Sei sulla pagina 1di 11

Cosa devono fare i comunisti?

4
OkNotizie
Stampa
Ridiventare comunisti, rompere con le formazioni attuali e unirsi in una nuova
organizzazione, espandersi oltre la sinistra. Queste sono le tre cose da fare, s
enza le quali i problemi dellunit popolare, dellautonomia nazionale, della riapprop
riazione pubblica delle grandi imprese (problemi ineludibili per chiunque voglia
divenire davvero egemone nel paese), saranno posti e risolti da altri, magari s
imili al fascismo, magari populisti, o magari nazional-democratici. O forse non
saranno affrontati da nessuno: ed il paese scivoler ancor pi velocemente verso il
degrado economico e civile con lattiva complicit dei comunisti, incapaci di situar
si allaltezza del proprio nome e delle proprie migliori intuizioni.
Per provare a svegliare i comunisti dalla loro letargia, e convincerli della pos
sibilit concreta (e in particolare in Italia) del socialismo, io ho cercato qui d
i riproporre la riflessione sulla contraddizione fondamentale, vista da Marx per
primo, tra socializzazione della produzione e propriet privata, consapevole sia
del discorso neomarxista sulla variet delle forme concrete di quella contraddizio
ne e dei soggetti che la interpretano, sia della critica postmarxista alla centr
alit assoluta del potere politico. Ho provato inoltre a delineare una nuova conce
zione dello stato consiliare, capace di superare la vecchia illusione per cui il c
omunismo pu e deve superare ogni contraddizione tra stato e popolo.
La mia
ste (e
tate e
E nel

sola aspirazione che si crei un luogo collettivo in cui le idee qui propo
che conto di esprimere presto in maniera pi completa) possano essere confu
superate da una migliore soluzione del problema del socialismo in Italia.
mondo.

I
E tempo di decidere
Non ci sono pi alibi
Chi non lo vuol capire non lo capir, ma i fatti di Grecia hanno seppellito defini
tivamente ogni pur pallida prospettiva di riformismo europeista ed hanno decreta
to la fine della sinistra radicale che rimasta lunica a credere che si possa conc
iliare lUnione europea (e leuro) con la giustizia sociale: chi ci prova, come Tsip
ras, finisce inevitabilmente per sacrificare la giustizia sullaltare dellUnione e
si riduce a gestire in prima persona, con alibi abusati e stantii, la svendita e
lumiliazione del proprio paese.
Non ci si faccia sviare dallesito delle recenti elezioni. E davvero avvilente dove
r discettare sui risultati quando il problema sta nelle premesse: se vero che orma
i, nellEuropa in cui la politica si presenta come tecnica, tutte le elezioni sono
a-democratiche, altrettanto vero che questa la prima volta che un popolo europe
o va alle urne sentendosi dire apertamente , dopo aver rivendicato con vigore la
libert di scelta, che scelta non c: vantarsi di aver vinto in queste condizioni eq
uivale a legittimare questa ulteriore estensione dellintimo autoritarismo dellUnio
ne europea.
Per questo, al di l del risultato elettorale, importante la scissione della sinis
tra greca. Perch essa non leffetto di una rottura ideologica, ma di una dura esper
ienza politica; non lesito di un dibattito, ma il logico risultato del primo vero
scontro tra un intero popolo e le istituzioni europee. Per questo, sia essa imp
ersonata o meno dallattuale Unit popolare (duramente penalizzata, oltre che dal clim
a generale, anche dalla fretta con cui Tsipras, questo Ulisse in sedicesimo, ha
imposto le elezioni) la scissione della sinistra greca un evento politico i cui
effetti vanno estesi a tutta lEuropa.
E qualcosa, in effetti, comincia a muoversi. Qualcuno comincia a rendersi conto

del baratro in cui leuropeismo di sinistra ci ha precipitato, e a tentare una ris


