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Semantica
Enciclopedia del Novecento - stampa
di Tullio De Mauro
Semantica
sommario: 1. Il nome della semantica. 2. Le due accezioni fondamentali della parola
!semantica'. 3. Altre accezioni di !semantica'. 4. Una definizione della semantica. 5. Un
primo problema: scienza o campo di studi? 6. Un secondo problema: semantica
linguistica e semantica semiotica. 7. Semantica e consistenza del contenuto. 8. Termini
e nozioni fondamentali per una semantica semiotica. 9. Criteri per una classificazione
semantica dei codici semiologici. 10. Linguaggi a segni inarticolati. 11. Linguaggi a
segni articolati di numero finito. 12. Linguaggi a segni articolati di numero infinito. 13.
Linguaggi a segni sinonimi. 14. Calcolo e linguaggio verbale. 15. Una quinta famiglia di
codici e un terzo principio saussuriano. 16. La massa del vocabolario. 17. Accezioni e
pluriplanarit. 18. Pluriplanarit e onniformativit semantica. 19. Discorso, testo e
carattere aperto dell'interpretazione linguistica. 20. Indeterminatezza, spazio
linguistico e spazio culturale. " Bibliografia.
1. Il nome della semantica
La parola !semantica' fu introdotta un secolo fa da Michel Bral, che cos scriveva nel
1883: !L'tude o nous invitons le lecteur a nous suivre est d'espce si nouvelle qu'elle
n'a mme pas encore recu de nom. [...] En effet, c'est sur le corps et sur la forme des
mots que la plupart des linguistes ont exerc leur sagacit: les lios qui prsident la
transformation des sens, au choix d'expressions nouvelles, la naissance et la mort
des locutions, ont t laisses dans l'ombre [...]. Comme cette tude, aussi bien que la
phontique et la morphologie, mrite d'avoir son nom, nous l'appellerons la
Smantique (du verbe !"#$%&'(&), c'est--dire la science des significations" (Les lois
intellectuelles du langage, in !L'Annuaire de l'Association pour l'encouragement des

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tudes grecques en France", 1883, p. 133).


Da molto tempo, ormai, la parola ha cessato di essere un termine tecnico, usato
soltanto da iniziati. Essa figura nel vocabolario comune dell'italiano, cos come i suoi
equivalenti etimologici figurano in quello di altre lingue europee, cio in quel nucleo di
circa cinquanta o sessantamila vocaboli di ciascuna lingua che si presumono noti ai
parlanti di buona cultura intellettuale, di l di particolari specializzazioni, e proponibili
in vocabolari scolastici o a uso, appunto, delle persone colte. Anzi, per qualche lingua,
e l'italiano tra queste, si trova !semantica' anche in vocabolari elementari, destinati
alla consultazione nelle scuole di base.
Dunque, non pi termine esoterico, ma parola relativamente comune. Come tale, non
c' da stupirsi, e avremo modo di tornare assai pi oltre su ci, che la parola abbia,
come si direbbe correntemente, parecchi sensi o significati o, anticipando
un'espressione un po' pi tecnica e precisa (v. capp. 16-17), parecchie accezioni.
A prima vista, si potrebbe obiettare che queste notizie sono forse interessanti per lo
storico della lingua o il lessicografo, ma povere di interesse per una trattazione di taglio
teorico e istituzionale. In linea generale, l'obiezione assai ragionevole. Chi voglia
scrivere un trattato di geologia o di trigonometria non ha motivo per occuparsi di
Ulisse Aldrovandi o di Bartolomeo Pitisco, primi testimoni dell'introduzione dell'uno e,
rispettivamente, dell'altro termine. Dunque, si potrebbe argomentare, non c' motivo
teorico per ricordare n l'origine della parola semantica, n il nome di Michel Bral, n
le varie successive accezioni della parola. Ci, ripetiamo, giusto in linea generale. E,
obbedendo a questo punto di vista valido in generale, pi d'una trattazione recente si
avventurata a parlare di semantica senza soffermarsi sulle accezioni della parola. Una
scelta del genere per, nel caso specifico, una scelta discutibile almeno da un altro
punto di vista.
Se una trattazione deve allineare semplicemente quelle che sembrano essere
proposizioni vere intorno a una materia, per essa probabilmente possibile trascurare
ogni esame delle accezioni del termine chiave che denomina la materia trattata e che,
dunque, circoscrive o concorre a circoscrivere, in un certo momento dello sviluppo
degli studi, l'orizzonte della trattazione stessa. Se invece una trattazione aspira al
carattere dell'autocorreggibilit e mira a rendere espliciti gli argomenti che rendono
accettabili come vere le proposizioni e a organizzare le proposizioni stesse in modo che
siano contraddicibili, mettendole perci in forse attraverso l'esposizione anche dei
controargomenti e accettandole per vere solo in quanto non falsificate, allora, allo stato
attuale degli studi, data la variet di accezioni della stessa parola semantica, pare
impossibile non aprire una trattazione della materia mettendo anzitutto in discussione
l'accezione della sua stessa denominazione. A una trattazione che renda esplicite le
condizioni e i limiti di validit dei suoi asserti si suole dare la qualificazione di !critica'.

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La costruzione di una semantica critica non possibile se non adottando la seconda


delle due possibilit prospettate poco pi su. In particolare, e in somma, per una
semantica critica non possibile non mettere in discussione anzitutto l'accezione della
parola che delimita la materia stessa, atteso che, come s' accennato e ora vedremo,
tale parola si presenta oggi non solo non univoca, ma ricca di accezioni divergenti
profondamente implicate nello svolgimento di rami diversi delle scienze sia storicoumanistiche sia esatte.
2. Le due accezioni fondamentali della parola !semantica'
In un loro importante libro, apparso nel 1923, I. A. Richards e C. K. Ogden si
occuparono delle molte e varie accezioni assunte dal termine !significato'. A
sessant'anni di distanza, per parafrasare il titolo di quel libro, potremmo dire che non
meno varia diventata la semantica del termine !semantica'.
Anzitutto vi una duplicit fondamentale. Come del resto anche altri termini rilevanti
per il dominio del sapere e le sue partizioni, usiamo !semantica' per designare tanto un
settore degli studi quanto la materia di cui gli studi si occupano. Come !storia', che
serve a designare sia le azioni e gli accadimenti, le res gestae, sia la storiografia, la
historia rerum gestarum, come !anatomia', o come molti nomi di scienze linguistiche
tradizionali o recenti (grammatica e retorica, sintassi e ortografia, fonetica, fonematica
e morfologia), !semantica' si riferisce a due piani diversi: al piano dei fenomeni
connessi al senso e significato di lingue, linguaggi e singole espressioni, come quando
parliamo appunto della semantica di questa o quella lingua, ovvero dell'architettura o
della musica, o anche della semantica d'una certa espressione singola; e al piano del
sapere riflesso, organizzato, entro cui sta quel settore delle ricerche vertente appunto
sui fenomeni semantici.
Ci si pu chiedere perch non abbordare subito, senza preamboli, la trattazione della
semantica nella prima accezione fondamentale, perch non tuffarsi subito, per
riprendere un'immagine scolastica e hegeliana, nel mare dell'esistente o, nel nostro
caso, dell'esistente significante, senza dilungarsi, per dir cos, in preliminari critici
sull'arte del nuoto.
Eppure, questa soluzione apparentemente facile incontra subito qualche difficolt non
superabile. Ci proponiamo di occuparci senza preamboli del significato. Bene, ma in
che senso? Ci occuperemo del significato delle parole soltanto o delle parole nella frase
e/o nel testo? O del significato del testo? E del testo come entit formale avulsa dagli
usi o del testo calato nelle varie (numerabili? innumerabili?) situazioni pragmatiche? O
amplieremo la nostra considerazione dalle parole ad altri simboli? E a quali? A tutto
ci che in qualche modo considerabile segno o, al contrario, per la disperante labilit

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d'una materia cos vasta e vaga, soltanto a quei segni e simboli pi rigidamente definiti
appunto nel loro significato (o senso) che sono i simboli di linguaggi artificiali e logici?
O, andando in cerca di tale maggior definitezza, mescoleremo nella materia della
nostra trattazione, pi o meno consapevolmente, linguaggi artificiali e lingue storiche,
ritagliando in queste ultime, della loro semantica, solo ci che pi stabile, i valori
denotativi meglio circoscritti, e lasciando da parte tutto ci che vi in essa, nella
semantica d'una lingua naturale, di flou, di indeterminato?
Si pongano esplicitamente o no, questi e altrettanti interrogativi non sono eludibili e
vivono e operano, per dir cos, nella struttura profonda d'ogni trattazione della
semantica come modo di significare. Dietro il baldanzoso realismo, si celano scelte
epistemologiche non dichiarate e confessate e forse, per il modo dogmatico con cui
vengono fatte, non confessabili. Ogni scelta sul taglio da dare alla materia che si tratta
implica, esplicita o no, una scelta di ordine teorico ed epistemico sul tipo di scienza e
teoria entro cui, consapevolmente o no, volutamente o no, ci si colloca.
Del resto, a un'attenta considerazione, lo stesso dato linguistico suggerisce di non
mettere da parte una discussione aperta e, per dir cos, franca dei limiti e degli aspetti
epistemologici. Si riconsiderino le parole evocate all'inizio, cio le parole dotate di una
bivalenza fondamentale, nomi di scienze e nomi della materia trattata dalle scienze, da
!storia' a !fonematica'. Si resta colpiti dal fatto che, salvo rare eccezioni, in generale il
prius il nome della tkhne, dell'epistme, non il nome della materia: non le rer
gestae si costituiscono in nome del dominio del sapere, ma la ricerca, lo historen, si fa
nome delle res gestae. Non sembra ragionevole parlare dunque d'una materia senza
fermarsi sul senso e sui limiti del termine teorico in funzione del quale ci si accosta a
un dato settore entro !lo gran mar de l'essere".
La scelta della nostra trattazione , dunque, quella di presentare la semantica anzitutto
nell'accezione epistemica, non nell'accezione realistica di questo termine. Entro
l'accezione epistemica, per, come gi si accennato, esistono suddistinzioni delle
quali occorre ora dar conto.
3. Altre accezioni di !semantica'
Per quanto recente, semantica, come nome di scienza, ha avuto il tempo di caricarsi di
sensi diversi. Molti dizionari correnti (Oxford, Zingarelli, ecc.) e molti studiosi (L.
Bloomfield, F. Lzaro Carreter, S. Ullmann ecc.) definiscono la semantica come una
parte della filologia, o della linguistica, o della grammatica e simili. La semantica, in
tale senso, si occupa dunque del linguaggio verbale, e in specie di quella porzione del
linguaggio verbale che si chiama, a seconda delle lingue, meaning, signification,
Bedeutung, significato, ecc. In questa accezione, semantica ha finito col prevalere su

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pi antichi concorrenti: si imposto dapprima in area inglese e francese (come notava


K. Jaberg gi nel 1901), poi anche in area tedesca ed europea nordico-orientale, a spese
del tedesco Bedeutungslehre, e di taluni derivati moderni del greco come !semologia'
(da !semema', unit di significato, sul modello di !fonema': fonologia), usato dallo
svedese A. Noreen nel 1925, o semasiologia, che nella forma tedesca Semasiologie fu
abbastanza diffuso tra gli studiosi tedeschi dell'Ottocento (K. Reisig, F. Heerdegen e
altri) e s'incontra ancora, ma in accezione pi ristretta (designa la Bedeutungslehre in
opposizione alla Bezeichnungslehre, cio lo studio del !"#$%&'(& dei nomi, in
opposizione allo studio del modo in cui le cose vengono nominate, detto
onomasiologia).
Del termine lanciato da Bral si impadronirono intorno al 1920 gli studiosi di logica
simbolica, che lo usarono dapprima come sinonimo di !sintassi logica' (ancora Rudolf
Carnap, nel 1934, accenna, con riserve, a quest'uso). Pi tardi, per convergente
influenza del gi ricordato volume di Ogden e Richards, un vero point de repre di
quanti si sono occupati in qualsiasi modo di semantica, e del grande logico polacco A.
Tarski, fu usato come teoria della relazione tra !espressioni e designata" nei linguaggi
formalizzati (Carnap, Boche)ski-Menne, ecc.).
Delle due accezioni che abbiamo detto fondamentali, l'accezione realistica (la
semantica come insieme di fenomeni del significare) e l'accezione epistemica (la
semantica come studio di tali fenomeni), la seconda si dunque abbastanza
precocemente sdoppiata in due: a) la semantica come studio storico-linguistico e b) la
semantic come studio logico-matematico.
Sullo sfondo di questa suddistinzione si collocano una folla di ulteriori divisioni e
partizioni. Per molti linguisti e anche psicologi, che si rifanno alla subaccezione a),
oggetto della semantica sono i fenomeni generali del linguaggio verbale (J. Marouzeau,
J. J. Katz e J. D. Fodor, U. Weinreich, A. Martinet, G. Mounin, D. Parisi, ecc.), per altri
(gi in parte per Bral, poi per i primi editori del Cours de linguistique di Saussure, per
Lzaro Carreter, per A. Schaff, sia pure solo in riferimento alla semantica dei linguisti)
la materia della disciplina data soprattutto dai fenomeni di natura evolutiva,
diacronica. Tra logici e filosofi, l'accezione b) si venuta in parte dilatando ad
abbracciare in generale tutti i fatti di significato di tutti i linguaggi: almeno dal 1938
per Ch. W. Morris, poi per altri studiosi (N. Kretzmann, Carnap, G. A. Miller) la
semantica, pi che una disciplina o linguistica o logica, una disciplina e linguistica e
logica, una disciplina semiotica.
La scienza generale dei segni, preconizzata da J. Locke nel Seicento, fu ripresa
pionieristicamente nella seconda met dell'Ottocento da Ch. S. Peirce, col nome di
semiotica, e da F. de Saussure, che la battezz semiologia. Essa ha trovato
continuatori, a partire dagli anni del secondo conflitto mondiale, sia in ambito logico-

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filosofico, dapprima soprattutto con Morris, sia in ambito linguistico, con E. Buyssens,
L. Hjelmslev, L. Prieto. Diventata un settore saggistico alla moda in vari paesi,
soprattutto sotto forma di discussioni sull'espressione e le caratteristiche di linguaggi
artistici o marginali, la scienza dei segni negli ultimi decenni ha conseguito importanti
risultati nello studio matematico e statistico dei sistemi di comunicazione e di
codificazione e trasmissione dell'informazione, nello studio della comunicazione
animale, oltre che nei pi tradizionali settori dei linguaggi formalizzati e del linguaggio
verbale.
Come si vede, la scissione tra una semantica di taglio storico-umanistico, dominata da
studiosi che, in senso lato, possiamo dire letterati, e una semantica di taglio
logicomatematico, praticata da studiosi capaci di usare strumenti e metodi matematici,
si riproduce e perfino rischia di aggravarsi nella semiotica. L'ingegnere che si occupa di
teoria dei sistemi e di trasmissione di segnali rester probabilmente sorpreso se mai
verr raggiunto dalla notizia d'una stretta affinit tra il suo lavoro e quello di chi si
occupa di assonanze e ricorrenze di fonemi nei versi di Baudelaire o del valore di un
campo lungo in un film di Pasolini.
C', certamente, un filo teorico che cerca di cucire insieme queste professionalit cos
diverse, queste cos accentuate divaricazioni dell'osservazione in materie tanto
disparate, con metodi (e, qualche volta, senza metodo alcuno) e linguaggi speciali che
si presentano privi di evidenti punti in comune. Opere classiche, come i Fondamenti
della teoria del linguaggio di Hjelmslev, o l'infaticabile lavoro di raccordo e
suggestione prodotto da Roman Jakobson, o il sincretico accumulo di conoscenze
condensato nel Trattato di semiotica di U. Eco, rappresentano a vario titolo elementi
importanti in questo filo unitario. E certamente vanno in questo senso le ricerche
semiotiche di vari studiosi sovietici, di Prieto, di Garroni. Ma, nel complesso,
nonostante l'unit degli studi semiotici possa avvantaggiarsi sia di richiami autorevoli
a Locke e alle altre speculazioni sui linguaggi elaborate dai maggiori rappresentanti del
pensiero europeo tra Sei e Settecento, sia dell'apporto che pu venire da opere pi
recenti, come le Ricerche filosofiche di Wittgenstein, di fatto nel mondo scientifico
d'oggi l'unit disciplinare dei campi di studio che si occupano in generale di segni
lontana dall'essere per tutti chiara, evidente. L'ancoraggio (del resto ipotetico, qui
suggerito, ma non generalmente condiviso) della semantica alla semiotica, allo stato
attuale dell'organizzazione degli studi non serve a garantire l'unit della semantica n
porta a rifluire in un unico campo di studi, consapevolmente unitario, tutte quelle
ricerche che in un modo o nell'altro vertono su ci che si indica con quel !catch-all
term", che , come Chomsky ha giustamente detto, meaning.
L'obiettivo di questa trattazione far valere la coerenza teorica e la produttivit
conoscitiva d'un punto di vista unitario sui problemi connessi a ci che diciamo

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!significato'. Il proposito, insomma, quello di sbozzare, in un modo che sia, come s'
detto prima, critico e autocorreggibile, le linee di una semantica !integrata', la quale si
qualifichi come parte di una teoria generale dei segni: l'una e l'altra, la parte e l'intero,
protese a raccogliere in modo non eclettico contributi che vengono da direzioni oggi
assai disparate del sapere scientifico organizzato, quali la filologia e la psicologia, la
storia e la logica, la linguistica e la sociologia o la teoria dei sistemi.
A questo fine, il primo passo sar stipulare una definizione di semantica tale da
promuovere, gi col fatto ch'essa stessa sia messa in discussione, una prima verifica
delle sue capacit di proporsi come definizione non solo unitaria, ma coerentemente e
utilmente unificante ragioni e conoscenze legate a indirizzi particolari e talvolta
unilaterali di ricerca e riflessione.
4. Una definizione della semantica
Proponiamo di intendere con il termine !semantica' la scienza o, con espressione che,
allo stato attuale, forse preferibile, lo studio delle relazioni tra gli insiemi di segni
grazie ai quali si comunica e i campi di contenuto su cui vertono i segni ditali insiemi.
Questa definizione stata redatta mirando alla maggior immediatezza e trasparenza
dei suoi termini stessi. Essa tuttavia contiene parecchi aspetti problematici. Passarli in
rassegna e discuterli, come si accennato alla fine del capitolo precedente, comporta
gi avviare la trattazione dei problemi della semantica e l'entrare in medias res
sbozzando le prime linee di una semantica integrata. Tuttavia, converr ancora
indugiare brevemente sulla soglia; non per oziando o per incertezza, anzi gi gettando
una prima occhiata a quel che ci aspetta. A parte i singoli termini della definizione, di
cui poi diremo, la definizione in se stessa, cio il fatto stesso che una teoria semantica
debba oggi muovere da una discussione sul senso e sulla determinazione del suo nome
stesso e che una teoria si costituisca stipulando un uso del termine che le d identit,
gi questo degno di riflessione.
Naturalmente, ci che avviene per la semantica avviene in parte anche per altre
scienze. Anche l'astronomia o la botanica o la storia bizantina possono partire da una
definizione di se medesime. Tuttavia, l'atto di tale definizione n incide sulla materia
trattata n tanto meno uno specifico modo di essere della materia trattata. Di
recente, ad esempio, stato affermato che gli storici, di l del vario e certo non
irrilevante orientamento ideologico e metodologico dei diversi indirizzi storiografici,
non possono non riconoscere che, in fine, i fatti dell'et bizantina o della Rivoluzione
d'ottobre !furono quelli che furono'. C' in ci qualche rudezza, eccessiva forse per gli
animi epistemologicamente pi sensibili, ma non mancano anche le buone ragioni. Ma
nella semantica, come gi abbiamo visto, le diversit non stanno tanto e solo nella

