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CAPITOLO 8

LA CRISTALLOGRAFIA
Introduzione
Negli ultimi 20 anni i contributi pi rilevanti al settore della biologia strutturale
sono derivati da una parte dal sequenziamento del genoma umano e dallaltra
dalla risoluzione della struttura tridimensionale di migliaia di macromolecole
proteiche. Questultimo rappresenta il contributo derivante dal notevole
sviluppo che ha interessato le tecniche per lottenimento dei cristalli proteici, le
sorgenti ed i rivelatori di raggi X, i quali forniscono informazioni anche sui
cristalli proteici delle dimensioni di qualche micron.
In figura 1 rappresentato il numero di strutture tridimensionali di proteine
disponibili in funzione del tempo. Fino agli anni 80 era nota solamente la
struttura tridimensionale di una decina di proteine, che sono diventate un
centinaio alla fine degli anni 80-inizi 90. Dagli anni 90 il numero di strutture
tridimensionali disponibili ha cominciato a crescere in maniera esponenziale ed
oggi nel Protein Data Bank, la banca dati che contiene queste strutture, sono
presenti circa 50,000 proteine.

Figura 1. Numero di strutture deposte nel PDB in funzione del tempo.

La diffrazione di raggi X1 da parte di cristalli proteici la tecnica per


eccellenza per risolvere la struttura tridimensionale di una proteina. Quando
un fascio di raggi X viene diretto verso un campione di proteina pura, una
buona parte del fascio passa direttamente attraverso di essa, ma una piccola
frazione viene dispersa dagli atomi del campione. Se il campione un cristallo
1

Raggi X : forma di radiazione elettromagnetica, con lunghezza donda dellordine di ~ 0,1


nm.
217

ben ordinato, le onde disperse si rinforzano in certi punti ed appaiono come


macchie di diffrazione quando i raggi X sono registrati da un rivelatore adatto
(Fig. 2). Lo schema di diffrazione, insieme alla conoscenza della sequenza di
aminoacidi della proteina analizzata, pu essere usato per produrre un modello
atomico.

Figura 2. Schema dellapparato per diffrazione X.

La determinazione della struttura tridimensionale di una proteina un passo


necessario per capire i meccanismi molecolari della sua funzione biologica, in
quanto la struttura strettamente correlata con la funzione ed il problema pu
essere affrontato sperimentalmente con studi di cristallografia a raggi X o
spettroscopia NMR o altrimenti utilizzando metodi predittivi.
Per effettuare una buona indagine cristallografica necessario anzitutto
ottenere dei buoni cristalli partendo da una soluzione di proteina estremamente
pura. La proteina comincia a cristallizzare in seguito ad una rimozione
controllata dellacqua della soluzione al fine di consentire alle molecole
proteiche di interagire tra loro e formare un reticolo proteico ordinato.
Una volta ottenuto il cristallo sar possibile risalire alla struttura
tridimensionale attraverso la procedura ed i concetti qui schematizzati:
a) Un fascio di raggi X che colpisce un cristallo viene diffratto in varie
direzioni ed i raggi diffratti possono essere rilevati per mezzo di una pellicola
radiografica.
b) I raggi X sono deviati dagli elettroni presenti nel campione e quindi il potere
diffrattivo di un atomo proporzionale al suo numero di elettroni (un atomo di
C provoca una diffrazione 6 volte maggiore di un atomo di H);
c) il modo in cui le onde diffratte si combinano fra di loro dipende soltanto
dalla disposizione degli atomi;
d) possibile, quindi, partendo dal pattern di diffrazione, costruire "mappe" di
densit elettronica che indicano la disposizione degli atomi nella
macromolecola.
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Ottenere cristalli proteici difficoltoso


Lacqua un buon solvente per le proteine in quanto stabilizza le cariche
elettriche presenti sulla superficie esterna della proteina e, avendo unalta
costante dielettrica, favorisce la separazione fra le cariche, sfavorendo
laggregazione delle molecole fra loro.
Il cristallo ottenuto per rimozione controllata del solvente, sebbene la
rimozione non sia mai totale, in quanto un cristallo proteico costituito per
unalta percentuale di acqua. La crescita di cristalli proteici avviene da
soluzioni di proteina estremamente pura, che sono rese sovrasature per
variazione di alcuni parametri chimico-fisici, come la costante dielettrica, la
forza ionica e la temperatura. Queste alterazioni, che portano ad una variazione
della solubilit della proteine, devono essere molto graduali in modo da evitare
aggregazione e/o fenomeni di polinucleazione (crescita di numerosi cristalli
microscopici). A tal fine viene inizialmente esplorato lequilibrio di
precipitazione in pozzetti di microdialisi, per poi passare alla rimozione
controllata dellacqua attraverso scambi lenti in fase vapore.
Il cristallo un reticolo ordinato di molecole (Fig. 3) - in questo caso molecole
proteiche - le quali si ordineranno quando potranno interagire tra loro tramite
alcune superfici della molecola stessa.

Figura 3: rappresentazione bidimensionale di un


cristallo con le sue celle elementari impaccate tra
di loro.Nel disegno ogni cella contiene due oggetti
correlati da simmetria binaria, per evidenziare il
fatto che le molecole contenute in ogni cella di un
cristallo sono sempre correlate in modo
simmetrico tra loro.

