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Rientrare dal debito: hanno senso le severe misure richieste ai governi?


Pubblicato da Carmen Gallus Il 9 marzo 2010 @ 01:28 in Informazione | 1 commento

[1]
Traduco il brano finale di un articolo di Ellen Brown pubblicato su Global Research il 22
dicembre del 2009 sulla situazione di Grecia, Lettonia e Islanda, perché contiene spiegazioni che mi sembrano
molto chiare e illuminanti sul perché non abbia senso accollarsi le “severe misure” che si chiedono ai governi per
rientrare dai loro debiti. Non c’è senso economico nel fatto che gli stati europei non debbano avere la possibilità di
finanziare spese produttive di sostegno all’economia con una propria libera emissione di moneta e con prestiti liberi
da interesse. E l’argomento dell’inflazione, usato in tutti i libri di economia per demonizzare la “monetizzazione” del
debito, è in realtà un argomento debole. Senza contare il fatto che anche i creditori potrebbero essere salvati…

Vediamo cosa dice Ellen: [2]

La valuta locale per lo sviluppo locale

La politica di emissione di moneta per finanziare progetti pubblici ha una storia lunga e di successo, che risale
almeno al XVIII secolo, quando la colonia americana della Pennsylvania emetteva moneta, che era sia prestata che
direttamente spesa nell’economia del paese dal governo locale. Il risultato è stato un periodo di prosperità senza
precedenti, realizzato senza produrre inflazione e senza tassare il popolo.

1 di 4 09/03/2010 22:45
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Lo stato dell’isola di Guernsey, che si trova nelle isole della Manica tra Francia e Inghilterra, ha finanziato le proprie
infrastrutture con denaro emesso dal governo per oltre 200 anni, senza inflazione e senza debito pubblico.

Durante la prima guerra mondiale, quando le banche private chiedevano interessi del 6 per cento, la
Commonwealth Bank dell’Australia, di proprietà pubblica, finanziava l’impresa bellica del governo a un tasso di
interesse di una frazione dell’1 per cento, con un risparmio per gli australiani di circa 12 milioni di dollari di spese
bancarie. Dopo la prima guerra mondiale, il governatore della banca usò il creditoper salvare gli australiani dalla
depressione, condizione prevalente negli altri paesi, finanziando la costruzione di abitazioni e prestando fondi ai
govelocali per la costruzione di strade, linee tranviarie, porti, officine del gas e centrali elettriche. I profitti della
banca venivano versati al governo nazionale.

Un programma di successo in infrastrutture finanziate con credito nazionale senza interessi è stato istituito in Nuova
Zelanda dopo l’elezione del primo governo laburista nel 1930. Il credito emesso dalla sua banca centrale
nazionalizzata ha permesso alla Nuova Zelanda di prosperare in un momento in cui il resto del mondo era alle prese
con la povertà e la mancanza di produttività.

L’argomento contro la politica di emissione e di prestito di denaro per le infrastrutture è che la spesa
pubblica finanziata con emissione di moneta sarebbe inflazionistica, ma questo non è necessariamente
vero. L’inflazione si verifica quando la domanda (ossia la moneta emessa) aumenta più velocemente dell’ “offerta”
(la produzione di beni e servizi). Quando la moneta nazionale è emessa per finanziare progetti produttivi, e la
produzione aumenta con la domanda, i prezzi al consumo rimangono inalterati.

In ogni caso, ci sono le banche private che moltiplicano il denaro attraverso il credito. E il processo attraverso il
quale le banche creano il denaro, quello sì, è intrinsecamente inflazionistico. Esse infatti prestano solo il capitale, non
l’interesse necessario per estinguere i loro prestiti. Quindi per arrivare a coprire gli interessi dovranno essere presi
nuovi prestiti, gonfiando sempre di più l’offerta di moneta con nuova moneta-debito. E poiché il denaro affluisce ai
creditori, piuttosto che nella produzione di nuovi beni e servizi, la domanda (denaro) aumenta senza che aumenti
l’offerta, producendo l’inflazione. Se i crediti fossero erogati liberi da interesse per progetti di infrastrutture
pubbliche, l’inflazione potrebbe effettivamente essere ridotta, venendo meno la necessità di emettere
continuamente nuovi prestiti per procurarsi il denaro per l’ interesse al servizio del vecchio prestito.

La chiave è quella di utilizzare il denaro di nuova emissione o il credito per progetti produttivi che aumentino i beni e
i servizi, piuttosto che per speculazione o per pagare il debito nazionale in valuta estera (la trappola in cui cadde lo
Zimbabwe). La moneta nazionale può essere protetta dagli speculatori mediante l’imposizione di controlli sui cambi,
come ha fatto la Malaysia nel 1998; imponendo controlli sui capitali, come il Brasile e Taiwan stanno facendo ora,
vietando i derivati e imponendo una “tassa Tobin”, una piccola tassa sul commercio di prodotti finanziari .

Salvare i creditori

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Se i creditori sono realmente interessati ad avere indietro i loro crediti, comprenderanno bene quanto sia saggio
lasciare che il paese debitore costruisca la sua economia producendo qualcosa con cui pagare. Se i creditori non sono
realmente interessati al rimborso, ma utilizzano il debito come un grimaldello per sfruttare il paese debitore ed
estorcergli le sue attività, allora bisogna chiamare questo bluff.

Quando il paese debitore si rifiuta di pagare, l’onere si trasferisce sui creditori, i quali devono potersi salvare.
L’economista britannico Michael Rowbotham suggerisce che nel mondo moderno della moneta elettronica, questo
può essere fatto da delle autorità di regolamentazione bancaria creative, semplicemente con un cambiamento nelle
regole della contabilità. Il “debito” oggi è creato con le scritture contabili, e può essere eliminato con scritture
contabili. Così, se una banca commerciale ha un valore di 10 miliardi dollari di titoli del debito dei paesi in via di
sviluppo, dopo l’annullamento del debito potrebbe esserle consentito in perpetuo di avere un deficit di 10 miliardi di
dollari nella sua attività. Rowbotham delinea due modi attraverso i quali le regole possono essere cambiate per
liquidare i debit impossibili da rimborsare:

“La prima opzione è quella di rimuovere l’obbligo per le banche di mantenere la parità tra attività e passività. . . . è
quella di annullare le obbligazioni di debito, ma permettendo alle banche di mantenerle a fini contabili. I debiti
sarebbero cancellati per le nazioni in via di sviluppo interessate, ma resterebbero ancora validi ai fini dei conti della
banca. Le obbligazioni sarebbero allora tenute come attività permanenti non negoziabili, al loro valore nominale. “

Se le banche venissero autorizzate o a mantenere prestiti non rimborsabili sui loro libri, o ad accettare il pagamento
in valuta locale, i loro beni e la loro solvibilità sarebbe conservata. Tutti potrebbero stringersi la mano e tornare al
lavoro.

Ellen Brown è un avvocato della California e autrice di diversi libri tra cui “Web of Debt: The Shocking Truth About Our Money
System and how we can break free”, disponibile in inglese, svedese e tedesco. I suoi siti web sono www.webofdebt.com e
www.ellenbrown.com. Ellen Brown è collaboratrice di Global research

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[2] : http://www.globalresearch.ca/index.php?context=listByAuthor&authorFirst=Ellen&
authorName=Brown

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