alita. Jean Luc Melenchon, Oskar Lafontaine, Yannis Varoufakis e Stefano Fassina
hanno recentemente lanciato da Parigi un manifesto che, comunque lo si rigiri,
una presa di distanza dal dogmatismo eurista, critica duramente lesito della vicend
a greca e prevede apertamente la possibilit di uscire dalleuro, pur se solo come e
sito di un piano B che, a mio avviso, nel corso di una trattativa reale si trasfor
merebbe presto in piano A . Onore al merito, dunque: va riconosciuta la capacit di
imparare dallesperienza e lonest intellettuale di chi sa rinunciare a posizioni pi c
omode; e va detto che questo manifesto rende assai pi difficile ripetere il mantr
a exit=disastro e apre migliori possibilit di discussione e interlocuzione. Riconos
ciuto questo, per, va detto che almeno per il breve periodo il manifesto in quest
ione rischia di rilegittimare in qualche modo la sinistra radicale, invece di ac
celerarne la crisi. Sia per alcune ambiguit tattiche (il riferimento al piano A rid
uce le potenzialit critiche del discorso) sia per alcune ambiguit di fondo (in par
ticolare leccessiva fiducia in un superamento consensuale dellunione monetaria e q
uindi la sottovalutazione dei conflitti interstatuali), il manifesto non riesce
a prendere atto di tutte le implicazioni della critica alleuro. Soprattutto non s
i considera che lexit, per inaugurare realmente unuscita dal neoliberismo, implica
necessariamente (ed in particolare per lItalia) la ridiscussione del rapporto co
n il capitalismo atlantico e che ci, come ogni vera ridefinizione della posizione
geopolitica di un paese, impone la dissoluzione delle precedenti formazioni pol
itiche interne al paese stesso e la nascita di attori ed equilibri del tutto nuo
vi. Ci vuol dire, tra laltro, che nessun trasformismo potr far s che una sinistra cr
esciuta nella comoda illusione della globalizzazione riesca a gestire con effica
cia una situazione completamente diversa. Luscita dalleuro implica luscita dalla si
nistra radicale, parlare di exit e nel frattempo acconciarsi a costruire lennesim
o ed elettoralistico soggetto politico a sinistra equivale a versare il vino nuovo
nelle botti vecchie e quindi a rovinarlo in fretta.
Insomma, non ci sono pi alibi: dora in poi ogni forza politica che non si dichiari
apertamente contraria allUnione europea ed allunione monetaria sar, ancor pi di ier
i, una forza moderata e conservatrice. E dora in poi chiunque continui a chiamars
i comunista e prenda sul serio questo nome e le sue implicazioni non potr pi ident
ificare la propria azione con quella della sinistra europeista, anche quando que
sta agiti la bandiera rossa.
Pi comunisti, meno settari
Eppure la situazione (se si eccettua il manifesto di Parigi, che per non pare ave
r spostato granch) sembra essere ancora stagnante. Cresce certamente il numero de
gli intellettuali contrari alleuro (ad essi si recentemente aggiunto Luciano Gall
ino) e contrari allUnione, cresce la disaffezione di molti militanti verso propos
te risapute e vacue, ma non si creano fenomeni politici significativi. Molti di
coloro che, per intenderci, non se la sentono di stare con Tsipras sembrano para
lizzati dalle conseguenze di questa scelta: non vogliono una politica di comprom
esso e di (pretesa) riduzione del danno, ma non vogliono nemmeno lalternativa; no
n vogliono Tsipras ma vogliono mantenere l Unione e leuro, perch altrimenti si apri
rebbe una situazione inedita, turbolenta e rischiosa . Ora: comprensibile il ripu
dio dellavventurismo (quando non lapologia dellimmobilismo), ed addirittura compren
sibile, pur se non giustificabile, il fatto che chi rappresenta, come accade a g
ran parte della sinistra radicale, una frazione relativamente garantita dei lavo
ratori (ossia operai e impiegati a reddito certo, pensionati o pensionandi), tem
a linflazione pi della deflazione e sia portato a scordare che non si d piena occup
azione in presenza di politiche deflattive. Ma non si riesce a comprendere come
mai persone che si definiscono rivoluzionarie temano poi una situazione inedita, t
urbolenta e rischiosa, ossia una situazione potenzialmente rivoluzionaria.
O, meglio, lo si comprende solo ricordando che ormai la maggior parte dei rivolu
zionari italiani non crede pi alla rivoluzione, qualunque forma essa possa assume
re, perch non crede pi alla possibilit di una reale alternativa, perch non crede pi a
l socialismo, ossia alla concreta realizzazione storica del comunismo. Ha tacita
mente introiettato le ragioni dellavversario, e pensa ormai a volte confessandolo
, a volte nascondendolo che la scelta comunista , oggi, soltanto questione etica

o estetica, culturale o religiosa e non pu dare corpo ad una vera alternativa pol
itica.
Io la penso diversamente.
Intendiamoci: non ci sarebbe nulla di male o di men che dignitoso nel riconoscer
e che in determinati paesi e per un determinato tempo le cose stiano davvero cos,
e che quindi ci resti solo un compito, non poco onorevole, di testimonianza. E g
i successo, e succeder ancora, di dover far proprio il motto della declinante aris
tocrazia senatoria romana, e di dire con orgoglio che anche se la causa vittorio
sa piaciuta agli dei, la causa sconfitta piaciuta a noi, e questo basti: Victrix
causa diis placuit, sed victa Catoni.
Ma le cose non stanno affatto cos. Perch la grave crisi del capitalismo ha ormai d
a tempo riaperto il lungo, faticoso, contraddittorio cammino della transizione e
pocale verso un modo di produzione di tipo comunistico, capace di riequilibrare
i rapporti di forza tra paesi, le relazioni di potere e di reddito trai cittadin
i, linterazione tra economia, societ e ambiente. La prima cosa che i comunisti dev
ono fare quindi quella di tornare ad esser tali e di convincersi che lepoca attua
le conferma le loro pi radicali intuizioni, fa s che esse possano rispondere a bis
ogni generali dellintera societ, e proprio per questo rende possibile e necessario
il superamento del settarismo e del minoritarismo che da troppo tempo limita la
loro capacit politica. Lepoca attuale costringe i comunisti ad essere sempre pi co
nvinti delle proprie idee e sempre meno settari nellapplicarle.
Oggi infatti nuovamente possibile (come meglio spiegher nella seconda parte di qu
esto scritto) riproporre il comunismo non come astratto ideale, ma come realisti
ca idea di trasformazione socialista, come risposta ai bisogni diretti ed immedi
ati delle attuali societ, come riscoperta dei fondamenti delleconomia pubblica, de
lla pianificazione e della concezione consiliarista dello stato: una riscoperta co
nsapevole dello scacco del socialismo reale e capace di aggirarlo.
Oggi nuovamente consentito progettare quella che una delle condizioni di possibi
lit del socialismo, ossia la costruzione di uno spazio internazionale capace di c
ontrastare la mobilit assoluta del capitale e di ospitare politiche di cooperazio
ne economica, perch, caduto il velo della globalizzazione, si vede come il capita
lismo liberista non ha uniformato il mondo ma minacciato da stati che, pur se no
n sono per noi paesi guida, contrastano comunque il dominio assoluto del neoliberi
smo e la subordinazione della politica al capitale finanziario.
E quindi divenuto possibile, in ogni singolo paese subalterno, legare le esigenz
e di autonomia culturale, organizzativa e politica del lavoro alle esigenze di a
utonomia dello stato nazionale, inteso qui come barriera alla mobilit sregolata d
el capitale, come spazio per una nuova politica di redistribuzione, come base pe
r la costruzione, sulle ceneri dell Unione europea, di nuove relazioni internazio
naliste.
Ed proprio la connessione tra la proposta socialista e le esigenze nazionali a c
onsentire (e ad imporre) il superamento del settarismo, del minoritarismo, del g
ergalismo, delle frasi scarlatte: della barriera, insomma, che oggi divide gran pa
rte dei comunisti dal loro stesso popolo.
Non pi solo movimenti, quindi, non pi solo opposizione sociale, non pi ricami sull a
anizzazione, ma precisi obiettivi di trasformazione del modo di produzione e dell
o stato precisa definizione delle mediazioni e delle tappe necessarie a raggiung
erli.
Prime ipotesi su una nuova organizzazione politica
Ecco. La prima cosa che i comunisti devono fare sentirsi orgogliosi delle propri
e idee e riaffermarle in maniera radicale, e quindi non in maniera pi estremistic
a, ma pi concreta. Per conseguenza, e questa la seconda cosa, devono iniziare a r
ompere con tutte le forme organizzative che si trovano al di qua di quelle idee
ed ancora insistono sulla possibilit di democratizzare la globalizzazione e lUnion
e europea e di ingentilire il capitalismo con lo sviluppo delleconomia cooperativ
a e solidale. Rompere con quelle forme organizzative implica costruire una forma
nuova. E quindi unirsi in unassociazione politico-culturale che abbia lo scopo d
i ridefinire una posizione comunista valida per lItalia di oggi e che (pur preved
endo, per una fase iniziale la possibilit delladesione di persone che mantengono u