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Esistono tre classi principali di precipitanti attraverso le quali viene effettuata


la rimozione controllata del solvente.
Essi usano meccanismi chimico-fisici differenti e sono elencati in Tabella 1.
Tabella I. Agenti precipitanti utilizzati per la cristallizzazione di proteine.

Le tre classi sono:


I sali inorganici che, aumentando la loro concentrazione, potenziano la forza
ionica della soluzione favorendo la precipitazione delle diverse proteine. I sali
inorganici diminuiscono dunque la solubilit della macromolecola
influenzando la forza ionica della soluzione.2
2

Esistono teorie molto articolate che spiegano la maggior parte dei fenomeni che
regolano il comportamento delle proteine in soluzione, ma la teoria di DebyeHuckel, valida per le sostanze inorganiche ed anche per le piccole molecole organiche,
ad essere quella pi semplice ed in grado di fornire delle indicazioni su come
procedere per cristallizzare una proteina. Aumentando la concentrazione di un
elettrolita nella soluzione acquosa in cui si vuole far cristallizzare la proteina, si forma
intorno ad ogni specie carica (sia ionica che proteica) unatmosfera di ioni di carica
opposta. Leffetto di tale atmosfera ionica diverso a seconda della concentrazione
dellelettrolita, ovvero della forza ionica della soluzione, che data dallespressione:
= cjzj2
dove cj la concentrazione dello ione j-mo nella soluzione e zj la sua carica.
Quando la concentrazione dellelettrolita bassa, leffetto dellatmosfera ionica
quello di aumentare la solubilit della proteina, in quanto le interazioni con le
molecole di acqua divengono pi favorevoli (effetto di salting in). Quando la forza
ionica supera un certo valore massimo si ha la competizione fra elettrolita e proteina
per le molecole di acqua; dunque la proteina avr meno solvente a disposizione e la
sua solubilit tender a diminuire (effetto di salting out); in questo caso pu
avvenire la cristallizzazione.
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Un importante fattore nella scelta del sale di precipitazione la sua solubilit in


acqua, che deve essere abbastanza elevata, tale da evitare che precipiti prima
della cristallizzazione della proteina. Lefficienza di un particolare elettrolita
proporzionale alla forza ionica della sua soluzione e quindi alla sua carica; gli
ioni bivalenti e trivalenti sono perci preferiti, sebbene anche la natura chimica
del sale costituisca un elemento importante, pur non essendone chiari i motivi.
Infatti, a parit di forza ionica, la proteina con un determinato sale cristallizza,
mentre con un altro rimane in soluzione o precipita in maniera amorfa.
I sali inorganici maggiormente utilizzati nelle cristallizzazioni di proteine sono
i seguenti:
Solfati di sodio e di ammonio
Succinato di ammonio
Cloruro di litio
Citrati di sodio o ammonio
Fosfati di sodio o ammonio
Cloruri di sodio o ammonio
I solventi organici sfruttano il fenomeno per cui aumentando la loro
concentrazione varia la costante dielettrica. Leffetto duplice poich un
solvente organico interagisce con le molecole di acqua analogamente ai sali
inorganici, ma soprattutto contribuisce ad abbassare la costante dielettrica del
mezzo. Ci riduce la repulsione elettrostatica tra le molecole e di conseguenza
ne aumenta lattrazione reciproca. I primi solventi organici ad essere usati a
questo scopo sono stati letanolo e lacetone ma, data la loro elevata volatilit,
attualmente si preferisce utilizzare un alcool a peso molecolare maggiore,
dunque meno volatile: il 2-metil-2,4-pentandiolo (MPD).
Purtroppo non sempre possibile impiegare solventi organici, perch in
numerosi casi provocano la denaturazione delle proteine.
I glicoli polietilenici (PEG) sfruttano da una parte la capacit di diminuire la
costante dielettrica e dallaltra di produrre un effetto di volume escluso, ovvero
i glicoli si sostituiscono al volume occupato precedentemente dallacqua.
Possono avere diverso peso molecolare: i pi usati sono quelli fra 2000 e 6000.
Il meccanismo dazione dei PEG non ancora chiaro; probabilmente agiscono
sia come i sali inorganici, con un meccanismo di competizione con la proteina
per le molecole dacqua, sia con un meccanismo che si basa sullesclusione di
volume. Uno studio approfondito sulle interazioni tra la proteina e le molecole
di PEG ha indotto a ritenere che si generano delle interazioni elettrostatiche
sfavorevoli che possono essere alla base di una separazione di fase della
proteina dalla soluzione. I vantaggi riscontrati nel loro uso consistono nel fatto
che la maggior parte delle proteine studiate cristallizzano spesso in un ristretto
intervallo di concentrazione di PEG (5-15 %); inoltre il tempo necessario ad
ottenere dei cristalli breve rispetto a quello con gli altri agenti precipitanti.
221

