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Questo libro vuole indagare il rapporto tra l'universo delle arti figurative e quello dell'esperienza giuridica come "mondi" attraverso i
va indubbiamente il suo limite, ma forse anche il suo vantaggio specifico: un vantaggio conseguito attraverso le possibilit cognitive e
analitiche promosse dal continuo spostamento del punto di osservazione. Con lo sguardo dell' arte comprendiamo che il diritto non
soltanto un mero strumento con cui, nel bene o nel male, restituiamo
un ordine razionale alla nostra difficile convivenza sociale, ma anche
un processo per mezzo del quale diamo una "figurazione" al reale.
Al contempo, attraverso la riflessione giuridica si scopre che l'arte
non soltanto un modo per "vestire" e tiflettere il mondo abitandolo nelle sue forme estetiche, ma anche un'esperienza essenziale me-
Prendo questo concetto dallo psicologo e teorico delle arti RudoJf Arn-
heim, che proprio nel 1965 ha dedicato un saggio a tale problema (Arnheim
2013). Secondo Arnheim il pensare visuale pensare mediante operazioni visuali (Ibld., p. 16); pensiero creativo, capacit della mente che chiarifica le
relazioni funzionali attraverso ordinamenti spaziali (Ibid., p. 25). E ancora leggiamo: Concesso che i pittori non pensino solo quando dipingono, si deve
ammettere che il modo pi importante con cui un artista opera intorno ai problemi dell' esistenza attraverso le immagini che inventa, giudica e costruisce.
Quando una tale immagine raggiunge il suo stato fmale egli percepisce in essa il
risultato del suo pensare visuale. Conosce adesso quello che stava cercando di
chiarire. Un' opera d'arte visuale, in altri termini, non un'illustrazione del pensiero del suo operatore, ma piuttosto la manifestazione finale di quello stesso
2 Su questo piano possiamo anche estendere aI campo giuridico ci che Vasi!ii Kandinskii, nel saggio Il problema delle forme del 1912, riferiva all'universo
dell' arte: Quando le condizioni necessarie alla maturazione di una precisa forma si sono realizzate, l'impulso interiore - leggiamo - diventa tanto forte da
creare un nuovo valore nello spirito umano, un valore che comincia a vivere nella coscienza o nell'inconscio dell'uomo. Da quell'istante, consapevolmente o inconsapevolmente, l'uomo si mette a creare una forma materiale per il nuovo valore che vive in lui in forma spirituale (Kandinskij 2011, p. 11). forse proprio
per questo che Kandinskij poteva ascoltare il <<puro suono interiore della linea
(Ibid., p. 36). Ma ancora leggiamo: La necessit crea la/orma. [ ... ] Nella forma
si riflette dunque lo spirito del singolo artista. La forma reca l'impronta della
personalit. Ma non ovviamente possibile concepire la personalit come un' entit fuori del tempo e dello spazio. Essa invece subordinata in una certa misura
al tempo (epoca) e allo spazio (popolo! (Ibzd., p. 15).
INTRODUZIONE
1. Spazio dell'arte, spazialit del diritto
Il 18 aprile 1925 Pavel Florenskij scriveva:
Nella concezione del mondo di qualsiasi nuovo sistema di pensiero
che si faccia avanti il problema dello spazio proprio centrale e prefigura la formazione di tutto il sistema. [ ... l
La concezione del mondo, lo ripetiamo ancora una volta, concezione dello spazio. [ ... l
Quegli aspetti e quelle particolarit della vita che vengono fissati attraverso simboli logici nella filosofia e nella scienza trovano nell' arte le
loro fonnule simboliche espresse in immagini. Le opere d'arte non possono e non devono essere rinarrate nel linguaggio della scienza e della filosofia; e tuttavia le immagini dell' arte sono formule di comprensione
della vita, parallele a quelle della scienza e della filosofia. Le une e le altre sono due mani di un solo corpo e si pu sempre indicare una data
formula dell' arte accanto alla sua fonnula gemella nel pensiero astratto:
fra l'una e l'altra non vi uguaglianza ma corrispondenza.
[. .l
L'arte mostra nelle sue opere, in modo pi sottile, tutte le inclinazio~
ni di una concezione del mondo sia filosofica che scientifica: talvolta
questo determinato dal reciproco influsso diretto del pensiero astratto
e del pensiero figurativo, che si appropriano delle formule del mondo
scoperte dall'uno e dall'altro, mentre il primato e l'attivit [della scoper~
ta] possono appartenere sia all'una sia all'altra forma di pensiero. Tuttavia pi spesso questo parallelismo tra filosofia e arte cresce direttamente
dalla radice comune a entrambe: la vita stessa.
Fondamentale nell'esperienza astratta di una concezione del mondo,
il problema dello spazio non pu essere secondario nemmeno rispetto
all' espressione figurata di quella stessa concezione del mondo. Ed effet~
tivamente n il contenuto, n la maniera, n i mezzi tecnici, n la testura,
caratterizzano un'opera d'arte in modo sostanziale come fa invece pro~
prio la struttura del suo spazio; [al di fuori di questal tutto il resto pu
essere definito in una certa misura secondario e accidentale, anche se
proviene dall' elemento primario, quello spaziale, per realizzame resistenza.
passo della terza lezione al VChUTEMAS del 1923, "Non possiamo annullare le
cose in modo tale che resti soltanto lo spazio. Lo spazio senza le cose non da
noi percepibile n conoscibile, ma cl' altra parte non possiamo lasciare le cose
senza lo spazio. In questo caso esse non potrebbero connettersi reciprocamente,
e 1'opera si sparpaglierebbe in una serie di singole cose che noi non potremmo
coordinare esteticamente fra loro (Ibid., p. 267). Alla fin fine -leggiamo anche nella sesta lezione -, tutto il senso dell'arte si riduce all'organizzazione dello
spazio, a una curvatura consapevole dello spazio in confonnit a uno schema o a
un altro. Fattori della curvatura sono le diverse percezioni sensoriali. In certi
casi si tratta della vista, come nella scultura, nell' architettura, nella pittura; in
altri si tratta del suono, come nella poesia e nella musica; e infine, in altri casi
ancora, sensazioni di diverso genere agiscono simultaneamente in uno schema
che lo stesso per tutte le arti (Ibid., p. 296).
Introduzione
Per il giurista del Nomos della terra, lo spazio coincide con il radicamento terrestre dell'uomo e dei suoi ordinamenti politici e giuridici 4. li diritto che ha un suo ordinamento spaziale, ha nn suo es2 Florenskij era, comunque, ben consapevole del problema. In un passo della
settima lezione al VChUTEMAS del 19 marzo 1924 leggiamo: ,<Alcuni di voi
probabilmente obietteranno che esistono anche arti non-oggettive, cio che non
rappresentano nulla. Non ho affatto l'intenzione di contraddirvi sostanzialmente. Ma indubbio il fatto che non appena tirate una linea, o fissate un punto o
una superficie, come artisti costringete me, spettatore, a vedere qualcosa di pi
di semplici linee o punti. La vostra linea ha trasmesso immediatamente un detenninato peso alla superficie, ha trovato un determinato punto d'appoggio, e
per quanto l'opera sia non-oggettiva per la gente comune che ci sta intorno,
questo non ha importanza, perch quello che essa ci d una cosa, e perci
l'opera pi non-oggettiva esce dai propri limiti. E la sua differenza dalle opere
normali consiste soltanto nel fatto che quello che essa ci d sar qualcosa a noi
sconosciuto nel mondo fisico, che non possiamo incontrare, e per il quale non
abbiamo un nome (Ibid., p. 308).
3 In un altro passo del 1924 leggiamo: Tutta la cultura pu essere interpretata come l'attivit dell'organizzazione dello spazio. In certi casi si tratta dello
spazio delle nostre relazioni vitali, e allora l'attivit corrispondente si chiama
tecnica. In altri casi si tratta dello spazio mentale, di un modello mentale della
realt e la realt della sua organizzazione si chiama allora scienza o filosofia. Infine la terza classe di casi si trova/ra i primi due, In essi lo spazio, o meglio gli
spazi, sono visibili come gli spazi della tecnica, ma allo stesso tempo non ammettono l'ingerenza della vita, come gli spazi della scienza e della filosofia.
L'organizzazione di questi ultimi spazi si chiama arte ([bM., p. 51).
4 Cos, nel Primo sguardo su terra e mare, il giurista ricostruiva, antropologicamente, il complesso problema: L'uomo un essere terrestre, un essere che
calca la terra. Egli sta, cammina e si muove sulla solida terra. Questa la sua collocazione e il suolo su cui poggia, e ci determina il suo punto di vista, le sue
impressioni e il suo modo di vedere il mondo. Dalla terra su cui nasce e si muo-
senziale fondamento terrestre: si costituisce concretamente nel "luogo", nella terra conquistata, occupata, ripartita e utilizzata. Altri,
come Hans Kelsen, pensavano, al contrario, la norma come "sradicata" dai luoghi, dalla radice terrestre. Ma riconoscevano, comunque,
al diritto una dimensione spaziale; ovvero, si riconosceva alla nonna
giuridica - come Florenskij all'attivit artistica -la capacit di organizzare e costruire lo spazio.
Introduzione'
Simmel, in effetti, vedeva nella dimensione spaziale sia un movimento incessante di forme articolate intorno ad alcuni apriori, sia una
condizione percettiva, sia, soprattutto, una configurazione sociologica, ovvero, costitutiva della societ 5. Capiamo, pertanto, che lo spazio non soltanto una pura forma logica applicata al materiale delle
sensazioni, ma anche una capacit fondativa di rapporti fra gli uomini. E ancor di pi, se differenti culture organizzano diversamente le
strutture percettive e l'esperienza dello spazio, tutte agiscono - spiegava Simmel - su un materiale che caratterizza, in quanto tale, la
specie umana; come dire: le forme di organizzazione dell' esperienza
spaziale costituiscono, nella loro diversit, una base comune all'uma.".
ruta
5 Chiaro il riferimento di Simmel alla filosofia kantiana, specialmente nella
misura in cui da questa trae sia il concetto che lo spazio sia la dimensione percettiva dell'" esistenza" , sia !'idea che lo spazio sia il luogo della "coesistenza" e,
dunque, una dimensione fondativa della societ. Leggiamo: Kant definisce una
volta lo spazio come "la possibilit dell'essere insieme", ed esso corrisponde an"
che sociologicamente a questa definizione, in quanto l'azione reciproca fa s che
lo spazio, prima vuoto e nullo, divenga qualcosa per noi, e riempie lo spazio in
quanto lo spazio la rende possibile. L'associazione ha creato, nei diversi modi di
azione reciproca tra gli individui, altre possibilit di essere insieme in senso spirituale; ma parecchie di esse si realizzano in maniera tale che la forma spaziale,
in cui ci accade come in generale per tutte, giustifica una particolare accentua
zione dal punto di vista dei nostri scopi conoscitivi (Simmel1998, p. 525). E
leggiamo in un altro passo a proposito del limite spaziale: TI limite non un
fatto spaziale con effetti sociologici, ma un fatto sociologico che si forma spazialmente. TI principio idealistico secondo cui lo spazio una nostra rappresentazione, o pi esattamente si crea in virt della nostra attivit sintetica, con la
quale elaboriamo il materiale delle sensazioni, si specifica qui nel senso che la
configurazione spaziale che chiamiamo limite una funzione sociologica. Se esso
certamente divenuto dapprima una formazione spaziale-sensibile che noi inscriviamo nella natura indipendentemente dal suo senso sociologico-pratico, ci
esercita una forte reazione sulla coscienza del rapporto tra le parti. Mentre questa linea segna soltanto la diversit del rapporto reciproco tra gli elementi di una
sfera e del rapporto tra questi e gli elementi di un' altra sfera, essa diventa tuttavia un' energia vitale che spinge quegli elementi l'uno accanto all' altro, non li
lascia uscire dalla loro unit e s'insinua tra l'una e l'altra come una forza fisica
che irradia repulsioni da entrambe le parti (Ibid., p. 531).
6 Simmel, in effetti, cerca di mostrare come i diversi sensi siano degli apriori
che costituiscono l'esperienza sociale, una sorta di sostIato comune che le differenti culture permettono di articolare in modo diverso (Ibid., pp. 550-62).
Per altri versi, la ricognizione che Simmel dedicava all' analisi della forma spaziale (ossia, dal suo punto di vista, alla veste esteriore
delle comunit umane), interessa ancor pi il sociologo che si concentra sui problemi della storia dell' arte e ci nella misura in cui trova, proprio all'inizio del capitolo, un richiamo esplicito alla teoria
estetica e all'interpretazione della storia.
Quando una teoria estetica -leggiamo - dichiara che il compito essenziale dell' arte figurativa quello di renderei sensibile lo spazio, essa
disconosce che il nostro interesse rivolto soltanto alle particolari configurazioni delle cose, non allo spazio in generale o alla spazialit, che costituisce soltanto la conditio sine qua non di quelle configurazioni, ma
non la loro essenza specifica n il loro fattore produttivo. Quando un'interpretazione della storia pone 1'elemento dello spazio totalmente in
primo piano da voler comprendere la grandezza o la piccolezza degli imperi, l'affollamento o la dispersione della popolazione, la mobilit o la
stabilit delle masse ecc. come motivi di tutta la vita storica che s'irradia~
no per cos dire dallo spazio, anche qui la necessaria costituzione spazia~
le di tutte queste costellazioni corre il rischio di venir scambiata con le
loro cause positivamente operanti. Certamente gli imperi non possono
avere un' estensione, gli uomini non possono essere vicini o lontani tra
loro senza che lo spazio vi imprima la sua forma, cos come quei processi
che si attribuiscono alla potenza del tempo non possono svolgersi al eli
fuori del tempo. Ma i contenuti di queste forme ottengono soltanto in
virt di altri contenuti la particolarit dei loro destini; lo spazio rimane
sempre la forma in s priva di efficacia nelle cui modificazioni si manifestano s le energie reali, ma soltanto cos come la lingua esprime processi
concettuali che si svolgono certamente in parole, ma non mediante parole (Ibid., p.523).
Introduzione
La crisi delle State nazienale mederne e, con esse, la crisi dell'idea di "confine come "tratto-frontiera" che separa un interno da
un esterno, un dentro da un fueri (base essenziale di egni cestituziene territeriale), treva ancera, entro. la tradiziene giuridica della "medernit" (essenzialmente kantiana), una sua possibile soluzione; ovvero., una seluziene che nen riguarda tante l'essenza (e la ferma) peIitica della statualit, quante i preblemi (fermali) della spazialit del
diritte. In altri termini, di frente agli attuali processi di dislecaziene
glebale dell' ecenemia, della tecnica e della finanza - processi che
rendene sempre pi incerti i cenfini che, fine a pece tempo. fa, garanrivane la divisiene e la spartiziene del suele terrestre tra singeli
Stati sovrani -, si riconosce ancora al diritto e alla norma la capacit
di costruire e ordinare (principi, come presto. vedremo., della ragiene
mederna) lo. spazio. giuridico.
Seguendo., dunque, Kelsen, Irti ricerda ceme per il "nermativisme" lo. spazio. si presenta sempre quale date esterne al diritte. La
fissit terrestre, a questa prespettiva, appare muta. Mentre Cari
Schmitt precedeva dal cenerete erdine della terra verso. le norme (il
nomos della terra), qni le nerme, ceme in egni cestruziene prespettica (e si pensi alle "leggi" geemetriche della prespettiva pitterica rinascmentale) si affacciane stle spazio., si pengene di fronte ad esso. e vi stabiliscene la lere preieziene (Ibid., p. 49). Nen vi alcuna
necessit interna, alcun impulso costitutivo; vi soltanto pura volent di pesiziene.
Nen si tratta, allera, di pensare un diritte prive di spazio., ma un
diritto che determina il proprio spazio, arbitrario e artificiale (Ibid.).
La sua ferza nen deriva da un fendamente spaziale (territeriale), ma
ha una dimensiene spaziale; il sue ambite di validit nen (territerialmente) limitate, ma (spazialmente) illimitate.
alla nonna un' artificiale duttilit e mobilit. La volont legislativa, e non altro,
sceglie e circoscrive 1'orizzonte spaziale della norma. Ed esso si cangia e adatta,
s riduce o allarga. Sradicato dal fondamento, il contenuto della nonna pu tutto
o nulla indicare: un dato spazio o nessuno spazio. Se la primordiale presa di
possesso gi in s ordine giuridico, e fonda il 'nomos della terra', in Kelsen
nomos soltanto norma, pronta ad accogliere qualsiasi contenuto, arbitraria e
artificiale, mutevole e caduca. il suo fondamento nella procedura genetica, a
sua volta regolata da altre norme, le quali salgono, sempre pi in alto, verso il
postulato che tutto tiene e convalida. Ne ridefinito lo stesso concetto di ordine, che non l'ordine concreto e originario dei luoghi, sicch l'uno indissolubilmente congiunto con gli altri, ma la meta ed esteriore conformit (Irti 2006,
pp. 41-2).
Introduzione
In tal senso, la volont spaziale accompagna la genesi di qualsiasi norma. Di qui la potenza dell' artificialit>, diventa capacit
normatrice, e lo spazio non appare pi come qualcosa di originario
e costitutivo, ma come qualcosa di formato, stabilito, voluto; come
dimensione, possiamo anche dire, costruita dal dirirto 8.
Da questo punto di vista, si pu quindi affermare che la volont
legislativa, in quanto potenza normatrice costruisce dal di fuori
(dall'esterno e dall'alto) lo spazio giuridico (in quanto pura, artificiale e arbitraria dimensione); lo costruisce prospetticamente.
TI diritto non accoglie n rispecchia le cose del mondo esterno, non
le imita n riproduce. Ma conferisce ad esse un significato, che altrimen~
ti non avrebbero, e che esse ricevono e conservano soltanto per il diritto
e nel diritto (Ibzd., p. 45) 9.
Cos come l'arte d una sua codificazione estetica allo spazio, il diritto - possiamo dire con parole nostre - restituisce una figurazione
giuridica alla dimensione spaziale.
Tuttavia, il sociologo che prosegue i suoi ragionamenti sulla configurazione dello spazio visivo e sulla dimensione spaziale dell' arte e
del diritto, compie ancora un passo quando, attraverso i suoi studi,
incontra un' altra tradizione del pensiero sociologico, quella che fa
capo a mile Durkheim. A partire da qui, riflettendo sulla dimensione storica e sociale delle nostre categorie mentali (sui concetti in
8 L'artificialit del normativismo - spiega Irti - si affranca dai vincoli naturali. La fisica terrestre non esprime di per s alcun significato giuridico. L'esistere del diritto, risolto nella validit procedurale delle norme, non ha fondamenti di luogo. Cos l'artificialit pu muoversi dovunque, in piccoli o grandi
spazi, entro o fuori dai territori statali. Variabile secondo le volont legislative, o
gli accordi fra Stati, la sua essenza dinamica. Si restringe e allarga, si riduce ed
espande, si fa angusta o illimite. La teoria kelseruana porge al nostro tempo
l'artificialit, cio il metodo giuridico pi coerente con la latitudine della tecnica e
dell'economia (Ibid., p. 55). Leggiamo in un altro passo: Oggi, poich tecnica
ed economia hanno rotto il vincolo della terra e si protendono al di sopra del
suolo, indispensabile attingere alle virt dell'artificialit. il puro normativismo
l'unico strumento a disposizione della volont regolatrice Ubid., p. 62).
9 Scrive ancora Irti: La fisicit delle cose e la fattivit dell' accaduto non generano norme. Dall' essere non ricavabile il dover essere, l'esigenza che qualcosa sia. E perci le norme stanno al di sopra di fatti e di cose, e li configurano e
dotano di significato giuridico (Ibzd., p. 46).
lO
Introduzione
11
ogni distinzione spaziale, ,<lungi dall'essere insita nella natura dell'uomo in generale, molto probabilmente il prodotto di rappresentazioni religiose sotte collettivamente (Ibid., p. l4).
Durkheim si spinge ancora oltre: tornando pi tardi sul problema, non dice soltanto che alcune delle categorie, come quella dello
spazio, derivano dalla societ, ma anche che le cose stesse che esprimono sono sociali; non dice soltanto che la societ le ha istituite,
ma che il loro contenuto costituito da aspetti diversi dell' essere
sociale (Ibid., p. 480). lo spazio occupato dalla societ - cos affettna - che ha ,<fornito la materia della categoria di spazio (Ibid) n.
Se il mondo nella societ, lo spazio che essa occupa si confonde
con lo spazio totale (Ibid., p. 482) 12.
Sappiamo, del resto, che Durkheim, passando da una teoria filosofica del conoscere ad una sociologia della conoscenza, poneva il
primato del sociale sul pensiero, e cos, dietro la rappresentazione
concettuale dello spazio e del tempo, non vedeva altro che una corrispondente organizzazione della societ. Non vi perci da stupirsi
se, dal suo punto di vista, lo spazio sociale si ponesse alla base di
una categoria astratta come quella dello spazio in generale; e non
vi da stupirsi se le forme spaziali, a pattire da tale presupposto, gli
siano potute apparire come derivazioni di altrettante forme sociali.
11 L'individuo _ cos afferma _ collocato in un determinato punto dello
spazio; e si pu sostenere con buoni motivi che tutte le sue sensazioni hanno
qualche elemento spaziale. Egli ha coscienza delle somiglianze; in lui le rappresentazioni similari si richiamano e si accostano, e la rappresentazione nuova che
ne deriva ha gi qualche carattere generico (Ibid., p. 480). E aggiunge pi avanti: Lo spazio che io conosco con i miei sensi, di cui sono il centro e in cui tutto
disposto in rapporto a me, non pu essere lo spazio totale, che contiene tutte
le estensioni particolari e in cui anzi esse sono coordinate rispetto a punti di riferimento impersonali, comuni a tutti gli individui (IhM, p. 481). Soltanto la societ pu fornirci le nozioni pi generali secondo cui lo spazio deve venir rappresentato: Soltanto un soggetto che comprenda tutti i soggetti particolari
capace di abbracciare un tale oggetto. Poich l'universo esiste in quanto pensato, ed pensato totalmente soltanto nella societ, esso prende posto in questa;
diventa un elemento della sua vita interiore, e cos anch'essa diviene il genere
totale al di fuori del quale nulla esiste. il concetto di totalit non che la foona
astratta del concetto di societ: essa il tutto che comprende tutte le cose, la
classe suprema che racchiude tutte le altre classi (Ibid., p. 482).
12 Abbiamo visto infatti - continua Durkheim - come ogni cosa abbia il suo
posto assegnato nello spazio sociale; quanto questo spazio totale sia diverso dalle
estensioni concrete percepite dai sensi, chiaramente mostrato dal fatto che
questa localizzazione del tutto ideale e non assomiglia affatto a quella che si
avrebbe sulla semplice base dell'esperienza sensibile (Ihid).
12
Rimodulando e ricorifigurando entro l'ambito concettuale del diritto questa matrice sociologica, per certi versi mai del tutto sopita nel-
per supporto naturale un territorio, una frazione di terra delimitata e segnata da una destinazione. Ci che naturale non , tuttavia, sempre necessario: una trib tzigana, assolutamente nomade, costituisce uno spazio
giuridico privo di perimetro territoriale, mentre altre fanne di nomadismo
(mongoli, beduini) includono una certa nozione di territorio quale area di
percorso. L'ipotesi del pluralismo giuridico, nella sua applicazione alle diversit non geografiche (tali le differenze di classe, d'et, ecc.), postula che
molti spazi giuridici possano sovrapporsi in un medesimo punto, ci signi-
fica che alcuno dei sistemi compresenti dispone di territori che gli siano
propri - dunque possiede propriamente territorio. Lo spazio giuridico costituisce in realt una costruzione psicologica: disegnato da una serie di
rapporti di diritto. Pi che il territorio, sono gli uomini a essere necessari
ai fini della formazione di uno spazio giuridico: vero, non individui isolati, ma uomini tra loro collegati, raggruppati. Questo introduce la nozione
di gruppo (Carbonnier 2012, pp. 337-8) B.
13 Continua Carbonnier: Di solito, i giuristi fanno coincidere lo spazio giuridico con la societ nel suo complesso, in termini moderni con lo Stato; negano,
eli conseguenza, che possa esservi germinazione spontanea di diritto nei raggruppamenti particolari. Al contrario, i sociologi del diritto propendono ad
ammettere che i raggruppamenti particolari abbiano in se stessi un potere di
creazione giuridica; pi generalmente, segmentano e diversificano lo spazio giuridico: tale il senso che occorre attribuire alla celebre ipotesi del pluralismo pi precisamente, del pluralismo giuridico, distinto dal pluralismo normativa
(Carbonnier 2012, p. 338).
Introduzione
13
Sul piano delle esigenze dell' arte - come ha posto in rilievo Jeanne
Hersch nel suo Essere e forma del 1946 - elemento costitutivo della
forma (che proprio nell'arte raggiunge la massima perfezione antologica 14) , appunto, lo spazio. Dal punto di vista modale, senza lo
spazio - cos affermava - non possiamo comprendere l'incarnazione della forma (Hersch 2006, p. 109). E ancora scriveva: "Chi dice
"materia) "esteriorit della materia") dice spazio (Ibid., p. 115) 15.
Tuttavia, come prima si visto, se la percezione e la pratica della
spazialit hanno una loro precisa configurazione sociale, anche l'arte
- dimensione attraverso la quale lo spazio acquista, sul piano antologico, la sua forma pi definita - non pu che dipendere dalle condizioni storiche e sociali del tempo al quale appartiene.
Nell'Opera aperta, testo del 1962, Umberto Eco scriveva:
I valori estetici non sono qualcosa di assoluto privo di rapporti con
la situazione storica nel suo complesso e con la strutture economiche di
un' epoca, L'arte nasce da un contesto storico, lo riflette, ne promuove
1'evoluzione. Chiarire la presenza di questi nessi significa capire la situazione di un dato valore estetico nel campo generale di una cultura e il suo
rapporto, possibile o impossibile, con altri valori (Eco 2009, p. 12) ".
14
Detto altrimenti, l'opera d'atte, come ogni altro sistema di pensiero, nasce da una rete complessa di influenze e si costituisce nell'universo storico e sociale in cui necessariamente si colloca. Il mondo in-
teriore di un pittore, ad esempio, influenzato e formato dalla tradizione stilistica dei pittori che l'hanno preceduto; e attraverso le
influenze stilistiche egli ha assimilato, sotto specie di modo di formare, un modo di vedere il mondo. L'opera che produrr potr
avere esili connessioni con
pare una fase successiva dello sviluppo generale del contesto epocale
in cui vive, o potr esprimere livelli profondi che non appaiono ancora cos chiari ai contemporanei. Ma per poter ritrovare, attraverso quel modo di elaborare strutture, tutti i legami tra l'opera e il
suo tempo, o il tempo passato, o quello a venire, d'indagine storica
immediata - continua Eco - non potr che dare risultari approssimativi (Ibid., pp. 26-7).
Da quanto affermato, capiamo pertanto che un'opera d'arte, co-
Introduzione
15
16
scono con la nozione di limite, di confine e di definizione, con il pensiero analitico. La definizione della forma analitica implica la propriet di essa, per la geometria quelle del quadrato e del rombo, per il diritto il proprietario: uno solo il
termine, una 1'operazione su cui si radica il pensiero analitico, da cui si dipartono due rami, il diritto e la scienza (Ibid., p. 73). In altri termini, secondo questa
leggenda cl' origine, il legislatore, colui che dice, decide e fa applicare il diritto,
compie il gesto originario da cui nasce la geometria e, insieme, il contratto giuridico. Il diritto precede la scienza e, forse, la genera; o meglio, sostiene Serres:
Un' origine comune, astratta e sacra, unisce l'una all' altro. Prima di essa, possiamo immaginare solo il diluvio, la gran piena primaria o ricorrente delle acque,
cio il caos che mescola le cose del mondo, le cause, le forme, le relazioni di at~
tribuzione confondendo i soggetti (Ibid., p. 74). Vi , dunque, un'origine pratica, giuridica, della geometria e, con essa, della scienza analitica. TI diritto precede la scienza, o meglio, v' un'origine comune che li unisce tra loro. La giustizia
(giuridica, etica) procede insieme alla giustezza (geometrica, analitica): diritto e
scienza condividono la stessa logica, la stessa ragione. La logica del diritto - la
procedura, il giudizio - la stessa logica della scienza: Niente storia generale
delle scienze senza registrazione giudiziaria. Niente scienza senza processo.
Niente verit senza giudizio, non importa se interno o esterno al sapere. La sua
storia non pu fare a meno dei tribunali (Ibid., p. 84). Come dire: sin dalle origini, la questione della giustizia procede di pari passo con quella della scienza.
Sotto il quadrante solare, o sotto le piramidi (all'ombra delle loro proiezioni), il
diritto naturale ritrova la sua forma geometrica, la sua misura astratta, celeste,
l'esattezza delle sue proporzioni; cos come, al contempo, la scienza, l'esattezza
geometrica, il calcolo analitico, ritrova nel diritto, nella sua prassi e nella sua
procedura, il suo principio logico, la sua ragione tecnica, la sua pratica origina~
ria. La logica del nomos quella della divisione, della spartizione: la logica che
si definisce con la nozione di limite, di confine, con il pensiero geometrico ed
analitico. La stessa logica che si svilupper, pi tardi, nello jus romano: quel diritto che contiene in s l'idea della regula (riga) e della norma (squadra) e che,
costruito sull'idea di direzione (diredum), sar capace di unire alla nozione di
giustizia quella di linea di condotta. In effetti, come ha mostrato Mario Bretone,
ancora ai "razionalisti" seicenteschi (e, in primo luogo, a Leibniz), il diritto romano appariva fortemente impregnato di spirito geometrico: nel modo di argomentare dei giureconsulti romani si intravedeva, in altri termini, la logica tipica
dei geometri. Scrive Bretone: TI pensiero giuridico classico emergeva, dunque,
come pensiero 'matematico' dalle rovine della Compilazione giustinianea. I giureconsulti antichi erano in fondo (cos si pensava) dei 'razionalisti', che avevano
coltivato a loro modo una scienza, che ora veniva ricompresa, a giusto titolo, fra
quelle 'necessarie e dimostrative'. TI giusnaturalismo tardo-seicentesco e settecentesco poteva proclamarsi loro erede (Bretone 1994, p. 97). E come ha giustamente rilevato Alain Supiot ragionando sui concetti geometrici di "riga",
"squadra", "linea" e "angolo retto", con il Diritto, la giustizia diviene una questione di tracciato geometrico e non di casistica; essa deriva pi da una misurazione che non da un arbitraggio, anche se in fondo si tratta sempre, come recita
la celebre formula del Digesto, di attribuire a ciascuno il suo (suum cuique tribuere)>> (Supiot 2006, p. 63). Questa storia, in fin dei conti, la stessa che, a dif-
Introduzione
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Del resto, riflettere sulla presenza misteriosa, elusiva, ma possente, o addirittura spettralD> della legge che informa e condiziona il
politico e 1'economico, considerare la sua dimensione come forma
di un 'invisibile' che ne determina una data presenza, vuoI dire,
al contempo, ripensare la stessa nella sua dimensione estetica ed on~
tologica (nella sua determinata natura) (Ibzd., p. 5). Owero, vuoI dire considerare, sul piano morfologico (sul piano della produzione di
forme), l'estetica della legge (le diverse estetiche della legge, le icone
della legge), non tanto come mero problema di "stile", ma anche - e
soprattutto a partire da qui 21 - come problema ontologico 22; come
esperienza ontologica (e costruzione ontologica), connessa allo spazio in quanto concretezza di ordine storico. Capiamo cos, attraverso un intreccio analogico che intercorre tra la legge, il linguaggio
e le arti figurative, che lo stile 2J, in quanto ha a che fare con una
21 Come afferma lo stesso Monateri, <<la storia del termine 'stile' con riferimento alla legge, una storia articolata e complessa, ma centrale (Ibid., p. 82).
Lo "stylus" - continuiamo la lettura - indicava una formuIa consueta di redazione degli atti, ovvero il particolare modo di redigere gli atti adottato in una
determinata giurisdizione. Questo termine venne per ad assumere un significato pi esteso, giungendo a designare l'abitudine a risolvere i singoli casi secondo
un preciso e determinato schema. Tra il Cinquecento e il Seicento la prassi dei
grandi tribunali e il ruolo della loro giurisprudenza venivano indicati appunto
come consuetudo o stylus Curiae, e dall'antica pratica del rispetto dello stile del
tribunale si attualizzava l'idea di allargare, alla stregua di exempla, le decisioni
proferite da quei supremi collegi (Ibid.). Ancora pi avanti si legge: di
estrema rilevanza, allora, notare come lo stile, in quanto stylus curiae, sia esattamente quel modo di scrittura della decisione per cui il politico si manifesta come
legge, divenendo una ontologia nomica del mondo. Lo stile della decisione, ossia
l'elemento formale del decidere, proprio il punto eli passaggio dall'invisibile al
visibile come manifestazione del politico nella legge, del potere sconfinato della
sovranit nel potere costituito della decisione singola. [ ... ] Ancora una volta
l'elemento estetico stesso che si rende visibile nella trasposizione del politico in
giudizio. Una estetica che naturalmente non ha nclla a che fare n con il gusto,
n con il bello o il brutto, ma con la morf della visibilit (Ibtd., pp. 84-5).
22 In effetti si tratta, come affenna Monateri, di riportare la questione estetica alla questione dell' ontologico, cio della realizzazione visibile degli invisibili
che determinano i comportamenti sociali: la legge, lo Stato, la giurisdizione, gli
'organi' (Ibtd., p. 47).
23 A tal proposito, sempre importanti appaiono le considerazioni di Simmel.
In un saggio del 1908, Das Problem des Stiles, cos leggiamo: Lo stile sempre
quella donazione di fonna che, in quanto sostiene o aiuta a sostenere l'impressione dell'opera d'arte, ne nega l'essenza e il valore del tutto individuali, ovvero
il significato della sua unicit; grazie allo stile, la particolarit della singola opera
viene sottomessa a una legge di fonna universale che vale anche per altre opere;
Introduzione
19
base di un nomos - tanto dell' arte quanto del diritto - che definisce e
d "forma simbolica" allo spazio sociale nella sua storicit fenomenica. Per questo, e a partire da qui, il testo che segue riguarda, per ci
che ha di pi essenziale (ed elementare), la dimensione spaziale sotto
le forme dell' arte e del diritto; dell' arte e del diritto come fenomeni
storici e, al contempo, simbolici, che consentono non solo di rendere
percepibile il mondo, ma anche di abitarlo e di muoversi in esso.
Tutte le forme - scriveva Andr Derain nel 1921 (De picturae reessa viene - per cos dire - sollevata dalla responsabilit assoluta di se stessa,
poich condivide con altre in tutto o in parte il modo in cui si forma e perci
rimanda a una radice comune, che comunque si trova al di l della singola opera
- in opposizione alle opere che nascono da se stesse, cio dalla misteriosa, assoluta personalit artistica e dalla sua unicit che non significa altro al di fuori di se
stessa. E come se la stilizzazione dell' opera contiene una nota di universalit, di
legge per il guardare e il sentire, che vige al di fuori e oltre la singola individualit dell' artista, cos significa esattamente lo stesso, considerata dal Iato dell' oggetto dell'opera d'arte (Simmel2006, pp. 87-8).
20
creare (Derain 2005, p. 81). Tutte le fonne - aggiungiamo - rimandano a "strutture mentali", realizzare una forma equivale a costruire
mentalmente (e perci socialmente) lo spazio.
Introduzione
21
22
- con le parole di Paolo Grossi -la sua onticit, eguagliando il pittore che - secondo Pavel Florenskij - si era gi distaccato dall' antologia.
A partire da un determinato momento, tale spazio prospettico (lo
spazio chiuso dell' opera e dei costrurti giuridico-politici) comincia
comunque a dissolversi, consentendo diverse aperture di sguardi molteplici, di visioni estese a soggettivit storiche non pi riconducibili
all'idea universale del soggetto-individuo. Al suo posto iniziano a
calcare la scena del mondo nuove, e diverse, presenze "impersonali":
entit collettive o "forze vitali" che riconducono l'astratta ragione
Introduzione
23
tenimento" essenziale) del potere politico, come mera tecnica amministrativa, fmisce per legittimare se stesso attraverso la legalit delle
sue procedure e per comprendersi ed analizzarsi in quanto "linguaggio", in quanto dispositivo comunicativo. Di qui l'autoreferenzialit
del diritto e del discorso giuridico: la validit delle norme va ricercata nella loro stessa funzionalit discorsiva (e sistemica), nella loro efficacia linguistica e nella loro razionalit comunicativa. Svincolato da
ogni contenuto morale, naturale, sostanziale, il diritto si riferisce
(tautologicamente) a se stesso attraverso la vigilanza "analitica", attraverso il controllo scientifico delle sue procedure linguistiche (nella
stessa direzione del positivismo scientifico, la scienza giuridica converge, pertanto, nell' analisi linguistica).
Su questo piano, laformalzzzazione del linguaggio artistico finisce
per coincidere con quella del linguaggio giuridico: il momento analitico delle procedure dell' arte e della riflessione giuridica.
Ma ancor di pi, in questi ultimi tempi, alla realizzazione della
spazialit procedurale del diritto e dell' arte, si sovrappone l'organizzazione di uno spazio reticolare (quarta parte): spazio "globale" di interconnessioni formali e relazionali, di interazioni orizzontali e di interscambi funzionali. Siamo di fronte al fenomeno dello sconfinamento dell' arte e delle procedure giuridiche in un tessuto di relazioni, di snodi e connessioni, pi ampio, globalizzato. In linea con le
potenzialit liberate dalla scienza e realizzate dalla tecnica, tutto diviene possibile. Ma allo stesso tempo, il processo di "s-definzzione"
dell'arte e del diritto ri-definisce, paradossalmente, un contesto operazionale e ideologico omologato e omogeneo, rifluendo, sia pur in
modo critico, nell'universo ridisegnato (geograficamente, politicamente, socialmente e culturalmente) dalla globalizzazione economica
e comunicativa, dal capitale mondiale e dal suo immaginario finanziario.
A questo "spazio", dunque, ci riconsegnano l'arte e il diritto. Uno
spazio abitato da diversi momenti (temporali) sui quali, nel corso di
questo lavoro, dobbiamo, comunque, sostare. Prima per di procedere lungo questo cammino, occorre cercare di sciogliere, sia pur
brevemente, alcuni nodi concettuali che aggrovigliano ancora la trama del nostro percorso.
24
Donati 2012).
27 In parte accogliamo, ma con altro spirito, ci che Marvin Minsky, teorico
dell'Intelligenza artificiale, diceva nel suo La societ della mente del 1985: Lavoriamo con modelli del mondo che ci costruiamo dentro il cervello CMinsky
1989, p. 208).
Introduzione
25
immagini prese dal mondo del diritto, cos come non si tratta, ugualmente, di considerare la disciplina giuridica in relazione alle questioni dell'atte. Occorre andare pi in l (anche oltre il "giudizio di gusto"), verso quell'universo delle "morfologie" dove l'''estetica'', alla
luce del processo dinamico di produzione di forme, riaggancia la sua
dimensione antologica essenziale.
Del resto, ogni epoca, nella sua finitezza e determinazione storica,
defmisce uno stile mentale'8; stabilisce un rapporto tra costruzione
formale, rappresentazione percettiva, raffigurazione artistica e configurazione dello spazio, cos come definisce una propria figurazione
estetica (essenzialmente morfologica) attingendo ad una "sensorialit
collettiva" (da intendersi nello stesso modo con il quale i sociologi e
gli antropologi parlano di "mentalit collettiva") 29.
L'atte non soltanto semplice rappresentazione, raffigurazione
(esteriore) del reale, non soltanto - come in certi momenti, in certe
epoche, lo stata, come ancora in parte lo , e come forse sempre lo
30
sar - esperienza di tras/igurazione , ma anche, sul piano struttura"Paul Srusier, nel suo L'ABC della pittura pubblicato a Parigi nel 1921,
scriveva: Oltre allo stile individuale, che quello del singolo artista, e allo sttle
collettivo, che caratterizza un'epoca e una razza, c' uno stile superiore, che accomuna ogni intelligenza umana. Senza qualche traccia di questo linguaggio universale non c' opera d'arte. Lo spirito vi giunge solo attraverso l'astrazione e la
generalizzazione, ed esso rimane sempre uguale nel tempo e nello spazio. I suoi
elementi appartengono al nostro essere, quindi sono innati. [. .. ] Questo linguaggio universale si fonda sulla matematica, scienza dei numeri e in particolare
dei numeri primi. La sua applicazione all' arte plastica nello spazio la geometria (Srusier 2005, p. 73). Dal suo canto, anche Margherita Sarfatti, nel suo
L'Esposizione futurista a Milano. Terzo ed ultt:mo articolo ("TI Popolo d'Italia",
Milano, 13 aprile 1919), parlava di deformazione e ricomposizione della realt.
secondo l'unit volitiva e costruttrice dello stile (Sarfatti 2005, p. 36).
29 Oppure ogni epoca, come afferma Debray, ha un inconscio visivo, un
fuoco centrale delle proprie percezioni (per lo pi inavvertito), un codice figurativo che le imposto come denominatore comune della sua arte dominante.
Dominante l'arte delle arti, quella che ha la capacit di integrare o di modellare
le altre a sua immagine; quella meglio connessa all' evoluzione scientifica e alle
tecniche di punta; quella che assicura la pi forte comunione dei contemporanei, sintetizzando il massimo di senso e aprendo al massimo grado il campo fisico delle sensazioni possibili; quella meglio accordata alla mediasfera ambientale,
e nella fattispecie ai suoi mezzi di trasporto (Debray 2010, p. 190).
lO L'attivit dell' arte figurativa - scriveva Adolf von Hildebrand nella premessa alla terza edizione (1903) del suo Il problema della forma nell'arte figuratl e
va del 1893 - si impadronisce dell' oggetto come di qualcosa da trasfigurare
solo mediante il modo di raffigurazione, non come di qualcosa che sia gi di per
26
le,figurazione (e riflessione) delle "forme mentali" che predispongono la stessa possibilit della percezione estetica e del suo costituirsi
in esperienza sensibile e concreta (in "immagine" per ci che ri~
guarda, in senso specifico, la pittura) 31; figurazione, in un senso pi
generale, di quei processi storico-sociali attraverso i quali si d appunto il continuo svilupgo delle "forme mentali" nei loro diversi costrutti e contenuti visivi '. E ci perch nell'arte (sia in quella plastiJ
Introduzione
27
28
vedremo, costruisce e realizza lo spazio visivo, lo stesso del quale abbiamo, nella sua storicit, una particolare (e convenzionale) esperienza. Ed qui, a ben vedere, in questa particolare esperienza, che si intrecciano arte e diritto, non solo come differenti ((tecniche" attraver
so le quali si d forma, costruzione e codificazione al reale, ma anche
come piani semantici e momenti dialettici di una stessa dinamica storica e sociale. Perch il reale non "dato", ma costruito dallo
"sguardo", prodotto dagli strumenti che utilizziamo per "definirlo",
generato dalle tecniche (e dalle tecnologie), dal modo di sviluppo di
una societ in un dato momento della storia. La stessa forma della
nostra rappresentazione, per usare ancora le parole di Hildebrand,
la conseguenza della legalit del nostro vedere (Ibtd., p. 103).
dunque possibile rintracciare una relazione essenziale tra la
rappresentazione mentale, la costruzione giuridica e la raffigurazione
(o configurazione) artistica dello spazio; come possibile individuare
la formazione di una teoria del valore, procedurale e comunicativa,
basata sull'interpretazione segni'ca dei processi linguistici dell'arte e
delle proposizioni giuridiche. Da questo punto di vista, il rapporto
tra arte e diritto pu essere colto come un singolare (ma essenziale)
svolgersi di questa connessione, come un dispiegamento di quella
trama semantica che vede l'arte non tanto (e non solo) quale riflessione dell' esperienza reale, ma, pi nel profondo, quale forma dell' esperienza possibile. Del resto, nel gi citato Essere e forma del 1946,
Jeanne Hersch, impegnata a riformulare in termini esistenziali la questione dell' essere in rapporto all' attivit formativa dell' arte, scriveva:
Nulla reale nella coscienza umana senza aver preso forma. Per la
coscienza esiste soltanto un essere specifico e limitato, esistono delle
forme. E subito dopo aggiungeva: "Chi dice forma dice immediatamente materia che ha preso forma grazie a una forza che l'ha modellata (Hersch 2006, p. 4) 35.
35 Leggiamo in un altro passo: La forma una condizione cl' esistenza reale.
Ma si vede bene che "esistenza reale" qui un termine valorizzato, e non un
tennine di pura constatazione (Ibid., p. 90). E subito dopo: Ne consegue che
la forma conferisce il valore di realt, impossibile senza la forma (Ibid., p. 91).
Pi avanti, ancora leggiamo: dire che qualcosa esiste non soltanto esprimere su quella cosa un giudizio di fatto, ma anche un giudizio di valore, e forse
addirittura il giudizio di valore per eccellenza. La forma una condizione
d'esistenza, di qualunque esistenza si tratti, non appena viene concepita da una
mente umana. Ma resistenza reale stessa una condizione di autenticit, e
quando essa manca si direbbe che lo spirito affondi nell'impuro: tutti i termini
valorizzati di cui in grado di servirsi perdono senso. Verit, bene, bellezza, al-
Introduzione
29
Concentrando ancora la sua analisi ontologica sul significato immanente della forma, J eanne Hersch assegnava al mondo estetico,
quello dell'arte, un'importanza particolare; perch proprio nell'arte
coglieva la capacit della forma di far essere in maniera pura e assoluta)6. Anzi, ripercorrendo un linguaggio familiare ai giuristi, riconosceva nella forma dell' arte una sorta di dover essere allo stato
puro; un dover essere - cos scriveva - che unisce l'esistenza e il valore, l'obbligo di una "messa in forma" per "far essere", un imperativo di realt che fa dell' accettazione della forma la condizione sine
qua non dell'autenticit su tutti i piani dell'esistenza umana (Ibid.,
trettanti termini che si disgregano appena vengono separati dalla realt (Ibid.,
p.99) .
.16 Perch evidente, mi sembra, che in arte - scriveva -la forma non si giustifica n in base a norme di bene morale, n di conoscenza vera, n di servizi
umani, ma solo in base a norme ontologiche, Questo significa semplicemente
che l'autentica opera d'arte quella che , cio quella in cui la forma un'autentica cattura dell'essere, con le condizioni formali che l'esistenza umana implica - e che il fallimento in arte non n cattiveria, n bruttezza nel senso di una
disobbedienza a un insieme di regole estetiche, n ignoranza o conoscenza superficiale, ma inesistenza, non essere, mancanza di una coerenza che sarebbe
ontologicamente efficace per la forza di un'unica legge (Ibzd" pp, 8-9), E in un
altro passo, sempre a proposito dell'arte, leggiamo: Qui la forma , in s. Essa
non distinta dialetticamente all'interno di un processo continuo, non nemmeno decretata tale per un' appropriazione soggettiva. Rappresenta un fine, un
tennine - e questo termine l'esistenza stessa dell' opera in quanto opera d'arte,
L'arte comporta un'ontologia propria, delle condizioni di realt specifiche, e la
pura materia, nel mondo dell'arte, non esiste (Ibid., pp, 51-2),
30
Introduzione
31
32
di dare "forme"
alcuno. Veramente processo e giudizio sono atti senza scopo, i soli atti della vita
che non hanno scopo (Satta 1994, p. 24).
40
Introduzione
33
zione) del reale. Lo capiremo bene anche attraverso gli studi analitici
del linguaggio giuridico - gli stessi che fanno da contraltare alle ricerche concettuali dell' arte contemporanea e alla linea analitica dell'arte
moderna (per usare il titolo di un testo famoso) -; lo capiremo attraverso quella svolta semiotica dell'indagine giuridica che, a partire dalla
seconda met del secolo scorso, ha presentato al mondo dei giuristi
l'esigenza di un approccio di tipo semantico basato sugli strumenti
dell' analisi logica del linguaggio. Come scriveva Karl Olivecrona in un
suo saggio del 1962 (Linguaggio giuridico e realt), lo scopo primario
del linguaggio giuridico non quello di rappresentare il reale, ma di
modellarlo; perch tale linguaggio non rispecchia semplicemente
la realt, ma la costruisce (e la "performa") attraverso figurazioni e
convenzioni lingnistiche, come un testo (o contesto) semantico in cui
si inscrive la sua stessa capacit ordinante e costituente il reale.
Mi sia consentita, infine, una piccola puntualizzazione: le considerazioni che seguono non pretendono affatto di ripercorrere, in
modo esaustivo ed esauriente, un lungo tratto della storia dell' arte e
del diritto. L'attento lettore riscontrer senz' altro, su tutti e due i
fronti, numerose lacune e omissioni e trover le mie scelte arbitrarie.
Tuttavia, rimanendo al problema che mi sono posto, ho cercato pi
che altro di segnire, nelle loro linee generali di sviluppo, alcune tracce che uniscono (pi che distinguere) artisti, giuristi, figurazioni pittoriche e costruzioni giuridiche, secondo un itinerario sociologico
scandito da questioni (per altro legate alla definizione e visualizzazione dello spazio pittorico, giuridico, politico e sociale) che il pi
delle volte consentono una comparazione concettuale e semantica
(sia pur decentrata e dislocata nel tempo) tra differenti ambiti di riflessione spesso ritenuti distanti tra loro. Vi sono, infarti, momenti in
cui il rapporto tra arte e diritto diventa pi visibile: momenti storici,
estetici e sociali che evidenziano una certa concezione del potere, del
politico, della cultura e della scienza. Di qui le mie scelte parziali e
arbitrarie, suscitate e, al contempo, problematicamente limitate alla
presentazione dei temi trattati e finalizzate al raggiungimento di uno
scopo che spero, sia pur nell'incompletezza del lavoro, di avere in parte consegnito. Ci che, infarti, questo libro vuole in fin dei conti indagare, la "discorsivit giuridica" dell'arte (l'ermeneutica del suo dispiegamento storico) e la "figurazione artistica" del diritto. Come si
detto, l'arte .non soltanto semplice rappresentazione del reale, ma
anche una figurazione delle nostre forme mentali e del loro sviluppo
34
Philosophie de l'art del 1893 (opera pubblicata per la prima volta a Parigi in fonna ridotta nel 1865), sotto l'influenza di un Hegel spinto ai
limiti "positivistici" del suo storicismo, nel gettare le basi di una scienza naturale dell' atte concentrava il suo sguardo non tanto nei prodotti
dell'ingegno artistico, ma nel contesto storico e sociale da cui gli stessi
prendono forma. L'estetica moderna, a suo parere, non pi dogmatica) ma finalmente storica, non consiste nella imposizione di precetti,
bens nella constatazione di leggi 42 (Taine 2001, p. 41).
Ed in tal senso che possiamo anche accogliere la nozione di mondo dell' arte cos come ricondotta dal sociologo Howard S. Becker ai
fenomeni sociali, alle organizzazioni e all' azione collettiva: <<l' arte SO~
ciale in quanto viene creata da reti di individui che collaborano tra loro (Becker 2004, p. 388) 43. E anche a partire da qui, da questo presupposto storico 44 e "relazionale", che i <<mondi dell'atte e dell'esperienza giuridica non ci appaiono poi cos distanti: come il diritto, la
41 Possiamo condividere, in tal senso, ci che Erost H. Gombrich dice ancora nella Prefazione al suo libro Norm and Form. Studies in the Art 0/ the Renaissance del 1966: Esso [il suo libro] non vuole certamente sminuire, non diciamo
negare, la creativit dell' artista; tenta semplicemente di mostrare come tale creativit possa svilupparsi solo in un certo clima, e come questo eserciti sulle opere
che ne risultano lo stesso influsso che il clima di una determinata regione esercita sulle forme e sulle caratteristiche della vegetazione (Gombrich 2003b, p. 7).
42 Secondo il "positivismo" di Taine l'estetica (ovvero, una filosofia dell'arte)
doveva basarsi sulla ricostruzione e l'analisi di tutti gli elementi disponibili
(l'ambiente, la concezione della vita e dei valori spirituali di un'epoca) da cui
l'opera d'arte germoglia. Scriveva: TI punto di partenza di questo metodo consiste nel riconoscere che un' opera d'arte non qualcosa di isolato, e di conseguenza nel cercare l'insieme da cui essa dipende e che la spiega (Taine 2001, p.
25). E pi avanti affermava: L'opera d'arte determinata da un insieme che lo
stato generale dello spirito e det' costumi drcostanti (Ibt'd., p. 103); ci che la
storia ha manifestato, l'arte lo riassume (IUd., p. 223).
43 In realt, Becker, il cui libro risale al 1982, considerando l'arte come
azione collettiva, ripropone un'impostazione generale basata sull'analisi dell'organizzazione sociale. Ed proprio a partire da questa prospettiva che pu
concludere il suo libro affermando che il mondo dell' arte riflette la societ in
generale (Becker 2004, p. 390).
44 ovvio qui il rimando a L'opera d'arte nell'epoca della sua riprodudbz'lt't
tecnica, libro del 1936 di Walter Benjamin dove, appunto, leggiamo: Nel giro
di lunghi periodi storici, insieme coi modi complessivi di esistenza delle collettivit umane, si modificano anche i modi e i generi della loro percezione sensoriale. TI modo secondo cui si organizza la percezione sensoriale umana - il medzum
in cui essa ha luogo -, non condizionato soltanto in senso naturale, ma anche
storico (Benjamin 1966, p. 24).
Introduzione
35
tribuiscono a dare una figurazione spaziale alla costruzione della nostra realt. Parla, dunque, di esperienze giuridiche e pratiche arristiche come forme simboliche o, anche, come <<forme significanti
47
(per usare l'espressione di Clive Bell ) che evolvono come evolvono i
contesti sociali, e le "forme di vita" , nelle cui trame continuamente si
45 In tal senso, rimando ancora allibro di Simona Andrini, Le miroir du rel.
Essais sur l'esthtique du droit (Andrini 1997).
" A tal proposito, di Michel Miaille, si veda Le droit par l'nage (Miaille 1990).
"Nel suo libro Art del 1914, Clive Beli definiva, appunto, l'arte come far
ma significante. Ma la sua teoria estetica, che si concentrava esclusivamente
sugli aspetti visivi delle opere d'arte, rimandava a categorie atemporali, a senti
menti indipendenti dal tempo e dallo spazio (Beli 1997, p. 37).
M
36
collocano. Del resto, l sociologia ci ha insegnato che le stesse categorie della mente, lungi dall'essere forme immutabili, eterne, autonome e astratte, hanno una storia che si sviluppa nei processi sociali.