n legame con le vecchie organizzazioni) lo faccia fondendo sin dallinizio in una nu


ova realt ogni gruppo precedentemente costituito. Perch una situazione radicalment
e nuova (ossia la tendenza alla crisi dellUnione europea, momentaneamente mascher
ata dalla parziale ripresa economica in atto e dai meccanismi di neutralizzazion
e del conflitto tipici dello stato europeo), richiede il superamento delle forze p
olitiche nate in precedenza. E perch il gruppo dirigente di una futura organizzaz
ione non potr essere esclusivamente filiazione degli attuali gruppi comunisti, ma
dovr risultare da un aperto processo di raccolta di forze nuove ed inedite: proc
esso che linevitabile e comprensibile patriottismo di piccolo gruppo non potrebbe c
he ostacolare.
Tale associazione dovr avere come obiettivo fondamentale quello di iniziare a cos
truire un punto di vista autonomo rispetto a quello del capitale, restituendo au
tonomia culturale, organizzativa e politica ai lavoratori e ai cittadini tutti.
Per farlo dovr operare da subito sia come centro di direzione politica sia come r
ete di sperimentazione sociale, rivendicando un ruolo forte per quello che sar (q
ualunque forma possa assumere) il futuro partito politico e, rivendicando contem
poraneamente l importanza soprattutto nellepoca postdemocratica dellazione di massa
xtraistituzionale e della costruzione di autonome associazioni popolari. Dovr dun
que saper agire in due direzioni opposte, ossia molto in alto e molto in basso.
Molto in basso perch dovr contribuire a costruire le condizioni di una lotta popol
are aggregando quotidianamente centinaia di cittadini e lavoratori su una miriad
e di questioni e di punti di conflitto. Molto in alto perch dovr mettersi in conta
tto sia con le organizzazioni di tutte le classi che possono convergere su un pr
ogetto di dignit nazionale, sia con tutte le forze internazionali interessate a n
uovi equilibri mondiali, per costruire insieme ad esse o comunque in relazione a
d esse un preciso programma politico a dimensione locale e globale. Quel program
ma che, solo, come notava Gramsci, pu parzialmente compensare liniziale inevitabil
e assenza di saldi legami di massa.
Allinizio della vita dellassociazione non sar importante il numero, ma la qualit. Se
rvono uomini e donne provenienti dalle pi diverse classi, dai pi diversi territori
e dalle pi diverse esperienze, che siano capaci di esplorare tutti gli spazi soc
iali, di interpretarne le esigenze e di tradurre in essi una nuova sintesi polit
ica. Uomini e donne che non intendano la militanza come una carriera ma agiscano
per uno scopo generale e sappiano subordinarsi alle proprie idee piuttosto che
al proprio ego. E servono persone capaci di discutere anche profondamente le pro
prie idee, ma consapevoli che per aggiornare, verificare, modificare unidea bisog
na prima di tutto possedere, appunto, unidea chiara e distinta. E bisogna quindi
finirla con lefficace meccanismo censorio, tipico della sinistra radicale, che co
nsiste nella discussione infinita che non mette mai un punto, nella rassegna di
diverse e a volte incompatibili opzioni teoriche, utile solo a tener buono quest
o o quellintellettuale, ma del tutto ininfluente sulle scelte effettive. Bisogna
cio discutere a partire da un gruppo di idee forti condivise e tornare ad un pens
iero che non sia strumentale, ma fondativo rispetto alla politica.
Espandersi oltre la sinistra
La terza cosa che i comunisti devono fare quella di espandersi non solo, come ov
vio, oltre i propri ristretti confini, ma anche oltre i confini della sinistra c
os come oggi si presentano. Da troppo tempo infatti la sinistra tornata ad essere
quella che sempre stata e sempre sar ogni volta che recide, come oggi, il suo ra
pporto con le grandi ideologie dellemancipazione popolare. La sinistra senza gran
di ideologie, la sinistra senza aggettivi soltanto pseudo-modernizzazione capitali
stica: mercato, guerra, corruzione politica, pi qualche diritto cosmetico (per usar
e unespressione cara a Luciano Barra Caracciolo) buono ad acchiappare i gonzi. La
sinistra da tempo non pi un non ancora del socialismo, una posizione moderatamente
ma convintamente egualitaria passibile di ulteriori sviluppi. Zeppa di ideologi
del merito che sono quasi tutti figli darte, essa ormai una nemica dichiarata de
lleguaglianza e di ogni pur modesta redistribuzione del reddito.
Bisogna ormai riconoscere che se il rapporto tra socialismo egualitario e destra
impossibile, il rapporto tra socialismo e sinistra solamente eventuale, tanto c
he oggi, ad esempio, non esiste affatto. Unire la sinistra quindi parola dordine ch