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variet di indirizzi ideologici, metodici, teorici: stanno nella stessa materia trattata.
Spitzer e Tarski non guardano solo in modo differente, ma guardano cose differenti. Di
qui, come gi s' detto, l'importanza di stare attenti ai limiti definitori della materia
trattata, l'impossibilit di tuffarsi e nuotare senza avere prima stabilito di che acque si
tratta (e, anzi, se acque sono e perfino se ci sono). Ma di qui anche una condizione
paradossale, radicalmente problematica, che peculiare della semantica.
Tra i lustige Abenteuer del celebre barone di Mnchhausen ce n' uno che lo vede
impegnato a scalare, sotto l'impeto nemico, la torre dove chiusa la sua bella. Il barone
di Mnchhausen, per superare le linee nemiche e levarsi all'altezza necessaria, si pone
e risolve a modo suo il problema del volo del pi pesante dell'aria: si afferra al codino
della sua parrucca e, tirandolo verso l'alto, grazie alla sua possanza, si solleva
all'altezza voluta. La semantica, come campo di studi, si trova nella medesima
condizione del celebre barone: per costituirsi in modo consapevole e critico non
soltanto deve mettere in discussione il suo nome, ci che pu accadere anche ad altri
rispettabili settori del sapere, ma deve stipulare essa stessa una sua definizione, ossia
deve intricarsi subito in un'operazione vertente sulla sua stessa materia. Pi o meno
come se lo storico bizantino avesse il potere di modificare quella che nella realt fu la
successione degli imperatori e, anzi, dovesse appellarsi a tale suo potere reale per
delimitare la materia storica di cui si occupa.
Le possibili analogie con questo stato della semantica sono fallaci. Anche l'ortografia,
come Wittgenstein ci ricorda, deve occuparsi dell'ortografia della parola !ortografia'.
Ma le possibili scelte su questo punto non hanno necessariamente incidenza sui limiti
della materia di cui l'ortografia si occupa. Anche dei fisici si pu e deve dire, come, con
maggior evidenza, si detto degli studiosi di scienze umane, che essi sono parte della
materia trattata e che il loro osservare induce modifiche nell'osservato. Ma sunt certi
denique fines. Il planetologo non altera il sistema solare (almeno per ora), n
l'economia si costituisce in scienza modificando la realt dei paesi sviluppati o
sottosviluppati.
Il semantico l'unico che, nel mettersi a osservare, non pu cominciare se non
decidendo di indurre trasformazioni non in un punto qualunque della materia
osservata, ma precisamente in quel punto che determina i confini e la quantit e
qualit della materia stessa. Se, come Saussure insegnava, il terzo grande compito della
linguistica delimitare e definire se stessa, per la semantica si tratta non d'un terzo
compito, ma del primo. Ci la mette in una condizione di paradossale e perenne
primordialit. Per una teoria del significato decisivo il significato che si d alla parola
!significato', per la semantica decisiva la semantica secondo cui si atteggia la parola
!semantica'. Ma tale decisivita rinvia a scelte stipulative che deve compiere e compie il
teorico, sia pure in nesso con il materiale fattuale e con le acquisizioni conoscitive a

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esso relative. La teoria, insomma, deve fare leva sulla materia studiata, plasmandola,
per costituirsi come teoria.
Altre scienze possono costituirsi proprio per liberare e col liberare un campo di
discorsi da affaticanti discussioni sulle basi filosofiche delle medesime scienze e
possono, secondo un motto di Whitehead, adoperarsi per dimenticare i loro fondatori.
Per la materia peculiare di cui si occupa, ci negato alla semantica. Essa, sempre che
voglia attingere ai caratteri della criticit e autocorreggibilit propri d'una scienza
avanzata, dalla sua materia sempre costretta a ripiegarsi su se medesima mettendosi
tutta e radicalmente in discussione e riconoscendosi in uno stato di perenne
aporeticit costitutiva, indipendentemente dai problemi particolari che, come ora
vedremo nel nostro caso, possano porsi all'interno di questa o quella determinata
definizione.
5. Un primo problema: scienza o campo di studi?
A parte la condizione aporetica radicale che abbiamo segnalato, e che investe ogni
semantica indipendentemente dalla scelta di accezione del proprio stesso nome da cui
possa muovere la teoria, la definizione di semantica da cui prendiamo le mosse pone
subito, esplicitamente, un primo problema. La definizione stessa, cio, lascia aperta la
decisione se la semantica possa dirsi oggi a buon diritto una scienza o debba invece
dirsi, pi modestamente, un campo di studi.
Sui caratteri di ci che possiamo dire legittimamente una scienza, come si sa, esiste
una mole di discussioni e tesi che certo non trovano qui una sede propria per
un'adeguata evocazione. Non intendiamo, dunque, discutere per ora in che misura ci
che possiamo chiamare semantica mostri i caratteri della dimostrativit, descrittivit e
autocorreggibilit che si riconoscono di solito a una scienza. Del resto, saggiare le
condizioni in cui una semantica possa ambire a presentarsi come dotata di tali
caratteri uno degli obiettivi di questa nostra trattazione. Ma, pi limitatamente,
intendiamo ora riferirci a quel grado di consenso sociale e di convergenza su alcune
assunzioni che, talora trascurate nelle discussioni epistemologiche pi sottili, paiono
un prerequisito tanto ovvio (e perci trascurato da molta epistemologia) quanto non
rinunziabile di ci che chiamiamo una scienza. Pu anche darsi che questo o quel libro
intitolato alla semantica abbia i caratteri che l'epistemologia avanzata richiede a una
costruzione scientifica. Ci che manca all'insieme degli studi e delle opere che alla
semantica si intitolano un sufficiente grado di istituzionalit sociale diffusamente
riconosciuta.
La mancanza di tale istituzionalit non dipende certo dal carattere giovane della
semantica, su cui da varie parti si insistito (P. Meriggi, S. Ullmann, A. Schaff, A. I.

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Greimas). In effetti, da un lato vi sono discipline pi giovani, il cui status istituzionale


tuttavia ben altrimenti consolidato: per non allontanarci dall'ambito linguistico, si
pensi alla fonologia, alla linguistica contrastiva, alla sociolinguistica, tutte discipline in
cui vi una larga convergenza sul tipo di materia da sottoporre a esame, sui fatti
cruciali per ritenere compiuta e soddisfacente un'esposizione, ecc. D'altra parte, se
pur vero che il nome della semantica recente, e che recenti sono diversi significativi
sviluppi divergenti di studi intitolati alla semantica, tuttavia riflessioni intorno alle
questioni legate al significare, al senso, sono a dir poco antiche. Tanto la semantica in
senso storico-linguistico quanto la semantica in senso logico-matematico hanno
importanti precedenti fin dalla filosofia greca d'et classica, ripresi e sviluppati in et
romana e medievale e tra Sei e Settecento.
La debolezza istituzionale della semantica dipende da altri fattori, che non l'et degli
studi cos pi o meno legittimamente denominati.
Un primo fattore si pu ravvisare nell'atteggiamento tenuto dalle scienze del
linguaggio nei confronti della possibilit di dare dignit scientifica alle analisi del
significato.
Questo atteggiamento ha assunto negli ultimi due secoli varie forme. Si va dal dubbio
per il carattere intrinsecamente malcerto della materia, ossia di ci che con qualche
diritto si chiama !significato', espresso da etimologisti come Fr. Pott e J. Wackernagel,
ma anche da teorici contemporanei come N. Chomsky, al dubbio e rifiuto
metodologico, espresso da un linguista comportamentista nordamericano, come B.
Bloch, alla dichiarazione di impossibilit di una scienza semantica, a causa della
indefinitezza scientifica dei suoi oggetti di studio, espressa da L. Bloomfield. Ma, pi
ancora delle non frequenti dichiarazioni esplicite, che unificano, come si vede, studiosi
di generazioni distanti e indirizzi divergenti, vi implicito, ma diffuso e persistente, il
rifiuto di toccare questioni di semantica. In via d'esempio, quando un semiologo come
Th. Sebeok, nel proporre una classificazione dei linguaggi e codici, su cui dovremo
tornare, fa riferimento alla sostanza dei significanti come a principale criterio di
classificazione, piuttosto che al diverso modo di organizzare sensi e significati, anche
se egli ben lontano dal fare alcuna dichiarazione esplicita di diffidenza verso la
semantica, di fatto d una prova implicita, ma assai evidente, di diffidenza profonda.
Certo, a partire dai primi anni sessanta, una parte di questa diffidenza caduta: studi e
trattazioni semantiche si sono moltiplicati. E, tuttavia, ancora non si vista emergere
una institutio comunemente accettata. E ci, probabilmente, perch ha agito
negativamente un secondo fattore: la divaricazione tra semantica logica e semantica
linguistica. Ne abbiamo gi fatto cenno e torniamo ora a fermarci pi attentamente sui
riflessi gravi che tale divaricazione ha sul grado di consenso e convergenza necessario
al costituirsi di una disciplina istituzionalmente unitaria.

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Come gi abbiamo ricordato, alla semantica dei logici dobbiamo la concezione pi


larga dell'ambito di studio della semantica. Essa lo studio delle !relazioni dei segni
con gli oggetti ai quali sono applicabili" (Morris, 1938) o dei rapporti tra !espressioni e
loro designata" (Carnap, Boche)ski-Menne).
L'ampliamento di orizzonte dovuto ai logici (dal solo linguaggio verbale alla generalit
dei linguaggi) pagato, per dir cos, con un'apparente restrizione di oggetto. Il
contenuto semantico dei segni o delle espressioni visto come denotatum,
Bezeichnetes, referring. Questa restrizione conferisce certamente nettezza al discorso
semantico di logici e metamatematici come H. Scholz. Non c' dubbio che tra i linguisti
meaning e parole equivalenti siano, secondo la gi rammentata espressione di
Chomsky, !catch-all terms". In proposito, sono tutt'altro che immotivati i rimproveri
venuti ai linguisti da Ogden e Richards e, mezzo secolo dopo, appunto da Chomsky.
Questo rimprovero giustificato ha spinto i logici alla restrizione referenzialistica della
nozione di significato di cui intendono occuparsi analiticamente. Tra gli stessi linguisti,
del resto, molti tra i pi sensibili a esigenze di rigore si sono rifatti anch'essi a una
nozione di significato come denotatum, come referente oggettivo: la troviamo in
Language di Bloomfield, alla base della !interpretazione semantica di enunziati" di
Chomsky (che afferma di avere mutuato tale nozione di semantica da N. Goodmann),
in semanticisti postchomskiani (R. Lakoff, Parisi, ecc.).
D'altra parte, se la riduzione del significato a denotato o classe di denotata pu
presentare vantaggi in rapporto a linguaggi formalizzati, logico-matematici, di calcolo
ecc., dobbiamo proprio a molti logici l'avere avvertito a pi riprese il carattere non
semplice, ma !kompliziert" (Wittgenstein), non schematizzabile, del contenuto
semantico delle frasi e parole del linguaggio ordinario, storico-naturale. Gi Arnauld e
Lancelot avevano asserito: !Un nom [...], outre sa signification distincte, [...] en a
encore une confuse [...] qu'on peut appeller connotation" (Grammaire gnrale et
raisonne, Paris 1660, parte II, cap. 2). Pi diffusamente, dopo qualche anno, Leibniz
doveva scrivere: !Multae apud Logicos traduntur Regulae consequentiarum [...]. Sed
haec omnia in scholis tantum celebrata, negliguntur in vita communi; [...] tum vero
in primis, quia scholae solent considerare fere tantum syllogismos, seu
ratiocinationes ex tribus propositionibus constantes: cum contra in usu loquendi et
scribendi saepe una periodus continet decem syllogismos simplices, si quis eam ad
logici rigoris normam exigere velit. Unde solent homines imaginationis vi, et
consuetudine ipsa formularum sermonis, et intelligentia materiae quam tractant,
supplere defectum logicae. Fatendum est tamen eos saepissime festinatione et
impatientia examinandi et verisimilitudine decipi [...]. Difficile vero huic malo mederi
secunduni artes hactenus cognitas: nani, cum verbis utantur homines, manifestum
est eorum significationes parum esse constitutas" (Modus examinandi consequentias

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per numeros, in Opuscules et fragments indits, a cura di L. Couturat, Paris 1903, p.


71).
La convinzione della natura fluida e sfuggente del contenuto semantico di parole e frasi
stata pi volte ribadita nella storia della logica moderna da J. St. Mill (1843), L.
Wittgenstein (1922), A. Tarski (1931 e 1969), C. Ajdukiewicz (1936), R. Carnap (1961).
La scissione tra semantica dei logici e semantica dei linguisti dunque una scelta di
materiale diverso di studio connessa a complesse ragioni di fondo. L'esigenza di
nettezza e rigore porta i logici a tenersi lontani dalla materia semantica delle lingue,
avvertita come irriducibilmente !paruni constituta". Linguisti che hanno avvertito
esigenze primarie di rigorosit, si sono astenuti del pari da indagini semantiche.
Linguisti, invece, che hanno avvertito l'assurdit di analisi linguistiche che non dessero
conto, in qualche modo, della realt del significato, hanno avuto innanzi due strade: o
farsi beffe delle esigenze di rigore di Bloomfield e altri, ed il caso, per esempio, di L.
Spitzer, o evitare prese di posizione teorica impegnative sui concetti fondamentali della
disciplina. Molti si sono tuffati in medias res, per riprendere l'immagine delineata
all'inizio, studiando e accumulando fatti senza o con solo vaghi quadri teorici coerenti
di riferimento. La legittimit di ci ha trovato ancora di recente assertori come G.
Berruto. Del resto, perfino in diversi semanticisti postchomskiani, l'accentuato ricorso
a grafici e schemi non deve trarre in inganno: in essi del tutto assente un adeguato
impegno definitorio e teorico e, pur lontani le mille miglia da Spitzer per origini e gusti
culturali, in Parisi o Lakoff ritroviamo la stessa placida indifferenza circa il
determinare se vi sia e quale sia una possibile assiomatica delle loro analisi.
Questa rapida esposizione dello stato dell'arte non dettata da spirito polemico. In
effetti, lo stato dell'arte tale che non una sola goccia d'inchiostro spesa intorno al
significato, e magari per negare la possibilit di analizzarlo, pu esser disprezzata o
lasciata perdere. Per quanto questo o quel particolare possa essere oggetto di polemica
e rettifica, divaricazioni e contrasti vanno troppo oltre perch si possa oggi parlare
pacificamente della semantica come di una scienza. Ed per questo che, pi
cautamente, la definizione da cui siamo partiti si riferisce alla semantica come a un
campo di studi e di riflessioni. Noi crediamo che in tale campo vi sia spazio per
costruire una scienza istituzionalmente unitaria: ma la costruzione, se possibile,
ancora solo agli inizi. possibile, e come, una semantica che abbia le caratteristiche di
generalit e di rigore postulate dai logici (e, del resto, perfino da linguisti che in nome
d'esse hanno evitato la semantica) e che dia conto e sistemazione anche alla fluida
materia del contenuto semantico del linguaggio verbale?
6. Un secondo problema: semantica linguistica e semantica semiotica

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La definizione data all'inizio del cap. 4 e le riflessioni al termine del cap. 5 vanno nel
senso di proporre che la semantica si costituisca come campo di indagini semiotico,
non ristretto dunque allo studio del solo linguaggio verbale, anche se, sulla linea di
considerazioni gi accennate, inclusivo di questo studio.
La semantica pura, cui accenna Lyons, pur se da Lyons stesso ancorata in modo
specifico alla logica simbolica e concepita soltanto come elaboratrice di modelli per lo
studio della semantica delle lingue storico-naturali, un possibile antecedente
prossimo di questa nostra proposta. Un antecedente pi remoto pu trovarsi in
Saussure, beninteso a patto che si accettino interpretazioni e letture che vedono nella
serie di nozioni chiave del Cours de linguistique gnrale (sistema, esecuzione, segno,
significante, significato ecc.) nozioni che, nate sul terreno della teoria delle lingue,
hanno in realt una portata semiotica generale. In tal caso, distinzioni di fondo della
semantica saussuriana, come quella tra significato e senso, andrebbero viste come
distinzioni proprie di una nascente semantica semiotica, e le riflessioni su taluni
aspetti del significato dei segni linguistici potrebbero essere viste come identificazioni
di ci che peculiare e caratteristico dei segni di una lingua in rapporto ai segni di altri
codici. Si pensi, ad esempio, alla considerazione secondo cui, se una lingua avesse
soltanto due segni, tutti i sensi del mondo si ripartirebbero, almeno potenzialmente,
nei due rispettivi significati. Ma su ci avremo occasione di tornare (v. cap. 15). Infine,
importanti considerazioni sulla diversa natura dei rapporti tra significati e sensi nelle
lingue e in altri tipi di comunicazione e di linguaggio si possono trovare nell'opera
maggiore di L. Hjelmslev (che pensava per alla semantica come a una scienza
essenzialmente ristretta allo studio del contenuto delle lingue storico-naturali) e negli
scritti di L. Prieto.
Anche se non priva di antecedenti, la semantica come studio semiotico e, in quanto
tale, inclusivo dello studio della semantica di linguaggio verbale e lingue, ancora da
costruire. Essa ancora in attesa di guadagnarsi sul campo il diritto a una vita
autonoma, svincolandosi dalla dominanza acritica delle considerazioni vertenti
esclusivamente sul linguaggio verbale.
Tale dominanza assume aspetti diversi. Da un lato, c' la dominanza de facto: come
per ogni altro aspetto, anche per la dimensione semantica, ancorch trascurata da
molti linguisti, le nostre conoscenze sulle lingue storico-naturali superano per mole e
variet quelle relative a ogni altro linguaggio.
Ma vi anche una dominanza che diremo de iure, legata cio a ragioni teoriche
generali. Pare di poter scorgere almeno due importanti ragioni che hanno assicurato e
continuano ad assicurare alla sezione linguistica della semantica semiotica un
predominio tale da occupare l'intero campo.
Le lingue storico-naturali non paiono un qualunque tipo di codice. Esse hanno una

