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Ridiventare comunisti, rompere con le formazioni attuali e unirsi in una nuova
organizzazione, espandersi oltre la sinistra. Queste sono le tre cose da fare, s
enza le quali i problemi dellunit popolare, dellautonomia nazionale, della riapprop
riazione pubblica delle grandi imprese (problemi ineludibili per chiunque voglia
divenire davvero egemone nel paese), saranno posti e risolti da altri, magari s
imili al fascismo, magari populisti, o magari nazional-democratici. O forse non
saranno affrontati da nessuno: ed il paese scivoler ancor pi velocemente verso il
degrado economico e civile con lattiva complicit dei comunisti, incapaci di situar
si allaltezza del proprio nome e delle proprie migliori intuizioni.
Per provare a svegliare i comunisti dalla loro letargia, e convincerli della pos
sibilit concreta (e in particolare in Italia) del socialismo, io ho cercato qui d
i riproporre la riflessione sulla contraddizione fondamentale, vista da Marx per
primo, tra socializzazione della produzione e propriet privata, consapevole sia
del discorso neomarxista sulla variet delle forme concrete di quella contraddizio
ne e dei soggetti che la interpretano, sia della critica postmarxista alla centr
alit assoluta del potere politico. Ho provato inoltre a delineare una nuova conce
zione dello stato consiliare, capace di superare la vecchia illusione per cui il c
omunismo pu e deve superare ogni contraddizione tra stato e popolo.
La mia
ste (e
tate e
E nel
sola aspirazione che si crei un luogo collettivo in cui le idee qui propo
che conto di esprimere presto in maniera pi completa) possano essere confu
superate da una migliore soluzione del problema del socialismo in Italia.
mondo.
I
E tempo di decidere
Non ci sono pi alibi
Chi non lo vuol capire non lo capir, ma i fatti di Grecia hanno seppellito defini
tivamente ogni pur pallida prospettiva di riformismo europeista ed hanno decreta
to la fine della sinistra radicale che rimasta lunica a credere che si possa conc
iliare lUnione europea (e leuro) con la giustizia sociale: chi ci prova, come Tsip
ras, finisce inevitabilmente per sacrificare la giustizia sullaltare dellUnione e
si riduce a gestire in prima persona, con alibi abusati e stantii, la svendita e
lumiliazione del proprio paese.
Non ci si faccia sviare dallesito delle recenti elezioni. E davvero avvilente dove
r discettare sui risultati quando il problema sta nelle premesse: se vero che orma
i, nellEuropa in cui la politica si presenta come tecnica, tutte le elezioni sono
a-democratiche, altrettanto vero che questa la prima volta che un popolo europe
o va alle urne sentendosi dire apertamente , dopo aver rivendicato con vigore la
libert di scelta, che scelta non c: vantarsi di aver vinto in queste condizioni eq
uivale a legittimare questa ulteriore estensione dellintimo autoritarismo dellUnio
ne europea.
Per questo, al di l del risultato elettorale, importante la scissione della sinis
tra greca. Perch essa non leffetto di una rottura ideologica, ma di una dura esper
ienza politica; non lesito di un dibattito, ma il logico risultato del primo vero
scontro tra un intero popolo e le istituzioni europee. Per questo, sia essa imp
ersonata o meno dallattuale Unit popolare (duramente penalizzata, oltre che dal clim
a generale, anche dalla fretta con cui Tsipras, questo Ulisse in sedicesimo, ha
imposto le elezioni) la scissione della sinistra greca un evento politico i cui
effetti vanno estesi a tutta lEuropa.
E qualcosa, in effetti, comincia a muoversi. Qualcuno comincia a rendersi conto
o estetica, culturale o religiosa e non pu dare corpo ad una vera alternativa pol
itica.
Io la penso diversamente.
Intendiamoci: non ci sarebbe nulla di male o di men che dignitoso nel riconoscer
e che in determinati paesi e per un determinato tempo le cose stiano davvero cos,
e che quindi ci resti solo un compito, non poco onorevole, di testimonianza. E g
i successo, e succeder ancora, di dover far proprio il motto della declinante aris
tocrazia senatoria romana, e di dire con orgoglio che anche se la causa vittorio
sa piaciuta agli dei, la causa sconfitta piaciuta a noi, e questo basti: Victrix
causa diis placuit, sed victa Catoni.