e rischia di farci trovare in cattiva compagnia, oltre che di suonare estranea e


d ostile a gran parte del popolo. Si tratta piuttosto di unire il popolo attorno a
ci che ancor oggi il pi pesante e meritorio lascito della vecchia sinistra (ma no
n solo di essa), divenuto ormai patrimonio generale: quella Costituzione che non
ostante i suoi evidenti limiti (quali la sopravvalutazione del ruolo della propr
iet privata e il monopolio partitico della politica) rappresenta comunque un coer
ente dispositivo di difesa delle classi popolari, unapertura verso forme pi radica
li di eguaglianza e, allo stesso tempo, un antidoto nei confronti dei possibili
esiti autoritari del populismo (anche di un populismo democratico).
E il problema di unire il popolo anche il problema di quale tipo di partito dovr
esprimere tale unit. Solo laperta discussione all interno della futura associazione
di comunisti potr dire se sar necessario e possibile costruire fin da oggi un par
tito o un polo comunista che promuova un fronte popolare , o se oggi i comunisti,
senza nulla nascondere delle proprie idee e senza rinunciare alle proprie prospe
ttive, dovranno agire come corrente interna ad un pi ampio soggetto politico nazi
onal-democratico. Insomma: partito comunista e fronte popolare o corrente comuni
sta e partito nazional-democratico? Se una tale discussione (insieme a quelle, i
mportantissime, sugli effetti dellUnione europea sulla struttura produttiva itali
ana, sul significato del renzismo, sulle possibili alleanze alternative del paes
e) fosse gi iniziata, saremmo gi a buon punto.
Ridiventare comunisti, rompere con le formazioni attuali e unirsi in una nuova o
rganizzazione, espandersi oltre la sinistra. Queste sono le tre cose da fare, se
nza le quali i problemi dellunit popolare, dellautonomia nazionale, della riappropr
iazione pubblica delle grandi imprese (problemi ineludibili per chiunque voglia
divenire davvero egemone nel paese), saranno posti e risolti da altri, magari si
mili al fascismo, magari populisti, o magari nazional-democratici. O forse non s
aranno affrontati da nessuno: ed il paese scivoler ancor pi velocemente verso il d
egrado economico e civile con lattiva complicit dei comunisti, incapaci di situars
i allaltezza del proprio nome e delle proprie migliori intuizioni.
II
Per un socialismo pluralista
Mi sia consentito, ora, di soffermarmi un po pi a lungo sullidea di trasformazione
socialista che ho in mente, anche perch proprio la questione dellattualit del comun
ismo (e del socialismo che ne la realizzazione storica) a rappresentare lo scogl
io su cui naufraga, ad esempio, la stessa opposizione interna alla sinistra radi
cale, che troppo spesso, quando non propone di rifare il PCI e lURSS o quando non
si culla, allopposto, nel mito dellautorganizzazione sociale, si limita a rivendi
care il rilancio dellopposizione dal basso e la rottura di ogni rapporto col PD:
cose che, da sole, non portano molto lontano.
Parliamo di socialismo
La cisi stata ed , tra le altre cose, anche una grande lezione di marxismo, sia d
i marxismo classico che di neomarxismo. Ha mostrato apertamente come il capitali
smo sopravviva ormai solo grazie ad una immane socializzazione delle perdite e a
d un deciso intervento pubblico. Ha quindi rivelato, ancora una volta ed in mani
era pi complessa che in passato, la contraddizione tra forma sociale della produz
ione e forma privata dellappropriazione: se ed in quanto il capitalismo sopravviv
e solo grazie allo sfruttamento del nostro lavoro, alla rapina dei nostri rispar
mi, allutilizzo di denari pubblici che vengono dalle nostre tasche, nella stessa
misura esso deve essere posto sotto il nostro controllo. E tale controllo, di fr
onte ad una crisi conclamata (per quanto rallentata ad arte) non pu esser fatto d
i mezze misure. Non si possono pi fare proposte che si limitino ad abbellire la r
ealt evitando accuratamente il problema di cambiarla: lo sviluppo delleconomia che
si autodefinisce sociale, lestensione apparente di diritti sempre meno esigibili,
il proliferare delle opere pie ed empie, non ci daranno n la piena occupazione, n
il controllo dei movimenti del capitale, n la redistribuzione del reddito, n un as
setto globale pi equilibrato. E lora di porre apertamente, piuttosto, la questione

