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Il 1' comma dell' Art.

21 della Costituzione del 1948 dice che: "tutti hanno


diritto di manifestare il proprio pensiero attraverso la parola, lo scritto o altro
mezzo di diffusione".
Nel sesto comma viene enunciato il principio di "buoncostume" che vale per
TUTTE le espressioni e manifestazioni del pensiero.
L'art. 21 comunque presenta alcune lacune. Per esempio parla solo di
"stampa" e non accenna alla radio e la televisione.
Gi nella convenzione europea per i diritti fondamentali dell' uomo, che pi
o meno dello stesso periodo (1950), si diceva che "ogni PERSONA ha diritto a
libert di espressione".
Questo diritto comprende la libert di esprimere opinioni e la libert di
trasmettere e ricevere informazione e idee, senza ingerenze da parte delle
pubbliche autorit e senza considerazione di frontiere.
Conlude dicendo che le imprese di radio e video diffusione possono essre
sottoposte ad un regime di autorizzazione.
I commi dal 2 al 5 stabiliscono una serie di garanzie per il mezzo stampa,
stabilendo che le pubblicazioni non possono essere sottoposte a censura ed
autorizzazioni, e che non possono essere messe sotto sequestro se non con l'
autorizzazione dell' autorit giudiziaria.
Nel quarto comma, per, si prevede che qualora vi sia una assoluta urgenza e
non si possa ricorrere all' autorit giudiziaria il sequestro pu essere
effettuato dagli ufficiali della polizia giudiziaria, che devono immediatamente,
e non oltre 24 ore, sporgere denuncia all' autorit giudiziaria.
Se l'autorit non convalida il sequestro nelle successive 24 ore il sequestro
deve considerarsi revocato e privo di ogni effetto.
Nel 5 comma si prevede un principio di trasparenza per il quale una legge
pu stabilire, formulata con norme di carattere generale, che siano resi noti
tutti i sistemi di finanziamento.
Questa non era obbligatoria, ed ha avuto un seguito solo dopo la legge sull'
editoria del 1980.
Nel sesto comma, invece si evidenzia il limite del "buon costume".
Il primo comma dell' Art.21 ha una formulazione molto ampia e
generalissima.
L'art. 21 dichiara che i titolari di questo diritto sono TUTTI, sia i cittadini che

gli stranieri. Si tratta dunque di un vero e proprio diritto dell' uomo. Titolari di
tale diritto sono sia i singoli che le formazioni sociali.
Le uniche eccezioni ammesse sono gli artt. 66 e 122 della Costituzione, che
prevedono l' insindacabilit delle opinioni espresse dai parlamentari e dei
consiglieri regionali durante l'esercizio delle loro funzioni.
La manifestazione del pensiero indicata dall' art. 21 comprende l'
espressione di idee, opinioni e notizie che si intende comunicare in forma
generale.
Anche l' apologia e la propaganda sono da considerarsi manifestazioni del
pensiero, eventuali limitazioni di queste forme di espressione non sono da
individuarsi in un limite logico, ma soltanto da interessi tutelati dalla
Costituzione.
L'art. 21 tutela sia il diritto "positivo" che quello "negativo" della libert di
espressione. Oltre al diritto a manifestare il proprio pensiero deve infatti
esistere anche il diritto a NON manifestare la propria opinione.
Nonostante la parola informazione non compaia nell' Art. 21, per
interpretazione si considerano coperte dall' articolo anche le notizie e l'
informazione in generale.
Il "diritto di cronaca" dunque si configura come profilo della libert di
manifestazione del pensiero.
Sin dai primi anni '60 dottrina e giurisprudenza si sono impegnate a ridefinire
la formula dell' Art.21 in funzione dello sviluppo della societ e dei sistemi
politici.
Dopo l'apertura che ha portato al "diritto di cronaca" si rilevato un interesse
generale all' informazione, cosiderata anche la pluralit delle fonti
informative. Il diritto all' informazione stato riconosciuto indistintamente a
tutti.
Per quanto riguarda la ricerca di notizie, questo profilo in genere non
coinfolge direttamente chi riceve le notizie, ma chi svolge per professione l'
attivit di informare. In questa prospettiva la ricerca di notizie un
comportamento strumentale e necessario alla sua attivit di informatore.
Sul piano dei rapporti privati non ammissibile un diritto a ricercare fatti e
notizie riguardanti i singoli cittadini, anche data la legislazione sulla privacy.
Per quanto riguarda i rapporti con i poteri pubblici, invece, la situazione
opposta. Esiste infatti un diritto soggettivo ad accedere ad atti, documenti ed
informazioni in possesso della pubblica amministrazione. Il riconoscimento di