Anche il pensiero pi concettuale, teorico e ideale un pensiero gi
socializzato; e se comunque in grado di trascendere il piano "positivo" dei rapporti sociali perch in quegli stessi rapporti alimenta la
sua capacit di negazione e distacco, la sua possibilit di accedere ad
altro)) e di assumere una distanza critica.
A prima vista, il tema del libro pu certo apparire "astratto", ma,
se facciamo attenzione, dietro questa astrazione si celano i problemi
pi profondi della nostra esistenza concreta, della nostra esperienza
storica; problemi che riguardano le nostre stesse "strutture mentali"
nella misura in cui ritroviamo le stesse alla base di quell'universo delle "morfologie", dove l"'estetica", alla luce del processo dinamico di
produzione di forme (e oltre il mero giudizio di gusto), ritrova - si
detto -la sua dimensione ontologica essenziale.
Da questo punto di vista, non si tratta, pettanto, di ripercorrere le
vicende concettuali di quel "formalismo" (soprattutto di matrice kantiana) che tanto ha condizionato la riflessione giuridica moderna e la
ricerca artistica contemporanea; non si tratta di ripensare la "forma"
nella sua configurazione metastorica e astratta in contrapposizione ad
una sua costituzione dinamica e concreta nello sviluppo di una storicit immanente sempre mutevole e destinata al superamento continuo.
Proprio l'assunzione di questa prospettiva ha finito, infatti, per radicalizzare quella rigida dicotomia che ha visto, da un lato, l'ipostatizzazione della forma (specialmente nel pensiero neokantiano) e, dall'altro,
la sua dissoluzione (soprattutto nel pensiero post-hegeliano). Si tratta,
se mai, di ripensare problematicamente la "forma", oltre questa polarizzazione riduttiva, nella sua capacit jigurazionale (ovvero nella sua
originaria capacit "morfologica", nella sua capacit di costituire
3. Questioni di metodo
"li diritto non appartiene al mondo dei segni sensibili. Cos Paolo Grossi d inizio alla sua Prima lezione di diritto (Grossi 2003, p.
Introduzione
37
5): non ci sono segni visibili, e se pure il diritto si affida a dei segni visibili per una efficace comunicazione, anche senza di essi alcune realt rimangono caratterizzate e differenziate dal marchio
immateriale del diritto (Ibid.).
TI compito che ci proponiamo in questo lavoro di cogliere, attraverso processi culturali e politici, alcuni momenti significativi e
emblematici della storia sociale a partire dai quali il rapporto tra arte
(visiva) e riflessione giuridica rende "visibile" il diritto e pone, al
contempo, l'esperienza artistica di fronte al problema della sua
"normativit" estetica. E ci siamo, ugualmente, impegnati nello sfor~
zo di rendere appunto "visibile" il diritto (il suo marchio immateriale) attraverso i suoi stessi strumenti, gli stessi che, se pensati
nell'ordine della riflessione estetica, lo avvicinano all'esperienza pittorica: un po' come nelle allegorie dei giuristi medievali, che attraverso le "figure angeliche" restituivano una veste visibile all'immaterialit del diritto (Kantorowicz 1989, pp. 234-268) 48.
Dalla pittura, dunque, dobbiamo partire, nella misura in cui cre48 Ernst H. Kantorowicz, ricostruendo il rapporto tra la concezione averroista
del tempo mondano, mutevole e infinito (derivata da Aristotele), e la concezione
scolastica dell'aevum degli angeli celesti (categoria indicante un'indefinita e illimitata estensione temporale), ha mostrato come, a partire dal basso Medioevo, il
pensiero giuridico sia riuscito a sviluppare un nuovo atteggiamento verso il tempo
e, su questa base, l'idea delle persone fittizie (Kantorowicz 1989, pp. 234-268).
Scrive Kantorowicz: << vero che esisteva un equivalente cltraterreno del tempo
mutevole e infinito attribuito dagli averroisti a questo mondo: l'aevum degli angeli
celesti. TI fatto meno sorprendente di quanto sembri considerato che le intelligenze celesti - gli spiriti privi di corpo materiale - erano le idee create o i prototipi
di Dio. Esse erano la derivazione cristiana in senso trascendentale, non delle idee
platoniche che avevano uno status autonomo, ma degli aristotelici eidon, le attualizzazioni immanenti dei tipi separati. La riscoperta dell' "eternit del mondo" aristotelica, che presupponeva l'immortalit dei generi e delle specie separate, e ne
derivava, era quindi una vera versione "secolarizzata" dell'aevum angelico:
un'infinita continuit temporale era, per cos dire, trasferita dal cielo alla terra e
riacquisita dall'uomo (Ibid., p. 241). Le collettivit personificate e "deindividualizzate" dei giuristi, che dal punto di vista giuridico erano specie immortali, finirono dunque per vedersi attribuiti tutti i caratteri per altri versi riconosciuti agli angeli; le "persone fittizie" giuridiche, secondo la ricostruzione di Kantorowicz, non
erano che attualizzazioni pure apparendo cos strettamente imparentate con le
finzioni angeliche (Ibid., p. 241). Detto altrimenti, i giuristi medievali (e, in special modo, i canonisti), per risolvere il problema della continuit e perpetuit nel
tempo delle istituzioni umane - per risolvere dunque il problema della temporalit
- elaborarono un concetto di "persona fittizia" e "deindividualizzata", attribuendole i caratteri riconosciuti agli angeli (quali creature immortali, incorporee, intennedie, poste tra Dio e gli uomini, destinate a sopravvivere alla fine del mondo).
38
diamo che il richiamo alla sua attivit, alla sua capacit figurazionale,
ci permette di cogliere ci che, pi nel profondo, consente al diritto
di procedere e accedere alla sua visibilit.
Merleau-Ponty, nel suo ultimo saggio del 1960 dedicato ai problemi della pittura e della visione, cos scriveva:
Da Lascaux ai giorni nostri, in qualsiasi civilt nasca, di qualsiasi
credenza, di qualsiasi motivazione, di qualsiasi pensiero, di qualsiasi cerimonia si circondi, pura o impura, figurativa o no, la pittura, anche
quando sembra destinata ad altri scopi, non celebra mai altro enigma
Introduzione
39
40
Si tratta certo di considerazioni importanti, che ci aiutano a rileggere le vicende dell' arte su un piano sociale pi ampio. Tuttavia, in
questa sede, non ci porremo il difficile compito di ripercorrere il
53 Leggiamo pi avanti: La povert e lo scacco della scienza sociale di fronte
all'arte pi moderna non sono frutto del caso: quest'arte, ponendosi volutamente o
involontariamente in contrasto con ci che rendeva possibile una larga recezione
sociale dei prodotti artistici, divenuta anche indifferente agli occhi di chi registra
i fatti sociali come tali, e tanto pi a una concezione che si fa un idolo della disponibilit sociale e della funzione sociale senza indagare la sostanza obiettiva dei fatti
studiati, e tenendosi ben lontana da ogni critica all'ordine sociale attualmente dato-;
in questa prospettiva l'arte socialmente irrecepibile appare come follia dell' asocialit. Ma la contraddizione che si va approfondendo tra societ e arte nuova non
ancora intesa nei suoi tennini razionali: e in luogo dell' elaborazione concettuale
prevale la tendenza sterile e antidialettica a mantenere le due sfere separate nella
loro separazione pura e semplice, o, se l'orientamento prevalente quello sociale, a
lanciarsi a priori dal lato del collettivo e contro l'arte moderna. [ .. ,] li comportamento estetico, di per s, stato sempre complementare alla socializzazione via via
crescente degli uomini, che in essa non trovano, tuttavia, la realizzazione piena della propria umanit (Horkheimer-Adorno 1966, pp. 120-121).
Introduzione
41
problema dell' arte attraverso un' analisi generale delle sue condizioni
(e dei suoi condizionamenti) sociali; n, tanto meno, ci dedicheremo
a ricostruire e discutere le questioni della sociologia dell' arte nei suoi
variegati e molteplici aspetti teorici. Come gi accennato, le pagine
che seguono vogliono altres suggerire un percorso analitico in ordine al legame profondo che, specialmente a partire dal XV secolo, caratterizza il rapporto complesso tra fenomeno artistico (soprattutto
nel suo versante pittorico) e razionalit giuridica; uno studio, non
certamente esaustivo, sistematico e completo, che si spera possa for-
nire al lettore una possibile interpretazione sociologica delle condizioni sociali che, in linea di tendenza, hanno favorito nel corso di un
tempo assai lungo e sconnesso, e nel dispiegamento di uno spazio
relativamente coerente, il rapporto reciproco tra strutture mentali,
figurazione estetica e riflessione giuridica.
Allo stesso tempo, si cercher di ripensare il valore allegorico 54
dell'immaginario dell'arte (e della sua potenza evocativa) percorrendo una strada analitica che privilegi non tanto il suo rapporto mimetico ad una realt "naturale)) costituita in se stessa e gi data (e consegnata) a quella percezione sensoriale di cui l'immagine artistica non
sarebbe altro che mera organizzazione formale. Si cercher, al contrario, di tipercorrere quel processo di costruzione della realt che vede proprio nell' esperienza pittorica un particolare e significativo momento di elaborazione di senso: quel senso che nell'esperienza giuridica trova appunto un suo importante corrispettivo simbolico.
Detto altrimenti, proveremo a ricostruire ci che, nell' esperienza
artistica, definisce il processo di costituzione dell'immagine, ovvero,
di individuare (attraverso la precostituzione di modelli "idealtipici")
quelle strutture intellettuali, storiche e sociali che permettono (ed
hanno permesso) una particolare realizzazione simbolica di figurazioni formali. E ancor di pi, entro i margini stabiliti da questa ricognizione, cercheremo di ripensare quelle configurazioni semantiche
attraverso le quali, in modo diverso nel corso della storia, si sono
elaborati, disposti, definiti, costruiti e intrecciati una serie di discorsi
tesi tendenzialmente a "oggettivare" determinate visioni del mondo e
a valorizzare specifiche pratiche sociali. In sintesi, concentrando la
nostra attenzione sulle pratiche artistiche che, a partire dal Rinascimento italiano, hanno consolidato i termini espositivi di un nnovo
spazio figurativo, si cercher di riconsiderare prima di tutto il valore
~4 Usiamo "allegoria" nella stessa accezione che le attribuiva Walter Benjamin ne Il dramma barocco tedesco (1928), riflettendo sull'arte del diciassettesimo
secolo: convenzione e espressione (Benjamin 1980, pp. 180-1).
42
simbolico e tecnico dlla prospettiva centrale e lineare alla base di alcune elaborazioni concettuali che, a partire da esigenze diverse (estetiche, politiche, giuridiche, culturali e sociali), hanno significativamente segnato il corso del pensiero occidentale.
Diciamolo subito: lo strumento tecnico della prospettiva "centrale" e "lineare", non la sola formula conosciuta e praticata nel Quattrocento italiano; non un sistema razionale astratto e immutabile,
pi di ogni altro adeguato e conforme, nella sua evidenza assoluta,
alla struttura dello spirito umano; non un' eterna categoria dello
spirito svincolata da ogni rapporto storico e sociale; non corrisponde, sul piano (sia storico che spirituale) di un presunto sviluppo evolutivo della ragione, a un "passo" compiuto dall'umanit verso la
sempre pi giusta rappresentazione del mondo esterno. Si tratta, al
contrario,
sato su una certa condizione delle tecniche, della scienza, dell' ordine
sociale e culturale, possibile in un dato momento storico (in un dato
periodo delle civilt occidentali) e relativo ad una specifica attitudine
collettiva nei confronti dell' agire e del mondo esterno. Detto altrimenti, e in modo pi generale, possiamo, in tal senso, ammettere che
1'esperienza visiva, cos come la percezione e la rappresentazione,
non mai
nuta da saperi storicamente e socialmente condizionati, che si esprimono in un "linguaggio" e in un sistema di notazione concettuale.
si tratta di ripercorrere la traiettoria di una pretesa filosofia della storia (dell' arte e delle idee) sviluppata (senza cesure) in senso razionale, progressivo e lineare, n di considerare le immagini e le forme pittoriche alla stregua di realt naturali (o di astratte "oggettivit").
L'arte stessa non un'invariante della condizione umana. Non esiste
un concetto unico e astratto di arte che attraversa le civilt e le epoche. Questa astrazione (frutto di una nozione tardiva propria dell'Occidente moderno) che procede insieme all'idea di una "storia dell'arte" pensata nel dispiegamento evolutivo di un tempo lineare progressivo, in realt soltanto la proiezione storica di un'idealit dell'''arte moderna" che trae la propria giustificazione soltanto da se stessa. Al contrario, ogni et dell'immagine - come ha evidenziato giustamente Debray - ha il proprio tipo d'arte (Debray 2010, p. 108).
Si tratta, allora, per noi di capire come attraverso un processo di
Introduzione
43
40).
44
d'insieme.
Facciamo allora proprie le riflessioni che Pierre Francastel poneva ad introduzione di un suo testo del 1951: Le opere d'arte non
sono puri simboli, ma autentici oggetti necessari alla vita dei gruppi
sociali. Possiamo ricercare nelle opere d'arte testimonianze sui riflessi e sulle strutture mentali del passato e del presente (Francastel
2005, p. 16). E aggiungiamoci anche - per andare ancora pi al centro del nostro percorso - quest'altra intuizione che ci ha lasciato in
consegna Rgis Debray nel 1993: <<L'inconscio artistico di un'epoca
la coscienza politica della successiva" (Debray 1997, p. 111). E potremmo anche dire giuridica, se vero, come cercheremo di dimostrare, che proprio nella realizzazione prospettica dello spazio figurativo, fondamento "scientifico" di quella grande rivoluzione mentale
che interess il Rinascimento italiano, possiamo gi scorgere gli elementi ideali (e non ancora del tutto coscienti) dello svolgersi di una
ragione giuridica destinata, di l a poco, ad affermarsi nella sua pi
chiara evidenza.
Tuttavia, per ragioni di efficacia espositiva, nel discorso che segue
invertiremo il percorso semantico il cui ordine logico (e cronologico)
abbiamo adesso enunciato. Parleremo, in prima battuta, di quei mutamenti che hanno coinvolto, alle soglie dell' et moderna, la riflessione politica e la prassi giuridica e che appunto - secondo l'ordine e
la direzione che abbiamo deciso di dare alla nostra ricostruzione
idealtipica - ritrovano i germi del loro successivo sviluppo in quello
stesso processo di intellettualizzazione che, sul piano della figurazione spaziale dell' arte, aveva incontrato la sua precedente - estetica formulazione (e formalizzazione).
Un'ultima notazione. Nel momento stesso in cui poniamo il problema della costruzione sociale della realt - la realt sociale come
processo di costruzione o la realt come processo di costruzione sociale 56 _, arte e diritto ci appaiono come esperienze che partecipano
ad un'origine comune. TI diritto appare insieme all'arte;
0,
piuttosto,
Introduzione
45
liche, lo scopo della filosofia non consiste nel ritornare al di qua di tutte queste
creazioni, ma invece nel comprenderle e renderle coscienti nel loro fondamentale principio creativo. Solo in questa consapevolezza il contenuto della vita si eleva alla sua forma autentica. La vita emerge dalla sfera della mera esistenza data
da natura: essa non rimane n un elemento di questa esistenza, n un processo
meramente biologico, ma si trasforma e si perfeziona diventando forma dello
spirito". Quindi in realt la negazione delle forme simboliche, anzich afferrare
il contenuto della vita, distruggerebbe invece la forma spirituale alla quale questo contenuto si dirnostra per noi legato necessariamente. Se si percorre, invece,
il call1l1lino inverso, se non si persegue l'ideale di una passiva contemplazione
della realt spirituale, ma ci si trasferisce al centro della loro attivit, se esse vengono intese non come inerte contemplazione di un ente, ma come funzioni di
energie formatrici, si potranno alla fine in questa stessa attivit formatrice, per
quanto diverse e varie le forme possano essere, ricavare certi tratti fondamentali
comuni e tipici dell'attivit formatrice stessa (Cassirer 2004, p. 59). Ne consegue che <<un solo e medesimo complesso ottico pu essere trasformato ora in
questo ora in quell'oggetto spaziale, pu essere "visto" ora come questo, ora
come un altro oggetto (IbM).
46
Fanna simbolica - in quanto mondo concettuale della conoscenza o mondo intuitivo dell' arte, cos come quello del mito o del
linguaggio - energia dello spirito mediante la quale un segno sensibile viene collegato a un contenuto spirituale significativo: correlazione essenziale di significato e segno.
L'analisi del linguaggio mostrava, in effetti, a Cassirer che ogni
espressione linguistica, lungi dall' essere una mera copia del mondo
della sensazione o dell'intuizione che ci dato, racchiude, invece, in
s un carattere determinato di "significazione" (Cassirer 2004, p.
51). E ancora leggiamo:
Anche il disegno artistico diviene ci che , e per cui si distingue da
Per indicare la correlazione essenziale tra segno e significato, Cassirer, non a caso, prende ad esempio il disegno artistico. Ma allo
stesso modo, per descrivere il processo "selettivo" attraverso il quale
procede la formazione concreta della coscienza, si riferisce alla percezione e alla nozione di spazio.
La percezione non conosce il concetto di infinito, ma legata fro da
principio a determinati limiti della facolt percettiva e quindi a un ben
delimitato campo dello spazio. E come non si pu parlare di un'infinit
dello spazio percettivo, cos neppure si pu parlare di un'omogeneit di
esso. L'omogeneit dello spazio geometrico si fonda in definitiva sul fatto che i suoi elementi, i punti in esso riuniti non sono semplici determinazioni di posizione, che fuori di questa relazione, di questa "posizione", in cui si trovano gli uni rispetto agli altri, non possiedono alcun
contenuto proprio e indipendente. TI loro essere si risolve nella loro relazione reciproca: un essere puramente funzionale e non sostanziale.
[.. J Lo spazio omogeneo non quindi mai lo spazio dato, ma lo spazio
generato per costruzione. [ .. J Nello spazio della percezione immediata
Introduzione
47
questo postulato non pu essere mai realizzato. lvi non c' alcuna rigorosa
unifomllt di luoghi e di direzioni, ma ogni luogo ha la sua propria natura
e il suo proprio valore. Lo spazio visivo e lo spazio tattile hanno questo di
comune che, in opposizione allo spazio metrico della geometria euclidea,
sono "anisotropi" e "inomogenei": "le principali direzioni dell'organizzazione: avanti-dietro, sopra-sotto, sinistra-destra sono, nei due spazi fisiologici, parimenti ineguali nel valore (Cassirer 1964, pp. 121-2).
E qui Cassirer riprende la teoria psicologica dello spazio di William James, ovvero, il motivo della selezione quale condizione essenziale per la formazione della rappresentazione dello spazio; e la
riprende per evidenziare come la funzione simbolica risalga ad
uno strato della coscienza molto pi profondo di quanto comunemente si crede: alle f'orme primarie della percezione prima che intervenga la conoscenza teorica propria della scienza.
"Siccome i modi di manifestazione di ogni cosa reale sono molteplici, ma la cosa come tale soltanto una, otteniamo, ponendo questa in
luogo di quelle, lo stesso risultato spirituale che si ottiene quando prescindiamo dalla differenza che sussiste fra le nostre rappresentazioni e
dalle loro qualit mutevoli e scorrenti, e usiamo in luogo di esse determinati e immutabili nomi". In virt di questo processo, i singoli valori
spaziali acquistano una peculiare "trasparenza". Come attraverso l'accidentale colore dell'illuminazione, in cui vediamo l'oggetto, scorgiamo il
suo colore permanente, cos le molteplici immagini ottiche, che sorgono
per esempio nel movimento di un oggetto, in tutta la loro particolarit e
in tutto il loro mutare ci permettono di vedere la sua "forma permanente". Esse non sono semplici "impressioni", ma hanno la funzione di
"rappresentazioni"; da "affezioni" diventano "simboli" (Ibid., p. 209).
48
il predicato dell'uniformit, n quello della continuit o infinit, nel senso in cui la matematica definisce e usa questi predicati. Ma nonostante
questa differenza entrambe rinviano a un elemento comune, in quanto si
manifesta e si esprime in esse una determinata maniera e direzione di
formazione di costanti. Felix K1ein ha mostrato che la "forma" di ogni
geometria dipende da quali determinazioni e relazioni spaziali vengono
in essa scelte e poste come invariabili. L'ordinaria geometria "metrica"
parte dal presupposto di considerare come "essenziali" a una figura spaziale tutte quelle propriet e relazioni di essa che non vengono modificate da certe ben determinate trasformazioni: da uno spostamento della figura nello spazio assoluto, da una proporzionale crescente o decrescente
dei suoi singoli elementi determinati e infine da certe inversioni nell' ordine delle sue parti. Una figura pu essere passata attraverso un numero
comunque grande di tali trasformazioni, e rimane tuttavia, nel senso della geometria metrica, ancor sempre la stessa figura; rappresenta tuttavia
un :oncetto geometrico identico con se stesso. Ma nello stabilire tali
concetti noi non siamo certo legati una volta per sempre alla scala di determinate trasformazioni (Ibid., p. 210).
Introduzione
49
Cos dalla teoria dello spazio passiamo alla teoria generale del concetto: l' unit di visione presuppone il concetto; ci che ne forma il contenuto logico e la funzione logica (Ibid., p. 214). E ci appare evidente non solo nella costruzione dello spazio geometrico, ma
anche nella formazione dello spazio empirico dell'intuizione che
sempre risale ad un atto
pie; un atto di scelta che richiede, ogni volta, un determinato criterio, un determinato punto di vista attorno al quale i fenomeni
vengono per cos dire fatti ruotare come intorno a dei cardini (Ibid.,
p.215).
Se ben capiamo, allora, la funzione teorica fondamentale che
domina la struttura complessiva della realt spaziale presuppone un
processo selettivo.
Solo in quanto la percezione non rimane semplice apprensione di
un elemento singolo, dato qui ed ora, solo in quanto essa acquista il carattere di "rappresentazione", la varia molteplicit dei fenomeni si raccoglie in un "contesto dell' esperienza". La distinzione fra i due elementi
fondamentali della rappresentazione, fra "rappresentante" e "rappresentato", reca in s il germe dal cui sviluppo e dalla cui completa evoluzione
Ad altra esperienza rimanda, invece, la "fenomenologia ermeneutica" di Heidegger (superamento della "fenomenologia trascendentale di Husserl che indicava ancora un soggetto autoreferenziale ed autosufficiente). Tale esperienza non nega l'esistenza dei contenuti e dei
processi mentali, intenzionali, percettivi e rappresentativi, ma rinvia
(o di una teoria computazionale della mente) e non spiegabile attraverso il rapporto soggett%ggetto (res cogitans/res extensa). Detto altrimenti, secondo il fIlosofo, l' epistemologia soggett%ggetto presuppone un sostrato di esperienze quotidiane (uno stato di cose rimasto
fino ad oggi precluso al pensiero) alle quali non corrispondono rap-
50
allo scacco perch sempre "mediato" dall'ineliminabile profilo "prospettico" (in senso nietzscheano) ordinato alla nostra esperienza finita;
quella stessa esperienza che postula e attesta l'impossibile accesso immediato alla "verit" dell' essere e l'irriducibile estraneit dell' origine 60.
59 A tal riguardo, per una critica heicleggeriana al cognitivismo e al modello
computazionale della mente (versione pi recente dell'idea mentale-rappresentazionale di Cartesio), si pu seguire il discorso eli Hubert L. Dreyfus. In quanto
basata sul Daset'n, la visione di Heidegger, leggiamo, mette in discussione proprio il modello computazionale della mente che sta a fondamento dei tentativi
dell'intelligenza artificiale di riprodurre la mente dell'uomo tramite computer
sofisticati. Heidegger ci dice che proprio l'esser-ci dell'uomo ci impossibile
simulare, nemmeno dal pi sofisticato e complesso dei computer: la specificit
dell' essere data dal suo relazionarsi al mondo esterno, non solo nel rapporto
tra stati mentali e realt oggettiva, ma nel modo in cui l'essere "incontra" il
mondo (Dreyfus 2003, p. 98).
60 Sul piano delle scienze neurologiche e comportamentali, Gregory Bateson,
Introduzione
51
52
Nello studio dei processi cerebrali" (come processi dinamici capaci di fornire, attraverso diversi sistemi selettivi - attraverso la
propriet integrativa delle reti selettive -, i meccanismi necessari
alla coscienza) anche Edelman (come Cassirer) riprendeva le analisi
sviluppate da William James nei Principi di psicologia del 1890 <La
coscienza un processo, non un oggetto), e aggiungeva: TI processo della coscienza scaturisce dal funzionamento del cervello (Edelman 2004, p. 41). E anche lui (come ancora Cassirer), pur non passando - per una teoria del concetto - dal campo di una <<filosofia
della natura a quello di una filosofa della civilt, nel descrivere gli
stati selettivi della coscienza nel processo di produzione percettiva
dell'immagine, richiamava l'esempio dell' occhio:
Prendiamo, per esempio, la retina e i suoi movimenti. La retina ha
una regione centrale con un grande potere di discriminazione (la fovea)
e l'occhio stesso 'Si muove compiendo rapidi salti, detti saccadici. Nella
visione, anche se una scena appare abbastanza uniforme fino alla "frangia", la discriminazione foveale centrale senza dubbio pi precisa, anche cos' la coscienza non significa voler spiegare anche come accade l'evento
che produce l'opera d'arte o l'idea scientifica. N significa dare una spiegazione
di noi stessi come persone, come individui che pensano se stessi Comprendere
la coscienza significa innanzitutto studiare il complesso meccanismo del funzionamento del cervello e del corpo umano. Un'epistemologia biologicamente fondata non dar forse una risposta esauriente alla singolarit dell'individuo, alla
sua capacit di creare, di provare emozioni e di produrre opere artistiche, poetiche, musicali, pittoriche o idee scientifiche, ma certamente contribuir a rendere
la nostra vita pi ricca (Ibid., pp. 126-7). Tali idee hanno trovato una condivisione anche in filosofi come Jerry A. Fodor, Richard Rorty e John R. Seade. li
primo, partendo dall'idea che la materialit della mente la stessa del cervello e
che res cogitans e res extensa sono la medesima cosa, e non due elementi in contrapposizione e diversi tra loro, scriveva: L'intelligenza artificiale vorrebbe
cercare di dimostrare che i processi mentali funzionano come i programmi di un
computer, che sono perfettamente riproducibili e simulabili, e che quindi possibile costruire degli artefatti intelligenti. Riguardo a tale ipotesi di simulazione
dell'intelligenza e del pensiero dell'uomo, personalmente non penso che vi sia
grande interesse nelle indagini delle scienze artificiali (Fodor 2003, pp. 137-8).
TI secondo affermava: I calcolatori di cui disponiamo sono troppo stupidi per
poter essere utilizzati come giudici o avvocati d'accusa. Se nel futuro i progetti
dell'intelligenza artificiale dovessero progredire al punto di riuscire a costruire
delle macchine-giudicatrici, allora si porr effettivamente il problema del loro
utilizzo nelle aule dei tribunali (Rorty 2003, pp. 165-6). E il terzo asseriva:
Mente, coscienza, intenzionalit, credenze e desideri sono fenomeni ben pi
complessi di quanto potrebbe mai esserlo il pi sofisticato dei computer progettabili (Searle 2003, p. 183).
Introduzione
53
Anche qui la visione spaziale, percepibile come scena, restituita attraverso l'attivit selettiva di una mente che procede nei modi
costruttivi tipici della processualit pittorica: attraverso la visione,
l'occhio, la mente, dipinge la scena.
'Ie:
* ,';
Riflettendo sull'esperienza sensoriale e sulla percezione visiva come attivit conoscitiva, Rudolf Amheim, nel suo Il pensiero visivo del
1969, definiva l'attivit artistica come una forma di ragionamento,
nella quale percepire e pensare sono cose inseparabilmente interconnesse (Arnheim 1974, p. IX) 62. E anche qui, sulla base di una riflessione che deve molto alla psicologia gestaltica, in ordine alla percezione della forma come attivit che coglie elementi strutturali generici, riemergeva il tema della selezione, ovvero, della selettivit
attiva del processo visivo.
Per interpretare adeguatamente il funzionamento degli organi di
senso, necessario tener presente che essi non sono comparsi come strumenti conoscitivi per amor di conoscenza, ma si sono evoluti come ausili
biologici per la sopravvivenza. Fin dall'inizio hanno mirato, e vi si sono
concentrati, su quegli elementi dell' ambiente che davano luogo alla differenza fondamentale tra favorire e soffocare la vita. TI che significa che
la percezione finalistica e selettiva. Ho gi notato che vedere viene sperimentato come un'occupazione estremamente attiva (Ibid., pp. 25-6).
Secondo il ragionamento di Amheim (che in parte presenta assonanze sia con il pragmatismo, sia con il "prospettivismo genealogico"
nietzsheano), la <<selettivit attiva una caratteristica fondamentale
62 Riferendosi al suo libro - un libro che indaga 1'arte in quanto strumento della ragione e si concentra sugli aspetti effettivamente creativi della
mente - cos scriveva Arnheim: Lo si potrebbe chiamare un rovesciamento
dello sviluppo storico che port, nella filosofia ottocentesca, dall' aisthesis
all'estetica, dall'esperienza sensoriale in generale all'arte in generale (Arnheim 1974, p. IX).
54
Introduzione
55
p.23)".
Ora, non solo gli studi sull' arte e la percezione visiva, la filosofia
delle forme simboliche, la psicologia gestaltica, l'estetica, le neuroscienze e le scienze cognitive, ma anche la cibernetica, la teoria dei
sistemi e la teoria dell'informazione, definiscono, nelle relative differenze, una base formale attraverso la quale possibile elaborare una
67 Coomaraswamy sempre colui che, nella recensione al libro di G .H.
Hardy, A Mathematidan's Apology del 1941, riportava le seguenti parole: Come il pittore e il poeta, il matematico un costruttore di modelli. [' . .J I modelli
del matematico, come quelli del pittore e del poeta, devono essere belli; al pari
dei colori e delle parole, le idee devono amalgamarsi in modo armonioso. La
bellezza la prima prova: non pu esserci un posto stabile nel mondo per delle
brutte matematiche (Coomaraswamy 2005, p. 149).
56
(un computer o lilla struttura biologica), Cos scriveva: Noi siamo delle macchine, e non in senso metaforico, ma in senso letterale. Siamo macchine fatte di
altre macchine: Le proteine di cui siamo composti sono esse stesse delle macchine, dei meccanismi. E il cervello a sua volta un'immensa macchina per molti
versi simile al computer (Dannet 2003, p. 75). Altra posizione, ad esempio,
quella "analitica" di Donald Davidson, per il quale i processi mentali sono processi fisici che, tuttavia, non sono riconducibili alle leggi naturali della fisica.
Sono convinto - scriveva - che non esistono cose come la "mente", e tuttavia
incontestabile che le persone possiedano propriet mentali. [ ... ] Le propriet
mentali sono in continuo mutamento e tale mutamento ci che costituisce gli
eventi mentali. [ ... ] Tutti gli eventi mentali sono casualmente correlati al mondo
fisico. Per esempio: le credenze e i desideri causano le azioni dell' agente, e le
azioni causano cambiamenti nel mondo fisico. Gi venti del mondo fisico, a loro
volta, possono causare mutamenti nelle nostre credenze, intenzioni e desideri
(Davidson 2003, pp. 48-9). Per Marvin lVlinsky, autorit riconosciuta nel campo
dell'Intelligenza artificiale, la mente, invece, semplicemente ci che fa il cervello. Leggiamo: Ogni volta che parliamo di mente, parliamo dei processi che
portano il nostro cervello da uno stato all' altro. Ed questo che ci fa apparire la
mente tanto separata dalla sua espressione fisica: infatti i problemi riguardanti la
mente riguardano in realt relazioni fra stati; e questo non ha nulla a che fare
con la natura degli stati in s (lVlinsky 1989, p. 563). E pi avanti aggiungeva:
Non vi alcun motivo per credere che il cervello sia qualcosa di diverso da una
macchina con un numero enorme di componenti che funzionano in perfetto accordo con le leggi della fisica. Per quanto ne sappiamo, la mente soltanto un
processo complesso (Ibid., p. 565). Certo, come si pu immaginare, critiche al
riduzionismo della visione cibernetica della mente umana, non sono mancate (e
a ragione). Ne ricordo qui solo una, quella dello scienziato genetista Richard
Lewontin: Non esistono "modelli tipo computer" validi per il cervello, almeno
nessuno che possa essere preso sul serio. Cio non esistono modelli di hardware
del cervello in cui ci siano equivalenti biologici della memoria ad accesso casuale
(random access memory, RAM), delle unit centrali operative (centraI processing
unz'ts, CPU), circuiti di verifica di errori, e tubi catodici. Esistono, tuttavia, modelli di processi mentali di tipo "computazionale" o di tipo "programmi di
computer" che vengono poi fatti girare effettivamente su veri computer, ma tutti
sono d'accordo che si tratta di semplici simulazioni dei reali processi del pensie-
Introduzione
57
58
Introduzione
59
60
vare alla teoria dell' arte deviando dalla strada diretta (Ibid., pp. 31-2).
Si tratta, allora, di connettere le cose ideali e pi elevate dell'esperienza con le radici vitali di base; di mettere in connessione
le alte realizzazioni dell' arte bella con la vita comune 7). Perch
72 In questi termini Dewey, nel capitolo dedicato alla storia naturale della
forma del suo Arte come esperienza del 1934, affrontava il problema della forma:
~<In poche parole, la forma - cos scriveva - non si trova esclusivamente in oggetti etichettati come opere d'arte. Ogni volta che la percezione non stata spuntata e alterata c' una tendenza inevitabile a sistemare eventi e oggetti secondo le
esigenze di una percezione compiuta e unificata. La forma un carattere di ogni
esperienza che sia una esperienza. L'arte in senso specifico presenta con maggior
intenzione e pienezza le condizioni che generano questa unit. La forma si pu
allora definire come evento di forze che portano a totale compimento l'esperienza
di un evento, di un oggetto, di una scena e di una situazione. La connessione tra
forma e sostanza quindi intrinseca, non imposta dall' esterno. Contraddistingue la materia di un'esperienza portata al suo perfezionamento (Dewey 2010,
p.147).
7l La compartimentazione delle attivit e degli interessi -leggiamo nel capitolo La creatura vivente e le "cose eteree" - provoca la separazione di quel genere
Introduzione
61
62
Introduzione
63
243)".
Capograssi coglieva, in effetti, quel primato del "collettivo" sul79 Anche la realt giuridica ha acquistate profondit e complessit che sembravano escluse dalla linearit quasi astratta con la quale l'edificio della legislazione statale si presentava. Cos scriveva ancora Capograssi. E subito dopo aggiungeva: Questo mutamento della concezione del diritto e della realt giuridica ha molteplici cause ideali e storiche, ma una essenzialissima. La nostra epoca
si caratterizza per il singolare predominio che il collettivo, sotto ogni forma, sotto innumerevoli forme, a preso sull'individuale. Una serie quasi innumerevole di
formazioni di ogni genere, e in ogni campo, tiene chiuso in s l'individuo, lo incorpora e lo costringe alla partecipazione della vita collettiva, lo sottopone alla
osservanza di obbligazioni complesse e molteplici, di adempimenti coattivi, di
adesioni costanti agli scopi comuni di queste formazioni. Dal campo economico
salendo sino ai campi della politica e della cultura questa rete di sistemi e di
formazioni collettive occupa a poco a poco tutta l'area della vita e l'individuo si
trova preso dentro di essa e partecipa ad attivit e a finalit che hanno la caratteristica di essere esteriori alle sue attivit e finalit. Quasi per dimostrare praticamente la inscindibilit dei due aspetti del fatto giuridico !'istituzione e la norma,
questi vasti sistemi di formazioni collettive si estrinsecano in vasti sistemi di discipline, di leggi, di norme (sotto i nomi pi diversi di statuti, di regolamenti, di
istruzioni, di programmi ecc.) che rinchiudono la vita dell'individuo in un sistema di discipline, molteplici e tra loro talvolta opposte. Ed tale la forza di queste discipline, la virt di volont viva che esse hanno, che talvolta esse arrivano
persino a comprendere e coinvolgere nel proprio dominio gli individui che non
fanno parte di quelle formazioni. Questa molteplicit di ordini giuridici che la
teoria cerca di spiegare e costruire, nella pratica costituisce l'esperienza pi viva
e pi sofferta (ma anche la pi voluta) dell'individuo contemporaneo. A tratti la
vita giuridica contemporanea sotto certi aspetti per la singolare fecondit di
formazioni collettive e di sistemi normativi concorrenti e divergenti sull'unico
soggetto, ripresenta alcuni profili della vita medievale, contrassegnata anch'essa
dalla molteplicit delle discipline collettive e delle autorit che tenevano regolata
in isfere coesistenti la vita dell'individuo (Capograssi 1959b, pp. 214-5).
64
do della storia, di questo principio fondamentale del diritto dell'individuo e delle libere spontaneit sociali di svolgere il proprio destino, di essere se stesse, e quindi di salvaguardare la variet profonda della vita so-
ciale, la libera molteplicit delle forme, dei valori e delle esperienze che
fanno umana la vita, impedendo, traverso le resistenze gli antagonismi e
TI diritto, pertanto, veniva ricondotto al piano giuridico dell' esperienzialit, ovvero, a quella esperienza giuridica che, affondando le
sue radici nella variet profonda della vita sociale, si esprimeva attraverso la costruzione delle libere e molteplice forme del suo esistere.
Veniva ricondotto, potremmo anche dire, a quell'Erleben originario,
a quell' esperire capace di custodire le forme giuridiche in un'unit
della vita che non conosce fratture; a quella storicit del vissuto in
cui la molteplicit delle forme (nel loro valore eminentemente esteti-
Introduzione
65
co) non compare se non come la condizione della libert, della spontaneit e dell'immediatezza dell'esperienza sociale; a quella storicit,
infine, non riducibile ai termini dello storicismo so.
Ricapitolando, dunque, da questo punto di vista, arte e diritto,
quali forme inerenti il continuo processo creativo della vita 8', si incontrano sul piano dell' esperienza: arte come esperienza ed esperienza giuridica. Come si incontrano, potremmo anche dire, in quel
<<Vissuto che definisce fenomenologicamente l'husserliano Lebenswelt,
il mondo-della-vita, quel mondo che gi sempre accessibile prima di qualsiasi scienza, prima che intervenga ogni distinzione tra una
ragione pratica, teoretica o estetica 82 (Husserll961).
Pi tardi, nel 1960, con Verit e metodo, Hans Georg Gadamer
ritorner sul concetto e sulla storia del termine Erlebnis (il "vissuto",
l'''esperienza'' vissuta" - termini ancora mantenuti distinti nella fenomenologia di Husserl) per riflettere sul significato ermeneutico
dell' opera d'arte, dell' esperienza estetica, ovvero, sul modo di essere
dell'esteticit 83. In altri termini, ripartendo dalla fenomenologia, Ga80 In un altro saggio del 1953, Incertezze sull'individuo, leggiamo queste parole: Si assiste al paradosso, che, quanto pi si parla di storia e di storicismo,
quanto pi si risolve tutto in storia, tanto pi gli individui perdono il senso della
storia e dei loro legami vitali con la vita dei padri. L'individuo senza individualit tende ad essere un individuo senza genitori (Capograssi 1969b, p. 141).
81 In effetti, la dialettica tra vita e fonne - che attraversa il novecento filosofico (sulla scia, ad esempio, del pensiero nietzschiano, o, nelle dovute differenze,
neokantiano, vitalista o bergsoniano) e il novecento letterario (si pensi, tra gli
altri, a Kafka o a Pirandello) - centrale nella sociologia di Georg SimmeL Lo
studio della dinamica delle forme della cultura e delle fonne delle relazioni sociali attraversa la sua intera opera, dal saggio Come si conservano le forme sociali
pubblicato negli "Anne sociologique" nel 1897 (Simmel 1976), alla Soziologie
del 1908 (Simmel 1998) e alla Grund/ragen der Sozi%gie del 1917 (Simmel
1983), per fare solo degli esempi. E si evidenzia, essenzialmente, come conflitto
(tragico) tra l'elemento dinamico della vita e i prodotti rigidi e oggettivati delle
fonne (culturali, estetiche e sociali).
82 E qui ci riferiamo soprattutto a La Crisi delle Scienze europee e la fenomenologia trascendentale, l'ultimo grande lavoro di Edmund Husserl, il cui manoscritto principale risale al 1935-6 (Husserll961).
81 ~<Ogni Erlebnis _ scrive Gadamer - si stacca dalla continuit della vita e insieme in relazione con la totalit della vita di ciascuno. E subito dopo, commentando i risultati delle sue analisi su tale concetto (e qui incontriamo, soprattutto Dilthey e Husserl, ma anche Simmel e Bergson) continua: <<L'Erlebnis
estetico non solo una specie di Erlebnis accanto ad altri, ma rappresenta
l'essenza specifica dell'Erlebnis in generale. Come l'opera d'arte in quanto tale
costituisce un mondo a s, cos ci ch' esteticamente sperimentato e vissuto,
66
damer riconduceva l'esperienza estetica (in quanto modo dell' autocomprensione) al contesto reale, alla storia del singolo e del mondo;
e riportava l'opera d'arte, in quanto Cebilde, ,<forma-immagine, al
suo originario rapporto con la verit. Centrale, in tal senso, il concetto di rappresentazione (o autorappresentazione) come evento (nel
senso heideggeriano) di cui l'artista (l'esecutore) e l'interprete-lettore
.
. M
.
.
non sono autan, ma parteCIpI ; come momento ID CW, attraverso
l'opera (in quanto darsi di un conoscere, di un incontro con la verit), viene in luce, si mostra, ci che ; come esperienza, infine, di una
trasmutazione in "forma" capace di modificare l'essere stesso della
cosa, capace di conferire alla cosa rappresentata pi verit (pi essere) di quanto non ne avesse in precedenza: un incremento di essere,
in altri termini, subto dal reale (e in ci la valenza ontologica del' ) 85 .
l ,lmmagme
come Erlebnis si stacca da tutti i nessi della realt. TI carattere dell' opera cl' arte
sembra essere appunto quello di essere fatta per diventare un Erlebnis estetico,
cio, dunque, per tirar fuori d'un colpo chi la sperimenta dall'insieme della sua
vita mediante la potenza dell'arte, riportandolo per nello stesso tempo alla totalit della sua esistenza. Nell'esperienza dell'arte presente una pienezza di significati che non appartiene solo a questo particolare contenuto od oggetto, ma che
sta a rappresentare il significato totale della vita. Un Erlebnis estetico contiene
sempre in s l'esperienza di una totalit infinita. Proprio in quanto tale Erlebnis
non si connette con altri nell'unit di un processo di esperienza aperto, ma rappresenta immediatamente il tutto, il suo un significato infinito. Nella misura in
cui, come si visto, l'Erlebnis estetico rappresenta esplicitamente il contenuto
dello stesso concetto di Erlebnis, chiaro che questo concetto determinante
per la definizione della posizione dell' arte. L'opera d'arte viene intesa come la
pienezza di quella rappresentazione simbolica della vita a cui ogni Erlebnis sempre per sua natura tende. Per questa ragione, l'Erlebnis stesso vien!= indicato
come l'oggetto dell' esperienza estetica. Ci implica, in estetica, che la cosiddetta
Erlebniskunst, l'arte che assume a proprio oggetto gli Erlebnisse, appare come
l'arte autentica (Gadamer 1995, I, pp. 97-8).
84 Ancora pi tardi, in un'intervista del 1987, tornando a riflettere sui rapporri tra ermeneutica e arte, Gadamer restituiva all'operazione ermeneutica una
base artistica; e non ricorreva, questa volta, ad un'immagine visiva, ma a una
metafora auditiva: L'elemento artistico nel procedimento ermeneutico - leggiamo - consiste nella lettura, in quanto il procedimento di lettura pennette di
dar voce ai segni che di per s non parlano (Gadamer 1989, p. 28).
35 In effetti, sulla scia di Heidegger, Gadamer restituisce un'idea dell'immagine come evento ontologico. Ci riferiamo, in tal senso, alla parte di Verit e
metodo dedicata all' ontologia dell' opera d'arte, o, pi in particolare, alla
problematica ontologica di origine e copia. Si tratta in realt di un'analisi il
Introduzione
67
cui scopo non tanto estetico quanto antologico (in grado di definire un orizzonte capace di abbracciare arte e storia). Gadamer, in tal senso, distinguendo il
concetto di quadro-immagine (Eild) da quello d'immagine-copia (Abbi/d), dimostra come il primo sia in grado di trascendere i limiti della nozione tradizionale
di rappresentazione fondata sull'idea di un'immagine rapportata essenzialmente
al proprio modello originale. 11 mondo che appare nel gioco della rappresentazione - cos scrive - non sta accanto al mondo reale come una copia, ma questo stesso mondo reale in una pi intensa verit del suo essere. E a sua volta la
ripetizione, per esempio l'esecuzione scenica, non una copia in confronto alla
quale l'originale del dramma conservi una sua individualit distinta (Gadamer
1995, I, p. 171). Rappresentazione, quindi, non pu qui significare imitazione
nel senso di copia. Lo stesso vale per le arti figurative, nella misura in cui possiamo dire che il quadro-immagine, nel modo in cui in esso la rappresentazione
si rapporta all'originale, si distingue dal rapporto che si istituisce tra la copia e il
suo modello. Nell'essenza della copia, infatti, implicito che essa non ha altro
compito che di uguagliare il modello. Il criterio della sua adeguatezza che nella
~opia si riconosca l'originale. Ci vuoI dire che essa costitutivamente destinata
a sopprimersi come ente indipendente, servendo totalmente alla mediazione
dell'originale imitato (Ibid., I, p. 172). La copia, in altri termini, vuoI sempre
essere vista in rapporto a ci che raffigura: una riproduzione che non vuoI
essere altro che la ripetizione di qualcosa e che ha la sua funzione unicamente
nell'identificazione dell'originale. [ ... ] Essa rimanda all'originale in virt della
propria rassomiglianza con esso. Si realizza dunque pienamente nell'autosopprimersi (Ibld., I, pp. 172-3). Al contrario, un quadro-immagine non ha la sua essenza nel fatto di sopprimersi come tale: <<Esso infatti - continuiamo a leggere non un mezzo in vista di un fine. Ci che si ha di mira qui l'immagine come
tale, giacch quel che importa proprio come si rappresenta ci che in esso
rappresentato. Ci significa anzitutto che l'immagine non rimanda semplicemente al rappresentato. Anzi, la rappresentazione rimane essenzialmente legata
con il rappresentato, in certo modo gli appartiene (Ibld., I, p. 173). In tale senso, a differenza della pura copia, l'immagine nel vero senso della parola ha un
suo essere proprio, un suo essere di rappresentazione (in cui essa non si identifica con il raffigurato): essa dice qualcosa di pi circa l'originale (IUd., I, p.
174). La rappresentazione, in questi termini, resta pertanto legata in un senso
essenziale all' originale che si presenta in essa. Ma pi di una semplice copia.
Continua Gadamer: Che l'immagine abbia una sua realt significa, per
l'originale, che proprio nella rappresentazione esso si presenta. Nell'immagine,
l'originale presenta se stesso. [' . .J Ogni rappresentazione di questo tipo un
evento ontologico, e entra a costituire lo stato ontologico del rappresentato. Nella rappresentazione, questo subisce una cresct"ta nell'essere, un aumento d'essere.
Il contenuto proprio dell'immagine definito antologicamente come emanazione dell'originale (Ibid., I, p. 175). Chiaro, in tale senso, il tentativo di Gadamer
di superare e rovesciare la logica del platonismo: La concezione platonica del
rapporto tra originale e copia - scrive ancora il filosofo - non esaurisce la valenza antologica di ci che noi chiamiamo immagine (Ibid., p. 175). L'immagine
non mera copia sensibile, pura imitazione di un modello originale soprasensibile. L'immagine repraesentatio, termine che, alla luce dell'idea cristiana del-
68
La concezione della "rappresentazione come evento apre dunque la strada alla stoticit dell' esistenza. Da questo punto di vista,
nella rappresentazione artistica (in quanto evento) l'essere stesso
del rappresentato (della cosa) che viene realmente modilicato, e ci
implica una comprensione ermeneutica della <<verit (l'incontro con
l'opera sempre Wl' esperienza di verit) che ridefinisce il rapporto
tra in1magine e copia. E se, infatti, alla base della realt ontologica
dell'in1magine sta il rapporto ontologico tra originale e copia, il
modo d'essere dell'immagine stessa trova la sua migliore caratterizzazione - secondo Gadamer - nel concetto di repraesentatio (concetto di origine sociale). E qui, attraverso la ricostruzione storica del
termine (gi familiare ai latini ma centrale nell'idea cristiana dell'incarnazione e del corpo mistico), Gadamer scende nei territori del diritto 86 In una nota di Verit e metodo, dedicata al significato del tutto nuovo che assume il concetto di rappresentazione nell'universo
cristiano, leggiamo:
l'incarnazione e del corpo mistico, non significa pi copia o raffigurazione produttiva, ma viene ad indicare il tener il luogo di, la rappresentanza, il far essere presente. << chiaro - continua Gadamer - che non un caso che si incontri il concetto di repraesentatio quando si vuoI definire lo stato antologico
dell'immagine in rapporto alla copia. Se intendiamo l'immagine come repraesentatio, fornita quindi di una sua propria valenza antologica, dovremo modificare
essenzialmente, anzi rovesciare quasi, il rapporto ontologico tra originale e copia. L'immagine ha in tal caso una sussistenza autonoma che agisce anche sull'originale. Propriamente, infatti solo attraverso l'immagine (Bilcf) che l'originale diventa immagine originale (Ur~Bilcf), solo in virt dell'immagine che il
rappresentato diventa dawero qualcosa che si d in una immagine (bildhaft)>>
(Ibid., I, p. 176). E a conclusione ancora leggiamo: Solo l'immagine religiosa
pu evidenziare tutta la portata antologica dell'immagine. della manifestazione divina che dawero si pu dire che essa acquista il suo carattere di immagine
proprio attraverso la parola e la figura. li significato religioso dell'immagine si
rivela dunque esemplare. In essa risulta inequivocabilmente chiaro che l'immagine non copia di un essere raffigurato, ma ha una comunione antologica con
il raffigurato. In base a questo esempio si fa evidente che l'arte, in generale e in
un senso universale, apporta una crescita nell' essere in quanto gli conferisce il
carattere di immagine. Parola-e immagine non sono semplici aggiunte illustrative, ma fanno s che ci che esse rappresentano sia davvero completamente ci
che >' (Ibid., I, p. 177).
86 In effetti, in Verit e metodo Gadamer frequenta pi volte i luoghi del diritto. Di notevole interesse sono soprattutto le pagine dedicate (sulla base di una
discussione dei lavori di Emilio Betti) all'ermeneutica giuridica (Ibid., I, pp. 37695).
Introduzione
69
70
Di notevole interesse, per noi, che proprio l'esperienza del gioco non attraversa soltanto la sfera estetica (come accadimento che
concerne anzitutto l'opera d'arte), ma anche, come apprendiamo da
Huizinga 88 (peraltro citato da Gadamer), quella giuridica (Huizinga
1973, pp. 90-103) 89. Anzi, tale fondamentale esperienza, che nella
sociologia di Norbett Elias (dopo quella di Simmel) ha assunto il carattere (estetico e sociologico insieme) della figurazione (Elias
1990, pp. 81-117), divenuta paradigmatica in alcuni studi giuridici
a noi pi vicini (AA.VV. 1992; Kerchove-Ost 1995).
Per certi versi, dunque, anche attraverso il concetto di gioco - come attraverso quello di forma, di rappresentazione e di immagine l'esperienza giuridica si mostra nella sua affinit con l'esperienza estetica; anzi, posiamo anche dire che arte e diritto, quali figurazioni di
processi relazionali e interdipendenti, si intrecciano in un tessuto sociale che rinvia all' esperienza quale <<!Dando di vita entro il quale si
"gioca" la loro costituzione e costruzione fonnale. La differenziazione estetica - come aveva sottolineato Gadamer - un' astrazione la
quale non pu sopprimere l'appartenenza dell' opera al suo mondo
(Gadamer 1995, I, p. 203); allo stesso modo la differenziazione giuridica non pu cancellare ugualmente l'appartenenza del diritto a quel
legame vitale che ne costituisce, in ultimo, la profonda esperienza.
Ora, nella misura in cui l'opera d'arte sembra aver definitivamente perso - come avevano gi notato, nel 1947 , Horkheimer e Adorno
(1966b, pp. 126-181) 90 -la propria autonomia diventando merce tra
del creatore o del fruitore, e in generale la libert di un soggetto che si esercita
nel gioco, ma l'essere dell'opera stessa (Ibtd., I, p. 132). E poco pi avanti:
L'opera d'arte non un oggetto che si contrapponga a un soggetto. L'essenza
dell'opera risiede piuttosto propriamente nel fatto che essa diviene un'esperienza che modifica colui che la fa. TI subjectum dell' esperienza dell' arte, quello che
permane e dura, non la soggettivit di colui che esperisce 1'opera, ma 1'opera
stessa. Proprio su questo punto diventa significativo per noi il concetto di gioco.
li gioco ha infatti una sua essenza propria, indipendente dalla coscienza di coloro che giocano. [ ... ] li soggetto del gioco non sono i giocatori, ma il gioco che
si pro-duce attraverso i giocatori (Ibid., I, p. 133).
88 In Homo ludens, opera pubblicata nel 1939, Huizinga appunto, oltre alla
sfera dell' arte, accostava la sfera giuridica a quella del gioco, ponendo a confronto, ad esempio, il processo e il principio agonale, dimensioni che a ben vedere
rimandano ad una comune origine Iudica.
89 Sui problemi del diritto e del gioco in Huizinga, si rimanda anche a Simona Andrini e al suo saggio Huizinga et le droit: le procs et le jeu en italie (AndriD 1992, pp. 49-65).
90 Ancora Adorno, in una conferenza del 1967, tornando sui problemi del-
Introduzione
7l
merce nei processi di omologazione dell'industria culturale, possiamo, paradossalmente, riscoprirne una funzione sul piano dell' esperienza giuridica; almeno per ci che, nel diritto, nel suo orizzonte antropologico, ancora riguarda una dimensione estetica, ovvero, la capacit di istituire le immagini. Nel 1999 Pierre Legendre, nel suo libro (dal titolo per noi molto significarivo) Il giurista artista della ragione", riflettendo, appunto, sulla questione dell'immagine, definiva lo stile una <<scelta di rappresentazione 92. E considerando il
legame normativa come forma istituita delle relazioni sociali, richiamava appunto il diritto alla sua originaria capacit rappresentativa (alla questione della rappresentazione) e, al contempo, costruttiva: la capacit di istituire la vita. Pertanto, con un linguaggio preso
in prestito dalla psicoanalisi, scriveva:
Se la logica del Terzo [del Terzo normativa inscritto anch'esso nella
logica simbolica della costruzione umana e destinato a mantenere e rendere abitabile per l'uomo lo spazio di rappresentazione che lo separa da
se stesso] inseparabile dalla logica della specularit, ne consegue che la
societ assume statuto metaforico (analogamente allo specchio separatore del soggetto) e che il diritto traccia il suo valore antropologico di essere lo strumento che istituisce le immagini nella cultura (Legendre 2000,
p.142).
