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Educazione Democratica

Rivista semestrale di pedagogia politica


anno I, numero I, dicembre 2010

Edizioni del Rosone


Educazione Democratica
Rivista semestrale di pedagogia politica
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Impaginato con LATEX
Presentazione
Dopo la ne dei regimi comunisti, la democrazia rappresentati-
va si è imposta come l'unico modello di organizzazione politica
razionale, praticabile e rispettosa dell'uomo. È convinzione dif-
fusa che essa non rappresenti una esperienza storica circoscritta,
legata a particolari condizioni storiche, culturali ed economiche,
ma che sia un modello universale, verso il quale gradualmen-
te è chiamata a convergere l'umanità intera. Di qui le guerre
umanitarie per diondere i valori democratici, la deposizione di
qualche dittatore che no a qualche anno prima era considerato
un buon amico dell'Occidente democratico, la lotta al terrori-
smo internazionale ed agli stati canaglia. Questa, almeno, è
la giusticazione retorica, che tuttavia non riesce a dissimulare
l'evidenza della diminuzione di democrazia che queste impre-
se comportano sia nei rapporti internazionali che all'interno dei
singoli stati. Non c'è democrazia a livello internazionale quan-
do il capo di uno stato, benché non democratico, viene deposto
con le armi sulla base della supposizione palesemente infondata
che disponga di armi di distruzioni di massa; né si può conside-
rare rispettosa del diritto internazionale una missione militare
contro uno stato per colpire un'organizzazione terroristica; né
hanno molto a che fare con i principi democratici le violazioni
dei diritti umani, le torture, i massacri di civili che quelle opera-
zioni militari hanno comportato e comportano. Non meno grave
è la diminuzione di democrazia che queste operazioni comporta-
no negli stessi stati occidentali. Il dissenso viene messo a tacere
spesso con la forza, la libertà di informazione è fortemente limi-
tata, i diritti in qualche caso apertamente negati. Si crea uno
stato d'eccezione, che rende possibile la creazione di un orrore
come il carcere di Guantanamo nello stato che ha la pretesa di
essere la guida del propcedere mondiale verso la democrazia.
Non sono gli unici segni di una vera e propria crisi della democra-
zia. In tutti gli stati democratici la disaezione dei cittadini nei
confronti della politica ha superato da tempo la soglia di allar-
me. Lo stesso diritto al voto, strumento minimo di esercizio
della cittadinanza, è riutato ormai da un elettore su quattro.
Quelli che votano, raramente lo fanno in modo consapevole, in
Educazione Democratica

seguito ad una adeguata informazione e considerazione dei pro-


grammi dei partiti politici e dei candidati. Tramontate le grandi
ideologie, la scelta del partito da votare avviene spesso in base
al condizionamento dei mass-media; e quando televisioni e gior-
nali sono controllati da un unico imprenditore-politico, si hanno
fenomeni di populismo mediatico i cui rischi per la democrazia
sono ecacemente dimostrati in Italia dal berlusconismo.
Tra le cause di questa crisi è da notare la progressiva scomparsa
delle organizzazioni, dei gruppi, dei luoghi intermedi tra il cit-
tadino e lo stato. Mancano le occasioni di confronto pubblico,
di discussione, di analisi condivida delle questioni che riguar-
dano la cosa pubblica. È una società di cittadini atomizzati,
isolati davanti al televisore, sempre meno in grado di vericare
le informazioni che giungono dall'alto grazie al confronto con
gli altri. La situazione non è nuova: già Dewey in The Public
and its Problems (1927) aveva denunciato il pericolo per la de-
mocrazia rappresentato dall'eclissi del pubblico, termine con il
quale indica un qualsiasi gruppo che subisca le conseguenze di
un atto politico. Con lo sviluppo della società industriale per
il losofo americano si è passati dalle piccole comunità ad una
Grande Società, nella quale le conseguenze di una decisione po-
litica risultano così complesse, anche tecnicamente dicili da
individuare, che il pubblico non riesce a risalire dagli eetti alle
cause, ad individuare con certezza i responsabili di una situazio-
ne, a comprendere i meccanismi della cosa pubblica. Di qui un
1
pubblico amorfo e disarticolato ; di qui l'apatia ed il ripiego sul
privato, la sostituzione dell'impegno politico con il divertimento
e la trasformazione della politica da impegno comune ad aare
dei politici e dei burocrati di partito. Il vuoto tra il governo ed
la massa amorfa del pubblico viene colmato dai capipartito e
2
dai loro apparati . La straordinaria complessità dei meccanismi
della società globalizzata porta queste dinamiche all'estremo: ed
il vuoto, che è diventato vero abisso, è colmato in qualche ca-
so da personaggi spregiudicati che, appellandosi direttamente ad
un popolo che è unicato in ultima analisi dalla condivisiuone di
un sistema compatto di consumi, costruiscono il proprio succes-

