamente in quel punto non muore. E io, va bene.
Prendo la mira, stringo i denti e sparo. Manco il bersaglio,
cio lo prendo sulla spalla, e quello inizia a urlare, non so come
si dice il verso dellorso, ma mi fa pena. Mi volto verso Mari-
nella e lei gi se n andata, come a dire sono cazzi tuoi. Mi fa
pena davvero, come grida lorso, e secondo me Riccardo dal ter-
razzo della Reggia capisce che non ho il coraggio di sparare per-
ch me lo vedo arrivare alle spalle, tutto scoglionato, non hai le
palle, Nio. Mi prende la pistola dalla mano e si avvicina al-
lorso a braccia larghe. Spara e lo colpisce al torace, dovera la

252
croce. Lorso va gi, come un gigante. Il modo in cui cade e il
rumore che fa quando cade me li ricordo ancora bene. Faceva
paura. Per ancora respira. Riccardo lo nisce, gli scarica ad-
dosso tutto il caricatore. Poi mi restituisce la pistola e se ne va.
Io tengo gli occhi ssi sul cadavere dellorso e Veleno e quelli
della macelleria che lo devono sollevare con una pala meccanica
per portarlo fuori dalla gabbia.
Poi ho saputo che lhanno seppellito al galeone, dove ni-
vano sepolti tutti gli animali morti in comunit.

Al di l dellorso e degli altri ordini pesanti cera la questione dei


soldi e della casa, che non arrivavano mai. Tutto questo me lha
fatto scadere parecchio, Riccardo, soprattutto quando ho saputo
che i soldi e la casa li prometteva pure a Giulio e a Johnny Il
Biondo e a chiss chi altro, secondo me li prometteva pure al giar-
diniere della Reggia.
Avevo quasi deciso di mollarlo. Ci stavo pensando seria-
mente, gi da un po. Aspettavo solo il momento buono per
dirglielo. Che per non arrivato. Perch mi hanno arrestato.

Sono stato sfortunato a beccare due ispettori tostissimi. Se bec-


cavo uno che mi diceva: Io prendo duecento milioni e voi andate
fuori dai coglioni, io e Johnny dicevamo prendili. Con Riccardo
su questo eravamo daccordo, ovvio. E ci mancherebbe.
Invece cerano questi due... altro che duecento milioni... que-
sti mi volevano far parlare, non volevano nientaltro.
Riccardo mi era scaduto ma col cazzo che parlavo, avevo
paura. Non pensavo che era un maoso, mi fa uccidere se parlo,
ma ultimamente aveva amicizie non da poco, i De Maria di Ca-
tania per esempio.
Di sera... era inverno... dopo che per tutto il giorno mi hanno
interrogato e non ho parlato, mi attaccano al termosifone, co-
minciavo pure a bruciarmi. Mi interrogano ancora e io ancora

253
non dico niente. Prendo un sacco di botte ma sto zitto.
La testa mi scoppiava, avevo mal di testa, di quelli forti, dalla
mattina. Vai a sapere che la sera mi sarei trovato in quella si-
tuazione di merda.
Di notte entrava e usciva un terzo poliziotto con un mitra e
un cane lupo che mi abbaiava in faccia. Il poliziotto minsultava,
mi diceva maoso di merda, me lo diceva con laccento fran-
cese, qua vi fate minimo cinque anni di galera.
E io non ho parlato, non ho detto niente.
Poi mi hanno portato in una cella, in mezzo a una banda di
marocchini, algerini, roba cos. Tutti pieni di cicatrici, alti due
metri. Non sapevo che ne aveva fatto Johnny, non era con me.
In cella inizia subito il macello. Mi hanno preso sui coglioni
ed gi tanto che non mi hanno inculato. Mica per niente, non
che mi son messo a fare leroe. Mi hanno preso sul cazzo senza
motivo, forse perch ero italiano, non lo so, o perch ero nuovo.
Ma ho dovuto reagire. Se le prendi e ti stai zitto peggio, in
galera. E nel cortile uno mi ha dato un cazzotto e io glielho re-
stituito. Mi hanno pestato in quattro gi nel cortile e in cella
mi volevano fare la pelle.
Mi tenevano fermo due di loro, i pi piccoli, e i pi grossi
mi pestavano, erano tre che pestavano. Io per terra, uno mha
sputato e un altro mi ha schiacciato le dita della mano.
Poi vedo che uno di questi piccoli tira fuori il coltello e me
lo punta alla gola, proprio qua, me lo sento addosso che mam-
mazza. Gli altri guardano e non fanno niente. Secondo me pure
loro aspettano per vedere che succede, se mi ammazza o se non
mi ammazza.
E l arrivata una botta di culo... o forse non era una coin-
cidenza... comunque dal corridoio arrivata una voce, un grido,
ha detto qualcosa che non ho capito.
Il ragazzo nero passa il coltello a un altro, che lo cca in un
buco nel muro e ricopre la parete col corpo.

254
Il secondino che ha gridato mi guarda attraverso le sbarre e
quando mi vede per terra, in quelle condizioni, si mette a ridere,
il pezzo di merda. Per mha salvato il culo, quindi va bene cos.
Mi porta dentro allo stanzino dove mi tenevano legato al ter-
mosifone no a una settimana prima. Mi fanno sedere senza
manette, non ce nera pi bisogno. Di fronte cerano i due che
mi avevano gi interrogato e mi fanno le stesse domande di al-
lora, vogliono sapere di chi sono i soldi che hanno trovato nella
macchina, ci hanno trovato quasi un miliardo. Comunque con-
tinuano a chiedere di chi sono i soldi... conviene che non con-
tinuo a stare zitto, no al processo me la cavo, ma dopo... Io
dico che mi possono pure arrestare per non parlo. Neanche
mi pestano, mi dicono solo peggio per te. Tra poco ti proces-
sano e sono cazzi tuoi.

Nella mensa della prigione incontro Johnny, era ridotto male ma


non come me, perch lui le aveva prese solo dalla polizia. Mentre
mangiavo con Johnny mi guardavo intorno con la paura, qua
basta niente e arriva una coltellata. Johnny dice che se non man-
dano nessuno entro tre giorni lui parla. Io gli faccio non dire caz-
zate, qualcuno arriva. Perch in Riccardo avevo perso ducia, ma
non potevo pensare che mi lasciava marcire l dentro. Non po-
tevo neanche dormire pi, in cella, senn mi facevano la pelle.
Pensavo qualcuno arriva, qualcosa succede. Non mi lasciano qui,
che cazzo. Infatti qualcosa succede, anche se non arriva nessuno.
Succede che mi portano in isolamento. Non mi volevano far uc-
cidere, quindi speravano ancora che parlassi.
Mi mettono in questa cella e faccio quello che si fa di solito
in isolamento: niente. Preferivo stare in isolamento che essere
accoltellato, ovvio, ma non era proprio un paradiso, diciamo
cos... Pensavo a Valentina, per distrarmi, ma era peggio perch
mi mancava. Allora pensavo a come Riccardo mi aveva messo
in una situazione cos di merda. Meglio essere incazzati che tri-

255
sti, in isolamento, secondo me. E la maggior parte del tempo
la passavo sulla brandina a ssare il sotto, a concentrarmi su
Riccardo... Maveva tirato fuori dalleroina e maveva fatto nire
in una cella disolamento.
Dopo un mese ho pensato pure qui divento pazzo. Lho pen-
sato perch lho detto ad alta voce, mi son sentito che dicevo:
Qui divento pazzo. Signicava che avevo iniziato a parlare da
solo e no a quel momento neanche me nero accorto.
E allora ho detto se non mi vengono a prendere, due sono le
cose: o mammazzo oppure parlo.

256
V

RESISTENZA

1988 1989
Sebastiano Ricci ha costruito una dama, lha fatta con le sue mani
e lavrebbe data a Marcello non appena lavesse incontrato.
Era passato un anno da quando si erano visti lultima volta,
il giorno prima di partire per La Collina, nellautunno del 1988.
Durante i giorni e le notti di chiusura in porcilaia, il tempo im-
mobile, Sebastiano pensava alla dama e a Marcello... se la tro-
vano me la sequestrano... la nascondeva in valigia, il suo armadio,
sotto il letto a castello del dormitorio maschile, in mezzo ai ve-
stiti... oppure me la rubano... Marcello a dama avrebbe giocato
con Gabry, sua sorella... se non sanno giocare glielo insegno io,
simpara subito, la dama non sono gli scacchi, le regole sono poche
e semplici... la dama di Sebastiano era davvero ben fatta, tavola
e pedine curate nei dettagli, cerano voluti due mesi, levigata al
millimetro e dipinta a mano, i bianchi e i neri, un po di mar-
rone chiaro ai bordi... faremo un piccolo torneo in tre, a casa no-
stra, bella casa nostra, mica come questa porcilaia schifosa... Un
ottimo lavoro, a Sebastiano lo aveva detto anche Marco, aveva
dovuto ammetterlo nonostante lantipatia reciproca... mi sotto-
valutava il picciotto, ha quasi ventanni meno di me e si atteggia
come se fosse mio padre... Lavoravano entrambi in falegnameria
prima di nire tutti e due in macelleria, per punizione (sebbene
per motivi diversi), e il caporeparto diceva sempre: Guarda
Marco e impara... arrivato il professore... Sebastiano quella
frase non la sopportava pi e alla quinta volta aveva tirato fuori

259
la dama: E tu impara larte e mettila da parte... Marcello lap-
prezzer perch un ottimo lavoro, non perch un regalo di suo
padre... Si sentiva orgoglioso per la prima volta da tanto tempo,
forse da quando aveva comprato un appartamento di tre stanze
a via Lincoln, centro di Palermo, un regalo che Marcello non
poteva apprezzare, a quel tempo aveva tre anni e tante cose non
le capiva... a volte era una fortuna che Marcello non capisse... non
capiva che sua madre e suo padre non andavano pi daccordo
e soprattutto non capiva che da quando Sebastiano aveva co-
minciato con leroina e la questione era diventata di dominio
pubblico si diceva che avesse rapporti strani con gente strana.
Non serviva dire che un agente di commercio, soprattutto al livello
a cui ero arrivato io, a lavorare con le pi importanti industrie ali-
mentari dItalia, guadagna bene e si pu permettere un apparta-
mento in centro... Sebastiano rimuginava ma sapeva che non
cera niente da fare... quando la gente si mette in testa una cosa,
non gliela togli pi, per loro ero un tossico, e per la gente non esi-
stono tossici che lavorano e si fanno deroina, esistono soltanto quelli
che barcollano e saddormentano per strada... Quando si faceva
non usciva di casa e se Marcello e Gabry erano a casa non usciva
neanche dalla camera da letto... oppure quelli che lavorano per
la malavita... Sebastiano andava ogni settimana a Napoli, lavo-
rava per unazienda campana, e tutti lo credevano una specie di
corriere... ma io non do peso alle chiacchiere, li sto a sentire meno
dei grugniti di questi porci, che non smettono mai, zitti vi prego,
lasciatemi dormire... Per Sebastiano erano invece importanti i
pensieri di sua moglie, sempre pi neri, paura per se stessa e per
i gli, e alla ne li aveva portati via dallappartamento di via
Lincoln... tre ore il venerd e quattro il sabato... Sebastiano cer-
cava sempre di smaltire in tempo la botta, i bambini non si do-
vevano accorgere di niente, ma crescendo iniziavano a capire...
questo non me lo perdono... Sebastiano a volte non riusciva a non
farsi, prima dincontrarli, ed era stato pi questo che linsistenza

260
di sua sorella a convincerlo ad andare in Collina, per guarire de-
nitivamente... avevo trentacinque anni... Cerano stati dei pro-
blemi n dallinizio: a Sebastiano non piaceva ricevere ordini e
ai capireparto non piaceva Sebastiano... avete voglia a rinchiu-
dermi qui dentro, in mezzo ai porci, io vi dico di no... Sebastiano
non accettava il lavoro non retribuito, ad esempio, oppure il di-
vieto di uscire dal dormitorio se destate si moriva di caldo e non
riusciva a dormire... mi sento bruciare, in estate... e in falegname-
ria Marco glielo spiegava, la notte il momento peggiore per la
forza di volont di chiunque, anche in condizioni normali: se lo
avessero permesso, molti avrebbero provato a scappare, come gi
tanti facevano, quasi tutti ripresi... pensavo che a me non mi ri-
prendevano perch corro veloce, ho sempre corso veloce... Marco lo
aveva avvisato: Qui ti riprendono sempre, ma Sebastiano aveva
provato lo stesso e non aveva superato la recinzione: Paride e
Carmelo lo avevano pestato in mezzo ai campi incolti e poi lo
avevano trasferito in macelleria... non ci resistevo a fare quel la-
voro... Sebastiano aveva gettato ai piedi di Veleno un quarto di
manzo che era costretto a trasportare nonostante i primi sintomi
di un problema al fegato destinato a peggiorare... perch non te
lo porti da solo, che dai ordini e non fai una minchia... la risposta
di Veleno erano stati due pugni, Sebastiano era caduto sulle gi-
nocchia, poi aveva sentito un calcio arrivare sulla schiena, aveva
perso conoscenza e si era risvegliato in porcilaia... non so pi da
quanto tempo sto qua dentro... Veleno durante la notte andava a
controllare che non dormisse e se dormiva lo svegliava con due
schiaetti... ringrazia Dio che sono legato, glio di puttana... e una
notte che Sebastiano aveva fatto un incubo e aveva urlato: Bru-
cia! Sta bruciando tutto, Veleno gli aveva rovesciato addosso un
secchio dacqua gelata... non ho mai sentito cos freddo in vita
mia... Sebastiano era rimasto sveglio tutta la notte, poi aveva
sentito un rumore... sta tornando, sta tornando... aveva alzato lo
sguardo e aveva visto Riccardo.

261
Io sto male, non posso stare l.
Devi concentrarti sul lavoro: tutti i ragazzi che sono scap-
pati avevano mostrato scarso impegno nel lavoro. Perch con
la testa erano gi in piazza. Bisogna lavorare continuamente:
il solo modo per tenerla impegnata, la testa.
Non mi prendere per il culo.
Attento.
Voglio tornare in falegnameria.
Vedr cosa posso fare.
Riccardo stava per andar via, ma Sebastiano lha fermato.
E voglio vedere i miei gli.

Riccardo salito sulla macchina guidata da Sabrina. Sebastiano


lha seguita con lo sguardo no a quando non sparita oltre la
curva. Poi tornato al dormitorio e allingresso ha trovato Pa-
ride, che lha fatto entrare con una spinta.
Sebastiano ha rovistato nella valigia e ha preso la dama. Lha
avvolta in un paio di pantaloni e un maglione, puliti e asciutti.
andato nel bagno comune, si cambiato, si seduto su uno
sgabello con la dama in grembo e ha pensato a come fare. Di
notte certamente no, laveva sperimentato in prima persona.
Bisognava aspettare il giorno.
tornato al suo letto, ha messo i panni sporchi e bagnati in
una busta di plastica e lha inlata in valigia. Ha nascosto la
dama sotto il maglione e si steso sul lettino. riuscito a non
addormentarsi.
La prima luce del giorno entrata nel dormitorio attraverso
le nestrelle rotonde.
Sebastiano ha sentito le sirene della polizia e ha visto quasi
tutti i ragazzi saltare gi dai letti e precipitarsi allingresso. Pre-
mevano per uscire, Paride provava a bloccarli. Sebastiano si fatto
avanti, ha sgomitato no alla prima la e ha spintonato uno dei
ragazzi addosso a Paride. Quindi sgattaiolato allesterno.

262
Ha proseguito nel piazzale e ha camminato no alle vigne,
senza voltarsi e senza fretta. Poco distanti sono sfrecciate due
volanti della polizia, non lo hanno visto o lo hanno ignorato,
non cambiava molto: la polizia non poteva essergli daiuto.
arrivato ai campi incolti, poi la recinzione, ha lasciato sci-
volare la dama dallaltra parte, attraverso le sbarre strette. Ha
scavalcato, ha recuperato la dama e ha proseguito. Fino al paese
ha ignorato case, bar e telefoni pubblici. Li riconosceva come
trappole.
Sebastiano ha preso un treno regionale senza biglietto. Non
aveva soldi, solo la dama. riuscito ad arrivare a Bologna. Ha
preso un altro treno, stavolta a lunga percorrenza. Due ore dopo
il controllore lha trovato chiuso in bagno.
Lhanno fatto scendere alla prima stazione. Un treno verso
sud sarebbe passato tre ore dopo. Sebastiano si seduto su una
panchina di cemento, nonostante la stanchezza non si sdraiato
per paura che la polizia ferroviaria lo credesse un barbone e gli
chiedesse i documenti (in Collina si consegnano quando si
entra e vengono restituiti alluscita denitiva). Il treno arrivato
qualche ora dopo, Sebastiano salito ed stato costretto a scen-
dere anche da quello. Stessa cosa con il treno successivo.
Dopo quasi ventiquattrore, traghetto compreso, sudato da
capo a piedi, con lumidit che impregnava la carne e le ossa,
Sebastiano si fermato sul marciapiede sotto casa sua, in tarda
mattinata, di fronte allappartamento che aveva comprato qual-
che anno prima.
Ha alzato lo sguardo verso il balcone. Le tende verdi e bian-
che erano illuminate dalla luce del sole, basso e abbacinante,
quello di Palermo nel mese di giugno, che quasi aveva dimen-
ticato. Sebastiano ha citofonato, non ha risposto nessuno. Si
riposizionato sotto il balcone e dopo qualche secondo ve-
nuto fuori Marcello. Ha visto il padre. Ha sorriso. corso
dentro.

263
Al secondo piano si sono abbracciati sul pianerottolo, stretti,
a lungo, tutti e due con gli occhi chiusi. Li hanno riaperti, si
sono sciolti dallabbraccio, Sebastiano ha guardato Marcello.
Era parecchio cresciuto.
Sei da solo?
Marcello ha risposto di s, Sono uscite, e si sono abbracciati
di nuovo.
Il salone era pulito e luminoso. Marcello ha accarezzato la
dama, ha tirato fuori le pedine e le ha sistemate. Sapeva giocare.
Sebastiano faceva avanti e indietro dal salone al balcone.
Mamma non torna prima delle due. Le pedine erano pronte.
Giochiamo?
Sebastiano ha controllato unultima volta lesterno e si se-
duto. Ha perso dopo cinque minuti, tornato al balcone. Mar-
cello stavolta lha seguito, Hai perso apposta. Sebastiano ha
negato. Marcello ha guardato gi, Chi aspetti?
Sono arrivati e non aveva ancora stabilito il da farsi, deciso a
chi chiedere aiuto. Se non ci fosse stato Marcello, l, ora, si sarebbe
barricato in casa, forse. Prolungando allestremo la resistenza. Ma
non poteva, non davanti a lui. Bisognava decidere diversamente,
in fretta, Paride era gi fuori dalla macchina, Stanno venendo a
prendermi, pap deve tornare a lavoro.
Sebastiano ha baciato Marcello, Non dire a nessuno che sono
stato qui. Marcello non ha risposto. Sebastiano lo ha scosso, Me
lo prometti?
Il suono del citofono. Sebastiano ha ripetuto la domanda,
Me lo prometti? Marcello si voltato verso linterno della casa.
Sebastiano lha baciato, Ti voglio bene.

Il primo cazzotto se l preso quando ha aperto il portone, per


ha spinto Paride ed riuscito a scappare. Sapeva che Marcello
li avrebbe visti dal balcone, non voleva che succedesse sotto i
suoi occhi. Sebastiano ha svicolato e si fermato a riprendere

264
ato. La macchina ha frenato al centro della viuzza. sceso Pa-
ride. Lo ha preso per i capelli e lha buttato sul sedile posteriore.

In macelleria Sebastiano era costretto a lavori sempre pi mas-


sacranti. Marco ha smesso di rivolgergli la parola, come la mag-
gior parte dei ragazzi che conosceva in Collina.
Nessuno voleva farsi sorprendere a parlare con lui; nessuno
voleva essere catalogato come suo amico.
Non poteva pi contattare Marcello e Gabry. Non gli erano
pi concesse n telefonate (neanche se registrate) n lettere (ne-
anche quelle controllate da Giulio).
E quando Sebastiano aveva ormai perso ogni speranza, pen-
sando che chiss quanto tempo sarebbe passato prima di risen-
tire o rivedere i gli, un ragazzo pugliese si tagliato le vene nel
bagno del dormitorio ed stato sepolto nel cimitero della Col-
lina in presenza di molti ragazzi, tra loro Sebastiano, che du-
rante la cerimonia ha visto il becchino e gli venuta unidea,
probabilmente lunica soluzione.
A funerale concluso si posizionato nei pressi di una tomba,
una qualsiasi, e ha fatto nta di pregare. Il becchino gli passato
di anco e lui ha sussurrato una sola parola: Aiutami. Il bec-
chino si fermato per un istante, poi ha proseguito. arrivato
alla ne del cimitero, sul lato opposto, ha svuotato un secchio
pieno dacqua ed tornato indietro. Ha rallentato quando
passato di anco a Sebastiano.
Se ti porto una lettera, puoi imbucarla fuori?
Il becchino passato oltre, ha riempito il secchio e ha versato
un po dacqua in un vaso davanti a una tomba. Quindi tor-
nato indietro, Domani mattina alle otto.

