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Ricordi della figlia L’arresto: di Bahà’u’llah – La madre

Com'era prevedibile, l'arresto di Bahà'u'llah trascinò con sé una catena di conseguenze, come
la confisca e la distruzione di tutti i Suoi possedimenti nel Màzindaràn. Nel villaggio di Takur, la
dimora che Mirzà Buzurg aveva fastosamente arredata e poi lasciata in eredità al Figlio, venne
infatti saccheggiata e le sue stanze, « più sontuose di quelle dei Palazzi di Teheran », danneggiate in
modo irreparabile. Rase al suolo anche le case della popolazione, il villaggio fu dato alle fiamme.
Per Bahà'u'llah e la Sua famiglia iniziava uno dei periodi più amari della loro esistenza. Da
famiglia agiata, tranquilla, accolta a corte, stimata e conosciuta da tutti, dedita non alle pompe di
questo mondo ma alla carità verso i poveri, si trasformò, dall'oggi al domani, in una famiglia
praticamente braccata, gettata sul lastrico, schivata e oggetto di gravose accuse.
Nei ricordi della Più Grande Foglia Santa, un'eco di quelle sofferenze:

« Quel giorno lo ricordo bene anche se avevo solo sei anni, Era stato compiuto un
attentato alla vita dello Scià da parte di un Bàbì mezzo pazzo. Mio padre era lontano,
nella sua casa di campagna nel villaggio di Nìaviràn che era di sua proprietà, assorto nelle
cure dei suoi abitanti.
All'improvviso, correndo a precipizio, un servo andò da mìa madre con segni di dolore
sul viso: "II padrone, il padrone! È stato arrestato. L'ho visto io! Ha camminato per
molte miglia. Lo hanno bastonato... I suoi piedi sono sanguinanti. Non ha scarpe, né
turbante. I suoi vestiti sono stati strappati e porta delle catene sul collo!"
Il viso di mia madre diventava sempre più pallido. Noi bambini eravamo terrorizzati e
non facevamo altro che piangere.
Tutti, immediatamente, fuggirono impauriti dalla nostra casa: i nostri parenti, gli amici
e i servitori. Solo Isfandfyar .[un servitóre di origine africana] e una donna rimasero. Il
nostro palazzo e le piccole proprietà adiacenti furono presto saccheggiate: i mobili, i nostri
preziosi, tutto ci fu rubato dalla gente.
Mìrzà Musa, il fratello di mio padre che era stato sempre gentile con noi, aiutò mia
madre e i suoi tre bambini a mettersi al sicuro. Mia madre riuscì a porre in salvo pochi
gioielli e preziosi, che erano l'unica cosa rimastaci delle nostre vaste proprietà. Essi vennero
venduti e col denaro ricavato mia madre riuscì a pagare i carcerieri perché le permettessero
di portare del cibo a mio padre in prigione. Quel denaro servì anche ad affrontare delle
spese in séguito...
Abitavamo ora in una piccola casa vicino alla prigione. Mìrzà Yahyà era fuggito
terrorizzato nel Màzindaràn, dove rimase nascosto.
Quale terribile ansietà visse la mia cara madre in quel perriodo! Certo maggiore di
quel che qualsiasi donna in procinto di diventar madre (lo appresi solo più tardi) riesca a
sopportare»!
Il matrimonio ebbe luogo intorno al mese di ottobre dell'anno 1835 e da esso nacquero sette
figli, tre soltanto dei quali sopravvissero fino all'età adulta: 'Abbàs Effendi ('Abdu'l-Baha), Bahà'ìyyih
Khànum (La Più Grande Foglia Santa] e Mìrzà Mihdi (II Ramo Più Puro}.
Molti decenni più tardi, nel 1922, la Più Grande Foglia Santa avrebbe narrato a Lady
Blomfield remote rimembranze di gioia o amarezza della propria infanzia e adolescenza. Il primo di
tali ricordi era legato alle nozze dei genitori e in modo particolare alla dolce presenza della madre.

“Rammento fiocamente giorni molto felici in compagnia di mio padre, mia madre e mio fratello
'Abbàs, che aveva due anni più di me.
Mio padre era Mìrzà Husayn-'Alì di Nùr, che sposò la mia bellissima madre, Asiyih Khanum
quand'ella era ancora molto giovane. Era l'unica figlia di un Visir persiano d'alto rango,
Mirzà Ismà'ìl, che, come Mirzà 'Abbas Buzurg, mio nonno paterno, possedeva grandi ricchezze.
Quando il fratello di mia madre sposò la sorella di mio padre, la doppia unione delle due
nobili famiglie suscitò grande interesse in tutto il territorio intorno. La gente
commentava: "È come aggiungere ricchezza a ricchezza!" In accordo alle usanze in voga
nelle famiglie di quel rango, Asiyih Khanum portò alle nozze notevoli sostanze, per trasportare
le quali furono caricati quaranta muli.
Per sei mesi prima del matrimonio, un gioielliere lavorò nell'abitazione di lei per preparare
gioielli: perfino i bottoni dei suoi abiti erano d'oro incastonati in pietre preziose (tali
bottoni sarebbero serviti a procurarci del pane, nel terribile viaggio d'esilio tra Teheran e
Baghdad).

Vorrei che lei potesse averla vista come la ricordo io, alta, esile, piena di grazia, gli
occhi di un profondo azzurro - una perla, un fiore fra le donne. Mi dicevano che anche da
giovanissima fosse dotata di grande saggezza e intelligenza. Sempre penso a lei, e la mia
memoria la rammenta com'era in quei lontani giorni, regale nella dignità e nell'amorevolezza,
colma di considerazione per tutti, affabile, di un ammirevole altruismo; ogni sua azione
metteva in luce la soave gentilezza del suo purissimo cuore e la sua sola presenza creava,
ovunque ella fosse, un'atmosfera di amore e di gioia, che tutti avviluppava con fragranza di
squisita cortesia.
Anche nei primi tempi della loro vita matrimoniale, mio padre e mia madre partecipavano
il meno possibile alle funzioni di Stato, alle cerimonie sociali e alle fastose abitudini in uso
presso le più altolocate e ricche famiglie di Persia. Ella e il suo sposo dal nobile cuore
consideravano insignificanti questi piaceri mondani, preferendo occuparsi della cura dei
poveri e di tutti gli infelici e i tribolati. Nessuno veniva cacciato dalla nostra porta. A tutti era
aperta la nostra mensa.
Povere donne accorrevano di continuo presso mia madre, per riversare su di lei le loro
vicissitudini e sofferrenze per ricevere dal suo amore e dalla gentilezza conforto e
consolazione.
La gente che chiamava mio padre “Il Padre dei poveri”, parlava di mia madre come della
“Madre della consolazione” Naturalmente solo le donne e i bambini potevano guardare il suo
viso senza velo. Così trascorrevano i nostri giorni di pace”
Bahà’u’llah conferì alla Sua sposa il titolo di Navvab (altezza)

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