72
cedere ad un ordine sociale (e anche "cosmico"), ben prima che intervenga la scrittura lineare e la speculazione del concetto. Nel 1959
Charles Wrigtht Milis, pubblicando in America il suo L'immaginazione soGiologica, richiamava l'attenzione degli scienziati sociali sul
rapporto tra arte e sociologia 93. il compito che affidava a tale immaginazione era quello (gi, in parte, sentito dall' arte e dalla cultura
dei primi anni del XX secolo) di trasformare la storia.
La consapevolezza che l'uomo contemporaneo - scriveva nella pre~
fazione del libro - ha di se stesso come elemento esterno, se non addirittura estraneo, si fonda in gran parte sull' assorbimento del concetto della
relativit sociale e del potere di trasformazione della storia. L'immaginazione sociologica la forma pi feconda di tale consapevolezza 94 (Milis
1973, p. 17).
Siamo quasi agli inizi degli anni '60: la coscienza storica del capitalismo maturo avverte la spinta di una societ (quella occidentale) in
ascesa. Sembra dunque realmente possibile realizzare l'esigenza marxiana di trasformazione del mondo. Ed cos che la sociologia critica fa
leva sulla capacit costruttiva dell' <<immaginazione per ripensare
una svolta sociale in grado di superare il dato effettuale dell' estraniazione (si pensi soltanto, per altre vicende, a Marcuse e alla sua idea
di un' arte capace di creare un mondo pi reale della stessa realt). il
93 Per lo studioso di scienza sociale che si sente partecipe della tradizione
classica, la scienza sociale - scriveva il sociologo - l'esercizio di un'arte (Milis
1973, p. 207).llicorcliamo a tal proposito, sia pur rinviando ad altri percorsi semantici e ideologici, il libro del 1976 di Robert Nisbet, La sociologia come forma
d'arte (Nisbet 1981l.
94 E ancora leggiamo: L'uomo ha bisogno, e sente di aver bisogno, di una
qualit della mente che lo aiuti a servirsi dell'infonnazione e a sviluppare la ragione fino ad arrivare ad una lucida sintesi di quel che accade nel mondo e in
lui. appunto tale qualit che giornalisti e studiosi, artisti e uomini pubblici,
scienziati ed editori finiranno col chiedere a quella che chiameranno la "immaginazione sociologica". E subito dopo aggiungeva: L'immaginazione sociologica pennette a chi la possiede di vedere e valutare il grande contesto dei fatti
storici nei suoi riflessi sulla vita interiore e sci comportamento esteriore di tutta
una serie di categorie umane. Gli permette di capire perch, nel caos dell' esperienza quotidiana, gli individui si formino un'idea falsa della loro posizione sociale. Gli offre la possibilit di districare, in questo caos, le grandi linee, l'ordito
della societ moderna, e di seguire su di esso la trama psicologica di tutta una
gamma di uomini e di donne. Riconduce in tal modo il disegno personale dei
singoli a turbamenti oggettivi della societ e trasforma la pubblica indifferenza
in interesse per i problemi pubblici (Ibzd, p. 15).
Introduzione
73
economica e culturale.
Il nostro compito - almeno per noi che viviamo e avvertiamo la
"crisi" sociale, culturale, politica ed economica della seconda decade
del XXI secolo - assai pi modesto e meno ambizioso: torniamo a
interrogare e interpretare la storia (che sempre la nostra attuale
esperienza, la nostra dimora). E lo facciamo cercando dietro il patrimonio di immagini che ci circonda - e che ci ha consegnato il
passare del tempo -la traccia materiale e concreta di quelle costmzioni mentali entro i cui margini spirituali e temporali si dispiega lo
spazio e la figurazione sociale. E ci, appunto, vuoI dire un ritorno al
piano dell' esperienza e della storicit: un ritorno alle forme di vita,
a quelle esperienze dell' arte e del diritto capaci di restituire una dimensione temporale e una figurazione spaziale al reale.
Ma andiamo adesso al nostro percorso.
LO SPAZIO PROSPETTICO
1. Percorsi politici
Vi una forte e significativa correlazione, chiaramente visibile a
partire da un dato momento, tra processi politici e processi giuridici,
che Paolo Grossi, storico del diritto, non ha mancato di sottolineare;
una correlazione che stabilisce un crescente legame, in via di elaborazione tra la fine dell'et di mezzo e le soglie dell'et moderna, tra la
concezione legalistica del diritto e il consolidarsi, sul piano politico,
di un nuovo soggetto sovrano: lo Stato nazionale moderno (Grossi
2001). A partire da qui, ed entro le linee di uno sviluppo storico che
ha visto il progressivo dispiegarsi del rapporto sempre pi stretto tra
ordine giuridico e potere politico (essenzialmente statale), si danno
le premesse di una vicenda sociale, culturale e concettuale di cui pi
tardi si vedranno chiaramente gli effetti: il graduale risolversi, concentrarsi ed esaurirsi dell'intero processo di normazione giuridica nel
singolare momento in cui la norma viene astrattamente prodotta 1.
Detto altrimenti, non vi che da registrare (tendenzialmente in linea
con il processo di razionalizzazione economica moderna) il primato
della produzione sull'interpretazione e della concentrazione statale
sulla pluralit delle fonti giuridiche; una tendenza, a ben vedere, che
nel corso del tempo ha trovato la sua pi alta e compiuta espressione
nei diversi processi di codificazione, frutto maturo della mentalit
illuminista, e capace di attraversare il positivismo giuridico continentale del secolo XIX, fmo a condizionare, sulla scia del successo scientifico e politico ottenuto dalle concezioni normativistiche e formaliste, larga parte della riflessione dei giuristi del XX secolo.
1 Scrive Grossi: La legolatria illuminista immobilizza il diritto nel momento
della produzione; il procedimento produttivo si esaurisce con la rivelazione ( il
caso di insistere con questo termine teologico) di una volont suprema restando
76
Procediamo, comunque, con calma. Paolo Grossi ripercorre questa vicenda ricostruendo quel passaggio epocale che dalla dissoluzione dell'universo medievale vede lentamente affermarsi la figura del
Principe moderno 2. Cos leggiamo:
Lo spazio prospettico
77
<<il nuovo Principe moderno , a livello politico, il frutto di un grande processo storico tutto proteso a liberare l'individuo dai lacci in cui la
civilt precedente lo aveva collocato. Quanto il pessimismo medievale
aveva tenuto a inserire il singolo nel tessuto protettivo ma condizionante
della natura cosmica e della societ, tanto il pianeta moderno - in marcia
sempre pi decisa dal Trecento in poi - si sforza di liberare l'individuo,
ogni individuo, da tutte le incrostazioni storiche e sociali sedimentate su
Come si detto, lo storico del diritto sensibile ai mutamenti sociali, individua in questa nuova soggettivit politica la fase iniziale di
quel lungo processo entro i cui termini si realizza la fortnazione dello
Stato nazionale moderno. Forma politica (e, al contempo, "mentale"), nata appunto in Europa alla fine del medioevo, lo Stato moderno si costituisce ed evolve come corpo politico dotato di sovranit.
Inteso sin dal principio come istituzione dotata del potere politico
supremo, questo nuovo soggetto sovrano viene dapprima a coincidere con la persona del Principe per poi diventare struttura impersonale, identificata con un insieme di uffici attraverso i quali viene esercitato il potere (si ricordi, in tal senso, il processo di burocratizzazione
descritto da Weber come "tipico" della forma statuale moderna).
Sia nei Principati che nei primi Stati nazionali europei, il potere
politico, dunque, non appare pi distribuito, come nell'ordine giuri-
78
dico feudale, tra i vari signori, ossia, tra i feudatari le cui posizioni
sociali possono ancora disporsi nell'ordine gerarchico di una struttura piramidale al cui vertice sta il Principe medievale o l'Imperatore '.
Se tale potere ora detenuto interamente dal Principe o dal Re, gli
altri membri della societ polirica (privi del potere e, dunque, in tal
senso, semplici "privari") diventano tutti dei soggetti pensabili, astrattamente, come "uguali" tra loro: non fonnano pi una piramide, se-
condo la stratificazione verticale e gerarchica delle loro posizioni sociali, ma sono tutti ugualmente sottoposti, in quanto "sudditi", al
nuovo soggetto sovrano assoluto.
professionale (1445) e l'obbligo di redigere per iscritto il diritto consuetudinario orale (1545, ordinanza di Montil-Is-Tours). Ma a cavallo fra
XV e XVI secolo che si afferma veramente, con la fissazione delle no3 Per quanto riguarda, da un punto di vista sociologico, l'organizzazione politica feudale si veda Max Weber, Economia e societ (Weber 1961, I, pp. 252260; II, pp. 385-430). Per una ricostruzione pi ampia sul piano storico si veda
anche La societ feudale di Marc Bloch, specialmente i capitoli dedicati alle distinzioni di classi all'interno della nobilt e al clero e le classi professionali (Bloch
1987, pp. 377-402).
Lo spazio prospettico
79
dello Stato di diritto post-rivoluzionario e l'ideale "organico-ordinamentale" dei diritti territoriali del Medioevo, diritti non assimilabili
alle ordinanze positive dipendenti dalla contingente volont del potere politico e non identificabili con l'istituzione politico-statale moderna (Brunner 1983).
Detto altrimenti, rimanendo sul piano giuridico, non possiamo
pienamente comprendere il processo di formazione dello Stato moderno senza considerare, storicamente, il particolare rapporto fra or-
80
possiamo ricostruire
Lo spazio prospettico
81
82
smette al grande occhio della sorveglianza che in quell' epoca era il Ministro della Polizia. Infine il Ministro della Polizia trasmette le informazioni all' occhio di colui che sta in cima alla societ, l'imperatore, che in
quell'epoca era simbolizzato proprio da un occhio (Ibid., pp. 120-1).
In una tale prospettiva, dunque, l'Imperatore diviene l'occhio
universale (il punto di vista unico e assoluto) che abbraccia la societ in tutta la sua estensione. Occhio che si avvale di una serie di
sguardi che, disposti appunto in forma di piramide, a partire dall' occhio imperiale, vigilano su tutta la societ (e si ricordi che ancora oggi, nella banconota americana da un dollaro, vi proprio rappresentato un occhio al vertice di una piramide). Scrive ancora Foucault:
<<Per Treilhard e i legislatori dell'Impero che fondarono il diritto penale francese - un diritto che disgraziatamente ha avuto molta influenza
in tutto il mondo - questa grande piramide di sguardi costituiva una nuo-
,'~
Ma torniamo un po' indietro, al cuore nostro problema. Gerarchie sociali, "piramidi" di norme e "piramidi" di sguardi, cos come
"piramidi" teocratiche, burocratiche e rappresentative 7; l'immagina-
rio medievale e moderno abbonda di queste figure. La "forma-piramide", assumendo diversi significati, affiora attraverso differenri valorizzazioni simboliche dei rapporti religiosi, sociali, giuridici e politici ai quali si cerca di dare, ogni volta, una specifica oggettivazione e
razionalizzazione. Dalla patristica alla scolastica, da Agostino a Gregorio VII, da Alberto Magno a Tommaso d'Aquino e da Dante Alighieri (con rutte le dovute differenze), nelle teorie medievali della
statualit, solo per fare degli esempi, la concezione del politico man-
7 Anche nelle teorie pluralistiche della rappresentanza politica si soliti ricorrere all'immagine di una Piramide al cui vertice si trova il Parlamento (la volont politica). Si immagina, infatti, un processo verticale di progressiva riduzione e composizione che procede dall' espressione della pluralit degli interessi dei
rappresentati alla decisione politica dei rappresentanti.
Lo spazio prospettico
83
tiene sempre un assetto verticale e piramidale. Come nella vita religiosa troviamo la gerarchia ecclesiastica, che va dal Papa ai cardinali,
agli arcivescovi, ai vescovi, fino ai gradi pi bassi del clero, cos, nella
struttura del mondo politico e sociale, il potere pi alto concentrato nell'imperatore, che lo delega, a sua volta, ai suoi inferiori, i principi, i duchi e tutti gli altri vassalli. Questo sistema feudale - scrive
Cassirer - un'immagine e una controparte esatta del sistema gerarchico generale; un'espressione e un simbolo di quell'ordine cosmico universale che stato fondato da Dio, e che, perci, eterno e
immutabile (Cassirer 1971, p. 232).
Malgrado la lenta dissoluzione di questo sistema gerarchico avviatasi specialmente a partire dai secoli XV e XVI - dissoluzione che
attraverso un faticoso processo costruito sul primato del calcolo razionale e sul primato dell'interesse del Principe, raggiunge il suo apice concettuale nella nuova scienza della politica di Machiavelli 8 - il
modello piramidale, ordinato, come si visto, ad un diverso orizzonte prospettico della ragione politica, non perde il suo valore paradigmatico e speculativo. Pur astraendo dal piano delle stratificazioni
sociali e proiettando il suo ordine su differenti esigenze di razionalizzazione giuridica e intellettualizzazione politica, la "forma-piramide"
pu ancora servire a descrivere le nuove gerarchie norroative e le diverse geometrie degli sguardi sulle stesse ordinate. Si tratti ancora
dell'ordinamento cristiano-medievale teocraticamente fondato o del
concetto moderno di Stato teorizzato da Bodin, del Leviatano di
Hobbes o delle teorie dello Stato radicate sul diritto naturale (quali
quelle, ad esempio, che attraversano il XVII e il XVIII secolo con
Grotius, Pufendorf o Locke), l'orizzonte della rappresentazione politica rimane comunque ordinato, nelle relative differenze, all' artificio
8 Per certi versi, Machiavelli il primo pensatore politico "moderno" che ta"
glia definitivamente i ponti con la tradizione scolastica. Ma al suo pensiero si
deve anche l'introduzione, nell' orizzonte della riflessione politologica, del calco"
lo razionale e del concetto di azione motivata dall'interesse da parte del Principe. La dottrina dell'interesse serv, in effetti, a liberare il sovrano dalle restrizioni
della morale tradizionale e a costruire un' azione politica basata sulla prevedibilit (Hirshman 1990). A partire da qui, da un altro punto di vista, si pu comprendere anche come lo spazio politico della modernit sia, in fin dei conti, uno
spazio costruito suI modello della "simulazione" prospettica. Lo spiega Baudrillard: In qualche modo dopo Machiavelli i politici l'hanno sempre saputo:
all'origine del potere c' il dominio di uno spazio simulato, il politico non consiste in una funzione o in uno spazio reali, ma in un modello di simulazione, le cui
azioni manifeste ne sono soltanto l'effetto realizzato (Baudrillard 1995, p. 73).
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Lo spazio prospettico
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legami sociali) e al "contratto sociale" (verit di ragione) quale prodotto volontaristico e artificiale di soggetti-individui (essenzialmente
"non-sociali"), in origine, liberi e uguali. Quando, dunque, alla concezione naturalistica e organicistica della comunit politica si con~
trappone, specialmente con Hobbes, l'ipotesi razionalistica, individualistica e contrattualistica dello Stato moderno 11. Ed a partire da
qui, dallo sviluppo di questo particolare momento, che si registra
quella trasformazione decisiva che vede nell'istituzione dello Stato
un'idea regolativa per il progetto di quella futura societ giuridica
universale cui tende l'uomo nel suo graduale avvicinamento a una
forma di esistenza sempre pi conforme a ragione. Un passaggio che
Norberto Bobbio non mancato di sottolineare:
L'atto specifico attraverso cui si esplica la razionalit dello Stato la
legge, intesa come norma generale e astratta, prodotta da una volont
razionale, quale appunto quella dello Stato~ragione, In quanto generale
e astratta la legge si distingue dal potere del principe, attraverso cui si
esprime l'arbitrio del sovrano e si istituisce una legislazione di privilegio,
creatrice di disuguaglianza. In quanto prodotto di una volont razionale
la legge si distingue dai costumi, dalle consuetudini, dagli usi tramanda~
ti, dalle norme cui ha dato vita la mera forza della tradizione, Ci che caratterizza lo Stato proprio il potere esclusivo di far leggi (Bobbio
1980, p. 546).
La nuova piramide astratta, artificio geometrico sciolto dall'ordine della stratificazione sociale, ora fondata sulla razionalit della legge - e presto (formalisticamente) ordinata sul complesso sistema delle gerarchie normative - l'immagine tipica che ancora oggi possiamo ricondurre al concetto di Stato nazionale moderno n. Un concet-
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2, Percorsi giuridici
li giusnaturalismo moderno, gi fin dalle sue origini lockiane,
esprimeva gli ideali e le esigenze (realizzate nella Rivoluzione francese) della borghesia, portavoce di un tempo caratterizzato dalla ripresa delle attivit commerciali, dal grande sviluppo economico e da un
iniziale processo di industrializzazione; la sua lotta era stata per
l'uguaglianza giuridica contro i privilegi dell'aristocrazia e delle corporazioni di mestiere, in nome di una libert intesa, soprattutto, come libert economica (fondata essenzialmente, sulla propriet quale
diritto innato spettante all'uomo in forza della ragione), A quella libert (e all'idea di uguaglianza ad essa correlata) dar definitiva e
formale espressione, come presto vedremo, la codificazione napoleonica,
Facciamo un passo indietro, La societ medievale, come si detto, era una societ pluralistica, costituita da una pluralit di raggruppamenti sociali ciascuno dei quali dotato di un proprio ordinamento
giuridico: il diritto vi si presentava come un fenomeno creato "dal
basso", come prodotto non dallo Stato ma dalla societ civile, Lo
spiega bene Santi Romano, giuspubblicista attento ai fermenti del
mutamento sociale, che agli inizi del XX secolo, riflettendo sulla crisi
dello Stato moderno, riconduceva l'attenzione dei giuristi alla pluralit degli ordinamenti giuridici:
'
Nel medioevo - scriveva -, per la stessa costituzione della societ,
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Tale lento e inesorabile percorso ci ha, dunque, condotto in F raneia, alle soglie del XVII secolo: il Principe assoluto diventa ora l'assoluto legislatore, il sovrano ormai svincolato da quelle catene politiche
e sociali entro il cui giogo la feudalit medievale lo teneva ancora, in
qualche modo, allacciato 16. La loy diventa una norma che si autolegittima come legge, come volizione, appunto, di un soggetto sovrano.
il pluralismo delle fonti medievali (leggi, consuetudini, opinioni
dottrinali, sentenze, prassi) si contrae ora nell'unica fonte rappresentata dalla volont del Principe, soggetto politico "forte (fortificato
dall'umanesimo secolarizzatore), individuo modello svincolato dagli usi e dai costumi, capace di leggere il libro della natura e tradurlo in norme che si possono legittimamente pensare come universali
15 Continua Paolo Grossi: ~~ un processo scopertamente tangibile in quel
regno di Francia che , per il politologo e per il giurista, lo straordinario laboratorio storico in cui il 'moderno' prende dapprima un suo volto pi determinato
e sempre pi se ne incrementano i tratti. La storia della monarchia francese dal
Dugento al Settecento la storia di una sempre pi intensa presa di coscienza da
parte del Principe, della sua sempre pi precisa percezione della essenzialit del
diritto nell'mbito del progetto statuale, della esigenza sempre pi sentita di
proporsi come legislatore. Anzi, di cogliere nella produzione di norme autoritarie l'emblema e il nerbo della regalit e della sovranit, in opposizione all'idea
medievale che voleva il Principe soprattutto come giudice, giudice supremo, il
grande giustiziere del suo popolo. La linea di sviluppo corre nitida nei secoli
tardo-medievali e proto-moderni: prender sempre pi campo la normazione
diretta del Principe, sempre pi addentrntesi in zone ritenute per l'innanzi precluse; finalmente - e siamo a fine Seicento - gli atti di normazione sparsa divengono un tessuto normativo ben programmato, sorretto da un approccio organico nella disciplina di rilevanti settori dell' esperienza giuridica, che tende ormai a
sostituirsi monocraticamente al vecchio pluralismo delle fonti (Grossi 2001,
pp. 29-30). Per un confronto con un'altra esperienza giuridica di tipo "sapienzale", sia pur assai diversa per spirito e forme dal diritto medievale europeo, si
consiglia la lettura di Robert Lingat, La tradizione giuridica dell'India (Lingat
2003).
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ed eterne quali traduzioni in regole sociali di quella armonia geometrica che sorregge il mondo. Ed cos che, a partire da questa politicizzazione e formalizzazione deUa dimensione giuridica, si spezza
quel legame essenziale fra societ e diritto che (sia pure in un groviglio spesso non chiaro) caratterizzava ancora l'esperienza medievale.
Dal momento in cui, dunque, si costituisce lo Stato moderno, alla
monopolizzazione del potere coercitivo corrisponde una monopolizzazione del potere normativa: solo le norme poste dallo Stato sono
norme giuridiche. Lo capiamo anche, ad esempio, andando oltremamca, dalla posizione espressa da Hobbes contro la legittimit deUa
common law, ovvero, di un diritto preesistente allo Stato e indipendente da esso. Nel Dialogo fra un filosofo e uno studioso del diritto
comune d'Inghilterra, scritto fra il 1665 e il 1666, Hobbes (il Filosofo), polemizzando contro la common law difesa da un discepolo di sir
Edward Coke (il Legista), cos esplicitamente affermava: Non la
sapienza, ma l'autorit che crea la legge (Hobbes 1988, I, p. 401). E
pi avanti diceva, sempre per bocca del Filosofo: le leggi vennero
create d'autorit, e non ricavate da altri princpi (Ibid., p. 420).
In tali definizioni, come ha sottolineato ancora Bobbio (1996, pp.
25-7), gi si evidenziano due caratteri tipici della concezione positivistica del diritto: ilformalismo (la definizione del diritto data solo in
base all' autorit che pone le norme, e quindi in base a un elemento
puramente formale) e l'imperativismo (il diritto un comando); caratteri questi, come presto vedremo, che accompagneranno il processo di razionalizzazione del diritto fino a gran parte del XX secolo. Ma ci che adesso a noi pi interessa evidenziare, che a partire
da qui, dal momento in cui si registra il posizionarsi assoluto di tale
sovrana "autorit", si rende pi esplicito quel processo che prima
abbiamo gi individuato: la legge, riducendo ai suoi termini l'intera
dimensione giuridica, comincia a comprimere ogni spazio di autonomia del sociale. La legge d ordine - ed ordina secondo il suo
ordine - in quanto comando astratto, indifferente al suo contenuto, dapprima identificata politicamente con l'autorit del Principe
e poi, nelle moderne democrazie, con la volont generale 17. D'ora
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in avanti, il diritto coincider sempre di pi con il potere ": lo vediamo soprattutto attraverso le teorie politiche dei razionalisti del
Settecento (e qui alcuni elementi delle concezioni assolutistiche si coniugano con le aspirazioni liberali), dove, appunto, !'idea dell'onnipotenza del legislatore (e, di conseguenza, quella della monopolizzazione del diritto da parte dello Stato) giunge a sua piena coscienza 19.
Su questa base - sulla continuit di elementi assolutistici nelle
teorie liberali - si svilupper, paradossalmente il positivismo giuridico, fino a quella stessa concezione "normativista" che ha pervaso la
mentalit giuridica del secolo scorso: l'idea, cio, di un diritto ridotto
a norme e sanzioni. Pensare, infatti, il diritto come norma (e, di conseguenza, come sanzione) significa continuare a pensarlo in modo
potestativo, come potere, perch - come spiega sempre Paolo Grossidi legalit, cio la conformit alla legge di ogni manifestazione giuridica, diventa
la regola fondamentale di ogni democrazia moderna (Ibzd., p. 48).
18 TI diritto - ancora Grossi che scrive -, che per tutto lo scorrere della civilt medievale era stato dimensione della societ e perci manifestazione prima
d'una intera civilt, diventa dimensione del potere e dal potere resta nel suo intimo segnato. In altre parole, si esaspera la dimensione autoritaria del 'giuridico') esasperando altres la sua allarmante separazione dal 'sociale' (Ibtd., p. 51).
19 A partire da tali premesse, Norberto Bobbio ha mostrato una particolare
coincidenza tra la concezione assolutistica e la concezione liberale. Infatti cos affenna -la concezione liberale accoglie la soluzione data dalla concezione
assolutistica al problema dei rapporti tra legislatore e giudice: cio il cosiddetto
dogma dell' onnipotenza del legislatore (la teoria della monopolizzazione della
produzione giuridica da parte del legislatore). Le codificazioni, che rappresentano il massimo trionfo celebrato da questo dogma, non sono un prodotto
dell' assolutismo ma dell'illuminismo e della concezione liberale dello Stato.
Come avviene questo passaggio dalla concezione assolutistica a quella liberale
della teoria dell' onnipotenza del legislatore? Per comprenderlo dobbiamo osservare che la teoria in questione presenta due aspetti, due facce, una assolutistica e
una liberale. Da una parte, infatti, tale teoria elimina i poteri intermedi e attribuisce un potere pieno, esclusivo e illimitato al legislatore: e questo l'aspetto
assolutistico. Ma questa eliminazione dei poteri intennedi ha anche un aspetto
liberale, perch garantisce il cittadino dagli arbitrii eli detti poteri: la libert del
giudice di porre norme traendole dal proprio senso dell' equit o dalla vita sociale pu dar luogo ad arbitrii nei confronti dei cittadini, mentre il legislatore, ponendo norme uguali per tutti, rappresenta un argine contro l'arbitrio del potere
giudiziario (Bobbio 1996, p. 28). E pi avanti aggiunge: <<Lo stretto rapporto
fra concezione assolutistica e concezione liberale in ordine alla teoria della monopolizzazione del diritto da parte dello Stato (e quindi in ordine alla dottrina
del positivismo giuridico) pu essere dimostrato dal fato che spesso gli antipositivisti moderni condussero la loro polemica non tanto contro i teorici dell' assolutismo quanto nei confronti di pensatori tipicamente liberali Ubid., p. 29).
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<<significa coagulare ed esaurire l'attenzione dell' ordinamento nel momento in cui il comando si produce e si manifesta (Grossi 2001, p.
55) 20.
Ecco il punto. li diritto, tessuto ordinante del corpo sociale,
specialmente quel diritto che registra i rapporti quoridiani tra i privati e che, per tutto lo scorrere della civilt medievale, era stato dimensione della societ, espressione dell'autonomia sociale, diventa dimensione del potere; di un potere sempre pi separato dal sociale.
la mentalit codicistica, quella che, appunto, all'inizio del XIX secolo trova la sua massima espressione (e il suo pi compiuto modello)
nel Code civil napoleonico, che ora si appropria dell'intera esperienza giuridica, cristallizza la sua storicit; una mentalit sostenuta dall'illuminismo e dalla concezione liberale dello Stato che assorbono
inconfessabilmente e surrettiziamente i criteri dell' onnipotenza del
legislatore e della monopolizzazione del diritto tipici delle teorie assolutisriche. Si afferma cos un nuovo modo di concepire la produzione del diritto entro le strette maglie di un ordine giuridico sempre
pi annesso al potere politico. Espressione e modello del giusnaturalismo illuminista (di un giusnaturalismo che viene inevitabilmente a
sfociare nel positivismo giuridico), la statalizzazione del diritto finisce per invesrire delle sue geometrie eterne ed universali anche il diritto civile, il pi restio a farsi controllare nelle maglie del potere. li
Codice, quale diretta manifestazione di valori universali, si riduce a
voce del sovrano nazionale, a legge positiva dello Stato. li gioco fatto: il vecchio pluralismo giuridico finisce per contrarsi in un rigido
monismo. In un' epoca in cui la divinit concepita come un grande
architetto, anche il legislatore a sua volta vuole essere, nella sua ampia
prospettiva, un dio: si arroga il potere di organizzare razionalmente lo
spazio sociale, e subito gli conferisce tutta la sua portata giuridica e
morale; ne fa un potere di costruzione e trasformazione del mondo
umano. li Codice, adesso, enuncia la regola del gioco sociale.
20 Leggiamo ancora da Paolo Grossi: L'et moderna, et di mitologie giuridiche, si rattrappita in un costringente orizzonte di modelli, e la complessit
dell' esperienza giuridica stata notevolmente sacrificata. Visione potestativa del
diritto, sua statualit, sua legalit hanno costituito un osservatorio deformante,
giacch, puntando unicamente sul momento e sull' atto della produzione, la regola giuridica si presenta come nonna, cio come comando autoritario
dell'investito del potere (Grossi 2001, p, 64).
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zionali dello Stato) ". Detto altrimenti, la visione imperativistica moderna, che identifica il diritto in una norma (posta al vertice di una
rigidissima gerarchia), ossia in una regola autorevole e autoritaria,
finisce per vincolare la lei\ge al potere politico quale comando di un
superiore a un inferiore. E la strada, come noto, che conduce direttamente al formalismo astratto di uno tra i pi autorevoli e influenti
giuristi del Novecento: l'austriaco Hans Kelsen 26.
che circonda perfettamente e chiude il castello mitico cos edificato (Grossi
2001,
p. 76).
pp. 56-58).
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Non stupisce, pertanto, se proprio qui, nel ((normativismo" kelseniano, ritroviamo fatalmente l'immagine della piramide: la piramide geometrica come ((forma simbolica" 27, come ((momento stilistico"
tramite il quale possibile rileggere l'intera teoria delle norme proposta da Kelsen. Qui si tratta, infatti, di pensare una vera e propria
((piramide normativa", un'idealizzazione geometrica attraverso la
quale si rende "cartesianamente" visibile la struttura gerarchica dell'intero sistema giuridico.
Come, infatti, sappiamo, elemento essenziale e originario dell' esperienza giuridica , per Kelsen, la norma, cio la regola di diritto che
esprime un dovere (di condotta): un "dover-essere" (Sollen) distinto
dalla sfera dell'''essere'' (Sein). Conferendo, poi, all'ordinamento giuridico una struttura a gradi, l'esistenza specifica di una norma viene
legata a un pi vasto sistema internormativo disposto in senso gerarchico. Una norma giuridica esiste solo se stata prodotta in conformit ad una norma di grado superiore. Ne consegue che le norme giuridiche presentano un ordine gerarchico che procede per gradi fino alla
Grundnorm, la "Norma fondamentale", che fonda la validit del sistema secondo una catena pi o meno lunga di delegazioni.
Nella prospetriva adottata da Kelsen, la struttura complessiva
dell' ordinamento giuridico si dispone, pertanto, in forma piramidale,
basandosi l'intero sistema su un'unica Norma fondamentale (la
Grundnorm, appunto). Solo la Norma fondamentale, posta al vertice
della piramide normativa, pu dare validit ed efficacia all'intero sistema normarivo. Scrive il giurista nella Teoria generale del diritto e
dello Stato (testo del 1945):
TI rapporto fra la norma che regola la creazione eli un' altra nonna e
quest' altra norma pu essere raffigurato come un rapporto eli sopraordinazione e di subordinazione, per avvalersi di espressioni spaziali. La
nonna che determina la creazione di un' altra norma la norma superiore, la norma creata secondo tale regolamentazione quella inferiore. L'ordinamento giuridico, e specialmente 1'ordinamento giuridico la cui personificazione lo Stato, non pertanto un sistema eli nonne coordinate
la une con le altre, che stiano, per cos dire, a fianco a fianco sullo stesso
piano, ma una gerarchia di diversi piani di norme. L'unit di queste
norme costituita dal fatto che la creazione di una norma - quella infe-
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3. Percorsi artistici
3.1. L'ordine "realistico" della pittura fiamminga: !'individuo "em-
pirico"
li percorso fin qui tracciato - che attraversa, sia pure in modo
schematico e sommario, alcune categorie del politico e della riflessione giuridica - meriterebbe sicuramente una trattazione pi approfondita; prima ancora dello Stato moderno, sarebbe, ad esempio,
opportuna un'analisi della statualit medievale (quel "corpo politi-
letale riduzione del diritto a legge, la lgalit qui tue, l'espressione della legalit
mortale eli cui muoiono governi e popoli, sia sorta proprio in Francia, la terra
dei legisti, ed appunto prima dello scoppio del 1848" (Schmitt 1996, p. 86). In
effetti, su questo tema, sul problema della riduzione del diritto a legge, ritroviamo importanti riflessioni in questo saggio, dal titolo La condizione della scienza gtridica europea, composto da CarI Schmitt tra il 1943 e il 1944; un saggio
che rilegge la crisi della scienza (e della coscienza) giuridica europea (iniziata
cento anni prima con la vittoria del positivismo giuridico) da una prospettiva
prettamente giuridica centrata sul rapporto tra "scienza giuridica" e "diritto"
(Schmitt 1996). Ed proprio qui che troviamo un'aspra e lucida critica al fondamento fonnale di validit del diritto positivo costituito da un' attivit normativa dietro la quale sempre situata una volont statale. Cos leggiamo all'inizio del saggio: Parlare di una scienza del diritto europea sembra oggi, forse
proprio ad un giurista, inammissibile e non scientifico. E questo non solo a causa della lacerazione politica in cui versa l'Europa, dilaniata da due guerre mondiali, ma anche per una ragione formale, apparentemente persino di natura giuridica. Per il positivismo, che da cento anni regna nella teoria e nella prassi della
nostra vita giuridica, oggetto della scienza giuridica solo la norma che vale positivamente, e questa per esso solo la legge dello stato volta a volta presente o
la norma imposta, dotata appunto di mezzi coercitivi, sancita da una volont che
intende imporsi. TI fondamento fonnale di validit del diritto positivo costituito in tal caso sempre dall' attivit normativa, dietro la quale sempre situata una
volont statale volta a tale attivit (Ibid., p. 33).
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con che non muore mai , c.ome, del resto, avrebbe una sua utilit
una lettura pi attenta dell' opera di Bodin o di Hobbes.
Tuttavia, quello che qui pi ci interessa , come prima si detto,
una rilettura di tale percorso alla luce di quel laboratorio di immagini che l'arte pittorica in grado di offrire al pensiero, nella misura in
cui la stessa si rende capace di riflettere e di dare una compiuta visione delle trasformazioni storiche, sociali e semantiche che definiscono e investono il mutare delle ('strutture mentali".
Ci concentreremo, dunque, su un particolare momento, su un
fondamentale processo nella storia della pittura italiana, che, a partire dal XV secolo, vede il progressivo affermarsi - attraverso la
rappresentazione prospettica lineare e "centrale" - di una nuova
realizzazione (e razionalizzazione) "scientifica" che non riguarda
soltanto i valori legati alla percezione, alla visualizzazione e alla raffigurazione "spaziale", ma anche l'elaborazione teorica di una precisa struttura concettuale capace di prefigurare e riflettere - ed ci
che pi ci interessa -la costruzione giuridica della realt. Se, quindi,
ci interessiamo adesso a tale problema non tanto per un'attenzione
puramente estetica risolvibile nella contemplazione di opere d'arte
pi o meno importanti per il loro contenuto esteriore (!'immagine
rappresentata) o per la loro connessione puramente formale con la
cultura giuridica, quanto perch siamo fortemente convinti che nell'esperienza pittorica riposi tutta una capacit di anticipare, esprimere, visualizzare e configurare (attraverso la rappresentazione
simbolica) la riflessione logico-analitica sul piano non solo della
percezione visiva (l'idea dello spazio, appunto) ma anche su quello,
per noi assai importante, del mutamento delle strutture giuridiche,
politiche e sociali (l'organizzazione, ad esempio, dei rapporti societari) 30.
Detto altrimenti, ci di cui adesso ci dobbiamo in primo luogo
occupare, l'impalcatura logica e formale che sostiene l'immagine
pittorica e che definisce ed interpreta, a partire dal Rinascimento italiano, un nuovo modo di intendere i valori formali della percezione", riflettendo in tal senso, nella sua struttura gnoseologica costitu2~ E qui, come si pu ben capire, mi riferisco essenzialmente ai noto libro di
Ernst H. KantoroMcz, I due corpi del re (Kantorowicz 1989).
)0 Si tratta, in tal caso, di pensare non tanto 1'estetica come prima si
detto - quale teoria della sensibilit come forma dell'esperienza possibile, quanto l'arte come riflessione dell' esperienza reale.
31 Per quanto riguarda il problema dell'ossenrazione (e, pi in generale, della
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sua stessa capacit riflessiva (sul piano estetico), E si tratta di un modo, posiamo gi dirlo, che vede nella costruzione prospettica il dispiegarsi di una razionalit soggettiva ordinata alla sovranit di uno
sguardo individuale, trascendente e, insieme, universale,
dorov 2001, pp, 95-7), Tale libro ulteriormente importante poich segnala al
lettore il percorso compiuto dall'arte fiamminga, specialmente attraverso il ritratto realistico, verso la definitiva "scoperta" dell'individuo; ovvero, ricostruisce quel periodo straordinario nella storia dell' arte europea attraverso il quale
si sviluppa, a partire dal XV secolo, una piena coscienza dell'individualit come
momento essenziale della cultura non solo pittorica, ma anche filosofica e
scientifica.
33 A proposito dell'opera di Campin, Todorov segnala <d'irruzione trionfale
dell'individuo come oggetto della pittura. E prosegue: Questi uomini e queste
donne rappresentati non hanno niente delle essenze o dei tipi che popolavano la
pittura antica (Ibid., p, 134).
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nell'opera dei pittori fiamminghi del XV secolo, gli sviluppi della filosofia "nominalista" di Ockham, gli effetti della promozione, cliffusione e valorizzazione del culto di San Giuseppe (il Santo artigiano,
venerato insieme, ed oltre, la Trinit divina) nella dottrina teologica e
il rafforzamento della nuova sensibilit della classe borghese in ascesa:
tutti elementi che trovano nelle tele dei pittori una pi chiara coscienza riguardo al nuovo statuto (politico, economico, giuridico e sociale)
dell'individuo. In altri termini, secondo Todorov, l'accento posto sull'esperienza individuale e sulla dignit degli uomini (degli umili specialmente) prepara il terreno alla pittura fiamminga del Rinascimento
(Todorov 2001) ". Si cercano forme nuove per rendere conto della
nuova esperienza mondana degli uomini, per rappresentare il mondo
novo ed autonomo degli individui 35. Esseri individuali (e non delle
"essenze incarnate") iniziano a popolare le tele dei pittori: soggetti che
nella loro specifica e singolare individualit proiettano le proprie ombre, hanno volti differenti tra loro, espressioni singolarizzate.
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mente il termine dell' estetica classica antica (almeno nel suo carattere "naturalistico" e mimetico), si giustifica lo sforzo dell'iconografia
bizantina (concentrata sui temi teofanici) di approdare alla necessit
di un genere di immagini da guardare con gli occhi dello spirito,
ovvero, capaci, di mostrare l'invisibile (Grabar 2001, p. 21). Ci vuoI
dire, tornando proprio a Plotino, che la visione fenomenica offerta
abitualmente dall'immagine ai nostri occhi, pu essere elevata ad una
visione pi alta (una visione intellettuale) poich, attraverso la stessa,
lo spettatore preparato pu contemplare la realt "noumenica", la
sola che esista (essendo il resto soltanto apparenza), ovvero, il Nos
neoplatonico (!'Intelligenza superiore), cio Dio e il mondo intelligibile che lo circonda (Ibid.). li riflesso del Nos, questo elemento spirituale, la sola cosa che abbia realt: il resto pura materia, vuoto
"Non~essere". Detto altrimenti, in ordine ad una visione che cerca
di spalancare gli occhi dello spirito alla dimensione di una realt
sovrasensibile, si riducono al minimo, sul piano della raffigurazione
pittorica, i punti di contatto tra la rappresentazione e la natura materiale. L'immagine tradizionale (dell' arte classica) si "smaterializza" (indifferente come alla realt materiale) per divenire pi conforme ad un'evocazione dell'Intelligibile: scompare il volume,
l'ombra, lo spazio, il peso, la variet dei gesti, delle forme e dei colori, scompare ogni spunto prospettico; il ritratto - semplificato,
depurato, astratto, composto nella sua aspirazione all'immobilit si serve di tipi precostituiti che ignorano o quasi i tratti individuali (Ibid., p. 23).
L'immagine, nell'idea di Plotino, non poteva che riflettere, come
uno specchio, !'Intelligenza suprema, l'Intelligenza quale unica realt. Su questa base l'arte della Tarda Antichit e, dopo Plotino, la
nuova estetica cristiana da queste intuizioni scaturita, abbandona la
plare un'opera d'arte e il valore filosofico e religioso che egli attribuiva alla vi~
sione. Attraverso le opinioni espresse sulla maniera di accostare 1'opera d'arte, di
interrogare e di godere di ogni visione e in particolare della contemplazione di
una creazione artistica, Plotino anticipa certi caratteri dello spettatore medievale. E sono proprio le fonne anticlassiche del Medioevo che sembrano meglio
rispondere a questo nuovo tipo di visione, di cui Plotino ci indica per primo gli
elementi. Non ci si dovr del resto sorprendere nel vedere assegnato questo ruolo di precursore, nella storia dell'arte, proprio a Plotino, nelle cui idee gli storici
del pensiero e delle scienze naturali hanno spesso intravisto i segni anticipatori
dello spirito medievale (Grabar 2001, p. 31). Per ulteriori approfondimenti si
consiglia, sempre di Grabar, la lettura di Le vie dell'iconografia cristiana. Antichit e medioevo (Grabar 2011).
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alla rivelazione. Dopo Plotino, la visone fenomenica rimane al servizio della realt noumenica, della rivelazione divina (realt intelligibile): abbandonando il rapporto con la realt sensibile, l'immagine pu
finalmente accedere alla visione astratta dell'Intelligibile, di Dio 40.
lE Lo stato di contemplazione dell'Intelligibile - spiega Grabar commentando Plotino - non accompagnato da una coscienza di se stessi, ma tutta la
nostra attivit diretta verso l'oggetto contemplato: noi diventiamo questo oggetto, noi ci offriamo a lui come materia cui esso d forma, noi non siamo pi
noi stessi se non in potenza. Per vedere bisogna perdere la coscienza di s, e per
avere coscienza di questa visione bisogna in qualche modo cessare di vedere. Se
dunque vogliamo vedere avendo coscienza della visione, dovremo distaccarcene
sufficientemente ... (Ibid., p. 41).
39 Pavel Florenskij ha dedicato al tema della "prospettiva rovesciata", nel
1919, un importante saggio, riferendosi in special modo alle icone russe dipinte
tra il XIV e il XVI secolo (Florenskij 2003, pp. 73-135).
40 Qui, a ben vedere, sul piano della teoria dell'immagine, paganesimo e pen~
siero cristiano tendono, in qualche modo, a convergere. Per Plotino, infatti, la
materia non che riflesso dell'intelligenza: in tal senso il mondo diventa trasparente allo spirito quale mezzo imperfetto per approdare ad una verit superiore.
Detto altrimenti, il mondo spirituale superiore e preferibile a quello materiale
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Non , dunque, per mancanza di abilit, per regressione o involuzione artistica che la prima arte cristiana rappresenta i suoi modelli
in modo cos schematico, stilizzato e astratto; perch il mondo fisico deve essere oscurato affinch possa sorgere il regno della grazia 41.
Non ci si accontenta di imitare semplicemente l'apparenza (le forme
visibili), ma si cerca di raggiungere !'Idea, il Nous, l'essenza divina.
L'immagine si fa icona sacra: predilige il volto frontale, il viso che
diviene il centro di tutte le relazioni e contiene in s tutto lo spazio
(<<questo il mondo - scriveva Florenskij nel 1924 -, cos come viene
contenuto nel viso) (Florenskij 1995, p. 191).
Nell'universo cristiano (a partire dalla tradizione bizantina ", la
pp. 905-7).
41 Scrive in proposito Todorov: dI cristianesimo primitivo privilegia l'individuo, senza anteporre alcun intermediario tra lui e Dio; il cristianesimo istituzionalizzato favorir la funzione e il rango all'interno di una gerarchia, in deterimento dell'individuo. L'eresia iconoclasta sar sconfitta ed eliminata dalla corrente centrale della Chiesa cristiana, ma possiamo domandarci se non assistiamo, allo stesso tempo, alla sua vittoria sotterranea. Le immagini sono ancora
mantenute, ma il loro valore deriva ora da ci che esse significano, da ci che
al di l di esse. TI mondo visibile non merita di essere contemplato, n possiede
alcuna dignit propria. Qualsiasi legame tra l'alto e il basso rotto: il cielo non
comunica con la terra (Todorov 2001, p. 39).
42 Per comprendere il valore attribuito all'immagine nel periodo del primo
cristianesimo, occorre tornare a quella nota controversia religiosa e dottrinale
che attravers il mondo cristiano tra l'Vill e il IX secolo (che contrapponeva le
posizioni degli iconofili a quelle degli iconoclasti), il cui esito teorico pi significativo fu il secondo Concilio di Nicea (settimo concilio ecumenico nel quale
erano rappresentate la Chiesa d'Oriente e quella d'Occidente). A partire da qui
la cristianit riusc. a superare definitivamente l'interdetto veterotestamentario
dell'immagine, cui rimase invece fedele la tradizione giudaica. Nel periodo pi
acceso della lotta iconoclasta, Giovanni Damasceno (morto nel 754), nelle sue
Contra imaginum calumniatores ora#ones tres, ricordava che l'Antico Testamento non vietava espressamente le immagini, quanto piuttosto gli 'idoli' e distingueva, pertanto, tra l"'adorazione", riservata solo a Dio, e la "venerazione", ri-
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volta invece ai santi, alle reliquie, alle immagini e agli altri oggetti sacri (Damasceno 1983). Su questa distinzione (presente nell'opera del Damasceno ma anche in quella di Basilio Magno) poggiava appunto il secondo Concilio Niceno
(Franzen 1982, p. 157). La venerazione delle immagini andava distinta dall'idolatria: l'immagine non !'idolo, l'icona non il simulacro, l'eikon, in termini platonici, non 1'eid6lon. Al centro della dottrina cristiana delle immagini (e al centro delle argomentazioni contro l'iconoclastia), vi era il riconoscimento
dell'incarnazione del Verbo (letto secondo il disegno provvidenziale della salvezza esposto nel Nuovo Testamento): riconoscimento essenziale a partire dal
quale era possibile fondare il discorso del culto e della venerazione delle immagini sacre. Di qui l'immagine, entro la dottrina cristiana, inizia ad acquistare non
solo un valore teologico (o teofanico), ma anche un valore ontologico; o meglio
- seguendo l'estetica gadameriana - proprio attraverso questa concezione religiosa che si pu parlare dell'immagine come evento ontologico. Scrive Gadamer
nel 1960: << chiaro che solo l'immagine religiosa pu evidenziare tutta la portata
ontologica dell'immagine. della manifestazione divina che davvero si pu dire
che essa acquista il suo carattere di immagine proprio attraverso la parola e la
figura. TI significato religioso dell'immagine si rivela dunque esemplare. In essa
risulta inequivocabilmente chiaro che l'immagine non copia di un essere raffigurato, ma ha una comunione ontologica con il raffigurato. In base a questo
esempio si fa evidente che l'arte, in generale e in un senso universale, apporta
una crescita nell'essere in quanto gli conferisce il carattere di immagine. Parola e
immagine non sono semplici aggiunte illustrative, ma fanno s che ci che esse
rappresentano sia davvero completamente ci che (Gadamer 1995, I, p. 177).
Di qui (specialmente dopo il secondo Concilio di Nicea), si esiger non di sopprimere le immagini, bens di sottometterle al contenuto: l'immagine sar ammessa, ma a patto di rivelare l'idea che la sostiene. La rappresentazione del reale
dovr sottomettersi all'illustrazione delle idee, alla dimostrazione del dogma cristiano, e non essere contemplata in se stessa e per se stessa. Attraverso tale soluzione, il divino si lascia pertanto rappresentare, ma a condizione che non si confondano le immagini con una semplice figurazione del reale; se li si vuole dipingere, sar necessario isolare Ges, la Vergine e i Santi dal contesto quotidiano in
cui vivono pittori e spettatori. E ci, a ben vedere, trova una precisa conferma
sul piano tecnico e stilistico. Come, infatti, scrive Tvetan Todorov, non si chieder pi al volto dipinto di riprodurre fedelmente i tratti di una persona, bens
di affermare alto e forte un'idea. La stessa venerazione di cui sono oggetto i
membri della sacra famiglia O i santi tende all'idealizzazione e, quindi, alla generalizzazione dei loro tratti peculiari (Todorov 2001, p. 37).
4.1 Sul tema dell'icona, si raccomanda anche la lettura de L'angelo sigillato,
suggestivo racconto di Leskov del 1873 (Leskov 1994, pp. 3-80).
Lo spazio prospettico
107
108
Su questa linea prosegue ancora Evdokmov secondo il quale d'icona non dimostra niente, essa mostra; evidenza folgorane, essa si pone
come argomento "kalokagatico" dell'esistenza di Dio (Evdokmov
1990, p. 185) 46. E, ancora, leggiamo:
Certamente l'icona non ha realt propria; in se stessa non che una
tavola di legno; precisamente perch trae tutto il suo valore teofanico
dalla sua parteczpazione al "totalmente altro" mediante la rassomiglianza,
non pu racchiudere niente in se stessa, ma diviene come uno schema
Lo spazio prospettico
109
L'icona, dunque, esprime figurativamente quell' esperienza di rapporto con l'Ineffabilit divina che svela contemporaneamente la verit dell'uomo: come forma visibile del Dio invisibile, esprime la rivelazione di Dio nell'immagine dell'uomo 48. Attraverso l'immagine, la
"bellezza" appare come luogo della rivelazione dell'invisibile originario e come tesrimonianza di un ordine ben definito 49. In questo
47 Continua Evdokmov: ~< questa teologia liturgica della presenza, affermata nel rito della consacrazione, che distingue nettamente l'icona da un quadro a
soggetto religioso e traccia la linea di demarcazione tra i due. [ ... ] L'artista
scompare dietro la tradizione che pada; le icone non sono quasi mai firmate;
l'opera d'arte lascia posto ad una teofania; ogni spettatore alla ricerca di uno
spettacolo qui si trova spaesato; l'uomo, colto da una rivelazione folgorante, si
prostra in atto di adorazione e di preghiera (Ihtd., p. 183). E ancora, in un altro
passo, leggiamo: Per incontrare la Bellezza a volto svelato, per attingere alla
ricchezza della sua grazia, occorre, mediante una trans-ascendenza, mediante un
superamento del sensibile e dell'intellegibile, oltrepassare le porte segrete del
Tempio ed l'icona. Non pi l'invocazione ma la Parusia; la Bellezza viene
incontro al nostro spirito non per rapido, bens per aprirlo alla prossimit bruciante del Dio personale. la discesa della Sapienza celeste che fa della Sophia
terrestre il suo irraggiante ricettacolo, il roveto ardente. L'arte dell'icona non
autonoma, inclusa nel.Mistero liturgico e rifulge di presenze sacramentali. Essa
fa sua una certa "astrazione"; si potrebbe dire una certa transfigurazione (Ibid.,
p.104).
48 In altri termini, da questo punto di vista, se in natura si pu vedere solo la
parte sensibile, nell'arte si pu contemplare l'universale-intellegibile. In tal senso
l'opera d'arte - come afferma Werner Hofmann riportando le parole di Ugo di
San Vittore - rende possibile allo spirito l' <~ascesa dal visibile all'invisibile
(Hofmann 2003, p. 42) .
9 In questo senso, non mi sembra del tutto azzardato accostare il pensiero di
Evdokmova quello del grande filosofo russo V1adimir Sergeevic Solov'ev, che
nelle sue Lezioni sulla Teandria (1877-1881), tenute durante il suo "periodo teosofico", cos afferma: La realt di tale mondo [il mondo divino], che per necessit infinitamente pi ricco del nostro mondo visibile, pu evidentemente essere accessibile totalmente solo a chi appartiene effettivamente allo stesso mondo.
Ma siccome anche il nostro mondo naturale si trova necessariamente in stretto
nesso con questo mondo divino, siccome tra questi due mondi non c' n ci pu
essere un abisso incolmabile, raggi e riflessi singoli del mondo divino devono
penetrare anche nella nostra realt e costituirne tutto il contenuto ideale, tutta la
bellezza e tutta la verit che vi scopriamo. L'uomo, che appartiene ad ambedue i
mondi, pu e deve con l'atto della contemplazione intellettuale attingere il
mondo divino e pur restando ancora nel mondo della lotta e dell' oscura ansia,
110
50 .
l19lOsa
Non si mai soli davanti a un'icona bizantina, n passivi: si inseriti in uuo spazio ecclesiale, liturgico e in una pratica collettiva. La
funzione liturgica , in essenza, comunitaria. Si soli soltanto di
fronte a un quadro della nostra cultura moderna: non c' pi bisogno di passare attraverso una storia collettiva e una pratica condivisa
per appropriarsi della sua sostanza. Al contrario dell' arte religiosa
occidentale (e all'opposto dell'immagine naturalistica e dell'apparenza carnale), l'icona conserva pertanto tutto il suo valore simbolico all'interno del rituale liturgico 5!. il suo valore "teofanico" dato
dalla partecipazione all'universo mistico e "invisibile" del sacro: la
sua presenza manifesta un' assenza segreta e irradia la potenza divina.
Scrive ancora Evdokmov:
L'icona una rappresentazione simbolico-ipostatica che invita a
trascendere il simbolo, a comunicare all'Ipostasi, per partecipare all'mdescrivibile. Essa una via attraverso la quale si deve passare per supeentrare in contatto con le chiare immagini del regno della gloria e della eterna
bellezza (Solov'ev 1990, p. 148).
50 Essenziale in questi passaggi anche il riferimento a Dostoevskij (<<la bellezza salver il mondo), autore pi volte citato da Evdokmov (1990, pp. 5964). A tal proposito, circa la questione dell"'inuti!it" del bello, leggiamo: Accanto ad una civilt tecnica, altamente pratica e utilitaristica, si pone la cultura
dello spirito, che un campo predestinato per "coltivare" i valori "inutili", pi
esattamente "gratuiti", fino al momento dell'ultimo superamento verso l'''unico''
non "utile" ma "necessario", secondo le parole del Vangelo (Ibid., p. 64).