questa posizione avvenuto con le leggi del 1990, che trovano il loro
fondamento nei principi costituzionali di imparzialit e legalit dell' azione
amministrativa.
Nella legge 241 del 1990 sono state indicate tassativamente le esigenze
che possono giustificare le limitazioni a questo diritto, che riguardano la
prevenzione e repressione della criminalit, la sicurezza nazionale, l'ordine
pubblico e la tutela degli interessi dei terzi.
Il legislatore ha introdotto non solo il diritto all' accesso da parte del cittadino,
ma anche l'obbligo da parte delle amministrazioni ad informare.
Uno dei primi settori che ha visto l' intervento del legislatore in questo senso
la tutela ambientale.
Si sono distinti, all' interno della libert d'informazione, un lato attivo ed un
lato passivo.
Il profilo attivo riguarda tutti gli aspetti che abbiamo visto finora.
Il profilo passivo riguarda non solo la libert di ricevere le notizie ma anche
quello di ricercarle e di accedere alle fonti notiziali. I titolari degli obblighi
correlati a questo siritto sono prevalentemente lo Stato e le pubbliche
amministrazioni. Oggi questo diritto tende ad acquisire una fisionomia
sempre pi nitida soprattutto nel campo delle telecomunicazioni. Prima di
tutto interesse dell' organo informativo quello di rimuovere gli ostacoli alla
ricezione delle informazioni.
La nostra Costituzione protegge in maniera diretta il diritto del soggetto di
ricevere le notizie, allineandosi con i principi degli accordi internazionali,
soprattutto con quello della circolazione delle idee senza frontiere. Gi la
sentenza del 1974 della Corte Costituzionale prevedeva la possibilit di
ricevere liberamente i programmi provenienti dagli altri paesi.
Altri interventi sul diritto all' informazione si sono avuti in svariati settori delle
politiche pubbliche. Il decreto loegislativo n. 23 del 1974 ha imposto l' obbligo
di istituire gli uffici per le relazioni con il pubblico: gli URP.
Rilevanti innovazioni nel rapporto tra cittadini ed istituzioni pubbliche sono
venute dalle applicazioni tecnologiche per l'attivit di comunicazione ed
informazione pubblica.
Alcuni autori sostengono il diritto del cittadino ad essere informato con
completezza ed obiettivit. Tale dottrina sostiene questo giudicando l'attivit
informativa come un rapporto giuridico di comunicazione. Perch si possa
parlare di rapporto c' la necessit di riconoscere giuridicamente la posizione
di entrambi i poli.

L'art. 21, in questo senso, copre sia il profilo attivo dell' attivit di
informazione che quello passivo, costituendo un vero diritto soggettivo di
libert.
L'articolo 1 della legge Mamm prevedeva dei parametri di contenuto che
valevano sia per l' emittenza pubblica che per quella privata. Tale articolo
stato poi abrogato dalla legge Gasparri.
Il diritto di informazione garantito dalla Costituzione prende le mosse dal
principio pluralistico. Questo principio assume un valore fondamentale
nella disciplina delle comunicazioni di massa, soprattutto per quanto riguarda
radio e televisione. Il principio pluralistico assicurato dalla Corte tende a dare
effettivit alla libert di espressione, evitando che diventi prerogativa di pochi
soggetti.
La Corte ha riconosciuto due diversi profili: pluralismo esterno ed interno.
Il pluralismo esterno si applica sia in un sistema di mercato totalmente
privato che in un sistema misto, e prevede l' accesso al mercato di quante pi
voci possibili grazie ai mezzi tecnici, garantendo ai soggetti portatori di
opinioni diverse di esprimersi senza essere emarginati a causa della
concentrazione di risorse tecniche ed economiche nelle mani di pochi
soggetti.
Il pluralismo interno invece riguarda il servizio pubblico. Il principio qui
prevede l' obbligo di imparzialit, e l'apertura alle tendenze sociali, politiche,
culturali e religiose. Perch questo funzioni necessario che gli organi di
governo siano scelti in maniera imparziale rispetto alle disposizioni dell'
esecutivo, e che a questi sia assicurata una particolare autonomia.
Si pu affermare che il diritto all' informazione sia un diritto sociale , vista
la pretesa che lo Stato compia una certa attivit o ponga una serie di obblighi
in grado di assicurare la realizzazione di questa aspettativa costituzionale.
Questa categoria del diritto non deve considerarsi una fattispecie eccezionale
ma come una figura generale, come si evince da una serie di situazioni
sintomatiche.
Nella pi ampia categoria del diritto all' informazione si possono distinguere
due profili:
-un diritto del cittadino nei confronti dello Stato
-un diritto nei confronti dei titolari dei mezzi di informazione
Parlando del primo aspetto bisogna individuare le fattispecie nelle quali la
pretesa del singolo comportino un obbligo da parte dello Stato. Queste sono