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particolarit che , appunto, d'ordine semantico. Si tratta di una particolarit


variamente denominata, la cui importanza nel caratterizzare le lingue rispetto ad altri
linguaggi stata rilevata da studiosi diversi e, parrebbe, quasi ignoti l'un l'altro
(almeno, ignoti l'un l'altro in quanto assertori di questo stesso punto di vista).
In un saggio famoso sul concetto di verit nei linguaggi formalizzati presentato da A.
Tarski, in polacco, nel 1931 e pubblicato in tedesco nel 1935, leggiamo: !Uno dei tratti
caratteristici del linguaggio quotidiano (tratto che lo differenzia dai linguaggi
scientifici) il suo universalismo. E contrario allo spirito di questo linguaggio che ci sia
in qualche altro linguaggio qualcosa di intraducibile in linguaggio quotidiano. Se
possibile in genere parlare d'una qualsiasi cosa in modo sensato, allora possibile
egualmente parlarne in linguaggio quotidiano. [...] Questo universalismo del
linguaggio quotidiano in materia semantica verosimilmente la fonte essenziale di
tutte le antinomie dette semantiche [...]. Queste antinomie sembrano mostrare che
l'utilizzazione di ogni linguaggio universalistico [...] conduce necessariamente a
contraddizioni" (Der Wahrheitsbegriff in den formalisierten Sprachen, in !Studia
philosophica", 1936, I, p. 275).
Richiamandosi a Tarski, qualche anno dopo Hjelmslev scriveva: !Una lingua si pu
definire come una paradigmatica i cui paradigmi sono manifestati da tutte le materie; e
un testo, analogamente, come una sintagmatica le cui catene, se si espandono
indefinitamente, sono manifestate da tutte le materie. [...] In pratica, una lingua una
semiotica nella quale ogni altra semiotica, cio ogni altra lingua e ogni altra struttura
semiotica concepibile, pu essere tradotta. Tale traducibilit si basa sul fatto che le
lingue (e le lingue soltanto) sono in grado di formalizzare qualunque materia; nella
lingua, e soltanto nella lingua, possibile !lottare con l'inesprimibile finch si arrivi a
esprimerlo' (Kierkegaard)" (I fondamenti della teoria dei linguaggio, Torino 1968, p.
117).
Intorno alla met degli anni sessanta, dobbiamo a Luis Prieto e a Noam Chomsky due
decise asserzioni in proposito, interne a punti di vista teorici notevolmente diversi. Nel
confronto tra lingua e altri codici, Prieto insiste ripetutamente sulla !universalit del
campo noetico delle lingue , cio dell'insieme di sensi includibili nei significati degli
enunziati di una lingua. Per tale caratteristica, Prieto ha preferito pi tardi il nome di
!onnipotenza semiotica". In una nota della sua Linguistica cartesiana (in Saggi
linguistici, vol. III, Torino 1969, p. 112, n. 8) Chomsky sottolinea che caratteristica del
discorso umano !l'illimitatezza [...] come espressione di pensiero illimitato", cio
indipendente dal controllo di stimoli (non determinabile, non calcolabile
meccanicisticamente) e capace di appropriatezza a ogni nuova situazione.
L'universalit del campo noetico, l'onnipotenza del campo semiotico, che a suo luogo
(v. cap. 18) proporremo di ridefinire in termini leggermente diversi, assegna

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certamente alle lingue un posto atipico nell'insieme assai pi esteso delle forme di
comunicazione. E poich tale carattere di natura propriamente semantica, la
semantica linguistica investita di questa peculiarit rispetto agli altri capitoli della
nascente semantica semiotica o generale o pura che dir si voglia.
Il rapporto tra la semantica delle lingue storico-naturali e le semantiche di altri
linguaggi stato prospettato fin qui, sia pure per cenni che a suo luogo amplieremo, in
termini di maggior potenza dell'una rispetto alle altre, al complesso delle altre. Con le
lingue ci concesso dar forma a tutti (dicono i teorici citati) i sensi possibili. Ma, ai fini
del nostro discorso sulla tendenza ad assegnare un primato de iure alla semantica delle
lingue storico-naturali, occorre dire di pi. Direzioni assai diverse di pensiero
(rammenteremo i portorealisti, Leibniz, K. Gdel, il Wittgenstein delle Ricerche
filosofiche) convergono nel riconoscere nella lingua storico-naturale la matrice ultima
di ogni possibile calcolo, elaborazione simbolica, determinazione formalizzata di altri
linguaggi, ecc. In tanto possiamo costruire una semantica formale di linguaggi
formalizzati in quanto possediamo e sappiamo usare una lingua. In tanto possiamo
dare attendibilit critica, dimostrativit, sistematicit, autocorreggibilit agli altri
capitoli della semantica semiotica, in quanto li connettiamo al capitolo linguistico.
E non basta ancora. Con ci abbiamo enunziato le ragioni di un primato teorico, de
iure, che ancora solo metodologico. Uno studioso italiano, Emilio Garroni, trasferisce
ed estende il primato dal piano della grammatica riflessa al piano della grammatica
vissuta. A parte il caso dei linguaggi simbolici e formali, che chiaramente
presuppongono l'uso di una lingua storico-naturale e che potremmo dunque dire
postverbali, vi sono o si dice che vi siano linguaggi nonverbali umani (gestualit,
prossemica, mimo) o usati da animali diversi dagli umani. L'idea di Garroni che non
solo noi possiamo sottomettere ad analisi tali linguaggi altri in quanto l'armamentario
analitico tratto, come ogni altra terminologia analitica, dalle cave del linguaggio
quotidiano (primato metodologico della verbalit); ma che, ben di pi, noi riusciamo a
riconoscere i linguaggi altri, riusciamo a !viverli' come linguaggi, in quanto su di essi,
sulla zona di esperienza che essi sono, a torto o a ragione proiettiamo l'esperienza del
linguaggio verbale. La capacit di parola che portiamo in noi come umani non cos
solo una matrice metodologica di semiotiche del postverbale e del nonverbale, ma
una matrice vissuta, esistenziale. Solo perch !die Sprache spricht", secondo il motto
di Heidegger, possiamo concepire altres che, in qualche parte e per qualche aspetto,
!dar Nichtsprachliche spricht".
L'impianto della definizione di semantica da cui abbiamo preso le mosse , agli occhi di
chi non conosca lo stato delle questioni, un impianto concettualmente neoaristotelico,
di grande moderazione, perfino di piatta scolasticit. Il linguaggio verbale non altro
che uno dei tipi di linguaggio: la sua semantica non che una delle altre semantiche.

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Solo all'interno di un complessivo orizzonte semiotico possiamo sperare di coglierne le


appropriate caratteristiche, procedendo, nell'individuarle, a proporle, giustificarle e
costruirle per genus proximum et differentiam specificam.
Ma il lettore ora fatto accorto. Questa placida, questa piatta scolasticit sorge tra
vortici di condizioni radicalmente aporetiche. Nell'indicare i suoi propri limiti, questa
trattazione non pecca davvero d'umilt: nella scelta tra il sottomesso abbandonarsi alle
aporie che abbiamo segnalate o l'arrogante ignoranza delle medesime, la nostra
neoaristotelica semantica semiotica e perci anche linguistica sceglie di chiamare a
raccolta le difficolt e aporie, e di sfidarle.
7. Semantica e consistenza del contenuto
Un terzo aspetto problematico, infine, della definizione proposta nel cap. 4 sotteso
all'affermazione per cui la semantica studia le relazioni tra insiemi di segni e rispettivi
campi di contenuto.
Pi d'una volta si asserito che la semantica studia il piano del contenuto (per
esempio, nei Fondamenti di Hjelmslev). In tal caso, data la onniformativit o
universalit del campo noetico delle lingue discussa precedentemente, la semantica
semiotica, in quanto inclusiva della semantica linguistica, rischia di mutarsi in una
scienza senza confini, che si occupa de omnibus rebus et nonnullis aliis. Si pone
almeno un limite iniziale, dicendo che la semantica non si occupa del contenuto, ma
delle relazioni tra insiemi di segni e campi di contenuto.
Ma nella definizione, cos come formulata, vi un altro vantaggio: quello
dell'indipendenza rispetto a tre grandi opzioni filosofico-ideologiche che si contendono
il campo degli studi semantici.
La prima opzione quella referenzialistica: per essa il piano del contenuto delle lingue
strutturato o in re, in oggetti o, meglio, in classi di oggetti predeterminate rispetto al
sorgere delle distinzioni linguistiche (Aristotele, il Wittgenstein del Tractatus, Tarski),
o strutturato e parte subiecti, secondo categorie cognitive universali insidenti per
natura nella mente umana (Chomsky, semanticisti postchomskiani).
La seconda opzione, al contrario, nega risolutamente che il piano del contenuto sia
articolato in modo autonomo rispetto alle parole: i significanti e l'uso che ne fanno gli
utenti sono l'origine unica delle possibili categorizzazioni del contenuto. Questa
opzione radicalmente nominalistica ha una delle sue formulazioni estreme nelle
Ricerche filosofiche di Wittgenstein.
La terza opzione, intermedia tra le due, non tocca l'ontologia, e vede le distinzioni del
significato non anteriori (come il referenzialismo) n posteriori (come il nominalismo),
ma nascenti in un solo parto con le distinzioni del significante: le une e le altre

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correlative e codeterminantisi. l'opzione del Corso di linguistica generale di


Saussure.
Si tratta di opzioni che investono problemi decisivi per la comprensione dei rapporti
tra natura e cultura degli esseri umani. Abbia ciascuna d'esse una sua parte di ragione
e cio, come si pu inclinare a credere e cercheremo poi di mostrare, un suo proprio
ambito di legittimit, ovvero sia da assegnare la ragione solo a una delle tre o, ancora, a
nessuna delle tre: proprio per argomentare queste possibili decisioni, la semantica
semiotica e linguistica pu fornire elementi di grande importanza, dirimenti. Ma
appunto per soddisfare un compito di tanta portata conveniente che la semantica
integrata si costituisca e costruisca il proprio apparato di analisi in modo il pi
possibile indipendente dalle tre grandi opzioni.
Ci sforzeremo dunque di costruire una semantica non solo integrata, nel senso detto al
cap. 3, ma indipendente dalle opzioni anzidette, tale cio da reggere all'accettazione o
al rifiuto di ciascuna delle tre. Ci che delineiamo un insieme di forme teoriche, tali
da poter essere adattabili a ciascuna delle tre opzioni, previa l'aggiunta di ulteriori
specificazioni. In tal senso, la semantica teorica che delineiamo vuole essere una
semantica formale. In vista di questi fini nelle pagine che seguono proporremo un
vocabolario teorico: esso chiede d'essere giudicato in funzione della sua rispondenza
alle esigenze di una semantica semiotica, integrata e formale.
8. Termini e nozioni fondamentali per una semantica semiotica
Congegni meccanici appositamente programmati ed esseri viventi utilizzano (diremo
poi secondo quali modalit o direzioni) eventi, stati fisici, entit, che in breve
chiameremo x, per collegarli ad altri eventi, stati fisici, entit, che diremo y, in modo
tale che x stia per y, x serva a indicare y. Diciamo in tali casi che congegni meccanici ed
esseri viventi stabiliscono un !rapporto di significazione' o di !semiosi.
In tale rapporto, diciamo che lax ha il ruolo di un !segnale' o, con termine pi raro, di
una !dela', e simboleggiamo che ha tale ruolo racchiudendola tra parentesi quadre:
[x]; e diciamo che la y ha il ruolo di un !messaggio' o, con altro termine, di !senso', e
simboleggiamo che ha tale ruolo racchiudendola tra apici semplici: !y'.
Diciamo !atto semico' l'azione o il seguito di azioni compiute da un congegno o da un
essere vivente per stabilire un rapporto semiotico. Tale rapporto pu essere stabilito
secondo due modalit, in due direzioni. A partire da un senso un congegno o un
vivente produce un segnale che stia per quel senso, che indichi quel senso: diciamo in
tal caso !emittente' la fonte del segnale e parliamo di atto semico !produttivo'. Ovvero,
a partire da un segnale viene riconosciuto a esso un senso: chiamiamo !ricevente' chi
attribuisce un senso a un segnale e parliamo in tal caso di atto semico !ricettivo'.

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Nella misura in cui (e si tratta d'una misura che, come vedremo, variabile) un
emittente e un ricevente si incontrano nel riconoscere uno stesso senso a uno stesso
segnale (e anche sull'aggettivo !stesso' dovremo tra breve tornare), cio si incontrano
nel realizzare, sia pure in direzioni diverse, un atto semico, diciamo che essi
comunicano tra loro.
Il problema generale della comunicazione , in definitiva, un problema semantico: si
tratta di trovare le condizioni ottimali per riceventi o emittenti di data natura e
struttura al fine di concordare nel riconoscere uno stesso senso per uno stesso segnale,
a seconda dei tipi di sensi da riconoscere e a seconda delle possibilit di produrre e
ricevere tipi di segnali. Tali condizioni si raccolgono e articolano in varie, innumerevoli
tecniche che regolano e favoriscono la trasmissione e comprensione del senso
attraverso segnali. I diversi tipi di comunicazione, i diversi linguaggi, sono appunto tali
tecniche. Prima di esaminarle, occorre mettere in chiaro che esistono limiti e
condizioni generali entro cui si esercitano le possibilit di scelta e di utilizzazione delle
tecniche di comunicazione. Si tratta di limiti e condizioni di natura assai diversa. Per
una parte, sono di natura che diremo !materiale', in quanto dipendono dalla qualit
fisica, meccanica, biologica sia dei soggetti emittenti e riceventi sia dei segnali e
messaggi. Per un'altra parte si tratta di limiti e condizioni di natura !formale', in
quanto si tratta di costrizioni entro cui deve muoversi qualsiasi tipo di emittente e
ricevente per qualsiasi tipo di senso e segnale. A entrambi i tipi di limiti e condizioni
possiamo dare il nome di !arbitrariet', nell'un caso !materiale', nell'altro e secondo
!formale'.
A. L'arbitrariet semiotica materiale. Se, tornando all'inizio di questo capitolo,
riprendiamo in considerazione l'entit x o quella y, diciamo che non vi nessun motivo
intrinseco soltanto a esse per cui necessariamente, naturalmente, debbano figurare
come della o come senso, per cui si abbia [x] piuttosto che !x' o [y] piuttosto che !y'.
L'assunzione di un frammento di mondo possibile a della o a senso poggia su una
scelta compiuta da emittenti e riceventi col solo limite delle loro capacit e dei loro fini.
Nell'esperienza umana comune che, dato un rapporto semiotico, ci che in esso
figura come della possa venire assunto da un altro rapporto semiotico come senso e
viceversa. In un rebus o in un alfabeto di sordomuti due indici a croce possono essere
un segnale il cui senso per un ricevente italiano la sequenza di lettere c, r, o, c, e. In
quest'atto semico abbiamo dunque: !croce'. Ma questa stessa sequenza, per chi legge,
funge da della della sequenza fonica che a essa corrisponde in base alle regole
dell'ortografia e della pronunzia dell'italiano. E tale sequenza fonica, senso
corrispondente al segnale grafico, funge a sua volta, nel parlato, da segnale che pu
indicare, per esempio, !+'. A sua volta [+] pu indicare la parola italiana !pi', oppure
l'operazione dell'addizionare, o, ancora, un incrocio, o un passo corrotto di un antico

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testo, ecc. Attraverso slittamenti continui ci che della assunto a senso e viceversa.
Un limite alla libert di scelta di ci che pu essere della o senso rappresentato dalle
difficolt di produzione e ricezione di questo o quel tipo di entit per una o altra
categoria di emittenti o riceventi. Se consideriamo il massiccio del Monte Bianco e la
grafia Monte Bianco, si capisce che per la generalit degli esseri viventi sulla Terra
nella scelta tra i due sia inevitabile assegnare il ruolo di segnale alla grafia e il ruolo di
senso al massiccio montuoso. Esempi del genere possono facilmente moltiplicarsi:
congegni o esseri che non siano in grado di percepire radiazioni infrarosse non
possono adoperare segnali ottici prodotti su questa lunghezza d'onda; tutti i segnali
ottici sono preclusi a congegni o esseri incapaci di percepire radiazioni luminose, ecc.
Entro questi limiti posti dall'organizzazione meccanica o biologica, in s e per s
l'assegnazione del ruolo di segnale o messaggio a un'entit dipende dall'arbitrio di
emittenti e riceventi. Chiamiamo questa libert di scelta nell'assegnare a un'entit il
ruolo di della o senso, !arbitrariet materiale'. E diciamo !limiti materiali
all'arbitrariet' i limiti posti a tale arbitrariet dai rapporti tra le caratteristiche
intrinseche delle entit in gioco uome segnali o sensi e le caratteristiche meccaniche o
biologiche di emittenti e riceventi.
B. L'arbitrariet semiotica formale. Perch un emittente o ricevente possa stabilire un
rapporto semiotico tra due entit, evidentemente necessario che possa operare con
ciascuna entit come quella particolare, determinata entit. Un problema d'identit
non si pone dunque solo per quanto riguarda l'identit del senso trasmesso da u
emittente e riconosciuto da un ricevente, ma, ben pi radicalmente, alla sorgente
stessa dell'atto semico, al momento dello stabilirsi di un rapporto semiotico quale che
sia.
Assumiamo che determinare l'identit di una entit, sia essa senso o segnale, comporti
determinarne le caratteristiche che la rendono particolare, non confondibile con altre
entit.
Chiamiamo !caratteristica intrinseca d'una entit' ogni rapporto tra un'entit e
un'altra.
In un universo popolato da un numero finito di entit, l'identificazione di un'entit pu
avvenire attraverso un numero finito di atti intesi a determinare le caratteristiche
intrinseche dell'entit in questione. Ma un universo popolato da un numero infinito di
entit (e l'infinit pu dipendere dall'illimitatezza spaziale e/o temporale dell'universo
e/o dal carattere continuo, cio infinitamente divisibile, della durata e/o dello spazio)
tale per cui, essendo le entit di numero infinito, ogni entit ha un numero infinito di
caratteristiche intrinseche.
Se un'entit possiede un numero infinito di caratteristiche intrinseche, la sua
identificazione possibile ammettendo che l'identificante stesso sia capace di un

