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Valeria Airaldi

Letteratura Italiana I
(modulo avanzato)

A.A. 2005/2006

Dante
La Divina Commedia
Inferno X
Suo cimitero da questa parte hanno
con Epicuro tutti suoi seguaci,
che lanima col corpo morta fanno
(Inf. X, 13-15)
Gi il Foscolo rilev limportanza artistica di questo canto, ma in realt la sua scoperta come
momento pi alto della poesia di Dante, dovuta al De Sanctis, con il quale definiamo Inferno X il
canto di Farinata.
LAuerbach fece notare come sia qui presente, in cos breve spazio, una condensazione di eventi,
singolare per gravit, drammaticit e variet.
Ci troviamo nel sesto cerchio, in cui Dante e Virgilio erano approdati sul finire del canto IX, dopo la
dipartita del Messo celeste (Dentro li ntrammo sanzalcuna guerra, Inf. IX, 106). In questo
cerchio infernale vengono puniti gli eretici, come Virgilio si premura di comunicare a Dante (Qui
son li eresiarchecon lor seguaci, dogne setta, e moltopi che non credi son le tombe carche,
Inf IX, 127-8). La figurazione sepolcrale con cui si era concluso il canto precedente, prosegue
allinizio del canto X, con la ripresa puntuale del termine martiri (Inf. IX, 133; Inf. X, 2).
Il canto sapientemente costruito in maniera simmetrica, speculare, con precisi riferimenti tra le
parti. Nella struttura, che potremmo definire chiastica, a una prima parte (vv. 1- 9) contenente il
tema del viaggio con i riferimenti al luogo (in particolare, secreto calle v. 1; l muro de la terra v.
2) corrisponde la parte conclusiva (vv. 124-36) con la ripresa dei termini muro (v. 134) e sentier (v.
135).
I vv. 10-21 trovano rispondenza, questa volta tematica, ai vv. 94-114; viene qui trattato il tema della
condizione dei dannati, quando del futuro fia chiusa la porta (v. 108). Nella prima parte Virgilio a
informare Dante sullaspetto fisico della condizione dei dannati (Tutti saran serratiquando di
Iosaft qui tornerannocoi corpi che l su hanno lasciati, vv. 10-12), mentre nella seconda sar
Farinata, su richiesta di Dante, a fornire indicazioni sulla cecit eterna che colpir le anime infernali
(tutta mortafia nostra conoscenza da quel punto, vv. 106-7).
I vv. 22-51, corrispondenti alla prima parte del colloquio con Farinata, sono strettamente legati ai
vv. 73-93, trattandosi appunto delle due parti di uno stesso episodio, al cui centro si trova lepisodio
di Cavalcante (vv. 52- 72), che costituisce il perno attorno al quale si sviluppa lintera struttura del
canto.

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Per comodit di esposizione e agilit danalisi, nella trattazione che segue accorperemo alcune parti
fra quelle test ricordate.

vv. 1-21: Dante e Virgilio tra i sepolcri degli epicurei


Entrati nella citt di Dite, i due pellegrini proseguono per un sentiero appartato che si snoda tra le
mura e gli avelli infuocati; quindi un secreto calle (v. 1), stretto, nascosto, tanto che i due si
vedono costretti a camminare uno dietro laltro (lo mio maestro, e io dopo le spalle v. 3).
Dante chiede a Virgilio se mai si possano vedere coloro che giacciono in quei sepolcri; la domanda
di Dante generica, parla infatti di gente (v. 7), ma il suo pensiero cela un intento preciso ed
tutto rivolto su un solo personaggio, come lo stesso Virgilio dimostra di capire al v. 18 e al disio
ancor che tu mi taci. Infatti gi nel canto VI, Dante aveva palesato a Ciacco il desiderio di sapere
dove si trovavano e quale sorte gravasse su coloro cha ben far puoser li ngegni (Inf. VI, 81), fra
cui era emerso il nome di Farinata.
La risposta di Virgilio non immediata: prima chiarisce che, se i coperchi degli avelli sono alzati,
non lo saranno in eterno, tutti saran serrati (v. 10) dopo il Giudizio. I versi che seguono
puntualizzano su quale sia la setta ereticale condannata in quella parte del cimitero: le parole di
Virgilio qui (suo cimitero da questa parte hanno, v. 13) e nel canto IX (simile qui con simile
sepolto, Inf. IX, 130) ci consentono di supporre che il cimitero degli eretici sia suddiviso in settori,
ognuno dei quali ospita un particolare tipo di eresia: qui ci troviamo fra coloro che lanima col
corpo morta fanno (v. 15), ovvero i negatori dellimmortalit dellanima, opinione intra tutte le
bestialitadi stoltissima, vilissima e dannosissima (Conv. II, VIII, 8).
Epicuro con la sua filosofia materialistica, noto a Dante attraverso il De Finibus ciceroniano, nel
Medioevo era rappresentativo di coloro che appunto negavano limmortalit dellanima e in
generale di una concezione tutta terrena della vita. Tale eresia, che da Epicuro prende il nome in et
medievale (ch eretico propriamente Epicureo non si pu definire, essendo egli vissuto prima
dellIncarnazione), era molto diffusa ai tempi di Dante in Firenze, soprattutto negli ambienti
intellettuali e veniva per lo pi attribuita ai ghibellini. In Conv. IV, VI, 11-12 Dante non presenta
Epicuro in cattiva luce, ma solo come caposcuola di una delle tre pi importanti correnti filosofiche
dellantichit: Epicurei, Stoici, Accademici. La distanza di giudizio che si instaura tra il trattato e il
poema dovuta, secondo la Chiavacci Leonardi, a una diversa prospettiva: filosofica nel primo,
religiosa nel secondo.