Sebastiano non aveva carta e penna (a chi in punizione non


sono concessi). La sera stessa andato in sala cinema. Sul tavo-
lino, quotidiani e riviste. Sebastiano ha cercato larticolo giusto

265
e lha trovato alla ne di un settimanale, penultima pagina, un
reportage su famiglie da dieci anni senza casa dopo il terremoto.
Sintitolava: Abbiamo bisogno di aiuto. Sebastiano ha fatto
molta attenzione e ha strappato il titolo, lha inlato in tasca e
ha continuato a guardare il telegiornale, unedizione speciale
(sollevazioni popolari represse in un Paese dellest). Se n an-
dato mezzora dopo, tornato al capannone maschile e ha dor-
mito vestito, la pagina della rivista piegata in tasca.
La mattina dopo, alle otto in punto, era al cimitero. Pregava
davanti alla tomba del giorno prima. Il becchino passato die-
tro di lui e Sebastiano gli ha allungato quelle parole di carta:
Abbiamo bisogno di aiuto. Poi ha mormorato lindirizzo:
Carla Ricci, via Aldo Moro 23, 90040, Palermo. Il becchino ha
proseguito, lo ha ripetuto tra s per impararlo a memoria.

Sebastiano ormai era magrissimo, il viso quasi giallo. I problemi


al fegato peggioravano di giorno in giorno, il corpo livido e gon-
o in pi punti, sempre pi debole. Daniele gli somministrava
le medicine necessarie ma Sebastiano non migliorava.
Nonostante ci ha cominciato a obbedire agli ordini di Ve-
leno, diventato puntuale e preciso. Sentiva che presto sarebbe
nito tutto.

Man mano che gli ospiti esaurivano il tempo a disposizione ne


facevano entrare altri. Tutti tranne Carla, gli occhi chiari come
Sebastiano.
Che signica che malato? Mio fratello lo voglio vedere pure se
malato.
Giulio la invitava ad abbassare la voce ma lei insisteva, Sono
venuta da Palermo, pi di mille chilometri, e adesso lo voglio ve-
dere. Giulio non sapeva come fronteggiare la situazione, do-
vuta intervenire Sabrina, Signorina Ricci, Sebastiano ha avuto
un problema due ore fa, a causa dellepatite, e lei era gi in viaggio,

266
non potevamo avvisarla. Adesso sta meglio, ma troppo stanco per
vedere chiunque. Il nostro medico se ne sta occupando di persona,
un ottimo medico, non si preoccupi di nulla.
Sabrina ha fatto un cenno e si fatto avanti Daniele, scuro
in volto quando ha lanciato unocchiata a Sabrina e imbarazzato
quando si rivolto a Carla, Sebastiano... ha bisogno di riposo...
sta bene ma non pu vedere nessuno.
Giulio ha fatto scorrere la la, Avanti il prossimo.

Sebastiano continuava a lavorare in macelleria senza commet-


tere infrazioni. Lavorava sodo, caricava e scaricava carne, dai
ganci alla cella frigorifera e da l al furgoncino. Doveva concen-
trarsi sul corpo per resistere alle cinque ore consecutive del
turno pomeridiano (a volte ce la faceva, altre volte no).
Ha sentito le gambe molli, quasi addormentate, la carne sulle
spalle pesava il doppio, le braccia sembravano allontanarsi dal
corpo. Ha perso lequilibrio. crollato. Ha provato subito a
rialzarsi ma qualcosa non ha funzionato: caduto di nuovo e
ha imprecato a bassa voce. Sperava soltanto che nessuno avesse
visto. Quando stato sicuro di essere da solo ha iniziato a mas-
saggiarsi il punto dolorante, continuando a tenere docchio la
situazione. Ha sentito che andava meglio e ha provato ad alzarsi.
Si messo in piedi. Ha respirato profondamente. Si guardato
intorno ancora una volta. Ha raccolto a fatica il peso che stava
trasportando e se lo caricato di nuovo sulle spalle.
Appena fuori dalla macelleria, poco prima del furgoncino
che aspettava con gli sportelloni aperti, crollato di nuovo.

Quando si risvegliato non ricordava nulla. Ha capito che si


trovava in un ospedale, ha creduto di essere uscito grazie a
quellincidente. Lodore di medicine e disinfettanti di solito gli
dava la nausea, quella volta un po di speranza. Non cera un
ospedale, in Collina, pensava. O forse cera... S, che c, cazzo!

267
E funzionava ormai a pieno ritmo. E poi quello che si lamen-
tava e bestemmiava nel lettino di anco al suo era Ciacione.
Non cera dubbio, era in Collina.
Lo avevano inaugurato due mesi prima, le troupe televisive
e il ministro della Sanit che tagliava il nastro insieme a Ric-
cardo. Avevano tenuto entrambi un lungo discorso, ringrazia-
menti ai ragazzi che avevano costruito quellospedale per i
compagni meno fortunati. Era prevista lapertura di un reparto
allavanguardia specializzato in epatite e HIV.

Sebastiano si rigirava nel lettino e gli ritornava in mente quel


discorso. Ha ricordato gli applausi, le risate. Poi ha ricordato
altre facce e altri applausi: prima dellinaugurazione dellospe-
dale cerano stati i matrimoni collettivi, venti giovani coppie
della Collina unite in matrimonio a mensa, come ogni anno,
diretta televisiva, la cerimonia celebrata dal vescovo.
Sebastiano ricordava di star gi male durante i matrimoni
ma era obbligato a presenziare insieme a tutti gli altri ospiti
della comunit (ormai quasi tremila). Aveva seguito gli eventi
della giornata in preda a un delirio da febbre.
Due ore dopo cera stata linaugurazione dellospedale e il
discorso di Riccardo. Sebastiano tremava e sudava. Costretto a
stare in piedi tra la folla, recepiva poco e niente, telecamere e
sudore, gambe, braccia, corpi e facce. Quella di Marco, in prima
la, promosso animatore in poche settimane, gi uno dei pi
convinti e rispettati.
Sebastiano lo aveva visto sotto il palco insieme ai pari grado,
applaudiva e invitava gli altri a fare altrettanto.
Allimprovviso Marco si era fermato, aveva visto Anna, due
le dietro di lui. I capelli rossi ancora corti andavano ricre-
scendo. Aveva gli occhi ssi sul palco con Riccardo e il ministro.
Marco laveva raggiunta e le aveva toccato il braccio. Anna si
era voltata, laveva guardato negli occhi, aveva smesso di ap-

268
plaudire. A Marco quegli occhi erano sembrati di vetro. Anna
aveva sorriso, lo aveva baciato sulle labbra, Ciao amore mio, poi
aveva ripreso ad applaudire, lo sguardo di nuovo in direzione
del palco. Marco aveva indietreggiato, Anna sembrava non lo
vedesse pi, come si fosse gi dimenticata di quel sorriso e di
quel bacio.

Marco sapeva della punizione pubblica di Anna, il taglio dei


capelli, lo sapevano tutti, ma non sapeva cosa fosse successo
dopo, la chiusura in manutenzione, con Paride e Ciacione a
parlare di lei e Maria Luisa, la compagna di cella, Domani mat-
tina assaggiamo la puttanella nuova.
Poi uscivano, sicuri che Anna avesse sentito.
Tutto questo a tarda sera. Lei trascorreva la notte con lincubo
del giorno dopo. Anna infatti dormiva pochissimo e casomai riu-
scisse ad addormentarsi bastava un sospiro di Maria Luisa per
svegliarla. Non riprendeva sonno, aspettava lindomani.
Paride e Ciacione tornavano con acqua e cibo, guardavano
le ragazze mangiare e continuavano a parlare.
Non vedo lora di mangiarmi quella bella chetta rossa e stretta.
Tu no?
Portavano sempre meno cibo, la fame delle ragazze si era ac-
cumulata per una settimana. Poi Ciacione si era presentato con
una baguette mortadella e formaggio e aveva dato il primo
morso, gli occhi su Anna e Maria Luisa, che ssavano il panino
e si stringevano lo stomaco. Paride aveva preso il panino di Cia-
cione, si era fatto avanti nella cella lunga e stretta, poco oltre la
met, aveva studiato le distanze e aveva lasciato il panino l per
terra. Le ragazze si erano lanciate in avanti, i movimenti osta-
colati dalle catene. Al panino per ci arrivavano. Maria Luisa
lo aveva aerrato per prima. Anna le aveva dato un morso sul
braccio e lo aveva preso. Laltra laveva graata sulla guancia
destra. Anna laveva allontanata denitivamente colpendola sul

269
volto con la suola della scarpa. Poi aveva mangiato veloce.
E Ciacione, che aveva scommesso su di lei dieci sigarette,
aveva esultato, mentre Paride gli cedeva il pacchetto.

Ciacione sudava e urlava, Mi hanno ammazzato. Sebastiano non


sapeva a cosa si riferisse ma non aveva chiesto, anche perch laltro
neppure sembrava vederlo. Si riferiva al beverone, Ciacione era
stato uno dei ragazzi che lo avevano sperimentato. Aveva lepatite
e come altri aveva testato il prodotto di un medico tedesco. Lo
deniva il rimedio denitivo allepatite e allHIV, un multivita-
minico somministrato con lavallo di Riccardo a una cinquantina
di ragazzi malati, tra cui Ciacione, appunto, che aveva nito il
suo bicchiere in un sorso, Sa di pollo, e dopo tre giorni e altre cin-
que dosi, una alla mattina e una alla sera, si era sentito stringere
il anco destro come da una tenaglia. A Daniele aveva detto cos.

Tutti quelli che avevano bevuto ne pagavano le conseguenze,


stessi sintomi e dolori, tutti ricoverati al terzo piano dellospe-
dale, come Ciacione, proprio lui che in quello stesso ospedale,
per al seminterrato, poche settimane prima aveva spostato i
ragazzi rinchiusi in porcilaia, manutenzione, piccionaia, botte
e cantina.
Perch tutti i prigionieri erano stati trasferiti nellospedale, Un
luogo pi igienico e sicuro. Riccardo lo aveva detto al ministro Di
Marzio quando lui lo aveva avvertito di stare attento a certi me-
todi, Oltre ai movimenti di cani, cavalli e Dio sa cosaltro combini.
Riccardo lo aveva tranquillizzato, i soldi erano stati tutti ri-
puliti, se mai fossero stati sporchi, Non ho pi bisogno di fare
movimenti.
Speriamo.
Riccardo lo aveva rassicurato, E niente pi punizioni in celle
di fortuna, ora i ragazzi sono al sicuro.
I disobbedienti venivano portati nel seminterrato dellospe-

270
dale, costantemente assistiti dalle infermiere, ragazze della co-
munit particolarmente brave e pazienti, Le punizioni, necessarie
per mantenere lordine, continuano in maniera pi civile.

A parte il seminterrato, il resto della struttura era un ospedale


regolare. Primo piano, reparto maternit; secondo piano, chi-
rurgia; terzo piano, epatite e HIV. L era stato ricoverato Seba-
stiano, nella stanza con Ciacione, che quando ha visto entrare
linfermiera ha continuato a urlare, Quel glio di puttana mi ha
fatto avvelenare.
Ciacione non ha riconosciuto Anna, i capelli rossi tagliati a
caschetto.
Non dire certe cose oppure chiamo Sabrina e ti faccio spostare
nel seminterrato.
Ciacione ha iniziato a lamentarsi a bassa voce.
Cos va meglio.
Poi Anna si occupata di Sebastiano, Come stai?
Mi ricordo poco.
Anna gli ha cambiato la ebo.
Cos successo?
Anna non ha risposto subito, nito il lavoro ha ssato Seba-
stiano, Non successo niente, e si richiusa la porta alle spalle.
Sebastiano si coperto la testa con il cuscino, Ciacione con-
tinuava a gemere, Figlio di puttana mi hai avvelenato.
Sebastiano ha dovuto sopportare quei lamenti per quattro
giorni e quattro notti. Poi stato dimesso, anche se non era
guarito del tutto. Ha insistito lui stesso per uscire. A stare l
dentro sarebbe impazzito, piuttosto preferiva tornare in macel-
leria. Peggio per te, hanno detto. E lo hanno lasciato andare.

Sebastiano ha provato a dormire, nel capannone maschile. Gli


faceva male tutto il corpo, la testa scoppiava, per distrarsi guar-
dava il muro, la sua ombra non smetteva di tremare. Colpa della

271
febbre, di notte peggiorava, ogni notte. Sebastiano rimasto
con gli occhi ssi sulla parete, tra letti a castello e carta da parati
marrone, poster con donne poco vestite e ragazzi che russavano
in mutande. sceso dal letto a castello. Un piede ha mancato
il piolo della scaletta ed scivolato sul lettino sottostante. Una
voce lo ha insultato. Sebastiano ha chiesto scusa. Qualcun altro
di rimando ha sibilato, Shhh! Sebastiano tornato nella sua po-
stazione. ricominciato il calvario. Aveva limpressione di essere
lunico a non dormire tra i quasi mille ragazzi raccolti nel ca-
pannone. Solo dopo unora ha smesso di tremare, quando al
freddo subentrato il caldo. Allora si spogliato, il corpo ma-
grissimo ricoperto solo dagli slip bianchi. Si girato e rigirato
per due ore, senza sapere quanto tempo fosse trascorso, n se
fosse ancora notte oppure giorno.
Alle sei ha accolto la sirena come una scialuppa di salvatag-
gio, o almeno un salvagente.
Nel dormitorio si sono alzati quasi tutti allo stesso momento
e hanno rifatto i letti alla perfezione (lenzuola bianche, copri-
letto bianco, copricuscino bianco).
Sebastiano stato il primo a essere pronto e combattendo
contro il vento, inaspettato dopo il tepore del giorno prece-
dente, ha raggiunto la mensa per fare colazione con i ragazzi
del primo turno. Ha mangiato fette biscottate senza marmellata
e burro, ha buttato gi mal volentieri quel che bastava per ri-
mettersi in piedi ed restato il tempo necessario a non creare
sospetti (lasciare la sala troppo presto, peggio ancora saltare la
colazione, considerato un grave gesto dinsubordinazione).
Mentre mangiava, Sebastiano ascoltava distrattamente due
ragazze sedute di anco a lui, una grassa e una magra, con quella
magra che parlava a quella grassa, Da bambina mi ssavo con
un gusto di yogurt e mangiavo sempre quello. Vaniglia? Yogurt alla
vaniglia per mesi e mesi. Non me ne fregava niente della marca,
potevano essere Yomo, Parmalat, Granarolo. Bastava che fossero

272
alla vaniglia. Mia madre comprava altri gusti? E io li lasciavo
marcire nel frigorifero, no a quando non superavano la data di
scadenza e mia madre era costretta a buttarli.
La ragazza grassa stava per intervenire ma non lo ha fatto
perch la sua attenzione stata attirata da Sebastiano, che si
alzato allimprovviso ed uscito dalla mensa.
La ragazza magra ha ricominciato, Di colpo niva la ssazione
della vaniglia e si passava, che ne so, alla fragola per esempio. E
non mi riuscivo a liberare dalla fragola. Poi, basta fragola e ben-
venuta ciliegia! Eccomi schiava della ciliegia...

La ragazza grassa, qualche giorno dopo, avrebbe riferito alla po-


lizia che mentre la sua amica di colazione parlava dello yogurt
aveva notato Sebastiano Ricci alzarsi di scatto e quasi correre
fuori, come se avesse dovuto fare qualcosa di veramente urgente,
qualcosa dimportante che non avrebbe avuto pi il tempo di
fare se non in quel preciso istante.
Anche se unintuizione profetica risulta sempre poco cre-
dibile quando viene esposta a fatti gi accaduti, come disse il
commissario Salce, che non tenne conto di quella deposizione,
bisogna riconoscere che Sebastiano ha attraversato di corsa il
piazzale dalla mensa per raggiungere al pi presto il cimitero.
L si nascosto dietro i cespugli, quelli dellingresso, non
cera nessuno, tranne il becchino. Quelluomo di sessantanni
con la pelle tirata come un tamburo, le scapole che sembrano
ali anche sotto il maglione. Stava cambiando i ori alle tombe,
strappava lerba cattiva, spolverava le lapidi, come ogni giorno.
Quando si accorto di Sebastiano ha continuato a lavorare,
ha fatto nta di non vederlo. Sebastiano ha provato a inlargli
nella tasca dei pantaloni un foglio di carta piegato in quattro.
Basta.
Per favore.
Se mi prendono perdo il posto.

273
lultima volta che te lo chiedo, te lo giuro.
Ho dei gli.
Anchio.
Sebastiano stato interrotto da una spinta, non troppo forte
ma quanto bastava perch smettesse di parlare. Il becchino si
guardato intorno, nessuno aveva visto niente. Sebastiano si
fatto avanti di nuovo e ha provato ancora a inlargli il biglietto
in tasca. Il becchino gli ha stretto il polso. Sebastiano non si
arreso. Il becchino ha alzato il pugno per colpire. Sebastiano si
protetto con tutte e due le mani, aperte e sospese a pochi cen-
timetri dal volto, una davanti allaltra. Fermo cos aspettava il
colpo, che per non arrivato. Il becchino si allontanato e ha
ricominciato a lavorare. Sebastiano non si avvicinava ma non
se ne andava. Alla ne ha deciso di lasciar cadere il foglio sul-
lerba. Ha aspettato la reazione del becchino, di nuovo costretto
a fermarsi. Doveva raccogliere il foglio. Ha capito che Seba-
stiano non se ne sarebbe andato no a quando lui non lo avesse
fatto. Allora si piegato e lo ha preso. E senza leggere lo ha
strappato in pezzi piccolissimi. Sebastiano ha fatto per fermarlo
ma il becchino ha alzato di nuovo il pugno. Sebastiano ha ab-
bassato lo sguardo, non poteva fare pi niente, e si allontanato
dal cimitero. Il becchino ha accumulato i pezzi di carta, li ha
coperti con la mano per proteggerli dal vento. Ha acceso un ce-
rino, li ha bruciati, ha aspettato che la piccola amma si spe-
gnesse e quando la carta diventata cenere ha disperso tutto
con il piede.

Come molti altri Sebastiano non aveva il permesso di portare


lorologio ma sapeva con certezza di essere in ritardo. E fare ri-
tardo, questo lo sapeva per esperienza, era imperdonabile so-
prattutto a quelli come lui, che avevano commesso troppi
errori.
Allora ha accelerato, ha superato il teatro-cinema e il palaz-

274
zetto dello sport, ha accelerato ancora, incrociando ragazzi che
governavano gli animali o entravano e uscivano dalla porcilaia.
Di corsa no al viale piccolo, quello con i platani, al termine
del quale, girando a sinistra, inizia il viale grande, quello con i
pini. Ed l che lo vedo. Non lo conosco ma chiunque sia in
quel momento rappresenta un pericolo.
Sto nel cortile della mia casetta con una scatola di fiammi-
feri nella mano destra e una bottiglietta rossa di alcol etilico
nella mano sinistra. Anche Brutto lo vede e inizia ad abbaiare.
Gli ordino di star zitta e quella come al solito non mi sta a
sentire. Nascondo la scatola di fiammiferi nella tasca della sa-
lopette. Lascio la bottiglietta nelle mani di Gennaro, lui non
capisce niente, lo sguardo da scemo. Ne approfitto per to-
gliermi la colpa di dosso: se Sebastiano vedesse la bottiglietta
nelle mani di Gennaro, accuserebbe soltanto lui dellincendio
del divano.
Per quellazione avevo bisogno di un complice ma lavevo pro-
gettata da sola. Ivan da tre mesi dorme proprio su quel divano,
da quando tornato dalla Francia e il suo rapporto con Barbara
precipitato. E torner tutto come prima quando il divano non
esister pi e saranno costretti e dormire di nuovo insieme, perch
se dormono insieme fanno rumore, e poi fanno pace.
Devo mantenere altissima la concentrazione, gli imprevisti
sono sempre dietro langolo, o meglio dietro la curva, quella da
dove sbucato Sebastiano. Non basta essermi liberata dellarma
del delitto, si avvicina, non deve vedermi nelle vicinanze della
casetta. Faccio a Gennaro un minaccioso segno di silenzio col
dito sulle labbra, vado al pino grande, cos alto che dondola
pure se non c vento, guriamoci oggi, una giornata di quasi
tempesta (con il vento perde sempre molti aghi, ma tolto il
ramo ferito torna ad apparire bello come prima, come se non
fosse successo niente).
Sebastiano mi passa di anco, non mi muovo, continuo a

275
ssare lalbero. Mi volto solo quando immagino sia lontano,
una distanza tale da non poter pi testimoniare contro di me
neppure se lo volesse.
Gennaro mi scruta, inconsapevolezza e terrore, e stringe la
bottiglietta rossa. Brutto di anco continua ad abbaiare. Fermo
una risata rumorosa, devo schiacciarmi la bocca con tutte e due
le mani. Poi mi accerto per lultima volta che Sebastiano non
possa vedermi, mi riavvicino alla casetta quando lo vedo sparire
oltre la curva a gomito e vado a riprendermi la bottiglietta. Gen-
naro me la cede volentieri.
Svito il tappo e mi arriva una zaata di alcol. La allontano
dal naso, mi faccio avanti, vialetto e ingresso, salone e divano.
Schiaccio la bottiglietta e lalcol schizza sulla tappezzeria verde.
Mi muovo, devo spargerlo dappertutto, schienale e braccioli e
cuscini. Mi volto indietro per un istante, Brutto distratta da
non so cosa; Gennaro trattiene il ato.
Indietreggio di qualche passo, sono quasi alla porta, cerco il
coraggio, chiudo gli occhi, da qualche parte lo trovo. Accendo
un ammifero, stretto tra il pollice e lindice della mano destra,
trema e rischia di spegnerlo. Esito ancora. Ne sono davvero con-
vinta? Ad alta voce mi rispondo di s, lunica soluzione. Ho
avuto gi abbastanza tempo per pensarci.

da tre mesi che voglio fare qualcosa, da quando ho iniziato a


litigare ogni giorno con Barbara.
Ivan dov?
Lei provava a convincermi di non saperne nulla. Avrebbe
voluto darmi risposte e spiegazioni ma non lo sapeva, non lo
sapeva, non lo sapeva, Quante volte ti devo ripetere che non lo
so? E avanti cos per giornate intere, poi di colpo abbiamo
smesso di parlarne. Evitavamo persino dincontrarci, se non
eravamo costrette a farlo. Come quando mi accompagnava a
scuola di karate, dove aspettava che nissi la lezione e poi nella

276
Cinquecento tutte e due, obbligate a stare insieme in uno spa-
zio troppo ristretto.
Silenzio per tutto il percorso.

La neve stazionava intorno al posto di blocco e la Cinquecento


riprendeva ato davanti alla sbarra ancora abbassata. Dentro la
macchina ceravamo noi, impazienti di liberarci luna dellaltra.
I miei occhi al nestrino, non mi ero accorta che Barbara mi
stava guardando, anzi mi ssava. Quando la sbarra nalmente
si alzata la macchina non si mossa.
Cosa aspetti?
Mi ha strattonata, Cosa vuoi da me? Lho allontanata con una
spinta, Lasciami stare. Si rimessa composta sul sedile, Cosa
vuoi da me? A voce pi bassa.
E tu cosa vuoi da me?
Barbara non ha risposto ed partita. Io ho aggiunto soltanto
che mi dovevano lasciare in pace.

