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DESCRIZIONE GEOGRAFICA
Il progetto si inserisce all’interno dell’area del Parco Naturale dei Laghi di Suviana e Brasimone.
Climatologia
Il clima dell'Emilia-Romagna è di tipo prevalentemente sub-continentale con inverni rigidissimi ed
estati afose e calde.
In inverno sono presenti precipitazioni nevose che dalla montagna possono estendersi fino alla
pianura e nebbia abbastanza frequente, dove si raggiungono temperature rigide con giornate di gelo
e nebbia che non riesce a dissolversi, mantenute spesso prossime allo zero. Durante la notte può
scivolare al di sotto dello zero, sviluppando talvolta estese gelate.
In estate l'afa la fa da padrona e le temperature sono molto alte, vi sono elevati tassi di umidità, in
particolare nelle zone pianeggianti, mentre nelle zone montuose il caldo risulta meno opprimente;
tuttavia durante tale periodo soleggiato si possono sviluppare temporali anche di forte entità.
L'autunno è molto umido, nebbioso e fresco fino alla metà di novembre;con il procedere della
stagione diventa via via più freddo fino ad avere caratteristiche prettamente invernali.
La primavera rappresenta la stagione di transizione per eccellenza, fredda o per contro un anticipo
d'estate, ma nel complesso mite. La piovosità è concentrata in primavera e in autunno su livelli
inferiori rispetto alle regioni a nord del Po: ciò determina un regime idraulico a carattere
prevalentemente torrentizio con periodi siccitosi che possono prolungarsi fino ad autunno inoltrato.
L'Emilia-Romagna ha fondamentalmente due climi, che poi possono essere divisi: il padano e il
montano. Il clima risulta pertanto essere influenzato da tre fattori: il continentale, decisamente il più
presente, quello lieve del Mare Adriatico che mitiga solo le aree costiere, e quello appenninico.
Il clima della fascia montana è fortemente influenzato dall'altitudine, ma anche dall'esposizione al
sole e al vento. Generalmente ha inverni molto più freddi della pianura, con minime costantemente
sottozero nei mesi più freddi e temperature minime che possono raggiungere i -15°, -20°. La neve
cade da novembre a marzo, ma spesso alcune spolverate sui rilievi più alti avvengono anche in
ottobre e in aprile. In un anno cade almeno un metro di neve anche a quote inferiori ai 700 mt., che
arriva anche a 1,5 m a 800 mt. Ha temperature estive gradevoli, con media delle massime sui 25-
28° in luglio, ma punte di 30-35° e minime sui 10-15°. L'estate è in generale breve e l'autunno inizia
già a settembre, diventando freddo dopo la metà di ottobre; anche la primavera è breve e fresca,
inizia in aprile e termina in giugno.
Querceti e castagneti
Dalle quote più basse del Parco fino a 800-900 m si incontrano boschi misti di latifoglie in estese
formazioni, soprattutto sui versanti settentrionali, dove le pendenze elevate e le condizioni
climatiche più fresche e umide hanno in passato limitato i disboscamenti. Questi boschi, da sempre
sfruttati dall'uomo, hanno sviluppo modesto, con numerose ceppaie ceduate e isolati alberi ad alto
fusto di buone dimensioni.
Fra gli alberi prevalgono roverella, orniello e carpino nero, quest'ultimo dominante sui suoli poveri
e nei boschi molto sfruttati; sui substrati argillosi invece la quercia più diffusa è il cerro; le
formazioni più ricche comprendono anche acero campestre, ciliegio selvatico, olmo campestre,
sorbo domestico, ciavardello e maggiociondolo. Nel sottobosco crescono arbusti di biancospino,
corniolo, berretta da prete, nocciolo, madreselva pelosa e liane come l'edera e il caprifoglio;
frequenti sono anche le basse macchie sempreverdi di laureola. In primavera, dopo le fioriture
giallo-verdastre degli ellebori, sulla lettiera risaltano quelle di viole, primula, polmonaria, erba
trinità, mentre in estate spiccano le orchidee Dactylorhiza maculata e le più rare Orchis mascula e
Cephalanthera rubra.