numerose, e riguardano, ad esempio, l' obbligo di fornire informazioni sugli


scioperi del servizio pubblico o sul tasso d' inquinamento.
Il secondo profilo prevede invece casi pi complessi. Molte di queste
situazioni, infatti, erano state inizialmente inquadrate come diritti della
persona, ma sono in realt rilevanti per il diritto all' informazione.
Esiste dunque il diritto alla riservatezza, come la non divulgazione di
immagini e la non menzione dei nomi per tutelare i soggetti pi deboli;
il diritto alla tutela dei minori;
Il diritto alla rettifica, che deve essere tempestivo ed efficace in caso di
notizie false e lesive della persona;
il diritto di replica o risposta;
Vi sono poi altre situazioni che si ricollegano direttamente al principio
pluralistico:
il diritto alla trasparenza dei mezzi di informazione: cio la possibilit di
conoscere le propriet, fonti di finanziamento e situazione economica dei
soggetti che gestiscono le fonti informative;
il diritto all' informazione pluralistica settoriale: cio la possibilit di
scegliere, in uno stesso sistema di comunicazione, tra un numero di mezzi
diversi e non egemonizzati da un solo soggetto;
il dirittto all' informazione pluralisticva intersettoriale: ovvero la
possibilit di scegliere tra i vari mezzi di comunicazione senza il rischio che l'
egemonia di un mezzo schiacci gli altri mezzi. Questo principio implicito in
una serie di sentenze della Corte Costituzionale in materia di pluralismo, in
particolare quelle che impongono limiti alla pubblicit radiotelevisiva a tutela
della stampa.
Una terza categoria discende dagli obblighi che, in base alla costituzione, il
legislatore tenuto a compiere in materia pubblicitaria.
Due sentenze della Crote Costituzionale, dell' 85 e dell' 89, riguardano il
diritto ad una adeguata limitazione della pubblicit, non solo per la tutela
della stampa ma per la tutela degli utenti dei mezzi di comunicazione in
generale. Queste riguardano il profilo quantitativo della pubblicit.
Per quanto riguarda il profilo qualitativo esiste il diritto ad una informazione
non condizionata dalla pubblicit. Questo diritto risulta dalle disposizioni
contenute negli atti sovranazionali come la direttiva TV senza fronitiere. L'art.
10 di questa direttiva sottolinea che la pubblicit deve essere distinguibile
come tale e deve essere distinta dagli altri programmi con mezzi ottici ed