Ormai avevo deciso di rassegnarmi allidea di non rivedere pi


Ivan. Ma volevo farlo in solitudine e silenzio, nessuno doveva
stuzzicarmi, n Barbara n tantomeno il mio gruppo.
Alba era stata lunica ad aver trovato il coraggio per la do-
manda che tutti volevano rivolgermi, Hai saputo tuo padre dov?
Non avevo risposto, avevo passato in rassegna gli altri, uno a
uno, poi ero tornata su Alba, Io non lo so mio padre dov, tu in-
vece lo sai dov il tuo? Gli altri stavano zitti, il padre di Alba era
morto da due anni, lo sapevano, ma non credevano che sarei
arrivata a dire, sottoterra, tuo padre.
Gli occhi di Alba si erano riempiti di lacrime allistante.
Pi li vedevo inumidirsi e meno riuscivo a fermarmi, A que-
stora se lo sono gi mangiato i vermi. Alba aveva iniziato a pian-
gere, io avevo incrociato lo sguardo di riprovazione di
Gennaro e glielo avevo fatto capire, non me ne importava

277
niente, Alba se lera cercata. Se non potevo sapere dove fosse
nessuno doveva nominare Ivan. Era diventato il mio primo
comandamento.

Anche Riccardo se nera lavato le mani. Avevo avuto il coraggio


di arontarlo, per la prima volta dopo Anna.
Riccardo aveva provato ad accarezzarmi, sorrideva. Io avevo
fatto un passo indietro e una domanda, Mio padre dov? Ric-
cardo aveva poggiato le mani sulle spalline della mia giacchetta,
Devi avere pazienza, Valentina, Ivan torner presto. Avevo fatto
un altro passo indietro, Voglio sapere dov. Riccardo aveva fatto
un cenno a Giulio, lui mi aveva presa di forza e mi aveva portata
fuori dal gabbiotto.
Avevo inutilmente provato ad aprire dallesterno. Frustra-
zione disarmante prima, rabbia incontrollabile poi. Voglio sapere
mio padre dov, avevo urlato forte. Aspettavo una risposta che
non era arrivata. Sembrava che quel grido si fosse ghiacciato
nellaria. Forse potevo distruggere il gabbiotto. Avevo sferrato
un paio di calci sulla porta ma di nuovo non era successo niente.
Mi ero voltata e mi era comparsa davanti la mensa. Avrei potuto
distruggere la mensa. Oppure lippodromo, laggi. Avrei potuto
distruggerlo insieme al palazzetto dello sport, poco distante. O
le casette e il teatro-cinema, perch no?
Alla ne avevo guardato di nuovo il gabbiotto, avevo raccolto
una manciata di terra e lavevo scagliata contro la porta. Avevo
ripetuto il gesto ma poi mi ero arresa. Non serviva.
Mentre mi allontanavo avevo pensato che dellassenza di Ivan
non importava a nessuno, importava solo a me. Un pensiero
per la prima volta esternato dentro alla Cinquecento, nel par-
cheggio scivoloso di neve, con Barbara che mi ha contraddetta,
Non dire cazzate, sono preoccupata quanto te. Per tutta risposta
sono scesa dalla macchina senza salutarla.

278
Barbara voleva fare in tempo a votare prima che chiudessero
i seggi (in occasione delle elezioni montano due cabine in
mensa), ma soprattutto voleva vedere Lorenzo. Quando ar-
rivata nel piazzale, in mezzo alla fila ordinata e lenta lo ha tro-
vato e si posizionata dietro di lui. Gli ha toccato la spalla.
Lorenzo si voltato. Lei ha sorriso, lui ha fatto finta di non
vederla e ha ricominciato a fissare la nuca del ragazzo davanti.
Barbara ha percepito la tensione e lha subito associata a una
cattiva notizia. Lorenzo ha lanciato unocchiata a Paride e Car-
melo (a bordo fila con le mani dietro la schiena, attenti a scon-
giurare qualunque disordine) e ha fatto un impercettibile
passo indietro, Fotolito.
Poi Barbara lha visto entrare in mensa; due minuti dopo
toccava a lei.
Si avvicinata al tavolo, erano seduti Giulio e Sabrina. Lui
le ha consegnato la scheda e lei la matita. Barbara entrata nella
cabina numero 2, ha votato velocemente, ha piegato la scheda
e lha restituita a Giulio, che sotto il suo sguardo incredulo lha
riaperta e controllata. Poi lha barrata e sistemata insieme ad
altre due schede, ugualmente spiegate, invece che depositarla
nellurna.
Che cazzo fai?
Giulio non ha risposto, Sabrina ha invitato Barbara a resti-
tuire la matita. Lei lha ignorata e si rivolta a Giulio, Come ti
permetti di controllare chi ho votato?
Giulio ha guardato al di sopra della sua spalla, A chi tocca?
Barbara ha buttato la matita sul tavolo ed uscita dalla mensa.

Lingresso della fotolitograa era vuoto, la luce rossa sulla porta


della camera oscura era spenta. Barbara ha guardato allinterno,
Lorenzo non cera neanche l. tornata nellatrio e si appog-
giata al tavolino bianco per aspettarlo, ma la sua mano scivo-
lata sul legno. Barbara si guardata il palmo, era macchiato di

279
sangue. Ha raggiunto la porta dingresso, lha bloccata con il
corpo e ha guardato di nuovo il tavolino: oltre alla scia di sangue
involontariamente tracciata con la mano cerano altre gocce
rosso scuro. Barbara le ha seguite con lo sguardo dal tavolino al
pavimento. Il percorso proseguiva no ai suoi piedi, davanti al-
lingresso, e anche oltre, nel piazzale antistante il reparto.
Lorenzo non ha fatto in tempo a raccontarle dellincontro
mensile con lesterno. Cera stato quella mattina stessa e aveva
ricevuto notizie importanti dai suoi genitori. Non erano quelle
che sperava ma quelle che si aspettava.
Si erano seduti sul prato tutti e tre e suo padre gli aveva rac-
contato che il giornalista era andato a casa loro e gli aveva detto
pi o meno cos: Ho provato... Le foto erano buone... Mi
hanno detto no... Non so cosa dire... Il direttore ha detto no.
Lorenzo ascoltava, una sorta di trance, tanto da non sentire
distintamente le parole di sua madre, Vieni a casa con noi. Il
padre gli aveva messo una mano sulla spalla, Andiamo via. Solo
allora Lorenzo aveva risposto, Non posso. E non si erano detti
pi niente no alla ne dellincontro.

Barbara non lo ha trovato in fotolito perch Lorenzo, pochi mi-


nuti prima del suo arrivo, era stato trascinato da Veleno in ma-
celleria. Era stato picchiato dal gruppo al completo.
Erano entrati Riccardo e Sabrina. Poi Lorenzo si era sentito
aerrare ma non aveva capito da chi.
Riccardo lo aveva sbattuto contro il muro, lo teneva fermo
senza dicolt, Lhai fatto da solo? Lorenzo non aveva risposto,
allora Riccardo lo aveva lasciato cadere sul pavimento e prima
di uscire aveva fatto un cenno a Veleno.
In porcilaia avevano provato a farlo parlare con lo storditore
elettrico per i maiali, il debrillatore che si usa per governarne gli
spostamenti. Veleno aveva dato la prima scossa, Ci sono altre foto?
Lorenzo non aveva risposto, tremava, non aveva neppure la

280
forza di lamentarsi, un lo sottile di bava usciva dalla bocca,
gengive e denti macchiati di sangue. Veleno aveva dato unaltra
scossa, la moglie di Ivan, vero?
Lorenzo aveva fatto no con la testa. Veleno aveva avvicinato di
nuovo lo strumento, una terza scossa, pi lunga delle precedenti.
Lorenzo aveva iniziato a gemere, Basta, e singhiozzare, Per favore,
basta. Scuoteva il capo e la voce gli tremava, Basta, basta, basta.

Barbara ha aperto la porta della mia camera, Dobbiamo andare,


sbrigati. Non mi ha dato neanche il tempo di capire, scom-
parsa. Ho sentito che apriva un cassetto in cucina, rumore di
posate, ferro contro ferro. Il cassetto stato richiuso, mi sono
buttata gi dal letto, sono entrata in cucina, Che succede? Colpi
contro la porta, ci siamo voltate tutte e due, altri colpi, sempre
pi forti, Scappa dalla nestra. Barbara ha controllato che la
porta fosse chiusa a chiave, venuta verso di me, tornata alla
porta, Scappa, mi ha raggiunta di nuovo, mi ha presa in braccio,
mi ha messa gi. Solo in quel momento mi sono accorta del
coltello. Un rumore pi forte ha spalancato la porta.
Vattene!
Non ho dato ascolto allurlo di Barbara e lho vista puntare
il coltello contro Sabrina e Veleno. Lui lha colpita, il coltello
caduto per terra. Sabrina mi ha trascinata nella stanza e ha re-
spinto Brutto con un calcio. Dalla mia stanza sentivo urlare e
non ce la facevo, sono tornata in cucina, Veleno stringeva i ca-
pelli di Barbara e lei provava a liberarsi dalla presa. Poi lhanno
portata via, come se loro fossero vento e lei una foglia secca.
Mi sono precipitata sul vialetto. La Panda blu di Sabrina
partita veloce mentre la Cinquecento, a motore ancora acceso,
era ferma in mezzo al viale, come me.
Non sapevo cosa fare, sono entrata di nuovo in casa, era la
stessa cosa, neanche l lo sapevo. Brutto un disco rotto, abbaiava
al centro della sala da pranzo, un po di sangue usciva dalla

281
zampa. Mi sono guardata intorno. Il coltello e i capelli di Bar-
bara sul pavimento. Mi sono seduta sul divano. Brutto con un
salto sorprendente mi ha raggiunta e ha preso a leccare le sue
ferite, visibili, e poi le mie, invisibili. Lho abbracciata, Siamo
orfani, Brutto, come in quelle favole di merda.
Mi sono alzata e ho raccolto il coltello, poi lho lasciato ca-
dere nel lavandino della cucina. Sono tornata in sala da pranzo
e Brutto mi ha raggiunta. Lho abbracciata di nuovo, lho tenuta
stretta l in mezzo, tra il divano e lo specchio, dove tante volte
li avevo visti litigare. In quel momento invece niente, soltanto
io e Brutto, la casa, silenzio e capelli.

Mi ha aperto il padre di Gennaro, era assonnato, e come una


matrioska sono poi sbucati sua moglie e Gennaro, pigiama a
righe e sorridente.
A casa mia non c nessuno ma non mi chiedete perch, non lo
so neanchio.
Il padre di Gennaro qualcosa sapeva ma non voleva darlo a
vedere, me ne sono accorta.
Ma certo... Valentina... questa casa tua.
Sorrisone di Gennaro, subito spento da una precisazione di
sua madre, Per senza cane.
Ho annuito a malincuore e ho guardato Brutto. Lei mi ha
seguita lungo il viale.
Ero gi lontana quando comparso il pigiama con Gennaro
dentro. Io non ho detto niente e lui ha capito la gravit del mo-
mento, zitto, lho molto apprezzato.
Abbiamo camminato no alla roulotte di Pittore (da nuovo
caposettore delle stalle gliene spettava una), lho salutato con
un bacio e gli ho spiegato la questione del cane, solo quello,
senza nominare Ivan e senza accennare a Barbara. Zio Pittore
ha allargato le braccia in segno di benvenuto, Mi dispiace solo
non poterti aiutare di pi.

282
Ho detto che per me era gi tanto se si prendeva cura di
Brutto, che ho salutato con una grattata sulla testa e un bel
bacio sulla bocca. Non stato cos semplice, una separazione
pi dura del previsto. Non ne voleva sapere di lasciarmi andare.
Sono dovuta entrare nella roulotte. Pittore lha distratta con
una scatoletta di Simmenthal. Lei mangiava. Sono uscita senza
voltarmi indietro. Per la sentivo guaire. Solo allimbocco del
viale la sua voce si aevolita, per poi scomparire del tutto
poco pi in l.
Il pigiama invece era ancora l, serio serio, di anco a me,
no alla casetta numero 3. In camera sua qualcuno, immagino
il padre, aveva gi steso per terra il materasso del divano-letto
accanto al lettino.
Per terra dormo io.
Senza lasciarmi il tempo di rispondere si sdraiato sul ma-
terasso del divano-letto. Mi sono stesa anchio e come lui ho
iniziato a ssare il sotto. Poi senza voltarmi ho allungato una
mano, gli occhi ancora verso lalto, e ho sentito il pigiama che
la prendeva nella sua. Il suo coraggio aumentava di secondo in
secondo, la stringeva sempre pi forte. Allora ho voluto essere
chiara, Solo per stasera e solo perch mi sento sola. Era rosso in
volto ma felice, gli andava benissimo cos.

Il primo pensiero stato Riccardo. Me ne sono meravigliata io


stessa: in quel momento avrei dovuto pensare a Ivan o a Bar-
bara. Senza dormire ma non del tutto sveglia lho immaginato
al di fuori di ogni contesto, in mezzo al nulla, Riccardo e basta,
soltanto la sua gura, che poi si dissolta in un istante di sonno
passeggero per essere sostituita dal nome, le otto lettere che lo
compongono. Le ho viste come si vedono le cose in quella fase
tra la veglia e il sonno, opache, poco chiare ma ugualmente de-
cifrabili, una di anco allaltra, nere su sfondo giallo. R I C
C A R D O.

283
Con grande sforzo le ho cancellate dalla mente, ho provato
a dormire, speravo di fare un sogno come si deve. Ci voleva
proprio. Ad esempio, che ne so, Ivan vestito elegante, davanti
allo specchio, il nodo alla cravatta mentre io lo guardavo dal di-
vano; oppure Ivan che riprendeva me e Barbara con la teleca-
mera e lei faceva nta dessere infastidita per sotto sotto
sorrideva; tutti e tre davanti alla Tv, a guardare Indietro tutta,
con Brutto che rompeva e veniva zittito...
Invece non ho sognato aatto, o almeno non me lo ricordo.
Mi sono svegliata delusa per il sogno mancato e ho provato
a concentrarmi sul giorno del ricongiungimento. Non potevo
credere che non ci sarebbe stato. Allora me lo sono immaginato,
il momento in cui li avrei rivisti, Ivan e Barbara, lho immagi-
nato in mille modi. Ci ho pensato quasi ogni minuto della gior-
nata per una settimana intera, precisamente otto giorni, in
forme e dinamiche sempre diverse da come sarebbero andate
in realt le cose.

Non avevo il coraggio di entrare in casa. Dal vialetto del giar-


dino guardavo Ivan. Era seduto sul divano, dimagrito di al-
meno dieci chili. Barbara era seduta al tavolo, locchio destro
livido e mezzo chiuso. Mi ha vista per primo Ivan. Ha iniziato
a piangere. Il volto era irriconoscibile per la secchezza e la gioia
di rivedermi, uno strano contrasto. Mi venuto incontro, mi
ha abbracciata, mi ha stretta, e piangeva. Barbara non si muo-
veva, per piangeva anche lei, forte almeno quanto Ivan. Na-
turalmente piangevo pure io, non riuscivo a fermarmi. Non
avrei voluto piangere cos, neanche loro avrebbero voluto. Li
conosco bene, non piangono facilmente in presenza di altre
persone, soprattutto in mia presenza, ma per una volta, da
quando cominciato tutto quanto, abbiamo sentito che ci po-
tevamo permettere un bel pianto generale, una scena di lacrime
e dolore, nalmente esternato, non pi trattenuto.

284
Quella sera abbiamo mangiato in casetta. Silenzio assoluto. Le
facce nei piatti.
Prima di nire la cena, Ivan si alzato. Subito gli ho chiesto
dove stesse andando.
Torno subito.
Gli ho creduto, mi sono calmata. Barbara lo ha guardato.
Era gi uscito. Io sono andata a letto, avevo solo voglia di dor-
mire. Barbara no, lei rimasta in cucina.

Riccardo lo ha abbracciato. E solo quando tornato a sedersi


alla scrivania, Ivan ha chiesto spiegazioni sulla Francia: perch
non sono arrivati prima? Perch ha dovuto rischiare la pelle?
Perch lo hanno liberato a un passo dal processo? Perch lo
hanno lasciato da solo?
Ivan ha chiesto tutto questo, tutto dun ato, e Riccardo ha
risposto che la Francia apparteneva gi al passato, Adesso sei qui,
questo che conta.
Ivan ha risposto di no, essere l non contava niente perch
lui aveva deciso di andarsene, Voglio la casa e i soldi che mi hai
promesso.
Ivan era libero di andare e avrebbe ricevuto tutto quello che
gli spettava.
Ma prima voglio farti incontrare una persona.

Sono passati davanti a quella che un tempo era la gabbia del-


lorso (vuota da un anno) e sono scesi nel garage.
Riccardo ha tolto il telone. Una Porsche 959 grigia, a due
posti.
il modello che ha vinto la Parigi Dakar: due turbo e trazione
integrale.
Ivan salito in macchina, Riccardo gli ha passato le chiavi,
Ci sono soltanto duecentottantotto esemplari, Ivan ha preso le
chiavi nto distratto. Riccardo entrato a fatica nella Porsche,

285
lo spazio era poco. Ivan ha acceso il quadro, il motore ha rom-
bato, Riccardo lo ha guardato per saggiarne la reazione ma lui
si era gi voltato. Retromarcia. Poi veloce no al posto di blocco
e gi per la discesa. I duecentoventi orari sullautostrada. Ric-
cardo che rideva, Ecco il Nio che conosco, Ivan non ha staccato
gli occhi dalla strada, Non ti credere che mi convinci a restare con
questo gioiello.
La macchina non centra niente, ha detto Riccardo.

Il ministro Di Marzio venuto subito al dunque, Mi confermano


alla Sanit e Riccardo far parte di una commissione ministeriale.
Ivan non ha reagito, Riccardo ha precisato, Non questo il
punto, se quella sera si trovavano l era perch Ivan sarebbe stato
il suo portavoce.
Una sorta di portavoce, ha specicato il ministro, un capo se-
greteria, Insomma un incarico ministeriale.
Ivan avrebbe rmato un contratto vero e proprio, stipendio
regolare dallo Stato italiano, Unidea di Riccardo Mannoni.
Ivan ha guardato prima luno e poi laltro, ancora senza par-
lare. Riccardo ha capito che toccava ancora a lui, ha detto che
spediva Johnny nella succursale che stavano aprendo in Valle
dAosta. Sarebbe stato coordinatore generale, poco pi di un
animatore.
Ho scelto te, Ivan.
Nessuna reazione di Ivan.
Ma voglio essere sincero: se per te unoccasione, per me pub-
blicit. Uno dei miei ragazzi passa dalleroina a un incarico mi-
nisteriale in meno di dieci anni.

Sulla strada del ritorno, Riccardo ha raccontato a Ivan, dicendo


e non dicendo, cosa era successo in sua assenza: le fotograe,
Lorenzo e Barbara, la necessaria punizione a entrambi... Lorenzo
e Barbara, s... in Collina ne parlavano tutti.

