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A

PIDI TRENT'ANNIdall' apparizione in francese del suo primo nucleo di testi,


,

La teologia dell'icona di Leonid Uspenskij conserva un valore indiscuti~

bile, anche se ormai la bibliografia sull'icona ha raggiunto in Italia una mole


notevole. Dal 1960 ad oggi, in effetti, il lettore italiano entrato in possessodi una serie
consistentedi testi; si pensi qui, solo per fare qualche nome, ai lavori di introduzione di
Pavel Evdokimov e di Egon Sendler, ai saggi di storia dell' arte di Michail Alpatov e di
Viktor Lazarev, agli studi teologici di Christoph von Schonborn, o ai classici di Evgenij
Trubeckoj e di Pavel Florenskij. Per un verso, un simile patrimonio scientifico rende
impossibile quell'insofferenza un po' troppo sbrigativa che, in temPi recenti, portava a
liquidare l'icona come una forma di arte povera o come un modo di produzione artisti~
co semiasiatico; il cresceredegli studi sull'icona, d'altro canto, ha resopossibile la piena
maturazione dei motivi che sottendono l'attuale passione per l'iconografia, motivi che
sono inscindibilmente ecclesiali e culturali, come esige l'essenza stessadell' arte icono~
grafica, e che sono nello stesso tempo la testimonianza del bisognodel linguaggio spi~
rituale dell' arte autentica (Duodecimum saeculum, n.ll)

e della coscienza secon~

do cui il conoscere, venerare, conservare e sostenereil ricchissimo patrimonio liturgi~


co e sPirituale degli Orientali di somma importanza per la fedele custodia dell'integra
tradizione cristiana (Unitatis redintegratio, n.15).
appunto in un simile contesto di relativa ricchezza e maturazione che il lavoro di
Uspenskij conserva un valore insostituibile. Due aspetti vanno sottolineati in modo par~
ticolare, uno teorico, concernente la presentazione complessiva dell'icona, e uno sto~
riografico.
Dal punto di vista teorico, uno dei pregi di questo libro sta nella sua capacit di pre~
sentare l'icona cogliendola nei nessi che la costituiscono: il nesso con l'incarnazione,
quello con la Chiesa e quello con la nota tipicamente ecclesialedell'integrazione (sobor~
nicit~cattolicit) .
il nessocon l'incarnazione che non solo rende possibile l'immagine iconica, ma la esige
come appartenente alla natura stessadel cristianesimo, ponendola in questo sensonon
come una violazione o un semplice superamento del divieto veterotestamenario di fare
immagini, ma come la sua esatta conseguenza e compimento. Il divieto veterotesta~
mentario, ricorda infatti U spenskij, riguarda il Dio invisibile, di cui Israele pu sentire
la parola, ma non vedere l'immagine; ora, questa insistenza dell' Antico Testamento
nel contrapporre la parola alla visione non una semplice contrapposizione della paro~