Condizioni chimico-fisiche per la cristallizzazione


In linea di principio tutte le molecole hanno la capacit di formare cristalli,
bench per ognuna di esse debbano essere individuate le specifiche condizioni
di pH, forza ionica, temperatura, costante dielettrica etc. In passato la ricerca
delle condizioni di cristallizzazione avveniva manualmente, mentre oggi viene
robotizzata allo scopo di accelerare lindividuazione delle condizioni ideali.
Presupposto fondamentale per lottenimento di buoni cristalli la possibilit di
avere una proteina di purezza elevata ed in quantit rilevante. A tal proposito,
la tecnica del DNA ricombinante ha fornito un notevole contributo.
La presenza di proteine contaminanti il primo impedimento allottenimento di
cristalli e la probabilit di ottenerne legata alla purezza ed allomogeneit del
campione, requisito necessario, questultimo, affinch le condizioni di
cristallizzazione siano riproducibili. Per la medesima ragione anche la
formazione di prodotti di deamidazione o di frammenti proteolitici deve essere
evitata.
Non esiste una concentrazione teorica ottimale per la cristallizzazione, sebbene
si tenda a mantenerla relativamente alta. In generale, pu definirsi
concentrazione ideale quella in relazione alla quale la precipitazione non sia
cos veloce da generare un precipitato amorfo, n eccessivamente limitata da
produrre quantit minime di precipitato. Il pH uno dei fattori pi importanti
nella ricerca delle condizioni di cristallizzazione di una macromolecola. E
stato sottolineato il fatto che la differenza fra precipitato amorfo o
microcristalli e cristalli singoli possa essere data anche da una differenza di
sole 0.2 unit di pH. Inoltre, valori troppo alti o troppo bassi di pH possono
provocare la denaturazione della proteina.
La temperatura influisce sulla solubilit delle proteine: sono state realizzate
infatti cristallizzazioni nellintero intervallo tra 0C e 40C. In genere, le
cristallizzazioni vengono condotte a temperatura costante, pi frequentemente
a 4C o a 20C. In tale contesto, anche la variabile tempo non assolutamente
prevedibile; infatti larco temporale necessario ad ottenere la formazione di
cristalli pu variare da poche ore a molte settimane se non, in alcuni casi, mesi.
Generalmente, si cerca di tenere la velocit di nucleazione bassa, affinch la
formazione avvenga lentamente e si abbia una maggior probabilit di ottenere
pochi cristalli abbastanza grandi, piuttosto che numerosi ma eccessivamente
piccoli.
Inoltre, stato osservato sperimentalmente che alcuni ioni metallici inducono o
contribuiscono alla cristallizzazione di alcune macromolecole. In molti casi tali
ioni influiscono sulla forza ionica oppure aiutano a mantenere compatta la
struttura cristallina. In altri gli ioni metallici bivalenti sono stati utilizzati per
stimolare la crescita dei cristalli, anche se il meccanismo dazione non noto.
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Quando ci sono proteine la cui cristallizzazione invece inibita dalla presenza


di ioni, occorre aggiungere degli agenti chelanti (EDTA). Non bisogna
dimenticare che, spesso, laggiunta di un substrato particolare o di un coenzima
per la macromolecola favorisce la cristallizzazione, in quanto divenendo la
struttura pi rigida, limpaccamento pi semplice.
Procedure di cristallizzazione
Avere una soluzione sovrasatura della proteina che interessa fondamentale
per poter ottenere dei cristalli. Ci sono vari metodi per raggiungere la
sovrasaturazione ma quello pi utilizzato il pending drop (goccia
pendente), che permette lutilizzo di microquantit di soluzione. Questo
metodo sfrutta lequilibrio di vapore che si viene a creare fra due soluzioni
della stessa sostanza a concentrazioni diverse.
Nel metodo del pending drop viene adoperato un becker chiuso da un
piattino sul quale viene messa una goccia di proteina, in genere ad una
concentrazione di 10mg/ml (Fig. 4). Alla goccia viene aggiunta una piccola
quantit di agente precipitante, mentre in fondo al becker presente una
soluzione di agente precipitante saturato. In questo modo si verifica uno
scambio di acqua in fase vapore con una lenta perdita di solvente allinterno
della goccia ed un conseguente aumento della concentrazione della proteina
che tende a cristallizzare.
Figura 4. Metodo del pending drop (o
goccia sospesa).
Sinistra: piattino con sopra versata una
goccia di proteina con una piccola quantit
di precipitante. Il piattino poggiato con la
goccia allingi sul becker, sul cui fondo si
trova una soluzione saturata di agente
precipitante. Destra: cristalli dellenzima
RuBiSco da Anacystis nidulans ottenuti
mediante pending drop.

Esistono diverse varianti del metodo del pending drop, ma in tutte lo scambio
di acqua comunque molto lento ed avviene in fase vapore. A volte vengono
inserite nella goccia dei microcristalli ottenuti con altre procedure che possono
funzionare da centri di nucleazione per la formazione di un cristallo pi
grande.
Tuttavia, ad oggi, le dimensioni del cristallo sono parzialmente limitanti, in
quanto lutilizzo di sorgenti di raggi X sempre pi intense e di rivelatori sempre
pi sensibili permette di lavorare anche con cristalli dellordine di alcuni
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micron. Per quanto riguarda le sorgenti, i cristallografi dispongono di sorgenti,


nei propri laboratori, dove i raggi X sono generati bombardando con elettroni
una lastrina di rame ma i dati decisivi vengono molto spesso raccolti presso i
sincrotroni3 (Fig. 5).