286
Ivan tornato a casa. Barbara era sveglia. Ivan ha aperto il cas-
setto con le pistole e ha preso la Beretta. Era buio, Barbara non
ha capito cosa stesse succedendo, Che fai?
Vado a fare una fotograa.

Ivan ha ordinato a Sabrina di aprire la porta del seminterrato


dellospedale. Lorenzo ha sentito il rumore delle chiavi, ha gri-
dato, Chi ? Era legato al letto.
Ivan si fatto avanti. Lorenzo ha provato a scalciare per te-
nerlo a distanza ma riusciva a muovere soltanto la punta dei
piedi. Ivan lo ha raggiunto, gli ha spinto la pistola in bocca. Lo-
renzo ha tossito. Ivan ha tolto la sicura, ha spinto la pistola pi
gi. Lorenzo ha avuto un conato. Ivan ha guardato i pantaloni
di Lorenzo, poi il lenzuolo. Una macchia si estendeva lenta-
mente.
Tornato a casa ha posato la pistola nel cassetto. Barbara ha
acceso la luce, Che cosa gli hai fatto? Ivan non ha risposto, si
spogliato. Barbara si tirata su, Lo hai ammazzato?
Si pisciato addosso e lho lasciato l.
Poi uscito dalla stanza, andato in sala da pranzo e si
steso sul divano.

Barbara nel giro di una settimana si chiusa in un mutismo to-


tale e ha iniziato a trascorrere giornate intere a letto. Si alzava
solo per andare in bagno, dormiva e mangiava l, da sola. N io
n Ivan (lui e Barbara avevano smesso di parlare) sapevamo che
quellatteggiamento dipendeva da due colpi ricevuti a brevis-
sima distanza luno dallaltro, durante quella settimana. Una
partenza e un ritorno.

Lorenzo andato via dalla Collina senza avvertirla. Barbara lha


visto per caso mentre usciva dal gabbiotto del posto di blocco
insieme ai genitori. Lo ha guardato oltrepassare la sbarra e lo ha

287
chiamato ad alta voce. Lorenzo si voltato, ha incrociato il suo
sguardo, non riuscito a tornare indietro. Ha proseguito e se n
andato, senza neppure una parola, un cenno. E Barbara l ferma,
a sentirsi una stupida per aver pensato, molto tempo prima e
per un attimo, mentre Ivan era in Francia, di andar via dalla Col-
lina con lui per ricominciare una vita l fuori.
Barbara lo ha visto salire in macchina nel parcheggio esterno,
ha deciso di non provare a fermarlo e chiedergli spiegazioni: sa-
peva benissimo quali sarebbero state le risposte.

Riguardo al secondo colpo ricevuto, Barbara non capiva ma vo-


leva assolutamente capire.
Ha saputo del ritorno di Fabienne da una voce sentita in la-
vanderia (espulsa dalla fotolito, aveva iniziato a lavorare l) e si
precipitata alla casetta numero 18.
Ad aprire la porta stata proprio Fabienne. Ha chiuso la
porta e ha teso la mano a Barbara.
Ci dobbiamo dare la mano? Davvero mi vuoi salutare cos?
Fabienne ha abbassato la mano.
Credi che le cose siano cambiate?
No.
E allora perch?
Era troppo dicile senza Jean.
Come sarei stata io senza Valentina, l fuori?
Tu come stai?
Sono successe delle cose.
Lo so.
In silenzio tutte e due per qualche secondo. Poi Barbara ha
provato.
Qui non vuoi parlare?
Non questo...
Vogliamo andare a casa mia?
No, Barbara.

288
Non mi fare questo, mia poulette.
Fabienne allora ha fatto un passo avanti e ha accostato le lab-
bra allorecchio di Barbara.
Se continuo a vedere te, se parlo con te, io non mi posso
arrendere.
Fabienne le ha dato un bacio sulla guancia e ha fatto per rien-
trare in casa. Barbara le ha preso la mano, lha stretta.
Barbara, per favore.
Lo sai cosa succede adesso?
Lasciami.
Ricominci tutto daccapo.
Lasciami, ho detto.
Tutto uguale.
Barbara ha mollato la presa perch lultima frase Fabienne
laveva gridata. Barbara la guardava massaggiarsi il polso, gli
occhi lucidi e rivolti altrove. Alla ne Fabienne rientrata in
casetta e ha chiuso la porta. Si appoggiata con la schiena, come
se volesse bloccarla.
Daniele lha guardata, continuava a muovere il passeggino,
Jean stava per addormentarsi. Ha solo fatto un cenno a Fa-
bienne per accertarsi che stesse bene.
Tutto a posto, e ha riempito un bicchiere dacqua. Poi si se-
duta al tavolo e lo ha bevuto tutto dun ato.
Daniele ha portato Jean nella stanzetta e lo ha sistemato nel
lettino, no al collo la trapunta dellApe Maya.
tornato in cucina e ha trovato Fabienne nella stessa posi-
zione, ancora seduta, il bicchiere vuoto nella mano. Daniele ha
iniziato a massaggiarle il collo, Chi era?
Fabienne ha posato il bicchiere sul tavolo, Era Barbara.
Daniele ha continuato con il massaggio, Fabienne ha chiuso
gli occhi, Oh, grazie, amore mio. Daniele ha guardato in dire-
zione della porta, Cosa ti ha detto? Fabienne si alzata, lo ha
preso per mano e lo ha guidato no alla stanza da letto.

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L si sono baciati, ancora in piedi. Poi Daniele ha aperto il
cassetto del comodino, ha tirato fuori una scatola di pillole an-
ticoncezionali e ne ha passata una a Fabienne. Lei se l rigirata
tra le dita, Non ti hanno controllato?
Ho messo la scatola nelle mutande.
Fabienne ha inghiottito una pillola e ha sorriso. Anche Da-
niele ha sorriso, ma solo per un attimo, Sono quasi dieci anni
che non mi faccio una pera... ogni giorno faccio iniezioni ai ra-
gazzi... sono un medico... ma vedere il simbolo della farmacia an-
cora mi fa sudare.
Fabienne lo ha guardato con tenerezza e gli ha dato un bacio
sulle labbra. Daniele ha risposto con un altro bacio, pi intenso.
Lha spogliata, lha tirata a s e lha baciata di nuovo. Fabienne
cercava linterruttore con la mano, La luce. Daniele ha abbassato
linterruttore, si spogliato anche lui, ha lasciato cadere a terra
i vestiti. Fabienne era nuda, coperta solo dalle lenzuola. Daniele
le ha tirate via con un gesto esagerato e si sdraiato sul lato, ac-
canto a Fabienne, che ha portato la mano di Daniele tra le sue
gambe. Lui ha iniziato ad accarezzarla con dolcezza. Lei si la-
sciata andare, ha chiuso gli occhi e ha sospirato. Un sorriso di
piacere, un altro sospiro. Allimprovviso si scostata, Cos mi
fa male.
Daniele si fermato, Scusa, e ha iniziato a baciarla tra le
gambe, con ancora pi delicatezza. Fabienne per un attimo ha
sorriso di nuovo, un sorriso che per si trasformato in una smor-
a di fastidio. Ha provato ancora a rilassarsi, non c riuscita.
Si alzata dal letto e si rivestita in fretta, solo gli slip e la
canottiera. andata a mettersi in un angolo della stanza, di
spalle a Daniele. Lui invece rimasto fermo. Fabienne sentiva
il suo sguardo sulla nuca ma non si mossa nch lui non lha
raggiunta e voltata, per guardarla negli occhi.
Sono rimasti cos, uno di fronte allaltra, alcuni secondi.
stato Daniele a muoversi per primo. Ha raccolto i suoi abiti

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sparsi sul pavimento, si rivestito, uscito dalla stanza.
Fabienne ha sentito il rumore della porta dingresso che ve-
niva sbattuta e ha sistemato le lenzuola con cura meticolosa, at-
tenta ad allinearle al millimetro. Quindi si seduta sul bordo
del letto, di fronte al grande armadio a muro, le mani sulle gi-
nocchia nude, la testa leggermente inclinata, gli occhi bene
aperti.

Dopo una settimana trascorsa a pensarci giorno e notte, Ivan


ha accettato la proposta di Riccardo e del ministro. E non
avrebbe saputo descrivere la gioia di ricevere il primo compenso.
La paga, la busta, lo stipendio. corso da me e ha tirato fuori
i soldi, li ha aperti a ventaglio come carte da gioco, Pap ha gua-
dagnato questi. A me non sembrava niente di eccezionale, non
avevo mai avuto a che fare con i soldi in vita mia.

In qualche settimana Ivan si reso conto che il suo ruolo era


rimasto quello di prima, uscite notturne e richieste speciali,
compiti che continuava a svolgere con la precisione di sempre
ma con umore completamente diverso, un umore sempre pi
nero, soprattutto quando, tra quelle richieste speciali, rientrato
lincendio di una villa, la casa di Marinella, la veterinaria, che
minacciava di andarsene e che invece rimasta quando Ivan ha
eseguito lordine di Riccardo (Incendio doloso a opera
dignoti, nessuna conseguenza).
Il lavoro di Ivan prevedeva due novit: tre ore ducio al
giorno (rispondeva al telefono e prendeva appuntamenti per
Riccardo) e il nuovo titolo con cui veniva presentato in Tv e
sui giornali: In meno di dieci anni da eroinomane a portavoce
ministeriale: signore e signori, Ivan Carrau.
Nonno Gavino e nonna Clara non si spiegavano il motivo
della sua insoddisfazione, perch non fosse felice per il nuovo
corso. Avrebbe fatto carriera. Riccardo era avviato a unascesa

291
politica di sicuro successo. Lo dicevano tutti. Si mormorava ad-
dirittura che al prossimo turno elettorale per lui fosse pronto
un ministero.
Ivan lo sapeva ma cambiava poco: continuava ad accompa-
gnarlo a incontri e conferenze e continuava a sopportare il suo
carattere, che per laumentare degli impegni e delle responsa-
bilit peggiorava di giorno in giorno.

La casetta numero 7 si era trasformata in una specie di prigione


a celle singole. Vivevamo in compartimenti stagni.
Abbiamo smesso di mangiare insieme e di guardare la Tv in-
sieme. Ivan e Barbara continuavano a dormire separati e nep-
pure si salutavano. Avevamo persino smesso di litigare.

Per questo, dopo la sparizione di Sebastiano oltre la curva, men-


tre me ne sto con il cerino stretto tra il pollice e lindice della
mano destra, sono convinta di aver preso la decisione giusta e
lancio il cerino sul divano pieno di alcol.
Crisi isterica di Brutto, fuga immediata di Gennaro.
Io resto sulla soglia e guardo le amme, nientaatto pentita.
Lo confermo. Neppure quando vedo Barbara uscire dalla
stanza. Prova a spegnere il fuoco. Prima rovescia sul divano una
brocca piena dacqua e poi ci sbatte sopra una coperta.
Almeno si alzata dal letto.

Ti rendi conto di quello che hai fatto? Annuisco per apparire pen-
tita, a Ivan non basta, Guardami negli occhi.
Lo faccio, e non lho mai visto cos.
Potevi bruciare la casa, e tua madre era dentro.
Provo a dire qualcosa, Non lo sapevo che cera.
Non dire bugie che peggiori solo la situazione, devi prenderti le
tue responsabilit.
Annuisco di nuovo e lancio unocchiata fuori dalla stanza: Bar-

292
bara ha smesso di passare lo straccio, ascolta Ivan che per la prima
volta da quando sono nata mi sta rivolgendo un rimprovero.

Dormono insieme. Daltra parte non hanno scelta, Ivan non


pu certo dormire per terra (Se vuoi vado a dormire al capan-
none; No, non ti preoccupare). Lavevo calcolato ed esulto da
sotto il piumone. Sento pure qualche risata. Mi siedo sul letto
e abbraccio Brutto, Che ti avevo detto? Spero facciano rumore
ma forse pretendo troppo, non bisogna esagerare, no a ieri sta-
vano per lasciarsi, anzi no a due ore fa. Se adesso facessero ru-
more sarebbe inverosimile, non ci credo neanchio che ho dieci
anni, non aspiro a tanto, non sono cos scema...
Il rumore che arriva un altro, ma non dalla loro stanza,
sono colpi contro la porta dingresso. Mi fanno tornare indietro
di tre mesi. Adesso per c Ivan. Un poco mi calmo, mi alzo
lo stesso dal letto, vado nellaltra stanza. Anche loro sono svegli,
gi in piedi. Ivan mi viene incontro, devo stare tranquilla, Tutto
a posto, sicuramente cercano lui, Quei rompiscatole, chiss per
quale richiesta notturna.
Mi accompagna in camera e mi rimette a letto, ma lo vedo
che si gira verso la porta a ogni colpo che arriva. Mi d il bacio
della buonanotte e sta per andare ad aprire. Per si ferma e torna
in camera da letto. Barbara ha scostato la tenda, guarda fuori
dalla nestra.
Digli che non ci sono.
Barbara ci pensa, annuisce, Va bene, si avvia verso la porta.
Quasi subito si blocca.
Se ci sono problemi arrivo, ovvio.
Sabrina. Stavolta senza Veleno e con tuttaltro atteggia-
mento, tuttaltro tono, rispetto a tre mesi fa.
Riccardo vuole vedere Ivan.
Non c.
Sabrina prova ad entrare ma Barbara la blocca.

293
Tu in casa mia non entri pi.
importante.
Ho detto che non c.
Sabrina resta ancora l, prova a sbirciare allinterno. Barbara le
sbatte la porta in faccia e lei non pu che allontanarsi dallin-
gresso, raggiungere il viale dei platani e salire sulla Panda blu.
Poi, veloce no in macelleria.
Entra nel reparto e non trova nessuno. Sente voci provenire
dalla porcilaia, poco distante.
La raggiunge in un secondo. Apre la porta cigolante e in
fondo vede Riccardo, di spalle. Gli dice che non ha trovato Ivan.
Che cazzo signica?
A casa non c, risponde Sabrina.
Vai, e non tornare senza di lui. Sabrina sta per andare ma quasi
per caso guarda per terra, tra le caviglie di Riccardo.
Sabrina tace, le pupille dilatate per lo shock, riesce a reprimere
un conato. Riccardo le rivolge unocchiata veloce. Lei fa un
cenno, Non niente, poi esce dalla macelleria.
Riccardo si volta di nuovo e abbassa lo sguardo. Sul terriccio
insanguinato giace il cadavere di Sebastiano Ricci.

A Riccardo si avvicina Veleno, farfuglia qualche frase, Non sa-


pevamo che niva cos... non voleva travagliare... si lamentava
sempre... mi pigliava per il culo... scappato due volte... un paio
di cazzotti.
Riccardo lo aerra per la maglia, Ha i peli bruciati, e pure i
capelli. I cazzotti bruciano i capelli?
Riccardo molla la presa, Veleno si volta verso gli altri del
gruppo, che lo guardano da lontano ma non gli vanno in aiuto.
Veleno si fa coraggio e si rivolge di nuovo a Riccardo, Che
facciamo? Riccardo guarda Sebastiano, Non lo so, scuote il capo,
Non lo so.

294
Paride e Tito avvolgono il corpo di Sebastiano in una coperta,
Carmelo e Veleno lo tirano su e lo caricano sul sedile posteriore
della Volvo. Sabrina non tornata, n con Ivan n senza Ivan.

Possiamo stare tranquilli?


Johnny rassicura Veleno, Me lha venduta una che conosco
bene.
Andiamo.
Johnny alza il nestrino, parte, Veleno si allaccia la cintura
di sicurezza. Al posto di blocco la sbarra gi su. Poi la discesa,
la provinciale e lautostrada.
Cento chilometri, duecento chilometri, trecento...
Veleno si volta indietro, ha sentito un rumore, ancora vivo.
Johnny non risponde. Veleno si allunga sul sedile posteriore,
toglie la coperta di dosso a Sebastiano, scopre solo il viso. Ha
gli occhi aperti, non si muove. Johnny colpisce Veleno con un
pugno sulla schiena, Coprilo. Veleno obbedisce, sistema la co-
perta addosso a Sebastiano, si rimette composto e riallaccia la
cintura, Mi sembrava che era vivo.
Hanno appena superato il cartello con su scritto Campania.
Quattrocento chilometri, cinquecento, cinquecentotrenta...
Una discarica vicino Napoli. Johnny e Veleno scendono dalla
macchina e prendono il corpo di Sebastiano. Si mantengono in
equilibrio sul terreno scivoloso, in discesa, fanno attrito con le
scarpe, sopportano il peso del corpo che stanno trasportando,
e arrivano su un terreno pianeggiante.
Riuti di ogni genere, gatti randagi e fetore. Johnny allunga
una mano verso Veleno, La siringa.
Cazzo!
Mentre torna indietro, sente la voce di Johnny, Ti sei scordato
lunica cosa che ti dovevi ricordare, coglione.
Veleno raggiunge la Volvo, apre il cruscotto, prende una si-
ringa gi pronta, torna gi e toglie la coperta di dosso a Seba-

295
stiano. completamente nudo. Veleno prova a fare la siringa,
non ci riesce. Johnny gliela toglie di mano, cerca e trova la vena,
fa liniezione, pulisce la siringa con un fazzoletto di stoa, la la-
scia cadere di anco al corpo di Sebastiano.
Cento chilometri, duecento chilometri, duecentocinquanta...
Veleno si stringe lo stomaco, Fermati.
Lautogrill a dieci minuti, resisti.
Veleno lo supplica, Non ce la faccio. Johnny malvolentieri ac-
costa a una piazzola di sosta.
Veleno fuori dalla macchina, si accovaccia a bordo strada,
gi pantaloni e mutande. Johnny distoglie lo sguardo, chiude
lo sportello, Che schifo. Veleno risale in macchina dopo cinque
minuti.
Trecento chilometri, quattrocento chilometri, cinquecento...
La Volvo supera la sbarra, al posto di blocco c Ivan. Aspetta
di controllare il chilometraggio, alle otto in punto, come sem-
pre. La Volvo si ferma, attraverso il parabrezza Johnny guarda
Ivan con un mezzo sorriso, accompagnato da un cenno di sa-
luto. Ivan ricambia nello stesso modo mentre Veleno gli passa
davanti senza guardarlo. Johnny scende dalla Volvo e Giulio
esce dal gabbiotto, quasi nello stesso momento. Ivan guarda
prima luno e poi laltro, tira fuori il block-notes, sinla nella
macchina, d unocchiata al chilometraggio precedente luscita
notturna e per un momento crede ci sia un errore: 180.978
182.021.
Ivan si volta verso Johnny, stanco ma tranquillo. Si ssano
per qualche secondo. Ivan rientra in macchina, legge di nuovo
il numero riportato sul contachilometri, d unocchiata al sedile
posteriore, vede la tappezzeria macchiata e capisce subito che si
tratta di sangue. Vede anche capelli corti e neri sparsi sul sedile.
Ivan chiude gli occhi, li tiene chiusi per dieci secondi, li riapre:
il sangue e i capelli sono ancora l.

296
Hanno fatto pi di mille chilometri in una notte.
Lo so.
E quindi?
morto un ragazzo.
Ma che cazzo dici?
Quello che ho detto.
Riccardo raggiunge la porta-nestra che d sulla terrazza
della Reggia. Non esce. Fuori c vento. Il pino grande oscilla,
avanti e indietro.
Sebastiano Ricci.
Chi era?
Uno di Palermo. Veleno e quegli altri coglioni lo hanno
pestato per non so cosa. E hanno esagerato.
Quei coglioni ce li hai messi tu.
Hanno usato lo storditore per i maiali. Glielho detto io?
Dove lo hanno portato?
Verso Napoli.
Ivan si mette a sedere.
Che vuoi fare?
Non lo so.
Giulio bussa ed entra, senza aspettare. Lancia unocchiata a
Ivan, si rivolge a Riccardo.
Devo parlarti.
Parla.
Giulio guarda di nuovo Ivan. Riccardo fa segno che pu pro-
seguire.
Sabrina sparita.
Riccardo avanza verso di lui, gli dice di ripetere. Giulio si-
stema gli occhiali sul naso.
Non ... da nessuna parte... e nessuno lha vista.
Ivan si alza. Riccardo gli fa segno di stare seduto. Ivan resta
in piedi. Riccardo torna su Giulio.
Ora tu la vai a cercare, e senza di lei non ti presentare neppure.

297
Giulio esce dallucio. Ivan si accorge che Riccardo sta per-
dendo lequilibrio. Lo raggiunge, lo regge, laiuta a sedersi. Ric-
cardo si siede, aonda il viso tra le mani, i gomiti appoggiati
alla scrivania. Ivan lo scuote.
Avvisa la polizia. Glielo diciamo che sono stati Veleno e
quegli altri. Forse fai ancora in tempo...
Sai dove lho trovata?
Chi?
Sabrina.
Riccardo guarda dritto davanti a s.
Quando le ho detto che avrebbe vissuto in comunit, cre-
deva di andare in una Comune. Era fuori. Completamente.
Senza ricordi, in una bolla.
Ti sembra il momento dei ricordi?
Sto cercando di capire se parler.
Riccardo guarda di nuovo fuori dalla nestra.
Bisogna diondere un comunicato stampa e dire che un
ragazzo siciliano e una ragazza di Bologna sono scappati in-
sieme. La facciamo passare per una fuga damore e deroina.
Con Veleno e quegli altri che facciamo?
Non lo so ancora.
Meglio che lo sai. E ringrazia dio che Ciacione morto,
perch se lo conoscevo un po, parlava dopo due minuti.
Non parleranno. Non conviene innanzitutto a loro.
Dimmi che devo fare.
Non devono entrare giornali, tranne quello di Lapido. Bi-
sogna pure interrompere la programmazione televisiva. Per un
po di giorni si deve alzare il muro.