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J. Dewey, Comunità e potere, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1971, p.

103.
2
Ivi, p. 94

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so personale sulla semplicazione estrema dei problemi. I nuovi


partiti politici nascono sul modello aziendale, il successo eletto-
rale si costruisce come una qualsiasi campagna di marketing 
come la pubblicità, gli slogan politici fanno leva sulle paure, sul-
le debolezze, perno sulle meschinità del consumatore-elettore.
E inevitabilmente crescono i pregiudizi, le informazioni incon-
trollate, i veri e propri miti, la chiusura, la demonizzazione di
chi è diverso. È la società che accetta che alcuni uomini ven-
gano ridotti ai margini dell'umano con la terribile etichetta di
clandestino, preludio ad ogni violenza e ad ogni sfruttamento.
In una società disgregata tramontano i valori autenticamente
politici per il venir meno del senso stesso della polis. Valore po-
litico diventa ciò che rappresenta un vantaggio per l'individuo e
per la sua famiglia. L'interesse privato sostituisce la solidarietà,
una malintesa sicurezza prende il posto della giustizia, la licenza
di chi può permettersi di sottrarsi alle regole comuni si insedia
al posto della libertà. Non mettere le mani nelle tasche degli
elettori è il programma politico che risulta vincente, con buona
pace dei vecchi ideali di giustizia, libertà e solidarietà.
Non solo l'umanità degli altri, dei diversi o degli stranieri, è
in pericolo. Il tramonto dei valori politici e la frantumazione
della polis non sono senza conseguenze per gli stessi individui.
Il cittadino-elettore attento alle proprie tasche più d'ogni cosa,
didente nei confronti di tutti, pronto a tollerare o appoggiare
apertamente ogni violenza se necessaria per non mutare in nulla
la sua condizione di benessere (anche i campi di concentramento
per immigrati, anche il respingimento in mare, se sono necessari
per evitare l'invasione di clandestini paventata dai mass-media)
è un essere umano che si è incamminato sulla via di quella disu-
manizzazione che nel secolo scorso ha prodotto alcune delle più
grandi tragedie della storia. Ad una democrazia parziale corri-
sponde un uomo parziale, ridotto alla sola dimensione dell'utile
e dell'interesse personale, tranciati i mille legami che lo collega-
no alla sua comunità locale ed al più ampio respiro dell'umanità.
La democrazia  la democrazia autentica  è il sistema politico
nel quale è possibile la più ampia esperienza possibile dell'uma-
no. Poiché favorire uno sviluppo piano, ampio, armonico del-
l'umano è il compito e il ne ultimo dell'educazione, esiste un
legame indissolubile tra democrazia ed educazione. La demo-

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crazia non è possibile senza educazione, così come la mancanza