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numero infinito di atti, intesi a determinare le infinite caratteristiche di ciascuna


entit.
Se l'universo cui intende riferirsi il nostro vocabolario teorico non (come non pare
essere) un universo popolato da un numero finito di entit, ma invece un universo
popolato da un numero di entit infinito per almeno uno qualunque dei motivi prima
elencati; e se l'identificante, diversamente dalla divinit di alcune teologie, non
capace di un numero infinito di operazioni, ma un congegno od organismo di durata
limitata e di limitate capacit; per spiegare come le entit si identificano dobbiamo
supporre necessariamente che l'identificazione non comporti la determinazione di
tutte le caratteristiche intrinseche delle entit stesse.
Si pu ipotizzare che si identifichi una entit determinandone solo le caratteristiche
sufficienti a distinguerla da quelle rispetto a cui si ritiene utile o si sa o occorre, per
ragioni meccaniche o biologiche, distinguerla.
Facciamo qualche esempio. Un segmento contiene un numero infinito di punti: ai fini
della sua identificazione !geometrica' basta stabilire la posizione di due soli suoi punti.
Una persona ha un'infinit di caratteristiche intrinseche: ai fini della sua
identificazione !anagrafica' sufficiente un numero finito di elementi, enumerati nella
carta di identit. Ogni volto ha un numero infinito di tratti: ai fini di distinguerlo
rispetto ad altri volti, basta al nostro occhio cogliere solo alcuni dei tratti (come
insegna la teoria della percezione visiva).
Chiamiamo !caratteristiche pertinenti' le caratteristiche intrinseche scelte ai fini
dell'identificazione di un'entit. E diciamo !(operazione di) pertinentizzazione' la scelta
di una o pi caratteristiche pertinenti.
L'operazione di pertinentizzazione condizionata anzitutto dalle capacit di chi
identifica, dai limiti materiali delle sue possibili scelte arbitrarie di dele e sensi. Se chi
identifica non pu percepire vibrazioni luminose, la varia luminosit di entit non pu
essere assunta a caratteristica pertinente; se non pu registrare la diversit
volumetrica, i diversi volumi non possono essere caratteristiche pertinenti, ecc. In
secondo luogo, la pertinentizzazione condizionata dai fini che si intendono
raggiungere dato l'insieme di entit entro le quali si identifica una o pi entit. Entro
questo doppio limite, la pertinentizzazione di una o pi caratteristiche arbitraria, in
quanto non imposta dalla qualit delle caratteristiche intrinseche dell'entit da
identificare.
All'arbitrariet della pertinentizzazione diamo il nome di !arbitrariet semiotica
formale' per i motivi che ora esporremo.
Possiamo dire che ogni operazione di pertinentizzazione divide l'universo in almeno
due classi: la classe delle entit che hanno o possono avere tra le loro caratteristiche
intrinseche quella assunta a pertinente; e la classe delle entit che non hanno tale

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caratteristica. Ogni volta che operiamo con un'entit come con !la stessa entit' ci
riferiamo al riconoscimento del dovuto numero di caratteristiche pertinenti nell'entit
in questione, non mai alla inattingibile totalit delle caratteristiche intrinseche. Di
conseguenza, ogni operazione di identificazione comporta come condizione necessaria
e sufficiente l'inclusione di un'entit in una classe di (potenziali) entit dotate del
dovuto numero di caratteristiche pertinenti, e la sua esclusione dalla classe (unica, se
una sola la caratteristica pertinente) o dalle classi (se vi sono pi caratteristiche
pertinenti) di entit non dotate del numero di date caratteristiche pertinenti.
Un insieme di classi siffatto, tale cio che i rapporti tra le classi siano definibili in
termini di presenza o assenza di caratteristiche pertinenti, viene detto !sistema'.
Le caratteristiche pertinenti, per essere tali, devono di necessit e con evidenza: 1)
raggrupparsi in un numero finito per ciascuna entit da identificare; 2) costituire per
ogni sistema un numero complessivamente finito (poich l'operazione di
identificazione attraverso caratteristiche pertinenti sarebbe impossibile sia in caso di
infinit dei tratti pertinenti di un'entit sia se la lista dei tratti pertinenti da cui trarre
quelli possibilmente presenti in un'entit fosse una lista infinita); 3) essere ciascuna
identificabile con un numero finito di operazioni, ossia essere assunta: a) come
elemento che si definisce e pone come non ulteriormente analizzabile ai fini
dell'identificazione delle entit in cui appare o non appare; ovvero b) come elemento
(monema: v. cap. 9) che si analizza e si pone come articolato in un subsistema di tratti
pertinenti di secondo ordine (deuteremi), a loro volta o non ulteriormente analizzabili
ovvero analizzabili in tratti (tritemi, ..., enne-emi) derivati in ogni caso da un numero
finito di ulteriori subsistemi.
Seguendo l'uso di Saussure e Hjelmslev, diremo d'ora in poi !forma' l'insieme delle
caratteristiche pertinenti che, con la loro presenza o assenza, definiscono la classe di
un sistema. Ogni entit che si identifichi in quanto presenta certe caratteristiche
pertinenti detta !replica' o !realizzazione' della forma. La descrizione dei rapporti tra
una forma (o una classe) e l'insieme delle caratteristiche pertinenti di un sistema ci
che chiamiamo !descrizione strutturale' della forma (o della classe).
Entro i limiti materiali di cui gi si parlato, non vi ragione dipendente dalle sole
caratteristiche intrinseche delle entit per cui in esse sia trascelta una o altra
caratteristica come pertinente e per cui le caratteristiche pertinenti si raggruppino in
sistema in un modo o nell'altro: limiti materiali a parte, ogni sistema di classificazione
e ogni forma poggiano su scelte non condizionate, arbitrarie. Tale arbitrariet di
sistemi e forme ci che chiamiamo !arbitrariet formale'.
Ci che abbiamo detto consente di precisare la nozione di rapporto semiotico
enunziata all'inizio di questo capitolo. Non solo il rapporto semiotico, ma in generale
ogni messa in rapporto di due entit particolari, concrete, avviene, per usare le

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espressioni del vocabolario teorico gi introdotte, attraverso la messa in rapporto delle


due classi cui le due entit appartengono, delle due forme di cui esse sono repliche. E,
sempre per quanto abbiamo detto, se le classi appartengono a sistemi diversi, ci
comporta la messa in rapporto di due sistemi.
Diciamo !codice' ogni accoppiamento di due sistemi che serva a mettere in rapporto
almeno due entit identificate ciascuna secondo uno dei due sistemi. Se e solo se tale
messa in rapporto un rapporto semiotico, tale da stabilire, come si detto, un
collegamento di una !y' e una [x], sicch i sistemi in questione sono quelli di
identificazione di sensi o messaggi e di segnali o delle, il codice pu dirsi !codice
semiologico'.
Consegue da quanto abbiamo detto che, perch si possa avere un rapporto semiotico e,
quindi, un atto semico e un processo di comunicazione, non possibile che l'emittente
e il ricevente operino solo su entit particolari, sull'hic et nunc: ma necessario che
adoperino un codice semiologico. Ogni rapporto semiotico, per quanto semplice, non
mai immediato, ma implica sempre la mediazione della connessione di due forme e,
quindi, di due sistemi di classi.
Diciamo !significante' la classe cui appartiene un segnale, la forma di cui esso replica,
e diciamo !significato' la classe cui appartiene un senso, la forma di cui replica:
denoteremo che una x ha valore di significante scrivendola tra barre oblique, come /x/,
e che una y ha valore di significato scrivendola tra doppi apici, come !y". Un rapporto
semiotico [x]: !y' presuppone la messa in rapporto di un significante e di un significato,
cio la messa in rapporto /x/ : !y"; tale rapporto tra classi detto !segno'. Denotiamo
che la sequenza di uno o pi simboli ha valore di segno scrivendola tra due diesis: !z!.
Date le nostre definizioni, un segno pu dirsi anche !forma di un rapporto semiotico'.
Descrivere i rapporti tra un segno e le caratteristiche pertinenti di un codice
semiologico significa darne una !descrizione strutturale'.
Diciamo !piano dell'espressione' l'insieme dei significanti di un codice semiologico e
!piano del contenuto' l'insieme dei significati. Un codice semiologico, dunque, unisce
un piano dell'espressione e un piano del contenuto. Possiamo ridefinirlo come
l'insieme dei segni che esso consente di generare o calcolare.
Chiameremo !semiotica' lo studio delle caratteristiche proprie in generale dei codici
semiologici, e !semiologia' lo studio di un particolare codice o d'una particolare
famiglia di codici.
Ogni segno (e ogni codice semiologico) pu essere considerato secondo quattro
dimensioni: 1) in relazione agli emittenti e ai riceventi che stabiliscono rapporti
semiotici secondo i segni del codice: la dimensione !pragmatica'; 2) in relazione alle
dele o ai segnali che realizzano i significanti: la dimensione che possiamo dire
!segnaletica', e che diciamo volta a volta, a seconda dei canali fisici impegnati nella

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produzione e ricezione di segnali, !fonetica', !fonetico-acustica', !grafica' (o !grafetica'),


!mimetica', ecc.; 3) in relazione ai tratti pertinenti che costituiscono e differenziano i
segni (che, di necessit, sono sempre almeno due): la dimensione !combinatoria' o
!calcolistica' o !sintattica'; 4) in relazione ai sensi che realizzano il significato dei segni:
la dimensione !semantica'.
Possiamo ora precisare che la !semantica semiotica' lo studio delle modalit generali
secondo cui i sensi si rapportano ai significati; mentre lo studio delle modalit di tale
rapporto in un particolare tipo di codici semiologici una !semantica semiologica'.
L'obiettivo che ora siamo in grado di proporci delineare le caratteristiche di alcune
semantiche semiologiche al duplice fine di individuare eventuali modalit generali,
semiotiche, presenti nella dimensione semantica d'ogni codice, e di far risaltare le
peculiarit di quella particolare semantica semiologica che la semantica linguistica,
lo studio, cio, della dimensione semantica in quella speciale famiglia di codici
semiologici (in realt, come vedremo, metasemiologici) che sono le lingue storiconaturali.
9. Criteri per una classificazione semantica dei codici semiologici
I codici semiologici, generalmente studiati singolarmente o raggruppati secondo criteri
relativi soltanto al materiale dei segnali realizzanti i significanti, come nelle
classificazioni di Th. Sebeok o U. Eco, ovvero in funzione dell'ottimizzazione della
trasmissione del segnale, come nella teoria dell'informazione, verranno qui classificati
secondo criteri semantici e, in via subordinata, sintattici. Come ogni altra
classificazione che aspiri a risultare ben fatta, anche la nostra cercher di rispondere ai
requisiti: a) della completezza o esaustivit, per cui, nel nostro caso, nessun codice
semiologico deve risultare estraneo a una delle classi della classificazione; b) della
esclusivit o univocit, per cui un codice riconosciuto appartenente a una classe non
deve appartenere ad altre classi.
Per costruire una classificazione semantica dei codici semiologici che risulti completa
ed esclusiva, allo stato attuale degli studi, volendo ottemperare anche a un generale
principio di economicit, sembra sufficiente ricorrere a non pi di quattro criteri di
classificazione. Ciascuno d'essi , per servirci di termini gi introdotti, una
caratteristica pertinente che, variamente raggruppandosi con la presenza o assenza
delle altre caratteristiche, d luogo alle diverse classi. Enumeriamo ed esaminiamo qui
di seguito i quattro criteri.
1. Criterio della globalit o non articolatezza. Il senso pu essere assunto nel significato
di un segno senza venire decomposto in parti associate ciascuna a una parte del
significato e del segno, oppure, al contrario, pu essere assunto in modo che sia

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decomposto, sezionato in parti associate ciascuna a una parte del significato e del
segno.
In molte situazioni, un senso che, giudicandone equivalenti le parafrasi che possiamo
darne con frasi della nostra lingua, possiamo dire !uno stesso senso' (e certamente di
nuovo dobbiamo invocare come propizia qui l'ombra del barone di Mnchhausen o
quelle, meno scherzose, di quanti, da Schleiermacher a Dilthey e Heidegger, han
riflettuto sullo Zirkel im Verstehen), pu essere considerato la realizzazione, la replica
di forme segniche appartenenti a codici semiologici diversi. Supponiamo di trovarci in
uno stato, ad esempio, di perplessit. E supponiamo di voler dare di ci notizia a un
interlocutore: possiamo compiere dei gesti, che in alcune aree culturali sono
abbastanza codificati (simulare una ripetuta leggera grattata della nostra nuca o del
mento, oppure corrugare o marcare le sopracciglia), oppure possiamo dire qualche
frase come, in italiano, !sono piuttosto perplesso! oppure !quel che sto leggendo mi
lascia parecchio in dubbio!. Le grattatine o l'inarcare le sopracciglia ecc., i gesti,
insomma, realizzano segni i cui significati stanno in un rapporto globale col senso
espresso: non lo sciolgono in parti, esprimono nell'insieme e senza suddistinzioni un
generico, complessivo stato d'imbarazzo. Consideriamo i segni verbali italiani: essi non
solo veicolano un senso, ma lo decompongono in parti, danno forma il primo al fatto
che la perplessit di un maschio, non assoluta, travolgente, ma relativa ecc., il
secondo alla causa della perplessit, a sua volta sottoposta ad analisi, ecc.
Del resto, anche senza chiamare a confronto il linguaggio verbale (e tuttavia pur
sempre servendocene non solo per parlare della questione, che ovvio, ma come
!garanzia' sul punto cruciale della assimilabilit o identificabilit di sensi inclusi in
significati di segni appartenenti a codici diversi), osservando i semafori stradali a tre
luci e tre dischi (rosso, giallo, verde) e quelli a tre luci, ma con quattro o cinque dischi
(in questi i due o tre dischi della luce verde includono indicazioni direzionali),
confrontiamo due codici entrambi molto semplici: il primo ha segni che intrattengono
un rapporto globale con i possibili sensi; il secondo ha segni che, l dove il primo pu
indicare solo !alt", indicano e distinguono !alt per tutti", !alt per chi procede dritto o a
sinistra", !avanti tutti", !avanti per chi procede a destra", ecc.
Ancora un esempio familiare: consideriamo il segno !6! della numerazione araba in
base dieci, il segno !110! della numerazione araba binaria, il segno !VI! della
numerazione romana classica. Lo stesso valore numerico assunto globalmente nel
primo segno; nel secondo, invece, dissociato nelle parti, leggendo da destra, !nessuna
coppia-una coppia-una coppia di coppie" ( decomposto cio negli addendi
!123-1+122-1+021-1"); nel terzo, infine, decomposto in !cinque unit pi una unit".
Se un segno si decompone in parti ciascuna delle quali portatrice di una parte del
significato complessivo del segno, lo diciamo !articolato' o !analizzabile' in parti, alle

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quali si d il nome di !iposemi' (termine usato da M. Lucidi e W. Belardi in Italia e da


neosaussuriani svizzeri), !monemi' (H. Frei, A. Martinet, ecc.), !morfemi' (linguistica
nordamericana, ecc.). Un segno articolato ha un significato che articolato esso stesso
e che analizza e dissocia in parti i sensi che assume e inquadra in se stesso.
Un codice semiologico che ammetta almeno una parte di segni articolati un codice
che include, o , una combinatoria: diciamo per brevit codici non articolati quelli privi
di ogni segno articolato, con segni tutti e solo di tipo globale, e codici articolati quelli
che ammettono uno o pi segni articolati.
2. Criterio della finitezza. Un codice i cui segni non siano articolati e si contrappongano
l'un l'altro globalmente, insomma un codice non articolato, tende ad ammettere un
numero di segni finito e, di solito, relativamente piccolo, come avremo occasione di
vedere. Un utente (emittente o ricevente) capace di un numero soltanto finito di
operazioni e dotato di una memoria finita non in grado di padroneggiare infiniti
segni che si contrappongano l'un l'altro globalmente. Per utenti siffatti la via
dell'infinito si apre solo a patto di ricorrere a codici e, anzi, ancor pi in genere, a
sistemi combinatori. Ci, per, una condizione solo necessaria, e non sufficiente.
Grazie a una combinatoria, con un numero finito di entit di base, raggruppandole
variamente, possibile formare un numero di raggruppamenti distinti superiore,
anche molto superiore, a quello delle entit di base. Una serie di formule consente il
calcolo di tali raggruppamenti. Perch i raggruppamenti siano di numero
potenzialmente infinito, necessario e sufficiente che essi soddisfino a tre condizioni:
1) che siano !disposizioni' (cio rendano pertinente l'ordine delle entit, sicch si abbia
!ab!!!ba!); 2) che l'iterazione sia distintiva (sicch si abbia !a!!!aa!!!aaa!, ecc.); 3)
che il numero dei posti dei raggruppamenti non abbia limite teorico, sia cio, per
quanto grande, sempre suscettibile d'accrescersi di uno. Se una di queste tre condizioni
non sussiste, una combinatoria con un numero finito di entit di base ammette un
numero solo finito di segni distinti.
I codici semiologici articolati ammettono un numero potenzialmente infinito di segni
soltanto se i raggruppamenti di iposemi ammettono la distintivit dell'ordinamento, la
distintivit dell'iterazione e l'accrescibilit d'un posto d'ogni data sequenza di iposemi,
per quanto lunga.
Un tipico e noto codice semiologico a segni infiniti l'usuale cifrazione araba in base
dieci (ma ci vale anche, ovviamente, per una qualunque altra base), che consente di
individuare una serie potenzialmente infinita di numeri combinando le dieci cifre di
base, da 0 a 9, in disposizioni (talch si abbia: !12!!!21!), in cui distintiva la
ripetizione (sicch !31!!!311!!!3111! ecc.) e, dato un qualunque numero a k posti,
sempre possibile un numero a k+1 posti.
Un codice semiologico articolato a numero finito di segni qualunque codice che non

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rispetti una delle tre condizioni dette. Per esempio, le targhe automobilistiche, che
prevedono un numero limitato di posti in cui possono apparire come entit di base in
alcuni le 24 lettere dell'alfabeto, in altri le 10 cifre arabe decimali, sono segni che
consentono di distinguere un numero grandissimo, ma non potenzialmente infinito di
vetture.
3. Criterio della sinonimia o intersecabilit dei significati. Definiamo !sinonimi' i segni
o gli iposemi con significati che possono includere uno o pi sensi in comune. Si ha
!sinonimia' quando uno stesso senso pu essere incluso in due o pi classi di senso, in
due o pi significati di uno stesso codice.
Gi da esempi fatti prima chiaro che non tutti i codici semiologici ammettono la
sinonimia. Anzi, certe segnaletiche, certi sistemi di classificazione, di cifrazione, di
registrazione di misure ecc., tanto meglio sono fatti quanto pi nettamente rispettano
il !principio della esclusivit' nella determinazione dell'appartenenza di un senso a uno
e un solo significato, cio quanto pi nettamente i significati e segni, anche articolati,
sono non intersecantisi. Targhe automobilistiche, sigle di collocazione in una
biblioteca sono tali che un segno e un segno solo identifica una vettura sola o un solo
libro e viceversa, e questa corrispondenza fondata su un rigido rispetto del principio
dell'esclusione, spinto alla biunivocit, pu alterarsi soltanto per falsificazioni punite
dalla legge o per lamentevole errore di bibliotecari.
Ci che patologico in codici semiologici come quello delle targhe automobilistiche o
delle collocazioni bibliotecarie, fisiologico in altri codici. Anzi, vi sono codici in cui la
bont dell'insieme e l'abilit dell'utente stanno nella disponibilit a usi sinonimici. Ad
esempio, tra i primi rudimenti della notazione musicale impariamo che i simboli di
due note brevi equivalgono al simbolo di una minima (" " = ), che due minime valgono
una semibreve ( =0) ecc. Impariamo, dunque, notazioni, segni in cui caratteristica
la sinonimia. Nella segnaletica stradale sono numerosi i segni sinonimi tra segnaletica
orizzontale e verticale e, ove queste vogliano considerarsi non uno ma due distinti
codici semiologici, si danno sinonimi anche all'interno di uno solo dei due.
L'aritmetica elementare offre esempi innumeri di sinonimia. Uno stesso valore
numerico, per esempio !sedici', pu essere significato con una gran quantit di segni
diversi, !16!, !17*!, !18*2!, !10+6!, !9+7!, !2"8!, !32:2! ecc. La variet di segni
ancora pi grande se aggiungiamo alle quattro elementari altre operazioni: !24!, !42!,
!64/4!, !#-2-5-6!, !#-6-4+23!, ecc.
Le sinonimie aritmetiche ora stabilite ci danno esempi di equivalenza, di possibili
parafrasi sinonimiche non, o soltanto assai debolmente, condizionate. In linguaggi
matematici pi complessi dell'aritmetico troviamo sinonimie condizionate. Per
esempio, in un piano cartesiano il punto di ascissa (x) 2 e ordinata (y) 8, cio il punto
(2; 8), pu essere considerato uno dei punti di una retta definita dall'equazione