In passato molti boschi misti del Parco sono stati sostituiti da castagneti da frutto che hanno svolto
un ruolo fondamentale nell'economia montana di un tempo; oggi queste formazioni sono in gran
parte abbandonate o convertite in cedui e si presentano ricche di alberi e arbusti tipici dei boschi
limitrofi. Nel Parco, tuttavia, esistono ancora alcuni castagneti da frutto, come quello intorno a
Poranceto: esemplari ad alto fusto ombreggiano un sottobosco ripulito periodicamente per
agevolare la raccolta dei frutti, nel quale crescono radi arbusti e piante erbacee tra cui la
comunissima felce aquilina, la ginestra dei carbonai e il brugo, caratteristiche di suoli acidi o a
scarsa fertilità.
Boschi di faggio
Gran parte dei versanti montani sono rivestiti da boschi di faggio che risalgono fino alle cime più
elevate. Alle quote più basse si mescolano ad alberi e arbusti tipici dei querceti sottostanti: sui
substrati arenacei è facile incontrare boschi misti di faggio e castagno, derivati da vecchi castagneti
da frutto abbandonati, nei quali si stanno gradualmente ripristinando condizioni più naturali. A
partire dai 900 m di quota il faggio, favorito dal clima più fresco e dagli intensi tagli di ceduazione
di un tempo, tende a formare boschi puri in cui solo di rado trovano posto altre specie arboree come
acero di monte e sorbo montano. Fra gli arbusti compaiono il maggiociondolo alpino e il nocciolo,
che lungo le sponde dei rii convive con salice rosso e salice ripaiolo. Nel corso della primavera e
fino alla tarda estate nel sottobosco si susseguono le fioriture di numerose erbacee tipiche delle
faggete appenniniche: anemone dei boschi, dentaria minore, geranio nodoso, acetosella, euforbia
delle faggete, lattuga dei boschi, garofanino di montagna e l'orchidea Epipactis helleborine. Più di
rado si incontrano erba crociona, mercorella, pigamo colombino, aquilegia scura e sigillo di
Salomone maggiore. A volte il sottobosco è molto povero e prevale l'erba lucciola, simile a una
graminacea, che segnala le formazioni più degradate. Le faggete più fresche ospitano anche diverse
felci, tra cui i grandi cespi di felce maschio e felce femmina, la piccola Gymnocarpium dryopteris,
la felce dolce e la rara lingua cervina.
Arbusteti e rimboschimenti
I boschi del Parco si alternano spesso a radure, in parte arbustate e in parte occupate da
rimboschimenti, derivate da passati disboscamenti per ricavare prati, pascoli o, più di rado,
seminativi. Solo vicino agli insediamenti abitati e nelle aree più facilmente raggiungibili rimangono
praterie da sfalcio, spesso recintate. Gran parte delle radure prative sono state invece abbandonate e
gradualmente ricolonizzate da una vegetazione pioniera che ha dato vita ad arbusteti più o meno
fitti, in evoluzione verso formazioni più ricche e complesse.
Piante rupestri
Gli ambienti rocciosi del Parco, per quanto poco estesi, rivestono un grande interesse botanico
poichè ospitano una vegetazione non influenzata dalle attività antropiche. Isolati esemplari arborei
dallo sviluppo stentato indicano le zone di affioramento roccioso in cui si accumula un sottile strato
di suolo, mentre nei tratti più scoperti e accidentati la povertà del substrato, la forte insolazione e la
prolungata aridità consentono la crescita solo a pochi arbusti e piante erbacee. La roccia appare
spesso colorata licheni crostosi e fogliosi. Tra le piante appena più esigenti prevalgono le specie
xerofile: frequente è il brachipodio, una graminacea che forma spesso sugli affioramenti di roccia
lembi di prateria; lo accompagnano ononide spinosa, camedrio comune ed erica arborea, tutti
arbusti a distribuzione mediterranea. Sulla roccia sono frequenti anche l'elicriso, il timo, la stellina
purpurea, l'eliantemo maggiore e varie borracine succulente. Gli affioramenti rocciosi del Parco
custodiscono anche piccole piante rupicole ritenute rare in ambito regionale: la Saxifraga
paniculata dalle rosette di foglie coriacee bordate di bianche secrezioni calcaree e il Sempervivum
arachnoideum, le cui rosette di foglie succulente sono rivestite da un fitto feltro di peli.