acustici.
Vi poi il diritto ad una pubblicit non ingannevole
Di estrema importanza il diritto ad una informazione imparziale ed
equilibrata durante le campagne elettorali. Questo principio stato affermato
con la legge 515 del 1993.
L'ultima categoria riguarda gli obblighi attribuiti al servizio pubblico, come:
-diritto ad una informazione imparziale e pluralista da parte del servizio
pubblico;
- il diritto delle minoranze, in generale, e dei portatori di handicap in
particolare, ad ottenere particolari prestazioni da parte del servizio pubblico;
Il problema pi delicato posto dall' ultimo comma dell' Art. 21 quello dell'
utilizzazione dei mezzi di diffusione del pensiero. La difficolt pi rilevante
nasce dalla definizione della parola mezzo.
Nell' accezione per la quale si intende il mezzo come strumento di
manifestazione esterna della libert di pensiero la portata del diritto la pi
ampia e generale.
L'altra accezione, quella immediatamente successiva, quella che non
considera il mezzo come strumento di immediata espressione, ma come
strumento di riproduzione e divulgazione del pensiero presso un numero di
destinatari potenzialmente illimitato.
La libert di manifestazione del pensiero prevista dal primo comma dell' Art.
21 comprende, almeno in linea di principio, la libert di divulgare il pensiero
utilizzando tutti i mezzi disponibili allo scopo. La garanzia prevista dall'
articolo 21 NON prevede che tutti abbiano la disponibilit materiale di ogni
possibile mezzo di diffusione, ma che sia garantito a tutti il libero uso di
questi.
La libert di manifestazione del pensiero non solo quella esercitata a livello
individuale, ma pu anche essere oggetto di una attivit economica
esercitata in forma d' impresa. In questo caso i principi costituzionali non
sono tratti soltanto dall' Art. 21 ma anche dall' Art.41 che disciplina la libert
d' iniziativa economica.
Uno dei problemi pi importanti che si colgono nel caso di impresa di
manifestazione del pensiero riguarda da un lato l' imprenditore e l' editore e
dall' altro i dipendenti. Questo fenomeno particolarmente osservabile nell'
ambito della stampa, dove convivono le figure di editore, direttore e
giornalisti, ma presenta caratteristiche analoghe in diverse imprese di

comunicazione, soprattutto quella radiotelevisiva.


La direzione dell' indirizzo editoriale, in primo luogo, non pu riguardare
esclusivamente le decisioni dell' editore ma deve riguardare l' intera
comunit giornalistica. Ad esempio nel Contratto Collettivo Nazionale
presente la "clausola di coscienza", che consente a ciascun giornalista di
dimettersi in caso di cambiamento della linea editoriale. I principi
costituzionali in materia di stampa sono contenuti nel secondo, terzo, quarto
e quinto comma dell' Art. 21.
Il secondo comma dice che la stampa non pu essere sottoposta ad
autorizzazioni e censure. L' oggetto di attenzione dell' Art. 21 la stampa
intesa come STAMPATO, e dunque riguarda qualunque prodotto editoriale:
che sia un giornale, un manifesto o un volantino.
La Corte Costituzionale ha pi volte precisato che cosa deve intendersi come
censura e cosa come autorizzazione:
con autorizzazione si fa riferimento a "provvedimenti preventivi che,
rimessi alla discrezione dell' autorit amministrativa, potrebbero impedire la
pubblicazione di materiali destinati al pubblico".
Per censura si intende "un istituto tipico del diritto pubblico secondo cui gli
organi di Stato esercitano un controllo autoritario e preventivo della stampa,
secondo i giudizi della pubblica amministrazione".

Il terzo comma dell' art. 21 ammette il sequestro dello stampato


successivamente alla sua pubblicazione. I casi in cui la Costituzione ammette
il sequestro sono:
- i delitti per i quali la legge sulla stampa autorizza espressamente il
sequestro;
- la violazione di norme che la legge stessa prevede per l'indicazione dei
responsabili;
Il sequestro pu essere disposto soltanto per la legge penale, e soltanto nel
caso dei delitti. Il sequestro pu avvenire solo per mezzo dell' autorit
giudiziaria ed limitato solo alla stampa periodica.
IL quinto comma contiene il principio delle fonti di finanziamento. La legge
pu stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di
finanziamento per la stampa periodica. Non si dunque posto un obbligo,
ma una semplice facolt. La legge 416 del 1981 sull' editoria ha applicato
questo principio con tre gruppi di norme:

- imponendo la propriet di imprese di stampa a persone fisiche, o a societ


riconducibili a persone fisiche;
- L'istituzione del Registro Nazionale Della Stampa, al quale devono iscriversi
gli editori sia di giornali quotidiani che periodici;
- L' obbligo di pubblicare annualmente, secondo uno schema tipico, i bilanci
dei giornali quotidiani;
Anche se l' art.21 rivolge specificamente l'attenzione al solo mezzo stampa,
la giurisprudenza costituzionale ha individuato una serie di principi riferibili
all' attivit radiotelevisiva, in parte estendendo quelli dedicati alla stampa ed
in parte introducendone di nuovi. Con una sentenza del 1974, pur
ammettendo il monopolio dello Stato in materia di radiotelevisione, lo aveva
sottoposto ad una serie di condizioni e di vincoli ricavati direttamente dalla
Costituzione, e che puntano ad un "monopolio aperto", cio ad un sistema di
pluralismo interno secondo quanto ricavato dall' Art.21.

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