51 In effetti, come spiega ancora Evdokmov, gi a partire dal secolo XIII,
Giotto, Duccio, Cimabue, Fra Angelico, sotto l'influsso dell'intellettuallsmo scolastico, si allontanarono da quella realt misteriosa, mistica, invisibile e "irrazionale" espressa ancora nei canoni dell'icona orientale (l'arte, per eccellenza, del
trascendente). Introducendo la prospettiva della profondit (nonch il realismo,
la fattualit ottica e il chiaroscuro), la loro pittura rompeva con i "canoni iconografici" tradizionali e ritrovava, cos, la sua autonomia e la sua indipendenza dal
rituale. Proprio a partire da questo momento, la visione pittorica occidentale,
sostanzialmente "soggettiva" (soggetta ai trasporti psichici individuali), non trova pi integrazione nel mistero liturgico, perdendo cos il linguaggio dei simboli
e delle "presenze invisibili", L'arte sacra diventa semplice rappresentazione religiosa spostandosi verso la decorazione, il ritratto e il paesaggio. Come ribadisce
Evdokmov, si pu dire che, misticamente, il Medio Evo si spegne precisamente quando scompaiono gli angeli, quando l'icona cede il posto all'immagine allegorica e didattica e il pensiero indiretto al pensiero diretto. la fine dell'arte
romanica, arte essenzialmente iconografica, ed qui che l'Occidente si distacca
dall'Otiente (Ibzd., p. 173).
Lo spazio prospettico
111
rarla. Non si tratta di sopprimerla, ma di scoprire la sua dimensione trascendente. Essa incontra l'Ipostasi ed introduce all' esperienza della Presenza spogliata di forme empiriche. [ ... J Dunque l'icona non conduce
verso l'assenza pura e semplice dell'immagine, ma, al di sopra e al di l
dell'immagine, verso l'Iper-icona indescrivibile, ed questo il suo aspetto
apofatico, l'apofasi iconografica (Ibid., p. 226).
Di qui, in questa spinta al di l dell'immagine", in questa ec52 Come si pu ben capire, nella dottrina teologica della Chiesa orientale
l'icona ha dato luogo ad un'immagine che non equiparabile all'idolo o al simulacro; anzi, la sua possibilit "teofanica" deriva proprio dalla condanna veterotestamentaria dell'idolatria. Non , come la copia (o il ritratto), rappresentazione
visibile di un' altra realt visibile, non semplice raffigurazione di un modello,
non imitazione dell'originale, ma immagine (eik6n) che mostra in se stessa la
misteriosa presenza del Modello, che presenta, paradossalmente, il <<visibile
dell'invisibile; immagine, dunque, libera da ogni vincolo associativo, che affonda in una metafisica concreta (Florenskij 1977, p. 125). Lo spiega bene anche
Massimo Cacciari: Non !'idolo pagano ispira l'icona, e ne determina la genesi
nel mondo cristiano, ma l'assenza, il nascondimento della Parola, cui si rivolge il
"tu" di Mos. L'icona plotiniana ricorda la statua olimpica di Zeus, l'irradiante
finzione dell'idolo; l'icona cristiana costretta a rispondere alla negazione vetrotestamentaria che di esso stata compiuta. [ ... ] La teologia dell'icona ha sempre
considerato positivamente questa condanna, tanto da intenderla come 'introduzione' necessaria alla vera icona. Essa non pu, quindi, 'condividere' semplicemente la luce della metafisica plotiniana. L'Evento ne ha sconvolto i tratti: il mistero dell'incarnazione pu rispondere all' assenza vetro-testamentaria di immagine, soltanto sconvolgendo quella "razionale" filosofia dell'icona, cui Plotino
aveva offerto suprema sistemazione. Non il gioco riflettente tra i gradi dell'essere soddisfer mai la nostalgia giudaica per l'esserci del Nome; solo la piena affennazione che questa immagine per nessun verso pi semplice ombra, simwaero, finzione, per nessun verso appartiene pi alla "palude tenebrosa", alla "dimora della dissomiglianza", sembra capace di liberare dal divieto vetro-testamentario (che ancora pi possente risuona nella teologia islamica). Ma tale idea
deriva necessariamente e integralmente dalla fede nell'incarnazione, dalla professione di questo mistero (Cacciari 1985, pp. 176-7). L'icona deve essere paradossalmente eik6n dell'Invisibile. Leggiamo pi sopra: Tra l'incoercibile
attenzione plotiniana alla irraggiungibile purezza dell' endon eidos e la rappresentabilit dell'Invisibile in quanto Invisibile, che nell'icona si afferma, sta il cuneo
della proibizione vetro-testamentaria dell'immagine, cui la tradizione giudaica
rimane fedele. [' .. J La teologia dell'icona non pu, infatti, porsi in sicura continuit con la dottrina neoplatonica; una duplice crisi la separa da questa: non
solo il decisivo istante dell'incarnazione, ma la stessa assenza di immagini, lo
stesso esodo da ogni immagine, che contrassegnano il destino ebraico (Ibid.,
p. 174). Tuttavia, siamo anche, al contempo, all'interno e all'esterno della tradizione platonica. All'interno, perch l'iconografia (nel suo simbolismo che riconduce il sensibile alla sua dimensione celeste) fiorisce nel platonismo della patristica
112
cedenza di immagine, si" capiscono meglio quelle trasgressioni dell'unit prospettica proprie della rappresentazione iconica; le icone
prospetticamente erronee definiscono la ,Jibert "giuridica" dalle
leggi della prospettiva lineare e, nello stesso tempo, la consapevolezza nel pittore delle sue ,<trasgressioni prospettiche (Florenskij
2003, p. 79) 53. La <<prospettiva rovesciata o inversa, come appunto la
chiama Florenskij (Ibid., p. 76), non che il segno del passaggio dal
visibile all'invisibile, non che la registrazione paradossale di un
tempo capovolto e di uno spazio che si d al di l del sensibile;
come sovvertimento di ogni regola prospettica, l'icona - e qui Florenskij segue San Dionigi l'Areopagita - una ,<finestra aperta sul
mondo spirituale (Florenskij 1977, pp. 59-61); anzi, una porta
aperta, nello stesso significato che a quest'ultima le ha attribuito
Simmel: ci che riversa la vita al di fuori della limitatezza di un essere-per-s isolato verso l'illimitato in tutte le sue direzioni, ci che
ci regala "il meraviglioso sentimento di essere sospesi per un istante
tra cielo e terra (Simmel2011, p. 4) 54.
orientale, ma anche, e comunque, in discontinuit con questa stessa tradizione.
La teologia dell'icona, infatti, dal momento in cui accoglie il mistero dell'incarnazione del Verbe nel Cristo e nella misura in cui rimanda alla fondamentale
assenza di immagini propria dell'ebraismo, segna una frattura con la dottrina
neoplatonica dell'immagine e, ancora sul piano iconologico, con il platonismo in
generale. L'icona, detto altrimenti, rompe con la dialettica della rivalit di Platone (Deleuze 1984, p. 224): sfugge alle dicotomie essenza/apparenza, sensibile/intelligibile, immagine/idea, copia/originale; oltrepassa la distinzione tra copia e simulacro. Non intrattiene un rapporto (di somiglianza) con l'originale,
non rappresenta un Modello, non raffigura un'Idea: l'icona paradossale presentazione di un'assenza d'immagine, partecipazione e irradiazione dell'Altro,
immagine essa stessa dell'Invisibile. Non ha equivalente logico-discorsivo, ma si
manifesta come dimensione propria del mostrarsi, come luogo visibile di ci
che, paradossalmente, rimane invisibile. Sul tema dell'icona tornato ancora
Cacciari in un suo ultimo piccolo saggio (Cacciari 2007).
5; In un suo testo del 1919 cos Florenskij chiarifica la sua posizione: In
quei periodi storici della creazione artistica in cui non si nota l'uso della prospettiva, gli artisti figurativi non che "non sappiano", ma non vogliono usarla, o pi
precisamente, vogliono servirsi di un altro principio di rappresentazione che
non sia la prospettiva, e vogliono cos perch il genio del tempo comprende e
sente il mondo in un modo cui immanente anche questo mezzo di rappresentazione (Florenskij 2003, p. 91).
54 Nelle sue riflessioni sociologiche ed estetiche, in un saggio del 1909, Georg
Simmel attribuiva appunto alla porta la capacit di abolire ~<1a separazione tra
esterno e interno; la porta, cos ribadiva, presenta in modo pi netto come
separazione e congiunzione non siano altro che le due facce di una medesima
Lo spazio prospettico
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L'icona "sacra" perch l'immagine si apre a qualcosa di altro rispetto a se stessa, a qualcosa che accade prima ancora del suo manifestarsi, a qualcosa che viene dal fuori, che rimanda ad una trascendenza, ad una esteriorit irriducibile alla sua pura immanenza.
Ancora nel 1453, Niccol Cusano, assumendo una posizione antitetica rispetto alla nuova visione prospettica che, nello stesso periodo, si stava pienamente affermando nella riflessione estetica del Rinascimento italiano, contrapponeva, nel suo trattato De visione Dei,
lo sguardo infinito di Dio all' autonomia dello sguardo finito dell'uomo (punto di vista rivendicato appunto, come presto vedremo, dalla
costruzione prospettica dello spazio visivo). Riflettendo su quanto
appare nella visione dell'immagine di Dio cos annotava:
Guardando me, offri te stesso alla mia vista, tu che sei il Dio nascosto. Nessuno pu vedere, se non sei tu stesso che ti dai a vedere. E vedere te non altro se non che tu vedi colui che ti vede. In questa tua immagine, signore, vedo quanto tu sia propenso a manifestare il tuo volto a
tutti coloro che ti cercano (Cusano 1998, p. 35).
azione; ma dal momento che pu essere aperta, la sua chiusura offre il sentimento di una pi forte chiusura nei confronti di tutto ci che al di l di questo
spazio, pi incisivamente di quanto non faccia la parete priva di ogni articolazione.1n tal senso la porta diviene l'immagine di un punto-limite: <<L'unit finita, alla quale abbiamo connesso un pezzo dello spazio infinito designato per noi,
ci connette poi a sua volta a quest'ultimo, in essa - continua Simmel- il limite
adiacente all'illimitato, e non nella morta forma geometrica di una parete divisoria, ma come la possibilit di uno scambio continuo (SimmeI2011, pp. 3-4).
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Introducendo, infatti, lo sguardo dell'osservatore come elemento strutturante il quadro, dando una "forma visiva" dello spazio e offrendo
le linee di profondit nella rappresentazione (nonch il realismo ottico e il chiaroscuro), la loro pittura rompeva con i "canoni iconografici" stabiliti dalla Chiesa d'Oriente ed affermava, cos, la sua indipendenza dal rituale. Proprio a partire da questo momento, la visione pittorica occidentale, sempre pi soggettiva (e sempre pi soggetta ai trasporti psichici individuali), non trovava pi integrazione
nel <<mistero liturgico. L'opera perdeva pian piano il linguaggio dei
simboli e la forza delle presenze invisibili>>: da sacra - come spie-
menta del Rinascimento italiano. Tuttavia, per questa fase importante della pittura, non ancora corretto parlare di "visione prospettica" in senso proprio (o
di "prospettiva matematica", "lineare", "centrale" o "artificiale"). Lo spiega bene Hans Belting: <<1 pittori cominciano a simulare nei quadri la presenza o, meglio, il processo visivo dell' osservatore. Ovviamente, si trattava ancora di esperimenti: il dipinto faceva riferimento a un osservatore esterno, al quale cercava
di trasmettere l'impressione che egli vedesse con i propri occhi il mondo raffigurato, cos come vedeva la realt. Giotto us la sintassi della pittura per creare
come per magia una situazione spazzale in cui corpi e oggetti trovassero ciascuno
il proprio posto. Sappiamo che il metodo matematico per rappresentare lo spazio come sistema sar inventato soltanto due generazioni pi tardi. Solo allora,
grazie alla prospettiva matematica, diventer possibile costruire ogni dipinto in
base a regole fisse, che avrebbero trovato il loro riferimento nello sguardo del
presunto osservatore posto davanti all'immagine (Belting 2010, p. 145). Specialmente a proposito di Giotto, pi che di prospettiva naturale (empirica e
intuitiva, capace di simulare l'angolo visivo di un ipotetico osservatore) Belting
preferisce parlare di <<forma visiva dello spazio. Non essendo ancora stata inventata la costruzione matematica del dipinto, non era ancora possibile calcolare
un punto di vista. Giotto, come il suo miglior discepolo Taddeo Gaddi, si concentra sullo sguardo, ma non attribuisce ancora allo spettatore una propria stazione prospettica. Continua Belting, e il suo discorso riguarda anche Duccio;
l'invenzione della prospettiva matematica era ancora lontana, ma non dobbiamo disconoscere che l'obiettivo di questi esperimenti era gi definito: introdurre
lo sguardo dell' osservatore quale elemento strutturante il quadro. La "forma
visiva" non offre una ricetta con cui operare nella pratica artistica. Essa costituisce, piuttosto, un'idea guida per cercare di simulare una profondit di campo in
cui le cose si presentino nel quadro a diversa distanza e in dimensioni diverse,
indipendentemente dall'uso del cosiddetto sistema delle convergenze oppure da
linee di profondit, quale che ne sia la disposizione, rendendo gi evidenti i raggi visivi. Questi ultimi non possono essere rappresentati in s, in quanto sono
invisibili e di natura non fisica ma geometrica. Per questo necessario rappresentarli simbolicamente, valendosi degli angoli o del disegno delle piastrelle. Cos, simbolicamente incorporati nelle linee di fuga dell'edificio, i raggi visivi divennero la fOnTIa guida dello sguardo IIbid., p. 151).
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breve parleremo - avevano bisogno di una lunga elaborazione teorica e pratica (capace di incidere significativamente sul processo di
trasformazione delle forme mentali dell' epoca) prima di maturare e
trovare adeguate risposte sul piano della riflessione pittorica 60; una
riflessione, appunto, essenzialmente "prospettica" che prefigura, in
virt della costruzione matematica della rappresentazione, la razionalizzazione estetica dello spazio e della realt. Di ci, ovvero di quel
che presto assumer i caratteri di una vera rivoluzione mentale, ci
dobbiamo adesso occupare.
J
Se volessimo individuare il tratto comune del pensiero umanistico, lo troveremmo senz'altro nella sensibilit artistica (Cassirer 1992,
p. 254) e, ancor di pi, nella "mentalit" che si pu scorgere dietro
questa stessa sensibilit. Gran parte degli studiosi concordano sul
significato da attribuire all'idea geometrica di prospettiva (quale sistema - dedotto da Euclide - di riduzione proporzionale degli oggetti secondo la distanza) affermatasi nel Rinascimento italiano; poich
proprio la prospettiva, a ben vedere, definisce realmente lo stile mentale di un'epoca. Possiamo cos, in poche parole, darne una definizione:
La prospettiva designa un sistema di organizzazione della superficie
piana dello schermo plastico ove tutti gli elementi rappresentati (cielo,
terra, oggetti, figure) sono considerati da un punto di vista unico e le
p. 37). TI primo artista che, secondo Francastel, ha avuto la rivelazione del miracolo Paolo Uccello, ma anche in lui il nuovo atteggiamento non implica
conseguenze logiche assolute: <<1a nuova speculazione matematica non modifica
ancora visibilmente i rapporti dell'uomo col mondo; un nuovo metodo tecnico
e non una nuova visione. Per quella prima generazione, la meditazione sullo
spazio non supera il livello dei procedimenti di atelier (Ibid., p. 38).
w Vale ancora la pena, a tal proposito, riportare un altro passo di Francastel:
Non si insister mai abbastanza sul fatto che, durante la prima met del Quattrocento, le esperienze spaziali sono contraddittorie e gli artisti pi grandi mettono sullo stesso piano ricerche che sviluppano esperienze del passato e altre, in
piccolo numero, che preparano l'avvenire. La scoperta di un nuovo spazio plastico, lo spazio moderno, neppure agli iniziati apparve come un'invenzione decisiva. Sul piano delle tecniche, non si cessato di spigolare qua e l e di procedere per tentativi. Nella prima generazione nessuno ha avuto la sensazione di essere in possesso di una formula defmitiva. InfIne, al principio del Quattrocento, si
creato in virt di un bisogno interiore e non di un piano prestabilito (Ibid.,
p.39).
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dimensioni relative delle parti sono dedotte matematicamente dal calcolo della distanza relativa degli oggetti che appaiono all' occhio immobile
dell'osservatore (Francastel2005, p. 211) 6.
Entro l'impianto prospettico della nuova concezione pittorica rinascimentale (si pensi, ad esempio, agli studi di Filippo Brunelleschi
o di Leon Batista Alberri) , ritroviamo anche qui !'idea di piramide,
ovvero, della cosiddetta piramide visiva (specialmente nella "dottrina" dell'Albertil: l'idea dell'immagine quale sezione costruita dai
raggi visivi, attraverso la quale, tra r occhio e r oggetto, si inserisce
il dipinto che la interseca perpendicolarmente ". E la ritroviamo
proprio come <<forma simbolica, nella stessa accezione che Erwin
Panofsky - mutuando l'espressione da Ernst Cassirer - restituiva al
concetto di prospettiva (Panofsky 1984) 63. Cos affermava Panofski
riferendosi al concetto rinascimentale di prospettiva centrale:
61 Continua Francastel: ~~Si noter che, gi in questa definizione molti termini
risultano da una scelta arbitraria. TI mondo esterno non retto da leggi che lo
fanno girare attorno a noi; e non solo abbiamo due occhi, ma ognuno di essi
mobile (Ibid., pp. 211-2).
62 Spiega a tal proposito Hans Belting: ~<n vertice della piramide sito
nell'occhio, mentre l'ipotetica "sezione" pu trovarsi in qualsiasi punto della
piramide. La prospettiva pu essere descritta come metodo che consente di "costruire" spazi visivi (Belting 2010, p. 35). E pi avanti nel testo leggiamo: Una
volta dipinto, il "quadro" trasforma le mutevoli "forme visive" in un'immagine
visiva, che in tal modo si concretizza in un oggetto statico. La teoria dell'immagine una teoria della visione applicata, poich il dipinto prospettico mostra
il mondo nelle condizioni visive reali. In ci la distanza dell' occhio perviene al
campo dello sguardo e si differenzia dalla distanza corporea che c' tra osservatore e dipinto. Nondimeno, anch'essa legata a un corpo. In virt del riferimento
al corpo, il nuovo modo di dipingere diviene antropomorfo. I valori di misura
rappresentano una sorta di equazione tra sguardo e corpo, consentendo di superare la differenza esistente tra l'uno e l'altro. L'orizzonte dipinto, che costituisce
l'altezza d'occhio di chi osserva, determina se le linee di fuga si dispongano in
senso ascendente o discendente: un principio, questo, che stato illustrato da
Sebastiano Serlio (Ibid., p. 176). In effetti, Hans Belting si ruetisce allibro
sull'architettura di Sebastiano Serlio (1475-1554) dove, in una xilografia da
questo tratta, rappresentato l'occhio che usa il ventaglio dei raggi visivi per
calcolare su un elemento architettonico dodici unit di misura. Qui all' opera
- commenta Belting - non l'occhio anatomico, bens il cosiddetto "punto di vista", giacch Serlio ha bisogno di un punto fisso per misurare le distanze nel
mondo reale. [. .. ] La distinzione tra occhio e sguardo era necessaria, in quanto
la prospettiva un modello geometrico di rappresentazione che funziona secondo le leggi della matematica e non della fisiologia (Ib,d., p. 35).
6J Per Panofsky, in effetti, la prospettiva non un semplice elemento tecnico
120
Questa costruzione geometrica "corretta", che fu scoperta nel Rinascimento e che pi tardi fu costantemente perfezionata e semplificata
pur restando immutata nelle sue premesse e nei suoi fini fino ai giorni di
Desargues, pu essere definita concettualmente come segue: io mi rappresento il quadro [ .. .J come una intersezione piana della cosiddetta
"piramide visiva", che determinata dal fatto che io considero il centro
visivo come un punto e lo connetto con i singoli punti caratteristici della
pp. 19-20).
64 Ricordiamo ancora ci che afferma Belting, che al tema della finestra, ripensato speciahnente nel confronto tra cultura araba e cultura occidentale, ha
dedicato importanti pagine. Ripercorrendo le teorie dell' Alberti, cos scrive: La
"situazione finestra" pu essere intesa come garanzia ontologica dello sguardo,
che l diventa inunagine di se stesso (Ibid., p. 236).
65 Scriveva ancora Panofsky: Questa "prospettiva centrale", per garantire la
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Lo spazio prospettt'co
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x:m
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unificata e "corretta") --passa attraverso la realizzazione (quale processo di razionalizzazione) di una piramide visiva (come resa adeguata dell'immagine) n.
71 Non a caso, nell'affrontare i problemi della prospettiva "centrale" in relazione alla percezione visiva, Rudolf Arnheim introduce il concetto di "spazio
piramidale" . Riprendendo e applicando ai sui studi sull' arte i principi gestaltistici (la teoria della Gestalt), Arnheim ha, in effetti, investigato i rapporti tra prospettiva centrale e prospettiva isometrica (uno dei grandi sistemi di unificazione dello spazio tridimensionale attraverso il quale il contenuto del dipinto
viene inserito in sistemi di line parallele che entrano da un lato, corrono diagonalmente attraverso il dipinto e ne escono dall'altra parte). In realt, le sue ricerche partono dall'analisi di come l'effetto di profondit possa essere ottenuto
attraverso molteplici accorgimenti (che vanno dall'uso dell'immagine, distorta
bidimensionale, che scivola nella terza dimensione per seguire il principio di
semplicit e diventare pi facilmente accettabile come buona) e si concentra"
no, altres, nello studio della profondit conferita agli oggetti (a prescindere da
altre condizioni). Ma ancor di pi, analizzando la differenza tra prospettiva angolare-isometrica e prospettiva centrale, Arnheim conclude per la non esistenza
di un' autentica prospettiva centrale presso l'antichit: la ricerca intuitiva
dell'unit spaziale che poggia - cos scrive - su diversi sistemi di costruzione
applicati localmente, trova infine <da codificazione geometrica nel principio
dclla prospettiva centrale, la cui prima formulazione nella storia dell'umanit fu
trovata in Italia, grazie ad artisti come l'Alberti, il Brunelleschi e Piero della
Francesca (Arnheim 2007, p. 231). E ancor prima scriveva: uno spettacolo
avvincente, quello offerto dalla pittura europea del Trecento e del Quattrocento
che brancola in direzione della convergenza spaziale. In un momento di transizione dalla prospettiva isometrica a quella centrale la convergenza di un soffitto
e di un pavimento raffigurata dapprima con la disposizione simmetrica di spigoli paralleli che si incontrano goffamente lungo la verticale centrale. A questo
principio fa gi riferimento l'Ottica di Euclide: un procedimento che gli artisti
del Rinascimento conobbero tramite le pitture murali di Pompei e che fu descritta, tra gli altri da Cennino Cennini nel trattato sulla tecnica pittorica
(Ibid.). E in un altro passo, per noi significativo, cos leggiamo: La scoperta della prospettiva centrale signific un passo pericoloso nel pensiero occidentale, e
segn una preferenza di orientamento scientifico per la riproduzione meccanica
e la costruzione geometrica in luogo della figurazione creativa (Ihzd., p. 233). In
fin dei conti, secondo gli studi che Arnheim dedica alla forma visuale, la creazione di immagini non parte dalla proiezione ottica dell'oggetto rappresentato,
ma un equivalente, reso tramite le caratteristiche di un determinato medium,
di quanto si osserva nell'oggetto (Ihid., p. 123). Per questo motivo alla base di
ogni relazione artistica si pongono delle convenzioni, come, appunto, nel caso
della figurazione prospettica centralizzata. La prospettiva centrale -leggiamo muta il rapporto con l'osservatore. Le sue linee strutturali principali sono un
sistema di raggi che escono da un punto focale all'interno dello spazio pittorico
Lo spazio prospettico
125
Tuttavia, l'arte della prospettiva (o il concetto della teoria artistica dell'immagine) non un'invenzione rinascimentale emersa dal
nulla; le ricerche condotte da Hans Belting hanno ben dimostrato
come alla base di questa costruzione pittorica (la stessa base attraverso la quale la percezione sensoriale divenne conoscenza) ci fosse una
teoria di origine araba, una teoria matematica dei raggi visivi e della
geometria della luce, un concetto scientifico della teoria ottica (Belting 2010, pp. 25-136).
Nella scienza occidentale - scrive Hans Belting - il concetto di perspectiva era gi familiare al Medioevo prima che fosse introdotto nell' arte durante il Rinascimento: designava una teoria della visione di origine
araba che soltanto in un secondo tempo, nel XVI secolo, sar ricondotta
all'antico concetto di "ottica". Da allora il concetto sopravvissuto unicamente nella teoria dell' arte, la quale imputa le immagini in primo luogo alla proiezione di un osservatore. [ .. .J La prospettiva in campo artistico pretese di elevare la percezione a misura della rappresentazione,
presupponendo con ci un concetto di percezione che essa stessa non
aveva ideato, ma rinvenuto nell' eredit occidentale di un matematico
arabo. Nei suoi Commentari sull'arte, Lorenzo Ghiberti, uno degli artisti
pi autorevoli nella Firenze del primo Rinascimento, continua a usare il
concetto di prospettiva in un duplice significato, e cita ampiamente dalla
traduzione in volgare di un trattato arabo che aveva per tema la teoria
scientifica della visione (Ibid., p. 12).
126
p. 101) 72. Ad Alhazen, matematico che dedic gran parte dei suoi
studi alla teoria della visione (alla teoria ottica in quanto scienza di
"ci che appare" in contrapposizione a tutto "ci che " si deve
essenzialmente la scoperta della camera oscura: una scoperta (basata
sul calcolo matematico) che ebbe in Europa una lunga incubazione e
diede frutti, sul piano della ricerca scientifica (e delle scienze esatte),
soltanto in et moderna, attraverso il filosofo parmense Biagio Pelacani (morto nel 1416) - il quale, ben prima di Cartesio, "invent" lo
spazio matematico rielaborando in modo innovativo il pensiero di
Alhazen 74 _ e soprattutto con Keplero, Leibniz e, appunto, Cartesio 75. Sul piano della riflessione estetica, al contrario, le sue ricerche
ottiche diedero risultati notevoli 76, e ci a partire proprio dal Rina-
7"
n Anche Pierre Francastel ricorda come Ghiberti, nei suoi scritti sull' ottica,
si riferisca al testo di Al Hazen (Francastel2005, p. 29).
3 Prima di AI-Haitham (chiamato appunto Alhazen nella maggior parte delle fonti europee), Al-KlndI (medico di Baghdad nato alla fine dell'VIII secolo)
introdusse l'idea per cui ciascun punto di una superficie riflette la luce in ogni
direzione e realizz un parallelo metaforico tra la luce e il raggio visuale, ma cos
facendo - come ha notato Simon Ings - si cre un sacco di problemi, che si
rilevarono tuttavia spunti molto interessanti per i pensatori venuti dopo di lui
(Ings 2008, p. 165). Pi tardi Alhazen si interess soprattutto al comportamento
geometrico della luce e realizz i primi lavori realmente validi sulla rifrazione.
[ ... ] Fu anche il primo scrittore a noi noto che cap il ruolo della luce nella percezione visiva (Ibid., p. 166). E fu anche colui che ~<dedusse dalle sue nozioni di
anatomia (cosa che Al-Klndr non fece) che la visione risiede nell' occhio (Ibld.).
"Per questo si rimanda ad Hans Belting (2010, pp. 152-8).
7, Come ricorda Belting, il razionalismo che ha caratterizzato il periodo aureo della scienza islamica ha dato i suoi frutti in Occidente soltanto nell' et moderna, poich si fondava sulla sperimentazione scientifica, libera da qualsiasi
fardello teologico. Nell'epoca che in Occidente chiamiamo Medioevo, il mondo
arabo non era ancora soggetto ai dogmi che lo avrebbero vincolato negli anni a
venire, e matematica e astronomia erano materia di divulgazione (Belting 2010,
p. 13). E ancora leggiamo: <~La prospettiva delle immagini si basa su una teoria
ottica che non di nuova invenzione, bens nasce da una scienza antica. Troppo
spesso si dimentica che il termine latino perspectiva, dal quale la teoria prende
nome, il titolo di un' opera araba sull' ottica. Vero che la teoria della visione,
su cui quella perspectiva era fondata, mut il suo significato nel momento in cui
fu traslata in una teoria dell'immagine, di cui si fecero vessilliferi gli artisti del
Rinascimento, che la ribattezzarono "prospettiva". Oggi diremmo che essi hanno voluto inventare un'immagine analogica, nella quale individuare addirittura
un facsimile dell'immagine visiva naturale. Nelle universit occidentali, la teoria
araba della visione era pertanto conosciuta fin dal XIII secolo, ma soltanto nel
XV secolo fu tradotta in una teoria dell'immagine (Ibid., p. 99).
76 Occorre certo ricordare - e lo ricorda sempre Belting - che se Alhazen an-
Lo spazio prospettico
127
128
cultura occidentale, artisti, scienziati e matematici, proseguendo ricerche gi avviate nel Medioevo, scoprirono che non solo le cose, ma
anche il vuoto (lo spazio vuoto) 79 pu essere misurato:
Per questo motivo -lo ricorda Bans Belting - i quadri del Rinascimento (la cultura araba non conosce quadri) sono di natura completamente diversa da quelli dell' antichit: sono costruiti su basi matematiche. Soltanto a partire di qui, la cultura visiva dell' et moderna riusc
Lo spazio prospettico
129
130
Del resto, come prestb vedremo, nella pittura rinascimentale l'immagine visiva (che non pi tanto un'immagine di fede, quanto una
raffigurazione del mondo empirico) strettamente collegata a uno
sguardo individuale e ha il suo riferimento nel "punto di vista" di un
osservatore. Allo stesso modo, la superficie il mezzo che consente
di rappresentare lo spazio in un'immagine: ,da si attraversa con lo
sguardo scrive Belting (Ibid., p. 130) 82. TI pittore d forma concreta
allo sguardo ponendolo in rapporto con la rappresentazione (e proprio tale rapporto diventa il fulcro della nuova visione prospettica).
In altri termini, la prospettiva, quale costruzione geometrica dello
spazio, si concentra sull'idea di rappresentare il soggetto nel suo
proprio sguardo. Leggiamo ancora Belting:
<<Raffigurare lo sguardo dell' osservatore e dargli esistenza visibile fu
l'ambizione e l'aspettativa dell'arte occidentale nell'et moderna. Tra
sguardo e immagine si creata un' alleanza in base alla quale gli sguardi
diventano immagine o entrano nell'immagine. L .. ] Le immagini si rivolgono sempre a uno sguardo, in assenza del quale perderebbero ogni significato. [ .. ,J Lo "sguardo iconico", quale lo esibisce la prospettiva occidentale, sguardo divenuto immagine. Nello stesso senso, l"'iconologia dello sguardo" non nient'altro che il concetto che indica una storia
dell'immagine nella quale compresa anche la storia dello sguardo collettivo e individuale e la sua evoluzione storica e sociale (Belting 2010,
p.249).
Lo spazio prospettico
131
orizzonte storico e sociale entro il cui ambito si definiscono determinati processi mentali. Lo sguardo occidentale moderno - lo stesso
che vediamo affermarsi in et rinascimentale - uno sguardo autonomo e individuale mirante al possesso, ordinato a un punto focale obbligato, come avviene con il singolo quadro racchiuso nella
8)
cornlce ,
Decisivo a questo riguardo fu il momento in cui le immagini vennero prospetricamente accordate a uno sguardo individuale ed astratto, slegato dal potere dello sguardo liturgico e ufficiale della Chiesa e
a cui venne, pian piano, assegnato un autonomo" diritto" , A partire
da qui le immagini prospettiche (immagini da porre davanti agli occhi) iniziarono a raffigurare lo sguardo, inducendo con ci l'osservatore - come spiega ancora Belting - a comprendere il mondo in
quanto immagine o a fare di esso la propria immagine (Belting 2010,
p. 42) 84. Ed per questo che possiamo parlare di "prospettiva cen83 Commenta Belting: L'osservatore, a cui viene a mancare la "cornice", una
volta trascinato nel flusso continuo dei fenomeni sensoriali cessa di essere un
osservatore autonomo; tanto meno potr valere come metro di misura della percezione Ubid., pp. 254-5).
84 Dovremmo, in effetti, considerare la Storia naturale dell' occhio, per comprendere come tale possibilit sfrutti le capacit della vista cos come si sono
affermate dopo un lungo processo evolutivo. Ne parla Simon Ings: Le unit
fondamentali di strutture complesse come l'occhio erano disponibili gi molto
tempo prima di essere reclutate per compiti sofisticati come la visione. 1 cristallini nell'uomo derivano da proteine che servono ai batteri per proteggersi da un
rapido aumento della temperatura, [, .. ] Gli occhi esistono da almeno 538 milioni di anni, ma le loro unit costitutive sono ancora pi antiche (Ings 2008, p.
66-7). Del resto - come spiega sempre Ings -la percezione visiva si evoluta da
meccanismi utili per raccogliere la luce, perch gli esseri viventi, con gli occhi o
senza, animali o vegetali, sono sempre stati straordinariamente sintonizzati sulla
luce (Ibid., p. 68). In al senso, l'occhio non affatto un miracolo isolato, ma
semplicemente un particolare tipo, anche se indubbiamente spettacolare, di
organo sensibile alla luce ([bid., p. 72). Detto altrimenti, uno dei principali
problemi meccanici dell' occhio la capacit di captare la luce da varie parti
dell'ambiente per formare un'immagine (Ibid., p. 100). Tuttavia, non possiamo
fennard a questa funzione, I nostri occhi - scrive ancora Ings - interrogano il
mondo e, attraverso i nostri occhi, il mondo si annuncia e si presenta (Ibid., p.
137). Oltretutto, l'occhio non mai neutrale: non si limita infatti a osservare,
ma comunica ([bid., p. 138). Anzi, l'occhio umano fatto per essere notato e
la direzione dello sguardo pu, di per s, essere usata per trasmettere significati
emozionali ([bid., p. 149); su questo piano, i nostri occhi rivelano il nostro
stato interiore che lo si voglia o no (Ibid., p. 150), Tutto ci, per concludere, ci
fa oltretutto comprendere che l'occhio non registra una visione passiva, ma costruisce attivamente lo sguardo (e, con esso, il reale).
132
Lo spazio prospettico
133
In efferti, il nuovo sistema di proiezione geometrica fondato sull'adozione di un "punto di vista unico" il sintomo e il segno di una
pi vasta trasformazione spirituale e sociale. li nuovo stile pittorico
(fondato sulla tecnica della prospettiva e sulla rappresentazione razionalistica dello spazio) implica una nuova attitudine dell'uomo verso il mondo: con il mutare della gerarchia generale dei valori storici
ideali e sociali, si trasforma, al contempo, la rappresentazione figurativa della posizione degli oggetti nello spazio. li nuovo sistema di
"rappresentazione oggettiva" del mondo (che in parte ritrova, entro
una diversa valorizzazione scientifica, la tradizione perduta dell"'umanesimo" greco-latino) non che il risultato di un particolare processo dello spirito umano.
La prospettiva, infatti, non definisce uno spazio reale, ma uno
spazio fittizio. Non una semplice rappresentazione e trasposizione
simbolica della realt data fuori del mondo sensibile e del mondo sociale; e non neanche una figurazione di forme e strutture mentali
eterne, immutabili e astratte 87. La sua costruzione matematica didell'interpretazione dei volumi e dei piani a quella delle superfici. in polemica
con lui, che Piero e il Pollaiolo mediteranno sugli assi e sul movimento. [ ... ] TI
divario tra Brunelleschi e l'Alberti sta nel fatto che l'uno considera la cupola
come il "luogo" di tutte le luci e l'altro il quadro come la proiezione di un soggetto sottoposto a un'unica sorgente luminosa (Ibid., pp. 50-l). In sostanza, la
piramide tronca dell' Alberti non che una <<veduta mentale: la sua sedicente
oggettivit, secondo Francastel, determina una llinitazione, non un maggior rigore. Tuttavia, la regola della prospettiva lineare da lui rigidamente formulata,
divenuta, in linea di tendenza, verso la fine del XV secolo, una specie di regola
aurea per la rappresentazione dello spazio sullo schenno plastico a due dimensioni (Ibtd., p. 42).
87 In effetti, non esiste una rappresentazione oggettiva o realistica del mondo
scoperta, quasi per magia, nel Quattrocento: una rappresentazione - come dice
Francaste! - in funzione della quale si giudica, insieme, dell' arte e delle condizioni psico-fisiologiche della visione. TI pregiudizio sul quale si fonda questa falsa interpretazione delle opere e della storia che il sistema quattrocentesco ab-
134
pende dalla nnova posizione assunta dallo sgnardo individnale e dalle nnove esigenze sociali (in special modo qnelle dell'emergente capitalismo mercantile) che, per tale funzione, richiedono una nnova razionalizzazione, unificazione e centralizzazione dello spazio; che richiedono, dunqne, una realt (effettnale e mentale) calcolabile, misurabile, controllabile e ordinabile dall'esterno (dal "punto di vista"
dell' osservatore, da un soggetto trascendente l'ordine stesso della
rappresentazione). Detto altrimenti, il punto geometrico attraverso
cni il mondo, nel Rinascimento, si trasformato in un'immagine divennto possibile soltanto all'interno di un sistema - mentale e scientifico, ma anche storico e sociale - costruito con calcoli matematici.
La certezza (cos come, allo stesso modo, si presenta alle sne pretese
giuridiche) possibile solo attraverso il calcolo (la ragione del calcolo) 88
bia un valore scientifico positivo, in rapporto al modo di vedere dell'umanit in
generale. Finora la storia dell'arte e della civilt stata fatta partendo dal presupposto che il Rinascimento segni un passo decisivo sulla via della rappresentazione "vera" del mondo esterno. La maggior parte dei critici ha sempre implicitamente presupposto che le altre civilt non siano state che approssimazioni pi
o meno felici rispetto a una sorta di spazio ideale, di spazio in s, a misura, per
cos dire, dell'uomo in s. Lo spazio rimasto una categoria kandana del pensiero. [. .. ] Seguitare ad ammettere che il. Rinascimento segn una tappa sulla via di
una miglior conoscenza e di una interpretazione pi realistica del mondo signifi~
ca ammettere resistenza di un universo creato una volta per sempre, che l'uomo
non che da interpretare con maggiore o minore intuizione o scienza. [ ... ] Lo
spazio non una realt in s, di cui soltanto la rappresentazione muti:
l'esperienza stessa dell'uomo (Ibid., pp. 43~4).
88 Come ha spiegato Ernst Cassirer nel suo Individuo e cosmo nella filosofia
del Rinascimento del 1927, <<l'unione della matematica con la teoria dell'arte
produsse quello, a cui non si sarebbe giunti affidandosi all' osservazione empiti ~
co~sensibile, o cercando di sentire direttamente l'''intimo della natura" sprofon~
dandosi in lei (Cassirer 1992, p. 259). E ci perch la forza dello spirito,
dell'ingegno artistico e scientifico, non consiste in una manifestazione comple~
tamente arbitraria, che sarebbe comune ad entrambi, ma nel fatto che essi ci in~
segnano a vedere l'''oggetto'' nella sua verit, nella sua massima detenninatezza.
Nell'artista e nel pensatore il genio scopre la necessit della natura (Ibzd.). Ci
vorranno ancora dei secoli - scrive ancora Cassirer - prima che questo concet~
te venga formulato in tutta la sua chiarezza teorica, prima che la "Critica del
giudizio" formuli il principio, che il genio quel dono della natura, mediante il
quale la "natura d nel soggetto" la regola all'arte. Ma la via che conduce a que~
sta meta ormai chiaramente segnata (Ibid.). Cassirer, in effetti, riferiva il suo
discorso specialmente all' opera artistica e scientifica di Leonardo da Vinci. Leg~
giamo, in tal senso, un passo di importanza notevole ai fini del nostro percorso:
E cos opinione generale, che il punto comune d'attacco ed il legame comune
Lo spazio prospettico
135
Ha pertanto ragione Pierre Francaste! quando affenna che il Quattrocento italiano mirava ad una deliberata organizzazione dello spazio, sia in funzione di una ricerca geometrica, sia di una "trasposizione" attiva dei valori individuali e collettivi che caratterizzavano la
societ (Francastel2005, p. 214) 89. E c' voluto un lungo processo
di generazioni, come prima si detto, perch l'idea di prospettiva
giungesse ad una piena coscienza nella mente dei pittori. TI concetto
di spazio che si venuto ad affermare nel Rinascimento non affatto
il frutto di un sistema di rappresentazione dei valori immutabili della
visione, ma va compreso in relazione all' ambiente storico e sociale
entro il quale si costituito 90; la sua visione prospettica non univer-
a tutti gli umanisti non siano stati n l'individualismo, n la politica. n la filosofia, n le comuni idee religiose, ma propriamente la sensibilit artistica. Ora noi
vediamo che questa sensibilit artistica fu quella che diede la sua determinazione
concreta anche al nuovo concetto di natura, che si va formulando nella scienza
del rinascimento. Tra l'attivit artistica di Leonardo e la sua produzione scientifica non v' solo unione personale, come si sostiene di solito, ma unit veramente essenziale, grazie alla quale egli perviene ad una nuova concezione del rapporto "libert-necessit", "soggetto-oggetto", "genio-natura". L'anteriore teoria dell' arte del rinascimento, sulla quale Leonardo lavora e ch'egli fa progredire, sembra
avesse scavato tra questi termini un abisso. Nel "Trattato della pittura" di Leon
Battista Alberti si mette persino in guardia l'artista di non affidarsi alle forze del
proprio ingegno, anzich studiare attentamente il grande modello della "natura". Egli deve "fuggire quella consuetudine d'alcuni sciocchi, i quali presuntuosi
di suo ingegno, senza avere essemplo alcuno dalla natura quale con occhi o mente seguono, studiano da s ad s acquistare lode di dipingere". In Leonardo, invece, questa antitesi ha trovato la sua soluzione. Per lui la forza creatrice dell'artista altrettanto certa di quella del pensiero teoretico e scientifico. "La scienza
una seconda creazione fatta col discorso, la pittura una seconda creazione
fatta con la fantasia". Ma ad entrambe le creazioni il loro valore proviene, non
dall' allontanarsi dalla natura, dalla verit empirica, ma dall' afferrare e scoprire
proprio questa verit (Ibid., pp. 254-5). Ecco, allora, il punto: L'idealit della
matematica porta lo spirito al suo culmine pi alto e gli permette di raggiungere
la sua vera perfezione; sopprime i limiti, che la concezione medioevale aveva
tracciati fra natura e spirito da un lato, fra intelletto umano e divino dall' altro.
Galilei sar quegli che trarr anche questa ardita conseguenza Ubid., p. 256).
89 Spiega ancora Francastel: La civilt un tutto e ogni modificazione sostanziale dell'attitudine umana si ripercuote poco o tanto in tutte le attivit contemporanee, principalmente in quelle che, come le arti, sboccano, come tutti i
linguaggi, in un'espressione simbolica del pensiero collettivo (Francastel2005,
p.53).
90 Ogni spazio -lo ricorda Francastel- ha un significato ad un tempo individuale e sociale, o sarebbe incomunicabile. , ad un tempo, una struttura ed un
inventario provvisorio di forme e di relazioni simboliche (Ibid., p. 66).
136
Lo spazio prospettico
137
rale e del mondo storico e sociale 92. Ma non si tratta soltanto di una
((rivoluzione cognitiva": la posizione privilegiata attribuita all'osser~
vatore di fronte all'immagine (cos come avviene nella costruzione
prospettica dei dipinti rinascimentali) non registra soltanto il ptimato (e il riconoscimento) del soggetto sul piano della conoscenza speculativa e della riflessione teoretica, ma anche la sua centralit nell'ordine pratico dell'agire storico e sociale. Non a caso, a Leon Battista Alberti (che non fu soltanto architetto e matematico, ma anche
crittografo, linguista, filosofo, musicista e archeologo), non si deve
soltanto il trattato De pictura (opera del 1435 che forn la ptima definizione "scientifica" della prospettiva) ma anche i celebri Libri della
famiglia (scritti tra il 1433 e il 1440), che contengono le prime descrizioni "paleocapitalistiche" 9; - come ha visto Werner 50mbart nel
1913 - del "calcolo" del rapporto tra entrate e uscite e dell'ammini92 Sempre Pierre Francastel ha spiegato bene come la trasformazione dello
spazio plastico nel Rinascimento implichi la scoperta del fatto che, nell'universo,
ci siano elementi invisibili che non sono Dio o che, almeno, non sfuggono alla
presa intellettuale dell'uomo. Ci che crolla, non la fede nel soprannaturale,
ma la fede nelle essenze e nella realt esclusiva del mondo intelligibile. Al concetto plotiniano che accettava l'immagine solo come simbolo intellettuale, e le
imponeva di rappresentare tutti i particolari su un piano, rifiutando la profondit (cio la materia), succede un' estetica fondata sulla osservazione della natura.
Le apparenze e lo spirito di analisi trionfano (Ibid., p. 55).
93 Come ricorda Emst Bloch nella sua Filosofia del Rinascimento del 1972,
l'Italia (culla del Rinascimento) fu il primo luogo in cui furono spezzati i vincoli
economici del feudalesimo e dove era in pieno rigoglio l'economia protocapitalistica. TI "nuovo" vi si manifest come coscienza dell'individuo sulla base
dell'individualistico modo economico del capitalismo, contrapposto al modo
corporativo del mercato chiuso e come impeto e coscienza, al contempo, dell'ampiezza smisurata di contro all' organica e conchiusa immagine del mondo
della societ feudal-teologica. Leggiamo in un passo: Se il Rinascimento porta
con s l'ascesa della borghesia, esso porta anche il sorgere dell'economia politica, in cui, in misura crescente, il valore d'uso qualitativo dei prodotti del lavoro
umano scompare nel valore di scambio quantitativo di questi prodotti sul mercato. La mercificazione di tutti gli uomini e di tutte le cose trasforma le qualit
del lavoro e dei suoi oggetti in quantit astratte che si esprimono in numeri. Certo, un interesse commerciale ad avere, nell'incertezza di un mercato aperto, una
qualche base statistica, e non limitarsi a far bilanci e a far quadrare entrate e
uscite, esisteva anche al tempo dell'antico capitale commerciale, ma aument
decisamente con lo sviluppo della manifattura. Ne deriv un interesse per il calcolo, per il dominio aritmetico della realt. Questo a sua volta ag come riflesso
economico sullo sviluppo del calcolo e contribu all'enorme attenzione portata
al mondo dei numeri, che il Medioevo aveva conosciuto quasi esclusivamente in
maniera magica, come mistica del numero (Bloch 1981, p. 131).
138
strazione economica razionale; le prime sistematiche esposizioni delle "virt borghesi" e del modo capitalistico di pensare 94.
In questa direzione, la prospettiva non che l'espressione del calcolo e del dominio matematico della realt e, a sua volta, il segno costitutivo di un pensiero "antropocentrico" liberatosi dell'immagine
"teocentrica n (e "reicentrica") del mondo propria del Medioevo 95;
entro il suo ordine viene a definirsi la nuova soggettivit individuale
e, con essa, la nuova individualit dello sguardo (come atto di autoaffermazione che conduce al soggetto). Uno sguardo s individuale, ma
sempre, al contempo, collettivo, espressione di una personalit e di
un atteggiamento sociale: Ogni societ -lo ricorda Hans Belting esercita lo sguardo collettivamente, anche se ciascuno lo percepisce
come sguardo personale (Belting 2010, p. 252).
Per certi versi, da questo punto di vista, possiamo affermare che
la cultura rinascimentale ha trasposto in immagine il soggetto umano
celebrato in quanto individuo: sia nel ritratto (che registra nel "volto" la presenza simbolica della figura umana) sia, soprattutto, nella
prospettiva (che registra lo sguardo -l'individualit universale dello
sguardo - rivolto al mondo). Tuttavia, nel passaggio da una teoria
della visione a una teoria dell'immagine, la prospettiva ha introdotto
il soggetto come dimensione che non deve essere necessariamente
raffigurata in quanto tale, come avviene invece nel ritratto. TI soggetto, infatti, gi presente nel momento in cui il quadro rappresenta
uno sguardo che r osservatore riconosce come proprio. L'osservatore, detto altrimenti, ponendosi di fronte al quadro, rivendica una po-
Lo spazio prospettico
139
l'attivit del suo sguardo. Ma chi colui che guarda o ha il diritto [il corsivo mio] di guardare a quel modo? (Ibid., p. 208-9).
La prospettiva mira l'occhio dell'osservatore e, di fronte all'immagine, l'osservatore si sente sovrano nei confronti del mondo (e cos
lo mmagnava Leon Battista Alberti nella sua visione antropocentrica); il soggetto, nello sguardo (nell"'oculocentrismo" dello sguardo
che contraddice la natura fisiologica dei nostri occhi) ", afferma la
propria sovranit. Con lo sguardo prospettico, detto altrimenri, entra
n gioco il soggetto sovrano.
Se, nfatti, il subjectum (letteralmente "ci che posto sotto") dei
filosofi greci, nel pensiero medievale ndicava ancora un sostrato, un
fondamento che sostiene e sorregge, il "soggetto" del Rinascimento
pittorico, a partire da qui, inizia a designare propriamente l'uomo
96 Nella sua Storia naturale dell'occhio, Simon Ings ricordava come, lungi dal
cogliere un oggetto con un unico sguardo, gli occhi non sono mai fermi, ma
sempre in movimento; e si muovo, soprattutto, per compensare i movimenti del
corpo. Un occhio che si muove tiene il mondo fermo, leggiamo (Ings 2008, p.
31). Tuttavia, l'occmo esiste anche ~~per individuare il movimento. Una qualsiasi
immagine perfettamente fissa sulla retina svanisce. I nostri occhi non possono
vedere gli oggetti stazionari e devono oscillare costantemente per renderli visibi~
li (Ibid., p. 36). Gli occhi sobbalzano (manifestano cio una "saccade") tre
volte al secondo spostando il mio sguardo da una parte all' altra dell' oggetto. il
mio "unico sguardo" una moltitudine di piccole fermate, non dunque tanto
diverso dall' oscillare spasmodico delle antenne di un insetto o dei baffi di un
topo (Ibid., pp. 6-7). In altri termini, anche se i nostri occhi ci forniscono
un'immagine del mondo, tale immagine <<ilon a fuoco in nessun punto, anzi,
non un'immagine. Aggiunge Ings: Anche se pensiamo alla visione in termi~
ni di immagini, le immagini non costituiscono l'essenza e il fine della percezione
visiva. il mondo naturale pieno di occhi che non possono generare immagini
(Ibid., p. 29). In conclusione, per noi vedere non un'azione necessariamente
legata a qualcosa di utile. Certo tendiamo, com' logico, ad attribuire meno importanza all'atto del vedere e pi valore a ci che vediamo; e diamo per scontato
che l'occhio sia semplicemente una finestra suI mondo. Ma anche l'uomo ha il
suo modo specifico, idiosincratico, di vedere. [ .. .J Naturalmente ci che vediamo riflette il mondo reale, ma non dovremmo mai dare per scontato che i nostri
occhi ci raccontino le cose esattamente come starmo (IbM., p. 294).
140
che, in quanto tale (in quanto individuo che si impone soggettivisticamente e perentoriamente, in quanto centro privilegiato di rapporti), dispone del mondo e costituisce, da se stesso, il reale (su! piano
filosofico, sar il pensiero di Cartesio, nel pieno dell' et moderna, a
dare, con il cogito, un fondamento metafisica a tale prospettiva). E,
non a caso, con lo stesso Cartesio - come scriveva Heidegger nel
1938 - si inaugura d'epoca dell'immagine del mondo. Perch solo
laddove si impone il soggetto (laddove l'uomo diventa "soggetto") il
mondo diviene immagine. Proprio il costituirsi del mondo a immagine ci che, infatti, distingue e caratterizza il Mondo Moderno
(Heidegger 1984b, p. 89).
U tratto fondamentale del Mondo Moderno la conquista del
mondo risolto a immagine. TI termine immagine significa in questo caso:
la configurazione della produzione rappresentante. In questa produzione l'uomo lotta per prendere quella posizione in cui pu essere
quell'ente che vale come regola e canone per ogni ente (Ibzd., p. 99).
E ancor prima leggiamo:
Col termine "immagine" si intende in primo luogo la produzione di
qualcosa. Di conseguenza, l'immagine del mondo sarebbe, per cos dire,
una pittura dell'ente nel suo insieme. Ma "immagine del mondo" significa qualcosa di pi. Con essa intendiamo il mondo stesso, 1'ente nella sua
totalit cos come ci si impone nei suoi condizionamenti e nelle sue mi~
sure. "Immagine" non significa qui qualcosa come imitazione, ma ci
che implicito nel!' espressione: avere un'idea [Bi/ci] fissa (fissarsi) di
qualcosa. [ ... ] Quando il mondo diviene immagine, l'ente nel suo insie~
me assunto come ci che egli vuoI portare innanzi a s e avere innanzi
a s; e quindi, in senso decisivo, come ci che vuoI porre innanzi a s
Lo spazio prospettico
141
Ci significa che l'opera d'arte - scriveva ancora Heidegger - si trasforma in oggetto dell' esperienza vissuta, con la conseguenza dell'interpretazione dell' arte come fonna di espressione della vita dell'uomo
(Ibid., p. 72).
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Singolare e individu!e, questo "punto di vista" (che nella funzione prospettica diventa un "punto di fuga" astratto - che esiste so-
Lo sviluppo della prospettiva pittorica, in !tri termini, presuppone un punto di vista "universale" (e, dunque, una "soggettivit
uru-
vers!e") a parrire d! qu!e diventa possibile assumere una dimensione "soggettiva" dello sguardo (per cui l'attivit svolta dall'osservatore la medesima del suo sguardo). Di qui la conoscenza - problema gi affrontato da Biagio Pelacani nella sua geometria come teoria
del visibile (Belting 2010, p. 156) - si legittima s come "conoscenza
oggettiva" , ma in quanto destinata a un soggetto, che vuole acquisirla dalle cose. La razion!izzazione della visione prosperrica unificata
e "centrale" (come appropriazione pratica di una teoria matematica
della percezione) introduce, infatti, all'interno dell'immagine lo
sguardo e, con lo sguardo, anche il soggetto che guarda. L'immagine
rinvia allo sguardo di un osservatore, assumendolo come propria misura. Cos, nella direzione obbligata verso un punto geometrico dello
spazio, in cui transita lo sguardo, il soggetto (che nella finzione pittorica assume la posizione sia del pittore che dell'osservatore), si colloca davanti all'immagine. E si tratta, a ben vedere, di una posizione
paradoss!e che Hans Belting non ha mancato di sottolineare:
l'osservatore ha esperienza di s proprio l dove non , poich
l'immagine gli concede un posto che nel contempo un vuoto
(Ibid., pp. 21-2) 100.
genza di uno di quegli universali che ~<offrono posizioni in cui ci si pu sentire
fondati a cogliere il mondo come una rappresentazione, uno spettacolo, a guardarlo da lontano e dall' alto e a organizzarlo come un insieme destinato esclusivamente alla conoscenza e, con ogni probabilit, anch' essa ha favorito lo sviluppo eli una disposizione nuova o, se si preferisce, di una visione del mondo, in
senso proprio>~ (Bourdieu 1998, p. 29).