Agenzia Ansa dell8 febbraio.


stato identicato il cadavere trovato in una discarica della
zona vesuviana, nella tarda mattinata di ieri. Si tratta di Seba-
stiano Ricci, 36 anni, ex rappresentante di commercio di Palermo,

298
sposato e padre di due gli. Secondo quanto accertato dai carabi-
nieri, luomo era tossicodipendente da eroina ed era stato ospite
della comunit La Collina. Dal centro di recupero fondato da Ric-
cardo Mannoni, come era stato diuso a mezzo stampa dal porta-
voce della comunit stessa, Sebastiano Ricci si era allontanato la
sera del 6 febbraio scorso in compagnia di Sabrina Chiaravalle,
una ragazza bolognese tuttora irreperibile. I risultati dellautopsia
hanno rilevato la presenza di lesioni sul cadavere di Sebastiano
Ricci (frattura delle vertebre cervicali) e ci induce gli investigatori
a ritenere che si tratti di omicidio.

Due volanti della polizia entrano in Collina a sirene spente.


Una si ferma al posto di blocco. Due poliziotti in divisa vanno
nel gabbiotto a parlare con Giulio.
Laltra volante prosegue no alla Reggia. Il poliziotto alla
guida resta in macchina, scende solo il commissario Salce. Al-
lingresso della villa Riccardo lo precede sulle scale e gli fa segno
di seguirlo.
Nel garage, salgono sulla Porsche e chiudono gli sportelli.
Che cazzo successo?
stato un incidente, commissario.
Me lo chiami incidente?
Questo stato.
Il procuratore sul piede di guerra.
Non ti preoccupare del procuratore. Tu sei dalla mia parte?
Se io sono dalla tua parte e quello si mette in testa di capire
che tipo di incidente stato, sono fottuto.
Col procuratore stanno parlando in questo momento Be-
nedetta e Goredo Poli.
Il ministro che dice?
Di Marzio vuole restare fuori.
Cazzo.
I Poli se la sanno sbrigare da soli.

299
Che gli hai detto?
Che Ricci scappato, andato a Napoli ed morto.
Ti hanno creduto?
Tu mi credi?
I Poli ti hanno creduto?
S, mi hanno creduto. Quindi del procuratore non ti pre-
occupare. Tu sei dalla mia parte?
Non lo so.
Sei dalla mia parte o no?

Il 15 marzo il quotidiano diretto da Lucio Lapido dedica unin-


chiesta alla morte di Sebastiano: Su Sebastiano Ricci e sulla sua
scomparsa, gi stato detto tutto e il contrario di tutto [...] Sua
moglie non ha voluto rilasciare dichiarazioni, al contrario della
sorella, Carla Ricci, che ha voluto essere chiara n dallinizio: suo
fratello non ha mai avuto alcun tipo di rapporto con la camorra.
E non manca di aggiungere, Carla, che la comunit La Collina,
nella persona di Riccardo Mannoni, dovrebbe chiarire molti
punti oscuri riguardo alla morte di Sebastiano [...] Mannoni ha
dichiarato pi volte di comprendere il profondo dolore della
donna ma ha smentito seccamente ogni coinvolgimento della co-
munit nel tragico evento.
Ha inoltre rivolto un appello a Carla: sarebbe felice dincon-
trarla e rispondere a qualunque domanda lei volesse rivolgergli.
Carla per ha riutato, dicendo che Riccardo Mannoni, se vorr
chiarire questioni irrisolte, dovr farlo con le autorit compe-
tenti. [...] Abbiamo intervistato il commissario Gabriele Salce,
capo della mobile [...], che sta seguendo le indagini. Il commis-
sario ha dichiarato: Sebastiano Ricci ormai da tempo si vantava
dei suoi rapporti con la camorra. Molti ragazzi della comunit
lo hanno testimoniato [...] Quando viveva a Palermo, Ricci si
recava spesso a Napoli per lavoro. in quel periodo che avrebbe
stretto rapporti con la malavita locale [...] Crediamo che sia fug-

300
gito dalla Collina per incontrare persone con cui era in contatto
prima di entrare in comunit [...] Una siringa stata trovata ac-
canto al suo cadavere [...] Lautopsia ha confermato tracce di
eroina nel sangue escludendo per che questultima ne abbia
causato la morte. Il referto parla di compressione prolungata con
frattura dellosso ioide. Vuol dire che il collo del Ricci non
stato spezzato da un colpo solo ma da una serie di colpi, forse
initti da pi persone. [...] stato dunque vittima di un pestag-
gio. Chi lo ha ucciso avrebbe poi inscenato unoverdose fatale.
Non sappiamo queste persone a quale clan camorristico appar-
tengano perch non sappiamo chi siano.

Le vigne, i viali alberati, il paesaggio incontaminato, il sole bat-


tente, le casette, le stalle, gli animali, le roulotte tutte in la, la
piscina scoperta, i campi coltivati, i campi incolti, il galeone.
Ivan e Riccardo, no a ora in silenzio, si fermano l.
Abbiamo trovato Sabrina.
Dov?
A Milano. Vive in un monolocale di merda a Quarto Oggiaro.
Che vuoi fare?
Bisognerebbe ammazzarla.
Bisognerebbe?
Sarebbe lunica soluzione, s. Ci ho pensato bene.
Riccardo ssa Ivan, aspetta una sua risposta.
Perch io e non Johnny?
Non mi do di Johnny.
Fai nascondere un cadavere a uno che non tispira ducia?
Ti ho mandato a chiamare e tu non ceri.
Ivan riette, prende tempo. Riccardo impaziente.
Allora?
Non posso farlo.
Quanto vuoi?
Non li voglio i soldi.

301
Ivan, pensaci bene. Se parla nisci nella merda pi tu che io.
Lo so.
E allora?
Tanto qualcuno ci salva il culo, no? Come in Francia.
Adesso la Francia non centra un cazzo.
Ancora non so cos successo, in Francia. Voglio saperlo.
Mi sei costato un miliardo. Va bene?
Ivan scuote il capo, sorride amaro.
Come Monsieur Poiccard... Come un cavallo.
Non te lo volevo dire.
Ivan non lo guarda.
Se ammazzo Sabrina mi lasci andare?

Ivan entra nel garage della Reggia, sale sulla Porsche e scioglie
leroina nel cucchiaio, preparando una delle due siringhe che
Riccardo gli ha fornito. Laltra di riserva, per gli imprevisti.
tanto che Ivan non ne prepara una.
Ci riesce al primo colpo, nasconde la siringa pronta nel cru-
scotto e la ricopre con un giornale insieme alla siringa vuota.
Sinla nei calzini quel che resta delleroina.
Esce dal garage e dalla Collina, percorre lautostrada, velo-
cissimo, lancia di tanto in tanto qualche occhiata al cruscotto.
Guida sempre pi veloce no alluscita, percorre la statale per
qualche chilometro e arriva a un grande incrocio. Lo supera, si
ferma a un semaforo rosso, guarda nello specchietto retrovisore.
Riette. Guarda di nuovo nello specchietto. Fa retromarcia,
torna allincrocio, legge le indicazioni stradali, spegne il motore,
continua a ssare il grande cartello con i nomi in evidenza: Mi-
lano a destra, Trezzo sullAdda e altri paesi a sinistra. Ivan ci
pensa ancora, poi mette in moto e gira a sinistra.
Dieci minuti dopo percorre lentamente le strade strette di
Trezzo, si guarda intorno senza espressione, sembra non ricono-
scere quei luoghi, non ci tornava da ventanni, ma ricorda la

302
strada che porta al ponte. Parcheggia, scende dalla macchina, to-
glie maglietta e pantaloni, scavalca il corrimano in ferro e vi si
appoggia contro, oscillando verso il vuoto. Osserva per un mo-
mento il ume, scorre placido sotto di lui. Poi si tua, va gi in
fondo con gli occhi aperti, riemerge e scuote il capo, i capelli
bagnati. Nuota per un po, torna sottacqua, ci resta no a
quando riesce a trattenere il ato, riemerge di nuovo e nuota an-
cora. Raggiunge il bordo del ume. La temperatura non ab-
bastanza calda, non c nessuno. Ivan si sdraia sui ciottoli, il viso
rivolto al sole. Batte tiepido su di lui. Ivan accoglie quel po di
calore e resta a lungo cos, occhi chiusi e braccia larghe.
Sul ponte Ivan recupera i vestiti, verica di essere asciutto, si
riveste ed entra nella Porsche. Evita il paese. Percorre qualche
chilometro nella direzione opposta. Si ferma ai margini di un
bosco, butta via la siringa destinata a Sabrina, tira fuori dal cal-
zino leroina avanzata, prepara la siringa di scorta, si guarda nello
specchietto retrovisore e si fa.

Nella casetta numero 7, Ivan tiene in mano un registratore.


Inserisce la cassetta, schiaccia il tasto REC, mette il registra-
tore sotto il letto e comincia a parlare, Mi dispiace per quello che
successo.
Ivan blocca la registrazione. Barbara gli dice di riprovare.
Ivan riavvolge il nastro e ricomincia, Adesso che facciamo?
E se Sabrina non si muove di casa? Io non posso entrare nellap-
partamento.
Ivan si ferma di nuovo, dicile parlare da solo, mi sento
scemo.
Barbara sorride, Ma tu sei scemo.
Per un attimo sorride anche Ivan. Barbara adesso lo guarda
seria, Siediti e fai nta di guidare. Ivan aziona il registratore, si
siede, regge un volante, Mi devi dire tu come fare. E quando farlo.

303
Riccardo seduto dietro, in silenzio, Ivan guida la Volvo e lancia
occhiate fugaci al sedile anteriore. Cerca di arrivare con lo
sguardo n sotto la poltrona del passeggero. sudato. Da l
sotto proviene un leggero fruscio.
Riccardo.
Che c?
Ti devo chiedere ancora scusa per laltro giorno. Sono stato
un vero coglione.
Sono daccordo.
Mi dispiace, ma quella non si mossa dallappartamento.
E non potevo entrare in casa come un ladro. Non so come cazzo
fare.
Ti apposti l sotto e ci stai pure tutta la giornata. E se non
succede niente, torni ogni giorno. Prima o poi dovr uscire.
Ho capito, per...
E quando esce, la segui. Appena si trova in un posto tran-
quillo, dove non c gente, te la carichi in macchina... Ma te le
devo dire io queste cose?
Se mi prendono a fare una cosa del genere stavolta ci vai
di mezzo anche tu. Pure se non parlo. Voglio essere sicuro.
sicuro. una tossica. Unoverdose non crea sospetti.
Io non mi do del tipo che ti porta leroina.
Hai ancora quella dellaltra volta, no?
Ivan incrocia lo sguardo di Riccardo nello specchietto.
S, certo.
E allora?
Dicevo solo che... forse... con leroina non va bene.
E che vuoi fare?
Forse una pistola pulita...
Bisognerebbe ucciderla con leroina, altro che pistola. Con
leroina non rischiamo niente.
Va bene.
Fammi scendere.

304
Aspetta che parcheggio.
Ci vediamo a casa di Lapido tra due ore e mezza.
Ivan parte. Riccardo suona al citofono del laboratorio di ana-
lisi. Quando si apre il portone, entra svelto nel palazzo.

Ivan frena davanti a un negozio di elettronica, tira fuori il regi-


stratore da sotto il sedile anteriore, riavvolge il nastro. Preme
PLAY. Attende. Un lungo brusio. Manda avanti, aspetta ancora.
Questa volta si sentono le voci, seppure a basso volume e legger-
mente disturbate. Ivan entra nel negozio, compra un registratore
a due piastre e tre cassette vuote, paga, torna in macchina, inse-
risce la cassetta registrata nella prima piastra e quella vuota nella
seconda. Preme REC e PLAY contemporaneamente. Mette in
moto e guida. Nel frattempo la cassetta si duplica.

Eccolo qua.
Mamma c?
No, perch?
Meglio cos.
Pap, la devi nascondere.
Cos?
Una cassetta.
Lo vedo. Ma dentro cosa c?
La devi nascondere. E mi devi promettere che non lascol-
terai e non dirai niente alla mamma.
Io a tua madre non ho mai nascosto niente...
Lo so, ma devi promettermelo. Tirerai fuori la cassetta solo
se mi succede qualcosa. Ti prego, pap.
Te lo prometto. Cosa devo fare? Te lo prometto.

Lavvocato Attico ascolta in silenzio il racconto di Ivan, lascia


che nisca.
Va bene.

305
Ivan sempre pi agitato ma quella risposta lo tranquillizza.
Lavvocato inla la cassetta in una busta, la sigilla con la cera-
lacca. Ivan si siede, ha bisogno di sedersi.
Ho paura.
Questo un bene.
Ivan non capisce, lavvocato si spiega.
Alla maggior parte di voi quel giostraio ha rubato lanima.
Il fatto che provi ancora sentimenti, anche se negativi come la
paura, signica che forse dentro...
Lavvocato fa roteare la mano, come a dire si muove. Ivan
adesso ha capito. Lavvocato continua.
Ha fregato anche me, cosa credi?
Attico prende una pausa, poi continua.
Ho dormito in una roulotte della comunit ogni ne set-
timana della mia vita per otto anni. E ho scritto un libro in cui
denivo La Collina Il grande sogno di Riccardo Mannoni.
Me lo ricordo il libro.
Descrivevo Riccardo come una persona che sinnamora di
tutto e di tutti, ovviamente senza accennare ad Agostino. Non
sono poi cos stupido. Dicevo che Riccardo incapace di ac-
cettare tradimenti o abbandoni, sia nei rapporti damicizia che
damore. Con mia grande sorpresa, fu profondamente infasti-
dito da questo ritratto mieloso, come lo den, che a suo dire
tratteggiava una gura debole e vulnerabile. E detest un passo
in cui accennavo alla villa e alla sua vanit. Lho scritto perch
profondamente convinto che in Riccardo coesistessero le mi-
gliori qualit e i migliori difetti, come uno scrittore molto pi
bravo di me disse di qualcun altro. Ed era proprio questa per-
cezione che lo rendeva cos interessante ai miei occhi. Ma lui
valut il libro un grave danno alla sua immagine, lo disconobbe
ucialmente e fece di tutto per ostacolarne la diusione. In
pochi giorni mi resi conto delle conseguenze sulla nostra ami-
cizia. Se telefonavo a casa sua, rispondeva il maggiordomo. E

306
semplicemente diceva: Il signor Mannoni non vuole parlarle.
Mi dispiace, avvocato.
Attico fa un gesto di sucienza, ormai non importa. Ivan si
alza. Attico gli stringe la mano.
Cerca di non farti arrestare di nuovo, ma se dovesse succe-
dere, ricordati che non assisto solo miliardari aannati dalle
tasse.
Grazie avvocato.
Qualcosa dovr pur restare in piedi.

Era una tossica... Unoverdose non crea sospetti... Forse una pistola
pulita... Meglio leroina... Altro che pistola... Con leroina non ri-
schiamo niente...
Ivan preme STOP. La registrazione si ferma.
Non me laspettavo.
Lo so.
Riccardo si guarda intorno, come se non fosse nel suo ucio,
nella sua villa, ma in un luogo sconosciuto, poco sicuro. Ivan
mette la mano sulla pistola.
Non avevo paura di ucciderla. Io non ho paura di niente.
Forse ho pensato che un giorno puoi mettere una pera in mano
a qualcuno per fare uccidere me. Anzi, senza forse. Lho pensato.
Ivan si blocca. Riccardo ha cambiato espressione, balbetta e
farfuglia parole che sembra inghiottire e poi risputare.
Dimmi quello che vuoi.
Voglio la casa che mi hai promesso e lo stipendio del mi-
nistero.
Va bene.
E centocinquanta milioni.
Ma che dici?
Centocinquanta milioni per te sono niente.
Al momento... Sono tanti...
Centocinquanta milioni.

307
Riccardo fa per aprire un cassetto della scrivania. Ivan non
regge la tensione, allunga la mano verso la pistola. Riccardo se
ne accorge, urla. Ivan scatta in piedi. Riccardo si rifugia in un
angolo della stanza e si accovaccia, le mani a riparare la testa.
Adele entra nello studio, e li trova cos. Riccardo la raggiunge,
le aerra un braccio e la sbatte fuori dallucio. Poi chiude la
porta. E stavolta con pi lentezza apre il cassetto. Tira fuori il
libretto degli assegni.
Mi hai preso per un coglione? Li voglio in contanti.
Questa dei soldi unidea della puttana, vero?
Non parlare di mia moglie in questo modo.
Riccardo fa un passo indietro, alza le mani.
Scusa. Scusa.
Ivan torna a sedersi. Riccardo apre la cassaforte, prende maz-
zetti da cinque milioni. Banconote da centomila lire. Li mette
sulla scrivania, sempre pi nervoso, alcuni cadono sul pavi-
mento. Ivan tira fuori la pistola, mentre raccoglie i soldi per
terra tiene docchio Riccardo.
Mi serve una borsa.
Riccardo apre un armadio e tira fuori una sacca marrone.
Ivan sistema dentro i soldi e conta. Ci sono tutti, gli pare. Ivan
si carica la sacca sulla spalla. Riccardo si siede alla scrivania. Ivan
sta per uscire dallucio, poi fa un passo indietro.
Devo chiudere la porta?
Riccardo annuisce. Ivan chiude la porta, poi sparisce nel
corridoio.

Ivan nel gabbiotto del posto di blocco, di fronte a Giulio.


Prima di domani mattina non posso farveli avere.
Li voglio subito.
che non li ho qui, te lho detto dove sono.
Devo partire stasera stessa.
Mi dispiace ma non posso farci niente, davvero.

308
Ivan lo aerra per la maglia. Giulio non si scompone.
Se vuoi puoi anche ammazzarmi, ma i tuoi documenti non
ce li ho. Devi passare domani.

Barbara ha provato a mandarmi a letto ma non ne ho voluto sa-


pere. Avevo capito che stava succedendo qualcosa dimportante,
anche se non sapevo esattamente cosa. Ivan passa la borsa a Bar-
bara, che la porta in camera da letto, e si siede di anco a me.
Che succede?
Domani ce ne andiamo.
Siamo in pericolo?
No. Non devi avere paura.
Non ho paura.
Brava.
Qualche volta qui ci posso tornare?
Credo di no.
Ok.
Mi dispiace.
Anche a me.
Adesso vai a dormire.
No.
Vuoi aiutare mamma a fare la valigia?
Ci metto pure Brutto dentro alla valigia?
Non ci entra. troppo grassa.
Per la portiamo?
Ma certo che la portiamo.
E poi mi racconti tutto?
Promesso.
Quando?
Quando il momento.
Ok.
Adesso vai.
Va bene, pap.

309
Dormo, ce n voluto di tempo ma alla ne ci sono riuscita.
Ivan e Barbara invece sono svegli, aspettano il giorno con i
bagagli gi pronti. Quando bussano alla porta sono passate le
tre. Barbara si alza. Ivan le dice di fermarsi, impugna la pistola
e va ad aprire.
Johnny Il Biondo con un ragazzo alto due metri e Ivan non
lha mai visto prima. Ha il volto pallido e gli occhi incavati.
Johnny ordina a Ivan di uscire. Ivan fa segno a Barbara di non
muoversi. Poi esce. E appena arriva nel giardino il ragazzo sco-
nosciuto lo colpisce con un cazzotto in faccia. Ivan sente sulla
carne il ferro del tirapugni, prova a trattenere la pistola ma gli
cade di mano. Johnny la raccoglie per primo e sferra un calcio in
pancia a Ivan. Lui riesce a non urlare, credo per non farmi sentire.
E in silenzio incassa la dose di calci e pugni che sapeva essergli
destinata. Alla ne Johnny lo aerra per i capelli, gli cca in bocca
la pistola e gli dice di ringraziare Riccardo, Io ti avrei ammazzato
volentieri.