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!x/y=0,25z!, uno dei punti dell'iperbole generata dall'equazione !xy=16z! e,


infine, uno dei punti di una parabola cubica definita dall'equazione !y/x3=1z! (in
tutti e tre i casi, per z=0). Possiamo dunque parafrasare la descrizione del punto (2; 8)
assumendolo come punto sia della retta sia dell'iperbole sia della parabola cubica. Le
rispettive equazioni generano come punti delle rispettive linee punti infiniti diversi per
ciascuna di esse, ma, a certe condizioni, esse possono individuare e descrivere
generativamente uno stesso punto e possono dunque essere, per quel punto comune,
sinonime.
Nella codificazione del linguaggio napoletano dei gesti, data nel i 832 dal canonico
Andrea De Brio, appaiono numerosi sinonimi. Per esempio il senso !no' pu essere
espresso da segni il cui significante : alzare le sopracciglia; guardare da un'altra parte;
volgere la testa alternativamente a destra e a sinistra; spingere appena indietro la
testa; sporgere un poco e alzare leggermente il labbro inferiore; puntare le dita (tranne
il pollice) contro il mento e spingerle in fuori, ecc.
4. Criterio della incalcolabilit della sinonimia o della metaforicit. Le tre equazioni
ricordate poco pi su esemplificano un fatto generale nei calcoli. Segni algebrici diversi
(!x/y=kz!, !xy=kz!, !y/x3=kz!, ecc.) indicano linee regolari assai diverse come
retta, iperbole, parabola. Essi possono servire a indicare linee con un punto comune,
ci a certi valori numerici della x e y, della costante k e di z. A certi valori, tali segni
sono dunque sinonimi. Si tratta di valori previamente determinabili e calcolabili, cos
come previamente determinabile e calcolabile la forma delle equazioni di linee
regolari che passano per un punto dato del piano cartesiano.
Il mondo dei codici semiologici matematici il mondo della determinatezza: le
sovrapposizioni di significato delle formule, le sinonimie, sono prevedibili e calcolabili
a condizioni previamente elencate, definite, di numero finito. A fini ulteriori da
osservare che determinatezza non significa necessariamente univocit: si possono
avere casi di incognite sostituibili, a date condizioni, da pi di un valore diverso.
Tuttavia quanti e quali siano questi valori (quanti e quali i sinonimi) calcolabile e
predicibile, per una data equazione.
Simbologie politiche, folcioriche, religiose, codici del buono e del malo augurio sono
invece ricchi di plurivalenze non predeterminabili, che riscontriamo solo ex post.
Incontrare un prete il primo giorno dell'anno di buon auspicio, perch il prete
significa sacramento del battesimo o del matrimonio, ovvero di cattivo auspicio,
perch il prete significa s un sacramento, ma quello dell'estrema unzione. In codici di
questo tipo regna o pu regnare ci che stato variamente denominato
indeterminatezza dei significati (M. Black) o tolleranza sul campo (E. H. Lenneberg).
L'indeterminatezza dipende dalla possibilit sempre latente di stabilire nuove,
imprevedibili sinonimie, trasferendo i confini dei significati fino ad abbracciare sensi

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per l'innanzi esclusi. A tale potenziale trasferibilit di limiti dei significati diamo il
nome di metaforicit.
Come cercheremo di mostrare, l'applicazione di questi quattro criteri porta a una
classificazione esclusiva, esaustiva (allo stato attuale) ed economica degli innumerevoli
codici semiologici e tipi di linguaggio. Nell'ordinare l'esposizione seguiremo due
principi: assumeremo i quattro criteri come altrettanti caratteri pertinenti ed
esamineremo i codici andando dai pi semplici verso i pi complessi.
Come gi avevamo accennato, i quattro criteri possono essere assunti come altrettanti
caratteri pertinenti: 1) articolatezza; 2) infinit; 3) sinonimicit; 4) metaforicit (dei
segni). I codici pi semplici sono quelli a tratti pertinenti zero, caratterizzati cio
dall'assenza di ognuno dei quattro caratteri ora elencati. All'estremo opposto della
scala stanno i codici caratterizzati dalla presenza di tutti e quattro i caratteri pertinenti.
Allo stato attuale pare esaustivo distinguere cinque categorie di codici semiologici
secondo la seguente matrice.
Tabella
All'interno di ciascuna categoria, e sempre riferendoci ad aspetti semantici, e in
subordine sintattici, ordineremo l'analisi dei codici semiologici appartenenti a ciascuna
obbedendo al criterio ordinativo !dal semplice al complesso'.
10. Linguaggi a segni inarticolati
Il modo pi semplice di ripartire i sensi in significati che tra i sensi da identificare e
trasmettere o comprendere sia colta e stabilita una sola possibile caratteristica
comune, un' unica caratteristica o tratto pertinente che, con la sua presenza o assenza,
ordini in due sole classi l'intero campo dei sensi: da un lato la classe delle entit di
senso prive del tratto, dall'altra la classe delle entit dotate del tratto. Due significati,
collegati ciascuno a un suo significante, ordinano l'intero insieme dei sensi
individuabili con il codice semiologico. Due segni consentono a emittente e ricevente
di comunicare in proposito. Da un punto di vista segnaletico, si noter che, molto
spesso, la realizzazione del significante d'uno dei due segni affidata al mantenimento
d'uno stato inerziale, ci che induce l'osservatore superficiale (non necessariamente il
profano) a credere che si sia in presenza di codici a un solo segno.
Un caso tipico quello delle spie luminose che, in molti congegni e apparati, si dice che
significano o comunicano accendendosi. In verit, le spie hanno due stati, due
significanti e significati, e il loro codice , come deve essere per definizione, ad almeno
due segni: 1) !/luce spenta/: !x"!; 2) !/luce accesa/: !non x"!.

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In un'automobile, la mancanza di carburante o di olio o di tensione nella batteria, cio


la discesa sotto il livello di sicurezza, segnalata dall'accensione di una spia luminosa.
La spia spenta segnala anch' essa qualcosa: la non-discesa sotto i livelli di sicurezza.
Abbiamo dunque un codice a due segni: 1) !/luce spenta/: !(carburante, ecc.) non sotto
il livello di sicurezza"!; 2) !/luce accesa/: !(carburante, ecc.) sotto il livello di
sicurezza"!.
L'errore dell'osservatore superficiale tuttavia da non trascurare. Esso la proiezione
teorica d'una difficolt in cui pu trovarsi l'utente ricevente. Per agevolargli il compito,
spesso entrambi i segni hanno significanti realizzati in positivo, in modo ridondante
dal punto di vista della possibile massima economicit. , ad esempio, il caso delle luci
notturne di bordo dei battelli in navigazione. Alla propria destra il battello accende una
luce verde, alla sinistra una luce rossa. E, ancora, il caso delle sagome stilizzate
maschile e femminile sulle porte delle toilettes in treni e luoghi pubblici. Anche solo
una luce spenta e l'assenza di sagoma potrebbero valere, in linea teorica, come
significanti dei significati !destra" o !donne": ma l'economia nella realizzazione dei
segnali previsti dal codice sarebbe pagata con l'assai alto rischio di equivoci sul piano
pragmatico. E se nel secondo caso verrebbe messa a repentaglio solo la pruderie degli
utenti e delle utenti del codice e delle toilettes, nel primo caso il rischio investirebbe la
vita stessa dei naviganti. Di qui, il ricorso a realizzazioni ridondanti.
Siano o no tendenti al massimo possibile dell'economicit nella realizzazione di uno
dei due significanti, i codici a due segni hanno tutti la stessa caratteristica di semplicit
semantico-sintattica.
Appartengono alla stessa famiglia altri codici che prevedono anche pi di due segni:
tre, come i semafori stradali a tre luci, con tre segni il cui significato ,
approssimativamente, !avanti", !attenzione", !alt"; quattro, come i semi nei giochi di
carte (!cuori", !quadri", !fiori", !picche", ovvero !spade", !bastoni", !coppe", !danari")
ecc.
Una sezione particolare, un sottogruppo di questa famiglia di codici semiologici
rappresentata dai codici semiologici seriali. Un esempio tipico quello dei dodici segni
dello zodiaco: ciascun significante identifica una classe di giorni dell'anno e di nati in
quei giorni. Ma l'identificazione attraverso dodici segni non ci d solo questo. I segni si
susseguono in un ordine preciso. Di un individuo classificato dal segno ???61???
sappiamo non solo che un !ariete', ma che, in quanto tale, nato in un periodo
dell'anno anteriore a quello di un !toro' o di una !vergine' e posteriore a quello di un
!acquario'. Le classi sono ordinate in una successione e ciascun senso non solo
collocato nell'insieme di cui parte, ma, attraverso l'insieme, collocato in rapporto
alla serie completa.
Ci vale anche per parecchi alfabeti: le lettere, intese come significanti, non si limitano

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a denotare una classe di sensi, cio, in questo caso, una classe di suoni corrispondente
alla classe di grafie rappresentanti la lettera. Tradizionalmente, da tempi remoti, gli
scribi, poi i maestri di scuola, hanno ordinato in una certa successione fissa
convenzionale le lettere. In un alfabeto come quello greco il segno !+! non ha come
corrispettivo di senso soltanto dei suoni tipo quelli denotati nell'Alfabeto Fonetico
Internazionale da [b]; ma indica anche una classe di suoni e di lettere che occupa il
secondo posto in una serie che si apre con il segno !$! e si chiude col segno !,!.
Possiamo rappresentare il significato composito (ma non articolato: v. oltre) del segno
!+! scrivendo: !fonema /b/ del greco classico, secondo elemento di una serie aperta da
!$! e chiusa da !,!".
Anche il sistema di cifrazione araba, sia l'usuale in base dieci sia i meno usuali in base
due ecc., includono un certo numero di entit di base, dieci (nell'usuale cifrazione in
base 10) o due ecc. (nelle cifrazioni d'altra base), che, in s, possono considerarsi un
codice semiologico seriale. Nel caso della cifrazione in base dieci, le dieci cifre di base,
da zero a nove, possono considerarsi altrettanti segni ordinati in serie: !2! ha un
significato che !due", ma i sensi appartenenti a tale significato includono tutti un
tratto !maggiore (o successore) di uno' e un tratto !minore (antecessore) di tre'.
Dalla collocazione del segno nella serie dipendono i valori che il suo significato pu
assumere. Parliamo di !paradigma' e di !rapporti paradigmatici' per designare le serie e
i rapporti di un segno con altri della medesima serie, mentre diciamo semplicemente
!associazione' e !rapporti associativi' l'insieme dei segni di un codice semiologico e i
rapporti non seriali tra tali segni. Il costituirsi di una serie paradigmatica ha riflessi
sulla forma del significato, che, come si visto, composito.
Osserviamo ora le caratteristiche di questo tipo pi semplice di codici.
A. I segni sono inarticolati. Nel significante /rosso/ dei semafori non c' niente che
permetta di riconoscere che esso correlato a un significato opposto a quello correlato
al significante /verde/: dobbiamo saperlo prima. Comprendiamo il significato di un
segno se lo conosciamo gi. L'apprendimento e la conoscenza del codice coincidono
con l'apprendimento e la conoscenza dei suoi segni.
All'interno del codice i segni hanno tra loro un rapporto di contrapposizione reciproca
globale. Ci ha riflessi semantici: i significanti non si suddistinguono in parti ciascuna
portatrice di una parte del significato complessivo. L'intero significante portatore
dell'intero significato.
B. I segni sono di numero finito. Due, per lo meno, oppure, come si visto, tre,
quattro, dieci, ecc. Nelle scritture ideografiche i segni possono arrivare a essere anche
migliaia. Si tratta comunque di numeri finiti, anche se oscillanti. Un codice
semiologico di questo tipo pu ammettere solo in linea teorica segni di numero
infinito: sarebbe in tal caso utilizzabile soltanto da utenti capaci di memoria infinita e

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di un numero infinito di operazioni (tante sono necessarie per identificare un segno


che si contrapponga in modo globale a un insieme infinito di altri segni siffatti).
C. Il rapporto tra sensi e significati esclusivo: un senso, se rientra nel significato d'un
segno, non rientra nel significato di altri. Non ammesso che un senso possa essere
veicolato da pi segni. Non c' sinonimia.
D. I significati, una volta dati per un certo codice, non mutano. L'utente del codice e
dei segni non pu forzare i limiti dei significati o, pi esattamente, pu farlo, ma ci
un errore, un deviare e uscire fuori dal codice.
Una lingua , abbastanza evidentemente, lontana da questo tipo di codici: le sue frasi
sono palesemente articolate e articolati, anzi, sono in generale i suoi vocaboli stessi;
molte frasi e vocaboli sono in qualche misura interscambiabili dal punto di vista della
trasmissione di un senso, cio sono caratterizzati da un rapporto che pu essere
sinonimico, ecc. In complesso, una lingua non offre quelle garanzie di uso certo,
automatico, caratteristiche di questo tipo di codici. Pure, come vedremo (v. capp.
16-17), nello stabilirsi delle consuetudini d'uso d'una lingua gruppi diversi di utenti
possono conferire a talune sezioni di vocabolario le caratteristiche della certezza:
nomenclature commerciali o professionali e terminologie scientifiche riflettono gli
sforzi per trasformare alcune parole in termini di insiemi chiusi, finiti, in segni capaci
di rapporti semantici esclusivi almeno in ambiti circoscritti e determinati d'uso.
11. Linguaggi a segni articolati di numero finito
I semafori ferroviari a tre luci o quelli, pi noti, stradali a cinque luci sono esempi di
codici semiologici a segni che possono essere articolati. In questi, ai tre segnalatori
centrali a disco di luce rossa, gialla, verde, si aggiungono i segnalatori laterali a luce
verde sagomata, al centro dei dischi, in forma di freccia orientata a destra o a sinistra. I
cinque segnalatori realizzano segni che possono essere articolati: accanto ai segni
!disco rosso!, !disco giallo!, abbiamo i segni !disco rosso/freccia verde destra!, !disco
rosso/freccia verde sinistra!, !disco verde/freccia verde destra!, !disco verde!. In
corrispondenza ditali segni, i significati sono articolati in parti: ad !alt", !attenzione", si
aggiungono rispettivamente !alt per tutti tranne/avanti per chi svolta a destra", !alt
per tutti tranne/avanti per chi svolta a sinistra", !avanti per tutti".
Un altro piccolo codice a segni articolati si adopera nella simbologia biologica
internazionale: i tre segni !#!, !$!, !#+! hanno, in corrispondenza dei significanti, i
significati !individuo/maschio" !individuo/femmina", !individuo/sia maschio sia
femmina".
Molti linguaggi di classificazione, schedatura, cifrazione, targatura, sono costruiti in
modo da prevedere segni articolati in modo pi o meno economico.

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L'articolazione pu non avere riflessi semantici. E il caso dell'alfabeto Morse, dei


semafori a bandiera, di alcuni alfabeti manuali dei sordomuti, del Braille. I significati
(in questo caso le 26 lettere dell'alfabeto) sono cifrati da significanti costruiti, per
esempio nel caso del Morse, combinando in raggruppamenti da uno a quattro posti,
con distintivit dell'iterazione e della collocazione, un punto e una linea: !/-/: !A"!,
!/-/: !B"! ecc. Troviamo qui, sul piano del significante, un equivalente di quello che,
nei codici a segni non articolati seriali, abbiamo incontrato come sovraccarico
semantico. Siamo qui in presenza di un sovraccarico segnaletico. I segni non sono
articolati in parti, ma il significante composito. Al sovraccarico segnaletico pu
assommarsi la ridondanza. La ridondanza pu riscontrarsi a livelli molto diversi
dell'organizzazione dei segni e del loro versante significante. In linea generale, quando
siano distinguibili parti di segno o parti di parti di segno, la ridondanza di un codice
tanto maggiore quanto minore il numero dei raggruppamenti di parti effettivamente
utilizzati in rapporto ai raggruppamenti potenzialmente possibili. Nel caso del Morse
due unit si raggruppano in disposizioni da uno fino a cinque posti, le quali fungono da
significanti delle 26 lettere dell'alfabeto e delle dieci cifre arabe. I 36 significanti sono
trascelti da un insieme di raggruppamenti calcolabili secondo la nota formula per il
computo delle possibili disposizioni: 21+22+23+24+25=2+4+8+16+32=62. Nel Braille
la ridondanza del significante ancora pi alta: due unit (punto in rilievo e non
rilievo) possono costruire disposizioni da uno a sei posti, con una ridondanza, dunque,
di 36 disposizioni utilizzate su 124 possibili. Come vedremo, nelle lingue la ridondanza
immensamente maggiore (v. cap. 17).
Il sovraccarico semantico, di cui si discorso nel cap. 10, e il sovraccarico segnaletico,
con i fenomeni di ridondanza cui si accennato, mostrano, per inciso, la possibile
sussistenza di una dimensione di analisi dei fenomeni del contenuto o dell'espressione
la quale pu avere una sua autonomia rispetto alla complessiva analisi del codice
semiologico.
Torniamo ora a considerare quei codici in cui l'articolazione in parti non investe
soltanto il significante, ma il segno nella sua interezza, suddividendolo in parti dotate
sia di un significante sia di un significato. La suddivisione del segno in parti dotate di
un significante e di un significato rende relativamente motivati almeno una parte dei
segni (ma potrebbe accadere anche a tutti). immotivato distinguere quattro semi e,
tra questi, uno detto cuori, colorato in rosso ecc.; e tre figure, tra cui una detta fante.
Ma, ci posto, a un certo significante corrisponde motivatamente il significato
!fante/di cuori". Concorrono a costituire l'intero significato del segno due unit di
articolazione, !-fante! e !-cuori!. Codici simili consentono inoltre di sfruttare, per uno
stesso segno, il suo coordinamento a pi serie ordinate, arricchendo le varie parti del
significato di distinti sovraccarichi semantici. Nell'esempio ora dato, riferendoci alle

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regole di vari giochi di carte che ordinano sia i semi sia le figure secondo una scala
decrescente di valori, il significato del fante di cuori viene ad essere in tali giochi
rappresentabile come !fante, inferiore a regina, superiore a dieci/di cuori, superiori a
quadri, fiori, picche".
Il ricorso a questo tipo di codici consente di ordinare un numero assai alto di significati
(tipi di stoffe, di utensili, libri, ecc.), variamente disposti in serie tra loro attraverso i
vari monemi costitutivi del segno, a partire da un numero molto modesto di monemi e
da alcune semplici regole di coordinamento dei monemi in segni (sintassi). Codici del
genere spesso hanno un numero solo finito di segni e prevedono tra i significati un
rapporto di tipo esclusivo, senza possibili sinonimie.
12. Linguaggi a segni articolati di numero infinito
Un qualsiasi codice semiologico articolato o, pi in genere, una qualsiasi combinatoria
prevede un numero infinito di segni o, pi in genere, di raggruppamenti dei monemi o
unit in cui i segni o raggruppamenti si articolano a tre condizioni: 1) che i
raggruppamenti siano disposizioni (ossia siano diversificabili in base al diverso
ordinamento delle unit costitutive); 2) che l'iterazione di una stessa unit sia possibile
e distintiva; 3) che, dato un raggruppamento, sia sempre possibile un raggruppamento
con un'unit in pi.
Nella cifrazione romana o nelle cifrazioni arabe valgono queste tre condizioni e
pertanto abbiamo a che fare con linguaggi capaci d'identificare sensi attraverso un
numero potenzialmente infinito di significati, ciascuno correlato a un significante
distinto.
Rispetto alla cifrazione romana, quelle arabe si qualificano per una maggiore
economicit di sintagma ottenuta rendendo pi complessa la sintassi. Il valore
dell'unit, del monema in praesentia, determinato dal prodotto della sua
collocazione nel paradigma delle unit e della sua collocazione nel sintagma della cifra.
Mentre nella numerazione romana il monema !-M-! vale sempre mille, nelle cifrazioni
arabe !-2-! ha significati assai diversi: a) a seconda del paradigma in cui inserito
(cifrazione in base tre, quattro, ... dieci, ... enne); b) a seconda del suo posto nel
sintagma, in quanto il valore assegnato al monema nel paradigma viene moltiplicato
per la base elevata a una potenza pari al posto del monema, posto contato a partire da
destra verso sinistra, meno uno. Pertanto la presenza del monema !-2-! vale !due
unit" nel segno !2! di una cifrazione ternaria o pi che ternaria, vale !due terne" o
!due quartine" o !due decine" nel segno !21! letto secondo una cifrazione ternaria o
quaternaria o decimale, vale !due terne di terne" o !due quartine di quartine" o !due
decine di decine" nel segno !221! letto rispettivamente secondo una cifrazione

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ternaria, quaternaria, decimale, ecc.