del socialismo, e quindi anche la questione del potere politico di stato (e dell
a sua dimensione spaziale), come questioni decisive dellazione politica, qui ed o
ra.
E il socialismo (forma storicamente possibile di esistenza del comunismo come co
mbinazione di diversi tipi di propriet e di regolazione) consiste essenzialmente
nella propriet pubblica dei pi importanti gruppi industriali e finanziari, nello s
viluppo di uneconomia pianificata che non escluda, quando pi efficienti, forme di
mercato regolato, e nellesercizio del controllo civico sul settore pubblico, sull
a pianificazione e sullo stesso mercato. E consiste inoltre nel progressivo supe
ramento del lavoro salariato sia per via diretta (grazie alla forma pubblica, co
operativa o comunitaria della propriet) sia riducendo il peso del salario nella f
ormazione del reddito in forza della gratuit delle prestazioni del welfare e delli
ntroduzione di un reddito di base.
Ritengo necessario insistere sul tema della propriet pubblica, perch lidea della pr
opriet comune, che ormai divenuta lultima parola del pensiero critico in materia di
alternative al sistema economico vigente, se pure ha diversi meriti di cui qui n
on posso discutere, di fatto oggi funziona come modo per eludere il problema del
superamento della propriet privata. Lidea di bene comune infatti relativa a forme
di ricchezza che sono per natura liberamente accessibili a tutti ed il cui cons
umo da parte di ciascuno non limita il consumo da parte degli altri. Si tratta d
i beni quasi illimitati, come letere, lacqua del mare, le selve (prima della defores
tazione capitalistica) e come la conoscenza, beni che come tali mal sopportano d
i essere sottoposti a propriet privata e che possono essere fruiti da tutti anche
senza un regime di propriet pubblica (in questo caso lo stato avrebbe solo la fu
nzione di regolare laccesso). Ma il capitale tuttaltro che un bene di questo tipo.
E scarso, quantitativamente definito, se viene consumato da qualcuno non pu esser
e consumato da altri. Insomma: il bene il cui possesso fondamentale per decidere
democraticamente sulla regolazione economico sociale non un bene comune, facilm
ente assoggettabile alla propriet privata e quindi pu essere acquisito dalla gener
alit dei cittadini solo se lo stato ne diviene proprietario espropriando gli attu
ali detentori. La conclusione pu non piacere, comporta rischi dei quali sono cons
apevole, ma inevitabile.
e parliamo di stato
Cos come inevitabile porsi il problema del potere di stato. E proprio questo il v
ero punto dolente della cultura della sinistra radicale: lo stesso europeismo do
gmatico, che non a caso suppone che lEuropa segni davvero il superamento di tutti
gli stati invece che il rafforzamento di alcuni di essi , viene difeso a tutti
i costi soprattutto perch coerente col rifiuto di porsi il problema della conquis
ta e trasformazione del potere di stato. Da quel rifiuto ha origine la ripulsa d
i ogni idea, ancorch difensiva e progressiva, di nazionalismo, giacch ogni nazione
che si rispetti anche uno stato. Da esso ha origine anche il sotterraneo allont
anamento da ogni idea concreta di socialismo, dato che questultimo (per tacer dalt
ro) di fronte allattuale mobilit del capitale non pu che presentarsi anche come bar
riera statuale, meglio se su scala internazionale. E infine da quel rifiuto nasc
e la tendenza a sovrastimare la forza della societ civile, a non comprendere quan
to questa dipenda dalle erogazioni, e dalla cultura, del welfare, a non affronta
re il problema di un funzionamento alternativo delle strutture statuali, a risol
vere il tutto con una pallida riedizione dellanarchismo. Questo atteggiamento (mo
tivato probabilmente dal fatto che la gi ricordata frazione privilegiata del modo
del lavoro non ha bisogno di porsi il problema dello stato perch riesce a vivacc
hiare lo stesso) ha condotto la sinistra radicale a mantenere, anche dopo il mani
festarsi della crisi, le stesse idee che aveva prima, e quindi a non comprendere
davvero quanto la politica si andasse rinazionalizzando e quanto la capacit delle
classi dominanti di gestire a proprio vantaggio la crisi derivasse proprio dal l
oro dominio esclusivo sugli stati. E quindi, infine, quanto fosse e sia nuovamen
te decisiva per noi la conquista del potere politico di stato (e quindi anche la
sua ridefinizione territoriale e sociale).
So benissimo e ne parler fra un attimo che la questione del socialismo non si ris
olve semplicemente cos. E soprattutto so che lattuale crisi dello stato democratic