Barbara nellucio del posto di blocco. Giulio le consegna i


documenti. Prima la carta didentit di Ivan, poi la sua.
Barbara si soerma su questultima. C scritto: <<nome: Bar-
bara / cognome: Mattei / Nata il 07/09/1960 / a: Milano / capelli:
Neri / occhi: Neri / altezza: 1,71 cm / stato civile: coniugata / Segni
particolari: nessuno>>.
Barbara esce dal gabbiotto. La Volvo parcheggiata l da-
vanti. Riccardo seduto dietro. Alla guida c il ragazzo alto
della notte precedente. Riccardo saluta Barbara con la mano e
le sorride. Lei non ricambia il saluto, si volta dallaltra parte. I
ragazzi della Collina escono dalla mensa per raggiungere i set-
tori di lavoro. Qualcuno rallenta, qualcun altro si ferma.
Riccardo se ne accorge. Tira gi il nestrino, si rivolge a Bar-
bara, ad alta voce.
Tra due ore vado in diretta. Saranno tutti in sala video. Per

310
loccasione metteremo gli altoparlanti. Sarei felice se prima di
partire guardaste la trasmissione.
Barbara lancia unocchiata ai ragazzi, la maggior parte con-
tinua ad ascoltare da lontano.
Vi auguro buona fortuna. D a Ivan che stato molto pre-
zioso per il nostro progetto. Anzi, senza di lui La Collina non
sarebbe al punto in cui si trova oggi. Mi mancherete.
Devi avere pazienza e abituarti agli addii: noi siamo solo
linizio.
Riccardo scende dalla macchina e si avvicina a Barbara. La
ssa e adesso parla sottovoce.
Quando ricomincerete a farvi, nel giro di qualche mese
non avrete pi una lira. E non avrete pi neanche questo posto.
Non ci serve questo posto.
Riccardo scuote il capo.
Vi serve, invece. E tu lo sai perch.
Barbara non risponde. Riccardo glielo dice lo stesso.
Perch tossici siete e tossici resterete.
Barbara prova a mostrare indierenza, ma Riccardo capisce
che lha colpita. Sorride di nuovo.
Non dici niente? Signica che sei daccordo con me, per
una volta?
Barbara stringe la sua carta didentit.
La casa devi intestarla a Valentina. Ti contatteremo noi nei
prossimi giorni.
Riccardo le rivolge un ghigno e rientra in macchina. La
sbarra si alza, la macchina parte.
Barbara guarda i ragazzi, loro la osservano ancora per un
istante e poi ricominciano a fare quello che stavano facendo.

Davanti alla casetta numero 7, abbiamo finito di caricare la


Cinquecento. Poche cose, vogliamo lasciare in Collina tutto
quello che non indispensabile. Brutto mi serve e la faccio

311
salire sul sedile posteriore. Poi compare Gennaro.
Torni, secondo te?
Credo proprio di no.
E secondo te ci rivediamo?
Forse tra molto tempo.
Speriamo.
Lo guardo negli occhi, mi avvicino. Lui indietreggia, si volta,
guarda bene che non ci sia nessuno.
Che guardi?
Non glielho detto che venivo qui.
S, ho capito.
Mi dispiace.
Chi se ne importa. Tanto lo so che ti mancher. Tua madre
stavolta non pu fare niente.
Gennaro arrossisce. Glielo faccio notare. Lui nega. Appro-
tto che distratto e gli do un bacio sulla guancia. Poi salgo
nella Cinquecento. Gennaro se ne va senza voltarsi.
Ivan e Barbara escono di casa e lasciano la chiave nella serra-
tura. Stanno per salire anche loro in macchina ma si bloccano.
Dallaltoparlante arriva la voce di Riccardo, in diretta dagli studi
di Milano: Se possibile prendere per strada un ragazzo che ha
smesso apparentemente di vivere e riportarlo alla vita, allora pos-
sibile tutto. Con la ducia delle persone, possibile anche racco-
gliere un Paese. E io mi sento pronto a farlo. Si voltano in
direzione di quel suono insistente. Quella voce giunge alle loro
orecchie come da un altro tempo, gi molto lontano: Il Paese
non si muove, ma non ancora alla ne. Ha soltanto bisogno della
persona giusta che lo prenda per mano per sottrarlo alla morte. E
riportarlo alla vita.
Il suono si interrotto, la voce non si sente pi, perch Ivan
e Barbara sono saliti in macchina e hanno chiuso gli sportelli.
Pronti?
Pronti.

312
Valentina?
Pronti.
Andiamo.
Dal viale alberato, per raggiungere luscita, dobbiamo passare
davanti alle stalle. Ivan rallenta ma non si ferma. Proseguiamo
e guardiamo tutti e tre Pittore. Lui ci saluta con la mano e con
il sorriso di sempre. Si liscia i ba, lunghi come un tempo, e
poi mi soa un bacio.
Davanti alla sbarra Ivan nervoso, perch quella non si alza,
Dove cazzo ? Un secondo dopo vediamo Giulio che schiaccia
il pulsante allinterno del gabbiotto. Ivan lo saluta con un
cenno, lui risponde nello stesso modo.
La Cinquecento rossa supera il gabbiotto e poi la sbarra,
quindi avanza sullo sterrato che precede la discesa. Mi sporgo
in avanti e li guardo, Ivan e Barbara, ma per colpa dellet non
posso accorgermi che sul viso di entrambi c la gioia di un po
di libert mescolata allincertezza del dopo, la paura di aron-
tare il mondo, e la vita l fuori.
Anche per quanto riguarda me non so cosa dire n cosa pen-
sare. la prima volta che torno nel mondo. Mi volto sul sedile
posteriore prima che imbocchiamo la discesa, la sbarra si riab-
bassa lentamente e poi scompare piano piano. Per si vede an-
cora il cartello giallo, piazzato in alto davanti allingresso.
Riporta la scritta nera che gi cera cinque anni fa, quando
siamo ritornati nellunico luogo che poteva accoglierci in quel
momento. E sso proprio quella scritta, di nove lettere, ben vi-
sibile ma per me ancora indecifrabile, che recita solo e sempli-
cemente cos: LA COLLINA.

313
VI

IL MONDO DI FUORI
Sbagliai due volte la strada. Assurdo perch la conoscevo a me-
moria, lavevo fatta mille volte. Per allimprovviso non me la
ricordavo pi.
Subito dopo La Collina c il paese e dopo il paese c il mare.
Ci vuole poco. Ma con la macchina carica di bagagli, Valentina,
Barbara e il cane, ho dovuto fare inversione due volte. Ci si met-
teva pure Barbara, dava indicazioni una dopo laltra. Minnervo-
sivo ancora di pi.
Alla ne ci sono arrivato al residence che avevamo prenotato.
Quando siamo scesi dalla macchina, nel parcheggio cera lo sci-
rocco, mi ricordo.

Fino a poco prima sembrava nita e adesso andavamo a vivere


insieme. Fuori poi. Che non semplice come dentro, o comun-
que diverso. Cerano aspetti pratici che dentro non esistevano,
si doveva pensare alle cose di tutti i giorni, trovare un lavoro,
pagare le bollette, fare la spesa, fare lamore. In Collina era da
tanto che non succedeva, ma lass ci passavamo sopra, le ultime
settimane ci sembrava di stare in un thriller, non ci pensavamo
neppure, volevamo vederla come una cosa normale.
Fuori per non cerano scuse, se non lo facevamo prima o
poi ci saremmo lasciati. Lidea faceva paura a tutti e due. Allora
rimandavamo. Sia di farlo che di parlarne.

317
Mentre stavamo al residence... cera pure una piscina interna
mezza scrostata... aspettavamo che Riccardo comprasse la casa a
Valentina. Sarebbero passati almeno tre mesi, se mai lavesse
comprata. E di certo non potevamo obbligarlo. Con quale di-
ritto, a livello legale? Stessa cosa per lo stipendio del ministero,
subito mi stato sospeso. Che cosa facevo? Lo denunciavo?
Come no.
Sono stato di nuovo ingenuo. E stavolta ci credeva pure Bar-
bara. Dovevamo capirlo, Riccardo si sentiva minacciato ma no
a un certo punto.

Non potevamo stare al residence chiss quanto tempo, costava


troppo, prendemmo una casa in atto, col giardinetto, alla ne
di un viale alberato. Pi vicina alla tangenziale che al mare. Due
stanze, cinquecentomila lire al mese, non erano poche. Avevamo
centocinquanta milioni, questo s, ma di quelli volevamo pren-
dere il necessario. Mettere da parte. Non si sa mai.
Cominciai subito a girare per cercar lavoro e lo trovai alla
Zelda V, un posto grandissimo dove si stampavano fotograe.
Mi sembrava strano perch le foto, lo sviluppo delle fotograe,
era quello che in Collina aveva messo Barbara nei casini. Ma
non ho mai pensato di riutare. Non ero cos coglione da non
prendermi un lavoro per le suggestioni, i segni e che cazzo ne
so. E poi mica sviluppavo rullini, non sono capace come Bar-
bara: lei non la presero perch in quel settore erano pieni e trov
lavoro in una salumeria. Il mio compito comera sempre stato
era guidare. Stavolta un furgone, avanti e indietro fra Bologna,
Firenze, Arezzo e ritorno.
Si basava tutto sulla velocit, sul farsi dare pi rullini possi-
bile da qualunque azienda avesse bisogno di sviluppare. Lavo-
ravamo su scala industriale. Una specie di venditori porta a
porta, solo che noi dovevamo comprare. E guidare.
In quello ero molto bravo, guidare. Con Riccardo avevo im-

318
parato ad andar veloce e non fermarmi mai. Quindi non facevo
fatica. Avevo famiglia e responsabilit e non avevo ventanni,
come altri che lavoravano l. Dovevo impegnarmi il doppio. Al-
lora andavo pi veloce, straordinari su straordinari. Tant che
il mio responsabile, un tizio sempre vestito bene, mi faceva un
sacco di complimenti. Aumento di stipendio e pacche sulle
spalle che dicevano bravo, Ivan s che ci sa fare.

Riccardo credeva che nissi male. C andato vicino ma la pro-


fezia non gli riuscita in pieno. Non ci sono andato a male,
come latte scaduto. Ma bene unaltra cosa. Bene un pa-
rolone, soprattutto se riferito allinizio, quando siamo usciti.
Anche il modo di dire: Come stai? Bene, era unaerma-
zione dicile.
Perch i primi tempi fuori stato come entrare in un mondo
nuovo, n io n Barbara conoscevamo pi le regole. Tantomeno
Valentina, che praticamente aveva vissuto tutta la vita in Collina.
Dove passavo io si spalancavano le porte, prima. Fuori invece
ero soltanto un ex tossico che si sbatteva per lavorare. Un prin-
cipe senza corona.
Quando prima andavo alla concessionaria qualsiasi macchina
cera sul ponte la facevano scendere per mettere la mia. E se qual-
cuno aveva qualcosa da dire rispondevano: State zitti e non rom-
pete i maroni, bisogna metter su la macchina dellIvan.
Perch dalla Collina portavamo pure dieci macchine a botta.
Una volta uscito sono andato a portar la macchina l. La Cin-
quecento. In una concessionaria Volvo. Figuriamoci. Ho dovuto
aspettare come gli altri. E mi son detto: Benvenuto nella vita
normale.

Riccardo mi aveva avvertito, ti leccano il culo perch sei il mio


braccio destro. Fuori altro che leccare, te lo faranno il culo, mi
diceva. E cos stato. In questo senso ci ha preso. Per gio-

319
chiamo alla pari, no? Perch devi giocare sporco? Cosa cazzo ti
passa per la testa a mandare uno per farmi licenziare?
Ha mandato Giulio, che in Collina era il contabile e se non
mi avessero arrestato avremmo tirato via di nascosto un po di
soldi... Giulio andato dal mio capo a chiedergli se lavoravo
ancora l, alla Zelda V. Il mio capo ha risposto di s, certo che
s, funziona, Ivan, e come la, con quel furgoncino, a rimediar
rullini. Giulio ha detto che era proprio un peccato perch se
non fossi stato un loro dipendente avrebbero portato i rullini...
tantissimi rullini... dalla comunit, a sviluppar da loro, alla
Zelda V. Quanta roba, tanta roba, dalla Collina.

Il licenziamento fu un colpo, per me ne andai senza protestare.


Dovevo cercarmi un altro lavoro, punto. La vita di fuori era
cos e lo sapevo. Perdi un lavoro cerchi un altro lavoro. Perdi
pure quello ne cerchi un altro. Diventi troppo vecchio non ti
danno pi il lavoro. Poi diventi ancora pi vecchio e muori.
Ma il pensiero principale in quel momento non erano queste
cagate sulla vita e sulla morte. Era il lavoro e basta. Un pensiero
da poco.
Poi col fatto che stavo sempre sul chi va l, con la paura che
trovato il lavoro arrivasse qualcuno dalla Collina a farmi licen-
ziare, vivere tranquillo non sapevo neanche cosa signicasse.
Che cazzo, pensavo, ho cambiato vita tre o quattro volte e
nessuno delle tre o quattro tranquilla. Cosa si deve fare? Con
chi bisogna parlare? Ditemi qualcosa. Cos mi disarmate, con
tutto che ho il porto darmi, di l nel cassetto. A mani nude
vaanculo. tosta cos.

Dalla Collina arriv Johnny Il Biondo, si present a casa nostra.


Barbara quando lo vide fece una faccia che ho pensato adesso se
lo mangia vivo. Johnny era armato, subito me lo ha fatto capire,
con la mano a scostar la giacca. Quanti lm di merda Johnny. E

320
lm di merda per lm di merda sono andato, son tornato e ho
messo la mia pistola sul tavolino. Cos, tanto per essere alla pari.
Johnny proprio la faccia come il culo a presentarsi a casa mia
dopo che lultima notte in Collina sera portato Lerch per farmi
pestare. Petto a petto no, vero, Biondo? Eh no, non se la sente,
il campione del mondo.
La questione importante, dice Johnny. E io, sentiamo. Dice
che qualcuno della macelleria ha iniziato a ricattare Riccardo
sullomicidio di Sebastiano. Si facevano pagare, per stare zitti.
Nessuna sorpresa. Lo sapevo chi erano quei quattro coglioni.
Sai a loro che cazzo gliene importava di farsi la galera se la cosa
veniva fuori. A Riccardo invece s, eccome. Allora pagava se
quelli chiedevano.
Il Biondo l a casa mia per dirmi di spaccare la cassetta e
star zitto, in sostanza. Riccardo voleva la certezza del mio silen-
zio. E io, ah si? Adesso mi contatti dopo che mi avete fatto li-
cenziare? E no, non sono un cagnolino, adesso mi pagate.
Adesso il mio silenzio vale. E col cazzo che distruggo la cassetta.
Quella mi serve pi del pane, per campare.
Gli ho chiesto un milione e mezzo al mese, quasi quanto lo
stipendio del ministero, che non mi avevano mai passato. E
Johnny fa ehm, boh, devo chiedere, non lo so.

Ha chiesto e gli hanno detto di s, evidentemente, perch ogni


mese, per tre mesi, mi ha portato i soldi. Ci davamo appunta-
mento alla Coop. Met milione e mezzo me linlavo in tasca
e il resto in banca sul conto di Valentina.
Lei faceva karate e andava a scuola, come prima. Tutto nor-
male, credevamo io e Barbara, tranquilli solo perch non par-
lava mai della comunit. Scemi, io e Barbara. Non ci siamo
accorti che Valentina non parlava della comunit perch parlava
poco in generale. Era diventata silenziosa, proprio lei con la lin-
gua appuntita, quando stavamo dentro.

321
Ma non lo abbiamo capito no al giorno che chiama a casa
Pittore, il mio amico pi caro, che ancora viveva in Collina, e
mi dice Valentina qui. Porca puttana, che cosa? S, quass
in Collina, Ivan.
Corro con la macchina a recuperare la bambina... bambina,
oddio, aveva dodici anni... ma io arrivo a prenderla come se an-
cora ne avesse otto o nove o al massimo dieci. Arrivo col atone.
Sembrava che su per la salita fossi andato in bicicletta.
Non voglio entrare. Lavevo gi detto al telefono a Pittore.
Trovo lui e Valentina fuori, davanti alla sbarra, al parcheggio
esterno. Lancio unocchiata dentro, dopo il posto di blocco,
non passa nessuno. Meglio cos. Valentina ha la faccia scura.
Grazie Pittore, grazie. Un abbraccio e poi di nuovo la faccia
scura di Valentina, gi per la discesa.
Non lho rimproverata. Le ho solo chiesto perch. Mi ha
raccontato che finita la scuola di karate... doveva prenderla
Barbara ed era in ritardo... ha camminato e camminato, ha
preso un autobus per il paese e ha chiesto un passaggio per La
Collina. Ha detto che abitava in Collina. Un uomo che co-
nosceva la comunit le ha dato il passaggio e lei tornata l.
Per vedere comera.

Ogni tanto a casa nostra bussava qualcuno che scappava dalla


Collina, per farsi ospitare, e spesso gli dicevo di no. Finch non
si presenta pure Pittore e a lui non riesco a dire di no.
Mi faceva piacere vederlo, ero felice, ma scappare dalla Col-
lina di punto in bianco, lo sapevo, non porta a niente di buono.
Quella sera mangiamo insieme, anche con Valentina e Bar-
bara, che aveva preparato una seppia coi piselli che lo sa dio.
Ci facciamo parecchie risate, con un po di vino in via eccezio-
nale. Valentina rideva. Pittore parlava sotto vino e faceva bat-
tute. Io guardavo Valentina ridere.

322
Pittore rimasto a casa con noi. Faceva i piatti, stirava, cose di
questo genere, per sdebitarsi, o andava a prendere Valentina a
scuola. Lei lo chiamava zio Pittore, cos lo aveva chiamato sem-
pre. Da quando cera zio Pittore Valentina parlava tanto unaltra
volta, come quando vivevamo in Collina.
Poi ha ricominciato a farsi Pittore. Un mesetto dopo che
arrivato. Io gli volevo bene per avevo la bambina a casa. Glie-
lho detto, non poteva star da noi in quel modo, se voleva re-
stare doveva uscire dalla roba unaltra volta.
Una sera lho trovato tutto fatto sul divano, guardava la tele
con Valentina. Non va bene cos. Lui ha capito, s, me ne vado,
Ivan, hai ragione.

Qualche giorno dopo mi chiam la polizia. Avevano trovato il


mio numero sullagendina di questo ragazzo morto doverdose
nel bagno della stazione. Non sapevano se si fosse ammazzato
o se ci fosse rimasto per sbaglio. Per loro cambiava poco. In ef-
fetti sempre morto era, Pittore. Che cazzo per. Se ci penso mi
prende il magone ancora oggi. Mi viene... mi sento... mi prende
male tutto addosso, davvero.
Secondo me ha sbagliato la pera. La quantit. Quando smetti
e poi riprendi facile che sbagli. Per abitudine metti quella che
sopportavi prima. Lo fai in automatico. Invece adesso troppa.
Pittore morto cos secondo me.
In ogni caso dovevamo dirlo a Valentina. Dicemmo che
laveva investito una macchina. Che dovevo dire? Lhanno tro-
vato morto dentro a un bagno pubblico?
Valentina ha pianto tutti i giorni per un mese. E niente da
fare pensavo mentre la vedevo piangere, qua non ripartiamo.
Prima non lo volevo ammettere ma era cos. Ogni volta che la
situazione sembrava prendere il via arrivava La Collina in un
modo o nellaltro. E stop alla prossima fermata, chiss per
quanto tempo.

323
Quando mi sembrava che Valentina si stesse riprendendo un
po dalla notizia di Pittore, un giorno tornai a casa e trovai un
investigatore privato posizionato l di fronte.
Non ci volevo credere. Ma non perch ce lo trovai, questo
me laspettavo, non potevo credere che Riccardo avesse man-
dato lo stesso investigatore che avevo assunto io, tante volte,
per seguire altre persone, compreso il padrone di Michigan, il
cane che vinceva alle mostre.
Linvestigatore era dentro alla macchina con un microfono
che si punta per sentire da lontano. Anche il microfono lo co-
noscevo bene. Lo usavo per spiare i Poli allinizio, quando an-
cora erano aezionati a un santone indiano e Riccardo li voleva
tutti per s. Come poi stato.
Linvestigatore sappostava dopo il giardinetto in mezzo alle
ombre degli alberi. Mi pare fossero pioppi, ma vai a sapere.
Un giorno, due, tre... poi mi rompo i coglioni e gli porto il
ca. Di prima mattina. Quello imbarazzato, lo beve. Gli dico
di salutare Riccardo. Non risponde. Mi restituisce la tazzina
come risposta.

Quando La Collina non si presentava a casa nostra, dalla Col-


lina mi arrivavano notizie di ogni genere. Amici e parenti di chi
stava su. Tornavano dagli incontri con lesterno e se mincon-
travano si sentivano in diritto e in dovere daggiornarmi. Quelli
si sono sposati, quelli non stanno pi insieme... hanno aperto
un reparto nuovo... quello nato, quello morto... Riccardo
ha cominciato a star male... Come a star male? Eh s, a star
male... In che senso male? Dicono abbia il cancro, ma si sa
poco.
Forse per questo vuole vedermi, ho pensato quando mi ha
fatto convocare. Forse sta morendo.
Ha telefonato Giulio, ancora Giulio, e mi ha detto ti vuole
vedere. Ne ho parlato con Barbara, lei era contraria. Cosa vai

324
su a fare? Io non rispondevo perch non sapevo la risposta: vo-
levo andare ma non sapevo perch. Come Valentina, solo che
lei aveva dodici anni e io trentaquattro.
Ho preso la pistola. Vedi, Barbara? Non mi do di lui. Non
lo amo pi. Ci vado armato. Non le bastava, ovvio. Proprio non
voleva che andassi su. Lo vuoi capire che se non tagliamo una
volta per tutte non andiamo avanti? Aveva ragione, le ho dato
ragione. Ma ho detto pure che comunque andava di Riccardo
ci saremmo liberati solo quando moriva. E come sempre non
avevo capito un cazzo.