Figura 5. Schema di un sincrotrone.

A tal proposito, in Italia stato inizialmente impiegato Adone, lacceleratore


costruito a Frascati per studiare la fisica delle particelle e che alla fine degli
anni 70 stato utilizzato come generatore di onde elettromagnetiche di varie
lunghezze donda. Attualmente in Europa esistono diversi sincrotroni, mentre
lunico funzionante in Italia Elettra, che si trova a Trieste. Il vantaggio
nellutilizzo dei sincrotroni relativo allintensit della radiazione (migliaia di
volte pi intense rispetto alle sorgenti di laboratorio) ed alla scelta della
lunghezza donda (modulabile con continuit nellintervallo necessario).
Inoltre, lo sviluppo di procedure che consentono la raccolta di dati in tempi
dellordine del decimo di secondo, apre interessanti prospettive sulle
informazioni tridimensionali in funzione del tempo.
Caratteristiche del cristallo proteico
Un cristallo ideale costituito da una disposizione ordinata di molecole tale da
dare un pattern di ripetizione regolare nelle tre dimensioni, con ripetizioni che
si estendono per migliaia di volte rispetto alla dimensione molecolare. Un
cristallo reale un cristallo con una periodicit non perfetta dovuta alla
3

Sincrotroni: acceleratori di particelle che danno luogo ad emissione di radiazione


elettromagnetica molto intensa
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presenza di difetti e/o impurezze. Un cristallo proteico un cristallo con


imperfezioni e con un alto contenuto di acqua cos che alcune molecole non si
trovano allo stato cristallino ma sono in soluzione. La necessit di avere un
cristallo per risolvere la struttura tridimensionale deriva dallesigenza di
disporre di un pattern di diffrazione intenso. Lanalisi strutturale in linea di
principio pu anche essere condotta su una sola molecola, posto che sia
isolabile, manipolabile e che esistano sistemi di rivelazioni altamente sensibili.
Il vantaggio di usare un cristallo che le intensit di diffrazione sono
estremamente pi intense, in quanto ogni cristallo contiene da 10 17 a 1019
molecole proteiche.
La forma di un cristallo variabile e dipende dalla cella unitaria, che
costituisce lunit simmetrica pi piccola la cui traslazione nelle 3D dia luogo
al reticolo cristallino (Fig. 6 e Fig. 7).

Figura 6. Reticolo bidimensionale con evidenziata la cella unitaria e lunit asimmetrica 4.

Figura 7. Reticolo bidimensionale


evidenziata la cella unitaria.

con

Allinterno della cella unitaria ci pu


essere pi di una molecola proteica, come
4

L'esempio dei reticoli bidimensionali pu essere illuminante: poich il reticolo


suddivide lo spazio in elementi identici, il problema di sapere quanti diversi reticoli
possono esistere equivale a scoprire, ad esempio, quante diverse forme di piastrelle
identiche si possono usare per ricoprire un pavimento.

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rappresentato nellesempio bidimensionale in figura 7. Solo dei


parallelogrammi a quattro lati definiscono, per la forma della cella unitaria, i
tre reticoli semplici: quadrato, rettangolare od obliquo, (reticolo nel quale la
cella unitaria un parallelogramma con angoli non retti). Lunit individuale
chiamata unit asimmetrica (parte tratteggiata nella figura 7) perch la sua
traslazione nello spazio non riesce a riprodurre un reticolo regolare.
Sebbene il cristallo si ottenga per rimozione controllata del solvente, non tutto
il solvente viene rimosso, come nel caso di figura 8 dove mostrato un
cristallo di immunoglobulina.

Figura 8. Struttura di una immunoglobulina.

La figura 8 mostra che le molecole di immunoglobulina sono in interazione tra


loro, formando un arrangiamento regolare. Tuttavia una grossa quantit di
volume occupata da solvente (spazio vuoto). In media il 50% del volume del
cristallo occupato dal solvente. Le molecole proteiche rimangono pertanto
fortemente idratate ed attraverso i canali di solvente, che percorrono con
continuit lintero cristallo, possibile diffondere substrati, inibitori, piccole
molecole che permettono di sondare lattivit biologica della proteina anche
allo stato cristallino. La presenza di una grossa percentuale di acqua allinterno
di un cristallo ha quindi dei risvolti sia positivi che negativi. Quelli negativi
sono dovuti al fatto che il cristallo costituito in buona parte da molecole di
acqua non ordinate che creano disordine nel cristallo stesso, dando luogo ad un
pattern di diffrazione non ben definito. Gli aspetti positivi derivano dal fatto
che la proteina, essendo parzialmente idratata, conserva una struttura
tridimensionale identica a quella in soluzione. La proteina nel cristallo pu
avere delle piccole deformazioni locali a livello delle superfici che formano i
contatti interproteici, ma la struttura generale viene mantenuta identica alla
molecola in soluzione. La conservazione della struttura tridimensionale,
inoltre, preserva anche lattivit enzimatica. E stato accertato che lattivit
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degli enzimi allo stato cristallino identica a quella degli enzimi in soluzione,
una volta corretta per la velocit di diffusione del substrato allinterno del
cristallo. La presenza di un numero relativamente basso di interazioni
intermolecolari fa si che i cristalli proteici siano estremamente fragili, infatti
lenegia che stabilizza il reticolo di un cristallo proteico dellordine di alcune
kcal/mol.
La diffrazione di raggi X da parte di un cristallo
Le varie tecniche di cristallizzazione permettono di ottenere cristalli da
sottoporre a studi di diffrazione di raggi X per acquisire informazioni sulla
struttura tridimensionale della proteina in esame. La comprensione della
struttura 3D di una proteina consente di decifrare i meccanismi della sua
funzione biologica, che strettamente connessa alla disposizione nello spazio
dei gruppi di atomi. La diffrazione ai raggi X su singolo cristallo rende
possibile determinare la struttura di una proteina; essa richiede lutilizzo di
cristalli di adeguate dimensioni (>50-100 m) ad elevato potere diffrangente.
Attualmente, un enorme numero di strutture proteiche, determinate grazie
allanalisi di diffrazione ai raggi X, sono presenti nel Protein Data Bank
(PDB).
In figura 9 sono rappresentate le onde elettromagnetiche in funzione della loro
lunghezze donda, dalle radio e micro onde, fino allultravioletto ed i raggi X,
passando da infrarosso e visibile.

