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09/04/2017 Aereoporto di Parigi Charles de Gaulle

Diario di viaggio e nota di sfogo, lunga e ironicamente scottante, continuate a vostro rischio e
pericolo.

Oggi il giorno, Quel Giorno, in cui per la prima volta mi reco a visitare la nazione che stata mia
croce e delizia negli ultimi anni: la Russia. Controversa ma affascinante, folle ma ricca di cultura,
un paese dove vale la pena poggiare il piede almeno una volta. Ecco che quindi saluto qualche
amico, i parenti e mi corico prima del solito, sperando di essere carico ed in forze per l'importante
viaggio. Ovviamente non dormo; qualcosa nelle mie viscere si agita, come sempre prima di un
momento importante, eppure sembra esserci qualcosa di pi. Una piccola, minuscola, puntina nera
che rende il tutto stranamente pi inquietante, una vocina sottile che mi bisbiglia "qualcosa non va".
La sveglia alle 6, le ore di sonno non sono altrettante, colazione veloce e ultimi ritocchi prima di
partire. Il viaggio in macchina procede sereno, niente di preoccupante. All'aeroporto... ecco, ci
siamo dimenticati il collare di Cheyenne, sar sicuramente quello, quel "qualcosa che non va", il
mio intestino mi ha avvisato come al solito, il mio colon una sfera di cristallo. Il check-in lento
ma senza intoppi, a parte la nota quasi ignorata che a Parigi dovr fare un nuovo Boarding Pass,
dato che Airfrance non autorizzata a rilasciarne uno valido anche per Aeroflot. "Poco male" penso
"S come riempire l'ora e venti di tempo per la coincidenza". Passo i controlli, raggiungo il gate, mi
imbarco, tutto procede liscio. Spengo il cellulare, spengo il cervello, anche la pancia mi dona un po'
di tregua e alla fine chiudo gli occhi e mi addormento. Una voce gracchiante in un italiano con
retrogusto di escargot mi riporta alla realt e "alla mie destro possou veder Paris", una vista
decisamente confortante, quasi da fotografare, ma il cellulare dorme ancora quindi scelgo di tenermi
questa foto mentale come ricordo, la Tour Eifelle che sbuca dallo smog una visione preziosa. Il
carrello tocca terra, le porte si aprono e la mia missione semplice: andare dal Terminal 2F al
Terminal 2C, una camminata di 10 minuti in un corridoio esterno dell'areoporto. Ecco, a questo
punto e solo a questo punto, accendo il telefono e mi rendo conto del terribile evento scatenante che
innescher un effetto domino catastrofico. Siamo arrivati in ritardo, quasi mezz'ora, ho solo
cinquanta minuti per imbarcarmi. Come un eco dal fondo della mia mente, mi sembra di sentire un
ticchettio insistente: tic-tac. Spedito e lesto dimezzo i tempi di percorrenza di quel maledetto
corridoio e di fronte alla prima ragazza in abito arancio mi fermo e mostro senza esitare passaporto
e carta d'imbarco. Lei li prende, li passa sotto una lucina rossa che f "bip" e diventa verde,
rincuorato muovo un passo. "Wait, please, let me check again..." mi paralizzo, sono in apnea, sudo
freddo. Tic-tac. "Bip", luce verde, prendo un respiro "Sorry this boarding pass is not valid, you need
to go back to Terminal 2E and get a new one" torno in apnea. Tic-tac. Ho 45 minuti, non sono
messo male, posso ancora farcela, corro di nuovo lungo il corridoio e mi fermo a parlare con una
receptionist. Le spiego la situazione, lei mi sorride e mi dice che devo uscire dal terminal e rientrare
dal successivo "But your collegue just..." no, devo rifare il check-in al Terminal 2C. Tic-tac. Chiude
fra 5 minuti. Tic-tac. Corro. Tic-tac. Devo uscire, sbaglio strada, corro pi forte, sono in ritardo.
Arrivo al 2C, leggo dai tabelloni che il volo per San Pietroburgo al banco 14, dove ora stanno
imbarcando per la Turchia. Tic-tac. Trovo il banco di Aeroflot, ad attendermi due dame, che per
aspetto ho deciso di nominare Stalja e Olga. Non ci provo nemmeno a spiegarmi in russo col fiato
spezzato e la fretta che mi picchia sulle tempie. Tic-tac. "Do you speak english?" "Yes..." gli spiego,
tra un respiro e l'altro, la situazione. La prima a parlare Stalja, piccola, magra, naso importante e
sguardo vacuo; chiara e concisa, sono in ritardo. Il tic-tac si ferma, in sincronia con il mio cuore
che salta un battito. Non c' niente che io possa fare? Olga conviene con la sua collega, credendo
che io non capisca, che io sia troppo in ritardo. I suoi occhi azzurri, piccoli e affilati mi guardano e
ripetono il concetto in un modo che chiunque potrebbe comprendere. Un suo ciuffo biondo cade
come le mie speranze sopra la sua fronte minuscola. Chiedo di cambiare volo, devo arrivare entro
oggi. Il suo mento da rospo si gonfia mentre mi dice che domenica "That was the last flight for
today, I'm afraid" interviene Stalja, sporgendo le sue piccole ossa come a coprire la figura della
collega che tuttavia ha l'imponenza della matrioska pi grande della serie; forse per uno scherzo del
destino o per un ben studiato protocollo tra colleghe, solo il suo naso a vela copre perfettamente le