o-rappresentativo ha ormai reso quasi inutili le istituzioni in cui si potrebbe


esprimere la volont popolare. Ma proprio perch si sono chiusi i luoghi di mediazione
tra masse e stato si pone con assai maggiore acutezza il problema della neutral
izzazione e poi della conquista e trasformazione degli apparati esecutivi che es
ercitano un dominio sempre pi autoritario. Insomma, la cosiddetta postdemocrazia, c
he in maniera meno eufemistica andrebbe definita come dittatura democratica dell
a classe capitalista, non deve indurci allindifferenza verso lo stato e deve piut
tosto obbligarci a definire una strategia che per riconsegnare lo stato ai citta
dini, punti non tanto sullazione parlamentare (irrinunciabile, ma oggi non decisi
va) quanto su una crescente e coordinata mobilitazione popolare, e quindi sulla
minuziosa, quotidiana tenace costruzione delle condizioni culturali e politiche
di tale mobilitazione e delle autonome istituzioni popolari che la possano suppo
rtare.
Differenze rispetto al passato
Non si intenda quanto sopra come un semplice ritorno al passato. Nessun ritorno, i
n s e per s deve fare paura: se torna la crisi, se tornano la disoccupazione di ma
ssa, la finanziarizzazione e il capitalismo sregolato, ovvio che torni anche, in
qualche modo, ci cha ad essi storicamente si opposto. Ma in realt non siamo conda
nnati a ripetere lesperienza plumbea del socialismo di stato. Per una forza comun
ista essenziale sapere che oggi ormai possibile rompere, teoricamente e praticam
ente, con lorganicismo che ha affossato quellesperienza, e che possibile pensare a
d un socialismo pluralista che non nasconda i conflitti dietro una fittizia unit
(destinata a sgretolarsi miseramente) ma si basi sul riconoscimento dellesistenza
di interessi anche divergenti e di una permanente differenza e contraddizione a
) tra pianificazione ed economia, b) tra stato e popolo e c) tra stato e partito
.
A) La pianificazione non potr mai risolvere tutto: il piano soffre della difficol
t a reperire le informazioni necessarie e a prevedere gli effetti delle interazio
ni complesse. Ma tali informazioni non possono essere fornite dal mercato (dato
che i prezzi raramente riescono ad esprimere il costo e lutilit sociale dei beni s
trategici) e possono piuttosto emergere dal conflitto fra i diversi attori econo
mici, sociali ed istituzionali: il conflitto il modo in cui la societ conosce s st
essa, e lorientamento generale della pianificazione deve essere costruito anche s
ulla base dei conflitti e della loro mediazione. Per sburocratizzare la pianificaz
ione (che comunque non dovrebbe essere lunica forma di regolazione) non basta qui
ndi sottoporre le imprese pubbliche e le scelte del pianificatore ad una rete di
controlli da parte di istituzioni statali ad hoc e di autonome associazioni di
cittadini e lavoratori. Si deve piuttosto far s che essa si svolga come mediazion
e tra gli indirizzi governativi e le indicazioni scaturenti dalla aperta dialett
ica tra coalizioni di diversi gruppi di imprese e di associazioni di interesse p
ubblico. Se la concorrenza capitalista stata ormai sostituita dalla dura e sorda
competizione oligopolistica (i cui strumenti sono, allo stesso titolo, prezzo e
qualit, ma anche criminalit, politica e guerra), tale competizione non pu essere a
sua volta sostituita da unimpossibile armonia, ma dal palese e trasparente confl
itto pluralistico attorno alla pi opportuna allocazione politica delle risorse, e
dalla mediazione statale di tale conflitto. Un conflitto che, se da un lato con
sente di superare la tendenziale staticit (e difficolt evolutiva) del socialismo,
costituendo un valido sostituto della competizione capitalistica, dallaltro la ba
sse materiale sia della democrazia che del diritto perch offre autonome risorse o
rganizzative ai cittadini e favorisce quella differenziazione (e controllo recip
roco) delle istituzioni senza la quale lo stato di diritto diviene pura apparenz
a.
B) Quanto allo stato, se dovr essere rafforzata ed ammodernata la struttura istit
uzionale pubblica che agisce in base a norme autoritative ed universalistiche (s
enza le quali non esiste politica egualitaria), contemporaneamente dovr essere ra
fforzata e diffusa la rete di istituzioni popolari autonome, intese non come fon
damento dello stato, bens come contraltare permanente dello stato stesso, come or
gani di controllo de facto, base per la formazione di gruppi dirigenti alternati
vi capaci di correggere, contrastare, sostituire i gruppi di governo. Senza tali

istituzioni, senza i soviet, non c socialismo: ma i soviet non devono divenire or


gani del potere di stato, bens organi del permanente contropotere: altrimenti, co
me avvenuto nel passato, tutto sarebbe interno allo stato e nulla potrebbe criti
carlo (e dinamizzarlo) efficacemente. A differenza di quanto voleva lideologia de
l socialismo di stato non deve esservi identit, ma contraddizione produttiva tra
stato e popolo, tra stato e soviet. Stato e soviet devono controllarsi a vicenda
per contrastare le tendenze degenerative inevitabilmente presenti in ciascuna i
stituzione, e soprattutto in quelle monopolistiche.
C) Quanto al partito, prima di tutto va riaffermato che il partito reale ossia il
soggetto che effettivamente offre alle classi subalterne identit, organizzazione
e direzione politica sempre formato da molteplici e diverse strutture (sindacati
, associazioni mutualistiche, gruppi intellettuali, giornali e network, gruppi di
nteresse pubblico e anche singoli e veri e propri partiti formali) e che di volta
in volta il compito di direzione pu spettare ad una qualunque di tali strutture.
In linea di principio il partito formale non il monopolista dellazione politica, e
la sua capacit di direzione politica deve essere verificata volta per volta, sopr
attutto quando esso sia anche partito di rappresentanza istituzionale e rischi d
i identificarsi con gli apparati di stato. Daltra parte, nellattuale condizione di
confusione e superficialit intellettuale e politica, evidente la necessit di un g
ruppo dirigente coeso, ramificato e dotato di idee chiare e distinte, capace di
proporre sensate indicazioni politiche. Questo partito strategico , in quanto do
vr perfezionare e diffondere idee attualmente assai minoritarie nel paese, dovr do
tarsi di meccanismi che difendano loriginalit di quelle idee stesse e quindi imped
iscano le scalate ostili. Ma proprio mentre insisto sulla necessit della direzione
politica e quindi di un partito forte, proprio per questo insisto anche sulla ne
cessit di mantenere una decisa separazione tra partito (qualunque forma esso poss
a avere: nucleo bolscevico, gruppo dirigente trasversale, coalizione di partiti e
movimenti) e stato, una separazione che, impensabile nel socialismo organicista,
nel socialismo pluralista resa materialmente possibile dalla scissione dellidea d
i stato che qui proponiamo (scissione tra lapparato pubblico e le associazioni po
litiche esterne, quali i soviet e il partito), e pu trovare la propria garanzia f
ormale solo nella costituzione e nel diritto, che anche per questo appaiono elem
enti essenziali alla costruzione del socialismo.
Lavoratori e cittadini
Nonostante la voluta continuit, anche linguistica, con alcuni capisaldi del passa
to, lidea di socialismo che qui ho appena abbozzato si differenzia sensibilmente
lo ripeto dalle sue precedenti versioni storiche. Prima di tutto perch, come abbi
amo visto, si tratta di un socialismo pluralista. E secondariamente perch tale id
ea si rivolge pi ai cittadini che ai lavoratori o, meglio, si rivolge ai lavorato
ri in quanto cittadini e non immediatamente in quanto membri di una classe. Come
membri di una classe, infatti, i lavoratori sono spesso dispersi, divisi, rasse
gnati ad accettare quelle che appaiono come impersonali e inevitabili dinamiche
di mercato: sono titolari di una funzione economica che almeno per loggi associat
a alla passivit e alla subordinazione. Come cittadini sono invece titolari di dir
itti politici, sanno che, almeno in linea di principio, possono agire per miglio
rare le condizioni della propria esistenza, e possono pi facilmente comprendere i
l carattere appunto politico, e non tecnico o naturale, dei processi che li sott
omettono. La centralit del cittadino, quindi, non rappresenta una distrazione dal
la lotta di classe ma un suo potenziamento perch consente di porre quelle questio
ni di potere che il lavoratore oggi abituato, o costretto, a tralasciare. Contem
poraneamente, per, fare appello ai cittadini consente di diffondere lidea del soci
alismo ben oltre i tradizionali confini classisti nei quali sorta e di far emerg
ere pi facilmente la contraddizione che ormai oppone il capitale finanziario non
solo al lavoro salariato ma allinsieme della societ.
Un socialismo per lItalia
A mio avviso questa lidea di socialismo che pu pi facilmente acclimatarsi (o riaccl
imatarsi) in Italia. Sia perch il suo aspetto pluralista ben si intreccia con la
differenziazione degli interessi e con la variet associativa proprie del nostro p