di democrazia  o una democrazia parziale  rende dicile una
vera educazione.
Non sorprende, stando così le cose, che si parli di crisi dell'edu-
cazione. Sintomi di questa crisi sarebbero i comportamenti allar-
manti e sempre più frequenti dei più giovani: violenze, teppismo,
bullismo, espressioni eclatanti di una fragilità e di un disorien-
tamento di cui si individua la causa nell'incapacità di coloro che
la responsabilità dell'educazione. Gli adulti, si dice, hanno ri-
nunciato al loro ruolo di educatori, per farsi amici e complici dei
ragazzi; manca il coraggio di dire no, di fare un uso ragionevole e
necessario dell'autorità, di vietare ciò che va vietato. È un'anali-
si che, una volta tanto, mette d'accordo esperti e gente comune,
pedagogisti e genitori (quelli, s'intende, che riescono ancora ad
essere rigorosi ed autorevoli); nondimeno, si tratta di una anali-
si superciale. Ognuno di noi è parte del sistema sociale. Ogni
comportamento individuale va letto alla luce della realtà socia-
le, da quella più prossima no alla più ampia comunità umana.
L'interpretazione di un fenomeno come il bullismo alla luce della
presunta mancanza di autorità o autorevolezza degli educatori
è miope. Non vede il legame che esiste tra i comportamenti vio-
lenti degli adolescenti e quelli degli adulti, tra la violenza che
esplode all'improvviso in un contesto come la scuola, che do-
vrebbe essere caratterizzato da serenità e rispetto, e quella che
normalmente caratterizza il confronto politico, il mondo econo-
mico, i mercati nanziari, le stesse relazioni interpersonali nel
mondo capitalistico. Un sistema che funziona secondo le logiche
del protto individuale e della competizione non può pretendere
dai più giovani rigoroso rispetto e senso di solidarietà. La stessa
scuola educa alla competizione, più che alla collaborazione. Non
è un caso che il paese maggiormente colpito dal bullismo e dalla
violenza scolastica sia il Giappone, paese caratterizzato da un
altissimo senso della competizione tra individui, e nel quale non
manca di certo il senso dell'autorità e delle regole.
La crisi dell'educazione viene da lontano. La storia dell'educa-
zione è un capitolo signicativo della storia della violenza. Non
solo della violenza sica, che pure per secoli è stata strumento
privilegiato di maestri e genitori, e che ancora si esercita di-
scretamente nel chiuso delle famiglie, né soltanto della violenza

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psicologica, che continua invece aperta e indisturbata a segna-


re la quotidianità delle nostre scuole. Attraverso l'educazione,
quale avviene nelle istituzioni scolastiche, si aerma la violenza
di classe: è la scuola che fa la "classe dirigente", è la scuola
che fa la classe dei subordinati; è la scuola che giudica e man-
da, promuove o respinge secondo un criterio che non è dicile
smascherare: l'adesione e la partecipazione più o meno convin-
ta ai valori ed alla cultura della classe dominante. Il compito
di emancipazione sociale, che la scuola si attribuisce, evidente-
mente è al di sopra delle sue possibilità, se non della sua reale
volontà. La scuola non riesce ad incidere sulla mobilità sociale,
e ciò soprattutto nel nostro paese, nel quale la distribuzione del
potere, del denaro e del prestigio resta immutata negli anni, nei
decenni. Quelli che non sa promuovere socialmente, la scuola li
condanna. Chi esce dal sistema scolastico senza aver conseguito
un diploma è un paria, un emarginato cui la comunità dei colti
guarda con compassione o disprezzo. Per lui, la promessa del
paradiso dell'accettazione e del successo sociale si rovescia nella
minaccia dello stigma. Gli altri, i promossi, acquistano valore
economico. Il sacricio scolastico è un investimento, la cultura
una dote che fa aumentare la propria quotazione sul mercato del
lavoro. Equipaggiati per bene, potranno partecipare da prota-
gonisti al gioco comune del comprare e del vendersi.
Una democrazia è autentica e sicura di sé quando le persone han-
no un potere eettivo ad ogni livello della vita sociale e politica;
quando c'è la possibilità di inuire eettivamente sulle decisio-
ni che riguardano il bene comune, controllando il potere della
classe politica; quando è possibile disporre di una informazione
libera, che metta in grado di valutare le questioni pubbliche con
serenità e consapevolezza; quando i cittadini contano quanto i
grandi potentati economici ed i gruppi di interesse. In una so-
cietà democratica tutti hanno pari dignità, indipendentemente
dalla cultura, dall'età, dal sesso, dall'etnia. Questa aermazione
di principio, che pochi contesteranno, si scontra nella realtà con
la persistenza di rapporti gerarchici ed asimmetrici a vari livel-
li della vita sociale. Impegnarsi per una autentica democrazia
vuol dire portare la simmetria e l'uguaglianza lì dove persistono
la gerarchia e le pratiche di inferiorizzazione.
L'ideale verso il quale tende una autentica democrazia è quello

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del potere di tutti : una società nella quale ognuno abbia la pos-
sibilità di contribuire eettivamente, ecacemente alle decisioni
comuni, e nessuno sia ridotto ai margini dalla povertà, dalla di-
scriminazione, dal pregiudizio, dall'indierenza. Il che vuol dire
prendere sul serio l'idea di una società giusta di uomini liberi ed
uguali. Idea che nessuno contesterà, in teoria; ma che si scontra
nella pratica con il persistere di gerarchie, di pregiudizi legati
allo status, di forme di esclusione sociale che giungono no alla
negazione stessa dell'umanità, oltre che con un sistema econo-
mico che subordina sostanzialmente il bene pubblico al protto
di pochi.