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.
la all'immagine in assoluto, ma appunto ci che prepara l'immagine neotestamen~
rafia in quanto, come diceva Giovanni Damasceno, chiaro che quando tu abbia visto
che Colui che incorporeo diventato uomo a causa tua, allora farai l'immagine della
Sua forma umana. Cos, commenta Uspenskij, la proibizione di rappresentare il Dio
invisibile contiene implicitamente la necessitdi rappresentare Dio, una volta che le pro~
fezie si siano adempiute, una volta che l'uomo non abbia pi dei simboli da interpre~
tare, delle semplici parole, ma la realt stessa,la Parola, il Verbo che si fatto carne.
Legata all'incarnazione, l'icona dunque una testimonianza ulteriore resa al realismo
del cristianesimo: il Cristo dipinto sull'icona non visto e raffigurato per simboli e non
lui stesso un simbolo, un'immagine poetica e sentimentale che tocca la sola interio~
rit, la personificazione di una virt morale o di un'idea astratta, ma una Persona sto~
rica e concreta che con la sua presenza investe la globalit dell'uomo e della storia.
L'icona, cos, con la sua azione nella vita del fedele, non lascia alcuno spazio a sogget~
tivismie psicologismi e apre all'uomo non la sfera dell'interpretazione sentimentale o ra~
zionalistica (come un'immagine pia o un simbolo astratto), ma quella della parte~
cipazione ontologica, dove l'uomo non ascolta pi le proprie impressioni e non insegue
i concetti di Dio inteso come un essere superiore, ma si lascia trasfigurare da una
Presenza. Diventa in questo senso evidente per Uspenskij il nesso tra l'icona e la
Chiesa, perch l dove l'icona viene riconosciuta per quello che , cessandodi essereun
elemento culturale, una mera opera d'arte o un banale oggettodi Piet personale, anche
la Chiesa non pu pi essereconcePita come un valore culturale (sociologicamete tra~
sformata, ad esemPio, in una semplice assemblea di fedeli), ma viene riconosciuta
appunto come il luogo della parteciPazione a quella Presenza cui l'icona ci apre e che i
sacramenti ci offrono.
In quanto testimonia la vera essenzadella Chiesa, l'icona ne condivide la ragion d'essere
che quella di far partecipare il mondo alla pienezza della rivelazione. I n quest' opera, la
Chiesa non escludenulla di quanto specifico della natura creata, ma santifica invece
tutta la variet dell' universo rivelando il suo vero senso,orientandolo al suofine autenti~
co, la costruzione del regno di Dio; lo stessodiscorso deve esserefatto per l'icona, che
testimoniain modo specificoil frutto dell'incarnazione: la deificazionedell'uomo, e mostra
come la trasfigurazione della materia non sia n la sua soppressionesPiritualistica n la
sua esaltazione naturalistica, ma precisamente la sua integrazione nel piano di Dio sul
mondo, proprio come la santit dipinta sulle icone non una realt sottintesa alla mate~
ria, n una cosa aggiunta in sovrappi dal nostro pensiero, bens la visibilit ai nostri
occhi carnali dello stato deiforme al quale sono chiamati tutti gli uomini.
Oltre a questi pregi va poi sottolineato, dal punto di vista storiografico, il valore dei capi~
toli dedicati ai Concili moscoviti del XVI secolo, al Grande Concilio di Mosca e all' ar~
te del XVII secolo, chenon solo colmano un vuoto molto importante per chiunquesi occu~
pi di storia dell'icona, ma introducono anche degli elementi assai interessanti per la
ricomprensione di un periodo decisivo della storia russa. In questi capitoli, infatti,

U spenskijnon si limita a tracciare una storia della teologia e della prassi iconografica di
questo periodo, ci che come si detto costituisce un pregio particolare di questo testo e
lo rende comunque insostituibile, ma si apre ad un discorso pi ampio nel quale sottoli~
nea la complessit di questo momento storico, che segnatoad esemPiodallo scisma dei
vecchio~credenti e dalla nascita della scuola mogiliana di Kiev con la conseguentelati~
nizzazione della teologia ortodossa. come si vede, un momento decisivo nello sviluppo
dell' identit della Chiesa russae della coscienzanazionale, cos decisivoche ha i suoi risvol~
ti persino nella coscienza linguistica e nello sviluppo della lingua russa moderna, come
ha ben saputo mostrare recentemente un altro U spenskij, Boris. Merito del nostro
U spenskij sicuramente quello di aver posto il problema e di aver cercato di attirare l' at~
tenzioneappunto sulla questionedella identit; qui si apre per un altro capitolo che rende
questo libro ulteriormente interessante, anche sene mette in luce un limite.
Preoccupato dal problema dell' autenticit dell'icona e dell'identit della Chiesa ortodossa
russa che sarebberominacciate dall' occidente latino e protestante, Uspenskijfinisce con
l'assumere un atteggiamento difensivo e di chiusura nel quale la tradizione occidentale
diventa spessoil modello negativo della Chiesa, quasi il concentrato di tutti gli errori (seco~
larismo, razionalismo, soggettivismo, ecc.) che la Chiesa deve evitare per continuare
ad esserese stessa.Quella di Uspenskij evidentemente una schematizzazione,che pu
avere una sua utilit l dove si tratti di meglio definire le proprie specificit per contra~
sto con quelle altrui; ma questo modo di procedere rischia di esserecontroproducente
quando viene assolutizzato. Non ci interessaqui controbattere punto per punto le varie,
accuseche U spenskijrivolge all' occidente, perch su certe questioni si pu concordare,
e per assurdo si potrebbe anche concordare su tutto, senza che questo tocchi ancora l' es~
senza del problema, quell'identit della Chiesa che sta veramente a cuore a noi come
ad Uspenskij: trovato infatti il colpevoledella perdita dell'identit resta comunque il fatto
e il significato di questa caduta, che non si cancella certo con la pura oPposizioneall' al~
tro. Una questione come quella posta da Uspenskij, insomma, non pu essere risolta
attraverso l'enucleazione delle cause e dei colpevoli della perdita della propria identit
quanto piuttosto attraverso la ridefinizione di questa identit, che non creata attra~
verso l'opposizione e la lotta contro un nemico pi o meno ideale e astratto, ma si recu~
pera attraverso la vita della Chiesa, ridiventa significante nell' esperienzadi salvezza vis~
suta nella Chiesa e, come tale, viene riproposta a tutto il mondo dalla Chiesa, nella sua
forza di integrazione e non di negazione. Ora, proprio questa capacit di riProporre
la forza di integrazione del cristianesimo che sembrafar difetto a U spenskijl dove, pure
dopo averla riscoperta, si comporta come se dovesseancora ricostruirla e difenderla inve~
ce di riconoscerla e di rioffrirla al mondo: con degli esiti inadeguati quando gi non sono
cohtestabili o insostenibili.
Ad esempio, preoccupato di sottolineare la continuit tra Antico e Nuovo Testamento
e la diversit tra mondo pagano e mondo cristiano, U spenskij, soprattutto polemizzan~
do con Bulgakov, insiste in maniera assolutasulla contrapposizione tra iconografia paga~