Nella cifrazione araba decimale, ad esempio, il segno !242! non vale !due pi quattro
pi due", ma !due (per la potenza di 10 alla 3-1) pi quattro (per la potenza di dieci alla
2-1) pi due (per la potenza di dieci alla 1-1)". In una cifrazione araba quinaria vale
!due (per la potenza di cinque alla 3-1) pi quattro (per la potenza di cinque alla 2-1)
pi due (per la potenza di cinque alla 1-1)", cio, in nomi di cifre arabe decimali,
!settantadue".
Non solo riscontriamo ancora una volta il peso dei rapporti tra segno o sue parti e altri
segni o loro parti previsti dal sistema e dai suoi paradigmi; ma riscontriamo la
possibilit che ai monemi del sintagma evidente si coordinino sintagmi soggiacenti
diversi a seconda del punto del sintagma evidente cui ci riferiamo, oltre che a seconda
del paradigma cui ciascun monema appartiene. Tali sintagmi soggiacenti, dopo le
prime indicazioni date da L. Wittgenstein e, in chiave gi pi tecnica, da Ch. Hockett, e
dopo i ricchi sviluppi dovuti a N. Chomsky e al generativismo, sono detti !strutture
profonde'.
Un codice come la cifrazione romana o una delle cifrazioni arabe consente di
identificare i sensi in un numero infinito di significati posti tra loro in relazione di
esclusione, senza sinonimia.
13. Linguaggi a segni sinonimi
Diremo cos i linguaggi che, capaci di segni articolati, prevedono tra i significati dei
segni un rapporto non esclusivo. Pu accadere che un senso esprimibile con segni di
questo linguaggio sia esprimibile con pi di un segno. Nella notazione musicale, nelle
stenografie e nei sistemi di abbreviature, nella segnaletica stradale troviamo segni che
possono stare l'uno per l'altro in vista dell'individuazione di un medesimo senso.
Nella generalit dei casi le sinonimie ora accennate sono tali su base consuetudinaria:
data la forma di un'abbreviatura, non siamo in grado di dedurre la forma di un suo
eventuale sinonimo e viceversa. L'utente stabilisce una sinonimia in via sintetica, non
per via analitica.
Chiamiamo calcoli quei codici semiologici in cui il passaggio da un sinonimo a un altro
regolato da un numero definito di regole esplicite e dalle forme dei sinonimi, sicch,
data la forma di un sinonimo, analiticamente prevedibile la forma del suo sinonimo o
dei suoi sinonimi. L'aritmetica elementare e gli altri pi complessi calcoli previsti dalla
matematica sono esempi di ci.
L'aritmetica elementare pu essere considerata come un linguaggio volto a definire i
possibili sinonimi di un segno in esso formulato. Dato il segno !3"7! l'aritmetica
definisce la forma dei vari sinonimi, quali ad esempio !7+7+7! ovvero !21! ecc.

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Nell'aritmetica elementare le sinonimie sono complete e reversibili: se !3! sinonimo


di !7*4!, !7*4! sinonimo di !3!. I linguaggi matematici pi complessi forniscono
esempi di sinonimie solo parzialmente e condizionatamente reversibili. Nell'aritmetica
degli interi positivi e negativi, !3"4! sinonimo di !12! ma !12! sinonimo sia di
!3"4! sia di !*3"*4! , segni che tra loro non sono sinonimi. Un calcolo definisce le
condizioni formali entro cui si determinano le sinonimie parziali e i procedimenti
effettivi per determinarle.
Grazie a un calcolo possiamo porre problemi e risolverli in base a procedimenti
effettivi. Dato il segno !462/330! possiamo cercarne una rappresentazione sinonimica
la pi semplice possibile. A tal fine passeremo attraverso rappresentazioni che dal
punto di vista sintagmatico possono essere anche pi complesse e lunghe, come
!2"7"3"11/2"5"3"11!, per arrivare a !7/5!.
Tutto ci possibile - un calcolo un calcolo - in quanto segni delle forme pi svariate
sono descrivibili strutturalmente, sono generabili (sono, cio, sia comprensibili sia
producibili in modo determinato), in base a un numero finito di monemi e di regole di
formazione dei sintagmi. La chiusura della lista di monemi e di regole di formazione
dei sintagmi un requisito necessario, noto come assioma di non creativit, di ogni
calcolo. Ci che l'assioma di non creativit sul piano paradigmatico, sul piano
sintagmatico la connessit sintattica, cio la presenza di caratteristiche fisse e
definite di buona formazione dei segni.
Un segno che presenti monemi estranei all'inventario di un calcolo o monemi
combinati secondo regole aggiuntive o aspetti non previsti dalla connessit sintattica
propria, un segno estraneo al calcolo, non calcolabile, non adoperabile per stabilire
sinonimie in forza di procedimenti effettivi, in modo calcolabile.
In un calcolo, in conseguenza di quanto si detto, possibile e necessaria una
descrizione del suo funzionamento in termini di pura relazione tra i segni,
indipendentemente dalle specifiche saturazioni semantiche cos come dalle specifiche
saturazioni espressive del significante. Tale tesi, proposta da R. Carnap con esplicito
riferimento ai soli linguaggi simbolici elaborati artificialmente, e con esclusione
esplicita, quindi, dei linguaggi organizzati in vista della comunicazione tra esseri
umani fuori d'ogni preoccupazione formale, stata trasferita all'ambito delle lingue
storiconaturali da quanti sono convinti che, a un qualche livello, sia possibile anzitutto
determinare una lista chiusa di componenti ultimi dei significati delle parole d'una
lingua e di regole di combinazione dei medesimi e, poi, considerare i significati delle
parole e/o dei monemi lessicali e/o delle frasi come generabili a partire da tali liste.
14. Calcolo e linguaggio verbale

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L'accostamento di linguaggio verbale e calcolo ha ragioni profonde. Queste debbono


essere state comunemente avvertite in culture ed epoche diverse, se quella stessa
coincidenza lessicale delle due nozioni in un'unica parola, che presente nel greco
classico -./01, riaffiora in modo vario e indipendente in varie altre lingue. Alla
riflessione teorica e filosofica, da una parte, almeno dal Seicento, i calcoli parvero
candidabili a essere succedanei pi sicuri del linguaggio fatto di parole, ma
funzionalmente equivalenti, almeno a fini apofantici. D'altra parte, per lo meno dal
tardo Ottocento si vagheggiata un'!algebra della lingua" (C. Svedelius) e, da una nota
manoscritta, vediamo che anche Saussure conobbe questa tentazione (!Il arrivera un
jour [...] o on reconnatra que les quantits du langage et leurs rapports sont
rgulirement exprimables, dans leur nature fondamentale, par des formules
mathmatiques"), contraddetta da testi successivi e dal Cours (R. Godel, Les sources
manuscrites du Cours de linguistique gnrale, Genve 1957, pp. 44 e 49). Soprattutto
con Hjelmslev venuta in primo piano l'idea di una grammatica, di una descrizione
linguistica come calcolo che consenta di predire tutti i possibili testi di una lingua,
esattamente come, dati i simboli (o il vocabolario V) di un linguaggio simbolicoformale e le loro regole di combinazione, sono predicibili tutti e soli i testi, le
operazioni o frasi di quel linguaggio. Si discusso tra gli interpreti in che misura in
Hjelmslev il riferimento al calcolo abbia soltanto valore di metafora o di puro ideale
regolativo. Certamente non si pi in presenza di una metafora da un lato con tutti i
tentativi di semantica strutturale che, dai tardi anni cinquanta, proponendosi di
applicare alla serie di significati di una lingua la nozione di tratto pertinente
(adoperata con successo in fonologia) consapevolmente o no presuppongono o la
chiusura di tale serie o, comunque, la chiusura della lista dei tratti; e, d'altro lato, con
le teorie generativiste di Chomsky e della sua scuola, che hanno costituito il pi
imponente e sistematico tentativo di riduzione del linguaggio a calcolo. Dobbiamo allo
stesso Chomsky (nei saggi sulle propriet formali delle grammatiche e sui modelli finiti
di utenti linguistici, entrambi del 1963) e a studiosi che a lui si ispirano (N. Ruwet, J.
Lyons, R. King, E. H. Lenneberg) lo sviluppo del paragone linguaggio-aritmetica.
Come stato dimostrato (F. Lo Piparo), tale paragone spinto in alcune formulazioni
teoriche di Chomsky fino a richiedere e attribuire alla lingua requisiti di coerenza
formale e deduttivit che, almeno in via di fatto, non sono presenti e riconoscibili a
tutt'oggi nemmeno nell'aritmetica. In questa non mancano proposizioni vere (quali ad
esempio le due congetture di Chr. Goldbach sui pari maggiori di quattro, sempre
rappresentabili come somma di due primi, e sui dispari maggiori di sette, sempre
rappresentabili come somma di tre primi eguali a tre o maggiori), le quali tuttavia non
sono dimostrabili in via analitica a partire dagli assiomi dell'aritmetica, non sono
generabili in essa. Si tratta di proposizioni che risultano non falsificate in via sintetica,

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anche attraverso l'applicazione di estesi metodi di verifica, come quello di Viggo Brun.
Orbene, il rigore assiomatico-deduttivo postulato dalle teorie chomskiane per la lingua
superiore a quello riscontrabile nella stessa aritmetica. Tuttavia, rilevare la debolezza
di quest'assunto chomskiano ha valore di mero argumentum ad hominem. Perch mai
escludere a priori (ci si potrebbe chiedere) che la lingua sia un calcolo ancor pi
coerente ed effettivo della stessa aritmetica?
In verit, abbandonando il terreno delle argomentazioni puramente polemiche, pare
innegabile che la lingua abbia non pochi caratteri che abbiamo gi incontrato trattando
dei codici definiti calcoli: 1) come nelle combinatorie, nelle cifrazioni e nei calcoli, i
segni linguistici, le frasi, risultano articolati in monemi; 2) come nelle cifrazioni e nei
calcoli, il valore della presenza di un monema risulta, anche in molti segni linguistici,
dalla collocazione del monema nella serie paradigmatica, cui appartiene, rapportata,
secondo il posto che ha, alla struttura profonda del segno; 3) come nelle cifrazioni e nei
calcoli, dato un insieme di unit di base, cio un insieme di monemi o vocabolario,
possibile generare un numero infinito di frasi applicando ricorsivamente un numero
chiuso di regole di formazione; 4) come nei calcoli, tra frasi diverse possono stabilirsi
rapporti di sinonimia, oltre che di esclusione; 5) molti funtori e connettivi logici sono
determinazioni, raffinamenti simbolici di monemi di lingue storico-naturali (e, o, vel,
aut, esiste, ecc.).
Ancora pi in genere, deve dirsi che i linguaggi simbolici e di calcolo, cos come le
terminologie dei discorsi scientifici, sono filiazioni di lingue storico-naturali e in
rapporto a queste vengono prescelti in ultima analisi assiomi e primitivi, come gi
avevano chiaro Leibniz e i grammatici e logici di Port-Royal. Infine, il pi antico tipo di
calcolo, l'aritmetica dei numeri naturali, pu in larga parte considerarsi come una
parte delle lingue storico-naturali i numeri sono prima di tutto nomi di numero, parole
e sintagmi; e di parole, sintagmi e frasi sono fatte le quattro operazioni.
Questi caratteri delle lingue storico-naturali sono tali da giustificare ampiamente la
spinta secolare a considerare le lingue come calcoli. Ma una giustificazione storicoculturale non ancora una giustificazione formale. Perch una lingua storico-naturale
sia un calcolo dobbiamo riscontrare in essa le condizioni necessarie al costituirsi di un
calcolo. Tali requisiti sono: 1) la non creativit a) dell'insieme V (vocabolario),
comprensivo dei monemi, delle unit che possono figurare nelle operazioni del calcolo
e b) dell'insieme R (regole), comprensivo delle regole ordinate di combinazione dei
monemi e formazione delle operazioni; 2) la connessit sintattica delle proposizioni
del calcolo, tutte necessariamente ben formate secondo 1a e 1b e cio univocamente
riducibili a V applicando R; 3) l'effettivit dei procedimenti di formazione delle
proposizioni o operazioni e della loro univoca riduzione a V in base a R.
Si tratta di tre requisiti evidentemente connessi in modo assai stretto, talch si possono

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considerare come manifestazioni in un unico requisito di coesione formale, che si


manifesta come non creativit sul piano paradigmatico, come connessit sintattica sul
piano sintagmatico, come effettivit di procedimenti sul piano delle connessioni tra
operazioni e proposizioni.
Ora, vi sono parecchi aspetti di ogni lingua storico-naturale nota, veri e propri
universali linguistici, che impediscono di attribuire alle lingue i tre requisiti anzidetti.
Enumereremo questi aspetti perch su quelli di essi pi direttamente implicati nella
semantica delle lingue dovremo successivamente tornare.
1. Oscillazione individuale e collettiva del vocabolario. Le conoscenze lessicali degli
utenti adulti di una lingua oscillano tra poche migliaia di lessemi e molte decine di
migliaia. Risultato e causa delle oscillazioni individuali sono, sul piano collettivo, sul
piano della lingua come istituto intersoggettivo, l'obsolescenza e il neologismo. A causa
dell'uno e dell'altro fenomeno a ogni utente accade di continuo di imbattersi in frasi
con qualche monema lessicale ignoto. Ci contraddice alla non creativit dell'insieme
V, del vocabolario.
2. Coesistenza di espressioni agglutinate e sintagmi omonimi deagglutinati. Sia la
Wortbildung sia la fraseologia delle lingue sono ricche di esempi di sequenze
monematiche omonime (per es. ital. rifiutare o vedo rosso), interpretabili sia come
sintagmi il cui valore risulta dalla disposizione dei monemi (nei due casi: ri- !di nuovo"
e fiuta- !sforzarsi di percepire con l'olfatto"; ved- !percepisco con gli occhi", ross!colore di data lunghezza d'onda") sia come agglutinazioni che globalmente assumono
un significato unitario (rifiutare !non accettare, respingere", vedo rosso !sono irritato,
eccitato, a mo' di bovino aizzato"). Anche contesti verbali e situazionali abbastanza
ampi e dettagliati possono non dirimere la scelta tra le due interpretazioni, quando a
tavola o in conversazione qualcuno realizzi segni come !ho rifiutato gli spaghetti!
oppure !quando guardo le bandiere del partito comunista vedo rosso!. La scelta delle
due interpretazioni non affidata a procedimenti effettivi e la possibile presenza di
espressioni agglutinate viola la non creativit del vocabolario e delle regole sintattiche.
3. Contradditoriet interna alla stessa proposizione e tra proposizioni diverse. Un
calcolo fondato sulla non contraddittoriet dei suoi assiomi, dal che segue la non
contraddittoriet delle inferenze correttamente deducibili. Dato un vocabolario e una
sintassi, una lingua ammette invece pi tipi di enunziati contradditton: a) perch sono
antonimi i predicati di uno stesso soggetto: Odi et amo; Savis et fols, humils et
orgolhos. ecc.; b) perch enunziati includono in modo linguisticamente significativo
proposizioni che contraddicono altre assunte come vere: Quel matto di Giorgio dice
che le rocce hanno il diabete; Quel pazzo di Tullio pensa che le idee verdi sono incolori
e, per giunta, dormono furiosamente; c) perch sintagmi omonimi hanno sensi
opposti a parit di contesto verbale e situazionale: Ho fuso una campana; Ho filtrato

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una sostanza (tale tipo di contraddittoriet di sintagmi omonimi d luogo alla figura
retorica individuata dagli antichi come antanaclasi); d) perch una proposizione tale
da risultare autocontraddittoria: Io mento; La presente asserzione falsa.
4. Elenco. Ogni sequenza di parole e, anzi, di monemi possibile come segno di una
lingua, in quanto serie infinite di segni di una lingua sono date dall'elenco delle parti
degli infiniti segni di una lingua, ordinati secondo criteri disparati (ordine alfabetico,
lunghezza, ecc.). Da questo punto di vista !bel di e Gianna gustato ho il letto libro! ,
oltre che un singolare endecasillabo, un buon segno italiano elencante le parole di un
altro segno italiano: !ho letto e gustato il bel libro di Gianna!.
5. Correctio o editing. Non soltanto in fase di esecuzione, ma nella progettazione del
segno, dunque a livello di forma linguistica, si hanno fenomeni di editing (Ch.
Hockett), la correctio della retorica classica: !J'aime, que dis-je aimer?, j'idolatre
Junie".
6. Autonimia e riflessivit. I segni linguistici possono sempre designare se stessi o una
parte di se stessi, nominarsi, descriversi, analizzarsi sotto l'aspetto del significante,
delle sue realizzazioni, del significato, dei suoi sensi, del segno, della sua produzione,
ecc. Altrimenti detto, tra i segni di una lingua sono inclusi segni aventi carattere
metalinguistico in rapporto alla lingua stessa e ai suoi segni: la possibilit di elenchi, la
correctio, la contraddittoriet di tipo b e d dipendono da ci. E nota la postulazione
dell'esclusione di asserti riflessivi e autonimici dai calcoli. Ed largamente e
comunemente sperimentabile (a parte i noti paradossi) l'esistenza di enunziati
significativi e non necessariamente paradossali di carattere riflessivo,
autometalinguistico: Questa frase che sto scrivendo e stai leggendo per certi aspetti
senza capo n coda; Topo un bisillabo; Topo si scrive con una p; Topo a Roma
presenta la lenizione dell'occlusiva intervocalica; Giovanni ha scritto topo con la
matita; Sabina ha cancellato il topo di Giovanni; Topo un eufemismo; Come
dicevano gli scolastici, topo non mangia cacio. Ovviamente, essi coesistono con
enunziati, spesso omonimi, non metalinguistici.
7. Omonimi. Nell'insieme vocabolare delle lingue esistono omonimi (omofoni e/o
omografi): significanti di significato diverso non determinabile in base a criteri formali
nella sua diversit, non disambiguabile in modo calcolabile.
La scommessa della semantica integrata cui si accennava dianzi (v. cap. 3) si gioca al
cospetto di tutte le evidenze di questo capitolo: delle evidenze attestanti una continuit
e contiguit tra la sfera dei calcoli e linguaggi simbolici e la sfera delle lingue; e delle
evidenze attestanti la impossibilit di ridurre una lingua storico-naturale, per la sua
composizione, per i segni e modi d'uso dei segni che ammette, a un calcolo. Vi un
punto nello spazio teorico dal quale sia riconoscibile, senza fuoriuscire dalla razionalit
scientifica, senza violarne le garanzie, ci che di non razionalizzabile e calcolabile vi

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nella natura e nel funzionamento della semantica e, anzi, d'ogni altra parte delle
lingue? I capitoli che seguono si avviano a delineare un modo che comporta una
risposta positiva a questo interrogativo.