aese; sia perch nella figura generica del cittadino possono riconoscersi e conver
gere posizioni sociali spesso assai diverse tra loro. Ma soprattutto, dobbiamo e
ssere assolutamente consapevoli del fatto che una prospettiva socialista si intr
eccia ormai con quelle che sono le esigenze oggettive del nostro paese. Il quale
non pu tornare ad un livello di civilt paragonabile a quello raggiunto in un rece
nte passato se non torna ad un sistema di economia mista, un sistema che appare
necessario a contrastare quello che il principale problema economico dellItalia:
non la pur negativa frammentazione delle piccole imprese, ma la sottocapitalizza
zione dei grandi gruppi industriali e finanziari, che li rende incapaci di funge
re da stimolo positivo per le PMI (usate invece come spazio di esternalizzazione
dei costi) e li rende facili vittime dei processi di centralizzazione del capit
ale verso il cuore (tedesco) dellEuropa.
In estrema sintesi, si tratta di elaborare un programma per lItalia che, per redi
stribuire reddito e potere a vantaggio di lavoratori e cittadini e per innovare
lapparato produttivo e quello di stato, prenda atto del fallimento del capitalism
o europeista, rompa con lattuale Unione europea e (pur mantenendo lobiettivo di un
a nuova unificazione europea, basata questa volta su una politica di indipendenz
a dai blocchi) costruisca uno spazio euro-mediterraneo cooperativo e pacifico. E
ntro questo spazio sar nuovamente possibile, per contrastare le deficienze del no
stro capitalismo, ripubblicizzare buona parte del sistema bancario e industriale
, ritornare allinvestimento pubblico, intervenire razionalmente sul nesso tra gra
ndi e piccole imprese, rilanciare politiche di piena occupazione e/o di redistri
buzione del lavoro che a loro volta sono la base materiale per il rilancio della
lotta di classe.
E chiaro che il ritorno alleconomia mista (e le implicazioni geopolitiche di tale
scelta, ossia la crisi del rapporto col capitalismo atlantico e con lasse Usa-Ue)
pu essere interpretato in diversi modi e che sta a noi interpretarlo come una vi
a per rafforzare il potere dei cittadini e dei lavoratori, passando dal capitali
smo privatistico ad un capitalismo di stato democratico e da questo ad un sistem
a tendenzialmente socialista. Ma altrettanto vero che se non affronteremo noi qu
esto nodo qualcun altro lo far, e che molto probabilmente si torner a qualcosa di p
i simile allultimo periodo dellIri che non al primo.
Per non lasciar cadere questa occasione per necessario superare due ostacoli che
continuano a confinare i comunisti in uno spazio molto pi ristretto di quello a c
ui potrebbero ambire. Questi ostacoli sono la paura del nazionalismo e lincapacit
di parlare a chiunque non si presenti come lavoratore (garantito o precario) e q
uindi di costruire alleanze sociali della necessaria ampiezza.
Per un nazionalismo democratico
Ripeter fino alla nausea che nessuna esperienza di emancipazione popolare del pas
sato, e anche del recente passato, ha potuto realizzarsi senza un riferimento es
plicito alla nazione: la Comune di Parigi, Stalingrado, Cuba, il bolivarismo . Se
nellepoca dellimperialismo nazionalista il riferimento alla nazione spesso (ma no
n sempre) reazionario, nellepoca dellimperialismo globalista, che persegue la diss
oluzione degli stati pi deboli per meglio rapinare la societ e per far circolare p
i agevolmente il capitale, nessun processo di emancipazione pu fare a meno di dife
ndere o di ricostruire lo stato, e quindi la nazione. Non perch questi siano lespr
essione di unetnia, di una religione, di una storia o di una tradizione da tutela
re, ma perch costituiscono la prima ed elementare sede della decisione politica e
fficace e quindi la sede di una decisione democratica capace di avere effetto. E
chiaro che oggi meno di ieri si pu costruire il socialismo, e la stessa democrazi
a, in un paese solo. Ma altrettanto chiaro che lidea, astrattamente giusta, della n
uova alleanza internazionale come condizione di una lotta politica pienamente ef
ficace non pu rimuovere (a meno di presupporre unimpossibile sincronia tra le esig
enze e le vicende dei singoli paesi) il problema della necessaria, preliminare d
efinizione degli interessi nazionali. Allo stesso modo, il richiamo insistito al
la sovranit popolare, quando accuratamente si evita di parlare di sovranit naziona
le, un modo per rimuovere un fatto ineludibile: in attesa di costruire nuove sed
i internazionali di decisione lunico luogo della sovranit democratica (per quanto
debole, iniziale, precario) lo stato nazionale, e lunico modo per rivendicare dav

vero la dignit di un popolo quello di rivendicare la dignit di un paese.