Figura 9. Schema energetico delle varie onde elettromagnetiche.

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Per effettuare la diffrazione di un cristallo vengono utilizzati i raggi X, cio una


radiazione che ha unalta energia e quindi una lunghezza donda minima adatta
ad esplorare distanze inter-atomiche. I raggi X possono causare danni alle
proteine in quanto altamente energetici. Inoltre, con le radiazioni viene
generato calore ed in questi casi il raggio primario pu decomporre il cristallo.
Per tali ragioni, i cristalli che sono sottoposti a raggi X, vengono spesso
raffreddati fino a circa -150 C.
Il metodo cristallografico per lo studio della struttura tridimensionale delle
macromolecole pu essere descritto attraverso una comparazione tra
cristallografia e microscopia (ottica o elettronica). La struttura atomica delle
macromolecole, caratterizzata da distanza biatomica dellordine dell, viene
analizzata con lunghezze donda tra 0.7 e 2.0 , mentre il microscopio ottico
utilizza radiazioni elettromognetiche tipiche della luce visibile.
La radiazione X che colpisce una molecola proteica interagisce con le nuvole
elettroniche presenti su ciascun atomo e si propaga sotto forma di trasformata
molecolare (TM). La TM contiene linformazione strutturale completa della
macromolecola che lha generata.
Le informazioni sono contenute nella modificazione delle ampiezze e delle
relazioni di fase tra le varie onde diffratte che si propagano nelle varie direzioni
dello spazio (Fig. 10).
Il meccanismo di funzionamento del
microscopio lo stesso: in figura
rappresentata una sorgente luminosa ed una
lente che collima le onde sul campione.
Linterazione dellonda elettromagnetica con il
campione d luogo ad una trasformata ottica
che viene raccolta e ricomposta da unaltra
lente al fine di ricostruire unimmagine
ingrandita del campione in esame. In sintesi, il
processo costituito da due fasi principali:
1) Fase di analisi, in cui il campione viene
analizzato da una radiazione elettromagnetica
2) Fase di sintesi, in cui la trasformata ottica o
molecolare prodotta dal campione viene
utilizzata per ripristinare limmagine del
campione stesso.
Figura 10. Confronto tra microscopia ottica e
cristallografia a raggi X.

228

Nel caso del microscopio ottico la ricostruzione dellimmagine ingrandita del


campione pu essere ottenuta tramite lenti, mentre nel caso dei raggi X ci non
possibile, pur essendo il fenomeno del tutto analogo.
La diffrazione X infatti funziona esattamente nello stesso modo: esiste una
sorgente, un collimatore e linterazione con il cristallo che d luogo alla
trasformata molecolare. Ad oggi, non esiste alcuno strumento in grado di
raccogliere londa diffratta e ricostruire limmagine, come avviene per il
microscopio ottico. In altre parole, non potendo disporre di lenti per raggi X,
il processo di ricostruzione della macromolecola, che ha dato luogo alla
trasformata molecolare, deve essere eseguito matematicamente. I principi fisici
alla base del suddetto processo sono ben noti per cui, se non si riscontrassero
limiti di tipo sperimentale, la ricostruzione tridimensionale non porrebbe
difficolt, se non limpossibilit di misurare sperimentalmente le fasi delle
onde che costituiscono la trasformata molecolare.
La legge di Bragg alla base del fenomeno della diffrazione
Il fenomeno della diffrazione X pu essere compreso analizzando il fenomeno
della diffrazione di unonda visibile effettuato con un campione costituito da
una maschera bucata presente e ripetuta regolarmente su un cartoncino. Il
pattern di diffrazione di una sola molecola costituita da sei atomi viene
descritto da una funzione continua di varia intensit che determinata dalla
struttura della molecola. Quando la molecola ripetuta in maniera regolare su
un reticolo, le onde diffratte sono in fase in un numero limitato di direzioni. In
tal modo, la diffrazione continua di una singola molecola diventa discreta e
concentrata in pochi punti a causa della presenza di pi molecole su un reticolo
ordinato.
Se le molecole sono ravvicinate, il pattern di diffrazione ben separato, se
invece la distanza ampia, il pattern di diffrazione costituito da spot
ravvicinati tra di loro. Ci deriva dal fatto che la direzione delle onde diffratte
dipende solo dal reticolo bidimensionale e non dalla struttura della molecola.
Quindi il pattern di diffrazione di un reticolo cristallino d luogo ad un reticolo
reciproco. Lo stesso avviene in tre dimensioni.
Tutto ci trae origine dalla legge di Bragg: = 2dsin , dove d la distanza
delle molecole nel cristallo, (teta) langolo di incidenza dellonda
elettromagnetica sul cristallo stesso e la lunghezza dellonda
elettromagnetica (Fig. 11).