100 A tal proposito Belting ricorda la funzione in matematica dello zero, che
Lo spazio prospettico
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duce nel principio di costruzione dell'inunagine: lo spazio rappresentato non pi assoluto e divino, ma la proiezione prospettica di
un soggetto "universale" che d ordine allo spazio come sua rappresentazione geometrica. Di fronte alla scena, in qualit di spettatore, il
soggetto individuale pu, allora, osservare il mondo dal di fuori come una pura oggettivit, coglierlo come una mera rappresentazione e
organizzarlo come un insieme destinato esclusivamente alla conoscenza. Ma proprio cos, ci ricorda di nuovo Bourdieu, la prospettiva presuppone un punto di vista sul quale non si d punto di vista;
un punto che, come la cornice del pittore albertiano, ci che non si
vede ma attraverso cui si vede (Bourdieu 1998, p. 30).
cos, dunque, che la prospettiva, entro lo schema logico che essa stessa predispone, riesce a disegnare le immagini di uno sguardo
che, per sua natura, irrappresentabile. Lo stesso sguardo trasposto
nell'inunagine, anzi, lo sguardo iconico prodotto dalla prospettiva - cos lo definisce Hans Belting - non semplicemente uno sguardo rivolto a immagini, bens sguardo divenuto immagine (Belting 2010, p.
26). TI suo spazio, dunque, lo "spazio dello sguardo", "schermo"
(nella funzione prospettica) che rinvia alla presenza di un osservatore
(costruito appositamente in funzione dell'immagine); che rinvia,
dunque, alla presenza di uno "sguardo simbolico" che pu darsi (e
costruirsi) soltanto nell'idea. Come dire: lo spazio (la "forma visiva"
dello spazio) mera immagine e prende a esistere soltanto nello
sguardo. In questo sguardo, l'osservatore rivendica il diritto di guardare il mondo da una posizione esterna (non potendo essere presente con il corpo la dove orienta la sua visione), cos come, una volta
che la facolt visiva diventata un privilegio del soggetto, lo stesso
rivendica il diritto di vedere il mondo con i propri occhi lO'.
Tuttavia, nell'organizzazione prospettica si esprime anche la convinzione che la spazialit della raffigurazione artistica ottenga tutte le
specificazioni che la distinguono dal soggetto; e ci, come spiega Panofsky, sta pure ad indicare, per quanto ci possa sembrare paradosIO) Si chiedeva Siman Ings sempre nella sua Storia naturale dell' occhio: Se
tutto ci che vediamo una rappresentazione del mondo, allora il vedere diventa una forma di rappresentazione. Se non posso apprendere il mondo direttamente, ma posso soltanto percepire rappresentazioni di esso, allora dove mi trovo esattamente e dove, esattamente, si trova il mondo? (Ings 2008, p. 178-9).
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Lo spazio prospettico
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Anche quando crediamo di percepire direttamente qualcosa di spaziale - scrive Cassirer -, ci troviamo gi nel campo e nel dominio di questa matematica universale. Infatti, ci che noi denominiamo grandezza,
distanza, posizione reciproca delle cose, non qualcosa di visto o percepito col tatto, ma pu soltanto essere stimato e calcolato. Ogni atto di
percezione spaziale racchiude in s un atto di misura e quindi di ragionamento matematico. Pertanto la ratio, nel suo duplice significato di 'ragione' e di 'calcolo', penetra qui direttamente nel campo dell'intuizione,
anzi in quello della percezione, per dichiararlo proprio possesso e soggetto alla propria legge fondamentale. Ogni intuire legato a un pensare
teoretico, e questo a sua volta a un giudicare e a un inferire logico, cosicch solo ratto fondamentale del pensiero puro ci apre e ci rende ac-
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tal modo in
un "guardare-il-
mento
107 Cos, nel 1926, Balthus descriveva gli affreschi di Piero della Francese nel~
la chiesa di San Francesco ad Arezzo (gli affreschi dedicati alla Leggenda della
Vera Croce): <<Hanno un'armonia straordinaria perch sono il frutto di lunghi
calcoli, e a tutta questa matematica corrisponde una pittura meravigliosa, dai
colori chiari, trasparenti, con accordi mai visti prima (Balthus 2009, p. 11).
Lo spazio prospettico
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stesse proporzioni con cui l'artista traduce la realt in pittura, permette a Piero di pensare la "forma" nella "forma visiva", Ed cos
che la "visione" occidentale ha trovato definitivamente il proprio paradigma nell'immagine "visiva" e "matematica" della prospettiva 109,
Pensiamo, ad esempio, alla Madonna col Bambino, santi, angeli e
il duca Federico da Montefeltro in preghiera (la famosa pala di Brera
lare", "meta-rappresentata" a partire dal centro del quadro, dall'uovo di struzzo (allegoria della Immacolata Concezione della Vergine ed emblema di Federico da Montefeltro) che pende perpendicolarmente sopra l'ovale del volto della Madonna. Meta-rappresentazione prospettica, appunto, che trasferisce simbolicamente il punto
di vista (lo sguardo) esteriore all'interno del quadro (l'uovo), chiarendo in tal modo, nella visione "modulare" (attraverso l'ovale ripetuto in diversi elementi), tutta l'organizzazione prospettica dello spazio rappresentato (Tavola 4) 110. Qui, come scrive Roberto Longhi, si
103 Scrive a tal proposito Belting: Soltanto una misurazione corretta consente di disporre le cose nel posto che esse occupano anche nella realt. Poich il
nostro occhio vede le cose in forma tridimensionale, la prospettiva lo aiuta a vedere allo stesso modo anche le cose dipinte, poich la pittura "non se non demostrationi de superficie et de corpi degradati o acresciuti". Un'affermazione
radicale sull' arte, che nessuno aveva mai pronunciato. E, nello stesso tempo, un
nuovo trionfo della teoria della visione postislamica (Belting 2010, p. 163),
109 Leggiamo ancora: Piero anticipa i procedimenti digitali quando sottopone il mondo fisico a una rigorosa decostruzione matematica, per poi ricostruirlo
fedehnente nel mezzo incorporeo della pittura. Le odierne animazioni in 3D,
sebbene si avvalgano dell' elettronica - un mezzo altrettanto lontano dalla natura -, nelle loro intenzioni corrispondono ai metodi di misura adottati da Piero,
per il fatto che simulano le pi diverse forme naturali secondo una somiglianza
fisica (Ibid., p. 165).
110 Cos Giulio Carlo Argan descrive l'opera: <<Per la prima volta l'architettura non pi soltanto una struttura di piani prospettici, ma un vano vasto e
profondo, coperto a volta e con una nicchia nel fondo; e si estende, con
l'apertura dei grandi archi, laterahnente e in avanti. TI semicerchio delle figure
dunque collocato all'interno dei bracci di un edificio a croce. La decorazione
classica a lacunari e rosoni, le paraste scanalate impegnano la luce, le danno una
fitta vibrazione; le zone d'ombra sono piene d'aria. La funzione architettonica
del semicerchio di figure intorno alla Madonna di collegare gli spazi aperti al
150
configura uno spazio I" cui illusione ci data, sia per misura, nell'istante che ci sentiamo collocati come spettatori all' entrata di un
tempio semicircolare, sia per lume, da quel flutto glauco che va inazzurrando egualmente diafano le varie edificazioni di carne o di marmi (Longhi 2008, p. 450). E qui - potremmo anche dire - si prefigura gi quell'ideale sociale che da l a poco, come presto vedremo,
porr al centro della propria rappresentazione l'esteriorit del suo
principio costitutivo: la soggettivit individuale, precedente il sociale,
che dal di fuori (ad opera della sua ragione costituente) si pone paradossalmente all'interno (al fondamento) dell'ordine da essa stessa
costituito. il genio dell' arte anticipa la riflessivit politica, giuridica e
sociale.
vano del fondale. [ ... ] N ella pala di Brera il semicerchio dei santi ripete, con una
curvatura pi larga, la cavit dell'abside, e collegandosi con gli spazi aperti laterali, riceve la luce, la raccoglie intorno alla figura centrale e quasi conica della
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"pre-sociale" e "non sciale", ossia, l'individuo; trover la sua centralit nel de-centramento individualistico, il suo centro in un' assenza di centro con cui trattenere una necessaria e costante relazione
dialettica.
Certo, questo processo, che nella figurazione pittorica del Quattrocento italiano vede i suoi presupposti concettuali e ideologici, non
trova ancora, sul piano giuridico, un suo riscontro immediato. Dovr
ancora passare del tempo perch siano visibili, nell' esperienza della
prassi giuridica, quei mutamenti antropologici, epistemologici e gnoseologici nel senso indicato dalla "rivoluzione" prospettica rinascimentale. Occorrer un mutamento del paradigma politico (prima
ancora che giuridico) perch si realizzi fattualmente, nell'ordine del
diritto, quel processo di emancipazione essenziale del "soggetto-individuo" dal piano dei rappotti sociali; occorrer, come prima si
detto, un mutamento nella struttura della sovranit: e siamo, dunque, alle soglie della modernit, dello Stato assoluto e della "mentalit" accentratrice del Principe moderno; alle soglie del processo di
monopolizzazione della produzione giuridica da parte dello Stato
(del sovrano onnipotente e legislatore).
In effetti, ancora sullo scorcio del XV secolo, l'umanesimo giuridico italiano, lo ricorda Francesco Calasso, pu registrare soltanto la
decadenza della scienza giuridica m, pur promuovendo quella renovalio dello spirito - gi bene avvettita in et medievale - attraverso il
sogno di reviviscenza dell' antichit classica U). Ma in questo stesso
112 Scrive Calasso: Sullo scorcio del sec. XV, mentre il millennio che siamo
abituati a pensare come medza aetas sta per chiudersi, la scienza giuridica italiana in decadenza, le universit italiane non hanno pi l'antico prestigio. Quattro secoli circa eli poderoso sforzo interpretativo e costruttivo delle scuole di diritto si concludevano anch'essi, com'era fatale. Del resto, parlando della scuola e
della scienza del diritto nel suo periodo aureo, constatammo come le loro sorti
fossero strettamente legate a quelle della libert; non meraviglier ora di constatare come la loro decadenza cammini di pari passo con la crisi della libert e indipendenza italiana. La vita intensa e scapigliata dei comuni ristagna negli ordinamenti signorili e principeschi, che unificano, accentrano, soffocano. TI giurista
non aveva mancato di fare la diagnosi precoce del male: in pieno sec. XIV aveva
gi risuonato il grido d'allanne di Bartolo da Sassoferrato: "hodie Italia est tota
pIena tirannis". [ .. .J Tuttavia, una singolare ventura ha voluto che in questa decadenza, con la quale si concludeva un cos lungo periodo di splendore,
un'ultima fiammata d'idee ravvivasse gli studi giuridici, e facesse partire ancora
una volta dall'Italia una iniziativa scientifica, ch'era destinata a rinnovare profondamente questi studi, anche se la sorte vorr che dovesse celebrare i suoi fasti
fuori d'Italia (Calasso 1954, I, pp. 597-8).
11) Contro gli schemi rigidi ereditati dalla storiografia illuministico-roman-
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114 Scrive Grossi: 'TI primo approdo delle demolitive incrinature trecentesche fu una visione schiettamente umanistica del rapporto uomo/societ/natura.
Umanesimo , innanzitutto, 1111 rinnovamento antropologico imperniato su un
atteggiamento di piena fiducia verso questo sovrano della societ e della natura
che l'individuo, il singolo soggetto, il quale, in garanzia della sua volont, proprietario di se stesso e di taumaturgici talenti, in grado di piegare ai propri
progetti il mondo che lo circonda. Umanesimo , innanzi tutto, la valutazione
accentuatamente ottimistica nelle capacit del soggetto e il conseguente tentativo di liberarlo da ogni condizionamento proveniente dall'esterno, sia dalla realt
fenomenica che sociale. Umanesimo , quindi, anche una psicologia di orgogliosa autosufficienza, che vuole seppellire definitivamente l'esecrata umilt dell'uo~
mo medievale. Se noi, nel comune linguaggio, intendiamo per Umanesimo la
riscoperta e il culto della civilt classica, non commettiamo certo una falsazione,
ma sottolineiamo 1111 aspetto che viene secondo, segnalando in tal modo solo una
sintonia culturale che gli hamines navi del Quattrocento e del Cinquecento avvertivano, s da riconoscersi nelle testimonianze di quella civilt. Umanesimo ,
per, essenzialmente, l'interpretazione novissima del mondo operata da una civilt ormai squisitamente antropentrica (Grossi 2007, p. 84).
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Il
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Detto altrimenti, lo specchio che registra la fuoriuscita del sovrano dall' ordine della rappresentazione lo stesso che, riflettendo la
scomparsa del soggetto dalla fattualit sociale, ne espone, paradossalmente, la centralit costitutiva e legislativa. L'assenza del soggetto
, al contempo, il fondamento del nuovo ordine politico-sociale: il
suo centro costitutivo, il suo principio ordinante.
Questo percorso gi inscritto nel significato che assume l'immagine dello specchio come luogo simbolico per lo sguardo sul mondo 116 La ritroviamo, ad esempio, in Jan van Eyck (Tavola 6), nello
specchio bombato che compare dietro i futuri coniugi Amolfini, dove il pittore introduce se stesso con il pretesto di un riflesso (Tavola
7, particolare).
Nel fidanzamento degli Arnolfini appunto, dipinto del 1434, lo
specchio funziona da retrovisore - per usare l'espressione di Jurgis
Baltrusaitis che proprio al tema dello specchio ha dedicato un importante lavoro; da retro-visore che mostra l'insieme della stanza e
le figure dei due testimoni, uno dei quali certamente l'artista. In
questo modo, da scena dell'unione riprodotta con il suo doppio pi
completo, che ne rivela il lato invisibile (Baltrusaitis 2007, p. 252).
E possiamo dire di pi: nel quadro van Eyck non soltanto ritrae
ci che vede, ma determina anche il modo in cui vede. li pittore
guarda se stesso (e a se stesso) come soggetto assente dalla scena, rivendicando paradossalmente, in tal modo, la sua autoaffermazione
nella raffigurazione. Qui lo specchio non solo un semplice ausilio
alla rappresentazione, ma simboleggia anche il progetto dell' artista:
116
sull'utilizzo dello specchio piano in pittura. Nel suo Trattato della pittura
(opera postuma redatta dal suo allievo Francesco Melzi in base agli appunti elaborati da Leonardo fin dal 1490), al paragrafo 402, ad esempio, leggiamo: La
pittura una sola superficie, e lo specchio quel medesimo; la pittura impalpabile in quanto che quello che pare tondo e spiccato non si pu circondare con
le mani, e lo specchio fa il simile. Lo specchio e la pittura mostrano la similitudine delle cose circondata da ombre e lume, e l'una e l'altra pare assai di l della
sua superficie. E se tu conosci che lo specchio per mezzo de' lineamenti ed om~
bre e lumi ti fa parere le cose spiccate, ed avendo tu fra i tuoi colon le ombre ed
i lumi pi potenti che quelli dello specchio, certo, se tu li saprai ben comporre
insieme, la tua pittura parr ancor essa una cosa naturale vista in grande spec~
chio (Leonardo da Vinci 1996, p. 135). E ancora nel paragrafo successivo (il
403), a proposito della <~vera pittura contenuta nella superficie dello specchio
piano leggiamo: Donde nasce che tu, pittore, farai le tue pitture simili a quelle
di tale specchio, quando veduto da un solo occhio, perch i due occhi circondano l'obietto minore dell' occhio (Ibtd.).
Lo spazio prospettico
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loro Signore. li giro di corda intorno al polso del personaggio ieratico che raffigura il Sovrano indica per che egli in realt loro suddito (un concetto che risale a Cicerone e a Sant'Agostino), "ostaggio"
Lo spazio prospettico
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.,'e
Sono dunque, ancora, lontani i tempi in cui la sovranit del soggetto-individuo (del nuovo soggetto giuridico, politico, economico e
sociale) si pone prospetticamente al di fuori dello spazio della rappresentazione (spazio euclideo-kantiano, qualitativamente omogeneo,
infinito, illimitato, indifferenziato e informale), costituendosi quale
princ!~?~o, al contempo, ordinatore e legis~atore di quella stessa spazlalita - , Sono ancora lontaru I tempI dell assolutismo sovrano e del
monismo giuridico (che sopra abbiamo ricordato), come ancora lontane sono le riflessioni "geometriche" e "astratte" del giusnaturalismo moderno, Lo spiega bene Pavel Florenskij quando si accinge a
riflettere, in ordine alla visione prospettica, sulle differenze tra l'uomo medievale e moderno, tra il "reicentrismo" antico e il nuovo "antropocentrismo" (o, meglio, il nuovo soggettivismo individuale),
<<11 pathos dell'uomo antico, come quello dell'uomo medioevale - COS1
scrive -, 1'accettazione, il generoso riconoscimento, 1'affermazione di
ogni genere di realt come un bene, perch l'essere il bene e il bene
l'essere, li pathos dell'uomo medievale l'affermazione della realt in s
e fuori di s, e perci 1'obbiettivit. Al soggettivismo dell'uomo nuovo
appartiene l'illusionismo: al contrario non c' niente di tanto lontano dai
162
p.91).
122 Scrive Florenskij: dI pittore prospettico convinto che tutto il sistema
geometrico da lui appreso durante l'infanzia (e da quel tempo fortunatamente
dimenticato) non soltanto uno schema astratto, e per di pi solo uno dei molti
possibili, ma anzi una struttura vitalmente realizzata nel mondo fisico, e inoltre,
non solo realmente esistente, ma anche osservabile. TI pittore dalla mentalit
suddetta crede che il fascio di raggi che vanno dall' occhio ai contorni dell' oggetto sia rettilineo, (idea, si noti per inciso, che parte da un concetto molto antico
secondo il quale la luce non va dall'oggetto all'occhio, ma dall'occhio all'oggetto), egli crede anche che l'asticella-scettro, pur spostandosi nello spazio di
luogo in luogo, e pur volgendosi da una direzione all' altra, etc. etc., resti immutabile. In breve, egli crede all' organizzazione del mondo secondo Euclide e alla
percezione di questo mondo secondo Kant (Ibid., p. 124).
Lo spazio prospettico
163
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mobile e impassibile, come una lente ottica. Esso non compie il minimo
movimento, non pu, non ha il diritto di muoversi, malgrado la condizione essenziale della visione sia 1'attivit, la ricostruzione attiva della
realt nella visione, come attivit di un essere vivente. Inoltre, questo
guardare non accompagnato n dalla memoria, n da sforzi spirituali,
n dall' analisi. un processo esteriormente meccanico, nella peggiore
delle ipotesi fisico-chimico, ma non affatto ci che viene chiamato visione. Tutto il momento psichico della visione e anche quello fisiologico
sono decisamente assenti (Ibid., pp. 124-5).
Ecco i termini che utilizza Florenskij per descrivere la "mentalit" che sostiene il soggetto monoculare <fissato al proprio trono)
nella visione prospettica rinascimentale: soggetto trascendentale regnante, punto monarchico, re e legislatore; termini appartenenti al lessico giuridico e politico, ma che ben si adattano, per quell'analogia che in questo lavoro abbiamo evidenziato, a caratterizzare
l'esperienza dell' arte nel Quattrocento italiano. Lo stesso Florenskij
stabilisce un' equivalenza, sorta sul terreno rinascimentale, tra la prospettiva, quale idea della visione nelle arti figurative, e la concezione
del mondo di Leonardo - Cartesio - Kant>>: si tratta sempre di pensare un soggetto trascendentale capace di ordinare sinteticamente i
dati della percezione sensoriale; ovvero, estendendo l'ambito al
campo dell' ordinamento giuridico e politico, un soggetto legislatore
sovrano capace di ordinare dall' alto l'intera realt sociale.
I simboli pittorici - continua Florenskij - devono ora essere prospettici perch questo un mezzo tale da unificare tutte le rappresentazioni del mondo, secondo il quale il mondo viene letto come una trama
unitaria, indissolubile e impenetrabile di relazioni kantiane-euclidee,
concentrate sull"(Io" di colui che osserva il mondo, ma in modo tale che
questo "lo" sia esso stesso un certo punto focale immaginario del mondo, inerte e speculare. In altri termini la prospettiva tl procedimento che
Impersonale, meonistica (J.lTJ cv = non essere), monistica e monoculare, la prospettiva, dunque, legge il mondo come trama unitaria, o come, potremmo anche dire, (totalit". I suoi corrispondenti
ideali sono il "monismo giuridico" e la monarchia, ma anche, nella
radicalizzazione della concezione prospettica, il ((totalitarismo sociale. Le conseguenze pi estreme di questa visione del mondo, fon-
Lo spazio prospettico
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data sul!' occhio immobile e fisso come una lente ottica - sul!' occhio
pensato come centro ottico assoluto, organo non vivente, che ha
166
servazione delle stelle,' dalla descrizione della terra, dalla misura del
tempo, dalle lunghe navigazioni; tutto quel che appate di hello negli edifici, di solido nelle fortezze, di meraviglioso nelle macchine; tutto quel
che distingue i tempi moderni dall' antica barbarie, quasi unicamente
Lo spazio prospettico
167
della prospettiva pittorica potrebbe, infarti, riservarci uno scarso interesse se la stessa teoria dell'immagine, e della visione spaziale, non
aSsumesse per noi un ulteriore significato sul piano della riflessione
giuridica e politologica. Come, infatti, si cercato fin qui di dimostrare, alla visione prospettica - pittoricamente ordinata ad una soggettivit razionale individuale, ad un "punto di vista" unico e astratto, universale ed esterno alla stessa rappresentazione spaziale - corrisponde una concezione sociale politicamente e giuridicamente ordinata alla volont legislativa di un Sovrano assoluto, disciolto da quei
rapporti societari ai quali, esso stesso, d ordine e costituzione. Ma vi
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Lo spazio prospettico
169
formale moderna - nella ricostruzione di Weber - consisteva nel fatto che il diritto, per essere utilizzabile per certi scopi, doveva essere
"valutabile", "controllabile", "prevedibile" e "calcolabile"; e per essere calcolabile, non poteva rimanere vincolato al senso comune e
non poteva essere di volta in volta disapplicato in base a considerazioni etiche o pragmatiche, ma doveva valere perch formalmente
valido, e dunque sulla base di una propria interna dinamica 126
Ora, come prima si detto, il processo di razionalizzazione giuridica, cos ben ricostruito da Weber, ripercorre quello sviluppo soggettivo della ragione moderna che sul piano dell'arte, come sottolineato dallo stesso sociologo, ricalca il tragitto pittorico - centrato
sulla costruzione prospettica dello spazio - che se pur trova il suo
momento di pi alta visibilit in et barocca, procede, senza dubbio,
da un percorso gi avviato, come abbiamo gi visto, a partire dal Rinascimento italiano. Lo spiega bene Arnold Hauser che del Barocco,
appunto, ci ha restituito con grande chiarezza il Il concetto" 127:
126 Cos leggiamo in Economia e societ: Lo specifico formalismo giuridico,
facendo funzionare l'apparato giuridico come una macchina tecnicamente razionale, garantisce ai singoli interessati il massimo relativo di libert di movimento e soprattutto di calcolabilit delle conseguenze giuridiche e delle possibilit del suo agire di scopo (Weber 2000, III, p. 133).
127 interessante la ricostruzione del "concetto" di Barocco che ci offre Arnold Hauser, e vale, pertanto, la pena di ripercorre la sua analisi critica delle definizioni (e delle valutazioni) che di quest' epoca sono state, in passato, fomite.
Solo da poco - cos leggiamo - il nome di Barocco si esteso a tutta l'arte del
Seicento. Nel secolo XVIII, quando si cominci a delinearne il concetto, esso si
riferiva esclusivamente a quelle manifestazioni dell'arte che all'estetica classicheggiante di allora apparivano eccessive, confuse, bizzarre. li classicismo non
rientrava in questo concetto, che proprio cos inteso conserv validit sin quasi
alla fine dell'Ottocento. E non soltanto la posizione teorica di Winckehnahn, di
Lessing, di Goethe, ma, in fondo, anche quella di Burckhardt si fonda ancora
sulla concezione classicista; tutti respingono il Barocco, perch "irregolare",
"arbitrario", e lo fanno in nome di un'estetica che conta fra i suoi modelli proprio un artista barocco, quale Poussin. Burckhardt e i pi recenti puristi - Croce, ad esempio - incapaci di svincolarsi dalle strettoie del razionalismo settecentesco, nel Barocco riescono a vedere soltanto i caratteri illogici e gli elementi
strutturalmente irrazionali come le colonne e i pilastri che non sostengono nulla,
o gli architravi e le pareti che si curvano e si torcono come se fossero di cartone;
nei dipinti, l'artificiosa illuminazione, le figure atteggiate come sulla scena; nelle
sculture, il loro carattere illusionistico, quegli effetti di superlicie propri della
pittura che - si afferma - dovrebbero esserle riservati. Eppure a chiarire il senso
e il valore di tali opere potrebbe bastare l'esperienza dell' arte di Rodin. Ma per
lo pi le riserve di fronte al Barocco coinvolgono anche l'impressionismo, e se
Croce tuona contro il "cattivo gusto" del Seicento, sostiene nel contempo pre-
170
Ma torniamo, di nuovo, al Barocco. Sempre Arnold Hauser, seguendo il pensiero di W6lfflin (pur da lui criticato) ricorda:
<<Il mezzo che 1'arte barocca preferisce per conseguire i suoi effetti di
profondit spaziale l'uso di enormi primi piani, di figure portate vid~
russime a chi guarda, en repoussoir, e della brusca riduzione prospettica
degli elementi di sfondo. Cos lo spazio non solo acquista una intrinseca
mobilit, ma chi guarda, grazie al punto di vista straordinariamente ravvicinato, sente la spazialit del quadro come una forma di esistenza sua
propria, che dipenda e sia creata da lui (Ibid., p. 460).
Certo, l'<<eccessivo ridursi delle proporzioni nella fuga prospettica, come altri elementi scenografici, possono indurre a vedere nell'arte Barocca (almeno per quella meno classicheggiante) un crescente sviluppo dal rigore alla libert (pur sempre esperita attraverso una
visione sintetica), se non un repentino incedere verso il decentramento e lo spaesamento. Tuttavia, la nuova visione scientifica del
giudizi accademici antiquati (Hauser 1984, pp. 458-9). Continuiamo, dunque, a
leggere: La revisione e la rivalutazione dell' arte barocca, nel senso odierno del
termine, opera essenzialmente del Wlft1in e del Riegl, sarebbe inconcepibile
senza l'assimilazione dell'impressionismo. Anzitutto le categorie istituite dal
W6lfflin per il Barocco non sono altro che un'estensione delle idee dell'impressionismo all' arte secentesca - o meglio, a una parte di essa, poich anche W6lfflin pu giungere a una definizione univoca del Barocco solo a prezzo di trascu~
rare sostanzialmente il classicismo secentesco. Naturalmente, in conseguenza di
questa esclusione risulta molto pi vivamente il Barocco non classicheggiante.
Ed per questo che l'arte del Seicento appare in Wlft1in quasi esclusivamente
come l'antitesi dialettica dell' arte cinquecentesca, e non come la sua prosecuzione. Wlft1in sottovaluta l'importanza degli elementi soggettivi nel Rinascimento
e li sopravvaluta invece nell'et barocca. Egli ritrova nell'arte del Seicento l'inizio della tendenza impressionistica, "il pi importante mutamento di rotta nella
storia dell'arte" Ubid., p. 459).
Lo spazio prospettico
171
mondo alimentata dalla teoria copernicana della rivoluzione terrestre, se pur, da un lato, sfocia nell'idea di un cosmo privo di centro e
di un uomo ridotto a piccolo fattore nell'universo ormai disincantato, dall' altro contribuisce, paradossalmente, a potenziare le stesse
virt di quest'ultimo conferendogli una maggiore fiducia nelle sue
capacit di calcolare, misurare e dominare la vastit cosmica onnai
aperta al suo sguardo. Le repentine diagonali, gli improvvisi scorci
prospettici, gli effetti di luce accentuati, tutto esprime - come afferma Hauser - una possente, insaziabile brama d'infinito. Ogni linea
conduce l'uomo lontano (Ibid., p. 466).
allora a partire da qui che, in continuit con il processo gi avviatosi in et rinascimentale, possiamo apprezzare nell' arte barocca
un rafforzamento (e non un dissolversi) della soggettivit individuale
(ai limiti del soggettivismo). E ci nel moneta stesso in cui la "propaganda della fede" in clima controrrtottnista (e in reazione alla rinnovata tendenza iconoclastica della Rifottna che, con Lutero, condannava l"'idolatria" della Chiesa cattolica come il culto degli idoli
dei pagani), non solo cerca di rendere pi attraenti le fottne del culto
e fare della chiesa una casa festosa e invitante, ma anche di fornire
indicazioni sul modo "giusto" e "retto" di guardare e accedere alla
"verit" divina.
Basta, in effetti, entrare nella chiesa gesuita di S. Ignazio a Roma,
o porsi di fronte al colonnato del Bernini nel piazzale della Basilica
di S. Pietro al Vaticano, per comprendere come, nella raffigurazione
prospettica barocca, sia in gioco tutta una rappresentazione della
moderna razionalit capace di ridisegnare concettualmente il ruolo
storico della nuova soggettivit estetica e, insieme, gnoseologica, politica, morale e sociale. Si provi, infatti, a guardare la grande volta
con il trionfo dell'opera di Sant'Ignazio affrescata (tra il 1685 e il
1686 nella chiesa di Sant'Ignazio) dal pittore gesuita Andrea Pozzo
(Tavola 10); oppure la grande tela prospettica della cupola finta dipinta (nel 1685) dallo stesso pittore nella medesima chiesa (Tavola
11). Spostandosi da un punto all'altro, l'osservatore dimentica lo
spazio reale. Nel pavimento della chiesa, una lastra indica il punto
esatto da cui guardare per ottenere la perfetta illusione del cielo
aperto, oppure, la perfetta illusione della cupola: in qualsiasi altra
parte ci si collochi, l'insieme si rivela quale pura illusione. Come per
la fila di colonne del Bernini, sta a noi spettatori, attraverso un lieve
spostamento, il decidere dove inizia l'inganno, la finzione prodotta
dall'effetto ottico magistralmente studiato. Sta al nostro sguardo il
decidere, perch noi stessi, nel momento in cui partecipiamo, come
172
spettatori, alla rappresntazione prospettica della scena che guardiamo, esistiamo come il soggetto reale e storico di tale visione e, al
contempo, come il soggetto che, nel dare ordine alla rappresentazione, rende possibile, a partire da se stesso, la disposizione della visione stessa.
Lo spazio prospettico
173
Non possiamo non leggere questo spostamento (che accentua l'antropocentrismo gi avviato in epoca rinascimentale) se non in rapporto all'esperienza religiosa. Siamo in pieno periodo controriformista, nell' epoca della propaganda fide. Non potendo pi contare sull'evidenza interiore della presenza divina, la Controriforma ricorre
all'ingegnosit della rappresentazione esteriore. Per riconquistare le
anime o conservarle nella fede, la retorica plastica molriplica le visioni e le fughe prospettiche in cui il sacro irrompe nell'ordine mondano. Siamo adesso noi che dobbiamo convincerci sui fondamenti teologici della "vera dottrina", della verit della Chiesa e, non ultimo,
dell'autentica esistenza e presenza di Dio. Sta a noi il "giusto" guardare, il "retto" orientarci nel cammino della fede: noi, dunque, esistiamo e tutto sta nel convincerci, nel guidarci correttamente; tutto
sta nel "giusto" angolo visivo, nella "corretta" prospettiva che assume lo sguardo.
La chiesa barocca, dunque, il "teatro" di uno spostamento essenziale, fondamentale: uno spostamento sempre pi orientato, "antropocentricamente" alla nostra esistenza storica individuale e alla
nostra soggettivit gnoseologica. Se Dio esiste perch noi lo "guardiamo", con l'intelletto e con i sensi: tutto dato in prospertiva del
nostto libero intendimento, del nostto possibile convincimento. Quasi
che la chiesa non fosse pi data, in primo luogo, in ragione della presenza di Dio, ma in ragione della "precaria" (mutevole, corrurtibile)
presenza dell'uomo: per l'uomo, quale soggetto storico e morale e
quale "spettatore" - "punto di vista" prospettico - di ogni visione
globale e universale. Come se non si potesse pi fare affidamento in
un ordine obbiettivo preesistente, in un ordinamento oggettivo della
ragione, ma tutto si sciogliesse, definitivamente, nel primato della
razionalit soggettiva, ovvero, sul piano dell' arte, nel soggettivizzarsi
della rappresentazione. a partire da qui, d'altro canto, che a un
nuovo corso della religiosit cristiana, possibile anche accostare gli
ulteriori sviluppi dell' ateismo moderno. E potremmo, infine, anche
affermare che proprio da questo momento, sul versante della riflessione pittorica, l'ordine "soggettivo" della ragione moderna, a cui
siamo soliti ricondurre tendenzialmente il processo di "razionalizzazione", "secolarizzazione" e "disincantamento" del mondo, finisce
per realizzare nel suo pi alto "spettacolo" quel percorso di valorizzazione della soggettivit individuale che aveva trovato una sua originaria espressione nell'introduzione del principio prospettico in et
rinascimentale.
Avremmo, certo, dovuto nutrire maggiormente il discorso con ul-
174
teriori approfondimenti el campo dell'arte (differenziando, ad esempio, i diversi stili "nazionali" del Barocco) e riferimenti sul piano filosofico (Leibniz, prima di tutto). Tuttavia, per quel che qui pi ci
interessa, rimaniamo legati al significato della rappresentazione dello
spazio prospettico in relazione al costituirsi storico del soggetto giuridico e politico "idealtipico" della modernit. Siamo nel tardo Seicento: il potere assolutistico del sovrano nazionale si ormai consolidato e la sua legge (la legge che vale in base alla sua autorit)
esprime, dall' alto, il diritto. A questa eteronomia del potere legale,
far presto da contraltare un' etica filosofica tutta volta all'interiorit:
l'illuminismo, specialmente con Kant, prepara il terreno a uomini
che non vogliono pi obbedire ad alcuna legge esterna: vogliono essere autonomi, adulti e civilizzati sottomettendosi soltanto ad una
legge che percepiscono e riconoscono in loro stessi.
gine.
I processi della percezione sono inaccessibili; solo i prodotti sono
consci e, ovviamente, sono i prodotti ad essere necessari. I due fatti generali - primo, che non sono conscio del processo di formazione delle
immagini che vedo consciamente, e, secondo, che in questi processi inconsci io uso tutta una gamma di presupposti che vanno a integrarsi
nell'immagine compiuta - sorro, per me, il principio dell'epistemologia
empirica.
Tutti, ovviamente, sappiamo che le immagini che 'vediamo' sono in
realt fabbricate dal cervello o dalla mente; ma saperlo con l'intelletto
molto diverso dal rendersi conto che davvero cos (Ibid., p. 50).
Lo spazio prospettico
175
128 Come scrive anche Marvin Minsky, nella mente di ogni persona normale
sembrano esservi certi processi che chiamiamo coscienza. Di solito riteniamo
che essi ci consentano di sapere che cosa accade nella nostra mente. Ma questa
reputazione di autoconsapevolezza non molto ben meritata, perch i nostri
pensieri coscienti ci rivelano pochissimo di ci che li genera (Minsky 1989, p.
100).
129 In sintesi, secondo principi gestaltici, la parallasse lo spostamento apparente di un punto rispetto ad un altro punto situato a distanza diversa rispetto
all' osservatore, che si verifica quando questi si sposta in direzione perpendicolare alla retta congiungente i due punti.
176
la stessa realt; e le loro percezioni sono legate in modo tale da farle apparire sempre meno come alternative (Ibid., p. 17) 130,
Come dire: nella scienza e nell'arte, il pensiero produttivo consiste nella configurazione di immagini. L'uso sistematico della prospettiva nella pittura rinascimentale ne fornisce un esempio. Leggiamo, in proposito, questo lungo passo di Barrow:
Bench Masaccio [alla cui opera si fa risalire tradizionalmente l'uso
"scientifico" della prospettiva] morisse non ancora trentenne, la sua costruzione sistematica di una prospettiva realistica indusse altri a tentare
di creare rappresentazioni accurate di oggetti nello spazio tridimensionale, Piero della Francesca trasse ispirazioni dagli studi di prospettiva
architettonica di Filippo Brunelleschi e dall' opera di Masaccio; egli per130 Ancora leggiamo: <<Le scienze dispongono llll'immagine impersonale e
oggettiva del mondo, deliberatamente priva di un "significato, parlandoci delle
origini e dei meccanismi della vita, ma senza rilevarci nulla sulle gioie e sui dolori del vivere, Al contrario, le arti creative hanno codificata in s 1'antitesi della
visione scientifica del mondo: una libera celebrazione di quella soggettivit che
ci distingue dalle bestie; una manifestazione che appartiene soltanto alla mente
umana e la separa dal freddo turbinio di elettroni e galassie che, ci assicurano gli
scienziati, governa l'Universo, Questo libro rappresenta un tentativo di vedere le
cose in maniera diversa (Barrow 2004, p, 13),
Lo spazio prospettico
177
ai bordi del dipinto con linee dirette verso il punto di fuga. Lo spettatore ha la sensazione di guardare il mondo dall' esterno attraverso una finestra aperta.
I pittori del Rinascimento svilupparono le intuizioni geometriche necessarie per creare una prospettiva tridimensionale su una superficie bidimensionale e, avvicinandosi agli scultori, condussero 1'osservatore a un
rapporto pi stretto con gli oggetti ritratti. Tuttavia si trattava ancora di
un rapporto di separazione. La creazione della prospettiva distacca lo
spettatore dalla scena ritratta all'interno della cornice; a essa si accompagna un'inevitabile soggettivit. Noi rimaniamo a guardare l'interno
dall' esterno. Questa separazione della scena dall' osservatore aveva paralleli nelle riflessioni pi astratte sul rapporto fra la mente umana e il
mondo esterno. I filosofi europei, a iniziare da Cartesio, mantennero una
divisione netta fra l'osservatore e 1'oggetto osservato. La nostra percezione del mondo ci assegnava il ruolo di spettatori perfettamente celati.
Nessuna osservazione del mondo poteva alterarne l'aspetto: il mondo di
fuori era reahnente al di fuori. Ma non tutte le culture rispecchiavano
questa separazione fra colui che percepisce e l'oggetto percepito. Nella
pittura paesaggistica cinese si manifestava un atteggiamento molto interessante nei confronti del rapporto fra lo spazio tridimensionale e la sua
rappresentazione in due dimensioni. Qui non fu introdotta una prospettiva lineare come la si trova in Occidente, con il punto di vista dell'osservatore situato in una posizione precisa al di fuori del quadro, davanti alla tela. Esso giace invece in maniera ambigua all'interno del paesaggio. Non possibile dire dove si trova l'osservatore rispetto alle montagne e ai corsi d'acqua dipinti. In tal modo 1'osservatore diventa parte
della scena, proprio come l'artista si sentiva tutt'uno con ci che stava
rappresentando. I paesaggi cinesi lasciano di proposito 1'osservatore privo di indizi sulla propria posizione rispetto al dipinto. Dobbiamo studiare l'intera scena perch la mente individui il proprio punto di osservazione. La ricerca di una prospettiva elusiva favorisce molte letture diverse del dipinto, che vanificano tentativi di conferirgli un messaggio univoco (Barrow 2004, p. 20).
178
una linea di pensiero che arriva fino a Kant ed Husserl) alla configurazione della soggettivit individuale moderna; la stessa soggettivit
individuata e formalizzata, sul piano dei rapporti giuridici e politici,
nello "sguardo" onnisciente e assoluto del legislatore e del sovrano.
il nuovo sguardo (il nuovo punto di osservazione) del Rinascimento pittorico definisce, pertanto, la configurazione di una nuova
soggettivit (estetica, politica, giuridica e sociale). Ed attraverso le
tecniche maneggiate dal pittore che si rende visibile tale consapevolezza. L'ombra (assente nei paesaggi orientali) aumenta l'illusione
della prospettiva attribuendo all'osservatore (all'individuo che osserva) una posizione privilegiata nello spazio e nel tempo, determinata
dalla lunghezza e dalla direzione delle ombre proiettate dai raggi del
sole (Ibid., p. 21). L'utilizzo dei colori ad olio aumenta la possibilit
di controllare l'intero procedimento di costruzione della rappresentazione, permettendo all' artista di elaborare e correggere il proprio
lavoro per un lungo periodo di tempo (ma i colori stessi, in una pittura che tende al realismo - e che si affranca dal simbolismo medievale - giocano un ruolo minore rispetto al tratto, al disegno, alla
composizione e alla prospettiva).
Proprio grazie a queste tecniche ingegnose (quali, appunto, la
prospettiva, l' ombreggiatura, la stesura del colore ad olio, il controllo
del comportamento della luce) indirizzate alla perfezione della rappresentazione dell'immagine registrata dall'occhio, gli artisri occidentali, fino al diciannovesimo secolo, produssero opere sempre pi
realistiche, prendendo in tal modo le distanze dal simbolismo religioso medievale e accentuando, al contempo, le differenze dalla concezione dell' arte orientale 131. Barrow insiste molto su quest'ultimo
aspetto:
L'unione dell'osservatore e di ci che osseI\Tato in un nesso contemplativo, mediato da un'ambiguit prospettica, rispecchia -leggiamoil tenore di molta arte orientale. Essa tenta di valorizzare la nostra funzione di mediatori della bellezza naturale, invece di celebrare semplicemente
la nostra capacit di replicarla in un altro elemento statico (Ibtd.).
131
ta della geometria, della prospettiva e del comportamento della luce. Ma dall'altro lato esso ci impone di liberarci della nostra interpretazione del significato
dell'oggetto presentato. [ ... ] Questo modo di procedere assunse un'autorevolezza tale da fissare gli standard di realismo con cui sono state giudicate tutte le
opere successive, e ci port a considerare il realismo come il culmine verso cui
ascendevano tutte le tecniche precedenti (Ibid., pp. 22-3).
Lo spazio prospettico
179
132 Ancora leggiamo: L'intero processo, fino al punto della manifattura, appartiene all' ordine stabilito delle devozioni personali in cui si presta adorazione
a un'immagine concepita mentalmente [ ... ]; in ogni caso, il principio implicato
che la vera conoscenza di lll1 oggetto non si ottiene per via di lll1a mera osservazione empirica o di lll1a registrazione riflessa [ ... ], ma solo quando il conoscente e il conosciuto, colui che vede e la cosa vista, si incontrano in lll1 atto che
trascende la distinzione [.,.]. Per adorare lll1 angelo, in verit, si deve diventare
l'angelo (Coomaraswamy 2007, pp. 134).
133 Scrive Coomaraswamy: TI processo estetico si svolge in tre fasi: l'idea nasce in germe, prende forma dinanzi all' occhio della mente, si esprime esterior-
180
134 Per tali questioni, e in generale sull' arte indiana, si rimanda anche allibro
curato da Giovanni Torcinovich, India arte oltre le/orme (Torcinovich 2012).
Lo spazio prospettico
181
Con l'introduzione della visione prospettica "centralizzata", innovazione - come si visto - del Rinascimento italiano, si avvia dunque, a grandi linee, il processo di "razionalizzazione" e di "disincantarnento" dell'arte (che ha coinvolto, si visto, anche il diritto): un
processo sorretto, come prima si detto, dall'affermarsi di un'idea di
ragione "soggettivamente" orientata. Una ragione, potremmo dire,
cogitante e ordinante, che proprio attraverso Cartesio (e pi in l fino
a Kant) trover, poco pi tardi, la sua formulazione adeguata sul
piano filosofico no. Non , infatti, difficile comprendere, dal lato
dell'interpretazione sociologica, come, a grandi linee, l'impianto epistemologico della filosofia cartesiana ripercorra e, in parte, traduca,
in termini concettuali, il lungo cammino intrapreso dalla rappresentazione prospettica sul piano della figurazione pittorica, dal Rinascimento al Barocco. TI tratto che con maggiore evidenza percorre la
trama di questo intreccio semantico , appunto, la progressiva emersione di una razionalit soggettiva ordinante il reale, capace di riconoscere nella raffigurazione artistica la forma pi leggibile (per
usare le parole di Hildebrand) attraverso cui dare ordine al contenuto spaziale: la razionalit universalistica di un soggetto ab-solutus,
posto fuori dalla "storia" (dal contesto storico) e disciolto dai vincoli
sociali, che d ordine al mondo e alla sua conoscenza "scientifica"
(come il legislatore sul piano giuridico e il sovrano assoluto su quello
politico). Sul terreno della storicit, questo tragitto rispecchia, dunque, le esigenze politiche, giuridiche ed etiche (quelle, ad esempio,
fatte proprie a suo tempo dal pensiero giusnaturalista) di una societ
che vuoI liberarsi dai rapporti feudali per istaurare un uovo ordine
sociale basato sul primato della ragione (come avviene, ad esempio,
nel commercio); una ragione "geometrica", universale e, appunto,
ordinante, posta a garanzia di individualit "extra-sociali" rinviabili a
costruzioni nonnative 136, capaci di cogliere riflessivamente, nell'esercizio del proprio intelletto (e a discapito della loro particolare
posizione sociale), la prova della propria esistenza ("cogito ergo
m Del resto, sostituendo il '(razionale" al "ragionevole", Cartesio riusc ad
affennare il dominio del "segno" sul "simbolo", dello "spirito geometrico"
(dell'algoritmo matematico) sullo "spirito di finezza" (ed proprio a partire da
qui che si inaugura quella concezione "semiologia' destinata a trionfare con il
positivismo scientifico del XIX secolo).
1J6 Faccio propria, a tal riguardo, la suggestione di Carl Schmitt: Perfino
l'espressione cogito ergo sum non solo ammette, ma anche raccomanda un'interpretazione che prende le distanze dal singolo individuo empirico e allude a
una costruzione normativa (Schmitt 2013b, p. 83).
182
sum"); un ragione, pertanto, funzionale ed astratta, capace di desostanzializzare i rappotti reali (correlati essenziali delle sostanze patrimoniali); gli stessi rapporti (e le stesse sostanze) che costituiscono
la trama e l'ordito giuridico dell' organizzazione feudale.
Se allora, come abbiamo gi detto, tale ragione ordinante rispecchia e riflette, sul piano concettuale, ci che la visione prospettica ha
disposto sul piano dell' arte, sempre a partire dalle sue "costruzioni", dalla capacit di quest'ultima di dare una figurazione concreta
(un'''immagine'') alle "fanne mentali" dispiegate nella loro staricit,
che adesso dobbiamo, in breve, procedere, per cogliere i segni del
suo cedimento sia sul piano delle pratiche storiche (dei rapporti sociali), sia su quello della riflessivit concettuale. In poche parole,
dobbiamo calarci nella storicit. L'aveva gi ben spiegato Walter Benjamin nel 1936, in L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilit
tecnica:
Nel giro di lunghi periodi storici, insieme coi modi complessivi di
esistenza delle collettivit umane, si modificano anche i modi e i generi
della loro percezione sensoriale. TI modo secondo cui si organizza la percezione sensoriale umana - il medium in cui essa ha luogo -, non condizionato soltanto in senso naturale, ma anche storico (Benjamin 1966,
p.24).
In un testo del 1990, Jonaman Crary, storico dell' arte della Columbia University, ricostruendo sul piano "genealogico" (secondo
una linea foucaultiana) lo statuto dell' osservatore ottocentesco, ha
cercato di evidenziare i caratteri epocali di un importante mutamente epistemologico. Secondo la sua ipotesi, prima ancora di considerare l'avvento e lo sviluppo della fotografia, ai primi decenni del XIX
secolo (epoca rivoluzionaria per la visione e per i diversi apparati
scientifici e tecnici ad essa collegati) che bisogna guardare per comprendere il passaggio fra il modello "visivo" fondato sulla camera
oscura (affermatosi nei due secoli precedenti entro il quadro filosofico del soggetto cartesiano) e quello basato sulla corporalit fisiologica dell'osservatore (quale soggetto attivo produttore di immagini) m
137 Scrive Crary: La fotografia fu un elemento di un nuovo e omogeneo spazio di consumo e di circolazione nel quale 1'osservatore stesso si inscriveva. Per
capire l"'effetto fotografia" del XIX secolo, bisogna considerarlo come una
componente nodale della nuova economia culturale del valore e dello scambio, e
Lo spazio prospettico
183
A partire da questo momento, infarti, le immagini non corrispondono pi alla trasparenza degli oggetti del mondo esteriore, ma esistono prevalentemente in quanto prodotti dell' apparato fisiologico
umano (quello oculare in particolare). Su questo piano, lo spazio non
coincide pi con la "scena", non appare pi entro l'ordine dalla rappresentazione geometrica (entro le misure imposte da quella mathesis cartesiana che diffidava dei sensi), ma si apre ad una visione autonoma dalla "realt", ad un'esperienza ottica non immediata, sviluppata temporalmente e incarnata nelle proptiet degli organi sensoriali. Se la vista, con Cartesio e Diderot, rimandava ancora all'intelligenza di un occhio superiore figurato dal modello della camera oscura, con la Teoria del colore di Goethe (opera del 1808) la stessa riacquistava la sua validit sensoriale nelle tangibilit oculari della stereoscopia.
Detto altrimenti, a partire dagli inizi dell'Ottocento (specialmente
negli anni Venti e Trenta), i rapporti fra il corpo e le forme di potere
istituzionale e discorsivo ridefiniscono un nuovo statuto del soggetto
osservatore che apre la possibilit di sperimentazioni artistiche finalmente liberate dalle costrizioni visive ereditate dal Rinascimento e
ordinate sul modello della camera oscura. Sintomo di una rottura
non come una semplice tappa di una continuit storica della rappresentazione
visiva. Nella societ del XIX secolo, la fotografia e il denaro divennero due forme omologhe di potere. Sono due sistemi totalizzanti che permettono, allo stesso modo, di legare e unificare tutti i soggetti all'interno di una singola rete globale di valutazione e di desiderio. Come il denaro per Marx, anche la fotografia
un grande strumento di livellamento, un "puro e semplice segno", un "prodotto arbitrario della riflessione umana". [ ... ] La nostra ipotesi che la riorganizzazione del soggetto osservatore nel XIX secolo si verific prima dell'avvento della
fotografia. Quello che ebbe luogo a partire all'incirca da! 1810 fino a! 1840 fu
infatti uno sradicamento della visione dalla stabilit e dalla fissit delle relazioni
incarnate dalla camera oscura. Se la camera oscura, come concetto, sussisteva
come oggettivo fondamento della verit visiva, agli inizi del XIX secolo uno svariato numero di discorsi e di pratiche - in ambito filosofico e scientifico e nelle
procedure di normalizzazione sociale - tendeva ad abolire le radici di questo
fondamento (Crary 2013, pp. 16-7). Mostrando poi, foucaultianamente, come
importanti discontinuit interrompono monolitiche costruzioni epistemologiche
che leggono, con una certa linearit, una storia della visualit dell'Occidente che
va da Platone fino ai giorni nostri, o dal Quattrocento sino alla fine del XIX secolo, scrive ancora Crary: La teoria che pi specificatamente ci interessa criticare quella secondo la quale 1'emergere della fotografia e del cinema nel XIX
secolo sia il risultato di un lungo fiorire di sviluppi tecnologici e/o ideologici avvenuti in Occidente, in base ai quali la camera oscura evolve nella macchina fotografica (Ibid., p. 29).
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Lo spazio prospettico
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LlS In primo luogo - scrive Crary -, la camera oscura dette luogo a un'operazione di individualizzazione: vale a dire che essa defin necessariamente un
osservatore come un'entit isolata, chiusa e autonoma all'interno delle sue pareti
oscure. Questo dispositivo spingeva l'osservatore verso una sorta di askes, di
straniamento dal mondo, con l'obbiettivo di regolare e purificare la relazione
dell'osservatore stesso con i molteplici contenuti del mondo, con una realt che
era diventata "esteriore" (Ibtd., p. 43).
m Del resto, nella Diottrica, la forma della camera oscura era quella di un
elemento di difesa contro la follia e l'irragionevolezza dell' abbagliamento
(Ibid., p. 145).
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ne, soprattutto in Goethe, l'<<opacit dell'osservatore come condizione necessaria per il manifestarsi dei fenomeni.
<<A partire dagli inizi del XIX secolo - ancora leggiamo -, la scienza
della visione era tesa in maniera crescente a interrogarsi sulla fisiologia
del soggetto umano a scapito dell'interesse per i meccanismi della propagazione della luce o della trasmissione ottica. In questo periodo, il visibile si allontan dall' ordine atemporale della camera oscura e si posizion invece all'interno di un diverso dispositivo, cio nella fisiologia e
nella temporalit instabile del corpo umano (Ibid., p. 74).
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A noi che viviamo il XXI secolo, la prospettiva "lineare" o "centrale" non pu che apparire come un particolare espediente ("geometrico"), un'arbitraria costruzione simbolica, una convenzione ideale
attraverso la quale gli artisti dei secoli scorsi (a partire dal Quattrocento) hanno cercato di dare una soluzione pittorica ai problemi le-
145 Crary ricorda la pittura di Tumer come un chiaro sintomo del fatto che, a
partire dal 1848, il processo della percezione (quello che proprio il modello della camera oscura contribuiva a nascondere) era diventato un oggetto fondamentale della visione (Ibid., p. 143). L'arte di Tumer si basava, in effetti, sul
"delirio" reso possibile dal collasso del modello binario implicato dalla camera
oscura, quello che cio indicava la separazione fra il modello e il soggetto della
percezione (Ibid., p. 149).
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cuni punti di vista, e mediante la connessione di una quantit di fenomeni particolari diffusi e discreti, esistenti qui in maggiore e l in minore
misura, e talvolta anche assenti, corrispondenti a quei punti eli vista unilateralmente posti in luce, in un quadro concettuale in s unitario
(Weber 1967, p. 108).