Educazione Democratica nasce per esplorare il nesso tra de-


mocrazia, che è la ricerca di una società di uomini liberi ed
eguali, e l'educazione, che è la prassi sociale con la quale si cerca
di condurre l'individuo alla massima realizzazione possibile della
sua umanità. È una rivista di pedagogia politica. Questa espres-
sione non è molto usata. Vi ricorre Paul Ricoeur in un saggio
su Mounier per indicare una pedagogia della vita comunitaria
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legata a un risveglio della persona . L'essenza della pedagogia
politica, così intesa, è l'analisi del rapporto che c'è tra cambia-
mento individuale e cambimento sociale. In realtà, l'espressione
può risultare pleonastica, poiché ogni forma di educazione ha
un inevitabile carattere politico. Parlando di pedagogia politica
sembra che si voglia gettare la pedagogia nelle braccia dell'i-
deologia, proprio quando essa cerca di fondarsi come scienza.
Non si può tuttavia negare che anche la riessione pedagogica
più fredda e distaccata abbia un preciso aspetto politico, vada
nella direzione della realizzazione di un certo tipo di società. Il
problema di pedagogia politica della nostra rivista è il seguen-
te: quale tipo di educazione è coerente no in fondo con l'ideale
democratico? Poiché, come detto, la democrazia è quel sistema
politico nel quale è possibile una piena realizzazione dell'umano,
questo problema si risolve in quello più generale, proprio della
pedagogia: quale è il miglior modo di educare? Metodologica-
mente, questa ricerca terrà conto del legame indissolubile tra
mezzi e ni. Se il ne dell'educazione è una società di uomini

3
P. Ricoeur, Emmanuel Mounier: un philosophe personaliste, in Id.,

Histoire et Vérité, Seuil, Paris 1955, pp. 137-138.

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liberi ed uguali, il mezzo non potrà essere che un'educazione che


rispetti nel modo più rigoroso la libertà e l'uguaglianza; se il
ne è una società nella quale tutti abbiano potere, l'educazione
migliore non potrà essere che quella che abitua gradualmente,
concretamente all'esercizio del potere.
Le direttrici culturali lungo le quali si svilupperà la ricerca di
Educazione Democratica sono quattro:
 la tradizione della pedagogia antiautoritaria e libertaria, dall'e-
sperimento di Jasnaja Poljana di Tolstoj no alle proposte della
descolarizzazione di Illich e Reimer, ed oltre;
 la tradizione della pedagogia laica e democratica, da Dewey ai
nostri Lamberto Borghi e Piero Bertolini.
 la tradizione della pedagogia della nonviolenza, in particolare
quella dei maestri italiani: Aldo Capitini, Danilo Dolci, don Lo-
renzo Milani.
 l'attuale movimento internazionale per la democratic education
ed i molteplici tentativi di scuole alternative, dalla Subdury Val-
ley Schools alla scuola democratica di Hadera in Israele.
Educazione Democratica intende dare il suo contributo al dibat-
tito pedagogico orendo saggi e studi a carattere storico, analisi
di esperienze educative innovative, traduzioni di autori stranie-
ri. Ognu numero di aprirà con un dossier dedicato a fenomeni
politici o sociali, analizzati in generale e dal punto di vista edu-
cativo, o ad autori o esperienze legati alle linee di ricerca di cui
s'è detto. Lo stile culturale è quello di una critica pedagogica
completata da una critica della critica, per così dire; vale a dire
da una analisi disincantata delle stesse proposte alternative. I
collaboratori sono invitati a scrivere in uno stile piano e com-
prensibile, evitando quei paludamenti che piacciono tanto negli
ambienti universitari ma che in n dei conti sono indice di me-
diocrità e pochezza culturale.
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