229

Figura 11. La legge di Bragg ovvero la diffrazione da parte di un reticolo regolare.

Dalla misura della spaziatura del reticolo reciproco del pattern prodotto dalla
diffrazione di un cristallo con una radiazione a lunghezza nota, possibile
ricavare le dimensione del reticolo nello spazio reale.
Linformazione strutturale sul contenuto della cella unitaria contenuta nelle
intensit delle singole riflessioni a cui hanno contribuito tutti gli atomi presenti
nella macromolecola. Infatti sono gli elettroni, che si trovano allinterno della
macromolecola, a dare luogo al fenomeno della diffrazione e leffetto sar tanto
pi evidente per atomi pesanti, ovvero contenenti un elevato numero di
elettroni. Le molecole proteiche sono costituite principalmente da atomi di
azoto, carbonio, ossigeno oltre che da idrogeni, ovvero da atomi
essenzialmente leggeri.
Lintensit dellonda diffratta correlata allintensit dellonda incidente ed al
fattore di scattering atomico tramite la seguente relazione
I= I0 K F 3 Vcri/Vcu
dove F il fattore di scattering e Vcri e Vcu rappresentano rispettivamente il
volume del cristallo ed il volume della cella unitaria. Dalla suddetta relazione
si evince che lintensit del pattern di diffrazione, nel caso di un cristallo
proteico, non pu essere particolarmente intensa a causa di una serie di fattori
230

sfavorevoli. Infatti F in generale basso, essendo una macromolecola proteica


costituita da atomi leggeri. Inoltre, mentre il volume di un cristallo proteico ,
in genere, ridotto a causa delle difficolt di crescita, il volume della cella
unitaria ampio, essendo di rilevanti dimensioni la macromolecola in essa
contenuta.
Il cristallo viene montato in piccoli tubi alla base dei quali vi la soluzione
madre dalla quale il cristallo stato ottenuto. I tubi vengono sigillati e quindi il
cristallo permane in una situazione umida proprio per la presenza della
soluzione madre agli estremi del tubicino (Fig. 12).

Figura 12. Cristallo in tubetto porta campione.

Tale procedura impedisce al cristallo di rompersi per mancanza di umidit. Il


relativo pattern di diffrazione riportato in figura 13. Attraverso lanalisi delle
singole diffrazioni possibile ottenere informazioni sulla struttura
tridimensionale di una macromolecola.

Figura 13. Mappa di diffrazione di un cristallo proteico.


231

Il problema della fase


Le diverse operazioni necessarie per ottenere la struttura tridimensionale di una
macromolecola sono riportate in figura 14 sotto forma di schema a blocchi qui
di seguito sintetizzate:
1)
Cristallizzazione
2)
Raccolta dei dati diffratti
3)
Assegnazione di una fase ad ogni onda diffratta
4)
Calcolo ed interpretazione delle mappe di densit elettronica
5)
Raffinamento della struttura atomica

Figura 14. Diagramma di flusso riassumente le principali fasi di unindagine


cristallografica.

La difficolt di assegnare la fase corrispondente a ciascuna onda diffratta del


cristallo, costituisce la questione centrale della cristallografia. 5. Ogni onda
caratterizzata da unampiezza e da una fase. Nel processo di raccolta dei dati
vengono misurate le ampiezze delle onde che compongono la trasformata del
cristallo, ma si perde ogni informazione relativa alla loro fase.
Il calcolo delle mappe di densit elettronica richiede sia la conoscenza delle
ampiezze, che possono essere ottenute dalla loro intensit, che il valore delle
corrispondenti fasi. Le onde diffratte dal campione possono interferire in
5

Al momento di valutare i dati di un esperimento di cristallografia a raggi X lunico dato ad


essere definito lampiezza delle onde, ma per definire la struttura di una proteina si devono
necessariamente specificare anche le fasi, che non sono direttamente determinabili. Saranno
dunque necessarie ulteriori metodiche perch si possa realizzare una loro indiretta
determinazione. Tutto ci definito come problema della fase.
232

maniera costruttiva dando uno spot di definita intensit sulla lastra di


rivelazione. Il raggio X colpisce il campione e lo analizza, conseguentemente
ogni onda diffratta rappresentata dal vettore Fhkl contiene linformazione
relativa a tutti gli N atomi della molecola con coordinate xj, yj, zj :

a)

dove fj il fattore di scattering atomico, proporzionale al numero atomico, che


indica il potere diffusivo dei raggi X da parte di ciascun atomo j. La relazione
di cui sopra pu essere riscritta, utilizzando le propriet dei numeri complessi,
sotto forma del prodotto del modulo del vettore Fhkl per la sua fase:
b)

Fhkl = Fhkl exp i hkl

Fhkl osservabile sperimentalmente, mentre hkl si perde nellesperimento.