15. Una quinta famiglia di codici e un terzo principio saussuriano


Abbiamo finora riconosciuto quattro famiglie di codici: 1) codici a segni non articolati
di numero finito senza sinonimie (v. cap. 10); 2) codici a segni articolati di numero
finito senza sinonimie (v. cap. 11); 3) codici a segni articolati di numero infinito senza
sinonimie, senza o con strutture profonde (v. cap. 12); 4) codici a segni articolati di
numero infinito con sinonimie, con strutture profonde (v. cap. 13). Senza altre
aggiunte, chiaro che una lingua appartiene alla quarta famiglia. Ma anche chiaro
che appiattiamo e confondiamo codici molto diversi come quelli dotati di non
creativit e connessit sintattica, quali i calcoli, e quelli che, come le lingue,
palesemente non ne sono dotati.
Di qui l'opportunit di introdurre e far funzionare un quarto criterio di selezione e
classificazione dei codici, di cui gi si discorso (v. cap. 9) chiamandolo criterio della
incalcolabilit delle sinonimie.
La incalcolabilit delle sinonimie , sul piano delle relazioni tra segni, la proiezione
della instabilit, della mancanza di non creativit dovuta alla caratteristica che si
detta metaforicit o vaghezza dei significati dei monemi e segni. La vaghezza non deve
confondersi, come da studiosi anche recenti e autorevoli si fatto (J. G. Kooij), con il
carattere polisemico delle parole, gi rilevato da Aristotele (De sophisticis elenchis).
Come si gi visto (v. cap. 13), possono darsi segni che ammettono sensi e valori
diversi e opposti e, tuttavia, ci in un quadro siffatto che sia perfettamente
determinabile quale sia, tra i diversi, il tipo di senso o valore da prescegliere, o
comunque quali e quante siano le soluzioni possibili e a quali condizioni sia possibile
ciascuna.
Tutt'altra natura ha la caratteristica sulla quale si sono soffermati Ch. S. Peirce, A. J. B.
N. Reichling, C. G. Hempel, L. Wittgenstein, M. Black e, da ultimi, linguisti e
matematici come Y. Gentilhomme e A. Pasini. In termini di applicazione a un referente
diciamo che un'espressione vaga quando non decidibile se, noto il referente e nota
l'espressione, essa applicabile sempre o non applicabile mai al referente. Nel
momento in cui riflettiamo sulla vaghezza siamo costretti a reintrodurre
esplicitamente il rinvio agli utenti, nella loro concretezza di soggetti pi o meno
informati di ci su cui comunicano e di come ne comunicano. Dobbiamo scartare per
ora dalla nostra considerazione la vaghezza puramente pragmatica, soggettiva, ristretta

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a quei soggetti male informati del funzionamento di un codice e della consistenza dei
sensi del suo campo noetico. Da questo punto di vista, anche i segni pi netti del pi
rigido dei codici si possono presentare come vaghi a utenti poco accorti. Interessano
invece quei casi in cui la vaghezza non solo pragmatica, ma sintattica, in quanto
(solo o anche) inerente ai segni e al codice. Nella simbologia protocristiana ogni tipo di
pesce pu veicolare il senso !Cristo' o vi sono tipi di pesce che non si adattano a tale
senso? Nel linguaggio napoletano dei gesti, grattarsi il mento esprime solo dubbio o
pu essere usato per esprimere negazione? E rifiuto? E quante precisamente devono
essere le grattate del mento?
La vaghezza chiaramente una condizione segnica, non soltanto semantica dove essa
presente, investe del pari significante e significato. Il segno, pi che circoscrivere con
precisione una classe di segnali capaci di indicare i sensi di una classe circoscritta con
altrettanta precisione, lo strumento di un'attivit allusiva, di un gioco orientato a
stabilire un'intesa tra utenti perch con dei segnali tra loro assimilabili ci si rivolga
verso un gruppo di sensi. Pi che un rapporto tra classi, viene a stabilirsi su questa via
un rapporto tra una zona, un'area del contenuto, e un'area dell'espressione.
L dove le cose stanno cos, la previa intesa tra utenti del codice, altrove sola
necessaria e sufficiente, non basta pi. L'intesa va riconfermata di continuo sul campo
e non riconfermabile senza quell'atteggiamento reciproco tra utenti che Lenneberg
ha detto tolerance upon the field.
Nella cornice di tale tolleranza e sul terreno della indeterminatezza di confini del
significante e del significato, come le realizzazioni del significante possono oscillare
fortemente tra una maggiore e una minore nettezza, e sulla via della minore nettezza e
del rilassamento scivolare verso segnali sempre meno assimilabili a quelli iniziali, cos
i collegamenti del significato a nuovi sensi possono progressivamente ampliarsi.
Wittgenstein ha indicato la regola delle Familienhnlichkeiten come regola che
presiede al procedere degli intrecci di nuovi sensi a una famiglia preesistente: pi in
generale opera una regola di contiguit che in qualche modo si ponga tra segno (e suoi
utenti o realizzazioni preferenziali) e altri sensi.
La trasferibilit progressiva dei confini del significato fino a includere nuovi sensi in
base a contiguit che nascano o si cerchino ci che diciamo metaforicit.
Vi certamente un legame tra metaforicit dei segni e monemi e onniformativit
semantica delle lingue. Da un punto di vista genetico lecito supporre che il bisogno di
nominare nuovi sensi abbia spinto a rompere la determinatezza semantica
generalmente propria dei codici zoosemiotici, trasformando i segni a significati
determinati in parole con significati (e significanti) flessibili. Dal punto di vista
fenomenologico e funzionale, conviene assumere la indeterminatezza come la
condizione primaria entro la quale possibile, tra l'altro, estendere i confini di

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significato d'ogni monema e segno fino ad abbracciare sensi nuovi e imprevedibili


senza mutare di codice, ma mutando in qualche punto il codice in funzione di nuove
spinte alla significazione cui si rendano sensibili gli utenti.
Un codice semiologico i cui significati siano caratterizzati da metaforicit non
dunque descrivibile se non in stretta connessione con le usanze e credenze vigenti in
un certo tempo tra gli utenti, tra i concreti gruppi di utenti. Mentre altri codici a
significati determinati ammettono analisi soddisfacenti a tempo zero e utenti zero, la
vaghezza del significato delle parole fa s che il significato non sia soddisfacentemente
descritto nelle sue possibilit di estensione a sensi se non in rapporto a utenti dati in
un tempo dato.
Ci troviamo dinanzi a un terzo principio, sottaciuto come tale, della teoria saussuriana
della lingua. In apparente contrasto con la tesi della separatezza di sincronia e
diacronia (in realt in contrasto solo con la lettura di tale separazione non come
separazione metodologica di punti di vista, ma come separazione realistica), Saussure
afferma in una pagina famosa del suo Corso che per una lingua sono da considerare
fattori interni, cio necessari alla sua forma e funzionalit, il tempo e la massa
parlante. In ci si pu vedere una conseguenza specifica ed esclusiva dell'essere il
senso di una parola, di un segno linguistico, !indefinitamente estensibile", talch, se
una lingua avesse solo due segni, tutti i sensi possibili si ripartirebbero su di essi:
questo un vero e proprio !terzo principio" della linguistica saussuriana, oltre quello
dell'arbitrariet (valido per ogni tipo di sistema e codice: v. cap. 8) e quello della
linearit (valido per ogni codice articolato: v. capp. 9, 11), che vale specificamente per i
segni delle lingue e di codici del quinto tipo e in virt del quale le lingue sono soggette
a un possibile permanente moto di trasformazione delle articolazioni formali entro la
massa parlante e attraverso il tempo, e i valori attribuibili ai segni dipendono
immediatamente, volta per volta, oltre che nell'insieme, dal grado di intesa che si
stabilisce tra parlanti di diverso strato sociale e diversa collocazione temporale. Stante
questa mutevolezza intrinseca, proprio per la lingua (e non per quei codici in cui i
valori dei segni non dipendono dall'intesa tra parlanti nell'atto stesso della
comunicazione) si posta l'esigenza di quelle rigorose distinzioni metodologiche tra
sincronia e diacronia, linguistica interna e linguistica esterna, linguistica della langue e
linguistica della parole che per altri codici sono ovvie e superflue, sicch non si
impongono con altrettanta utilit. Ma ci attiene all'interpretazione del pensiero
saussuriano, anche se su punti che sono vitali per la teoria contemporanea dei
linguaggi. Qui baster sottolineare il nesso tra vaghezza dei significati e possibilit di
mutamento dei confini del campo noetico di un codice sotto la spinta degli utenti.
Su tale nesso e sulle nozioni che vi sono coinvolte converr ritornare (v. cap. 17).
Giover ancora mettere in chiaro che vaghezza non significa necessariamente

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rilassamento n del significante n del significato, ma possibilit di oscillazione tra


forme pi nitide e forme pi rilassate. Vogliamo dire subito, cio, che vaghezza e
metaforicit non sono solo condizioni di espressioni e interpretazioni approssimative,
ma sono anche condizioni del costituirsi di espressioni fortemente determinate e
formali. Proprio per la sua plasticit, il significato dei segni vaghi tanto manipolabile
alla meno peggio, mettendo a prova la tolleranza degli interlocutori, quanto
compattabile in forme rigorosamente delimitate entro le terminologie scientifiche, i
linguaggi simbolici, le stilizzazioni iconologiche o gestuali dei riti, cio dovunque si
abbia assunzione dei segni vaghi a segni di significato determinato e di significante
fortemente formale.
A questa quinta famiglia di codici semiologici appartengono le lingue storico-naturali:
le migliaia e migliaia (circa 3.500 secondo un calcolo) di lingue non locali oggi in uso
tra gli esseri umani, le decine e decine di migliaia di idiomi locali e non locali
conosciuti dall'umanit nella sua storia linguistica.
Prima di illustrare alcune caratteristiche salienti e pi generalmente diffuse della
semantica delle lingue storiconaturali, ci fermeremo su un aspetto che da un punto di
vista teorico molto astratto e generale poco specifico, ma che nella concreta effettivit
dell'uso e delle funzioni delle lingue le caratterizza anche rispetto ad altri codici del
quinto tipo.
16. La massa del vocabolario
Come si visto, parliamo di monemi e di vocabolario in riferimento anche a linguaggi
di classificazione, di calcolo, simbolici e formalizzati. Ci nonostante possiamo
considerare il vocabolario delle lingue storico-naturali, quando sia visto nelle sue
caratteristiche pi proprie, come uno dei tratti piu originalmente specifici delle lingue
stesse, il cuore della complessiva realt semantica delle lingue nella loro peculiarit.
Il vocabolario delle lingue e di tutti i codici del quinto tipo dominato dalla mancanza
di non creativit, dunque dalla creativit sia nel suo insieme sia nei suoi elementi.
Creativit implica possibilit di oscillazione continua: qui netta la divergenza rispetto
agli insiemi di simboli definiti !vocabolario' anche in codici con segni a significati
determinati, dalle classificazioni ai calcoli. Tale oscillazione si manifesta in modi
diversi, dei quali cercheremo di dare rapidamente conto da vari punti di vista, e nel far
ci, insieme, daremo conto della qualit e consistenza stessa del vocabolario, poich la
creativit, l'oscillazione continua non sono caratteri accessori, ma caratteri
intrinsecamente specifici del vocabolario di una lingua e dei suoi elementi.
Come noto, in molte lingue gli elementi del vocabolario non si collocano tutti sul
medesimo piano dal punto di vista del concorso che danno a definire esplicitamente,

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formalmente, i confini del segno, i rapporti tra segno e suoi elementi costitutivi e tra
segno ed enunziatore, interlocutori, situazione. Definiamo morfologici o grammaticali i
monemi e gli elementi di vocabolario di solito pi specificamente impegnati in questi
compiti, mentre diciamo lessicali i monemi di solito impegnati nell'identificazione di
sensi esterni al processo di produzione del segno. Diciamo subito che, diversamente da
ci che avviene nei calcoli, dove netta la distinzione tra termini e operatori, e dove
sempre definita la determinazione dei rapporti tra enunziatori, destinatari, situazione
e segno, nelle lingue la nettezza della distinzione compromessa continuamente.
Anzitutto, tutti i monemi, anche quelli pi accentuatamente di solito impiegati in
funzione morfologica, possono figurare come monemi autonimici, come nomi di se
stessi, e dunque come monemi lessicali: !il tu in questo caso non l'avrei usato!;
!l'avessimo mi ha fatto pensare che non fosse sicuro! ecc. In secondo luogo, si creano
aggregazioni di monemi che, anche non in funzione autonimica, passano da una ad
altra delle partes orationis eventualmente distinte nel vocabolario di una lingua.
In rapporto ai diversi tipi di monemi grammaticali, nelle lingue possono crearsi
distinzioni, simili a quelle di molte lingue indoeuropee, tra diverse parti del discorso:
parole declinabili, parole coniugabili, parole invariabili; nomi, verbi, avverbi o
particelle secondo la tripartizione aristotelica. Sebbene una lunga tradizione abbia
ipostatizzato in categorie metafisiche e universalizzanti tale tripartizione, nei
vocabolari delle lingue in cui essa in qualche modo riconoscibile sono continui i
fenomeni di slittamento dei monemi e di intere parole da una categoria all'altra, sotto
la spinta di esigenze di comodo assai poco metafisiche e invece molto particolari e
contingenti.
Un secondo punto di vista per cogliere le oscillazioni della massa lessicale e dei suoi
elementi quello statistico. Dall'uno all'altro componente della stessa comunit
linguistica e per una stessa comunit da un momento all'altro del tempo e da un punto
all'altro della stratificazione sociale varia numericamente l'insieme dei vocaboli, con
vanazioni anche assai forti, che vanno dalle poche migliaia dei bambini o dei gruppi di
adulti meno scaltriti nella pratica del linguaggio alle decine di migliaia dei gruppi di
persone adulte pi addestrate all'uso di molte parole. Chiamiamo vocabolario di base il
nucleo del vocabolario. Esso fatto di alcune migliaia di parole: intorno alle tremila in
lingue come il francese o l'inglese; intorno alle sei, settemila in lingue come il tedesco o
l'italiano nel cui uso sono preferiti testi di pi alta temperatura informazionale, cio
costruiti con un maggior numero di vocaboli di frequenza non altissima. Intorno a
questo nucleo, largamente noto agli adulti di varia condizione sociale, sta uno strato
numericamente assai pi consistente, ma occorrente in percentuale solo assai modesta
in discorsi e testi, e tuttavia costituito da vocaboli noti anche fuori di una singola
cerchia specializzata o privilegiata di utenti. il vocabolario comune che in lingue

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come il francese si aggira intorno alle quarantamila unit, mentre vicino al doppio in
lingue di tradizione d'uso simile all'italiano. Intorno a questo strato sta poi quello
numericamente vastissimo dei vocabolari propri soltanto di linguaggi speciali, usati
soprattutto da singole categorie particolari. Si tratta di centinaia di migliaia di parole. I
confini tra nucleo, strato del vocabolario comune e strato dei vocabolari speciali non
sono netti e ci per almeno due ordini di fenomeni. anzitutto fisiologico che uno
stesso significante sia collegato abitualmente a una famiglia di sensi in quanto parte
del vocabolario di base, ad altre in quanto parte del vocabolario comune, ad altre
ancora in linguaggi speciali. Inoltre, elementi appartenenti a una fascia passano a
un'altra o sotto la spinta di fattori sociali operanti per un certo tempo o anche in virt
di eventi improvvisi, tali, ad esempio, da rendere rapidamente comune una parola
restata per secoli in un ambito speciale.
Le oscillazioni statistiche sono correlate, come si vede, a oscillazioni d'altra natura:
oscillazioni socioculturali (per cui una parola passa da un ambito professionale
speciale al vocabolario comune o, viceversa, passa, di solito pi lentamente, e
sopravvive solo in un ambito speciale, dopo essere stata una parola comune o
addirittura di base) e oscillazioni cronologiche (per cui diventano arcaismi parole gi
comuni, ovvero relitti arcaici quasi dimenticati tornano nell'uso comune o di base).
In societ anche di non complessa stratificazione presente il fenomeno
dell'interdizione: di taluni contenuti vietato parlare. Accade tuttavia che di ci di cui
occorre tacere si debba poi in realt parlare. E ci viene fatto o con le parole pi
direttamente afferenti a sensi interdetti, che sono parole cariche di emotivit per i
componenti di una comunit, o con parole inizialmente sostitutive delle parole pi
crude, parole inizialmente neutre che, ove l'interdizione persista, e il loro uso sia altres
stabile, non tardano a caricarsi esse stesse di possibilit emotigene. Anche dal punto di
vista dell'emotivit di cui sono cariche, le parole dunque presentano oscillazioni
attraverso il tempo e le classi sociali.
Ogni singolo vocabolo, dunque, e l'intero complesso vocabolare sono sottoposti a un
processo continuo di rinnovamento, con perdite e acquisti, espansioni e contrazioni.
Perch sia garantita la possibilit di oscillazione della massa lessicale, ma anche ad
almeno altri due fini (consentire realizzazioni e ricezioni informali e rilassate con
minime confusioni e, in direzione opposta, consentire la formazione di serie
terminologiche plurime ad alta determinazione), le lingue prevedono la
subarticolazione dei monemi in deuteremi (v. capp. 8 e 9, punto I) in modo tale che la
ridondanza sia altissima: per fare un solo esempio, le poche migliaia di monemi
italiani lunghi fino a sei grafemi sono ricavati da un insieme di circa 90 milioni di
raggruppamenti diversi (v. cap. 11). Del resto, accanto alla massa enorme di monemi
articolati in fonemi o grafemi, sta la famiglia lessicale, malamente sottaciuta da molte