vv. 21-51: prima parte del colloquio con Farinata


Una voce che suona improvvisa e autorevole interrompe il dialogo fra il poeta e Virgilio, invitando
cortesemente Dante a fermarsi, avendo lanima riconosciuto in lui un concittadino (O Tosco v.
22; La tua loquela ti fa manifestodi quella nobil patria natio vv. 25-26) e dopo aver rilevato il
suo parlare onesto (onorevole, cortese) con Virgilio. A rendere subitanea e improvvisa la voce
concorre, oltre allintrinseca autorevolezza e grandezza del dettato, la didascalia che Dante stesso
propone alla fine dellinterruzione (Subitamente questo suono uscioduna de larche vv. 28-29).
Il piacciati (v. 24) evidenzia la cortesia con la quale lanima si rivolge a Dante; cos Brunetto
Latini si rivolger al poeta nel canto XV (O figliuol mio non ti dispiaccia).
La voce che giunge quella di Farinata degli Uberti, come Virgilio fa notare al v. 32, appellativo di
Manente degli Uberti, capopartito ghibellino del XIII secolo. Mor nel 1264, nel 1283 fu celebrato
contro di lui e contro la moglie un processo di eresia, con condanna postuma.
Gi questa terzina ci descrive il personaggio nella sua fierezza, nella sua dignitosa superiorit e nel
suo dolore, prima ancora che egli venga presentato. Emerge subito dalle sue parole lamor di patria
e il rammarico per averle nuociuto: molesto (v. 27) ha unaccezione pi forte dellattuale ed da