Ma le cose non stanno affatto cos. Perch la grave crisi del capitalismo ha ormai d
a tempo riaperto il lungo, faticoso, contraddittorio cammino della transizione e
pocale verso un modo di produzione di tipo comunistico, capace di riequilibrare
i rapporti di forza tra paesi, le relazioni di potere e di reddito trai cittadin
i, linterazione tra economia, societ e ambiente. La prima cosa che i comunisti dev
ono fare quindi quella di tornare ad esser tali e di convincersi che lepoca attua
le conferma le loro pi radicali intuizioni, fa s che esse possano rispondere a bis
ogni generali dellintera societ, e proprio per questo rende possibile e necessario
il superamento del settarismo e del minoritarismo che da troppo tempo limita la
loro capacit politica. Lepoca attuale costringe i comunisti ad essere sempre pi co
nvinti delle proprie idee e sempre meno settari nellapplicarle.
Oggi infatti nuovamente possibile (come meglio spiegher nella seconda parte di qu
esto scritto) riproporre il comunismo non come astratto ideale, ma come realisti
ca idea di trasformazione socialista, come risposta ai bisogni diretti ed immedi
ati delle attuali societ, come riscoperta dei fondamenti delleconomia pubblica, de
lla pianificazione e della concezione consiliarista dello stato: una riscoperta co
nsapevole dello scacco del socialismo reale e capace di aggirarlo.
Oggi nuovamente consentito progettare quella che una delle condizioni di possibi
lit del socialismo, ossia la costruzione di uno spazio internazionale capace di c
ontrastare la mobilit assoluta del capitale e di ospitare politiche di cooperazio
ne economica, perch, caduto il velo della globalizzazione, si vede come il capita
lismo liberista non ha uniformato il mondo ma minacciato da stati che, pur se no
n sono per noi paesi guida, contrastano comunque il dominio assoluto del neoliberi
smo e la subordinazione della politica al capitale finanziario.
E quindi divenuto possibile, in ogni singolo paese subalterno, legare le esigenz
e di autonomia culturale, organizzativa e politica del lavoro alle esigenze di a
utonomia dello stato nazionale, inteso qui come barriera alla mobilit sregolata d
el capitale, come spazio per una nuova politica di redistribuzione, come base pe
r la costruzione, sulle ceneri dell Unione europea, di nuove relazioni internazio
naliste.
Ed proprio la connessione tra la proposta socialista e le esigenze nazionali a c
onsentire (e ad imporre) il superamento del settarismo, del minoritarismo, del g
ergalismo, delle frasi scarlatte: della barriera, insomma, che oggi divide gran pa
rte dei comunisti dal loro stesso popolo.
Non pi solo movimenti, quindi, non pi solo opposizione sociale, non pi ricami sull a
anizzazione, ma precisi obiettivi di trasformazione del modo di produzione e dell
o stato precisa definizione delle mediazioni e delle tappe necessarie a raggiung
erli.
Prime ipotesi su una nuova organizzazione politica
Ecco. La prima cosa che i comunisti devono fare sentirsi orgogliosi delle propri
e idee e riaffermarle in maniera radicale, e quindi non in maniera pi estremistic
a, ma pi concreta. Per conseguenza, e questa la seconda cosa, devono iniziare a r
ompere con tutte le forme organizzative che si trovano al di qua di quelle idee
ed ancora insistono sulla possibilit di democratizzare la globalizzazione e lUnion
e europea e di ingentilire il capitalismo con lo sviluppo delleconomia cooperativ
a e solidale. Rompere con quelle forme organizzative implica costruire una forma
nuova. E quindi unirsi in unassociazione politico-culturale che abbia lo scopo d
i ridefinire una posizione comunista valida per lItalia di oggi e che (pur preved
endo, per una fase iniziale la possibilit delladesione di persone che mantengono u
del socialismo, e quindi anche la questione del potere politico di stato (e dell
a sua dimensione spaziale), come questioni decisive dellazione politica, qui ed o
ra.
E il socialismo (forma storicamente possibile di esistenza del comunismo come co
mbinazione di diversi tipi di propriet e di regolazione) consiste essenzialmente
nella propriet pubblica dei pi importanti gruppi industriali e finanziari, nello s
viluppo di uneconomia pianificata che non escluda, quando pi efficienti, forme di
mercato regolato, e nellesercizio del controllo civico sul settore pubblico, sull
a pianificazione e sullo stesso mercato. E consiste inoltre nel progressivo supe
ramento del lavoro salariato sia per via diretta (grazie alla forma pubblica, co
operativa o comunitaria della propriet) sia riducendo il peso del salario nella f
ormazione del reddito in forza della gratuit delle prestazioni del welfare e delli
ntroduzione di un reddito di base.