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trattazioni linguistiche istituzionali, dei fonosimboli e delle interiezioni, solo in misura


modesta integrabili nei sistemi fonematici e nelle usuali ortografie delle lingue. Con
essi, da un lato risulta immensamente accresciuta la gi enorme ridondanza, dall'altro
si accresce la complessiva indeterminatezza del vocabolario delle lingue, nel quale
dunque bene pu interamente riflettersi l'attivit incessante, la cultura e la vita, la
storia e le storie dei parlanti con modalit semantiche che, dopo aver dato conto della
massa lessicale, cercheremo ora di precisare.
17. Accezioni e pluriplanarit
L'indeterminatezza del significato dei segni e delle parole la condizione per cui gli
utenti possono saggiare l'estensibilit d'un segno o di una parola fino a cogliere un
senso nuovo e diverso. Ancora una volta occorre per precisare il senso delle
espressioni che usiamo. Nuovo e diverso sempre, non solo a rigore e per sofisticare,
ma nella viva pratica, qualsiasi senso (v. cap. 8). Quando dunque parliamo, come gi
abbiamo avuto modo di fare, della possibilit d'estendere una parola o segno
linguistico a nuovi e diversi sensi, o diciamo cosa ovvia e valida per ogni altro tipo di
segni e monemi, o dobbiamo scavare e precisare meglio le nozioni di novit e diversit.
Diremo nuovo e diverso per una parola o per un segno quel senso che, quando sia reso
pi esplicito, quando sia analizzato pi diffusamente, lo sia con parole che, rispetto a
quelle che possano esplicitare e analizzare sensi gi veicolati anteriormente, siano
formalmente nuove e diverse, appartengano a campi d'uso della lingua che, nella
pratica linguistico-culturale di una societ data, siano nuovi e diversi.
Quando il traslato viene ripetuto e si stabilizza in un gruppo sociale particolare o in pi
gruppi o nella generalit dei componenti della comunit linguistica, si ha la formazione
di una nuova accezione della parola o del segno, rispettivamente un'accezione speciale,
comune e di base. Il monema italiano can-, per esempio, ha un'accezione di base per
cui, in termini referenziali, indica (secondo una famosa definizione della Crusca) un
!animal noto", un'accezione comune per cui indica il martelletto percussore di armi da
fuoco portatili tradizionali, un'accezione speciale per cui indica l'arnese che serve a
tener fermi i cerchi della cerchiatura delle botti (come sanno, a parte i lessicografi,
quelli che si occupano di botti e attivit connesse).
S'intende che, come mostra la linguistica statistica, quanto pi largamente usata una
parola, tanto pi numeroso il grappolo di accezioni in cui il suo significato si
suddivide, in cui si raccolgono i suoi potenziali sensi. La divaricazione delle accezioni
non adeguatamente valutabile con criteri formali, logico-simbolici e simili. Una
stessa parola pu ammettere, senza difficolt e perdita di unit, accezioni antinomiche,
come nelle parole sfruttate nella figura retorica dell'antanaclasi. L'unit si perde

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quando la generalit dei parlanti (lessicografi ed etimologisti a parte) non sia pi in


grado di ricostruire l'ordito che, di filo in filo, lega un'accezione a un'altra. Quando ci
si verifichi nell'attualit di uno stato di lingua, quando cio un individuato grafematico
o fonematico (ecco un'importante conseguenza di quanto abbiamo detto nei capp. 7 e
il) sia riconosciuto connesso a gruppi di sensi non avvertibili (pi o ancora) come
accezioni di uno stesso vocabolo, parliamo di !(monemi a significanti) omonimi'.
Tra le accezioni delle parole e dei segni una, giustamente trascurata dai lessicografi
perch, come si detto, presente in ogni parola e segno, l'accezione autonimica o
riflessiva, per cui parole o segni si riferiscono a se stessi. Di ci abbiamo gi prima
trattato pi d'una volta. Torniamo a parlarne, per esaminare una conseguenza assai
rilevante dell'esistenza di un'accezione autonimica o riflessiva per ogni possibile parola
o segno linguistico. Per definizione, come abbiamo detto (v. cap. 8), un codice
semiologico la congiunzione di un piano dell'espressione e un piano del contenuto.
Nel piano del contenuto di una lingua dobbiamo immaginare collocati i sensi di
monemi, parole, frasi i quali non siano parti del codice linguistico e, inoltre, i monemi,
le parole, le frasi della lingua, come sensi delle stesse entit in funzione autonimica o
riflessiva. In altri termini, a causa dell'autonimicit, nel contenuto di una lingua
possiamo e dobbiamo distinguere sensi che si collocano su pi di un piano: il piano
delle realt non linguistiche e il piano delle realt linguistiche. Dall'autonimicit, e in
ultima analisi dall'indeterminatezza, discende dunque ci che possiamo chiamare
pluriplanarit del contenuto di una lingua.
Ma una lingua siffatta che, di l del piano dei sensi consistenti in parti stesse della
lingua, pu non stare soltanto un altro indifferenziato piano delle realt non
linguistiche. Grazie all'indeterminatezza, come gi si detto, ciascuna parola pu dare
luogo a piu accezioni, e accezioni di parole diverse possono essere collegate tra di loro
fino a ricavare, entro l'uso di una lingua, ci che si dice una lingua o un linguaggio
speciale o un uso speciale della lingua. Nomenclatura dei numeri naturali e della
geometria sono antichi esempi di lingue speciali. Si tratta di esempi particolarmente
interessanti, tra gli altri possibili, poich attestano che, a partire da una lingua speciale
dapprima relativamente informale, possibile passare a una lingua speciale con parole
usate in accezioni fortemente determinate e collegate tra loro in modo sempre pi
sistematico ed esplicito: possibile cio passare a usi formalizzanti di una parte del
vocabolario della lingua in quanto riferita a un particolare piano di realt trattato
sistematicamente con la lingua speciale.
Senza uscire dalla lingua, insomma, i parlanti sono in grado di costruire piani
semiologici differenziati, ciascuno con un suo insieme terminologico pi o meno
sistematico e formalizzato. In tal modo, entro il piano del contenuto, sono ricavabili
piani distinti: aritmetico, geometrico, fisico, zoologico, anatomico, psicologico, ecc.,

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tanti quante sono le tecniche e le scienze che trovano espressione in una lingua o a
partire da una lingua, nel caso di linguaggi simbolici.
In grado di gran lunga pi alto che qualsiasi altro codice, anche del quinto tipo, le
lingue sono dunque codici !metasemiologici' e, a partire da ci, !pluriplanari' e
!plurisemiologici'.
18. Pluriplanarit e onniformativit semantica
Tra i piani del suo contenuto una lingua pu assumere non soltanto il piano del
contenuto di codici semiologici elaborati determinando i significati indeterminati di
parole o, comunque, a partire da una lingua, ma anche i contenuti dei segni di altre
lingue, di linguaggi animali, per quanto ci sono noti, di linguaggi di classificazione, ecc.
Su questo tipo di evidenze si fonda la tesi, gi ricordata (v. cap. 6), della
onniformativit semantica delle lingue. In realt, asserire che con i segni linguistici
sempre possibile trasmettere qualunque senso significa da un lato sfidare i rischi,
segnalati da B. Russell, cui va incontro ogni asserto totalizzante in materia empirica,
dall'altro urtare contro la percezione del fatto che altri mezzi espressivi, iconici, filmici,
riescono spesso a dare corpo a stati d'esperienza che il linguaggio verbale pu rendere
solo in modo molto approssimativo e grossolano. Perci, invece che asserire in modo
malsicuro che tutti i sensi sono dicibili con i segni di una lingua, pi corretto e certo
dire che, diversamente da altri codici semiologici, non soltanto una lingua
pluriplanare, ma, diversamente anche da codici del quinto tipo, in cui pure pu essere
presente un certo grado di pluriplanarit, pluriplanare in modo eminente, sia in
senso debole, perch il luogo del costituirsi dei piani del contenuto d'una folla di altri
codici semiologici, sia, pi ancora, in senso forte, perch non sembra possibile indicare
a priori quale tipo di piano del contenuto e, pi in genere, dell'esperienza possibile per
esseri viventi sia escluso dal contenuto dei suoi segni.
L'indeterminatezza dei significati di parole e segni linguistici sull'orizzonte della
infinita potenzialit di segni di significato indeterminato e dell'indefinito e
indefinitamente accrescibile numero di monemi e parole altres di significato
indeterminato si configura come impossibilit di indicare a priori e formalmente i
limiti del dicibile, le qualit di ci che oltre tali limiti.
Per fare fronte a tali compiti, che presumibilmente si collegano con i compiti di
adattamento della specie umana alle situazioni pi differenti, meno prevedibili, le
lingue consentono modi di produzione e comprensione dei segni oscillanti da un
massimo di informalit, cio di appello alle circostanze esterne al discorso e al testo,
come avviene nelle interiezioni, nelle espressioni puramente dittico-onimiche (!qui!,
!di qua!, !frutta e verdura!, !trattoria!, a un massimo di formalit, cio di

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esplicitazione dei rapporti tra parti del segno, senso, emittente e destinatari. In testi
altamente formali la comprensione possibile riducendo al minimo l'appello agli
interlocutori e alle circostanze esterne in cui il testo stato redatto.
Per provvedere a questa latitudine di oscillazione tra un minimo e un massimo di
formalit, le lingue, come abbiamo visto, dispongono sia di fonosimboli (polarizzati
sull'informalit), sia di monemi morfologici, destinati a rendere espliciti i rapporti tra
chi enunzia o riceve il segno e il segno stesso, tra il piano di realt in cui la produzione
del segno si colloca e il piano del senso del segno, ecc.
Un'importante via per ridurre gli effetti negativi di un'illimitata indeterminatezza la
coniazione di nuove parole che individuino in modo inizialmente univoco nuove
accezioni. Il neologismo, attraverso coniazioni ex novo, prestiti da altre lingue,
trasformazioni di significanti gi noti, condensazione di monemi in frasi fatte, ecc., da
un lato conferma la mancanza di non creativit delle lingue, ma d'altro lato anche un
meccanismo equilibratore dei suoi effetti negativi ai fini della comunicazione pi
formale. Torniamo dunque a constatare che la massa lessicale delle lingue, con la sua
indefinitezza e apertura, ancorch non sia in linea pi astrattamente teorica alcunch
di specifico, di fatto occupa una posizione centrale nella effettivit del funzionamento
di una lingua per e in una data comunit di utenti.
19. Discorso, testo e carattere aperto dell'interpretazione linguistica
Diciamo !discorso' una sequenza di enunziati prodotta e ricevuta al fine di comunicare
un complesso di sensi individuati da emittente e ricevente come costitutivi d'un
complesso unitario. Diciamo !testo' l'assunzione autentica dei significanti d'un
discorso, corredata di indicazioni utili a determinarne le modalit di produzione.
La distinzione tra le due nozioni di discorso e testo e le cautele nella loro
determinazione non hanno luogo fuori della famiglia di codici semiologici cui
appartengono le lingue storico-naturali. L dove la comunicazione avviene nell'ambito
di codici non creativi, attraverso segni dotati di connessit sintattica, le cui relazioni
siano determinabili attraverso procedimenti effettivi, se una sequenza di monemi
costituisce un segno e se una sequenza di segni ha o no un carattere coerentemente
unitario risulta in modo univoco e formale appunto dalla forma stessa della sequenza.
La coerenza univoca della sequenza, formalmente dichiarata dai segni stessi, ci che
conta e tutti gli elementi esterni, di ordine pragmatico, circostanziale, che si possano o
vogliano dare, non toccano il valore formalmente certo della sequenza.
Nell'ambito di un codice caratterizzato dalla mancanza di non creativit, con segni
privi di connessit sintattica e interrelati da procedimenti che non sono
necessariamente effettivi, la selezione dei monemi e combinazione di monemi utili a

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veicolare un senso avviene fuori di ogni certezza, attingendo a un deposito memoriale


sedimentatosi attraverso esperienze comunicative e vitali varie, complicate,
approssimative, in vista dell'identificazione di un senso che, a volte, non ben chiaro,
ma si fa chiaro nell'atto stesso della sua espressione, e nemmeno sempre bene, in
rapporto a interlocutori ai quali non sempre interessa comunicare per intero il senso
del quale e per il quale, pure, si viene costruendo un discorso. Tutte le tensioni,
contraddizioni, incoerenze che possono intessersi alle interazioni tra esseri umani sono
presenti in sommo grado nell'interazione comunicativa attraverso parole e discorsi. In
molti casi, un discorso volutamente intessuto di correctiones, di spezzature di parole e,
al limite estremo, di silenzi, pu risolvere il problema della comunicazione di un senso
meglio di un discorso pi formale e disteso.
Un discorso non ha dunque necessariamente caratteristiche formali che ne
garantiscano la coerenza e unitariet. un discorso se e perch come tale si propone e
se e perch come tale ricevuto. Ai fini della comprensione immediata, la percezione
immediata delle realizzazioni dei significanti, rapportata a ci che sappiamo
dell'emittente e della situazione in cui ci si rivolge a un interlocutore, quanto basta
alla comunicazione. Una verifica critica della comunicazione richiede che si ritorni sul
discorso assumendone nel modo pi autentico possibile i dati di realizzazione,
definendone cio il testo. Quanto pi informale un discorso, tanto pi ardua la
determinazione del suo testo.
Il testo la base su cui poggia il lavoro di verifica della comunicazione di un senso
attraverso un discorso, lavoro che diciamo interpretazione. La linguistica testuale o
interpretativa ha mostrato come nel caso dei discorsi spesso il non detto, implicato
logicamente in ci che si dice, pesa sulla comprensione e, quindi, sull'interpretazione.
Ma, dopo quanto si qui venuto mostrando, anche il non detto non implicato
logicamente in ci che si dice, cominciando dal fluire di discorso interiore che si svolge
parallelo alla produzione dei discorsi esofasici, e continuando con circostanze della
produzione di un discorso di cui il produttore stesso pu non essere capace di dare
conto esplicitamente, pu incidere in modo importante sul processo di trasmissione
del senso. L'interpretazione si presenta cos come una esplorazione che ha un inizio
certo nel testo, ma non ha un limite certo. Essa ammette e richiede ripensamenti e
ritorni. Se descrivere un linguaggio descrivere una forma di vita, interpretare i segni
verbali significa viverli e riviverli in un lavorio di scavo e approfondimento del loro
senso che pu avere un limite ultimo solo con l'estinguersi dell'esistenza soggettiva, in
quanto si confonde con l'intero fluire della vita stessa. L'interpretazione , insomma,
un 2!304'5&, una historia nella quale, in ultima analisi, si ricompongono i due sensi che
si dicevano all'inizio: l'interpretazione dei segni del passato si fa pi ricca e precisa e
capace di giustificarsi nei suoi ripensamenti quanto pi gli interpreti sappiano farsi,

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come Nietzsche ammoniva, attori del presente e costruttori di avvenire.


20. Indeterminatezza, spazio linguistico e spazio culturale
L'indeterminatezza semantica dei segni, delle parole, dei monemi di una lingua e la
pluriplanarit del contenuto fanno s che il patrimonio linguistico possa accompagnare
gli individui singoli e i gruppi umani in ogni loro vicenda: suggerisce e orienta, sulla
base delle esperienze che in esso si riversano e condensano attraverso l'uso delle
generazioni, cristallizzando le memorie collettive e individuali; ed siffatto da disporsi
sempre a nuove assunzioni attraverso i meccanismi del neologismo (v. capp. 14 e 16),
dell'estensione d'un monema a nuove accezioni (v. cap. 17), del rinnovato modo di
interpretazione di segni e testi preesistenti (v. cap. 19).
Proprio perch indefinitamente estensibile sotto la spinta dei bisogni espressivi
individuali e collettivi, lo spazio linguistico si presta ad articolarsi in zone e regioni
differenziate, i linguaggi speciali di cui abbiamo parlato (v. cap. 17), gli stili e le
abitudini di gruppo o individuali per presentare, in modo che sia peculiare al gruppo o
all'individuo, i possibili argomenti. Dalla vita intellettuale pi sofisticata alla pi
banale pratica quotidiana, i componenti di una comunit trovano nella flessibilit del
patrimonio linguistico lo strumento per intendere e farsi intendere e, insieme, per fare
risaltare, ove ci si voglia e si sappia ottenere, una propria cifra particolare.
Indefinita estensibilit e articolabilit dello spazio linguistico fanno s che esso possa
aderire a ogni piega della vita psicologica degli individui, cos come a ogni momento
dell'attivit sociale. Le parole, con i loro grappoli di accezioni e le loro valenze emotive
e memorie, sono nuclei di condensazione di usanze, costumi, credenze, pratiche
operative e produttive, idee religiose, morali, intellettuali, ricerche teoriche, filosofiche.
L'intero spazio culturale, nell'immensa variet delle sue articolazioni, si riflette e si
appoggia sulle articolazioni semantiche dello spazio linguistico.
Non vi storia culturale e intellettuale di una societ o di un gruppo che non ne sia,
insieme, storia dei modi espressivi linguistici; e la storia linguistica si confonde e fonde
con la storia culturale (nel senso debitamente ampio di questo termine), cos come
l'analisi dei modi espressivi del singolo, nella pratica psicologica, o nella storia
letteraria, filosofica, o, pi semplicemente, nella vita d'ogni giorno, uno strumento
prezioso per intendere la vita degli affetti, delle idee.
Due conseguenze almeno, tra le molte, vanno tratte da quanto si ora detto.
L'adesione dello spazio linguistico alle peculiari tradizioni culturali di ciascun gruppo
umano fa s che ciascuna lingua si costituisca in una tradizione autonoma di
raggruppamento dei sensi in significati, sicch ciascuna lingua pu avere un suo modo
di orientare i parlanti nei rapporti reciproci e con le cose. L'apertura del patrimonio

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linguistico e i caratteri di approssimazione e apertura della comprensione e


interpretazione permettono di spiegare perch gli esseri umani possano scavalcare le
differenze di lingua, tradurre i sensi espressi nei segni dell'una in segni dell'altra,
apprendere nuove lingue. Il divenire storico e culturale, la civilt e la tecnologia delle
comunicazioni vanno agendo, del resto, nel senso di una progressiva attenuazione
della diversit di articolazione degli spazi semantici delle lingue, di pari passo con il
cammino dell'unificazione culturale internazionale.
In secondo luogo, la stretta unione fra tradizione linguistica e tradizione culturale di
una societ fa s che l'educazione alle usanze di una tradizione linguistica non possa
non avvernre se non complementarmente al processo di educazione alle usanze
culturali di una societ. La lingua, insomma, obbliga singoli e gruppi pi ristretti a fare
i conti con un educatore collettivo, con una scuola, impropria, ma assai efficace, di tutti
e per tutti, nella quale ci si addestra ad adattarsi, anche quando si aspiri a radicali
innovazioni, ai bisogni espressivi e vitali di tutta una societ. (V. anche lingua,
linguistica e semiologia).
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