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1525), la accostava al gehere dell'anamorfosi (termine tecnico usato per indicare le immagini oblique e curve - dunque non lineari e
dritte - che soddisfano esigenze geometriche di carattere prospettico). Si tratta in realt di ritratti (come quello di Edoardo VI, dipinto
da un autore ignoto nel 1546) che, se visti di fronte, si presentano in
modo distorto e bizzarro (una sorta di <<fantasma che si stacca dal
quadro), ma se visti da un punto molto vicino al bordo, riacquistano un aspetto "corretto" e normale; ritratti, pertanto, lasciati alla di~
storsione, al trucco, all'inganno, all'errare dell'occhio (di errori ottici, infatti, si parla), ma che fissati da un certo punto di vista, fanno
s che qualunque distorsione prospettica risulti tale da non distnguersi dall'immagine normale (Ibzd., pp. 231-3). Proprio a partire
dall' accostamento tra prospettiva e anamorfosi (due generi - di
cui uno "degenerato" - della costruzione prospettica), nel confronto
tra una possibile visione normale ed una errata, corrotta e
distorta, la stessa configurazione prospettica, quale dispositivo ottico, si svela, nel suo ('trucco" e nella sua relativit proiettiva, come
illusione spaziale, come convenzione scientifica senza validit
assoluta, come inganno dell'occhio. O meglio, detto altrmenti, si
comprende che la prospettiva, nella sua natura ingannevole, contiene
sempre al suo interno le possibilit disturbatrici, deformanti e destabilizzanti delle anamorfosi.
Gi Galileo, feroce oppositore della poesia allegorica -lo dice
Erwin Panofski in un suo saggio del 1954 - parlava, confrontando pittura e letteratura, di anamorfosi come prospettive ingannevoli:
Pensava - leggiamo - che i poemi allegorici (come la Gerusalemme
lzberata), costringendo il lettore a interpretare ogni cosa come riferita re-
conditamente a qualcos' altro, assomigliano a quei dipinti con una prospettiva ingannevole, le "anamorfosi", che per usare un'espressione di
Galileo, "riguardate in scorcio da un luogo determinato, mostrino una
figura umana", ma che vedute in faccie e come naturalmente e communemente si guardano le altre pitture, altro non rappresentano che una
confusa e inordinata mescolanza di linee e di colori, dalla quale anco si
potriano malamente raccapezzare immagini di fiumi o sentieri tortuosi,
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Come si visto, la prospettiva orientata alla concezione dello spazio euclideo, da Brunelleschi e da Alberti in poi, si pone come ragione geometrica capace di ridurre ad unit formale l'infinitamente vario della natura e dell'uomo. L'anamorfosi, ,<.la prospettiva matematicamente depravata, in quanto dimostrazione dell'incertezza visi~
ma) '54 il punto di vista e l'immagine, che sul piano frontale appare
deformata o addirittura altra, ma se guardata di lato (da un punto di
vista "anormale") diventa, a sua volta, "normale". Vi , dunque, tut~
to un gioco di rimandi tra il "normale" e l'''anormale'', un gioco di
della biblioteca dell'lstitut de France), a Viator (1505). In seguito fu ripreso nella seconda regola del Vignola e insegnato nella maggior parte dei manuali per
artisti. Corrisponde alla realt della percezione, ma anche una tecnica evocata
che agisce in ogni circostanza. Invertito e allungato, serve anche a deformare le
immagini in previsione di una successiva rettifica ottica (Ibid., p. 54).
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Un altro tipo di procedimento anamorfico, pi tardo, quello introdotto dallo specchio cilindrico sostituito al quadro come strumento di svago ottico. Al centro di un cerchio dipinto si vede un insieme
insignificante di forme e colori, che diventa rappresentazione normale specchiato nella superficie curva del cilindro. Anche qui avviene
ci che si presenta (e si svela) in ogni anamorfosi: l'incertezza del!'immagine, la sua incorreggibile, demoniaca instabilit. Si dimostra
che l'immaginazione inganna, rimane
Lo spazio prospettico
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Lo spazio prospettico
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anni Trenta del Novecento, soprattutto per impulso dei dadaisti (in
special modo Tristan Tzara) e dei surrealisti (si pensi a Dali). Nei loro lavori agisce la forza deformante dell'illusione. D'altronde, come
avrebbe poi detto Duchamp nel 1912, il quadro non che l'apparizione di un'apparenza (Duchamp 2005, p. 35).
Riscoperta come visione diretta e spontanea o come visione ragionata, r anamorfosi si ripresenta anche come moderruzzazione otti-
tutti i suoi aspetti razionali e visionari, e con lei le esegesi e le speculazioni che l'anno sempre accompagnata (Ibid., p. 247). Anzi, sul
finire degli anni Sessanta del secolo scorso, la visione anamorfica, come operazione intellettuale, s'intreccia con la funzione allegorica e
critica (si pensi soltanto a eocteau, Lacan, Lyotard e Barthes). Proprio Roland Barthes, in Critica e verit, testo del 1966, accosta la critica all' anamorfosi: la critica non sarebbe altro che una proiezione anamorfica di un' opera, con le deformazioni calcolate rigorosamente:
<~La critica - scrive Barthes - non la scienza. Quest'ultima tratta dei
sensi, mentre la critica li produce. [ ... ]
il rapporto che intercorre fra la critica e l'opera lo stesso che intercorre fra un senso e una forma. il critico non pu pretendere di "tradurre" l'opera, e in particolare di chiarirla, giacch nulla pi chiaro
dell'opera. Egli pu invece "generare" un certo senso, derivandolo da
una forma che l'opera. [' . .J Il critico sdoppia i sensi, fa fluttuare sopra
il primo linguaggio dell' opera un secondo linguaggio, ossia una coerenza
di segni. Si tratta insomma di una specie anamorfosi, purch non si dimentichi, da un lato, che l'opera non si presta mai a un puro riflesso
(non un oggetto speculare come una mela o una scatola), e) d'altro lato, che anche l'anamorfosi una trasformazione controllata, soggetta a
coercizioni ottiche: di ci che riflette, essa deve trasformare tutto; trasformare solo secondo certe leggi; trasformare sempre nello stesso senso (Barthes 1985, pp. 53-4).
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in Goya, ha il suo rovescio -la Maya, l'arcadia, il colore): un malefico rovesciamento sostituisce le tenebre alla luce, il disordine all'ordine, la sregolatezza alla regola. Non vi pi visione unitaria di ci che
la ragione pretende e rende "naturale". Nella raccolta dei Capricci
del 1799, ve n' uno dal titolo Il sonno della ragione produce mostri:
se la ragione sorvegliante dell' artista non vigila, la fantasia delirante
genera mostri. Di nuovo un "doppio registro", un "rovesciamento"
verso l'altra parte dell'illuminismo (l'anti-illuminismo quale retroscena
politico del tempo): l'altra parte che mette in guardia dai sogni mostruosi della Ragione illuministica, gli stessi che conducono al "terrore". Oppure si tratta di un rovesciamento della mente nelle zone
oscure dell"'inconscio" J nelle zone confuse non rischiarate dalla vigi~
le razionalit; espediente che rende visibile (alla ragione) ci che finora rimasto celato, nascosto dietro i veli del pensiero cosciente. Si
affaccia un altro sguardo, uno sguardo "dormiente" che non vede attraverso occhi coscienti, che non illumina lo spazio (e il reale) attraverso i soli dettami della ragione, ma che, con quest'ultima, entra risolutamente in conflitto. Sembra di essere ormai cos lontani dal
1787 (appena prima della Rivoluzione), anno in cui ]acques-Louis
David, pittore neoclassico, ancora sull'onda del giusnaturalismo illuminista, dipingeva La morte di Socrate, ricordando ai francesi le
virt del "contratto sociale" e di una Ragione capace (idealmente) di
spezzare le catene del dispotismo (le stesse "catene" che, secondo
Rousseau, vincolavano ancora l'uomo sviandolo dalla sua libert
naturale) 167 L'ideale estetico del neoclassicismo, avverso a ogni
forma di capriccio e anarchia (tipici ancora del gusto aristocratico
Rococ), mostrava una chiara tendenza al tipico e all'universale, al
regolare e al normativa, al durevole e all' eterno; mostrava una spiccata tendenza al razionalismo sia contro la stravaganza e l'indisciplina sia contro il convenzionalismo e l'affettazione della produzione
artistica di allora 168. Come i moderni filosofi illuministi e giusraziona167
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Non per niente, il neoclassicismo si distingue dai movimenti classicheggianti pi antichi perch concepisce l'antico e il moderno come due tendenze nemiche, inconciliabili (Hauser 1984, II, p. 152).
Vi di mezzo la frattura operata dall'idea rigorosa di Ragione quale
imperativo ed espressione del nuovo ordine sociale e formale da rendere attuale. Lo stesso Winckelmann, sia pur con lo sguardo rivolto
a una "classicit" riscoperta nell'epoca antica, guardava alla novit
della pura, chiara e semplice linea, alla regolarit e alla disciplina di
un ptincipio razionale e naturale da opporre alla finzione, all' artificio
e al vacuo virtuosismo degli orpelli del Rococ. Nel suo scritto Montunenti antichi inediti del 1767, pur rivolto alla "bellezza" dei GreCI, scriveva:
Chiunque persuaso che ogni creatura abbia in s l'impronta della
perfezione, secondo ch'ella n' capace, e che ogni idea sia fondata SUI
una ragione, la quale dee cavarsi da un' altra, conoscer che la ragione
della bellezza, la quale pu dirsi la stessa cosa che la perfezione, fuori
dalla bellezza non pu trovarsi, perch quella si rinviene in ogni essenza
In effetti - tornando ai nostri problemi - ancora oggi appare difficile sottrarsi all'idea che la pittura rinascimentale, nel suo progetto
"realistico", abbia dato luogo alla "vera" visione "naturale" dell'uomo 170, Una visione, oltretutto, che sembrerebbe aver trovato conborghesia rivoluzionaria meglio di qualunque altra corrente artistica. Qui si univano grandezza e semplicit, dignit e sobriet. Gli Grazi sono stati giustamente
chiamati "il quadro neoclassico per eccellenza" (Ibzd., II, p. 155-6).
170 Tale concezione si appoggia, in effetti, suI fatto che l'occhio - come ha
sottolineato Simon Ings - non pu passivamente assorbire tutta la scena che ha
di fronte. necessario che vi sia una selezione (-LU1a prospettiva potremmo,
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Educati per secoli alla visione prospettica, per noi ancor oggi
difficile pensare che quel tipo di sguardo "fotografico" (orientato a
un'immagine statica che crediamo capace di arrestare lo sguardo)
non sia il "pi reale") il "pi naturale" 173. Con 1'avvento della camera
dunque, dire). <<L'occhio deve andare a caccia, altrimenti finiremmo per affogare nella confusione (Ings 2008, p. 153).
171 Troviamo un'ulteriore conferma di quanto affermato in ci che scrive Arthur Danto a proposito dell'invenzione della macchina fotografica: TI suo inventore, Fox TaIbot, a causa dei propri limiti come disegnatore, cerc il modo in
cui la natura potesse riprodurre se stessa, senza la mediazione di un artista: la
macchina fotografica era, nelle sue parole, "la matita della natura". La macchina
era costruita secondo principi rinascimentali. Per questo motivo, fino all'avvento
della digitalizzazione, le fotografie svolgevano anche ruoli legali. La macchina
fotografica era assimilabile al testimone oculare (Danto 2008, p. 103).
m Leggiamo ancora in un passo del medesimo autore: Ai tempi di Bacone
le arti non conoscevano ancora l'immagine analogica, come la chiamiamo oggi,
ossia l'immagine che riproduce il mondo quale noi lo vediamo. Ma la via era
ormai imboccata. Per noi oggi difficile capire il carattere esplosivo di quel tema [il processo visivo legato alle immagini], dopo che l'evidenza delle immagini
diventata un'ossessione (Belting 2010, p. 144).
m Eppure, come ha ben dimostrato Filiberto Menna, fin dagli inizi del XX
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l'" oggettivit" della visione prospettica finisce per frantumarsi e dissolversi nel "prospettivismo" (nel "relativismo" prospettico). Dietro
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g~'uridz'ca
il "prospettivismo" moderno, che da Pascal (conoscitore dell'illusionismo barocco) conduce a Nietzsche e a Foucault, non si coglie soltanto la critica "genealogica" o la "decostruzione" semantica di un
arbitraria, ogni "punto di vista" relativo a una particolare "valorizzazione", ogni "angolo visivo" limitato nel suo campo concettuale
(strumentale e ideologico), Non esiste una sola prospettiva valida e
scientificamente legittima, ma tante prospettive, l'una diversa dall'altra, che si relativizzano a vicenda. In un frammento postumo (il 481)
raccolto e ordinato da Peter Gast e Elisabeth F6rster-Nietzsche nel
famoso volume intitolato La volont di Potenza (1906) Nietzsche
scriveva: Porre come causa del vedere una specie di prospettiva visuale. Questo stato il trucco nell'invenzione del "soggetto", dell'''io'' (Nietzsche 2005b, p. 299).
Sentiamo ancora 1'eco di questo aforisma nello sguardo critico
che ancora Francastel rivolge al passato:
<<11 fatto stesso che il modo di rappresentazione plastica del Rinascimento corrisponda a un certo grado del progresso scientifico e sociale
esclude ch' esso sia un linguaggio universale o 1'espressione di una funzione costituzionale dell' essere umano. Credere al realismo della prospettiva lineare come credere che un solo gruppo linguistico esprima
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dal 1490), ad esempio, al paragrafo 456 (Della prospettiva lineale) leggiamo: ,<La
prospettiva lineale si estende nell'ufficio delle linee visuali a provare per misura
quanto la cosa seconda minore che la prima, e la terza che la seconda, e cos di
grado in grado insino al fine delle cose vedute (Leonardo da Vinci 1996, p.
151). Ma poco prima, al paragrafo 411 (Che le figure piccole non debbono per
ragione essere finite) scriveva: Dico che se le cose appariranno di minuta forma,
ci nascer dall'essere dette cose lontane dall'occhio; essendo cos, conviene che
infra l'occhio e la cosa sia molt'aria, e la molt'aria impedisce l'evidenza della
forma d'essi obietti, onde le minute parricele d'essi corpi saranno indiscernibili e
non conosciute. Adunque tu, pittore, farai le piccole figure solamente accennate
e non finite, e se altrimenti farai, sar contro gli effetti della natura tua maestra.
La cosa rimane piccola per la distanza grande che fra l'occhio e la cosa; la distanza grande rinchiude dentro di s molt' aria, la molt' aria fa in s grosso corpo,
il quale impedisce e toglie all' occhio le minute particole degli obietti (Ibid.,
p.D7).
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nato dagli uomini, prefigura ci che vivr sulla croce (per cui le pie
donne, in uno sbalzo temporale e spaziale, gi piangono).
La Salita al Calvario , certo, un emblema di un' epoca, quella in
cui Filippo II lanciava una grande campagna repressiva contro i movimenti riformistici religiosi delle Fiandre (ispirati agli insegnamenti
di Erasmo da Rotterdam); ma anche una riflessione pittorica
sull'insensibilit che rende ciechi di fronte al dolore, che annebbia la
ragione di fronte alla sofferenza di un uomo: per qualunque spettatore, infatti, il significato profondo dell' avvenimento rimane per lo
pi incomprensibile. Lo sguardo spaesato e - per quel che pi qui
ci interessa - si spostano (e si moltiplicano) i diversi punti di vista (le
posizioni prospettiche) a seconda del modo in cui osserviamo le scene che compongono il dipinto. Siamo dentro lo spazio del quadro e
non di fronte alla sua rappresentazione; non vi prospettiva unitaria.
Eccoci dunque, di nuovo, di fronte al nostro problema: la prospettiva "centrale", in quanto proiezione dello spazio matematico,
non che una convenzione, un'espressione dell'immagine del mondo (carica di significati simbolici) ordinata a determinati valori della
percezione visiva 179. A partire da qui, da questa osservazione, com179 Lo ricorda anche Arnold Hauser nella sua Storia sociale dell'arte: Solo a
partire dal Rinascimento la pittura si fonda sul presupposto che lo spazio in cui
si trovano le cose sia un elemento infinito, continuo e omogeneo, e che di regola
noi vediamo le cose unitariamente, cio con un unico e immobile occhio. Ci
che di fatto noi percepiamo invece uno spazio limitato, discontinuo, composto
di elementi eterogenei. La nostra immagine dello spazio in realt deformata e
sfocata ai margini, il suo contenuto si divide in gruppi e pezzi pi o meno indipendenti; e poich il nostro campo visivo fisiologicamente sferoidale, in parte
noi vediamo curve invece di rette. Perci un' ardua astrazione la prospettiva
lineare quale ce la presenta l'arte rinascimentale, cio con l'immagine di uno
spazio uniformemente chiaro e coerente costruito in tutte le sue parti, con un
comune punto di concorso delle parallele e un modulo costante nella misura
della 'giusta' distanza: quell'immagine insomma che l'Alberti defin come sezione trasversale della piramide visiva. La prospettiva centrale ci d uno spazio matematicamente esatto, ma psico-fisiologicamente irreale. Solo un'epoca cos intimamene permeata di scienza, come i secoli tra il Rinascimento e la fine dell'Ottocento, poteva considerare questa visione assolutamente razionale dello
spazio come una traduzione adeguata della reale impressione ottica. Allora infatti unit e coerenza eran considerate i pi alti criteri di verit (Hauser 1984, I, p.
362). Sempre Hauser ci spiga anche come, con l'affermarsi della "concezione
scientifica" dell'arte (e con l'emanciparsi dell'arte dal mero artigianato), nelle
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chio le fonne complesse, sarai certo in grado di disegnare le forme semplici. I grandi pittori non si danno mai pensiero della prospetriva, e del
resto sono pochi quelli che ne conoscono le leggi: disegnano a occhio
qualsiasi cosa e beninteso non si curano, nelle parti facili delle loro opere, di regole che non possono aiutarli nelle parti difficili. Occorre quasi
un mese di lavoro assiduo per disegnare imperfettamente secondo le
leggi della prospettiva quello che qualsiasi grande Veneziano disegnerebbe alla perfezione in cinque minuti, sia che intrecci una ghirlanda di
foglie intorno a una testa, sia che curvi le linee di un motivo ornamentale
fra le pieghe di un tessuto. pur vero che nei primi tempi della scoperta
della prospettiva tutti quanti se ne dilettarono: ogni grande artista metteva portici e saloni leggiadri scllo sfondo delle sue madonne per mostrare la sua bravura nel disegno prospettico. Ma in genere ci si faceva
soltanto per attirare 1'occhio del pubblico, mentre i maestri disdegnavano a tal punto la prospettiva che, pur mettendo la massima cura nel
tracciare 1'anello di una corona o 1'orlo di una coppa di cristallo al centro del dipinto, negli sfondi erano pronti a torcere con estrema disinvoltura i capitelli delle colonne e i campanili delle chiese perch andassero
nella direzione voluta, conservando solo quel tanto di prospettiva che
bastava a compiacere il pubblico.
In epoca moderna, fatta eccezione per David Roberts, dubito che ci
sia fra noi un artista che conosca la prospettiva a sufficienza per poter
disegnare in scala un arco gotico da un angolo e una distanza stabiliti.
Turner, pur essendo professore di prospettiva alla Royal Academy, non
conosceva la materia che insegnava e in tutta la sua vita, a mia memoria,
non disegn un solo edificio in prospettiva regolare: la rispettava solo
nella misura in cui serviva ai suoi scopi. Neanche Prout conosceva la
prospettiva e, come Turner, dava liberamente ai suoi edifici la fonna che
preferiva. Non giustifico tali procedimenti, e raccomando agli studenti
di trattare la prospettiva con un minimo di educazione, ma senza farle la
corte. li modo migliore di impararla da soli di prendere un pannello di
vetro montato in una cornice, per poterlo tenere ritto davanti agli occhi,
alla distanza da cui si desidera sia osservato lo schizzo che verr eseguito. L'occhio si fissi su un punto posto in corrispondenza del centro del
vetro, all'altezza desiderata dall'allievo; quindi, con un pennello legato
all' estremit di un bastoncino e un po' di colore corposo che faccia presa sul vetro, egli potr tracciare i contorni del paesaggio sclla superficie,
cos come si vedono attraverso il vetro. Tracciate con questo sistema, le
varie linee saranno regolarmente in prospettiva: Qualsiasi inclinazione
abbia il vetro, le linee continueranno a esser in prospettiva, ma si tratter
di prospettiva calcolata per un piano inclinato, mentre normalmente si
suppone che il piano del dipinto sia verticale (Ruskin 2009, pp. 21-3).
Non certo l'Alberti o Brunelleschi o Piero della Francesca che
scrive. La percezione dello spazio mutata, e con essa la rappresen-
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tazione pittorica. Non si tratta di scoprire le regole matematiche universali che presiedono alla corretta visione del mondo; la prospettiva
si svela per ci che adesso appare: una semplice tecnica utilizzabile
per scopi pittorici meramente strumentali. Serve, se mai, a facilitare
la composizione del quadro, ma nulla ha a che fare con lo spazio effettuale realmente abitato e con la logica che determina la sua rappresentazione.
Lo spazio prospettico rinascimentale non era, si detto, uno spazio "abitato " ma uno spazio costruito e ordinato secondo i canoni
del sapere scientifico. La pitmra ha finito per accorgersene, ad esempio, con Czanne. La visione del pittore non trascina pi l'esteriorit
di uno sguardo indirizzato su un "di fuori" (relazione meramente
"fisico-ottica" con il mondo); il mondo non pi di fronte a lui, dato
per rappresentazione: piuttosto il pittore - scrive Merleau-Pontyche nasce nelle cose come per concentrazione e venuta a s del visibile (Merleau-Ponty 1989, p. 49). Proprio Merleau-Ponty, nel suo
ultimo saggio del 1960, in cui, tornando all'esame fenomenologico
della percezione, interroga la pittura e la visione, restituisce a tale
spostamento il suo significato filosofico:
Lo spazio - cos scrive - non pi quello di cui parla la Dioptrique, un reticolo di relazioni fra gli oggetti, come lo vedrebbe un testimone della mia visione, o un geometra che la ricostruisse sorvolandola,
ma uno spazio considerato a partire da me come punto o grado zero
della spazialit. E non lo vedo secondo il suo involucro esteriore, lo vivo dall'interno, vi sono inglobato. Dopotutto, il mondo intorno a me,
non di fronte a me. La luce viene riscoperta come azione a distanza, e
non pi ridotta all' azione di contatto, ossia concepita come potrebbe
esserlo da coloro che non vedono. La visione riacquista il suo fondamentale potere di manifestare, di mostrare pi che se stesSa. E poich
ci dicono che un po' di inchiostro basta per farci vedere foreste e tempeste, bisogna che la visione abbia il suo immaginario. La sua trascendenza non pi delegata a uno spirito lettore che decifra gli impatti
della luce-cosa sul cervello, e che potrebbe esercitare questa funzione
anche se non avesse mai abitato un corpo. Non si tratta pi di parlare
dello spazio e della luce, bens di far parlare lo spazio e la luce esistenti. Interrogazione senza fine, poich la visione, a cui essa rivolta,
anch' essa interrogazione. Tutte le ricerche che credevamo concluse si
riaprono. Che cosa sono la profondit, la luce, "Ci "Co DV? Che cosa sono
- non per uno spirito che si isoli dal corpo, ma per quello spirito che,
come disse Cartesio, diffuso per tutto il corpo? E cosa sono, infine,
non solamente per lo spirito, ma per se stesse, dal momento che ci attraversano, ci inglobano?
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Una delle prime incrinature provocate dallo sviluppo della societ e delle tecniche industriali si manifesta, come facile comprendere, nella pittura; tuttavia, l'impianto simbolico del sistema figurativo
non ancora del tutto messo in questione dalle correnti realiste, romantiche e simboliste che percorrono l'Ottocento; solo con la definitiva crisi del soggetto (della razionalit soggettiva) comincer la vera
e propria trasformazione dei valori spaziali.
Qualcosa, comunque, gi verso la met del XIX secolo, comincia
ad inquietare la coscienza dell'attista. Nella produzione romantica
del Nord Europa di Caspar David Friedrich, ad esempio, la vicenda
umana appare tragicamente schiacciata dalla forza e dall'immensit
della natura. E si pensi anche, nell' et della Restaurazione, a La zattera della medusa di Thodore Gricalult, la grande tela presentata al
Salon di Parigi del 1819 (dipinto che suscit i primi fermenti di dibattito tra la vecchia scuola neoclassica, che aveva dominato la Francia per i trent'anni precedenti e i nuovi artisti romantici cresciuti in
un periodo di turbolenze): la scena classica della rappresentazione
veniva forzata da ogni lato e lo spettatore era attratto al centro del
quadro (dentro la spazio del quadro, trascinato a bordo della preca-
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ria imbarcazione); ne diveniva una parte 180, E si prenda, ancora, Eugne Delacroix e i suoi Scritti sull'arte lasciati in taccuini e fogli sparsi verso la met dell'Ottocento, In un testo intitolato Realismo e idealismo leggiamo:
Ci sono effetti molto banali che sfuggono completamente alla pittura e che si possono tradurre solo con delle convenzioni: allo spirito che
si deve giungere, e per questo le convenzioni sono sufficienti. Bisogna
suscitare interesse, prima di tutto. Davanti al paesaggio naturale pi interessante chi potrebbe garantirci che solo quel che vediamo ci d piacere? La visione di un paesaggio ci piace non solo per le sue attrattive ma
per mille particolari che proiettano l'immaginazione al di l della stessa
visione. [ ...'] Anche il realista pi ostinato costretto a usare, nella rappresentazione della natura, certe convenzioni per la composizione o
l'esecuzione. [ ... ] Anche davanti alla natura la nostra immaginazione
che crea il quadro: noi non vediamo n fili d'erba in un paesaggio n la
rugosit della pelle in un bel volto. L'occhio, con la sua felice incapacit
di percepire gli infiniti particolari, fa pervenire alla mente solo quello
che va percepito; quest'ultima fa ancora, a nostra insaputa, un lavoro ul~
teriore: non tiene conto di tutto quanto presenta l'occhio, ricollega quel~
lo che prova a precedenti impressioni, e la sua gioia dipende dal suo
umore. per questo che una stessa visione non produce lo stesso effetto
in momeuti diversi (Delacroix 1986, pp, 29-32),
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tuizione del mondo. Le loro modificazioni sono dunque date come mere sensazioni prima di ogni intuizione; sono i dati, dai quali soltanto, nell'intelletto, scaturisce l'intuizione conoscitiva. A questi appartiene in modo preminente l'impressione della luce sull' occhio e subito dopo il colore, come modificazione di
questa impressione. Luce e colore, dunque, sono l'affezione dell' occhio, sono
l'effetto stesso, che esiste anche senza essere riferito a una causa (Schopenhauer
2002, p. 36).
182 Nella sua Storia naturale dell'occhio, Simon Ings ha speso alcune pagine
sul problema del rapporto tra colore, pittura e visione. L'occhio - egli scrivenon la tavolozza di un pittore. L'occhio raccoglie e interpreta un miscuglio di
lunghezze d'onda (Ing, 2008, p. 228). E leggiamo pi avanti: TI celVello pu
operare con tutti i canali di informazione che l'occhio riesce a inviargli. Se la nostra percezione dei colori tanto flessibile, !'idea che il senso del colore nell'uomo sia cambiato in modo consistente durante la storia di cui abbiamo testimonianze scritte non sembrer pi una sciocchezza (Ibid., p. 256). In effetti, secondo la ricostruzione di Ings, la percezione dei colori nell'uomo non la capacit singola e coerente che pu sembrare, ma si tratta della conseguenza di un indicibile numero di incidenti genetici. l colori, i suoni, lo spazio e il tempo sono gli
elementi fondamentali e noi siamo Uloro nesso temporaneo (Ibid., p. 266).
18) Scrive Francastel: <<Lo spazio plastico, elaborato nei secoli X'V e XVI, ha
subito l'influenza di tutta una filosofia, si appoggiato sulla nuova scienza dei
numeri e sull' analisi degli aspetti naturali. Gli uomini d'allora hanno creduto che
esistesse un'armonia, non pi dei cerchi, ma delle sfere e che essa si esprimesse
in ragioni matematiche. Hanno colto un'identit tra la costituzione del cielo e la
struttura dello spazio plastico, di cui non hanno cessato di rettificare le coordinate, man mano che sviluppavano la formazione delle giovani generazioni e precisavano sistemi morali nel quadro di un' economia controllata da un piccolo
gruppo sociale detentore del grande segreto della cultura, come un tempo i monaci carolingi. Hanno creduto all'aspetto geometrico del mondo e della realt
permanente della Natura, offerta all'uomo come spettacolo o campo d'azione.
Dalla fine dell'Ottocento, incoraggiata dalla scienza che scopriva strutture pi
complesse dell'universo, la societ, ampliata e resa pi ardita dalla sua espansione, ha rinnovato la rappresentazione tradizionale dello spazio (Francastel2005,
pp. 126-7).
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disincantamento" e (( desacralizzazione" dell' arte a cui prima si accennava; e ci, a ben vedere, ancor prima che la "secolarizzazione"
giuridica, la "laicizzazione" politica e la ('razionalizzazione" economica, tecnica e scientifica avessero definitivamente sferrato 1'attacco
a quel poco di "sacro" (quel poco di aura) che l'opera artistica recava ancora con s.
di innovazioni scientifiche e tecniche del secolo "positivista" (si pensi, se non altro, ancora alla fotografia) 184, non potremmo ugualmente
comprendere l'Impressionismo quale reazione soggettivistica all"'oggertivismo" a quel tempo imperante. Di fronte alla produzione tecnica e alla riproduzione seriale, di fronte alla reificazione dello sguardo
e dell'opera, la pittura reagiva esasperando il piano della "soggettivit", della percezione soggertiva (Benjamin 1966; 1980). L'opera d'arte, in questa nuova condizione, registrava lo spirito di un nuovo
"soggettivismo", spinto ben oltre i limiti imposti dalla soggettivit
razionale (o dalla razionalit soggettiva); lo stesso che, poco pi tardi,
avrebbe aperto la strada a quelle esperienze interiori, cos dilatate e
alterate (come nell'Espressionismo), da accedere verso le forme del
pi irrazionale individualismo.
Procediamo comunque per gradi. TI percorso (audace ed incerto)
intrapreso dai pittori impressionisti, non ha dato, come suo esito, la
definitiva dissoluzione dello spazio prospettico tradizionale. La regi184 Si vedano, a tal proposito: Charles Baudelaire, Il pubblico moderno e la 10rografia, Salon del 1859, in Scritti sull'arte (Baudelaire 1992b); Pau! Valry, Discorso sulla fotografia del 1939 (Valery 2005); Walter Benjamin, Piccola storia
dellalotografia (1931), in Vopera d'arte nell'epoca della sua riproducibilit tecnica
(Benjamin 1966) e Pangi capitale del XIX secolo (1927-40) (Benjamin 1986); Roland Barthes, La camera ch,ara (Barthes 1980).
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strazione delle sensazioni luminose ha certo prodotto una reale influenza sul modo di rappresentazione dello spazio, ma - come ancora ricorda Pierre Francastel - la rappresentazione immediata degli
oggetti per mezzo del colore, riprende, per certi versi, un tema tramandato dalle generazioni precedenti (Francastel2005, p. 119). Detto altrimenti, il sistema della riproduzione combinata dello spazio e
delle qualit per mezzo del colore, se pur spalanca la porta ad una
nuova possibile realizzazione pittorica dello spazio (attraverso lo studio di relazioni inedite tra linea e colore), non riesce ancora completamente ad intaccare la "classicit" della visione 185. un capovolgimento della tecnica - scrive Francastel -, non della visione. L'Impressionismo offre un nuovo modo di figurazione dello spazio, non
un nuovo modo di visione: permette l'integrazione di nuovi elementi dello spazio sensibile, ma non rovescia il sistema figurativo n la
distanza psichica, condizione necessaria al formarsi di un nuovo linguaggio (Ibid., p. 120).
Attraverso la ricerca dei pittori impressionisti, gi riusciamo, co-
zione dello spazio attraverso il particolare caratteristico, rappresentazione che presuppone l'analisi scientifica e impregiudicata della
vita quotidiana (Ibid., p. 130).
Ba ragione, pertanto, Todorov quando ravvisa, sia pur nella cesura storica, una sottile continuit tra la pittura olandese del quotidiano della met del Seicento (sviluppata da artisti come Rembrant,
185 In effetti, gi Leonardo da Vinci scrisse molto sul modo in cui 1'occhio
coglie i dettagli dei colori, delle ombre e delle linee. Nel suo gi citato' Trattato
della pittura, ad esempio, un paragrafo (il 195) dedicato proprio alla Prospettiva de' colori. Leggiamone un passo: D'un medesimo colore posto in varie distanze ed uguali altezze, tale sar la proporzione del suo rischiaramento, quale
sar quella delle distanze che ciascuno di essi colori ha dall' occhio che li vede
(Leonardo da Vinci 1996, p. 79).
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Vermeer, Ter Borch, HaIs, Steen, Metsu, De Hooch) e gli impressionisti francesi. Ma qui, nella seconda met dell'Ottocento, gi si
evidenzia un elemento di rottura che vale la pena sottolineare:
La nuova rivoluzione - scrive Todorov - non concerne pi il genere
o la condotta interpretativa, n lo stile, ma riguarda lo statuto stesso
dell'immagine. In una parola: la pittura, pur permanendo figurativa, cessa di essere una rappresentazione, per non essere altro che una presentazione, una presenza: Manet e Degas, gli impressionisti, i postimpressionisti, rimangono figurativi; continuano a dipingere esseri, oggetti e luoghi, senza accontentarsi di sovrapporre, come faranno in seguito i pittori
astrattisti, segni e colori. Tuttavia, essi sottraggono le loro immagini allo
statuto rapptesentativo: lo spettatore non pi tentato di fare domande
sulla psicologia dei personaggi o sulle azioni svolte o da svolgere. L .. ]
L'immagine non cessa di essere una figura, ma si trova privata di una
delle sue dimensioni, quella che consentiva il nostro viaggio all'interno
del mondo rappresentato. Ormai, bisogna considerare l'immagine come
tale: una pura presenza che non ci invita pi ad andare altrove (Todo-
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189 Scriveva Foucault: Mi sembra infatti che Manet abbia reso possibile non
solo l'impressionismo, ma tutta la pittura successiva, tutta la pittura del XX secolo, la pittura al cui interno ancora oggi si sviluppa l'arte contemporanea. Questa rottura profonda, o questa rottura in profondit che Manet ha operato,
senza dubbio pi difficilmente situabile rispetto all'insieme delle modificazioni
che hanno reso possibile l'impressionismo (Foucault 2005, p. 20).
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formano stagliandosi le une sulle altre (Zola 1993, pp. 189). E poco prima,
riflettendo sul modo di vedere di Manet (che parte di solito da una nota pi
chiara di quella esistente in natura) diceva: Tutta la personalit dell'artista
consiste nel modo in cui strutturato il suo occhio: vede biondo e vede per mas-
se (Ibid., p. 16).
191 In verit, secondo Roger Bissire (mi riferisco al suo scritto Note su Ingres
pubblicato a Parigi su "L'Esprit Noveau", I, n. 4, gennaio 1921), stato forse
Ingres dI primo artista moderno e l'unico della sua generazione a intuire che il
quadro un mondo a s, una costruzione plastica che ha le sue leggi e la sua vita
e non dipende dall'imitazione. E cos continua: (<Per realizzare questa costruzione non si affida all'empirismo: vuole sapere dove va, mantenere sempre iI
controllo delle emozioni e, dopo aver analizzato la sensazione e averne scomposto gli elementi, li organizza senza passionalit sotto lo sguardo freddo della ragione. Giunge cos ad avvertire l'urgente necessit di una dottrina, capendo bene che senza dottrina non si pu dare a un quadro un valore spirituale (Bissire
2005, p. 64). A suo modo, come prima ricordato, Andr Lhote riconduceva invece a David la nascita di una pittura "fine a se stessa", capace di mostrare i suoi
elementi al di l della mera rappresentazione naturalistica (Lhote 2005, p. 51).
Per tornare, invece, a Manet, gi Bataille, come ricordava lvIichel Leiris nel
1966, aveva detto: con lui iniziata una pittura che non testimonia la grandezza
di Dio, n quella di una chiesa o di un monarca - una pittura che si vota unicamente a se stessa (Leiris 2001, p. 116).
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192 Continua Foucault: In linea di principio, tutto quel che ritrova davanti
allo specchio deve essere riprodotto all'interno dello specchio, e dunque tutti gli
elementi devono essere riflessi. In realt, se provaste a contare le bottiglie qui
davanti e quelle riflesse nello specchio, vedreste che non vi corrispondenza,
poich di fatto vi una distorsione tra quel che rappresentato nello specchio e
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dove fosse situato il pittore per dipingere il quadro come l'ha dipinto, e
dove dovremmo situarci noi per vedere uno spettacolo come quello
(Ibid, p. 71).
TI quadro, dunque, in questa messa in scena di Manet, non realizza pi uno spazio normativa la cui rappresentazione assegna allo
spettatore un unico punto da cui guardare. Si moltiplicano gli sguardi in rapporto ad uno spazio davanti al quale ci si pu spostare.
Manet - conclude Faucault - non ha certo inventato la pittura non
rappresentativa poich tutto in Manet rappresentativo, ma ha fatto
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ad essere una guida valida e certa fondata su un'idea (e su un'immagine) dello spazio razionale e geometrico.
Ed proprio questa la difficolt che ha dovuto affrontare !'Impressionismo di fine Ottocento. La pittura rimane "figurativa") im~
pegnata a tener fede al visibile, volta alla rappresentazione del reale
nei suoi molteplici "effetti"; ma si incrina il rapporto privilegiato che
l'immagine, per circa cinque secoli, aveva mantenuto con la perce~
zione e la raffigurazione del mondo 196. Gli impressionisti non vogliono altro che la "rappresentazione", ma le regole che ne sostengono la possibilit sono cambiate: cambiano i punti di vista e la costruzione del quadro prospettico; si perde la centralit del soggettoindividuo. Detto altrimenti, se ognuno reclama per s una verit soggettiva, una propria soggettivit dello sguardo, la funzione della soggettivit universale, come aggettivazione (e misura oggettiva) di un
unico punto di vista riconosciuto razionalmente al soggetto nei confronti del mondo, decade; si relativizza il soggetto e cade la sua fondata certezza di essere il solo garante, per tutti, di un'unica e giusta
razionale visione.
Tuttavia, almeno fino a Czanne, ognuno pu ancora riconoscere
ci che si d nella rappresentazione. La figura pu ancora parlare del
mondo visibile. Si vede artraverso la simultaneit di pi sguardi, attraverso la compenetrazione di diverse angolature prospettiche, ma
ancora, comunque, si vede e ci si riconosce nel visto. Manet, si gi
196 Cos, per altri versi, Tzvetan Todorov ricostruisce questo passaggio: Costatiamo, infine, che l'evoluzione dell'arte realista porta a un indebolimento della dimensione simbolica, a un'aspirazione alla denotazione priva di connotazione. La messa in questione della cornice di pensiero unico, legata alle rivoluzioni
del XVllI secolo, vi contribuisce senza alcun dubbio; in assenza di una simile
cornice, le allusioni contenute nei dipinti rischiano di rimanere indecifrabili. La
scelta particolannente chiara negli impressionisti, i quali dichiarano di attenersi alla sola rappresentazione del visibile. Non sar un caso se i titoli delle loro
opere includeranno spesso la parola "effetto": "effetto neve", "effetto nebbia".
Anche quando si dipinge un oggetto dotato di un immediato significato collettivo' come una locomotiva, simbolo del macchinismo moderno, Monet non si interessa ad altro che all"'effetto vapore". La reazione degli impressionisti nei confronti dei primi pittori simbolisti rivelatrice: essi non comprendono come si
possa auspicare la reintroduzione del significato, proprio perch il loro obiettivo
era quello di ridurlo al minimo. "Essi ci conducono verso l'incomprensibile",
esclama douard Manet nel vedere i quadri di Gustave Moreau, "noi invece vogliamo che tutto sia comprensibile". In altre parole, i simbolisti reintroducono
l'interpretazione, laddove non doveva esserci altro che la rappresentazione
(Todorov 2001, p. 223).
Lo spazio prospettico
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forme dell' arte. Scoptire le ombre proietrate dagli oggetri, l'usura del
corpo per il passaggio del tempo o la prospettiva che organizza lo spazio
a partire dal punto di vista di un osservatore significa fare parte dello
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stesso movimento che ssiste alla trasformazione degli Stati dalla teocrazia alla democrazia.
La pittura figurativa sempre l'elogio di quel che rappresenta (altrimenti non se ne interesserebbe); l'introduzione dell'individuo nel qua-
dro significa, pettanto, il suo elogio (Todorov 2001, pp. 223-4) '97
In effetti, il XIX secolo, epoca di posivismo e di sociologia (Auguste Comte scrive il suo Cours de Philosophie Positive tra il 1830 e il
1842), anche il secolo che registra, dietro l'impulso dei processi di
industrializzazione, l'affievolirsi dell' autosufficienza individuale. Le
societ (almeno in quei Paesi in cui era in atto uno sviluppo industriale, come Francia e Inghilterra) iniziano ad essere percepite come
un sistema di nessi funzionali, di rapporti di interdipendenza reciproca, ovvero, per usare un'espressione di Norbert Elias, come contes funzionali compos da individui interdipendenti (Elias 1990,
p. 75). Le relazioni sociali assumono un aspetto relavamente autonomo, sembrano in grado di autoregolarsi indipendentemente dal
governo e dai fini che gli individui danno al loro agire. I concet
d'azione finiscono per diventare sempre pi concetti di funzione. Lo
capiamo attraverso Durkheim: per mezzo della crescente differenziazione e specializzazione del lavoro e di tutte le attivit sociali, ogni
gruppo e ogni individuo, a causa della peculiarit della propria funzione, diventa funzionalmente dipendente da un numero sempre pi
elevato di altri gruppi o individui. Di conseguenza, facendosi sempre
pi estese, complesse e differenziate, le catene di interdipendenza
funzionale che legano "organicamente" gli individui tra loro (attraverso la loro reciproca dipendenza e subordinazione), diventano pi
opache, imprescrutabili e incontrollabili per ogni singolo e per ogni
gruppo isolatamente considerato. A tali condizioni, gli uomini che
197 Di seguito leggiamo: la categoria dell'individualit tutta intera che diventa un valore, non questa o quest'altra sua incarnazione. L'individuo merita di
esistere per se stesso, mostrandosi attraverso la pittura, poich vive ormai in un
mondo prettamente umano. Dio non altro che il risultato di una via personale
che conduce alla spiritualit, non la giustificazione di questo mondo. Per tale
motivo, il ritratto nel Rinascimento fiammingo partecipa alla nuova filosofia
umarusta, che afferma, da un lato, l'autonomia dell'io (il diritto del pittore di
fare del proprio quadro l'immagine di quel che vede) e, dall' altro, la finallt del
tu (la legittimit di rappresentare un uomo per quel che egli , non per quel che
significa o illustra)>> (Ibid., p. 224).
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per, la civilt ci che ha reso l'uomo quello che , distinguendolo dall'animale, L'uomo veramente tale solo nella misura in cui civilizzato
Occorreva, tuttavia, un ulteriore sforzo per dare una maggiore vi199 In tempi assai pi recenti, un film di :Michelangelo Antonioni, Blow-up
(1966), riflettendo, problematizzando e ribaltando il rapporto tra apparenza e
realt, verit e finzione, restituiva, in qualche modo, una configurazione estetica al problema della "visibilit", E lo faceva attraverso la fotografia (il fotografo che scopre un delitto sviluppando i negativi delle foto scattate in un
parco). La verit, il reale, si mostrava, si rendeva paradossalmente visibile
nell"'oggettivit" fotografica, oltre i limiti "soggettivi" dell'occhio, del punto
di vista "naturale" a cui affidiamo la capacit di vedere. La realt, detto altrimenti, si d in ci che noi riteniamo "finzione", oltre la "verit" di una ragione prospettica orientata alla soggettivit individuale, E quella realt visibile
nell'oggettivit impersonale dello scatto fotografico, in d che sfugge alla vigilanza dello sguardo cosciente, alla sua pretesa di esaurire il visibile nel campo
visivo dell' occhio,
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Lo spazio prospettico
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sonale.
D'altronde, possiamo pi adeguatamente comprendere questo
processo se consideriamo che nel XIX secolo - epoca che ha riorganizzato la vita sociale di alcuni paesi europei dietro l'impulso e la
forza dell'industrializzazione - anche i conflitti e le controversie sociali hanno subito una particolare spersonalizzazione. Lo ricorda bene ancora Norbert Elias: nel corso del secolo (specialmente verso la
fine e poi oltre) si ebbe fra gli uomini una crescente tendenza a condurre le proprie controversie sociali non tanto in nome di persone
determinate, quanto in nome di principi, ideali e sistemi di fede di
natura impersonale. Detto altrimenti, gli uomini vissuti a quel tempo
si iniziarono ad affrontare tra loro non pi in nome di qualche principe reggente e dei suoi generali, oppure in nome della loro religione, ma innanzitutto in nome di precisi principi e articoli di fede di
natura impersonale, come "conservatorismo" e "comunismo", "so-
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li conflitto tra i diversi valori (e sentiamo qui l'eco della trasvaluazione nierzschiana) disorienta la calcolabilit tipica della razionalit formale e disarticola il rapporto che la ragione intrattiene con la
verit; e disarticola anche il rapporto che la stessa ragione, sul piano
estetico, intrattiene con il "bello", con i valori plastici che definiscono l'idea della "bellezza" formale.
Da questo punto di vista, allora, nella visione di Weber, anche la
razionalit formale del diritto moderno non pu prescindere da considerazioni e criteri di carattere assiologico, non pu rinunciare ad
una sua relazione con fondamenti assoluti. Giacch la stessa razionalit, prevedendo ancora tra le proprie caratteristiche strutturali la
"positivit" (operante sulla base di norme generali e astratte), la
"formalit" (la possibilit di dedurre logicamente la norma giuridica
dai soli presupposti del sistema giuridico) e il "legalismo" (l'indifferenza rispetto ai valori che sottendono alle azioni giuridicamente
disciplinate), configura se stessa sul modello della razionalit strumentale di soggetti che agiscono razionalmente rispetto allo scopo. li
diritto adeguato alle esigenze del calcolo razionale pu solo aspirare
ad una sua autonoma (particolare, relativa) autofondazione metodologica. L'idea di "misura", che attraverso il controllo, la regolarit e
la precisione sosteneva le codificazioni ottocentesche nella loro capacit di ordinare i rapporti sociali in forme certe e inderogabili (secondo le "leggi" scientifiche della previsione e del calcolo), trova
ormai il suo fondamento reale soltanto nella "oggettivit" del metodo. Ormai spogliato di ogni connotazione di valore (svincolato da
ogni possibilit di deduzione univoca e ridotto a calcolabilit matematico-quantitativa dell' agire sul modello tecnicistico offerto dalla
scienza), il diritto razionale moderno, nel suo formalismo, pu affermarsi soltanto come pura effettualit di comportamenti sociali,
come costruzione idealtipica e, dunque, come singolare espressione
di una forma storica particolare (quella della civilt europea capitalistica). li suo carattere distintivo (quale tratto particolare di una ragione pi generale intesa come scienza dei mezzi) lo rivela, dunque,
come mero strumento, come mezzo la cui "verit", una volta ridotta
a puro elemento di calcolo, consiste nel funzionare rispetto a fini storicamente gi dati.
In altre parole, la razionalit formale di un diritto che non ha pi
bisogno di legirtimarsi attraverso fondamenti esterni, eterni e trascendentali, ma capace di autonoma e razionale auto giustificazione,
pu ormai solo rivendicare per s una propria specificit irriducibile
alle altre sfere di azione che compongono la pluralit della vita socia-
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le moderna. Proprio per questo, come prima si accennato, l'elaborazione e la valorizzazione di un formalismo giuridico razionale - nello
sviluppo sociale di contesti segnati dalla reciproca dipendenza funzionale ma, al contempo, decentrati e disarticolati secondo le diverse
prese di posizione rispetto ai valori - non riesce pi a impedire i conflitri conseguenti la pressione degli interessi materiali e delle forze
concrete.
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!arono ormai l'impossibilit gnoseologica, aprendo la stessa riflessione giuridica al conflitto, alla pluralit dei punti di vista e, dunque, al
relativismo prospettico, al "prospettivismo" (lo stesso che, sul piano
filosofico, incontrava l'indagine "genealogica" di Nietzsche)'01: ci
che gi - si detto - in pittura faceva Manet, quando nello spazio
della rappresentazione, al monocentrismo prospettico sostituiva la
simultaneit e la pluralit di punti focali e di sguardi spesso in contrasto tra loro, introducendo cos la possibilit di inserire nel quadro
la diversa posizione visuale che assume il vivente.
Per rimanere, comunque, sul piano del diritto, indicativa delle
profonde trasformazioni e della crisi maturata nella cultura del secondo Ottocento (che si conclude, in parte, con la reazione al positivismo giuridico formalistico), proprio l'evoluzione di quella parte
della dottrina giuridica (pi sensibile al mutamento sociale) che dal
201 Renato Treves, nella sua Sod%gia del diritto, rimandava il tema del prospettivismo alla concezione espressa da Ortega y Gasset ne El tema de nuestro
tiempo. Come dice Ortega y Gasset - si legge -, la realt, per la sua propria natura "pu essere vista soltanto da una determinata prospettiva e la prospettiva, a
sua volta, costituisce un elemento essenziale della realt". Cos, col prospettivismo, egli osserva, crolla l'erronea credenza per cui la realt avrebbe "una fisionomia propria indipendente dal punto di vista da cui la si considera" e quindi
anche la credenza per cui "ogni visione della realt da un punto di vista determinato sarebbe falsa non coincidendo col suo aspetto assoluto". E a questa credenza si sostituisce la convinzione opposta che la realt si compone, per sua intima natura, "di infinite prospettive tutte ugualmente vere ed autentiche" e che
"la sola prospettiva falsa quella che pretende di essere l'unica vera" (Treves
1993, p. 333). Sempre Treves ricollegava tale concezione al ~<relativismo di Kelsen, ricordando come il giurista, respingendo le pretese di assolutezza delle dottrine del diritto naturale, auspicava la fondazione di una sociologia dell'idea di
giustizia sulla base di una concezione sostanzialmente relativista. Una sociologia
che, secondo 1'autore, dovrebbe svolgere le proprie indagini "sulle idee che determinano effettivamente o, da un punto di vista morale, dovrebbero determinare la formazione delle nonne che chiamiamo giuridiche", dovrebbe individuare
"la funzione sociale di certe idee che esistono nella mente degli uomini e che
operano come causa dei loro comportamenti" e dovrebbe considerare infine
criticamente lo sviluppo della civilt e specialmente "le ideologie che accompagnano il corso della civilt" (Ibid., p. 333-4). Conclude Treves: Non si pu
dimenticare che il relativismo che sta alla base di questa sociologia dell'idea di
giustizia ha un significato sostanzialmente politico. In un saggio assai noto Kelsen ha sostenuto infatti la tesi dell'indissolubile collegamento dei principi politici della democrazia con i princip del relativismo filosofico e la contrapposizione
di questi principi a quelli dell' autoritarismo politico da lui combattuto collegati,
a loro volta, con i principi dell' assolutismo filosofico e metafisico da lui pure
combattuti (Ibid., p. 334).
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loro che ne furono i promotori nel campo giuridico agirono del tutto
indipendentemente dai movimenti culturali contemporanei) (Ibid., p.
196). Lo spirito che animava tale movimento, affondava le sue radici, intensificando il rifiuto del dogma legalistico, in una concezione del
diritto (visto come prodotto dell'opinione giuridica dei membri della
societ, delle sentenze dei giudici e della scienza giuridica, e comunque come risultato della concretezza storica e della realt sociale nei
suoi multiformi e mutevoli aspetti) quale espressione indipendente
dalla legge statale (e anzi, suo fondamento). Non pu, quindi, stupire
che proprio tale indirizzo abbia dato impulso ad una dottrina giuridica
non <<1Iletafisica, ma piuttosto storica e sociologica.
203 Nella premessa al testo, firmata a Parigi, il giorno di Natale del 1912,
cos scriveva Ehrlich: Si afferma spesso che un libro dovrebbe essere tale che il
suo significato possa riassumersi in una sola frase. Se si dovesse sottoporre il
presente lavoro ad una simile prova, la frase suonerebbe all'incirca cos1: "Anche
nel tempo presente, come in ogni altra epoca, il centro di gravit dello sviluppo
del diritto non si trova nella legislazione, n nella scienza giuridica, n nella giurisprudenza, ma nella societ stessa" (Ehrlich 1976, p. 3).
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Per capire il significato profondo di questa prospettiva "antiformalista" di indagine che, passando per Ferdinad T6nnies, tornava ad
alcuni elementi sia del ragionamento hegeliano che, soprattutto, del
pensiero sociologico francese, basta citare alcune riflessioni di Ehrlich
sull'idea dell'intero diritto come diritto dei gruppi sociali; un'idea
che risente delle forti pressioni sociali del tempo e che, nei suoi diversi rinvii culturali, propone una critica dell'individualismo moderno e, pi nel profondo, di ogni rappresentazione legata a modelli individualistici astratti. Scrive Ehrlich:
Non vi alcun diritto individuale, ma tutto il diritto diritto sociale. La realt non conosce l'uomo come individuo isolato e completamente staccato dal contesto sociale e, del resto, un essere siffatto sarebbe
estraneo anche al diritto. TI diritto considera l'uomo sempre e solo quale
membro di uno degli innumerevoli gruppi nei quali la vita lo ha posto.
Questi gruppi, nella misura in cui hanno un'impronta giuridica, sono
ordinati e regolati dal diritto e dalle altre norme sociali: sono le nonne
che assegnano a ciascun individuo la sua posizione di sovraordinazione o
Non l'individuo ma il "gruppo" acquista ora il carattere di "soggetto" (etico, giuridico, politico): viene riconosciuto in quanto "soggetto" e gli viene assegnata una "soggettivit" trascendente i termini
della mera individualit. Tale posizione - si gi ricordato - trover
significative assonanze, in Francia, nel pensiero "istituzionalista" di
Hauriou 204, che negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, opponendo alla formale maest della norma la concreta spinta dei gruppi, riporter l'attenzione dei giuristi sul conflitto tra individuo e
stato-societ e sulle fonti sociali del diritto, espressioni di relazioni
societarie consolidate in veri e propri ordinamenti giuridici (Hauriou
1967) 20'.
In realt, gi Leon Duguit, in Francia, muovendo dall'idea che il
diritto sorge immediatamente, con propria forza, dalla societ, imponendosi allo Stato, aveva orientato i suoi studi (ricollegandosi in
parte alla sociologia di Comte e Durkheim) verso posizioni "realiste", ovvero, aveva cercato di sottrarsi a tutto ci che categoria
204 Ulteriori risonanze "istituzionaliste" di tali posizioni, sia pur indipendenti
da queste, le ritroviamo anche nella sociologia giuridica di Gurvich, incentrata,
appunto, sul concetto di fatto normativo.
205 Sulla linea che da Ehrlich conduce ad Hauriou si rimanda alla Sodologia
del diritto di Alberto Febbrajo (2009, pp. 43-8).