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intendersi come nocivo, gravemente dannoso. Il riferimento alla battaglia di Montaperti (1260),
quello strazio e l grande scempioche fece lArbia colorata in rosso (vv. 85-86), come Dante
descriver pi avanti la vittoria ghibellina sullesercito guelfo.
Centrale appare quindi fin dora il pensiero di Firenze, che persiste cos fortemente da rendere il
personaggio di Farinata estraneo al fuoco dellinferno e dimentico della sua pena, come fa notare il
De Sanctis. Il Barbi sottolinea come nemmeno la dannazione eterna sia bastata a scemare la
passione che fu fondamento della vita terrena del ghibellino, la quale presente nella sua interezza
anche qui nellinferno e concorre a connotare il carattere fiero e magnanimo del personaggio.
Di fronte a unesitazione timorosa di Dante, Virgilio lo esorta a volgersi verso il dannato che s
dritto (v. 32) ed emerge dallarca tanto che Dante lo vedr dalla cintola in su tutto (v. 33);
celebre verso questo che il De Sanctis interpret romanticamente come lo vedrai in tutta la sua
maest e grandezza. Il Barbi afferm che il De Sanctis vide troppo pi di quello che Dante volle
esprimere e che il verso indica semplicemente che Farinata pu esser visto in tutta la parte
superiore del corpo, facendo notare come dalla cintola in su / in gi fossero espressioni a quel
tempo comuni, talora accompagnate da tutto. Non v quindi necessit di forzare il significato di
questi versi, perch lespressione della grandezza fisica e insieme morale di Farinata contenuta
nella terzina seguente: ed el sergea col petto e con la frontecomavesse linferno a gran
dispitto (vv. 35-36). I dati fisici della figura contribuiscono a disegnarne un ritratto morale,
peraltro confermato dalla sostanziale estraneit e noncuranza del dannato per le pene infernali; poco
dopo infatti, egli viene definito quasi sdegnoso (v. 41), equivalente del dispitto del v. 36, che
costituisce parola-chiave del canto, definendo latteggiamento di alterezza di Farinata prima e di
Giudo poi (v. 63).
Farinata si preoccupa subito di chiedere al suo interlocutore chi furono i suoi antenati (chi fuor li
maggior tui, v. 42), onde accertare se di fronte a lui su trovi un compagno di parte o un avversario.
Dante dubbidir disideroso (v. 43) non in gesto dumilt o sottomissione, ma per cortesia e
rispetto verso un concittadino ch a ben far aveva posto il proprio ingegno e per il quale era ben
nota la sua ammirazione sul piano umano, a prescindere dalla condanna su quello religioso.
In seguito alla risposta di Dante, Farinata si mostra corrucciato nellatto di levar le ciglia un poco
in suso (v. 45): tale espressione da intendere col Barbi come cruccio per aver appreso che Dante
un Alighieri, nota famiglia guelfa, e non gesto incondizionato proprio di chi si sforza di ricordare,
come vollero altri critici; egli osserva infatti come tale sforzo sia immotivato, essendo stati gli
Alighieri fieramente avversi (v. 46) a Farinata, ai suoi avi e alla sua fazione e quindi ben noti a
chi per due fiate (v. 48) li disperse (il riferimento alle due cacciate dei guelfi da Firenze, la
prima nel 1248, la seconda nel 1260 in seguito alla gi ricordata battaglia di Montaperti).
Nella risposta sembra essersi dissolto il Dante dubbidir disideroso, lasciando in sua vece il
difensore dellonore familiare: Sei fur cacciati, ei tornar dogne parteluna e laltra fiata;ma
i vostri non appreser ben quellarte (vv. 49-51). Il Sapegno fa notare come Dante si premuri di
cooreggere il dispersi di Farinata in cacciati, spogliando i fatti della deformazione faziosa che
il ghibellino aveva dato loro. Se gli avi di Dante furono messi al bando, non furono per questo
annientati, tanto che seppero entrambe le volte ritornare in patria (la prima nel 1251, la seconda nel
1267). La mordace risposta di Dante osserva il Barbi tale in virt della forza che rendeva gli
uomini del Medioevo cos sensibili al rinfaccio (improperium) di vergogne domestiche, donde il
dovere che Dante sente di difendere lonore di famiglia, prima di quello di parte.