Mammiferi
Tra i mammiferi la specie più rappresentativa è senza dubbio il cervo, tornato ad abitare queste
montagne da alcuni decenni. Gli esemplari osservabili nel Parco derivano dai pochi cervi liberati
dal Corpo Forestale dello Stato nel 1958 e nel 1965 nell'alto Pistoiese, all'interno della foresta
demaniale dell'Acquerino: si tratta di una popolazione di ottima qualità, con maschi di grande taglia
dotati di palchi ben ramificati. Il territorio del Parco rappresenta la porzione principale dei quartieri
degli amori del cervo sul versante emiliano dell'areale di distribuzione. Piuttosto comune è un altro
ungulato, il cinghiale, che lascia quasi ovunque le inconfondibili tracce del suo passaggio: grufolate,
trottoi, insogli. Più raro ed elusivo è il capriolo, qui legato soprattutto ai cespuglieti e ai cedui fitti. Il
daino, una specie estranea alla fauna originaria, è avvistabile con una certa facilità solo nella fascia
più periferica del Parco.
Degna di nota è la comparsa sporadica del lupo, tornato ad abitare l'Appennino settentrionale solo
dagli anni '80 e irregolarmente richiamato nel territorio del Parco dalla presenza di buone densità di
ungulati selvatici. Altri carnivori sicuramente presenti sono volpe, tasso, faina e donnola.
Tra i micromammiferi terrestri non mancano roditori come scoiattolo, ghiro, moscardino, topo
selvatico e arvicola rossastra, e insettivori come talpa e crocidura minore. Nelle aree aperte, con un
po' di fortuna, si può osservare la lepre. Agli inizi degli anni ‘90 ha fatto la sua comparsa una specie
piuttosto insolita, l'istrice, a prevalente diffusione africana ma presente anche in Italia centro-
meridionale e in netta espansione verso nord negli ultimi decenni. Grotte e vecchi castagni ospitano,
infine, alcune importanti specie di chirotteri, animali rari e particolarmente bisognosi di tutela.
Uccelli
Copyleft@2009 Tinti Marco 6
Sono consentite la copia e la riproduzione del documento nella sua integrità, esclusivamente per scopi non commerciali, e a
condizione che questa nota sia riprodotta e sia citata la fonte.
Nel territorio del Parco, oltre alla maggior parte delle specie del basso e medio Appennino, sono
presenti soprattutto durante le migrazioni, anche uccelli tipici delle zone umide: cormorani,
gabbiani comuni e reali, svassi maggiori e anatre come il germano reale. Essi trovano infatti,
soprattutto nel lago di Suviana, un luogo di alimentazione e sosta durante il superamento
dell'Appennino: nel medesimo lago è facilmente osservabile, e probabilmente nidificante, il martin
pescatore. Altre specie osservabili intorno ai due bacini e lungo i principali corsi d'acqua sono la
ballerina gialla, poco diffusa, la ballerina bianca e il merlo acquaiolo, abbastanza frequente sulle
sponde del Limentra.
Tra i rapaci, oltre a specie come gheppio, poiana, sparviero e allocco, è da segnalare la nidificazione
regolare del falco pecchiaiolo. Come in altre zone dell'Appennino settentrionale l'aquila reale, per
quanto non nidificante, è di comparsa più o meno regolare con individui immaturi.
Tra le specie di maggiore interesse spiccano codirosso, pigliamosche, picchio muratore, torcicollo,
rampichino, picchio rosso maggiore e picchio verde, tutti localizzati nelle poche zone con castagneti
maturi che offrono cavità per la nidificazione. Particolarmente diffuse e numerose sono invece le
specie legate ai boschi cedui, tra le quali spiccano il colombaccio, molto raro come nidificante in
Emilia-Romagna, e la bigia grossa, segnalata sino agli inizi degli anni '90; molto abbondanti sono la
tortora, soprattutto nei boschi giovani di querce, e il succiacapre, su prati e cespuglieti radi.