Sono andato su in Collina armato. Luca ha girato la faccia. Adele


lo stesso. E cos tutti quelli che ho incontrato. Non mi hanno
guardato. Ero il nemico. Va bene. Ci stava. Appurato.
Riccardo non stava morendo, ma era dimagrito, pallido.
Non sembrava pi il vitello grasso che era sempre stato. Mi ha
abbracciato nellucio della Reggia. Col corpo ha toccato il
ferro. Me lha fatto notare. Che vieni armato a fare? Volevo solo
salutarti, Ivan. Ho risposto: Pensavi che sarei venuto su tran-
quillo? A mani nude? Sei ingenuo se lo pensi.
Volevo fare il duro ma mi tremava la voce, ad averlo l di
fronte a me dopo tanto tempo che non lo vedevo. Ma il duro
dovevo fare, lo sapevo. Se capiva che mi stava fottendo lemo-
zione ero spacciato, nella trattativa che volevo io. Perch non
ero andato su a salutare e a vedere come stava, o almeno non
solo per quello. Ero andato pure per dire di lasciarci in pace.
Per favore Riccardo, che cazzo, cos che mi fai seguire e licen-
ziare? E lui rispondeva come un bambino, mentiva sapendo di
mentire e sapendo che io non ci credevo.
Che non stava bene si vedeva pure da questo. Era confuso.
Ha cambiato atteggiamento due volte in dieci secondi. Prima,
assurdo, mi ha detto: Se vuoi tornare, questa casa tua. Ho
riutato, ovvio. Poi mi ha detto: Occhio alla penna, Nio.

325
Occhio alla penna? Ma che cazzo , una minaccia? S che lo
, come per dire stai attento. Ma come gli veniva in testa di
minacciarmi ancora? Ho risposto: Occhio alla tua, di penna.
Io qui ho sedici frecce, stai molto attento.
Era la risposta giusta in quel momento. Lui ha smorzato, si
messo a ridere forte, la risata non era diversa da come mi ri-
cordavo. Me ne sono andato.

Riccardo ha visto con i suoi occhi quello che gli avevano gi


detto: non avevo ricominciato a farmi. E pulito comero, come
lui mi aveva visto, se avessi parlato sarei stato pi credibile. Ci
rimasto di merda. Con me stava sbagliando una mossa dopo lal-
tra. Prima aveva giocato allattacco facendomi licenziare. Poi
aveva fatto retromarcia, quando gli altri hanno iniziato a ricat-
tare, e per farmi star zitto aveva iniziato a pagare. E adesso? Qual-
cosa voleva farmi, sicuro. Anche perch, conoscendolo, non gli
andava bene che ero andato via con i suoi soldi e me li godevo
fuori, secondo lui. Non gli andava bene. Pensava che avrei rico-
minciato con le rapine e mi avrebbero messo in galera. Cos la
cassetta e la mia parola potevo ccarmele nel culo, non servivano
a niente. Invece quando ha visto che lavoravo, pi o meno, e
stavo bene, pi o meno, chiaro che qualcosa voleva farmi.

Ho preso a dormire con la pistola sotto al cuscino. Se di notte


mi sembrava di sentire un rumore la prendevo e mi facevo il
giro della casa, giardinetto compreso. Andavo in camera di Va-
lentina, guardavo pure nella cuccia del cane. Poi non riuscivo a
chiudere occhio. Porca puttana, pensavo sveglio tutta la notte.
Porca puttana.
La situazione in questo senso peggiorata quando al bar di
fronte al deposito dei pullman... avevo il lavoro nuovo, autista
di pullman... ho incontrato Gigi Vernaccia, un ex tossico che
era venuto su con la sorella e che poi era uscito... lui era uscito

326
bene... mentre la sorella era rimasta su in Collina.
Vernaccia mi ha detto che in Collina, dovera andato per lin-
contro mensile con la sorella, aveva visto la Giulia De Maria:
Te la ricordi quella vecchina simpatica... mezza zoppa... la si-
ciliana con il nipote su da noi, in Collina?.
Cazzo se me la ricordo, volevo dirgli a Vernaccia. Giulia De
Maria. Io e Riccardo abbiamo fatto molte cene con i De Maria.
Sia in Collina che a Catania, perch loro erano di Catania.
Ma a Vernaccia mi sono limitato a dire me la ricordo. E al-
lora? Vernaccia s grattato il naso e mha detto che Giulia De
Maria e Riccardo lo hanno fermato e gli hanno chiesto come
andava fuori. Lui ha risposto che andava bene. Allora Riccardo
ha detto se incontri Ivan Carrau... Lo incontri Ivan Carrau?
Vernaccia come no, ha risposto, certo che s, ogni tanto lo vedo,
in giro. E Riccardo: Bene, allora se lo vedi dagli tanti saluti da
parte di Giulia De Maria.
Mi ricordo che un De Maria, una volta, portandoci in aero-
porto, a Catania, disse: Signor Mannoni, la Sicilia ai suoi
piedi. Se serve qualcosa, chiami Giulia. Erano talmente potenti
che in qualsiasi citt della Sicilia a questo nipote nessuno gli
dava la roba. Gli spacciatori sapevano che la famiglia era con-
traria. E incazzosa, diciamo cos. Quindi lui ha dovuto disin-
tossicarsi e venire in Collina, dove lo trattavano come un papa.
Lunico senza moglie e gli ad aver la casetta, con le puttane
che gli venivano da fuori, a scopare dentro la casetta.
Giulia De Maria, la vecchina simpatica mezza zoppa, oltre a
essere la coordinatrice dei tossici di Catania... li caricava nei
pullman e li mandava su quando Riccardo aveva bisogno per
qualche manifestazione... era pure il contatto di Riccardo con
i De Maria.
E quando Vernaccia al bar mi disse che Giulia De Maria mi
mandava a salutare mi sono cagato addosso. E vorrei vedere.
Ero paranoico, ok, lo sapevo. Ma la paura paura.

327
Invece non successe niente. Forse perch ho la cassetta, ho pen-
sato. Era la mia assicurazione sulla vita. Se Riccardo aveva in-
caricato me di far fuori Sabrina, poteva incaricare qualcuno di
far fuori me, ovvio.
Invece ha solo mandato per un anno intero Johnny e altra
gente che non conoscevo a farmi dire: Distruggi la cassetta.
Io gli dicevo col cazzo, senza cassetta sono morto.
Ma non andata cos, infatti sono vivo. Non so se per for-
tuna, per la cassetta o per mancanza di tempo. Perch poco
dopo le ultime volte che ho riutato di distruggere la cassetta,
venne fuori tutta la merda e tutta quanta insieme. Riccardo lo
temeva. Solo che aveva sbagliato le persone di cui aver paura.
Aveva paura di Sabrina, tanto che mi disse Bisognerebbe ucci-
derla; aveva paura di quelli della macelleria, a cui dava qualche
privilegio su in Collina; aveva paura di me, che minacciava op-
pure pagava.
Ma quelli della macelleria si accontentavano, io col cazzo che
tiravo fuori tutta la storia e di Sabrina, che Riccardo ha conti-
nuato a far seguire, non s saputo mai pi niente. Non viveva
pi a Milano, me lha detto quando sono andato su. Era sparita
nel nulla.

Il primo che ha cantato stato Marco, un ragazzo abruzzese che


aveva s e no diciotto anni. Uno che nella trama di Riccardo
non contava un cazzo, tanto che non ci pensava. Ma stato
proprio lui che lha inculato.
Marco sembrava che ci stesse bene in comunit. Invece ha
parlato con un giornalista che era stato licenziato dal quotidiano
di Lucio Lapido, dove lavorava come cronista. Questo voleva far
carriera ma secondo me gliela voleva anche far pagare a Lapido.
Da qualche mese torchiava i fuoriusciti della Collina per sa-
pere di pi sullomicidio di Sebastiano Ricci. La storia della fuga
e della camorra parecchi non se lerano bevuta. Tutti quelli

328
usciti dalla Collina che il giornalista intervistava, per, muti
come tombe, niente, neanche una parola. Stava per arrendersi
e poi, come spesso succede, quando meno se laspettava, lha
contattato Marco.
Negli ultimi tempi in Collina con chi rigava dritto erano di-
ventati pi morbidi. E Marco era obbediente, motivato, gli da-
vano parecchi permessi. Qualche volta poteva pure uscire per
andare a trovare la famiglia. Marco esce per andare dalla fami-
glia, ucialmente, e va dal giornalista. Lo sapeva che quello
stava cercando notizie. Gli dice un sacco di cose.

Io non lo conoscevo questo Marco, ma da alcune voci ho saputo


che la sua ragazza era stata punita per colpa sua un po di tempo
prima, le avevano tagliato i capelli in pubblico.
Poi lhanno trovata morta nel bagno della lavanderia. S im-
piccata con un lenzuolo.
Per questo Marco ha deciso di parlare, dicono, e raccontare
tutto quello che aveva visto in macelleria. Per un periodo aveva
lavorato l. Lo stesso periodo in cui ci lavorava Sebastiano,
anche se Marco non cera quando Sebastiano morto. Ma i
suoi racconti, i fatti di Veleno e quegli altri, quello che facevano
a chi era rinchiuso, i pestaggi e tutto quanto, comunque basta-
vano a far riaprire il discorso sulla morte di Sebastiano, che era
stata archiviata come omicidio da parte dignoti.
Anche perch Marco raccont al giornalista che aveva sentito
dire, in Collina, che Johnny e Veleno avevano portato fuori il
cadavere. La macchina glielha data Riccardo, disse Marco.
Il giornalista propose lintervista a un quotidiano importante
e quelli gliela pubblicarono, inaspettatamente. Da l, il delirio.
Riccardo fu subito convocato in procura e disse che quellin-
tervista gli sembrava un sogno. Era assurdo, impossibile. Se qual-
cuno avesse portato via il corpo, se ne sarebbe accorto. Oppure
glielo avrebbero detto. Alzare le mani, in Collina, non il nostro

329
stile. Disse che se uno era violento, lui lo mandava subito via.
Per il momento lo lasciarono andare, ma continuavano a indagare.
Riccardo lo sapeva e, forse consigliato da qualcuno, torn
dal procuratore tre giorni dopo il primo incontro. Cambi ver-
sione. Lo sapevo che Sebastiano Ricci era morto ed era stato
portato via da quelli della macelleria, ma ho dovuto tacere per
il bene dei ragazzi. E poi lho saputo troppo tardi, mesi dopo
che era successo. Troppo tardi, disse Riccardo.
Agli inquirenti non bastava, ovvio. La confusione a loro
puzza. Anche se il testimone era uno degli uomini pi potenti
dItalia dovevano continuare.
E da altri interrogatori venne fuori che la macelleria era un
reparto fatto apposta per punire chi sbagliava. Riccardo disse
che erano diventati una cellula impazzita solo negli ultimi
tempi. Neanche sera accorto che Veleno stava diventando cos,
un mezzo pazzo.

Furono arrestati lo stesso, tutti quelli della macelleria. Custodia


cautelare. Veleno, Paride, Carmelo, Tito. E anche Johnny Il
Biondo, pure se non era del reparto.
Sotto interrogatorio, Veleno neg tutto. Lo stesso fece Johnny.
Carmelo invece si cag addosso e raccont di Sebastiano per lo
e per segno. Pestaggio, debrillatore, discarica. Paride e Tito con-
fermarono la versione. Dissero pure che Riccardo aveva dato
soldi e macchina a Veleno e Johnny per portare via il corpo.
Arriv lavviso di garanzia: omicidio e occultamento di ca-
davere. Arriv per tutti, Riccardo compreso.
E inizi il processo.

In Collina lo sapevano tutti che me nero andato e le voci sul


motivo non si controllavano pi gi da un po di tempo. Lass
si sa com, prima o poi tutti vengono a sapere tutto, e ognuno
la racconta a modo suo.

330
La voce che gi si era diusa tra i ragazzi, quella che parlava
della cassetta che avevo registrato in macchina, non poteva ri-
manere solo una voce. A processo in corso diventava una prova
potenziale.
E quando venne fuori che esisteva la mia cassetta, in Italia
successe la ne del mondo.
Manifestazioni dei genitori dei ragazzi in favore di Riccardo,
manifestazioni dei centri sociali contro Riccardo, giornalisti e ca-
meraman, svenimenti e convulsioni, fascisti, comunisti, demo-
cristiani, socialisti, socialdemocratici, repubblicani, radicali,
cattolici, atei, associazioni, Arci, sindacati, intellettuali, attori, re-
gisti, medici legali, presentatori televisivi, riviste satiriche, giornali
scandalistici, un famoso architetto, assistenti sociali, esperti di
droga, proibizionisti, qualche ambasciatore, antiproibizionisti, ex
brigatisti, vip di vario genere, cantanti e musicisti, pittori e scul-
tori, politologi, scrittori famosi e meno famosi, poeti, movimenti
autonomistici, inviati speciali e gente qualunque.
Tutti quanti... alcuni pi ascoltati, altri completamente igno-
rati... dissero la propria e si schierarono ancor prima che in aula
si ascoltasse la cassetta.
Perch per ascoltarla, questa cazzo di cassetta, prima dovevo
consegnarla. E io non la volevo consegnare.
Vengo ascoltato come testimone, ovvio. Avevo gi deciso
cosa dire, in ogni caso, e in tribunale aermo che non so niente
di questa cassetta. Nego. Non esiste nessuna cassetta. Sono voci,
solo voci.
Torno a casa. Barbara mi dice subito che ho fatto una caz-
zata. Falsa testimonianza. C la galera. Fai ancora in tempo.
Torna indietro con la cassetta. Faccio notare che non il caso,
senn viene fuori la storia dei centocinquanta milioni. Si
chiama estorsione, Barbara, e anche per quello c la galera.
La paura addosso, io e Barbara, in un vicolo cieco. E in pi con
Valentina che fa domande, perch ci vede con gli occhi di fuori.

331
Le diciamo di non preoccuparsi e ci chiudiamo in camera,
cercando di capire cosa fare. Ma poco dopo squilla il telefono.
il giornalista che ha intervistato Marco. Mi vuole incon-
trare. Dico di no. Lui mi chiede della cassetta. Io dico che non
voglio parlare con i giornalisti. Riattacco. Accendo la televi-
sione, mi aspetto il peggio. Infatti. Ne parlano i telegiornali:
Riccardo Mannoni avrebbe ordinato un omicidio, il suo autista
lo avrebbe registrato mentre lo commissionava.
Spengo la televisione. Squilla il telefono. Mio padre. Ha
sentito in Tv della cassetta, lha dovuto dire alla mamma, che
lui ha una copia. Metto gi perch ho paura che il mio tele-
fono sia sotto controllo. Mio padre richiama, gli dico basta.
Lui capisce e non dice pi la parola cassetta. La mamma
di l che piange. Me la passa. Cazzo, me la passa. La mamma
in effetti piange. Adesso la odiavano la televisione che parlava
di me. La odiavo pure io, e molto pi di loro. Quando sono
andato via dalla Collina, due anni prima, speravo che di me
non si parlasse mai pi. N bene n male. A mia madre che
piange dico solo che adesso risolviamo tutto, stai tranquilla.
E riattacco.
Squilla di nuovo il telefono. lavvocato Attico. I giornalisti
hanno assediato il suo studio. Evidentemente saltato fuori che
ha una copia anche lui. Mi dice che ha trovato una cronista
sotto il tavolo, non sa come sia entrata nello studio. tutto il
giorno che squilla il telefono e suona il citofono. Tra poco sa-
rebbe andato in procura. Aspettava solo la convocazione. Perch
lavvocato vuole essere chiaro: se gli chiedono della cassetta,
dalla procura, lui la consegna. Non pu fare altrimenti. E me
la chiederanno di sicuro. Capisco, va bene. Chiedo cosa devo
fare io. Devi consegnare la cassetta, Ivan.
Riattacco. Barbara mi chiede cosha detto. Rispondo: Ha
detto la stessa cosa che hai detto tu.
Ma non voglio andare, non voglio uscire di casa, non si sa

332
mai chi c che maspetta, provo cos a convincere Barbara, che
invece continua a dire devi andare adesso.
Ci penso parecchio. Poi dico va bene, vado. Barbara dice:
la cosa giusta da fare.
Un bacio a Barbara e un bacio a Valentina che dorme.

Ma non vado al commissariato, come ho detto a Barbara. La


cassetta neppure lho presa.
Vado a San Marino. Allestero, se cos si pu dire. Tecnica-
mente s, ero allestero.
Prima di consegnare la cassetta, devo provare ancora una
volta a fare una cosa, una cosa che non ha senso ma che voglio
comunque provare a fare. Voglio chiamare Riccardo. E se men-
tre lo chiamo, e ci mettiamo daccordo, come spero succeda, e
perdo tempo e quelli mi arrestano a casa, sotto gli occhi di Va-
lentina, inizia a diventare un po troppo, per me e per loro.
Allora, per guadagnar tempo, San Marino. A chiamare Ric-
cardo.
Non voglio che salti fuori tutto il casino e spero ancora che
si possa evitare. Altra galera non me la voglio fare. Spero che
Riccardo possa mettere le cose a posto. Non lo so, mandare
qualcuno. Il suo avvocato, magari, come in Francia.
O possiamo accordarci. Alla polizia potrei dire che quella re-
gistrazione non vale un cazzo, che Riccardo innocente.
Basta, devo telefonare. Risponde Riccardo. Sto zitto. Lui
chiede chi . Sto zitto. Chiede di nuovo chi . Mi faccio corag-
gio. Sono Ivan. Aspetto in linea. Poco. Riccardo mette gi. Fi-
nita la telefonata. Rimango con la cornetta del telefono a
gettoni penzolante nella mano.
Mi vergogno ma chiamo di nuovo Attico, che mi ordina di
consegnarmi. Immediatamente, Ivan!
Finita pure la fuga di mezzanotte.

333
Mi hanno ammanettato e mi hanno portato al supercarcere di
Pesaro, dove mi hanno messo in una cella piccolissima. Di
nuovo in isolamento. Laccusa era falsa testimonianza. Un po
poco per darmi lisolamento, secondo me. Anche perch mi
hanno tolto la Tv, i giornali, tutto. Non avevo niente. Non po-
tevo ricevere visite. Ogni volta che andavo al bagno controlla-
vano, per paura che mi suicidassi. Cera un ergastolano che mi
diceva: Oh, ma che cazzo hai combinato per un trattamento
cos?.
Il fatto era sempre lo stesso: io non volevo parlare e loro mi
volevano far parlare. Se stavolta stavo zitto, per, non era per
non tradire Riccardo. Non me ne fregava pi un cazzo, soprat-
tutto dopo la telefonata, che aveva messo gi senza farmi par-
lare. Era perch non sapevo se testimoniando andava peggio a
me oppure a lui.

Attico arrivato. Mi ha detto di parlare, confessare tutto, come


gi mi aveva detto. Niente da fare, non volevo parlare. Almeno
per il momento. Peggio per te, Ivan. Cosa ti posso dire? E per
quel giorno se n andato.
Dopo un paio di settimane disolamento, si presentato il
pubblico ministero in persona. Aveva una videocassetta. E mi
ha detto: Tu non vuoi parlare? Benissimo. Guarda cosa succede
mentre sei qui a marcire.
Mi ha fatto vedere le registrazioni dei telegiornali e dei talk-
show delle ultime due settimane. Su tutti i canali, ci mancava
poco a reti unicate, come il discorso di ne anno del Presi-
dente, Riccardo diceva che ero un bugiardo, un assassino. Di-
ceva che mi aveva preso in mezzo a una strada, ventanni prima,
che spacciavo e chiss che cosaltro combinavo.
Ai talk-show le solite scene, lui fra i ragazzi malati che pian-
gevano, lui che prendeva il pi brutto, quello ridotto peggio, e
lo baciava, lo stringeva. E poi gi duro contro di me.

334
Tutto questo perch sapeva che ero scomparso e credeva che
stessi parlando. Mi smerdava per precauzione, ecco.
Da qui la mia rabbia, ho capito che mi voleva devastare e sa-
pevo che ci sarebbe riuscito, con la credibilit che aveva.

Ho parlato. Troppo tardi, lo so, ma meglio di niente, pensavo.


Valentina andava a scuola, tutti le avrebbero detto del padre. Il
delinquente. Il killer. Il mostro.
Ho detto la verit. Cio, la mia verit. Tutto quello che sa-
pevo, tutto quel che avevo fatto, tutti gli ordini di Riccardo a
cui avevo obbedito, giornalisti e poliziotti che ho corrotto, la
villa che ho bruciato, la gente che ho pestato, le valigette che
ho consegnato. E ho ammesso lesistenza della cassetta, nal-
mente. Eccola, procuratore, tutta vostra.
Non potevo pi inquinare le prove, me ne potevo tornare a casa.
Fuori dal carcere una giornalista televisiva mi ha intervistato.
Allora ho detto: Chi sa deve parlare. Solo io devo parlare? Per-
ch? Le sapete in tanti queste cose, parlate.
Ed stato incredibile, in tanti si sono presentati in procura
a denunciare spontaneamente, a parlare. stato pazzesco. Da
tutta Italia. stata una consolazione. Per un momento non mi
sono sentito solo.