vv. 52-72: Cavalcante de Cavalcanti

Con taglio netto e drammatico al v. 52 si alza al fianco si Farinata unombra che, avendo
riconosciuto Dante, si guarda attorno come talentoavesse di vedere saltri era meco (v. 55-56).
Nel momento in cui il suo dubbio timoroso trova conferma nellassenza di chi egli credeva di
trovare, prorompe in due interrogativi carichi di angoscia. Si chiede infatti Cavalcante, come mai
suo figlio Guido non sia li, presupponendo che Dante abbia tentato da solo e in virt della sua
altezza dingegno (v. 59) la terribile impresa del viaggio. Cavalcante dimostra cos di ignorare
valori che non siano umani e la premessa da cui parte in stretto accordo con latteggiamento
mentale dellepicureo, disposto ad attribuire eccessivo alle virt terrene.
I vv. 61-63 sono fondamentali alla piena comprensione dellintero poema: Da me stesso non
vegno:colui chattende l, per qui mi menaforse cui Guido vostro ebbe a disdegno. Il viaggio di
salvezza compiuto da Dante voluto dallalto in virt della Grazia: occorre quindi deporre
lorgoglio intellettuale e la convinzione dellautosufficienza dellingegno, che da soli non bastano al
raggiungimento della beatitudine.
Grande dibattito hanno suscitato i vv. 62-63; linterpretazione oggi pi accreditata sembra essere:
colui che attende l (Virgilio) mi conduce, attraverso linferno, a colei (Beatrice, la Teologia) a
cui Giudo si rifiut desser condotto. Linterpretazione tradizionale, che in apparenza sembra pi
ovvia dal punto di vista sintattico, vuole il disdegno di Guido rivolto a Virgilio, ma la cosa pare
strana. A proposito di Guido Cavalcanti, Benvenuto da Imola ricorda che errorem quem pater
habebat ex ignorantia, ipse conabatur difendere per scientiam; pare quindi fondata
linterpretazione che vuole Guido sdegnoso del trascendente.
Il forse (v. 63) da alcuni riferito al mena del verso precedente, in quanto il viaggio non
ancora compiuto e lecito rimane il dubbio circa la sua riuscita. Secondo altri, fra cui la Chiavacci
Leonardi, lavverbio da riferire all ebbe , essendo il passo incentrato sulla figura di Guido, e
rappresenterebbe unapertura lasciata alla sorte del primo amico.
Rimane da spiegare il passato remoto; il Pagliaro parte dal preciso significato di ebbe a disdegno,
che non indica un aspetto duraturo, ma momentaneo dellazione (si rifiut di, sottintendendo il
verbo menare, venire). Cos il passato remoto giustificato, sebbene Giudo a quel tempo fosse
ancora vivo (morir qualche mese dopo; il verso pu risuonare come triste annuncio della sua
prossima morte). Tale integrazione di significato non viene ritenuta necessaria dalla Chaiavacci
Leonardi, secondo la quale essa diminuisce la forza del verso, impedendo che il disdegno investa
direttamente colei che rappresenta il divino. Prosegue la studiosa: la parola disdegno ritrae la
personalit di Guido quale viene descritta dagli antichi e insieme il suo atteggiamento intellettuale
verso il divino che lo contrassegnava e da cui Dante si distingue.
Al di l di ogni lettura, rimane saldo il fatto che il passo sia un omaggio allamico, dedicatario della
Vita Nuova, con il quale Dante ha condiviso esperienze di vita e indirizzo poetico, dal quale ora
sembra volersi distanziare.
Alludire la piena (v. 64, chiara, esplicita) risposta di Dante, Cavalcante, equivocando le parole
udite, pensa di aver trovato conferma al timore che aveva accompagnato la sua stessa apparizione.
Gli interrogativi incalzanti dei vv. 67-69, ben sottolineano la disperazione di un padre che non vuol
credere a ci che pensa di aver saputo sulla sorte del figlio e fanno culminare lintensa drammaticit
della scena, resa ancor pi concitata dallo stridente contrasto fra questa figura e la fierezza statuaria
di Farinata. E cos carico del suo dolore, Cavalcante supin ricadde e pi non pare fora (v. 72).

vv. 73-93: seconda parte del colloquio con Farinata


Farinata non sembra turbato dallepisodio di Cavalcante, non d segno di commozione alcuna,
contraddistinto da quellincrollabilit che gli propria.
Il Foscolo vedeva in tale atteggiamento la dissimulazione operata dal cittadino sulle afflizioni
sentite dalluomo; laffetto domestico (Guido infatti era genero di Farinata, avendone sposato la
figlia) non lo pu distogliere dal pensare alla patria e alle ultime parole di Dante su quellarte male
appresa.
Il De Sanctis, diversamente, afferma che nulla vieta a un uomo pubblico di piangere sulle proprie
sventure private; se Farinata non ha mostrato segni di turbamento solo perch non ha udito nulla
di ci che accaduto, come se non fosse stato presente, essendo egli interamente assorbito in un
unico doloroso pensiero: quellarte che i suoi non hanno appreso, ovvero la capacit di rientrare in
patria. Appena sparito Cavalcante, il magnanimo ghibellino si riallaccia subito alle ultime parole
rivoltegli da Dante, confidando che quellarte male appresa gli costa maggior dolore della stessa
pena infernale cui condannato (selli han quellartemale appresa,ci mi tormenta pi di
questo letto, vv. 77-78).
Seguono i versi che enunciano la triste profezia dellesilio di Dante: Ma non cinquanta volte fia
raccesala faccia del la donna che qui regge,che tu saprai quanto quellarte pesa (vv. 79-81).
Non passeranno infatti cinquanta mesi che, anche Dante, sapr quanto sia difficile larte del ritorno.
Quattro anni e due mesi dopo, nel giugno 1304, dopo i ripetuti fallimenti della parte Bianca, Dante
si staccher dai compagni desilio e constater la difficolt del rientro. Il tono assunto da Farinata
nel pronunciare tali parole profetiche non di ritorsione, ma di amara tristezza nella dolorosa
constatazione dellidentit di sorte che accomuna Dante esule agli Uberti. La ritorsione, nota il
Sapegno, sarebbe indegna di uno spirito magnanimo come Farinata, che da questo punto
ammorbidisce e stempera il proprio atteggiamento in direzione pi umana, come emerge dal tono
malinconico della domanda che pone a Dante ai vv. 83-84: perch quel popol s empio
incontra miei in ciascuna sua legge?. La risposta di Dante evoca la battaglia di Montaperti, la cui
memoria tal orazion fa far nel nostro tempio (v. 87). Alcuni commentatori intendono orazion
come preghiera, altri come provvedimenti; allo stesso modo i primi chiosano tempio come chiesa
(alcuni addirittura con il riferimento preciso a S. Giovanni), i secondi intendono il termine come
assemblea, curia. Il Barbi, sostenitore della seconda interpretazione, dice che, avendo Dante usato il
termine orazion nel senso di provvedimenti, continua la metafora, usando tempio per designare
semplicemente Firenze.
Alla rievocazione della strage del 1260 la durezza e linsensibilit di Farinata si sciolgono in un
sospiro e in un moto del capo, che rivelano lintensa marezza e malinconia che perseguitano lanima
del dannato. A ci non fu io sol, si preme di ricordare Farinata, n certosanza cagion con li
altri sarei mosso.Ma fu io solo, l dove soffertofu per ciascun di trre via Fiorenza,colui che
la difese a viso aperto (vv. 89-93). Se dunque Farinata non fu solo a Montaperti, solo fu quando a
Empoli difese la sua amata patria, nel momento in cui tutti volevano distruggerla. Riecheggia in
queste parole lorgoglio per la propria azione di singolare magnanimit e la fierezza che ha finora
scolpito la figura di Farinata.