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scientifica, nozione, per attingere direttamente all' azione dell' esperienza (o all'esperienza in quanto azione), al reale, al dato, alla vita del
diritto in quanto tale (oltre, ad esempio, le stesse categorie di personalit giuridica e diritto soggettivo) 206. Di qui il compito attribuito al giurista: ritrovare le leggi veramente giuste della solidariet umana, spesso
in contrasto con quelle dello Stato, arbitrarie e artificiose.
Detto altrimenti, queste stesse esigenze, come ha visto Giuseppe
Capograssi nel 193 7, corrispondevano alla cosiddetta sociologia del
diritto, questo tentativo di cogliere il diritto che si realizza nella vita
sociale, di staccarsi dalla norma, di vedere quello che la realt dei
rapporti giuridici nei quali gli uomini vivono; esigenze, dunque, che
rimandano alla volont di attingere all' attivit originale e reale della
vita prima che intervenga la determinazione scientifica (come nel
tentativo crociano di ridurre la filosofia del diritto in filosofia dell' economia), di vedere la realt prima della stretta a cui la scienza la
sottopone (Capograssi 1962, pp. 43-4).
Tuttavia, ai fini del nostro discorso, non serve ripercorrere le vicende teoriche dell' antiformalismo giuridico per cogliere i segni di
quel passaggio epocale che la sociologia, a suo modo, aveva gi segnalato. ancor pi interessante, come si cercato di fare, indivi206 Scrive a tal proposito Guido Fass, evidenziando in tal modo il legame tra
la teoria del diritto di Deguit e la sociologia di Durkheim: ~<Contro il concettualismo dei giuspositivisti formalisti, il Duguit rifiuta i concetti della scienza giuridica che non corrispondono a fatti reali e concreti, concetti che egli considera
metafisici: sicch metafisica la scienza giuridica formalistica. Per scienza, il
Duguit intende positivisticamente soltanto la conoscenza che consti di ragionamenti sperimentali concernenti fatti. [ ... ] il concetto sul quale la critica del Deguit si appunta pi duramente quello di diritto soggettivo, che egli ritiene fondato sul presupposto metafisico dell'individualismo illuministico per il quale
l'individuo di per se stesso il centro di diritti. Alla nozione di soggettivo il Deguit vuole che si sostituisca quella di "situazione giuridica soggettiva", che connette le facolt attribuite all'individuo alla loro funzione sociale. [ ... ] Eliminato
questo elemento "metafisico", la sola realt giuridica rimane il diritto oggettivo:
tipica posizione naturalistica e oggettivistica, che rischia di annullare ogni autonomia ed ogni garanzia di libert dell'individuo. Senonch con diritto oggettivo,
o "regola di diritto (rgole de droit)", il Deguit non intende il diritto dello Stato,
ma la regola, espressa dalla societ, che impone a ciascun individuo, in quanto
membro del corpo sociale, di realizzare la soHdariet con gli altri: "fatto fondamentale di ogni societ umana", che consiste nella "coincidenza permanente dei
fini individuali e sociali. A questa regola gli individui che esercitano il potere
sono sottoposti non diversamente dagli altri cittadini; la legge positiva infatti
non crea il diritto oggettivo, ma soltanto lo constata: esso le preesiste nella societ (Fass 2011, pp. 208-9).
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(La psicologiCI delle folle di Le Bon del 1895), e di Pasquale Rossi (L'anno della/olia del 1909) e di Scipio Sighele (La/ol/a delinquente del 1891) in Italia.
TI tema della folla, tuttavia, trova gi una sua considerazione estetica in Edgar
Allan Poe (il racconto L'uomo della /01/0 del 1840) e in Chades Baudelaire (il
testo L'artista, uomo di mondo, uomo delle folle e fanciullo, compreso nell' opera
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Nel 1930 usciva La ribellione delle masse di Jos Ortega Y Gasset, "cronista" di acuta sensibilit storica che gi nel 1925 aveva pubblicato La disumanizzazione dell'arte (Ortega Y Gasset 2005). TI libro
metteva il punto sulle vicende sociali che avevano onnai realizzato, a
quel tempo, le condizioni storiche per la definizione di una nuova
soggettivit. Dopo illiberalismo individualista, fioritura del Settecento, il XIX secolo aveva affenuato, come sua caratteristica creazione,
il collettivismo. Ma solo adesso, nel primo ventennio del XX secolo,
il processo culturale che attestava, nella vita pubblica europea,
l'avvento delle masse al pieno potere sociale, era giunto, in piena
visibilit, al suo compimento finale, registrando una nuova forma di
omogeneit (e una nuova configurazione politica: l' <<l'perdemocrazia).
E Ortega, appunto, scriveva:
La moltitudine, improvvisamente, si fatta visibile, si installata
nei luoghi migliori della societ. Prima, se esisteva, passava inavvertita,
occupava il fondo dello scenario sociale; ora avanzata nelle prime li~
nee, essa stessa il personaggio principale. Ormai non ci sono pi protagonisti: c' soltanto un coro.
TI concetto di moltitudine quantitativo e visivo. Traduciamolo, senza alterarlo, nella terminologia sociologica. Scopriamo cos l'idea della
massa sociale (Ortega Y Gasset 2001, p. 49) 208.
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W10
to, ormai percepito come statico e negativo; si tratta anche di individuare, in questa dialettica, uno sviluppo di forze costruttive ed
espressive tendenti a nuovi equilibri pi semplici ed elementari (si
pensi, ad esempio, a Manet che contro l'''incomprensibilit'' dei pittori simbolisti reclamava un'esigenza di "comprensibilit").
Detto altrimenti, entro ci che ci appare il pi assoluto" disordine", vi l'opera di un impulso a regolare le cose, a ridurre le tensioni
vitali (creative e dissipative al medesimo tempo) a elementi essenziali
(sia che si tratti dei valori plastici della pittura, sia che si tratti delle
strutture organizzative del sociale); vi l'opera di una tensione verso
nuovi stadi ordinati in grado di dare nuova forma e figurazione concreta al reale (che non mai pura assenza di forme), capaci di restituire una rappresentazione visiva del molteplice (sia pur oltre l'idea
della mera organizzazione geometrica), di offrire una regolarit all'esperienza, sia anche nell' abbandono della "forma definita" verso
l'accettazione del suo dissolvimento (anche radicalmente "informale", poich all'assenza di forma -l'''informalit'' - corrisponde sempre un"'informazione"; il dar forma, l'esigenza di struttura).
Per rimanere in ambito sociologico, forniamo un esempio sul piano
dell' arte. Dietro gli stimoli delle teorie darwiniane, che presentavano
il progresso del regno animale dalla forma organica pi semplice a
quella pi elaborata (teorie che interpretavano, dunque, lo sviluppo
biologico del mondo della vita dal semplice al complesso - visione
evoluzionista ora leggibile come l'opposto di ci che il Secondo
Principio della Termodinamica, in fisica, ha descritto come destino
dell'universo: la degradazione dell'energia -l, gli scritti di Herbert
Spencer in Inghilterra o di Auguste Comte in Francia, con le dovute
differenze, proponevano un'idea di differenziazione sociale come
processo evolutivo dall'omogeneo all'eterogeneo. Si attribuiva, perdei sistemi organizzati in generale, o di quelli creati dall'uomo in particolare. La
pura regolarit conduce ad un crescente impoverimento, ed infine al livello
strutturale pi basso possibile, che non pu pi chiaramente distinguersi dal
caos, cio dall'assenza di ordine. Occorre una contropartita, un principio rispetto al quale la regolarit sia secondaria. Esso deve offrirei ci che va ordinato. Ho
descritto tale contropartita come creazione anabolica di un tema strutturale, la
quale precisa "a che miri la faccenda", sia essa un cristallo o un sistema solare,
una societ o una macchina, una concezione ideale o un' opera d'arte. Soggetto
alla tendenza verso la struttura pi semplice, l'oggetto, o l'evento, o l'istituzione
assume una forma ordinata e funzionante (Arnheim 1989, pp. 68-9).
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le 210.
In una lettera del 13 settembre 1903 indirizzata a Charles Camom) cos Czanne scriveva:
Couture diceva ai suoi allievi: Frequentate buone compagnie, cio:
Andate al Louvre. Ma dopo aver ammirato i grandi maestri che n riposano, bisogna affrettarsi a uscire e vivificare in s, a contatto con la natura,
gli istinti e le sensazioni artistiche che abbiamo in noi (Czanne 1985,
p.128)"'.
210 Non a caso, Maurice Denis, in un passo del suo Teorie 1890-1910. Dal
simbolismo e da Gauguin verso un nuovo ordine classico, pubblicato a Parigi nel
256
Dietro la frammentazione della visione tradizionale dell' arte, dietro le istanze di liberazione dagli schemi e dalle forme costruite dalla
visione rinascimentale, si intuisce una tensione verso 1'esigenza di ordinare il reale in un modo pi "naturale" e concreto 212; a margine del
"disordine" immesso entro 1'''ordine'' della convenzionale rappresentazione prospettica, si afferma l'incondizionata fiducia nel processo "ordinatore" di una prassi pittorica pi aderente alla comprenil pittore si allontani dalla vera vita - lo studio concreto della natura - per perdersi troppo in speculazioni astratte. TI Louvre un buon libro da consultare,
ma dev' essere solo una meditazione. Lo studio reale e prodigioso da intraprendere la variet del quadro della natura (Czanne 1985, pp, 131-2), E in
un'altra lettera sempre spedita a Bernard nel 1905 si legge: TI Louvre il libro
su cui impariamo a leggere. Non dobbiamo per accontentarci di apprendere le
belle formule dei nostri illustri predecessori. Usciamo a studiare la bella natura,
cerchiamo di liberare lo spirito e di esprimerci secondo il nostro temperamento
personale. DeI resto, il tempo e la riflessione modificano a poco a poco la visione, e infine giunge la comprensione (Ibid., p. 139).
212 Merleau-Ponty ha colto assai bene il problema di Czanne: Poich le cose e il mio corpo - cos scrive - sono fatti della medesima stoffa, bisogna che la
visione si faccia in qualche modo in esse, o, ancora, che la visibilit manifesta
delle cose si accompagni in lui ad una visibilit segreta: "la natura all'interno",
dice Czanne. Qualit, luce, colore, profondit, che sono laggi davanti a noi,
sono l soltanto perch risvegliano un'eco nel nostro corpo, perch esso li accol-
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organizzazione visiva, accede ad un nuovo stato ordinato pi semplice, pi basilare, "naturale", "dementare" e concreto (pensato come
superamento del primo), in grado di offrire una visione pi complessa e diversificata del reale (o una visione di una realt pi complessa
e diversificata). Nel "disordine" teso verso una struttura rappresentativa (comprensiva e organizzativa) pi semplice, la visione spaziale
finisce progressivamente per assumere, paradossalmente, una nuova
forma ordinata.
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trasti di colore 214, sulle sfere e sulla rotazione 215, sui tratti spezzati e
le linee interrotte. Attraverso le "composizioni" di Gauguin, si potuto cogliere un nuovo modo di "triangolazione" dello spazio sulla
superficie della tela. Ancora con Czanne, infine, si capita la possibilit di rappresentare i corpi per piani o per volumi. E proprio
Czanne, in una lettera a Emile Bernard del 15 aprile 1904, cos
scnveva:
Trattare la natura secondo il cilindro, la sfera, il cono, il tutto posto
in prospettiva, in modo che ogni lato di un oggetto o di un piano si diriga verso un punto centrale. Le linee parallele all'orizzonte danno l'estensione, cio una sensazione della natura, o, se preferite, dello spettacolo
che il Pater 'Omnipotens Aeterne Deus dispiega davanti ai nostri occhi.
Le linee perpendicolari a questo orizzonte danno la profondit. Ora, per
noi uomini, la natura pi in profondit che in superficie, di qui la necessit di introdurre nelle nostre vibrazioni di luce~ rappresentate dai
214 Per dare un'idea della potenza espressiva del colore che attraversa la pit~
tura di van Gogh, mi affido alle parole, altrettanto evocative, che Aantonin Ar~
taud, nel 1947, un anno prima di morire, dedic proprio a colui che non solo
attacc un certo conformismo di costumi, ma anche il conformismo stesso
delle istituzioni; cos che anche la natura esterna, con i suoi climi, le maree e le
tempeste equinoziali, non pot pi, dopo il passaggio di van Gogh in terra,
mantenere la stessa gravitazione (Artaud 2006, pp. 14-5). Non pi il mondo
dell'astrale, ma quello della creazione diretta - continua Artaud - ad essere ri~
preso cos al di l della coscienza e del cervello (Ibid., p. 34). E cos ancora leg~
giamo: Perch van Gogh stato il pi veramente pittore fra i pittori, l'unico
che non abbia voluto superare la pittura come mezzo rigoroso della sua opera, e
mbito rigoroso dei suoi mezzi. E l'unico, d'altra parte, assolutamente l'unico,
che abbia assolutamente superato la pittura, l'atto inerte di rappresentare la na~
tura, per far sgorgare, in questa rappresentazione esclusiva della natura, una forza rotatoria, un elemento strappato in pieno cuore. Sotto la rappresentazione, ha
fatto scaturire un' aria, e ha racchiuso in essa un nerbo, che non sono nella natura, che sono di una natura e di un'aria pi vere dell'aria e del nerbo della natura
vera. [. .. ] Vedo, nell' ora in cui scrivo queste righe, il volto rosso insanguinato
del pittore venire verso di me, in una muraglia di girasoli sventrati, in un formi~
dabile avvampare di faville giacinto opaco e di pascoli lapislazzuli. Tutto questo,
in mezzo a un bombardamento quasi meteorico di atomi che apparissero sgrana~
ti ad uno ad uno, a provare che van Gogh ha pensato le sue tele come un pittore, certo, e unicamente come un pittore, il quale fosse, per questo fatto stesso, un
formidabile musicista (Ibtd., pp. 46-7).
m la forza rotatoria:>:> di cui parlava Artaud (sopra citato). Ma rimando
anche alle indagini "fenomenologiche" di Gaston Bachelard, specialmente
quando incontrano la frase di Van Gogh: <<La vita probabilmente rotonda
(Bachelard 1975, p. 253).
Lo spazio prospettico
259
rossi e dai gialli, una quantit sufficiente di azzurri, per far sentire la presenza dell'aria" (Czanne 1985, pp. 130-1) '''o
E Czanne, che verso la fine della sua vita si rivolgeva alle mirabili opere che ci ha trasmesso il passato per trovare conforto, sostegno, come una tavola di legno per un nuotatore (Ibid., p. 136) m
rimaneva, in qualche modo, ancora legato alla precedente tradizione
pittorica (e, in parte, all'uso della prospettiva): "Secondo me - scriveva in una lettera del 23 gennaio 1905 indirizzata a Roger Marx non ci si sostituisce al passato, si aggiunge soltanto un nuovo anello
alla catena (Ibid., p. 138).
Tuttavia, a partire da questa esperienza, nelle intersezioni che attraverso i lavori di Seurat (pioniere del "puntinismo" francese), di
Van Gogh, Gauguin e, appunto, Czanne (e che ancora, in parte, rimandano alla lezione Impressionista), incontriamo, soprattutto, ver216 Ancora in una lettera a Emile Bernard, del 25 luglio 1904, Czanne scriveva: Per fare progressi non c' che la natura, l'occhio si educa nel rapporto
con lei. Si fa concentrico a forza di guardare e di lavorare. Voglio dire che in
un'arancia, in una mela, in una palla, in una testa, c' un punto culminante; e
questo punto sempre - malgrado il terribile effetto di luce ed ombra, sensazioni di colore - il pi vicino al nostro occhio; i bordi degli oggetti fuggono verso
un centro posto St nostro orizzonte. Con un minimo di temperamento si pu
essere veri pittori. Si possono fare delle cose buone senza avere un gran senso
dell'annonia n del colore. Basta avere il sentimento dell'arte - quel sentimento
che certamente fa inorridire i borghesi (Czanne 1985, pp. 133-4). E lo stesso
pittore che affermava (lettera a Charles Comoin, 22 febbraio 1903) che <<tutto ,
in arte specialmente, teoria sviluppata e applicata a contatto con la natura
(Ibid., p. 127), in un'altra lettera, indirizzata questa volta ancora a Bernard, del
23 dicembre 1904, ribadiva: Nel nostro organo visivo si produce una sensazione ottica, che ci fa classificare come luce, semitono o quarto di tono i piani rappresentati dalle sensazioni di colore. (La luce dunque non esiste per il pittore.)
Cosi, per forza, si va dal nero al bianco, e poich la prima di queste astrazioni
come un punto d'appoggio sia per l'occhio che per il cervello, annaspiamo, senza riuscire a imporci e a dominarci (Ibid., p. 136). E in una lettera del 23 ottobre 1905 (indirizzata sempre a Bernard) leggiamo: Per me, vecchio di quasi
sessant'anni, le sensazioni di colore che generano la luce sono causa di astrazioni
che mi impediscono di comporre la tela e di raggiungere il limite degli oggetti
quando i punti di contatto sono tenui, delicati; per questo accade che l'immagine o il quadro siano incompleti. D'altra parte i piani cadono l'uno sull'altro, e
da qui deriva il neoimpressionismo, che circoscrive i contorni con un segno nero, errore che si deve combattere con tutte le forze. Ora la consultazione della
natura ci d i mezzi per raggiungere questo scopo. E, in calce, aggiungeva:
<<L'ottica, se la sviluppiamo con lo studio, ci aiuta a vedere (Ibid., p. 140).
217 :Mi riferisco alla lettera dei 23 dicembre 1904 indirizzata a Emile Bernard.
260
l'una la solidit dell' altra. Dal punto di vista di una di esse, le altre sono
irreali: soltanto un equilibrio delicato tra le innumerevoli forze che si in~
contrano ad angoli innumerevoli pu fornire una parvenza di unit. Forse questo l'unico ordine possibile all'uomo moderno nei suoi rapporti
sociali e nel confronto con le facolt contraddittorie della sua mente
2005, p. 161).
Lo spazio prospettico
261
219 Pi avanti nel testo leggiamo: Gli ultimi quadri di Czanne e i suoi acquarelli si riallacciano al cubismo, ma Courbet il padre dei nuovi pittori e Andr Derain, del quale parler un giorno, fu il maggiore dei suoi prediletti, poich
lo troviamo all' origine del movimento dei Fauves, che una sorta di preludio al
cubismo, e anche all' origine di questo gran movimento soggettivo (Apollinaire
2003, p. 26). Carlo Carr, in un Chiarimento allibro di Apollinaire pubblicato
nell'edizione italiana del 1945, scriveva: Riconosceremo subito che tutti i movimenti succedutisi dopo l'impressionismo, anche quelli che riportarono l'arte
alle violenze dell'istinto e al subcosciente, valsero a farla progredire. Dal credo
antimpressionista carico di esotismo di Gauguin al movimento fauve (Matisse,
VIaminck, Derain, Dufy, ecc.) molte situazioni si sono chiarite. In tale modo,
senza entrare nelle dispute provocate con l'avvento del cubismo, possiamo anche riconoscere che le nuove generazioni cercarono di risentire il bisogno di una
norma costante di misura e di coordinazione in un ordine pittorico dell' apporto
realt e intelletto la cui lezione era anticipata da Paul Czanne. Qui risiede forse
l'intimo valore che ricongiunge teoricamente il cubismo alla tradizione classica.
Sfaccettando le forme come cristalli, rompendo i piani in contrasti geometrici,
unendo osservazione e pensiero, Czanne aveva dato le prime basi al nuovo movimento di ricostruzione. Ma come venne fuori lo strano aggettivo "cubista" applicato alla pittura? Per specificare le cose diremo che nel 1908 Braque mand
al Salon d'Automme alcuni quadri, e Matisse che faceva parte della giuria ebbe a
dire che erano fatti con dei "petits cubes". Questa comparazione venne ripetuta
in un articolo di Louis Vauxcelles nel "Gil Blas" del 14 novembre dello stesso
anno, e precisamente con le seguenti parole: "il mprise les formes, rduit tout,
site set figure set maisons, cles schmas gometriques, cles cubes". Verso il
1919-10 al movimento iniziato da Braque e da Picasso si unirono Gleizes,
Metzinger, Le Fauconnier, e Lger. La prima manifestazione di questo nuovo
gruppo si ebbe al Salon cl'Automne nel 1911. Molte altre esposizioni seguirono
262
Lo spazio prospettico
263
considera quel processo di "intellettualizzazione" dell'atto compositivo (a discapito dell'elemento intuitivo) che tanto ha contribuito allo
sviluppo di una linea" analitica" dell' arte contemporanea.
In effetti, l'opzione per un'immagine idealista del mondo attraversa la storia evolutiva del cubismo (dalla sua fase "analitica" a
quella "sintetica"), Una storia segnata da un processo di "astrazione"
264
conseguenza di una logica ideale che si afferma con "chiarezza" metodologica. Pittura "pura", dunque, per vocazione "astratta" (sia pur
nella permanenza della figurazione): in linea con ci che pi tardi,
nel 1934, potr vedersi, con il filtro della riflessione giuridica (in polemica sia con l'''ideologia'' giusnaturalista, sia con l'''empirismo''
giuspositivista), nei Lineamenti di dottrina pura del diritto di Kelsen,
e, ancor prima (1895), attraverso il pensiero sociologico, con Le regole del metodo sociologico di Durkheim, dove appunto si dichiara l'esi-
genza di una sociologia (di uno studio dei "rapporti sociali" indipendenti dalle stesse individualit particolari) in quanto scienza distinta e autonoma (Durkheim 1996, p. 132). Ed proprio a Durkheim che dobbiamo adesso tornare, per comprendere, pi nel profondo, la costruzione dell'ordine spaziale nell'estetica cubista, specialgli sta intorno, e d che gli sta intorno entra nella forma chiusa e ormai spezzata (Hofmann 2003, p. 185). Tuttavia, sempre secondo Hofrnann, nella sua fase
analitica il cubismo dimostra una posizione ancora incerta sia nei confronti
dell'oggetto che del quadro. nel cubismo sintetico, invece, che le cose diventano nuovamente leggibili; anche dove si presentano frammentate o sorprendenti nella configurazione, appartengono - continua Hofmann - a un ordine formale superiore. L'andamento dei contorni pi calmo e pi continuo che
nella fase analitica, sono ammessi arrotondamenti, si schiarisce la scala cromatica, si indebolisce la durezza del cloisonn, la frantumazione cede a una struttura
di superfici trasparenti, ordinate con chiarezza. TI risultato un' "architettura
piatta e colorata" (Gris) che abbraccia ogni zona del dipinto. TI cubismo sinteti~
co rende esplicito ci che la fase analitica dice con un cifrario geroglifico, o che
comunica sotto forma di un manifesto ermetico. Si tratta di una vittoria su due
fronti: da una parte, implica la chiarificazione e la semplificazione dell' ordine
formale, dall' altra l'arricchimento poetico della dimensione contenutistica del
quadro (Ibid., p. 186).
Lo spazio prospettico
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266
Lo spazio prospettico
267
In questo risiede l'attuale rivoluzione: la pittura contemporanea, scrive Lger nel 1952, rifiuta il soggetto e compone senza tener conto delle proporzioni naturali (Ibid., p. 161). I Fauves, i Cubisti, i Surreahsti non hanno fatto altro che sviluppare e accentuare
la hberazione iniziata dagh Impressionisti: nel 1860, o addirittura
loro posizione o l'uso che se ne fa. [ ... ] TI fatto che gli artisti hanno scoperto
nuovi oggetti in rapporto con il movimento generale della civilt. Riappare qui
la nozione di distanza psidrica che presiede ad ogni determinazione di un linguaggio, plastico e non. In tutte le civilt la scoperta degli oggetti consente al
soggetto di prendere coscienza delle sue possibilit di azione e d'intelligenza di
fronte al mondo esterno, non soltanto perch permette di descriverli, ma anche
di situarli e utilizzarli come termine di paragone con gli altri individui dopo che
si riusciti, con la parola, il gesto o l'immagine, a rivestirli di una defInizione
sempre e necessariamente arbitraria (Francastel2005, pp. 171-2).
224 Scrive ancora Lger in un testo del 1949: Pi o meno nella stessa epoca
[si riferisce all'Esposizione del 1925 e all' architettura], la pittura moderna era,
anch'essa, in continua evoluzione. Si era liberata del soggetto, ma anche dell'oggetto, e un recrudescente periodo astratto aveva visto la luce. Evasione totale
- che realizz la liberazione del colore - "quello era l'evento". Prima di quella
data, un colore era ancora in rapporto con il cielo, un albero, un oggetto d'uso.
Ora era libero, un blu e un rosso avevano valore in loro stessi, si poteva disporne (Lger 2005, p. 138).
268
nel 1850, questi grandi artisti hanno voluto vedere negli oggetti solo
dei rapporti di colore. Per Renoir, per Czanne una mela verde su
una tovaglia rossa non erano altro che un rapporto cromatico fra un
verde e un rosso. La cosa pu apparire insignificante, ma questo piccolo fatto stato l'inizio di una rivoluzione pittorica (Ibzd.). La liberazione ormai intervenuta, consente allora al pittore contemporaneo di realizzare una nuova concezione visiva: rapporti di volumi,
di linee e di colori, liberati dalle passate esigenze mimetiche, rappresentano ora il nuovo stato visivo imposto dall' evoluzione dei nuovi
mezzi di produzione.
Se l'espressione pittorica cambiata - scrive Lger nel 1914 -,
perch la vita moderna l'ha reso necessario. L'esistenza delle personalit
creative moderne molto pi intensa e pi complicata che nei secoli
precedenti. L'elemento immaginario resta meno stabile, 1'oggetto in se
stesso si espone meno che in precedenza. evidente che un paesaggio,
attraversato e rotto da un'automobile o da un rapido, perde in valore
descrittivo, ma guadagna in valore sintetico; la portiera del vagone o il
parabrezza dell' automobile, uniti alla velocit acquisita, hanno cambiato
l'aspetto abituale delle cose. L'uomo moderno registra un numero di
impressioni cento volte superiore a quello registrato da un artista del
XVIII secolo; a tal punto che il nostro linguaggio, ad esempio, pieno
di diminutivi e abbreviazioni. La condensazione del quadro moderno, la
sua variet, la sua frantumazione delle forme il risultato di tutto questo. evidente che l'evoluzione dei mezzi di locomozione e la loro velocit hanno un qualche rilievo nel nuovo immaginario visuale. Molti superficiali gridano all' anarchia di fronte a questi quadri, perch non possono seguire nel campo pittorico l'evoluzione della vita ordinaria che vi
risulta in qualche modo fissata; pensano a una brusca discontinuit
quando, invece, la pittura non mai stata cos realista e aderente ai suoi
tempi come oggi. Comincia infatti ad apparire una pittura realista nel
senso pi elevato del termine e non sar un fenomeno momentaneo.
una nuova dimensione che si fa strada per rispondere a un nuovo
stato di cose. Sono innumerevoli gli esempi di rottura e di cambiamento
sopraggiunti nel nostro modo di registrare visivamente le cose (Ibid.,
p.21).
Lo spazio prospettico
269
"pittore per architetti" e intimo amico di Le Corbusier, dedica all'architettura 225. Quel muro che noi, sia detto per inciso, abbiamo visto
riapparire, nella sua nudit, dietro i tagli di Fontana - "concetti spaziali" realizzati sul finire degli anni Cinquanta 226 - diventa lo "schermo" su cui proiettare 1'estetica del nuovo "uomo-massa". La pittura)
il colore, sconfina nei luoghi abitati dalle masse popolari, invade
l'ambiente vitale, esce fuori dai termini, dai margini che gli imponeva
ancora l'angusto perimetro del quadro 227; del quadro in quanto spazio <Jimitato dalla cornice (la "finestra-cornice") 228) la stessa cornice - da Kant definita, nella Critica del giudizio (1790) come parerga, fregio, ornamento, che non appartiene <<intimamente, come parte
costituriva, alla rappresentazione totale dell' oggetto, ma soltanto
come accessorio esteriore, aumentando il piacere del gusto (Kant
1991, p. 56) - su cui meditava, in quegli anni (1916-24) Ortega Y
Gasset, quasi fosse l'ultimo residuo di un'aura capace di condensare
e indirizzare lo sguardo sul quadro, introducendolo nel suo recinto
225 In un suo scritto still'urbanistica, Le Corbusier cos ricordava: <<Le arti figurative (pittura e scultura) avevano proceduto tra il secolo XIX e il XX ad una
revisione dei loro modi espressivi, dappertutto imbastariditisi. T re generazioni
furono impegnate in questo compito: successivamente, quelle degli impressionisti, deifauves, dei cubisti (si noti, per inciso, che i tre aggettivi dati a questi sforzi - dai loro avversari - furono coniati con intento spregiativo). Solo dopo la
guerra del 1914-18 avvenne un vero contatto tra queste invenzioni figurative e la
generazione degli architetti muniti delle nuove tecniche; il cemento armato, il
ferro, il vetro trovarono allora il fondamento della loro estetica (Le Corbusier
2001, pp. 28-9). In un altro scritto del 1924 ("L'Esprit Nouveau" in architettura)
sempre Le Corbusier, auspicando un "ritorno all' ordine", cos affermava: L'uomo ha imparato a misurare lo spazio attraverso coordinate disposte su tre assi
ottagonali. E questa propensione all' ordine talmente innata in lui che non dovrebbe esserci nemmeno bisogno di parlame. Non dobbiamo dimenticare, in
ogni caso, che usciamo da un periodo -la fine dell'Ottocento - di reazione contro l'ordine, di paura nei confronti della violenta spinta all'ordine operata dalla
macchina. Di qui la reazione, terribile: il rifiuto dell' ordine. Organizzare una
nuova vita basandosi su un principio di ordine un' acquisizione che risale solo a
pochi annifa" (Le Corbusier 2005, p. 85).
216 Lo stesso Lucio Fontana, nel 1947 elabora il "Primo manifesto dello Spazialismo" e nel 1949 realizza i primi "ambienti spaziali".
227 Gi la pittura pura, quale essa si sforza di essere sul cammino del neoimpressionismo - scriveva Florenskij nel 1924 -, annulla il contorno, o perlomeno
ne elimina l'attivit (Florenskij 1995, p. 75).
228 Sul tema della cornice si vedano anche gli studi del 1978 di Jacques Derrida dedicari alparergon (Derrida 2005, pp. 55-81).
270
229
Nelle sue Meditazioni sulla cornice, raccolte nel testo Lo Spettatore (1916~
Lo spazio prospettico
271
272
derno. [ ... ]
Bisogna dunque realizzare una sorta di alleanza a tre: il muro l'architetto - il pittore. L .. ] Vepoca della specializzazione vi condanna.
Bisogna manterrere il contatto cl' associazione fra noi tre: il muro, voi e
me (Ibid., pp. 100-5).
L'Impressionismo - ma pi degli altri Czanne - ha rotto la linea: adesso si accentua la liherazione del colore e della forma geometriea. Nello scritto Il nuovo realismo continua, del 1936, Lger insiste sul punto: l nostri gusti, le nostre tradizioni si rifanno agli artisti primitivi e popolari antecedenti il Rinascimento. AI Rinascimento si deve l'individualismo in pittura: non ritengo sia proficuo guardare - afferma Lger - in quella direzione, se desideriamo rinnovare
e realizzare l'arte murale collettiva popolare attuale. E subito dopo
continua:
Liberiamo le masse popolari, diamo loro una possibilit di pensare,
di vedere, di coltivarsi, e, ne siamo convinti, potranno a loro volta godere in modo pieno e consapevole delle novit plastiche che 1'arte moderna
offre loro.
TI popolo che quotidianamente crea oggetti industriali dai toni puri,
dalle forme finalizzate, dalle misure esatte, ne ha gi potuto discernere i
Lo spazio prospettico
273
231 Sempre nello stesso testo, Della pittura murale, Lger ricorda la <(Battaglia
del colore libero condotta, negli anni 1909-1912, insieme a Robert Delaunay
(Ibid., p. 151).
m Continua Lger: La trasformazione del muro attraverso il colore sar
uno dei problemi pi appassionanti dell'architettura attuale e futura. Ma prima
di intraprendere questa trasformazione murale, bisognava innanzitutto che il
colore fosse libero (Ibid., p. 127).
2J3 Sempre nello scritto L'arte e il popolo del 1946, Lger annota: << con Robert Delaunay che abbiamo condotto la battaglia, che abbiamo lavorato per liberare il colore. Prima di noi il verde era un albero, il blu il cielo, ecc. Dopo di
noi il colore diventato un oggetto in s; oggi si possono utilizzare un quadro
blu, un quadro rosso, un quadro verde ... Credo che questo rappresenti una
rivoluzione abbastanza importante, che si manifestata lentamente nella pubblicit e nell' arte delle vetrine, sicch si potrebbe dire che in questo modo abbiamo
un po' condizionato l'arte decorativa del nostro tempo (lbid., p. 136).
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Lo spazio prospettico
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di dare.
Creativamente parlando, mi pare che abbia raggiunto un punto morto,
Una prova della sua vitalit stata la sua utilizzazione in campo
commerciale e industriale. Da una decina cl' anni, si vedono uscire dalle
officine dei linoleum con impressi dei rettangoli colorati, imitazioni
23<1 Nel testo Nuove concezioni dello spazio del 1952, cos, infatti, afferma
Lger: Quando gli architetti ebbero finalmente liberato i muri da ogni vestigia
dello stile 1900, ci siamo trovati di fronte a muri bianchi. Un muro bianco perfetto per un pittore. Un muro bianco con un Mondrian ancora meglio. Verso il
1925 ho dipinto delle pitture astratte e sono convinto che quel genere di pittura
non possa trovare il suo sviluppo logico se non nella pittura murale: l'astrazione
una posizione estrema nella quale non si pu permanere perch non suscettibile di progressioni. Ma i muri non sono stati fatti solo per i pittori. Troppe
persone si sarebbero trovate spaesate, perse al cospetto di una trasformazione
cos radicale delle loro abitudini visive (Ibid., p. 148),
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Lo spazio prospettico
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Al di l
uno spazio ottico interiore e puro, si pone, invece, l' espressionismo astratto, o l' arte informale. Questa volta - ancora Deleuze
che scrive - l'abisso o il caos vengono dispiegati al massimo grado
(Ibid., p. 171). La geometria ottica si disgrega a vantaggio di una di-
n convesso: la linea
278
ro funzione: non pi trasformazione della forma, ma scomposizione delIa materia che ci mostra i suoi lineamenti e la sua granulosit. dunque
allo stesso tempo che la pittura diviene pittura-catastrofe e pitturadiagramma. In questo caso nell'imminente catastrofe, nella prossimit
assoluta, che l'uomo moderno trova il ritmo: evidente quanto la rispo-
sta alla domanda sulla "moderna" funzione della pittura sia diversa dalla
risposta che d 1'astrazione. Qui non pi la visione interiore a produrre
l'infinito, bens l'estensione di una potenza manuale al! Qver, da un capo
all'altro del quadro (Ibid., p. 172).
Attraverso l'arte informale, lo spazio <<tattile, manuale, abbandona ogni sovranit visiva, ogni residualit dello spazio ottico che l'astrazione ancora dispiegava. E abbandona anche, definitivamente, lo strumento tipico che dal Rinascimento in poi ha accompagnato la pittura tradizionale. Qui Deleuze ritorna su problemi che
sopra, con Lger, abbiamo gi in parte affrontato:
Una delle tendenze pi radicate della pittura moderna - cos scrive la tendenza a abbandonare il cavalletto. TI cavalletto era un elemento
decisivo non solo per il mantenimento di un'apparenza figurativa, non
solo nel rapporto del pittore con la Natura (la ricerca del motivo), ma
anche per la dellinitazione (cornice e bordi) e l'organizzazione interna
del quadro (profondit, prospettiva ... )>> (Ibid., p. 173).
235 Scrive Deleuze: Se si cercano precursori eli questa nuova via, e di questo
modo radicale di uscire dal figurativo, si potrebbe ritrovarli ogni volta che un
grande pittore antico ha rinunciato a dipingere le cose per "dipingere fra le co~
se". Anzi, gli ultimi acquarelli di Turner, non solo dominano gi tutte le forme
dell'impressionismo, ma anche la potenza di una linea esplosiva senza contorno,
che fa della pittura stessa una catastrofe senza pari (anzich illustrare romanticamente la catastrofe)>> (Deleuze 1981, pp. 171-2).
Lo spazio prospettico
279
Sembra proprio che Deleuze si disponga sulla stessa linea tracciata da Lger molti anni prima 236:
In un astrattismo come quello di Mondrian, il quadro cessa di essere un organismo o un'organizzazione isolata, per diventare divisione della propria superficie, divisione che dovr creare le sue relazioni con le
divisioni della "stanza" in cui trover posto: in questo senso che la pittura di Mondrian non affatto decorativa, bens architettonica, e abbandona il cavalletto per diventare pittura murale (Ibid., p. 174).
TI cavalletto (ed anche il pennello) traduceva ancora la subordinazione della mano alle esigenze di un' organizzazione ottica. Ora,
l'astrattismo di Mondrian dal cavalletto sconfina nella pittura murale. Ma soprattutto con Pollock, e in tutt'altro modo, che il cavalletto viene esplicitamente rifiutato: tracciando linee che vanno da un
bordo all' altro del quadro (che hanno inizio e proseguono fuori dal
quadro), ripristinando tutto un mondo di uguali possibilit, la pittura viene eseguita direttamente a terra. La mano si libera, servendosi ora di bastoni) spugne, stracci) siringhe: <<Action paz'nting) "danza
frenetica" del pittore intorno al quadro, o piuttosto nel quadro, che
non montato, in tensione sul cavalletto, ma inchiodato, disteso al
suolo (Ibid., p. 172). L'orizzonte ottico si interamente convertito
280
Deleuze, dunque, reinscrive il problema dello spazio proprio della pittura moderna entro la dicotomia (una dialettica?) ordine/caos:
una dicotomia (o un'endiadi) che attraversa tutto il novecento (sotto
le diverse opposizioni volont/rappresentazione, apollineo/dionisiaco, vita/forma, mutamento/struttura ecc.). I pittori si differenziano
tra loro per il modo in cui affrontano il caos non figurativo, "prefigurativo", e per il modo in cui escono da tale situazione; lo spazio,
nelle diverse tendenze sopra tracciate, non che l'esposizione risultante - almeno cos ci sembra - dallo sforzo di strappare l'insieme
pittorico - ora visivo e ottico (nell' astrattismo), ora tattile e manuale
(nell'arte informale) - al suo stato figurativo. E ci vengono in mente,
tra gli altri (oltre a Bacon, ovviamente), le combustioni e le tacerazioni
di Alberto Burri: lo spazio del quadro lacerato dalla fiamma ossidri238
ca
Lo spazio prospettico
281
Mark Rothko, la cui pittura stata ascritta ad una sorta di "espressionismo astratto", in un suo appunto del 1958 cos affermava: Fu
con estrema riluttanza che mi resi conto di come la figura non fosse
pi utile ai miei scopi. [ ... ] Venne un momento in cui nessuno di noi
riusciva pi a utilizzare la figura senza mutilarl.,> (Rothko 2002, p.
41). E in un altro scritto, sempre del 1958, diceva: Dipingo quadri
di grandi dimensioni perch desidero creare una situazione di intimit. Un quadro di grandi dimensioni provoca una transazione immediata che ingloba l'osservatore al suo interno (Ibid., pp. 42-3) "'Se, ad esempio, Mondrian voleva un'immagine capace di essere
colta con un solo sguardo, Rothko collocava se stesso, e lo spettatore, all'interno dell'immagine stessa, dentro - e non fuori - i confini
del quadro. Le fortile non hanno pi importanza, e i margini diventano l'orizzonte che ingloba lo sguardo. Si dentro il dipinto come
all'interno di un' opera teatrale>>: si entra a far parte del quadro
(Ibid., p. 37). Si potrebbe anche dire: lo spazio del quadro che
produce lo spettatore (e il pittore) e non il contrario. La vera esperienza pittorica nel quadro, al suo interno, e non a partire dal "fuori", dalla visione prospettica, dalla rappresentazione che pone il dipinto nella sua esteriorit 240; non vi pi figura perch non vi pi
margine dato allo sguardo, non vi pi contorno capace di "isolare".
Per certi versi, ci troviamo ancora sulla linea indicata a suo tempo da
Wassily Kandinskij, quando nei sui Sguardi sul passato, breve scritto
ultimato nel giugno 1913, evocando nello spettatore una ''flanerie''
dello sguardo capace di far dimenticare tanto i confini dello spazio
esteriore quanto i limiti intimi della coscienza individuale, cos ricordava:
282
Per anni e anni ho cercato di ottenere che gli spettatori passeggiassero nei miei quadri: volevo convincerli a dimenticarsi, a sparire addirittura n dentro. A volte ci sono riuscito, ne ho visto 1'effetto sui loro volti
(Kandinskij 2006, p. 27).
porlo.
In quello stesso momento una nuova scuola di architettura d'avan
guardia comincia a interessarsi al colore libero. I miei rapporti di amici
zia con un certo numero di quegli architetti mi permisero di pensare che
certi dispositivi astratti in colore puro, da me realizzati tra il 1921 e il
1925 (non avendo alcuna pretesa a quadri da cavalletto), potevano e do~
vevano entrare in gioco in un adattamento architettonico di superfici colorate.
I muri di colore (sia come accompagnamento decorativo, sia come
annullamento del muro) erano possibili. Penso che verso quella data si
li colore trasloca nello spazio murale, architettonico e pubblicitario: invade il pubblico, il sociale, diventa realt oggettiva. Tuttavia, il
suo primo nucleo di riflessione, di concettualizzazione, di sperimentazione ancora compiuto nel quadro, entro il suo orizzonte semantico. La Ville ne l'esempio, la cifra simbolica (Tavola 15). Diversi
frammenti della visione del mondo sensibile, entrano dinamicamente
Lo spazio prospettico
283
241 In un testo del 1923, A proposito dell' elemento meccanico, scriveva Lger:
Viviamo in un mondo geometn'co, innegabile e anche in una condizione frequentemente ricca di contrasti (Lger 2005, p. 42). E in altro testo dello stesso
anno, dal titolo L'estetica della macchina, l'ordine geometrico e il vero, scriveva:
Se mi pongo di fronte alla vita, con tutte le sue possibilit, amo anche ci che si
convenuto chiamare stato conflittuale, che altro non se non vita a rt"tmo accelerato. E subito dopo: La vita attuale corrisponde allo stato di conflitto
(Ibid., p. 57).
284
Lo spazio prospettico
285
<<L'oggetto ha sostituito il soggetto: la figura umaua, ormai impersonale, inespressiva, diventa oggetto, puro valore plastico. E
diventa anche elemento meccauico. In un saggio del 1923, L'estetica della macchina, l'oggetto industriale, l'artigiano e l'artista, Lger
pu affermare: <<L'oggetto macchina policromo costituisce un nuovo
inizio, una specie di rinascita dell'oggetto iniziale (Ibid., p. 46) 244. Tale "rinascita" reca con s il segno dell'impersonalit 245 .
286
stria port, iofatti, nel Corso del XIX secolo, alla ribalta della storia
la classe operaia (ancor prima che qnesta acquistasse una piena coscienza di s).
Si pu ben capire come qneste due circostanze abbiano snscitato
la necessit di dare un nuovo ordine e una nuova disciplina ai rapporti sociali e srimolato l'esigenza di elaborare, oltre l'immobilit del
legalismo generale, astratto e rigido del Codice civile, nuove regolamentazioni capaci di interpretare un mntamento che non poteva non
apparire epocale.
Segniamo ancora Grossi: la prima circostanza fa emergere nuovi
problemi: l'infortunio sul lavoro, da fragilit del soggetto umano a
fronte della enormit della macchina, il problema della sicurezza sul
luogo del lavoro (Ibid., pp. 189-90). La seconda rappresenta, per
nna molritudine di lavoratori sfruttati, l'occasione di comunicare tra
loro, di progettare lotte comuni, tanto che la grande impresa - ricorda ancora il giurista - pu considerarsi il luogo privilegiato per il
concreto avvio di un movimento rivendicativo del quarto "stato"
(Ibid., p. 190). Accanto ai movimenti socialisti (per loro essenza antiborghesi e, per ora - in questo particolare momento storico - con
scarsa incidenza sul piano del diritto 246, trovano spazio fermenti solidaristici in grado di promnovere rinnovamenti di qualche rilievo
nella trama dell' ordine giuridico. L'individualismo borghese accetta
nel suo seno tracce di solidariet verso la classe pi bisognosa di aiuti. Dunque, nulla pi che solidarismo (Ibid.).
Tutto ci, come si pu ben capire, non pot non produrre i suoi
effetti sul sistema delle fonti del diritto. Si comprese che l'ordinamento giuridico ordinato sulla fonte amni-valente del Codice - e
calibrato sul primato di un soggetto unico e astratto (l'individuo
borghese) - non poteva pi soddisfare le esigenze dei tempi 247. Sul
Si pensi, tra l'altro a Proudhon e al suo ideale di giustizia.
Scrive ancora Grossi: Vi fu chi url di essere pago del vecchio Codice, vi
fu chi cominci a disegnare un Codice privato sociale costruito sui fatti e su
creature carnali a differenza del museale Codice civile, e vi fu anche chi cominci a parlare della necessit di ricorrere a 'leggi speciali') leggi cio che non
smentissero l'ossatura codicistica ma la integrassero e la specificassero. Lo strumento della legge speciale non era nuovo, anche se ne era stato fatto uso parchissimo per non compromettere ed offuscare la centralit del Codice; ora, si
trattava di dargli un ruolo ulteriore, e cio di supplire alle deficienze della legge
madre modificando alcune sue disposizioni. La garanzia per lo Stato monoclasse riposava nell' essere questi vagheggiati provvedimenti pur sempre delle
leggi ben governate dalle mani del potere politico. I dibattiti parlamentari sono
246
24i
Lo spazio prospettz"co
287
288
Uno dei principali atti dei legislatori rivoluzionari francesi (ispirato al giusnaturalismo illuministico per sua essenza liberale) era stato,
appunto, la legge Le Chapelier del 1791, che aboliva ogni ostacolo alla
libert contrattuale fra datori di lavoro e lavoratori, lasciando quest'ultimi in bala delle vicende di un mercato del lavoro regolato soltanto
dalla legge della domanda e dell'offerta. Sul piano sociale, l'individuo
iniziava a pagare tutte le fragilit della sua vuota" astrattezza" .
Ora, verso la fine del secolo, sempre pi viva e visibile -l' abbiamo gi visto con la sociologia - l'emersione di un io collettivo, di
una nuova soggettivit irriducibile alla misura dell' astratto individuo.
Con la legge 21 marzo 1884 le associazioni professionali - anche
operaie - possono formarsi liberamente senza autorizzazioni amministrative, vi si pu liberamente aderire, ne viene riconosciuta la per-
Lo spazio prospettico
289
di mutue-assicurazioni (Grossi
290
Come al pittore, anche al giurista si impone, dnnque, la costruzione di un nuovo ordine spaziale: uno spazio intermedio (tra l'individuo e lo Stato: fatto di "corpi", di "corporazioni", di "associazio~
ni"), "esperenziale" (non a caso, pi tardi, anche in Italia, con Capo-
Lo spazio prospettico
291
Le sensazioni, i contatti, il "tattile" - e non solo l'''ottico'' o il "visivo" - arricchiscono l'esperienza pittorica dello spazio; e lo arricchisce anche lo scavo psicoanalitico. Le ricerche di Delaunay conducono ad una forma di astrattismo interiore, mentre le sperimentazioni
di Braque o di Miro approdano ad una "surrealt" psichica e oniri251
ca
Francaste! scrive nel 1951. Il processo di decostrnzione avanguardista ha ormai mostrato come l'esperienza delle nuove tecniche
della mente e de! corpo non coincida pi necessariamente con una
rappresentazione dello spazio basata sul soggettivismo razionale.
Nelle pitture di Gischia o di Pignon, per tornare ai suoi esempi, il
punto di vista unico totalmente eliminato e i personaggi sono collocati in mezzo allo spazio.
Se tutti i ponti col Rinascimento sono tagliati - cos scrive - perch i valori che interessano gli artisti - ritmo, velocit, deformazione,
plasticit, mutamenti, trasferta - coincidono ormai con le forme attuali
251 Joan Mir6, in realt, non mai stato veramente surrealista. Ha ragione
Argan quando, in un articolo pubblicato da "L'Espresso" nel 1978, afferma che
di fatto, il continente mentale che ha scoperto ed esplorato fino alla sorgente
del suo immenso fiume quello dell'immaginazione E poi aggiunge: il fiume che Marleau-Ponty ha chiamato Nonsenso, e non va confuso con !'inconscio. Ma leggiamo ancora: <<Lo spazio mentale di Mir appunto al di qua di
ogni nozione o pensiero del mondo, pre-cartesiano, n mai vi si pu accedere
col pensiero cosiddetto puro, ma solo con quel pensiero mescolato allo spazio e
al tempo dell' esistenza, alla fisicit della materia e alla gestualit del fare, che
l'arte. TI nonsenso non un universo di cose diverse dalle sensate, straordinarie
(come per Max Erost), ma il medesimo universo prima dell'insuffiazione dei significati, della separazione di oggettivo e soggettivo, dell'errore razionale del
creatore. Nell'ordine non razionale del nonsenso non questione di forma o
d'immagine, ma solo di segno. [ ... l il segno di Mir6, precedendo il senso delle
cose, precede la nozione di Dio. Non rappresentativo, simbolico, allegorico,
stravagante; qualcosa di vivente come un albero o un animale, ma senza il
biomorfismo riflesso di Arp. qualcosa di istantaneamente ma irrevocabilmente
compiuto. [ ... ] Mir6 non interpreta n confuta la creazione, la precede; e cos
riesce a isolare allo stato puro, non metaforico, un segno autosufficiente, che
non ha senso al di l della propria esistenza fenomenica ed ingenuamente incapace di ricevere o comunicare ogni significato (Argan 1981, pp. 172-3).
292
dell' attivit fisica e intellettuale e contrastano nettamente con le aspirazioni della societ del Rinascimento: stabilit, obbiettivit, permanenza.
I pittori del nostro tempo, con i cineasti e gli studiosi, stanno costruendo
un illusionismo nuovo, ma la nostra immaginazione non lo abita ancora.
I nostri gesti precedono la nostra facolt di rinnovare le interpretazioni
simboliche. sempre stato cos, l'uomo agisce prima eli pensare; non
appena possiede uno strumento, se ne serve. TI nuovo spazio uno spazio costruito pi in funzione del nostro comportamento che della nostra
riflessione. Pu darsi che il Rinascimento resti un'epoca a s proprio per
il fatto che, pi delle altre, stato guidato da una fede assoluta nel potere della ragione (Ibid., p. 184).
Verso la met del XX secolo, lo stato dell' arte pittorica - o almeno la pittura che si impone alla critica - fornisce ormai la prova che
si possono costruire sistemi arbitrari di visione totale. Una consapevolezza, comunque, gi maturata all'inizio del secolo, attraverso
l'attivit dei pittori avanguardisti e delle loro sperimentazioni. In
quello stesso clima, infatti, gi Pavel F10renskij (siamo nel 1919 in
Russia), denunciava l'arbitrariet della rappresentazione prospettica
del mondo rinascimentale e senza ricorrere direttamente all' analisi
delle esperienze avanguardiste, tornava, come si visto, all' ordine
pittorico delle icone sacre e alla prospettiva rovesciata, contrapponendo cos alla "falsa" idea di rappresentazione naturalistica, una
pi generale (e universale) concezione di espressione simbolica 252,
251 Scriveva Florenskij: Il fatto , in sostanza, che la rappresentazione di un
oggetto, non lo stesso oggetto in qualit eli rappresentazione, non una copia
delle cose, non il duplicato di un 'angolo' del mondo, ma indica l'originale
come suo simbolo. TI naturalismo, inteso come verosimiglianza esteriore, come
imitazione della realt, come fabbricazione di sosia delle cose, come fantasma
del mondo, non solo non necessario, secondo quel che dice Goethe a proposito del cagnolino amato e della sua rappresentazione, ma anche semplicemente
impossibile. La verosimiglianza prospettica, se veramente essa esiste, se in generale essa verosimiglianza, lo non per una affinit esteriore, ma nella misura
della trasgressione prospettica, cio del suo significato interno, nella misura in
cui simbolica. Del resto, di quale 'somiglianza' si pu parlare, per esempio, tra
il tavolo e la sua rappresentazione prospettica, quando i lati paralleli sono rappresentati con linee di fuga, gli angoli retti con acuti e ottusi, i segmenti e gli angoli uguali tra di loro sono raffigurati con grandezze non omogenee, mentre le
grandezze non omogenee sono rappresentate come eguali? La rappresentazione
, sempre, un simbolo, ogni rappresentazione, qualunque essa sia, prospettica e
non, e tutte le immagini delle arti figurative si distinguono l'una dall'altra non
perch alcune siano simboliche e altre, per cos dire, naturalisti che, ma perch,
essendo tutte parimenti non naturalistiche, sono simboli delle diverse facce di
Lo spazio prospettico
293
294
116).
295
Lo spazio prospettico
"Se ci si rende conto - scrive Werner Hofmann - che l'attivit artistica innanzitutto un produrre realt formah autonome, e non un
portare a compimento realt percettive gi date, abbiamo aperto
l'accesso all'insieme di possibilit formah del XX secolo (Hofmann
2003, p. 149).
Da quanto finora si detto, appare evidente che l'esperienza
"collettiva" dello spazio artistico si trasforma in rapporto alla nostra
comprensione del mondo. Dopo la svolta pittorica del XX secolo,
siamo entrati in un nuovo periodo dell' arte, che se da un lato sembra
definitivamente rompere, sul piano della raffigurazione spaziale, con
gli schemi pittorici tipici dell' epoca precedente, dall' altro presenta
alcuni elementi di continuit con le trasformazioni sociah e giuridiche che hanno attraversato la coscienza politica e artistica della seconda met del XIX secolo.
D'altro canto, le epoche storiche, specialmente per ci che riguarda l'espressione dell'arte, non seguono un andamento progressivo e lineare, e non sono racchiuse entro confini culturah ben definiti
cos come non sono disposte entro limiti temporah (segmenti di
tempo) delimitati e conchiusi in se stessi, autonomi e indipendenti
nella loro presunta astrazione. Ogni epoca artistica, nella misura in
cui afferma nel corso del tempo i sui tratti specifici e i suoi caratteri
tipici, si estende e contrae in oscillazioni simboliche e in slittamenti
semantici che eccedono la misura della sua contemporaneit e i margini della sua determinazione spaziale. Anzi, ci che pi definisce,
nella sua individualit e concretezza, lo "stile" di un' epoca, sono, pa-
tale nella precedente classicit greca e latina cos come nelle successive et del manierismo, del romanticismo, del reahsmo, del naturahsmo e anche, nelle avanguardie degli inizi del secolo XX. Ed cos,
allo stesso modo, che possiamo leggere il barocco attraverso l'impressionismo, l'arte medievale attraverso alcune espressioni pittoriche del Novecento, il "fantastico" e Bosh attraverso il surreahsmo.