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-

.LA

TEOLOGIA

DELL'ICONA

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na e iconografia cristiana, mentre, come ha ben mostrato Grabar, il modo pi incon,


testabile per far risaltare l'irriducibilit e la specificit dell' arte cristiana proprio quel,
lo di documentare i nessi reali tra l'arte paleocristiana e l'ambiente non cristiano in cui
essa crebbe. Allo stesso modo, preoccupato di difendere le specificit dell' oriente,
Uspenskij sostiene la tesi secondo cui Roma si sarebbe sempre opposta allo sviluppo
dell' aspetto nazionale della Chiesa in ciascun popolo, tesi che, amPiamente seguita
in passato, viene oggi ritenuta da studiosi altrettanto autorevoli come il frutto di un par,
tito preso non sostenuto da solide prove e che finisce tra l'altro col far dimenticare che
la stessaBisanzio si opposespesso,e ben violentemente, allo sviluppo del principio nazio,
nale. Ma proseguendo poi sul problema della salvaguardia delle specificit nazionali
U spenskij arriva a conclusioni ancor pi incredibili, quando dice, ad esempio, che la
concezione marxista della cultura socialista, unica nel contenuto e molteplice per le sue
forme nazionali, in realt una variante di questa nozione fondamentale della Chiesa
ortodossa; ora, l'accreditare questa formula, che Mandel'stam aveva definito stupi,
da e illetterata, mostra quanto possa essereesiziale la via scelta da U spenskijper sal,
vaguardare l'identit della Chiesa e l'autenticit dell'icona: si finisce col perdere pro,
prio ci che si voleva difendere. Anche la controversia con Bulgakov sul problema
dell'immagine di Dio Padre e della sofiologia mostra del resto il corto resPirodella via pu,
ramente oppositiva scelta da U spenskij, e lo mostra in maniera tanto pi interessanteper,
ch questa volta la polemica non rivolta contro l'occidente, ma interna alla Chiesa
ortodossa stessa. A prescindere infatti dal giudizio che si potr dare su tale questione,
non pu che essereristretta una prospettiva che accusa Bulgakov di porre la natura umana
come qualcosa che determina la natura divina l dove in realt il motivo ultimo delle
formulazioni di Bulgakov era esattamente quello di evitare una simile determinazione.
Detto di questi limiti, e avendo suggerito che essi discendono proprio dal fatto che
Uspenskij non ha sviluppato sino in fondo la forza positiva dell'integrazione ecclesiale
che pure aveva cos chiaramente riaffermato, varr la pena di concludere ribadendo che
la piena manifestazione della cattolicit della Chiesa non espressada una sola tra,
dizione, n tanto meno da una comunit contro l'altra (Orientale lumen, n.l);

os,

servazione che pu certo esserefatta valere contro U spenskij e contro i limiti di certe
sue tesi, ma che non sarebbeveramente presa sul serio senon cominciasse a valere an,
che per noi. E questo, appunto, quanto ci lascia, in pura positivit e nonostante certe
cadute, il saggio di Uspenskij sull'icona.
Adriano Dell'Asta

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