La fase di sintesi, (la ricostruzione dellimmagine della molecola analizzata
dal raggio X), prevede loperazione inversa a quella riassunta dalla a). In un
punto di coordinate x,y,z dello spazio del cristallo (le coordinate sono riferite
alla terna di assi della cella elementare), la densit elettronica (x,y,z) definita
dallespressione:
c)
dove V il volume della cella elementare e la sommatoria estesa alle infinite
onde diffratte. Se a ciascuna onda diffratta contribuiscono tutti gli atomi
(sommatoria tra 1 e N nella a), alla ricostruzione della densit elettronica in un
punto contribuiscono tutte le onde diffratte del cristallo (sommatoria della c).
Lapplicazione della c), dove per praticit la sommatoria limitata ad un
numero finito di onde diffratte, porterebbe direttamente alla ricostruzione,
punto per punto, della densit elettronica della proteina. Il vettore Fhkl
conosciuto solo nel suo modulo e loperazione di ricostruzione (denominata
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calcolo della mappa di Fourier della densit elettronica) pu essere effettuata


solamente quando saranno conosciute le fasi hkl.
Un esempio di ricostruzione di un profilo di densit elettronica
monodimensionale rappresentato in figura 15, utilizzando quattro termini F0F3 per ricostruire la densit elettronica.

Figura 15. Ricostruzione della densit elettronica partendo da quattro onde.

La questione della fase viene affrontato attraverso tre procedure diverse:


-

la sostituzione isomorfa
molecular replacement
la dispersione anomala a varie lunghezze donda

Per proteine completamente nuove, il metodo pi diffuso e tuttora valido la


sostituzione isomorfa: la proteina di cui si vuole determinare la struttura viene
modificata inserendo, ad esempio, molecole con atomi pi pesanti nei canali
che ospitano solvente, in modo da semplificare il problema della fase. Questa
procedura pu coinvolgere uno o pi prodotti di sostituzione. Generalmente le
modificazioni vengono prodotte introducendo atomi pesanti ovvero ad
elevato numero di elettroni. Su questa base, disponendo delle ampiezze delle
onde diffratte del cristallo della proteina nativa non modificata (P) e di quelle
relative alle proteine modificate (PH1, PH2, PH3), possibile ottenere
informazioni sui valori degli angoli di fase hkl per la proteina non modificata e,
sulla base di questi ultimi, eseguire un primo calcolo della densit elettronica.
In figura 16 sono riportate una serie di modifiche utilizzate dai cristallografi
per introdurre atomi pesanti, tra cui le pi diffuse utilizzano la reattivit di
cisteine.
234

Figura 16. Reagenti utilizzati per introdurre atomi pesanti.

In figura 17 descritto leffetto sulle intensit delle riflessioni di un cristallo di


emoglobina in cui sono stati inseriti in maniera isomorfa due atomi di Hg.

Figura 17. Effetto dellintroduzione di atomi pesanti sulle riflessioni di un cristallo di


emoglobina.

La sostituzione isomorfa presenta un elevato livello di difficolt e, insieme alla


produzione di cristalli, rappresenta lo stadio limitante la risoluzione delle
strutture tridimensionali.
Il metodo della sostituzione molecolare o molecular replacement, viene
applicato quando si deve risolvere la struttura tridimensionale di una proteina
per la quale nota la struttura 3D di un componente della famiglia omologa di
proteine. Ad esempio, dalla conoscenza della struttura dellemoglobina umana
possibile risolvere la struttura dellemoglobina di cavallo, ricorrendo alla
tecnica della sostituzione molecolare.
235

Le fasi relative al suddetto metodo possono essere cos sintetizzate:


1)
Cristallizzazione della proteina incognita
2)
Raccolta dei dati di diffrazione
3)
Recupero delle coordinate atomiche della proteina omologa ovvero
della proteina modello
4)
Confronto delle funzioni di Patterson (opportuni strumenti
crstallografici) delle due proteine
5)
Posizionamento della proteina modello nella cella elementare della
proteina incognita
6)
Calcolo approssimato delle fasi sulla base del modello
7)
Calcolo della densit elettronica utilizzando le ampiezze sperimentali
della proteina incognita e le fasi ricavate dal modello.
A seguito dellampliamento della banca dati cristallografica, tale procedura
viene applicata assiduamente.
Un metodo di risoluzione alternativo il multiple anomalous dispersion
(MAD), in cui si impiegano differenti lunghezze d'onda e che si basa sul
principio dell accentuazione della dispersione anomala di una classe di
diffusori. La metodologia sfrutta la dipendenza della componente diffusiva
anomala dalla lunghezza d'onda della radiazione incidente, in altre parole il
cambiamento di fase dovuto allintroduzione di un particolare atomo varia al
variare della lunghezza donda utilizzata. Lutilizzo di diverse radiazioni
consente di ricostruire la diffusione anomala ed infine la soluzione del
problema della fase, in modo analogo alla sostituzione isomorfa, pur in assenza
di atomi pesanti.
Qualit del modello
Come detto precedentemente, linformazione relativa alla struttura
tridimensionale di una molecola presente in ogni singolo spot del pattern di
diffrazione perch ad esso hanno contribuito tutti gli atomi presenti nella
macromolecola. La ricostruzione di una struttura tridimensionale quindi
possibile, in linea di principio, sia analizzando un singolo spot che un limitato
numero di spot di diffrazione. La differenza sulle strutture ottenute riguarda la
risoluzione con cui ricostruita la struttura 3D della macromolecola. E
importante sottolineare che lanalisi di un esiguo numero di diffrazioni non d
luogo ad una ricostruzione parziale, ovvero di una sola regione della molecola,
ma alla produzione di un modello meno definito. Questo problema ben
descritto dallanalogo ottico riportato in figura 18 dove si vede che la qualit
236