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Le profezie dellInferno:

Inf. I, 91-111
Virgilio: il veltro, avvento di una figura rigeneratrice
Inf. VI, 58-75 Ciacco: lotte civili a Firenze
Inf. X, 77-81
Farinata: esilio di Dante
Inf. XV, 55-96
Brunetto Latini: esilio e futura gloria di Dante
Inf. XIX, 64-87
Papa Niccol III: corruzione papale
Inf. XXIV, 97-151 Vanni Fucci: future sventure dei Bianchi

vv. 94- 120: la condizione dei dannati

Dopo aver augurato che i discendenti di Farinata trovino un giorno riposo in patria (il se del v. 94 ha
valore augurativo), Dante chiede al magnanimo come mai gli spiriti dellInferno, pur dimostrando
di conoscere cos bene il futuro, non abbiano notizia del presente. Farinata disse che essi vedono
come quei cha mala luce (v. 100), cio come i presbiti che vedono le cose lontane, ma ne
perdono conoscenza man mano che si appressano loro, finch tutta morta fia nostra conoscenza
da quel puntoche del futuro fia chiusa la porta (vv. 106-8), ovvero finch la loro cecit sar
totale. Secondo alcuni commentatori tale difetto proprio di tutti i dannati, secondo altri proprio
solo degli epicurei, con funzione di contrappasso, colpendoli sullessenza del loro peccato, che fu
di credere solo nel presente. Notevole linsistenza sulla condizione di ignoranza e cecit: tutto
vanonostro intelletto (vv. 103-4); nulla sapem (v. 105); tutta morta (v. 106).
Risolto il proprio dubbio, Dante chiede a Farinata di informare quel caduto (v. 109) che il figlio
Guido co vivi ancor congiunto (v. 110).
Da ultimo Dante prega Farinata di dirgli chi siano i suoi compagni di pena. Due sono i nomi riferiti:
l secondo Federico e l Cardinale (vv. 119-120). Federico II di Svevia, imperatore e re di
Napoli (1194-1250), fu personaggio molto ammirato da Dante (cfr. V.E. I, XII, 4; Conv. IV, X, 6;
Inf. XIII, 75); la Chiesa e tutti i guelfi lo accusarono di eresia per ragioni politiche, ma il suo modo
di vita contribu a rafforzare tale accusa. Ottaviano Ubaldini fu detto Cardinale per antonomasia,
appartenete a illustre famiglia ghibellina, fu arcivescovo di Bologna dal 1240 al 1244, cardinale nel
1244. Zio dellarcivescovo Ruggeri (cfr. Inf. XXXIII), viene descritto come feroce ghibellino.

vv. 121- 136: conforto di Virgilio


Avendo percepito il turbamento di Dante di fronte alla profezia dellesilio, Virgilio conforta il poeta
annunciandogli che quando sar al cospetto il Beatrice, quella il cui bellocchio tutto vede (v.
131), scoprir il corso della sua vita. In realt noi sappiamo che sar Cacciaguida (cfr. Purg. XVII) a
predire il destino di Dante; saranno ragioni compositive subentrate nel corso della stesura a
determinare la diversa scelta di Dante.
Gli ultimi versi del canto gi preannunciano lo spiacevole puzzo che esala dal settimo cerchio (vv.
133-136).

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Bibliografia
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