Ogni epoca artistica, dunque, nella misura in cui ne cogliamo i
caratteri tipici, "risuona" e si "estende"
al
passato e
al
futuro; una
296
volta che si delinea ed emerge dal fluire del tempo come tratto culturale specifico (come, appunto, epoch, sospensione), la sua "immagine" si irradia raggiungendo diverse intensit. Dovremmo forse, in tal
senso, parlare di un processo storico di irradiazione molteplice, sferica e circolare, pi che di un corso lineare, evolutivo e progressivo
della storia. Se spesso, infatti, pensiamo a antecedenti storici, a precursori di un' epoca o ai suoi sviluppi successivi, soltanto perch
riconosciamo nei suoi tratti culturali specifici una capacit di irradiazione (sia antecedente che posteriore al contesto spaziale e temporale
della sua determinazione concreta) e di durata in momenri temporali
intimamene distanti tra loro. Come se la distanza tra spazio e tempo
venisse superata attraverso la visibilit (e questa la grande virt
dell'immagine - e dell'arte che ne sostiene la funzione) di connessioni essenziali tra momenti (epoche, stili, modi, maniere, percorsi) lontani e diversi tra loro.
In effetti, la storia dell' arte, dal nostro punto di vista, non che il
simultaneo sviluppo e il sussegnirsi intrecciato di diversi "punti di
irradiazione" di intensit differente; su questi orientiamo lo svolgimento del tempo storico. Giacch solo attraverso l'individuazione di
percorsi simbolici che assegnano un determinato valore alle diverse
traiettorie e connessione di raggi, risonanze e irradiazioni di eventi e
di forze che si impongono (e si espongono) alla nostra sensibilit temporale, percepiamo il senso di continuit della storia. Del resto, per
la coscienza storica non si hanno solo azioni, ma anche retroazioni e
Lo spazio prospettico
297
rapporto gnoseologico "soggetto-oggetto"), Anche su questo versante (e a partire da questa angolatura) possiamo registrare - sia detto
per inciso - un tratto specifico di quel momento epocale che alcuni
critici della modernit hanno ricondotto al passaggio dal "moderno"
al "post-moderno".
del mondo visibile, Nell'arte astratta, il quadro parla (ma non sappiamo
esattamente di che cosa). Nell'arte concettuale, si parla (ma non vi pi
Kaudinsky, Marcel Duchamp e Pierre Bonnard sono pressoch contemporauei, come lo sono Jackson Pollock, Andy Warhol e Andrei Wyeth,
Inoltre, certi pittori tra i pi popolari, come Pablo Picasso, hanno praticato successivamente, o addirittura simultaneamente, diverse forme d'arte. La caratteristica della pittura del XX secolo non risiede - malgrado
quel che hanno affermato i teorici di questa o quell'altra scuola d'avanguardia - nella sostituzione di una norma antica con una nuova, bens
nella coesistenza di molteplici norme, radicalmente diverse. Questo mo-
298
vimento va di pari passo con la presenza crescente, nel mondo occidentale, delle arti lontane, le quali esercitano, a loro volta, una forte influenza (stampe giapponesi, maschere africane, calligrafie cinesi), come anche
le arti del passato, rese prossime grazie al museo e alle riproduzioni. il
pluralismo, non il modernismo, che ha segnato il XX secolo. Ciononostante, la novit proviene dall' arte detta moderna ed , dunque, la sua
relazione con l'arte figurativa che dobbiamo indagare (Todorov 2001,
pp. 224-5).
Gi nel suo Wissenschaft als Beruf (1918) Max Weber, discutendo sui problemi della scienza, poneva una differenza tra il lavoro
scientifico e quello artistico 254. Secondo il sociologo, a differenza di
quanto avviene nel campo dell' esperienza scientifica, non si pu
propriamente parlare di progresso dell'arte ma solo di progresso delle tecniche artistiche. L'idea di progresso, che procede in linea con il
processo di ((razionalizzazione", "intellettualizzazione" e "dismcantamento del mondo", riguarda soltanto un agire tecnicamente orientato (entro i termini di una razionalit calcolante che dispone l'uso di
certi mezzi per la realizzazione di fini determinati) e non accede alla
questione, pi profonda, del "senso", di un "significato" che vada al
di l del fatto meramente pratico e tecnico. Dove arriva l'arte non
pu giungere la scienza; e, al contrario, ci che dimostra la scienza
non pu essere affatto spiegato dall' arte 25'. Sul piano ontologico, e
254 L'attivit scientifica - cos scriveva Weber - inserita nel corso del progresso. E viceversa nessun progresso - in questo senso - si attua nel campo
dell'arte. Non vero che un'opera d'arte di un'epoca in cui siano stati elaborati
nuovi mezzi tecnici o, per esempio, le leggi della prospettiva, si trovi per questa
ragione a un pi alto livello, sul piano puramente artistico, di un'opera d'arte
priva di ogni conoscenza di quei mezzi e di quelle leggi, purch questa non sia
formalmente o materialmente manchevole, purch cio essa abbia scelto e plasmato il proprio oggetto come era possibile fare a regola d'arte senza l'applicazione di quelle condizioni e di quei mezzi. Un'opera d'arte veramente "compiuta" non viene mai superata, non invecchia mai; l'individuo pu attribuirvi personalmente un significato di diverso valore; ma di un'opera realmente compiuta" in senso artistico nessuno potr mai dire che sia "superata" da un'altra pur
essa "compiuta". Viceversa, ognuno di noi sa che, nella scienza, il proprio lavoro
dopo dieci, venti, cinquanta anni invecchiato. questo il destino, o meglio,
questo il significato del lavoro scientifico, il quale, rispetto a tutti gli altri elementi della cultura di cui si pu dire la stessa cosa, ad esso assoggettato e affidato
in senso assolutamente specifico: ogni lavoro scientifico compiuto" comporta
nuovi problemi e vuole invecchiare ed essere "superato". A ci deve rassegnarsi
chiunque voglia servire la scienza (Weber 1948, pp. 17-18).
Per altri versi, e in un contesto ideologico e storico completamente diver25)
Lo spazio prospettico
299
300
257 In realt Alberto Savinio, come apprendiamo dal suo scritto Anadio~
mnon>>-. PrinciPi di valutazione del!' arte contemporanea, pubblicato in "Valori
Plastici", 1, n. 4-5, aprile-maggio 1919, si preoccupava di rivalutare lo spianamento di un nuovo classicismo (come appariva specialmente nelle pitture di
Giorgio De Chirico e Carlo Carr) nell' arte del suo tempo. Ogni inquietudine
- leggiamo - s'avvia fatalmente a una calma in cui quella sostanza stessa che
provoc l'urto inquietante si spiana e si distende in tutta la sua verit: il processo naturale che conduce dal barbarismo al classico (Savinio 2005, p. 41).
Lo spazio prospettico
301
* 'k
1985, p. 282).
302
In effetti, se andiam6 ad analizzare alcnne delle pi rilevanti tendenze (non tutte, ovviamente) dell' arte figurativa della prima met
del Novecento, non possiamo non registrare la perdita dell'nnit
spazio-temporale tipica della visione pittorica tradizionale (di derivazione rinascimentale). Lo sottolinea bene ancora Todorov:
Innanzitutto - leggiamo - scompare la rappresentazione individua~
le. il quadro non pi una finestra aperta sul mondo, atto a cogliere le
tracce di quel che vede 1'occhio; esso pu essere visto (almeno nella variante dell'arte "astratta"), ma esso stesso non vede pi (Todorov 2001,
p. 225) "".
Lo spazio prospettico
303
Del resto, ha ragione Jean Clair quando afferma: Quando Walter Benja-
304
min individua nella perdita dell'aureola "l'antitesi decisiva dei temi dello Jugendstil" pensa a Baudelaire, ma ancora pi facile pensare a Klimt e all' arte del
suo tempo: nella pittura simbolista il ricorso alla foglia d'oro, al fondo dorato, si
oppone alla perdita dell'aura dell'opera confrontata alla riproducibilit tecnica
per far ricorso alla potenza aggregatrice di un materiale che, alle origini della
pittura, nel Duecento, nel Trecento, era stato impiegato in polittici e breviari
miniati (lean Clair 2008, p. 92).
26} Nel suo testo del 1988, Jean Clair ha messo in relazione il Ritratto di Adele Bloch-Bauer di Klimt e Les Demoiselles d'Avignon di Picasso, entrambi dipinti
nel 1907. Cos leggiamo all'inizio del libro: Durante il 1907, a Vienna, Gustav
Klimt finiva il pi bello dei suoi ritratti a fondo oro, senza dubbio uno dei pi
bei quadri che l'arte occidentale abbia prodotto. Il Ritratto di Adele BlochBauer. Lo stesso anno, all'altra estremit delI'Europa, in quel cuore del continente che era Parigi, un altro pittore destinato a diventare famoso, Picasso, decideva di lasciare definitivamente incompiuta la grande tela a cui aveva lavorato
per lunghi mesi, e che sarebbe stata pi tardi conosciuta come Les Demoisel!es
d'Avignon. A Vienna, lusso, calma e volutt; a Parigi, orrore, bruttezza e disarmonia. L'intelligenza prova una certa difficolt a cogliere la contemporaneit di
fenomeni che sembrano avere avuto luogo su pianeti diversi, non appartenere
alla stessa storia. Eppure, se si osasse l'avventura ... cosa pu significare la nascita, nello stesso anno, di queste due opere, oggi considerate, in virt del distacco
del tempo, di pari importanza e ugualmente ammirate? Cosa ha prodotto il mutare, in quel preciso momento, di quel che si suole definire il corso delIa storia?:
(lbid., p. 11). Queste due apre, dunque, secondo Jean Clalr, ognuna a suo modo, hanno posto in evidenza il conflitto tra norma e devianza, ordine e avventura. Nel quadro di Picasso, <<l'opera d'arte non assolve pi la funzione di oggetto
rappresentativo: divenuta oggetto sostitutivo. Essa agisce su di noi non pi
grazie alla sua somiglianza con il reale, ma in virt dell'aura magica e rituale dei
suoi elementi costitutivi (Ibid., p. 52). Nel lavoro di Klimt, che porta al culmine
l'estetica della Sezession, a parte il viso e le mani, tutto il quadro trattato come una decorazione priva di profondit. Lo sguardo dello spettatore catturato
dallo scintillio degli sfondi d'oro e d'argento, sedotto dall'intreccio degli arabeschi, e soprattutto affascinato dal motivo degli occhi sparsi su tutto il vestito della donna - motivo anch'esso incorniciato, ripreso, sottolineato e come enfatizzato dal simbolo sessuale delIa mandorla spaccata in due inscritta in un quadrato
(Ibtd., p. 78). Tuttavia, nel 1907 - conclude Clair - in entrambe le opere si pu
constatare il radicale cambiamento nelIa visione avvenuto in quell'anno, la frattura tra occhio e sguardo e il mutamento delI'atto del dipingere che porteranno
l'arte lungo le strade improbabili e dolorose -la diatriba tra Ordine e Avventura
deplorata da Apollinaire - che ancora chiamiamo "modernit" (Ibid., p. 102).
Lo spazio prospettico
305
sione pittorica dei primi anni del XIX secolo: scompare il punto di vista attraverso il quale l'artista osservava il mondo e non vi pi necessit di parlare di prospettiva. Che sia il "bizantino" o il "primitivo" 264,
nell' ordine figurativo o nel disordine dissolutivo del principio classico
di rappresentazione formale, la pittura ormai si incammina (tra vari
momenti di decostruzione, astrazione o "ritorno all'ordine") 265 verso
altre idee dello spazio, nel consapevole e rimarcato divorzio tra sguardo e realt, tra oggetto e rappresentazione. La pittura non rappresenta
pi il mondo nella sua individualit, ed proprio in questo senso che
l'arte del XX secolo si riavvicina, per certi versi, a quella del Medioevo
e, per altri, a quella di una et "primitiva" 266.
264 In un testo pubblicato in "Valori Plastici", I, n. 11-12 del novembredicembre 1919 (Il ritorno al mestiere), Giorgio De Chirico rifletteva sui pittori
ricercatori che tornavano prudentemente verso un' arte meno ingombra di
trucchi, verso forme pi concrete e chiare, a superfici che possano testimoniare
senza troppi equivoci quello che uno sa e quello che pu fare (De Chirico
2005, p. 42). E commentava: I pittori ritornati non possono rivalersi della scusa
dell' artefice primitivo: dell' elleno raschiatore di Xoana o del pittore trecentista.
TI caso dei pentiti di oggi alquanto tragico, ma in tanta confusione puerile mostrano pur un che di comico che suscita, sott'i baffi dell' osservatore, il senso
dell'ironia. [...] Eppure bisogna incominciare! Allora, piano piano, a tastoni si
ritenta il primitivismo; si fanno teste, mani, piedi, tronchi, che pur non appartenendo al regno del cubismo, n a quello del futurismo, del secessionismo o del
fauvismo, s'irrigidiscano in isbagli e deficienze pudicamente velati da contorcimenti stilistici (Ibid., p. 43).
265 In realt, il Ritorno all' ordine un movimento artistico del XX secolo che
conosce la sua stagione fondamentale tra il 1919 e il 1925, ma che affonda le sue
radici nei primi anni Dieci del secolo. Diffuso in tutta Europa, coinvolge diversi
artisti, tra cui Picasso, Braque, Deram, Matisse, tviir, Dall, Schad, Schrimpf,
Card, De Chirico, Savinio, Campigli, Severini, Martini, Sironi. TI suo linguaggio
muove da un presupposto comune: il richiamo all' antico e a una nozione classica
di spazio e di tempo, forma e disegno, mestiere e soggetto. All' originalit si preferisce l'onginariet, l'andare all'origine (Savinio), e alla libert espressiva, si preferisce il mestt'ere, la tecnica (De Chirico). TI termine, come ha sottolineato Elena
Pontiggia, nasce nell'ambito del tardo cubismo, movimento artistico che, al contrario, ad esempio, del futurismo, riproponeva ordine e forma nel mondo disordinato delle sensazioni impressioniste (Pontiggia 2005, pp. 123-185).
266 A tal riguardo esemplare l'esperienza pittorica di Gauguin. Per lui, come ricorda Werner Hofmann, l'errore cominciava addirittura con i greci, con il
naturalismo di Pericle. La cura poteva venire solo dall' arte primitiva. Bisognava,
dunque, tornare indietro, prima dei cavalli del Partenone, fino al semplice cavallo di legno. Tuttavia Gauguin non era un antitradizionalista. Voleva soltanto
liberare il concetto di "arte" dalla ristrettezza e dall'autocompiacimento naturalistico classicista del gusto europeo, dischiudendogli gli spazi dell'arte mondiale:
306
Prendiamo, ad esempio Kandinsky e la sua rinnovata tensione pittorica - non rappresentativa "7 - verso lo spirituale (che, da un punto di vista teorico, lo avvicina quasi all'intuizionismo bergsoniamo e
alle suggestioni mistiche del neoromanticismo) '68. TI recupero del
sentimento nell' atto creativo, 1'esigenza di un efficace contatto con
l'anima, cos come teorizzati in un suo testo del 1909 , dischiudono
alla riflessione sull' arte non solo i mondi prossimi della necessit
interiore, ma anche quelli pi "esotici" di una spiritualit "primitiva" vissuta quale possibilit dell'attuale esperienza artistica. Nell'introduzione del suo Lo spirituale nell'arte (1909) non a caso leggiamo:
C' per, necessariamente, un'altra somiglianza tra le forme artistiche. La somiglianza delle aspirazioni interiori e degli ideali (che un tem-
Persia, Egitto, India, Giappone, i mari del Sud. Da questa angolazione rifletteva
sull' arte europea. E ci che pi lo colpiva, nell' arte, erano le forme intatte, ritrose, fragili dei primitivi, in cui il contenuto formale ancora copriva quello oggettivo. Ed anche per questo preferiva le pitture parietali di Giotto alla opere di Michelangelo (Hofmann 2003, pp. 117 -8).
267 In uno scritto del 1936 dedicato all'opera di Kandinsky (suo zio), Alexandre Kojve cos scriveva: <<Per secoli l'umanit non ha saputo produrre altro che
quadri "rappresentativi". Ed soltanto nel XX secolo in Europa che stato dipinto il primo quadro oggettivo e concreto, vale a dire il primo quadro "nonrappresentativo". L'Arte della pittura "non-rappresentativa" l'arte di incarnare
in e mediante un disegno, un disegno colorato, una pittura disegnata o una pittura propriamente detta un bello pittorico che non stato, non e non sar incarnato in nessun altro posto: in nessun oggetto reale che non sia il quadro stesso, vale a dire in nessun oggetto reale non-artistico. Quest' arte pu essere chiamata () l'arte di Kandinskij, poich Kandinskij stato il primo a dipingere (dipinge quadri) oggettivi e concreti (dal 1910)>> (Kojve 2004, p. 38).
268 Leggiamo, ad esempio, un passo del suo Lo spirituale nell'arte del 1909:
Questa inevitabile relazione fra colore e forma ci fa notare gli effetti della forma
sul colore. La forma, anche se completamente astratta e assomiglia a una figura
geometrica, ha un suono interiore: un essere spirituale che ha le qualit di
quella figura. Ogni triangolo (sia acuto, rettangolo o equilatero) ha un suo profumo spirituale. Paragonato ad altre forme questo profumo si differenzia, acquista delle sfumature, ma rimane fondamentalmente immutabile, come il profumo
della rosa, che non si pu confondere con quello della mammola. Lo stesso accade per il cerchio, il quadrato e tutte le altre forme. Allo stesso modo il rosso,
citato prima, ha una sostanza soggettiva in un involucro oggettivo (Kandinsky
1995, p. 48). E poco pi avanti: La forma, in senso stretto, il confine tra una
superficie e un' altra. Questa la sua definizione esteriore. Siccome per tutto
ci che esteriore racchiude necessariamente in s un'interiorit (pi o meno
palese), ogniforma ha un contenuto interiore. Laforma dunque l'espressione del
contenuto interiore (Ibid., p. 49).
Lo spazio prospettico
307
fra i climi culturali di due epoche pu portare alla ripresa di forme che
erano gi state utilizzate in passato per esprimere le stesse tensioni. nata cos, per certi aspetti, la nostra simpatia e la nostra capacit di comprensione per i primitivi, che sentiamo cos vicini. Come noi, questi artisti puri miravano all' essenziale e rinunciavano ai particolari esteriori
(Kandinsky 1995, p. 17) '''.
Questo percorso gi avviato, come prima si accennato, in differenti esperienze artistiche degli inizi del XX secolo, finir per trovare
forse il suo momento di riflessione pi alto e compiuto nella "poetica" del Surrealismo, nella misura in cui la stessa dimensione spaziale
verr sempre pi percepita come luogo di estraniazione del s e come margine di perdita dei confini del soggetto-individuo cosciente
(sempre presente a se stesso). Un processo questo, che attraversa (pi
che superarla) la figurazione; che scardina, pur mantenendolo, l'ordine pittotico figurativo. Ed all'arte figurativa che possiamo e dobbiamo allora guardare, perch proprio entro l'ordine di un linguaggio pittorico ancora visibile nella sua capacit rappresentativa, si
rende pi evidente il gioco paradossale della dislocazione, della sovrapposizione, della dissociazione e della sparizione dell'immagine
quale specchio del soggetto razionale cosciente. qui, in fin dei conti, che riusciamo veramente e paradossalmente a capire come 1'arte
non sia una semplice rappresentazione mimetica di una realt data
nella sua oggettivazione, ma un processo di figurazione basato sulla
costruzione normativa delle nostre categorie mentali; e lo capiamo,
ad esempio, attraverso Magritte, il pittore surrealista che con pi
precisione ha esposto, nella sua ricomposizione figurativa (nella sua
269 Continua, comunque, Kandinsky: Ma, per quanto importante, questo
solo un punto di contatto. La nostra anima si sta risvegliando da un lungo periodo di materialismo, e racchiude in s i genni di quella disperazione che nasce
dalla mancanza di una fede, di uno scopo, di una meta. Non ancora svanito
l'incubo delle concezioni materialistiche, che consideravano la vita dell'universo
come un gioco perverso e senza peso. L'anima si sta svegliando, ma si sente ancora in preda all'incubo. Intravede solo una debole luce, come un punto in un
immenso cerchio nero. un presentimento che non ha il coraggio di approfondire, per paura che la luce sia un sogno, e il cerchio nero la realt. Questo dubbio, e i traumi ancora vivi della filosofia materialistica, ci dividono nettamente
dai 'primitivi'. Nella nostra anima c' una incrinatura che, se sfiorata, risuona
come un vaso prezioso riemerso dalle profondit della terra e che sia, appunto,
incrinato. Per questo il primitivismo attuale, quasi sempre d'accatto, durer poco (Ibid., pp. 17-8).
308
riorganizzazione - eri-ordinazione - estetica dei postulati teorici dell'intera vicenda surrealista), i limiti della rappresentazione oggettiva 270, I suoi quadri, a ben vedere, mostrano una rappresentazione della conoscenza e dell'essere che le parole non riescono mai ad esprimere adeguatamente; e l'immagine, come nella pittura di De Chirico,
crea un rapporto immediatamente visibile tra oggetti che nell' esperienza spazio-temporale non si presentano mai insieme e, tuttavia,
mantengono un rapporto di reciprocit.
Lo spazio prospettico
309
Di nuovo, dunque, l'ordine dell'impersonale quale luogo (o "nonluogo"), potremmo anche dire, in cui la personalit si svolge oltre i
termini artificiali stabiliti dall'idea astratta di individuo.
Per certi versi, la pittura di Magritte mostra bene come il Surrealismo non sia affatto ricerca di un puro "disordine", ma di un "ordine" capace di sovvertire (e rivoluzionare) il precedente ordine della
rappresentazione. In quegli stessi anni Bergson - pensatore non certo annoverato tra i riferimenti filosofici, ideologici e concettuali del
Surrealismo, ma pur presente al dibattito della cultura francese di
allora - chiariva, a suo modo - in un saggio che vede la sua prima
elaborazione in una conferenza del 1920 - come il disordine semplicemente l'ordine che noi non cerchiamo (Bergson 2000, p. 90).
Non possibile sopptimere un ordine, anche solo con il pensiero,
senza farne sorgere un altro 271. La creazione, il processo creativo,
non - pensava Bergson - un evento ex nzhilo n una sistemazione
meccanica di vecchi elementi, ma, paradossalmente, una continuazione innovatrice o una "evoluzione creatrice", un'immanenza continuamente inventiva, o, come ricorda Janklvitch, un'improvvisa27l
310
zione sempre incominciante tra la pienezza innumerevole delle preesistenze (Janklvitch 1991, p, 274), E ci, a ben vedere corrisponde allo stato della nostra persona interiore, quale mondo nel quale
nulla si perde, un luogo infinitamente suscettibile nel quale la minima
vibrazione risveglia sonorit penetranti e prolungate (Ibid" p, 15),
,', i<
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311
ticamente" la terra della nostra animalit "selvaggia") 274, artisti dell'avanguardia parigina (tra i quali - per fare solo dei nomi - Derain,
Matisse, Picasso, Modigliani ed altri esponenti delle diverse tendenze
"primitiviste" ed eclettiche), cercavano, nella contaminazione tra ar~
te moderna e arte "selvaggia", non tanto una presunta originariet
delle forme artistiche e simboliche proprie del mondo "precivilizzato", quanto la possibilit gnoseologica di percorrere una via verso
un' esperienza non intellettualistica e non razionalistica dell' arte. Di
qui, l'interesse estetico - ma non meno etnologico - per il mondo
"primitivo" (le maschere, gli idoli, ecc.) testimoniava non solo un'esigenza di tinnovamento nella creativit artistica (oltre ogni codificazione e convenzione accademica), ma anche la paradossale attrazione
dello sguardo occidentale moderno verso una "mentalit primitiva"
e "pre-logica" capace di suggerire la possibilit di una diversa (ma
non per questo inautentica) percezione e rappresentazione del mondo al di l degli stretti confini logici a cui il razionalismo fIlosofico
l'aveva relegata.
Detto altrimenti, liberatasi del vecchio "orientalismo" ed esotismo
di maniera, l'esperienza avanguardista moderna, assumendo un atteggiamento "decostruttivo" rispetto ai canoni estetici e ai valori culturali del mondo "civilizzato", ricercava nella mentalit primitive
l'indicazione di un percorso semantico in grado di scardinare illinguaggio grammaticale organizzato sintatticamente, e capace di attingere alla profondit di un "senso" accessibile oltre l'astratta disposizione di significati istituiti e ordinati alla logica della "non contraddi
"
ZlOne
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In effetti, al di l di ogni riduzionismo di tipo filosofico (di matrice ancora illuministica e cartesiana), gli studi socio-etnologici di
Lvy- Bruhl (condivisi in parte con le esperienze artistiche e letterarie
del surrealismo parigino) cercano di dimostrare che il pensiero logico, il "concetto" (frutto dell'emancipazione della filosofia occidentale dal mito), anche se in modo diverso e attenuato rispetto alla mentalit primitiva, non pu essere considerato come l'unica modalit
espressiva dell'intelletto umano: nel nostro mondo civilizzato, forme
di partecipazione mistica (di esperienza del soprannaturale) convivono ancora con l'esercizio della logica e del calcolo razionale. Viil significato simbolico entro i termini di un discorso e di una logica ben pi sot~
tili di quelli ereditatati dalla tradizione razionalista. Come dire: se i "primitivi",
nel loro disporsi entro l'ordine di un discorso universale, generale e globale, ci
hanno in fin dei conti costretto a fonnulare l'ipotesi di una esperienza sociale
pre-logica, 1'antropologo, a sua volta, proprio li, in quel prelogismo, che li
ha definitivamente relegati. Siamo, quindi, di fronte a un razionalismo ben pi
scaltro e radicale di quello tradizionalmente conosciuto; di fronte ad una ragione
ben pi universale, capace di annettere l'esperienza pre-logica entro il suo
incondizionato dominio: non vi pi alterit o sovversione simbolica, ma soltanto il disporsi di un sistema di traduzione generalizzato. Ha pertanto ragione
Baudrillard: se prima i "primitivi" erano esseri quasi muti, oggi sono capiti, sol~
lecitati, ascoltati (non sono pi delle "bestie"), perch si trovata la griglia entro
cui raccogliere il loro linguaggio un tempo assurdo e indecifrabile. E ci non
grazie a una qualche liberazione" della loro parola, ma perch la ragione antropologica si data strumenti pi sottili per scongiurare lo scandalo del loro
silenzio. Prima erano stati seppelliti sotto il silenzio, oggi sono seppelliti sotto
la parola, parola "differente", certo, ma sotto la parola d'ordine "differenza",
come un tempo sotto quella dell'unit della Ragione, non facciamoci ingannare,
lo stesso ordine che avanza. Imperialismo della ragione, neo-imperialismo della
differenza (Baudrillard 1980, p. 106). L'essenziale che niente sfugga al domi
nio (e all'economia) del senso; che anche il "non senso", l'insensato, trovi un
posto entro 1'ordine discorsivo dei significati (come nel discorso psicoanalitico).
Tuttavia, come prima si detto, da un altro punto di vista, la storia del sapere
socio-antropologico anche, e al contempo, la storia del superamento del razionalismo cartesiano, e d nella misura in cui, anche attraverso Lvy-Bruhl e i suoi
studi sulla "mentalit primitiva", si riusciti a dimostrare quanto sia astratta e
povera quell'idea di "uomo in generale" che la filosofia razionalista ha costruito
in base al concetto di individuo autonomo, autosufficiente e separato, sia dal
punto di vista psicologico che gnoseologico e morale. A tale concetto, come
sappiamo, Lvy-Bruhl, in linea con l'insegnamento durkheimiano, ha sostituito
l'idea dell'individuo storico e sociale, del soggetto morale come soggetto pensante gi socializzato. Ed proprio a partire da tale presupposto - dal presupposto
di una storicit del pensiero e della socializzazione del soggetto pensante - che
possiamo allora rileggere, dal punto di vista socio-antropologico, il significato
storico del razionalismo cartesiano.
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integrava. La vita pareva degna di essere vissuta solo quando la soglia che c' tra
la veglia e il sonno era come cancellata, in ciascuno, dai passi di mille immagini
fluttuanti; il linguaggio pareva veramente tale solo l dove il suono e l'immagine,
l'immagine e il suono erano ingranati l'uno nell'altra con tale automatica esattez~
za, con tale felicit che non restava pi alcuna fessura dove infilare il gettone
"senso" (Benjamin 1993, p. 254).
231 Nelle sue Carte per il "surrealismo" - comprese anch'esse negli scritti tra il
1928 e il 1929 - Walter Benjamin annotava: Superamento dell'individuo razionale nell'ebbrezza, ma anche dell'individuo motorio e affettivo nell'azione collettiva: ecco costa contraddistingue l'intera situazione (Ibid., p. 270).
282 E leggiamo ancora: Allorch, dopo la guerra, artisti e scrittori iniziarono
a mettere insieme i pezzi della cultura in nuovi modi, il loro campo di scelta si
dilat enormemente. Le societ "primitive" del pianeta erano sempre pi disponibili come risorse estetiche, cosmologiche e scientifiche. T ali possibilit aveva~
no bisogno eli qualcosa di pi del vecchio orientalismo: richiedevano la moderna
etnografia (Clifforcl 1993, pp. 146-7).
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ne 288 Spesso, in effetti, procedure surrealiste (bench di rado esplicitamente riconosciute) attraversano i testi etnografici offrendo momenti in cui realt culturali distinte, avulse dai loro contesti originari,
289
sono costrette a stridenti contiguit , TI momento surrealista in etnografia - spiega l'antropologo - quel momento in cui la possibilit
di comparazione esiste in una tensione non mediata con 1'assoluto
incongruo. Tale momento si produce pi volte e si attenua nel processo di comprensione etnografica (Ibid., p. 175). Concepire tale
attivit in termini di collage significa tenere bene in vista questo "momento": la sorprendente compresenza "ironica" di realt differenti,
l'irruzione dell'inaspettato, dell' estraneo, dell' alterit 290. li collage
apporta al testo etnografico (come all'opera letteraria o pittorica)
elementi che proclamano la loro estraneit al contesto in cui sono
, 291
presentati .
nascimento in poi, hanno quest'aspetto in comune: la superficie dipinta non viene disturbata e neanche interrotta nella sua bidimensionalit ideale, nella sua
compiutezza e coerenza materiale. Incollando ritagli di fatti non si distrugge soltanto l'omogeneit della superficie, viene interrotta anche la sua continuit bidimensionale (Ibid., p. 9).
288 E potremmo allo stesso tempo parlare, a tal proposito, di tecnica del montaggio (e il montaggio, come noto, la tecnica per eccellenza delle avanguardie
artistiche). Come ricorda anche Mauro Ponzi, dal punto di vista formale e tecnico-compositivo, Le paysan de Pans di Aragon (come il Passagen-Werk di Benjamin) fondato proprio sul principio del montaggio di materiali eterogenei
(Ponzi 1992). Oggetti senza alcun rapporto apparente tra di loro, attraverso la
tecnica del montaggio, ritrovano legami sotterranei molto significativi.
289 Come spiega Cliliord, occorre, comunque, distinguere questo momento
di giustapposizione metonimica da quello che ne il seguito abituale, un movimento di comparazione metaforica in cui vengono elaborate le basi coerenti per
stabilire somiglianza e differenza (Cliliord 1993, p. 175).
290 Sempre secondo James Clifford, l'etnografia mista al surrealismo studia
l'invenzione e l'interruzione di totalit significanti in opere di import-export culturale, e fa parte essa stessa del gioco (Ibid., p. 176).
291 Continua Clifford: Questi elementi - il ritaglio di un giornale o una piuma - sono marcati come reali, come raccolti piuttosto che inventati dall' artistascrittore. Le tecniche a) del ritaglio e b) dell'assemblaggio sono certo basilari per
qualunque messaggio semiotico; qui sono il messaggio. I tagli e le suture del
processo di ricerca sono lasciati visibili; il materiale grezzo del lavoro non viene
smussato o rifuso in una rappresentazione omogenea. Scrivere testi etnografici
sul modello del collage avrebbe significato evitare di ritrarre le culture come totalit organiche o come mondi unificati e realistici, oggetto di un continuo discorso esplicativo. [ ... ] L'etnografia come collage lascerebbe manifeste le procedure costruttivistiche della conoscenza etnografica; sarebbe un assemblaggio
contenente voci altre da quelle dell' etnografo, nonch esempi di documentazio-
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Che tale spazio - come ha visto anche Augnsto Del Noce'94 - finisca per coincidere con la storia del nichilismo qualcosa che, cer29J Come afferma Arnold Hauser, il dadaismo, dalla disperazione per tutte
le forme culturali, giungeva ad invocare l'annientamento dell'arte e il ritorno al
caos, spingendo all'estremo il romanticismo di Rousseau (Hauser 1984, il, pp.
459-60).
294 Parler, chiaro, del surrealismo in quanto filosofia, cio in quanto vuole esprimere una nuova concezione del mondo, accompagnata da una prassi,
irriducibile nonch alle passate, anche alle contemporanee: cio del surrealismo
in quanto non marxismo, n esistenzialismo, n neopositivismo, ecc., e in
quanto ha origini e tradizioni tutte diverse. Con queste intenzioni si apre la riflessione filosofica di Del Noce sul surrealismo cos come presentata nella conferenza tenuta alla Fondazione Cini 1'8 settembre del 1964, pubblicata nella Rivista di Estetica, X, 1965 e ora raccolta nel volume Filosofi dell'estenza e della
libert (Del Noce 1992, pp. 301-331); riflessione che, nell'ambito di una lunga
meditazione teorica sviluppata in polemica con il razionalismo moderno, segna e
delimita, al contempo, gli argini della sua prospettiva di indagine; una prospettiva tesa a superare la riduzione del surrealismo a fenomeno meramente letterario ed estetico - a semplice attivit estetica (Ibzd., p. 301) -, e volta a cogliere
in esso le intenzioni filosofiche profonde (le stesse che, a suo giudizio, aprono e
sviluppano una prospettiva di pensiero europeo ateo e nichilista). TI Surrealismo
(quale forma estrema di "decadentismo" che riconduce al pensiero di Sade la
propria radicale esigenza di rivoluzione totale) non viene restituito da Del Noce
(e ci si evince anche dalle riflessioni che dedica al tema nel suo saggio sull'Autont) come un semplice fenomeno artistico (nella misura in cui l'arte viene distinta da altre forme di vita spirituale), ma soprattutto come fenomeno rivoluzionario, caratterizzato dalla categoria della totalit, e ci perch la sua riconosciuta intenzione non individuata solo nell' opera di una rivoluzione
nell'arte, ma, in misura maggiore, nell'opera di una rivoluzione attraverso l'arte; ed anche per questo, dunque, oltremarxista, non orientato soltanto al
cambiamento dell'uomo come riflesso della rivoluzione sociale e politica, ma,
specialmente, al pi completo rifacimento dell'intelletto umano (Del Noce
1993, p. 538). Nel surrealismo, in effetti, la rivoluzione in senso marxista appare
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simultaneit in cui vengono disposti l'inconciliabile e il non simultaneo (il noto esempio lautramontiano della "bellezza" causata dall'incontro fortuito, sul tavolo anatomico, tra una macchina da cucire
e un ombrello) esprimono il desiderio paradossale di introdurre unit e concatenazione (sotterranea, pre-Iogica o non-logica) nell'esperienza del mondo disgregato. Come spiega Arnold Hauser,
TI surrealismo, che integra il metodo del dadaismo con la "scrittura
automatica", gi con questo esprime la fede che dal caos - cio dall'inconscio, dall'irrazionale, dal sogno, dalle regioni incontrollate dell' anima nasca una nuova coscienza, una nuova verit, una nuova arte. Isurrealisti sperano la salvezza dell'arte - che essi ripudiano in quanto tale, proprio come i dadaisti, ammettendola solo come semplice veicolo di una
coscienza irrazionale - dal tuffo nell'inconscio, nel prefazionale, nel caos.
Se essi adottano il metodo psicanalitico dell'associazione libera, cio del-
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In fin dei conti, al contrario del dadaismo, che trovava la sua libert nella pratica costante della negazione, il surrealismo, a tale libert, cerc di dare un fondamento dottrinario (un sistema di conoscenza) e una realizzazione positiva (De Micheli 1982, p. 174)298. li
problema della libert (insieme al destino dell'uomo), rimane quindi
la questione fondamentale del surrealismo 299; anzi il surrealismo stesso pu considerarsi, almeno nelle intenzioni, come un mezzo di liberazione totale dello spitito, come un "salto" che trascende (pur conservandone la necessit storica) l'azione sociale: li problema dell'azione sociale - cos si legge nel Secondo Manzfesto del Surrealismo del
1930 - soltanto una delle forme di un problema pi generale che il
surrealismo s' sentito in dovere di sollevare e che quello del!' espressione umana in tutte le sue forme (Breton 2003, p. 87) lOD
Alla base, infatti, della critica sociale radicale, tesa a superare le
sporadiche posizioni di protesta e rivolta per giungere ad un matura
posizione rivoluzionaria, vi , nel surreaUsmo, un'esplicita rrrormulazione estetica (ma anche etica e politica) della questione della libert,
che affida all' arte la capacit di un' attivit di interpretazione capace
di far esplodere nella societ borghese (e attraverso la sua concezione
del soggetto-individuo proprietario - di s e delle cose) il suo dissidio e le sue contraddizioni interiori 'Ol Non un caso che proprio
Audr Breton, riflettendo politicamente sul problema dell' azione nel
testo dedicato alla Posizione politica del Surrealismo del 1935 , abbia
sentito (alludendo al marxismo) la preoccupazione di conciliare il
surrealismo come modo di creazione di un mito collettivo con il movimento molto pi generale di liberazione dell'uomo che tende in-
298 Spiega De Micheli; Al rifiuto totale, spontaneo, primitivo di Dada, il sutrealismo sostituisce la ricerca sperimentale, scientifica, appoggiandosi alla filosofia e alla psicologia. In altre parole oppone all'anarchismo puro un sistema di
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detto Rimbaud: per noi, queste due parole d'ordine fanno tutt'uno.
Cos leggiamo ancora nella Posizione politica del Surrealismo del 1935
(Breton 2003, p. 172) 304. Lo sforzo politico-artistico del surrealismo
302 Nello scritto dedicato alla Posz"zione polz'lz"ca delSurrealmo del 1935, cos
scrive Breton: Da una parte, il meccanismo d'oppressione basato sulla famiglia,
la religione e la patria si rafforza, l'asservimento dell'uomo da parte dell'uomo
viene considerato una necessit, e si cerca in modo inconfessato di sfruttare il
bisogno imperioso di trasformazione sociale a vantaggio della sola oligarchia finanziaria e industriale, e inoltre di far tacere i grandi appelli isolati con cui
l'uomo finora intellettualmente privilegiato arriva, talvolta a lunghi intervalli di
tempo, a scuotere l'apatia dei sui simili; da una parte tutto il meccanismo di ristagno, di regresso e d'usura: la notte. Dall'altra la distruzione delle barriere sociali, l'odio per qualsiasi servit -la difesa della libert non mai una servit -,
la prospettiva, per l'uomo, del diritto di disporre veramente di se stesso (tutto il
profitto ai lavoratori) lo sforzo per cogliere - sotto qualsiasi angolo particolare si
presenti, per fondare sempre meglio il diritto a cogliere in tutta la sua ampiezza
la rivendicazione umana - tutto il processo d'insoddisfazione, di corsa in avanti,
di giovinezza: il giorno (Breton 2003, pp. 138-9).
,03 Scrive ancora De 1v1icheli: Siamo di fronte a due anime del surrealismo,
all' anima cio erede dei pi inquieti spiriti romantici e all' anima che vuole accogliere il messaggio della rivoluzione socialista. li surrealismo ben lungi
dall' essere un tutto unico, teoricamente compatto, e il compito di Breton per
tenerlo insieme, anche come movimento, tutt'altro che facile. Queste due anime, che costituiscono i poli della dialettica surrealista e che in seno al surrealismo stesso continuano a essere il riflesso della situazione storica reale della frattura tra arte e vita, tra arte e societ, spingono infatti assai spesso i surrealisti a
soluzioni unilaterali, o puramente letterarie o puramente politiche (De Micheli
1982, pp. 176-7).
304 In effetti, il Surrealismo assomigliava molto ad un movimento-partito po-
328
si concentra dunque - anche senza successo - nel risolvere dialetticamente - e nel superare "surrealisticamente" - questa opposizione"', tra l'adesione della formula marxista in campo sociale e la ripresa della critica freudiana in campo psicologico 306, Ed proprio
nell' ordine di questa paradossale tensione che si incontrano Sade
(che ha cercato di restituire all'uomo civilizzato la forza dei suoi impulsi primitivi) e Lautramont (per la violenza sfrenata dei suoi sentimenti); e che si incontra soprattutto Freud 307: entro ed oltre la rivolirico. Proprio per questo si trov a fare i conti con il comunismo. Superando la
contrariet di altri surrealisti di orientamento pi anarchico-liberatorio, Breton
incontr Trotzky e ottenne nel 1925 l'adesione del proprio movimento al Comintern, l'organizzazione internazionale dei partiti comunisti di obbedienza rnoscevita. Ne fu espulso poco dopo (soprattutto per opera di Lukcs), accusato di
individualismo piccolo-borghese e di nichilismo bohmien. Per tali questioni,
oltre al citato testo di De Nlicheli, si rimanda anche a Raimondo Strassoldo
(2010, pp, 191-3),
305 Di qui il compromesso transitorio con il marxismo (frutto, senza dubbio,
di un'operazione culturale eclettica) e, successivamente, dopo la rottura di Breton con il Partito Comunista Francese (e a partire esplicitamente dal Terzo Manifesto del 1942 e dallo scritto Le surralisme e la pinture del 1946), la coscienza
polemica di una divergenza ideologica e programmatica irriducibile: se il marxismo vuole trasformare politicamente il mondo, il surrealismo (come nelle sue
iniziali intenzioni) vuole creare un movimento rinnovatore negli spiriti. Strategia, questa, che attraverso la liberazione dell'inconscio al di l del bene e del male (liberazione che trova la sua pi efficace espressione nella scrittura automatica
del mondo), intende rivoluzionare la vita e il pensiero degli uomini trasvalutando la loro esperienza "reale" nella dimensione "estetica" e "totale" della "surrealt". Per altri versi, possiamo rinviare anche a questo momento la svolta "eterodossa" (rispetto all'ortodossia" surrealista) batailliana (condivisa, per certi
versi, dai membri del Collge de Sociologie) verso !'idea di una comunit "impossibile" come soggetto immanente, aperta alla sua continua alterazione .
.106 Nel Secondo Mamfesto delSurrealismo del 1930 possiamo cos leggere:
Se vero che i procedimenti del surrealismo portano particolarmente a intentare il processo delle nozioni di realt e d'irrealt, di ragione e di irrazionale, di
riflessione e d'impulso, di sapere e di ignoranza "fatale", di utilit e d'inutilit,
ecc., esso presenta col materialismo storico almeno un' analogia di tendenza,
quella di partire dal "colossale aborto" del sistema hegeliano. Mi sembra impossibile che si assegnino dei limiti, per esempio, quelli del campo economico,
all' esercizio di un pensiero addestrato una volta per tutte alla negazione e alla
negazione della negazione. Come ammettere che il metodo dialettico non possa
validamente applicarsi altro che alla soluzione dei problemi sociali? La grande
ambizione del surrealismo di fornirgli delle possibilit d'applicazione per nulla
concorrenti nel campo pi immediato della coscienza (Breton 2003, pp. 77-8) .
.107 Nel Primo Mamjesto delSurrealismo (1924) cos leggiamo: <<Bisogna rendere grazie alle scoperte di Freud. In forza di queste scoperte, si delinea final-
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non fossero ancora pi rapidi degli altri (Breton 1977, pp. 15-6).
In un libro pubblicato pi tardi, L'arte magica del 1957, ritroviamo espressa, in modo diverso, la stessa concezione:
<<Dal romanticismo fino a noi - scrive Breton -la sensazione di essere mossi, per non dire giocati, da forze che oltrepassano le nostre non
cesser, nella poesia e nell' arte, di farsi sempre pi acuta e invadente: "
332
razionalismo positivista,> (Breton 2003, p. 169). E, in effetti, il surrealismo, come si visto, costituisce una delle critiche pi consape~
voli del razionalismo intellettualista e dello scientismo positivista.
Nell'estetica surrealista si registra forse la contestazione pi estrema
di quel paradigma razionalista - centrato sul principio universale e
astratto della Ragione - che, in epoca moderna, aveva in qualche
modo dominato il pensiero occidentale; si registra la critica di quella
astrattezza e astrazione del razionalismo filosofico ormai completamente disancorato dall' esistenza storica e concreta. Figli di quello
stesso razionalismo, i surrealisti si erano ribellati, paradossalmente,
alla sua tirannia, frantumando il suo preteso dominio nelle pi esasperate ed anarchiche forme di "occultismo", "magia", psicologi~
sroo" e "irrazionalismo" 313.
Su questa linea, interessante quanto afferma Camus (L'Hamme
rvalt del 1951): Questo misto d'agostinismo e di machiavellismo
definisce effettivamente la rivoluzione del ventesimo secolo; non si
pu dare espressione pi audace al nichilismo dell'epoca" (Camus
2002, p. 108).
Ed proprio qui, entro l'orizzonte simbolico posto da questa situazione epocale, che Camus colloca la questione del complicato
rapporto tra surrealismo e marxismo. Su questo piano la rivoluzione
surrealista non gli appare che un <<Illito assoluto e consolatore". Scrive Camus:
Andr Breton voleva ad un tempo la rivoluzione e 1'amore, che sono incompatibili. La rivoluzione consiste nell' amare un uomo che ancora non esiste. Ma chi ama un essere vivo, se lo ama veramente, non pu
accettare di morire se non per lui. In realt, la rivoluzione, era per BIeton soltanto un caso particolare della rivolta mentre per i marxisti, e in
generale per ogni idea politica, il contrario solo vero. Breton non cercava di realizzare, con l'azione, la citt felice che doveva coronare la storia. Una delle tesi fondamentali del surrealismo infatti non esservi salvezza. L'utilit della rivoluzione non stava nel dare agli uomini la felicit,
"1'esecranda comodit terrestre". Essa doveva invece, nella mente di
Breton, purificare e chiarire la loro tragica condizione. La rivoluzione
Jll Tuttavia, vale la pena ricordarlo, la critica del razionalismo e la tendenza
quasi mistica ai territori dell'irrazionalit e del delirio, se pur hanno dissolto
l'impianto generale e astratto della Ragione, non hanno affatto eliminato n un
atteggiamento incline alla razionalizzazione storica, n, tanto meno, una fede
ostentata in una "filosofia della storia" orientata all'idea di progresso. Per un
discorso pi esteso, che riguarda le avanguardie artistiche in generale, si rimanda
al saggio Die Aporien der Avantgarde di Bans Magnus Enzensberger (1998).
Lo spazio prospettico
333
334
Lo spazio prospettico
335
in un suo ultimo scritto del 1953 (Del Surrealismo nelle sue opere vive), che ci provvede del filo che rimette sul cammino della Gnosi,
in quanto conoscenza della realt soprasensibile, "invisibilmente visibile in un eterno mistero" (Breton 2003, p. 235).
Per questa via, dunque, il surrealismo ci spinge alle stesse conclusioni fatte proprie, in fin dei conti, da Albert Camus. Per lo scrittore
francese, si detto, la misura entro cui valutare il surrealismo lo
spirito di rivolta e non l'ateismo moderno (posizione sostenuta da
Del Noce). Di qui, un'altra filosofia, un'altra lettura, una differente
interpretazione. E questo quanto dice Camus pensando alla parabola notturna del surrealismo nel pensiero di Breton:
Tuttavia, ha spesso fatto scemare, contro se stesso, la parte della
negazione, e messo in luce la rivendicazione positiva della rivolta. Ha
scelto il rigore piuttosto che il silenzio, e serbato solo l'''intimazione morale" che secondo Bataille, animava il primo surrealismo. "Sostituire una
nuova morale alla morale in corso, causa di tutti i nostri mali". Senza
dubbio, non riuscito, come non riuscito alcuno, in questo tentativo
di fondare la nuova morale. Ma non ha mai disperato di poterlo fare.
Davanti all'orrore di un'epoca in cui l'uomo che egli voleva magnificare
viene ostinatamente degradato proprio in nome di certi principi adottati
dal surrealismo, Breton si sentito costretto a proporre, provvisoriamente, un ritorno alla morale tradizionale. C' in questo, forse, una pausa. Ma la pausa del nichilismo e il vero progresso della rivolta. Dopo
tutto, sappiamo abbastanza che non potendosi dare la morale e i valori
di cui ha chiaramente avvertito la necessit, egli ha scelto 1'amore. In
questa canea che il nostro tempo, Breton, e ci non si pu scordare,
stato il solo a parlare profondamente dell' amore. L'amore la morale
estatica che ha servito la patria a questo esule. Certo, manca ancora, qui,
una misura. Non politica n religione, il surrealismo non forse nient'altro che un'impossibile saggezza (Camus 2002, pp. 111-2) "'.
;J5 Non vi sono soluzioni, al di fuori dell' amore scriveva Breton, nel 1937 ,
nel romanzo L'amour fou (Breton 1974).
336
critica che il Surrealismo muove alle griglie del razionalismo cartesiano. E in questa critica, come prima si detto, vi iscritta la necessit di un pensiero che cerca di esporsi alla sua alterit, di comprendersi quale simultaneo e incessante differire; vi espressa l'esigenza
di cogliere il dato reale nel momento della sua "surrealt", della sua
estraniazione quale tertnine della sua stessa fenomenicit. E vi anche la paradossale torsione, lo sforzo impossibile di un soggetto che
cerca, nel medesimo istante,
Se il principio di realt caratterizzato dalla distinzione del soggetto e dell' oggetto, della coscienza e dell'incosciente, della veglia e
del sonno, la rivolta totale e cosmica surrealista vuole posizionarsi
in quel patticolare punto dello spirito da cui la vita e la morte, il
reale e l'immaginario, il passato e il futuro, il comunicabile e l'incomunicabile cessino di essere percepiti come contraddittori (Breton).
Ed proprio a partire da qui che si deve intendere quella certa metafisica occultista, esoterica e orientale che accompagna, al di l
dello spirito moderno, l'esperienza surrealista.
Dietro l'ordine solare, rischiarato dai lumi della ragione moderna,
il surrealismo riscopre una forza magica (da porre in anritesi all'ordine creaturale) capace (almeno nelle intenzioni) di derealizzare il
senso (e la catena dei significati ad esso correlato) stabilito entro i
margini della vita quotidiana, sostituendolo con il sottosuolo onirico
dell'inconscio; riscopre l'universo notturno, indifferenziato e indistinto. TI superamento dell'antinomia, della separazione inscritta nella distanza dell'io cosciente, accede ad un' esperienza che eccede l'idealismo hegeliano e il materialismo mandano (nell' ordine indifferenziato del sogno, nella trama di segni che attraversano l'esperienza onirica della realt, idealismo e materialismo si annullano): un orizzonte
indeterminato, un ordine (non superato o pacificato) dell'indistinzione e dell' ambivalenza (mai fissata sulla polarit dei tertnini distinti)
riconciliato con l'ombra, con l'oscurit, con l'alterit che si espone
ad ogni ribaltamento della ragione cosciente (e come non pensare a
Goya!). Esperienza "pre-Iogica" (sia detto con Lvi-Bruhl, antropologo, come si visto, senz'altro legato all'ambiente surrealista), capace di rompere definitivamente con la tradizione cartesiana e col preteso primato della funzione logica e regolatrice della ragione.
proprio in questo ritorno al "notturno", al "pte-logico", in
questo paradossale esercizio del collage, in questa giustapposizione
simultanea di elementi diversi e frammenti di realt differenti (eser-
Lo spazio prospettico
337
cizio nel quale l'estetica surrealista ritrova la sua completezza e composizione unitaria), in questa tensione all'estraniazione, in questa espo-
338
Rudolf Arnheim, a partire dai suoi studi gestaltici, ci ha puntualmente ricordato come in alcuni dei suoi dipinti metafisici (in particolare Melanconia e mistero d'una strada del 1914) il pittore italiano,
per rendere verosimile le sue illusioni, ha inserito disparati sistemi
spaziali in un tutto realistico, attendibile, senza incrinature, cos da
ottenere quell' effetto di assurdit delle immagini tipico di molti quadri surrealisti (Arnheim 2007, p. 245). Ed l'assurdit del delitto
compiuto alla piena luce del sole.
chiuso in ci che, riferendosi ad essa, scrive Reinharclt Brandt: il quadro, chiuso nei confini della pura superficie, offre 1'accesso a ci che la oltrepassa
(Brandt 2003, p. 402).
TAVOLE
Tavola 7 - JAN VAN EYCK, Il fidanzamento degli Arnolfini (particolare) olio su tavola, Londra, Nadonal Gallery, 1434.
Tavola 8 - AMBROGIO LORENZETTI, Allegoria del Buon Governo, affresco su parete, Siena, Palazzo Pubblico, 1338-40.
Tavola 9 - AMBROGIO LORENZEm, Allegoria del Buon Governo (particolare), affresco su parete, Siena, Palazzo Pubblico, 133840.
F. Lger - SIAE
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INDICE
pago
IX
Premessa
INTRODUZIONE
1. Spazio dell' arte, spazialit del diritto
2. Mondo dell'arte e universo giuridico
3. Questioni di metodo
1
24
36
I.
LO SPAZIO PROSPETTICO
1. Percorsi politici
2. Percorsi giuridici
3. Percorsi artistici
3.1. L'ordine "realistico" della pittura fiamminga: l'individuo "empirico"
3.2. L'ordine "immateriale" e "teofanico" dell'icona sa~
cra: "al di l" dell'individuo
3.3. L'ordine "prospettico" del Rinascimento italiano: l'individuo "legislatore"
4. Ragione prospettica e ordinamento dei rapporti sociali
5. Prime disarticolazioni dello spazio prospettico
6. Verso nuove figurazioni spaziali
6.1. Dal soggetto all'oggetto: la costruzione dello spazio
impersonale
75
86
97
97
102
114
151
174
253
253
370
pago
6.2. Oltre la misura del soggetto-individuo: alterit "prelogica"
6.3. Critica surrealista della ragione moderna: l'esperienza
dell' estraniazione
295
315
~ook
339
Bibliografia
357