Comprendo benissimo le ragioni che, in Italia, rendono difficile ai comunisti il
parlare di nazione. Ma laver subito, pi di ottanta anni fa, lesperienza fascista n
on autorizza nessuno a propalare lasineria storica e politica che consiste nel pe
nsare che il nazionalismo implichi necessariamente lautoritarismo antipopolare.
Insomma: senza una ridislocazione internazionale del paese non c n democrazia n tant
omeno socialismo. E non c indipendenza ed autonomia culturale e politica dei lavor
atori senza lindipendenza del paese dalle abituali alleanze che gli impongono il
domino assoluto del liberismo.
Ma c di pi: le politiche di accoglienza e di solidariet internazionalista che oggi c
ostituiscono la bandiera della sinistra radicale non sono affatto possibili allin
terno dellUnione europea e del sistema delleuro, mentre sarebbero favorite da un n
azionalismo democratico capace di divenire da subito proposta di cooperazione me
diterranea. Allopposto di ci che appare, proprio la pretesa entit sovranazionale a
chiudere i confini e ad erigere barriere; leuro (ossia il deflazionismo) a render
e impossibile laccoglienza; lappartenenza alla Nato ad imporre spese militari che
pesano in maniera sempre pi severa sui bilanci pubblici. Non la nazione, ma sono
il globalismo e leuropeismo i veri nemici dellinternazionalismo. Chi oggi giustame
nte si indigna per il trattamento che lEuropa tutta riserva alle masse umane che
fuggono da crisi e guerre di cui essa stessa corresponsabile, deve capire che so
lo un nuovo ruolo internazionale del paese pu iniziare, almeno per larea mediterra
nea, la difficile strada di un riequilibrio dei rapporti Nord/Sud e della pace.
Solo unautonoma politica mediterranea italiana potr gestire razionalmente la quest
ione epocale della migrazione: non i muri, ma nemmeno la semplice solidariet. Sen
za nazionalismo democratico non c universalismo umanitari. E blaterando in continu
azione contro il nazionalismo, leuropeismo della sinistra radicale diviene euroce
ntrismo.
Alleanza tra lavoro e piccole imprese
Se si vogliono costruire le alleanze necessarie a gestire il difficile passaggio
che ci attende, ma anche se ci si vuole limitare a riunificare le figure disper
se del lavoro subalterno, necessario rivolgersi alle piccole imprese (e, ricordi
amolo, moltissimi lavoratori subalterni sono formalmente piccoli imprenditori) c
on un atteggiamento assai diverso dal passato e basato sui seguenti presupposti.
A) Riconoscere che la piccola impresa non sempre e comunque una struttura arret
rata destinata ad essere positivamente superata dalla grande impresa, ma una for
ma dimpresa che di volta in volta pu rappresentare la soluzione ottimale in divers
i e mutevoli settori delleconomia. B) Prevedere, quando si versi in casi di ecces
siva frammentazione, un superamento graduale della piccola impresa, una sua inte
grazione in reti di imprese, un organico sostegno agli imprenditori maggiormente
penalizzati dalla ristrutturazione. C) Orientare lazione delle imprese pubbliche
in senso sinergico e non competitivo nei confronti della piccola (e media) impr
esa privata, in particolare superando gli attuali rapporti vessatori tra grande cl
iente e piccolo fornitore. D) Prevedere uno scambio tra lealt fiscale ed efficienza
dei servizi per le PMI, ma soprattutto, per evitare un massacro sociale analogo
a quello dei licenziamenti di massa, attenuare, in proporzione al persistere de
lla crisi, sia la pressione che le sanzioni fiscali, compensando il minor gettit
o proveniente dalle PMI col maggior gettito necessariamente derivante dalle gran
di imprese divenute pubbliche.
Per continuare la ricerca
Mi rendo conto che socialismo pluralista, nazionalismo democratico, critica dell
a sinistra e alleanza con le piccole imprese e con tutto il pulviscolo delle parti
te Iva, sono cose assai diverse dallaltermondialismo, dalle suggestioni della stag
ione dei movimenti, dallidea di fare la rivoluzione senza prendere il potere (idea g
enerosa in alcuni, ma opportunistica nei pi). Temi e momenti che anche chi scrive
ha attraversato, sempre consapevole della loro limitatezza, ma anche convinto d
el valore della grande lezione di pluralismo, appunto, che da essi derivava. Ma
non colpa mia se, di fronte alla crisi, quelle posizioni non hanno saputo evolve
rsi e porre di nuovo, pur se sulla base delle loro specifiche convinzioni, il pr

oblema del potere, ed hanno piuttosto ripetuto lillusione di


ogni stato. E non colpa mia se la gran parte dei comunisti
atto lo stesso, scordandosi che nella loro tradizione teorica
i riaffrontare la questione del socialismo e del potere senza
ente nelle trappole dello statalismo assoluto.

poter fare a meno di


di questo paese ha f
cera la possibilit d
cadere necessariam

Per provare a svegliare i comunisti dalla loro letargia, e convincerli della pos
sibilit concreta (e in particolare in Italia) del socialismo, io ho cercato qui d
i riproporre la riflessione sulla contraddizione fondamentale, vista da Marx per
primo, tra socializzazione della produzione e propriet privata, consapevole sia
del discorso neomarxista sulla variet delle forme concrete di quella contraddizio
ne e dei soggetti che la interpretano, sia della critica postmarxista alla centr
alit assoluta del potere politico. Ho provato inoltre a delineare una nuova conce
zione dello stato consiliare, capace di superare la vecchia illusione per cui il c
omunismo pu e deve superare ogni contraddizione tra stato e popolo.
La mia sola aspirazione che si crei un luogo collettivo in cui le idee qui propo
ste (e che conto di esprimere presto in maniera pi completa) possano essere confu
tate e superate da una migliore soluzione del problema del socialismo in Italia.
E nel mondo.

Potrebbero piacerti anche