Ritengo necessario insistere sul tema della propriet pubblica, perch lidea della pr
opriet comune, che ormai divenuta lultima parola del pensiero critico in materia di
alternative al sistema economico vigente, se pure ha diversi meriti di cui qui n
on posso discutere, di fatto oggi funziona come modo per eludere il problema del
superamento della propriet privata. Lidea di bene comune infatti relativa a forme
di ricchezza che sono per natura liberamente accessibili a tutti ed il cui cons
umo da parte di ciascuno non limita il consumo da parte degli altri. Si tratta d
i beni quasi illimitati, come letere, lacqua del mare, le selve (prima della defores
tazione capitalistica) e come la conoscenza, beni che come tali mal sopportano d
i essere sottoposti a propriet privata e che possono essere fruiti da tutti anche
senza un regime di propriet pubblica (in questo caso lo stato avrebbe solo la fu
nzione di regolare laccesso). Ma il capitale tuttaltro che un bene di questo tipo.
E scarso, quantitativamente definito, se viene consumato da qualcuno non pu esser
e consumato da altri. Insomma: il bene il cui possesso fondamentale per decidere
democraticamente sulla regolazione economico sociale non un bene comune, facilm
ente assoggettabile alla propriet privata e quindi pu essere acquisito dalla gener
alit dei cittadini solo se lo stato ne diviene proprietario espropriando gli attu
ali detentori. La conclusione pu non piacere, comporta rischi dei quali sono cons
apevole, ma inevitabile.
e parliamo di stato
Cos come inevitabile porsi il problema del potere di stato. E proprio questo il v
ero punto dolente della cultura della sinistra radicale: lo stesso europeismo do
gmatico, che non a caso suppone che lEuropa segni davvero il superamento di tutti
gli stati invece che il rafforzamento di alcuni di essi , viene difeso a tutti
i costi soprattutto perch coerente col rifiuto di porsi il problema della conquis
ta e trasformazione del potere di stato. Da quel rifiuto ha origine la ripulsa d
i ogni idea, ancorch difensiva e progressiva, di nazionalismo, giacch ogni nazione
che si rispetti anche uno stato. Da esso ha origine anche il sotterraneo allont
anamento da ogni idea concreta di socialismo, dato che questultimo (per tacer dalt
ro) di fronte allattuale mobilit del capitale non pu che presentarsi anche come bar
riera statuale, meglio se su scala internazionale. E infine da quel rifiuto nasc
e la tendenza a sovrastimare la forza della societ civile, a non comprendere quan
to questa dipenda dalle erogazioni, e dalla cultura, del welfare, a non affronta
re il problema di un funzionamento alternativo delle strutture statuali, a risol
vere il tutto con una pallida riedizione dellanarchismo. Questo atteggiamento (mo
tivato probabilmente dal fatto che la gi ricordata frazione privilegiata del modo
del lavoro non ha bisogno di porsi il problema dello stato perch riesce a vivacc
hiare lo stesso) ha condotto la sinistra radicale a mantenere, anche dopo il mani
festarsi della crisi, le stesse idee che aveva prima, e quindi a non comprendere
davvero quanto la politica si andasse rinazionalizzando e quanto la capacit delle
classi dominanti di gestire a proprio vantaggio la crisi derivasse proprio dal l
oro dominio esclusivo sugli stati. E quindi, infine, quanto fosse e sia nuovamen
te decisiva per noi la conquista del potere politico di stato (e quindi anche la
sua ridefinizione territoriale e sociale).
So benissimo e ne parler fra un attimo che la questione del socialismo non si ris
olve semplicemente cos. E soprattutto so che lattuale crisi dello stato democratic
aese; sia perch nella figura generica del cittadino possono riconoscersi e conver
gere posizioni sociali spesso assai diverse tra loro. Ma soprattutto, dobbiamo e
ssere assolutamente consapevoli del fatto che una prospettiva socialista si intr
eccia ormai con quelle che sono le esigenze oggettive del nostro paese. Il quale
non pu tornare ad un livello di civilt paragonabile a quello raggiunto in un rece
nte passato se non torna ad un sistema di economia mista, un sistema che appare
necessario a contrastare quello che il principale problema economico dellItalia:
non la pur negativa frammentazione delle piccole imprese, ma la sottocapitalizza
zione dei grandi gruppi industriali e finanziari, che li rende incapaci di funge
re da stimolo positivo per le PMI (usate invece come spazio di esternalizzazione
dei costi) e li rende facili vittime dei processi di centralizzazione del capit
ale verso il cuore (tedesco) dellEuropa.