piccole labbra di Olga, togliendomi infine la possibilit di sapere quanta e quale perversa
soddisfazione avesse tratto dal darmi questa notizia. Le parole che pronuncia, per, superano quella
barriera e mi comunicano un concetto chiaro: "Ask Airfrance, that was their fault". Le mani pulite,
come Pilato. Vorrei insistere, sono pronto a supplicare: "Compagna, che fine ha fatto la solidariet
sovietica insita nel tuo sangue rosso di ideali e non di emoglobina? Sono un compagno anche io,
giuro, sono stato a 2 concerti dei Modena City Ramblers e quando morto Castro mi passato per
la testa che se avessi avuto ancora 14 anni avrei condiviso la sua foto con l'ashtag #hastalavictoria.
Ci ho pensato, non basta?" temo di no e sconsolato mi trascino al confinante banco di Airfrance. Ad
accogliermi un povero innocente agnello truccato come se dovesse lavorare sotto un lampione sul
marciapiede. Vorrei arrabbiarmi, ma resto calmo e le spiego tutto. Mi cambia il biglietto, senza fare
storie. C-come scusa? Faith in humanity restored, allora non siete tutti delle stronze acide con il
peso specifico di una nana bianca e no, non parlo della sua collega ma del corpo celeste. E il
bagaglio? Di sicuro sar partito senz... ah qui? E me lo potete mettere sul volo nuovo? Ma allora
tutto a pos- "Now you must go and check-in as soon as possible because the only flight for St.
Petersburg today was at 18.05 and it was fully booked so you must be quick" -to. Tic-tac. Oh no,
ricomincia. Ringrazio e volo, ovviamente di nuovo al Terminal 2F; Ancora quel corridoio, ormai fin
troppo familiare escluso lo scricchiolio dei cocci delle mie speranze infrante sotto le scarpe. Tic-tac,
sono al 2F. Airfrance al banco 4. "Sorry for your flight you actually need to go to desk 2" tic-tac
"Ehm, we are closing now, every costumer has been sent to desk 4" tic-tac "You again! No, we
cannot help you, try desk 3" tic-tac "Oh, well... I don't know... ask my collegue, queue here" tic-tac.
Calma, non tardi, hai pi di 4 ore, calma quelle viscere scalpitanti e trascinati lungo la fila senza
dare a vedere che stai soffrendo. Ok, here is your boarding pass, but as for your luggage I can't
where it is now. It should be moved to your flight before you take off". Tic-tac. Ora solo un'ultima
fila mi separa dal controllo dei passaporti e quindi dal Gate L25 che ha ora, per me, tutti i connotati
di una terra promessa; un'ultima fila di 500 metri, esclusa la serpentina che porta a due soli sportelli.
Uno per stranieri, uno per europei. Fiero dei vantaggi dell'Unione mi incodo e faccio amicizia con
una compagna di sventure: M#@$ (scusa non ricordo il tuo nome, ma tu non sarai dimenticata),
americana in viaggio di lavoro, nella mia situazione di poco prima; il suo volo parte tra 40 minuti,
lei deve imbarcarsi e il suo tic-tac si sincronizza col mio a scandire le storie delle nostre
disavventure, delle nostre vite e soprattutto dei nostri insulti. Mi affeziono, non sono solo, ma la
gioia dura poco. Lei si lancia verso la salvezza, un salto nel vuoto che le coster caro. A 40 minuti
dal suo volo, pronta a tutto, chiede ad un anonimo membro del personale di terra di potersi
imbarcare, ma questo contrito e con rammarico, scuote la testa e la informa che ha una borsa di
troppo, perch il suo trolley dovrebbe andare in stiva ma ormai tardi per imbarcarlo. La vedo
andare in frantumi al suono del suo stesso "What?!" e una parte di me vorrebbe tenderle una mano,
aiutarla, ma non posso ricomporre un puzzle cos complesso senza istruzioni, non ho tempo. Tic-tac.
Non ho tempo, la mano resta lungo il mio fianco e il mio sguardo si volge avanti. Porter a termine
questa impresa anche per te. I metal detector non suonano, la navetta in orario e il Gate L25 non il
miraggio del deserto che credevo ma esiste, c' Starbucks e pure il Wi-Fi. La terra promessa,
allelujah. Mi siedo, informo tutti, finalmente mi distendo e il corpo mi ricorda che non mangio dalle
6.30; le provviste: due saccottini ed una barretta dietetica. "Non rester nulla per il viaggio di
ritorno... -Non ci sar un viaggio di ritorno, padron Luca" mi rispondo da solo, mentre immagino il
momento in cui calcher la soglia di quell'aereo e magari nella folla di teste in fila per tre ne vedr
una con turbante, pelle scura e barba ricciola. "Non potrei aspettarmi di meno, dopo tutto questo..."
penso mentre immagino lo sguardo sconsolato con cui fisserei quegli occhi, scuotendo
svogliatamente la testa pi per rassegnazione che per provare ad essere di qualche persuasione. Due
occhi altrettanto scosolati mi risponderebbero forse con un lieve assenso, quasi svogliato, dopotutto
nella sua terra promessa Starbucks non ancora arrivato. Tic-tac. Ricette per questo disagio:
giornata iniziata malissimo, proseguita peggio; Wi-Fi libero e caff pessimo; Un laptop e 4 ore da
buttare via. Vi voglio bene.

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