dellimmagine ricostruita migliora allaumentare dellampiezza del pattern di


diffrazione analizzato.

Figura 18. Dipendenza della qualit delloggetto ricostruito dal numero di riflessioni
analizzate.

Esiste dunque una correlazione diretta tra la qualit del modello ed il numero
di riflessioni analizzate.
I cristallografi stabiliscono che una struttura risolta ad esempio a 3, 2 , o a
2.5 di risoluzione. Nel primo caso lerrore medio associato alle coordinate
atomiche di 0.4 , mentre per risoluzioni di valore superiore a 2 , lerrore si
riduce a 0.1 . In dettaglio, quando una struttura risolta a 2 gli atomi che si
trovano ad una distanza di 2 possono essere riconosciuti nella mappa di
densit elettronica.
Il modello viene infatti ricostruito valutando la densit elettronica
(elettroni/volume) in ogni punto della cella elementare, partendo dalla
conoscenza delle ampiezzze e delle fasi delle onde diffratte. I valori di densit
saranno molto alti in corrispondenza degli atomi presenti nella macromolecola,
e molto bassi in corrispondenza del solvente che la circonda. Tali valori
vengono raffigurati attraverso isosuperfici che collegano punti che hanno la
medesima densit elettronica. Scegliendo opportuni valori di soglia possibile
evidenziare le posizioni atomiche (Fig. 19).

237

Figura 19. Mappe di densit elettronica a diversi gradi di risoluzione.

Linterpretazione della densit elettronica costituisce un passaggio


fondamentale nella risoluzione di una struttura tridimensionale. Il processo
agevolato dalla conoscenza della struttura primaria e dallutilizzo di programmi
di computer grafica che permettono di visualizzare la densit elettronica e di
costruire un modello di proteina stereochimicamente compatibile.
Una volta creato il modello, esso va ottimizzato, inizialmente tramite un
raffinamento cristallografico in cui vengono comparate le ampiezze calcolate
ed osservate attraverso la seguente formula
R = | (|Fobs|-|Fcalc|) |/ (|Fobs|)
dove Fobs lampiezza osservata e Fcalc lampiezza calcolata. Quando R ha
valori intorno a 0.3-0.4 la differenza tra il valore sperimentale ed il valore
osservato risulta eccessiva. Si procede quindi per approssimazioni successive:
le fasi calcolate tramite il primo modello costruito permettono di delineare una
nuova e migliore mappa di densit elettronica, che permetter di perfezionare il
modello, e cos via. Quando R < 0.15- 0.16 si pu parlare di un buon modello
della proteina. Il raffinamento finale viene effettuato attraverso procedure di
minimizzazione e di dinamica molecolare che consentono di far rilassare la
struttura in una configurazione compatibile con tutti i vincoli geometrici
ottenuti dalla diffrazione. La struttura proteica cos ottenuta non solo soddisfa i
criteri cristallografici, ma anche accettabile da un punto di vista delle regole
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stereochimiche, determinate su peptidi o proteine precedentemente studiate.


Una proteina raffinata ad alta risoluzione mostra valori degli angoli e
compresi nelle zone ammesse del diagramma di Ramachandran e le distanze di
legame variano in media per meno di 0.002 . Un modello di questo tipo
affidabile e adatto ad essere inserito nella Brookeven Data Bank. Il modello
depositato, oltre a contenere le coordinate degli atomi appartenenti alla
proteina, contiene anche il loro fattore di temperatura B. Questo ultimo tiene
conto del disordine relativo a ciascun atomo che preso in considerazione
pesando il contributo per il fattore:
exp( -Bsin2 / 2)
dove langolo di ogni riflessione, la lunghezza donda usata e B il
fattore di temperatura. Maggiore questo valore, minore la localizzazione
dellatomo. In una situazione ideale il disordine dovuto unicamente alla
vibrazione termica e quindi B pu essere correlato allampiezza quadratica
media della vibrazione:
B= 82U2= 79 U2
Tuttavia la vibrazione termica non pu essere considerata lunica fonte di
disordine.
Il disordine in un cristallo pu essere sia di tipo statico che dinamico. Il
disordine statico dovuto ad un cattivo ordinamento delle molecole allinterno
del cristallo, mentre il disordine dinamico dovuto ad unelevata flessibilit
intrinseca della molecola. Un modo per discriminare tra queste due possibilit
di raccogliere dati a due diverse temperature. Labbassamento della
temperatura riduce infatti il disordine dinamico, mentre non ha nessun effetto
sul disordine statico.

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