In estrema sintesi, si tratta di elaborare un programma per lItalia che, per redi
stribuire reddito e potere a vantaggio di lavoratori e cittadini e per innovare
lapparato produttivo e quello di stato, prenda atto del fallimento del capitalism
o europeista, rompa con lattuale Unione europea e (pur mantenendo lobiettivo di un
a nuova unificazione europea, basata questa volta su una politica di indipendenz
a dai blocchi) costruisca uno spazio euro-mediterraneo cooperativo e pacifico. E
ntro questo spazio sar nuovamente possibile, per contrastare le deficienze del no
stro capitalismo, ripubblicizzare buona parte del sistema bancario e industriale
, ritornare allinvestimento pubblico, intervenire razionalmente sul nesso tra gra
ndi e piccole imprese, rilanciare politiche di piena occupazione e/o di redistri
buzione del lavoro che a loro volta sono la base materiale per il rilancio della
lotta di classe.
E chiaro che il ritorno alleconomia mista (e le implicazioni geopolitiche di tale
scelta, ossia la crisi del rapporto col capitalismo atlantico e con lasse Usa-Ue)
pu essere interpretato in diversi modi e che sta a noi interpretarlo come una vi
a per rafforzare il potere dei cittadini e dei lavoratori, passando dal capitali
smo privatistico ad un capitalismo di stato democratico e da questo ad un sistem
a tendenzialmente socialista. Ma altrettanto vero che se non affronteremo noi qu
esto nodo qualcun altro lo far, e che molto probabilmente si torner a qualcosa di p
i simile allultimo periodo dellIri che non al primo.
Per non lasciar cadere questa occasione per necessario superare due ostacoli che
continuano a confinare i comunisti in uno spazio molto pi ristretto di quello a c
ui potrebbero ambire. Questi ostacoli sono la paura del nazionalismo e lincapacit
di parlare a chiunque non si presenti come lavoratore (garantito o precario) e q
uindi di costruire alleanze sociali della necessaria ampiezza.
Per un nazionalismo democratico
Ripeter fino alla nausea che nessuna esperienza di emancipazione popolare del pas
sato, e anche del recente passato, ha potuto realizzarsi senza un riferimento es
plicito alla nazione: la Comune di Parigi, Stalingrado, Cuba, il bolivarismo . Se
nellepoca dellimperialismo nazionalista il riferimento alla nazione spesso (ma no
n sempre) reazionario, nellepoca dellimperialismo globalista, che persegue la diss
oluzione degli stati pi deboli per meglio rapinare la societ e per far circolare p
i agevolmente il capitale, nessun processo di emancipazione pu fare a meno di dife
ndere o di ricostruire lo stato, e quindi la nazione. Non perch questi siano lespr
essione di unetnia, di una religione, di una storia o di una tradizione da tutela
re, ma perch costituiscono la prima ed elementare sede della decisione politica e
fficace e quindi la sede di una decisione democratica capace di avere effetto. E
chiaro che oggi meno di ieri si pu costruire il socialismo, e la stessa democrazi
a, in un paese solo. Ma altrettanto chiaro che lidea, astrattamente giusta, della n
uova alleanza internazionale come condizione di una lotta politica pienamente ef
ficace non pu rimuovere (a meno di presupporre unimpossibile sincronia tra le esig
enze e le vicende dei singoli paesi) il problema della necessaria, preliminare d
efinizione degli interessi nazionali. Allo stesso modo, il richiamo insistito al
la sovranit popolare, quando accuratamente si evita di parlare di sovranit naziona
le, un modo per rimuovere un fatto ineludibile: in attesa di costruire nuove sed
i internazionali di decisione lunico luogo della sovranit democratica (per quanto
debole, iniziale, precario) lo stato nazionale, e lunico modo per rivendicare dav
Per provare a svegliare i comunisti dalla loro letargia, e convincerli della pos
sibilit concreta (e in particolare in Italia) del socialismo, io ho cercato qui d
i riproporre la riflessione sulla contraddizione fondamentale, vista da Marx per
primo, tra socializzazione della produzione e propriet privata, consapevole sia
del discorso neomarxista sulla variet delle forme concrete di quella contraddizio
ne e dei soggetti che la interpretano, sia della critica postmarxista alla centr
alit assoluta del potere politico. Ho provato inoltre a delineare una nuova conce
zione dello stato consiliare, capace di superare la vecchia illusione per cui il c
omunismo pu e deve superare ogni contraddizione tra stato e popolo.
La mia sola aspirazione che si crei un luogo collettivo in cui le idee qui propo
ste (e che conto di esprimere presto in maniera pi completa) possano essere confu
tate e superate da una migliore soluzione del problema del socialismo in Italia.
E nel mondo.