Mentre aspettavamo ludienza con Barbara abbiamo deciso di


raccontare tutto a Valentina. Aveva tredici anni. Poteva sapere.
Faceva solo pi confusione a sentire voci e notizie sparse. Le
abbiamo parlato per pi di unora cominciando da Milano. Ha
ascoltato senza domande. Alla ne ha detto che voleva pensare
a tutto quanto da sola. Si chiusa in camera sua.
La sera dopo ci ha convocati e ha detto che Barbara e io avevamo
fatto molti errori, ma tutti quanti fanno gli errori. Ha detto che ci
amava, sempre e comunque. E ci avrebbe aiutati sempre e comun-
que. Ma se avessimo ricominciato, se ne sarebbe andata di casa e

335
non lavremmo rivista mai pi. Glielo abbiamo promesso, non
avremmo ricominciato.
Le ho chiesto cosa pensava di Riccardo... tu gli volevi bene...
cosa pensi, adesso... Valentina mi ha interrotto, aveva smesso
di volergli bene quando lo ha visto tagliare i capelli a una ra-
gazza, davanti a tutti. Ho guardato Barbara, lei ha fatto s con
la testa. Ero lunico a non sapere.
Valentina ha detto cos, che da quella volta aveva smesso di
volergli bene. Ma ha detto pure che non riusciva a volergli male.
Se per noi non era un problema, voleva evitare di odiarlo.
Io e Barbara siamo rimasti da soli in sala da pranzo, senza
parlare e senza guardarci. Poi non ricordo chi dei due ha avuto
la cattiva idea di accendere la televisione. Su almeno tre canali
parlavano della cassetta e del processo.
Stavamo per spegnere ma abbiamo visto lintervista a un car-
dinale. Dichiarava che quando le famiglie gli adano i gli,
Riccardo prende il posto dei genitori e pur sapendo che Veleno
e quegli altri avevano portato via un morto, non poteva denun-
ciare i propri gli.
Amen, dissi io. E con Barbara ci mettemmo a ridere.
E nei giorni successivi avremmo iniziato a ridere sempre pi
spesso nonostante la situazione di merda. Pi le cose andavano
male, pi con lei andava bene. Questo un segnale che dob-
biamo stare insieme, pensavo. Mai come adesso eravamo vicini.
Mi faceva forza. Era indispensabile. Lei lo sapeva. Fino alla ne
mi stata accanto.

Riccardo sui giornali e in Tv dichiar che voleva ascoltare la


cassetta. Al pi presto. Non voleva aspettare oltre. Disse:
Quella cassetta non ha alcun valore, ne sono sicuro. Prima
lascoltiamo e prima i miei ragazzi potranno tornare alla nor-
malit, al tentativo quotidiano di riprendersi la vita.
Secondo me non faceva sforzi, non ngeva a mostrarsi cos

336
sicuro di s. Riccardo era davvero certo di vincere.
E di questa sensazione ho avuto la conferma il giorno in cui
sono stato in aula per ascoltare la cassetta. Riccardo ha guardato
me e lavvocato Attico con un sorrisone. Non era un sorriso
falso per le telecamere e i giornalisti, era un sorriso di tranquil-
lit. Vinco io, ve lo garantisco. Era ancora dimagrito, ma da-
vanti alle telecamere era come il gemello sano di quello che
avevo visto lultima volta, in Collina qualche mese prima,
quando mi aveva fatto convocare.
In aula hanno portato la cassetta ed stato azionato il regi-
stratore. calato un silenzio di quelli che fanno paura, tutti con
gli occhi sbarrati ad ascoltare. Riccardo invece no, lui stava tran-
quillo, seduto sulla sua sedia al banco degli imputati. Ogni
tanto mi guardava, e sorrideva. Sereno per tutti e ventitr i mi-
nuti di registrazione, fatti quasi solo di fruscii, ma anche di frasi
che si sentivano benissimo. Chiare, limpide, perfettamente
comprensibili.

Riccardo fu assolto per non aver commesso il fatto. Non esi-


steva il nesso di causalit, si dice cos, tra Riccardo Mannoni
e la morte di Sebastiano Ricci.
Per il favoreggiamento gli diedero otto mesi con sospensione
della pena.
E non era vero, fu stabilito, che al reparto macelleria erano
inviati solo ospiti da punire, su ordine suo. Anzi, se Riccardo
avesse saputo che l dentro avvenivano dei pestaggi, visto che la
sua comunit si basa sullimmagine, sarebbe intervenuto a ri-
mettere ordine.
Veleno fu condannato a quattordici anni per omicidio pre-
terintenzionale. Sentenziarono che era stato lui a dare lultimo
colpo, quello fatale, a Sebastiano.
Paride, Carmelo e Tito si beccarono sette anni.
Johnny solo loccultamento di cadavere. Un paio danni, mi pare.

337
Nel processo di secondo grado, tempo dopo, le condanne
furono dimezzate. Nessuno si fatto un giorno di galera. A-
damento ai servizi sociali, che hanno scontato in comunit.
Nella sezione della Collina che nel frattempo era stata aperta
in Valle dAosta.

Io sono stato condannato per estorsione. Mi hanno dato cinque


anni e tre mesi.
La sentenza diceva tre cose, in sostanza: come testimone ero
poco credibile, perch avevo motivi di contrasto di natura per-
sonale ed economica con Mannoni Riccardo; durante il dia-
logo con Riccardo, in macchina, il dialogo registrato, io ero
vigile e lucido, che guidavo e parlavo, lui era distratto e in evi-
dente stato di torpore: sonnecchiava, parlava in dormiveglia e
pronunciava frasi sconclusionate, che non dimostravano niente;
Riccardo aveva parlato in quel modo per provocarmi, per capire
se ero ancora un delinquente, comero sempre stato.
Riccardo era innocente. E si riprese la ducia della gente. Sui
giornali e in televisione si parlava in continuazione degli attac-
chi immotivati della magistratura nei suoi confronti. Riccardo
era un perseguitato. Qualcuno in Collina aveva sbagliato e
avrebbe pagato. Ma non Riccardo, lui non centrava.
Le accuse di Carla Ricci, la sorella di Sebastiano, e di tante
altre persone, familiari dei ragazzi che si erano suicidati in Col-
lina nel corso degli anni, non servirono a niente. Caddero nel
vuoto, raccolte solo da qualche giornalista minore, che ben pre-
sto le lasci cadere di nuovo dove le aveva raccolte. Nel vuoto.

Con me Riccardo cambi atteggiamento. Intervistato, diceva che


in fondo ero un bravo ragazzo e che lui capiva le mie ragioni. Mi
voleva bene e anche per questo mi aveva dato i centocinquanta
milioni. Un po perch Ivan Carrau pur sempre un istintivo
e temeva la fuga di notizie sulla morte di Sebastiano, che aveva

338
dovuto tacere, lo confermava, per non destabilizzare i quasi tre-
mila ragazzi che cercava di salvare ogni giorno dalla droga. Un
po per farmi ricominciare una vita tranquilla, fuori.
E se anche lo avevo attaccato con accuse infondate... ebbene
era disposto a perdonarmi.
Attico mi disse che non laveva detto a caso, che mi voleva
perdonare. Io non capivo. Lui mi spieg. Riccardo voleva farsi
chiedere scusa pubblicamente. Lavvocato mi guard, morti-
cato. E poi mi disse: Se non vuoi nire di nuovo in galera, c
solo una cosa che puoi fare.

Lho fatta. Ho scritto la lettera. In sala da pranzo, con Barbara


che mi teneva la mano sinistra mentre io scrivevo con la destra.
Era una lettera di scuse a Riccardo per i miei comportamenti.
Ho sbagliato, scrivevo. Sono sinceramente pentito.
Dicevo a Riccardo, nella lettera, che ero stato molto disone-
sto a prendere i soldi e a ricattarlo con quella cassetta. Che poi,
comera stato dimostrato, non provava nulla.
Mentre scrivevo volevo spaccare il tavolo e le sedie e prendere
a pugni il muro no a sfracellarmi polso e nocche.
Per calmare il Nio mi concentravo su quello che Attico mi
aveva detto: scrivere la lettera di scuse era lunico modo per otte-
nere in appello una forte riduzione della pena ed evitare la galera.
Evitare la galera era il mio Valium. Era per evitare la galera
che mi stavo umiliando. Solo se Riccardo mi avesse perdonato,
diceva Attico, avrei potuto ottenere quella cazzo di riduzione.
Ed evitare la galera. E non star lontano da casa per cinque anni.
Sono lunghi, pensavo, senza di loro. In fondo, una lettera una
lettera. Solo parole. La scrivo e nisce tutto. Un po di orgoglio
sotto i piedi. Non la prima volta.

Abbiamo spedito e Riccardo mi ha perdonato, in diretta televisiva.


Chiedeva soltanto, come parziale risarcimento, il versamento

339
da parte mia di centomila lire al mese alla Fondazione La Col-
lina. A vita. Finch campavo. Simbolicamente, disse.
Abbiamo accettato, ovvio. Che dovevamo fare? Tanto, co-
mera prevedibile n dallinizio, hanno vinto loro. Dovevamo
almeno limitare i danni.

Lho saputo che ero con Barbara. Fuori da un supermercato.


Avevamo appuntamento con Valentina. Destate. Nel tardo
pomeriggio.
Valentina aveva iniziato a lavorare. I lavoretti estivi che fanno
i ragazzi. Con quello dellestate precedente si era comprata il
motorino da sola.
In quel periodo facevamo la spesa insieme, tutti e tre, Valen-
tina impazziva per i supermercati. Era una novit, soprattutto
allinizio. Per molti una stronzata, per lei era come andare al
luna park.
Io e Barbara laspettavamo nel parcheggio. Cera un tassista
che sudava da fermo, appoggiato alla sua macchina. Si acco-
stato un altro taxi e quello che guidava sbucato con la testa e
ha detto allaltro: Ma lo sai che morto Mannoni?. Io lho
sentito poco chiaro ma lho sentito.
Barbara mi ha visto sbiancare. Mi ha chiesto che succede,
stai bene? Io ho detto s. Poi ho detto no. Poi ho detto morto.
Barbara ha chiesto chi morto? Io non rispondevo. Ha iniziato
a tirarmi il braccio, si spaventata. Chi morto, Ivan, si pu
sapere? Mi fai prendere un infarto. Non rispondevo. Ivan, chi
cazzo morto?
Riccardo. Lho detto piano piano. Quasi tra me e me.
Ho visto arrivare il motorino di Valentina. Ha parcheggiato, s
tolta il casco, s accorta subito che qualcosa non andava. Ci ha
chiesto che succedeva e Barbara ha risposto: Riccardo morto.
Valentina mi ha guardato. Mi sembrato che facesse un
passo avanti per abbracciarmi. Ho fatto s con la testa, come a

340
confermare la notizia che Riccardo era morto e come a dire s,
abbracciami, non vorrei starci male ma ci sto male, che devo
fare? Ma Valentina ha detto soltanto: Lavevo sentito dire, che
era molto malato. Lo sapevo che da un momento allaltro sa-
rebbe successo.

Siamo entrati nel supermercato a comprare quello che ci serviva


per la cena e qualcosa per i giorni successivi. Un po di provviste,
come si dice. Sceglieva Valentina. Io e Barbara spingevamo il
carrello e lei ci raggiungeva e buttava dentro le cose che aveva
scelto. Le merendine e tutto quello che era morbido lo lanciava
da lontano, come se tirasse una palla nel canestro.
Io camminavo che sembravo uno zombie in mezzo agli scaf-
fali. Barbara mi guardava e faceva no con la testa, borbottava,
ma pensa te che cretino che sei, dopo tutto quel che ci ha fatto.
Sono un ragazzino, un cretino, dopo tutto quel che ci ha
fatto, come dici tu. vero. Per io non ti dico come devi rea-
gire. Mi lasci reagire come cazzo mi pare?
Non mi ha risposto, ma da come mi ha guardato si vedeva
che cera rimasta di merda. Era delusa Barbara, dalla mia rea-
zione a quella notizia. Non se laspettava.

Fino alla sera non s parlato di Riccardo che era morto.

A cena abbiamo acceso la televisione. E al telegiornale delle


otto, mentre mangiavamo, abbiamo visto le immagini della ve-
glia e del funerale.
Migliaia di persone. La maggior parte piangeva. Alcuni erano
disperati. Si mettevano le mani in faccia e singhiozzavano.
Cancro allo stomaco, hanno detto.
Adele ha dichiarato che ad ammazzare Riccardo erano stati
i processi, tutto quello che aveva dovuto sopportare negli ultimi
tempi.

341
I ragazzi della comunit lo hanno vegliato senza mai andare
a dormire, un giorno e una notte.
Noi tre, seduti a tavola, ascoltavamo senza dirci niente. Io
stavo zitto dal pomeriggio, da quando lho saputo. Ma anche
Barbara, guardando le immagini della Collina, non se l sentita
di dire qualcosa. Niente a favore e niente contro. Semplice-
mente, man mano che scorrevano le immagini della comunit,
in alternanza alla bara con Riccardo dentro, Valentina ogni
tanto diceva cose del tipo: Lippodromo lhanno ristrutturato,
alla ne... Adele almeno oggi lo poteva evitare il turbante... Le
stalle per sono sempre uguali, vero? A me sembrano uguali.
Viste in televisione sono proprio belle.

Al funerale di Riccardo non ci sono andato. Sono stato indeciso


no allultimo ma non me la sono sentita. A parte che non so
se mi avrebbero fatto entrare. Ma comunque non ho avuto le
palle di andarci. Hanno fatto un funerale che sembrava un capo
di Stato. E forse se non fosse morto lo sarebbe diventato, prima
o poi, in un modo o nellaltro.

Guido un Ducato, ora. Vado a prendere le medicine dai distri-


butori, le carico nel furgone e le porto alle farmacie.
Mi sveglio presto, prestissimo, a volte prima che fa giorno.
Mi piace lodore a quellora. Passeggio, chilometri a piedi, poi
torno a casa, mi preparo e vado a lavorare.
Con Barbara abbiamo evitato cause di adamento e stronzate
del genere. Decide Valentina, quando vedere chi. Anche perch
ormai maggiorenne, ma non solo per questo. Pure prima deci-
deva lei. Viveva con Barbara ma quando aveva voglia di vedermi
veniva a casa mia e stavamo un po di tempo insieme.
Sta con un musicista, un aspirante musicista, uno di ven-
tanni, della sua et, che suona la chitarra. Lei ha cominciato a
cantare gi da un po e ormai lo fa per lavoro. Lho sentita a una

342
serata col ragazzo, con il gruppo del ragazzo. Lhan fatta fuori
Rimini.
Barbara ogni tanto la incontro, soprattutto quando ci riu-
niamo un po di noi che stavamo in Collina e adesso viviamo
fuori.
Di quelle riunioni mi piace che vedo Barbara ma non mi
piace che si parli quasi sempre e quasi soltanto della Collina.
Si parte dai Ti ricordi pi belli... sostanzialmente riguar-
dano let, il fatto che eravamo pi giovani... e si va a nire a
quelli peggiori.
Perch di storie che sono successe ai ragazzi della Collina, a
far due conti, sono poche quelle a lieto ne.

Vivo con Rita. molto bella. Ha poco pi dellet di Valentina.


Ma questo non centra, son cazzi miei. Anche perch non che
ho settantanni. Ne ho quarantadue.
Ci vogliamo bene la mia ragazza e io. Abbiamo un bambino.
Si chiama Goran.
Goran innamorato di Valentina, Valentina innamorata
di Goran.

Continuo a pagare, ogni mese, quel che devo pagare dopo il


perdono pubblico di Riccardo. Come una rata, uno stipendio
da versare, puntuale, alla comunit. Li hanno convertiti, sono
cinquantadue euro, da pagare fino a quando non muoio, alla
Collina, che ancora funziona a pieno ritmo, anche se lha
presa in mano Luca e i rapporti con i Poli non sembrano es-
sere granch.
Luca invitato spesso in televisione, meno di Riccardo, non
ha il suo carisma, ma continuano a farlo parlare. E lui parla pi
di tutto del pericolo delle droghe leggere, perch solo di eroino-
mani ormai ne trovano pochi, o comunque meno di prima. Ci
vivono ancora pi di duemila ragazzi, su in Collina.

343
I loro prodotti sono sempre pi ricercati sul mercato. Una
bottiglia di vino la paghi pure cento euro. Hanno aperto anche
un ristorante, di anco al gabbiotto del posto di blocco. Fa tre-
cento coperti e mangiare l costa caro, mi hanno detto.

A Riccardo hanno dedicato vie e piazze in molte citt italiane.


C pure qualche statua, qualche mezzo busto, in alcuni paesi.
La sua faccia nita anche su un francobollo, lho visto ul-
timamente, coi ba, sorride, di tre quarti, guarda lontano.
Quando ho saputo che morto mi ha fatto male ma ormai
non sento pi niente. Non porto rancore ma nemmeno mi
manca. Non so spiegarmi... Non sento niente... Ecco tutto.
Se mintervistassero e me lo chiedessero, risponderei proprio
cos: Gli ho voluto bene. Parecchio. Adesso nita.
Ma tanto non mintervista pi nessuno.

Allultima riunione con gli ex della Collina ho sentito dire che


mentre Riccardo era sul letto di morte, quel fesso di Luca,
come lo chiamava lui, gli ha portato un documento su cui era
scritto che gli spettava la presidenza della Fondazione La Collina
e due terzi del capitale che avevano messo da parte.
Dicono che Riccardo ha provato a rifiutare, nominava
Claudia, la figlia maggiore, che non vedeva da anni. Farfu-
gliava. Claudia... Claudia. Voleva dire a Luca che qualcosa
spettava pure a Claudia. Ma Luca gli ha messo la penna in
mano e ha detto: E adesso firmi. Pare che Riccardo abbia
firmato.
Questo lo dico per confermare quello che direi al giornali-
sta, se mintervistasse. Perch quando ho sentito questa cosa,
non mi ha fatto male, non mi dispiaciuto per Riccardo, che
invece una cosa come questa, se lavessi sentita dieci... anzi
quindici anni fa, sarei andato da Luca e lavrei strozzato con
le mie mani.

344
Ma non importa. Anche perch neppure posso dire con cer-
tezza che sia successo. Son voci, solo voci. Come sempre, in
Collina.

E sono voci pure quelle che parlano della tomba di Riccardo e


dicono che in Collina, dov sepolto ucialmente, nel cimitero
interno, in realt il corpo non c mai stato.
La tomba sarebbe stata sempre vuota. Una tomba simbolica,
un luogo di pellegrinaggio per i ragazzi e per tutti quelli che lo
amano. E sono tanti quelli che vanno a portare i ori e a pregare
l, quelli che ancora lo amano.
Ma ci sono pure quelli che lo odiano, e Adele lo sapeva. Al-
lora, secondo queste voci, lo avrebbe fatto seppellire da unaltra
parte per paura delle profanazioni e dei sequestri. Che spesso
succede, alla famiglie ricche e famose.
Il corpo di Riccardo, quindi, sarebbe stato portato via. Dove,
proprio non si sa. Avevo pure chiesto un po in giro, allinizio,
solo per curiosit, e mi rispondevano che si parlava di un posto
lontano, forse centinaia di chilometri dalla Collina. Addirittura
fuori dallItalia. Un posto nascosto e pi sicuro, comunque. Ma
nessuno mi ha saputo dire di pi e nessuno mi ha dato la cer-
tezza che sia vero. Informazioni precise non ce ne sono. Resta
un segreto, che pochissimi conoscono e che no a ora sono stati
bravi a custodire.

345
Questa storia ispirata alla mia vita, a quella dei miei genitori
e alle tante persone che in questi anni hanno raccontato la loro
esperienza permettendoci di scrivere questo romanzo.
Rielaborando tutte le loro storie nata La Collina.
Andrea Delogu
Andrea Delogu ringrazia:

Perdonami, mi dispiace, ti amo, grazie (Hooponopono)

Grazie a mia madre, a mio padre, alle mie estremit: mia sorella
Barbara e mio fratello Evan. Alla nonna Rina. A chi mi ha vista
crescere. A chi se pur con paura mi ha dedicato il suo tempo per
questo progetto. Al team Celebration e alla Stanzetta. A Andrea
Cedrola per essersi dato del suo istinto. Allamore spettinato.

Andrea Cedrola ringrazia:

Aicha.
Valeriana, Maria Caterina.
Mario.
Eugenio, Achille, Mimmo, Guido.

Davide, Fabio, Stefano, Sebastiano, Walter, Daria, Giuseppe,


Lorenza, Paolo, Chiara, Marco, Lorenzo, Filippo, Cyril, Antonio.

Un ringraziamento speciale a Gloria Malatesta.


Indice

PROLOGO 9

I RITORNO 13
Gli angeli sono caduti 15
Siamo fatti di sapone 40
La casetta nostra 54
Uomo di ducia 68
Incidenti 84
Decapitazione del vecchio 96

II IL NIO DI SAN BABILA 117

III PERMANENZA 131


Brutto 133
Lavorare, lavorare 151
Faccia a faccia 175
Nascita di un sogno 198
Di chi sono i soldi? 220

IV IL CORPO DEL GIGANTE 237

V RESISTENZA 257

VI IL MONDO DI FUORI 315


Finito di stampare per conto di Fandango Libri s.r.l.
nel mese di gennaio 2014
presso Grache del Liri s.r.l.
03036 Isola del Lire (FR)

Redazione Fandango Libri

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