L'espansione dei cespuglieti, in seguito all'abbandono di seminativi e pascoli, ha favorito specie
tipiche di questi ambienti come zigolo nero, sterpazzola, sterpazzolina e, quando i cespuglieti si
trasformano in boscaglie, prispolone, canapino e luì bianco. Nelle praterie rimaste, oltre alla
comune allodola, sono presenti la tottavilla e la quaglia, specie difficile da osservare allo scoperto
ma della quale è facile udire il canto monotono del maschio.
La maggior ricchezza specifica è rintracciabile nelle situazioni ecotonali, ben rappresentate
nell'area centrale del Parco presso il Monte Calvi: qui la presenza di un mosaico di ambienti,
dall'incolto erbaceo al bosco ceduo invecchiato, al rimboschimento di conifere, al felceto,
all'arbusteto, garantisce un'elevata eterogeneità ecologica con effetti positivi sulla comunità
ornitica. Visto nel suo complesso, il popolamento di uccelli nidificanti nel territorio del Parco
appare abbastanza ricco di specie: 67 accertate e 7 potenziali da verificare.
Anfibi e rettili
Tra gli anfibi del Parco spicca la salamandra pezzata, una specie rara e localizzata lungo il crinale
appenninico che frequenta i boschi di faggio solcati da limpidi ruscelli. Del tutto terricolo è anche il
geotritone, strettamente legato agli umidi ambienti del suolo, nelle cui cavità depone le uova e trova
riparo: nel Parco è diffuso soprattutto nelle zone boscose caratterizzate da affioramenti rocciosi
intensamente stratificati e fessurati. Gli altri urodeli osservabili nel Parco sono i tritoni crestato,
punteggiato e alpestre, che abitano pozze, abbeveratoi e piccole raccolte d'acqua anche temporanee.
Tra gli anuri sono presenti la rana italica, tipica di torrenti e ruscelli appenninici, e la rana agile, che
preferisce boschi e prati, e depone in raccolte d'acqua stagnante dove vive abitualmente anche la
rana verde. Ancora meno dipendenti dall'acqua sono il rospo comune e l'arboricola raganella, diffusi
in tutta la fascia collinare e in pianura.
Tra i rettili, amanti in genere degli habitat ben soleggiati, ricchi di vegetazione e poco disturbati
dall'uomo, sono presenti tutte le specie tipiche della fascia alto collinare e montana. I sauri più facili
da osservare sono lucertola muraiola e ramarro, mentre decisamente più elusivo è l'orbettino.
Biacco e biscia, o natrice dal collare, sono gli ofidi più frequenti. Meno facili da scorgere sono il
colubro di Esculapio e la vipera comune; quest'ultima, l'unica a rappresentare un pericolo per
l'uomo, è ben riconoscibile per le movenze lente, il corpo breve e tozzo e l'aspetto squadrato del
muso.
Pesci
Tra i pesci la presenza più tipica nei torrenti del Parco è la trota fario, perfettamente adattata alle
fredde e ben ossigenate acque montane, ma soprattutto alle quote più basse sono presenti specie di
Provvedimento di istituzione
Parco istituito nel 1995 con la Legge Regionale del 14 aprile, n.38/95
Disciplinato e gestito in base alla Legge Regionale del 17 febbraio, n.6/95.
Finalità
In attesa dell'approvazione del Piano territoriale del Parco, le finalità sono quelle individuate dalla
legge istitutiva:
1. la conservazione, la tutela e il ripristino degli ecosistemi naturali con particolare riferimento
alle rupi, ai giacimenti fossiliferi e mineralogici, alle specie floristiche e faunistiche rare per
il territorio appenninico bolognese e loro habitat, ai boschi di maggior pregio ecologico e
ambientale;
2. la qualificazione e la promozione dell'attività economica sociale e culturale della
popolazione residente anche al fine di un migliore rapporto uomo - ambiente;
3. la promozione di attività educative, formative e di ricerca scientifica;
4. lo sviluppo e la valorizzazione delle attività culturali, ricreative e turistiche collegate alle
funzioni ambientali e compatibili con esse.
Rete Natura 2000 trae origine dalla Direttiva dell'Unione Europea n. 43/92 denominata "Direttiva
Habitat" finalizzata alla conservazione della diversità biologica presente nel territorio dell'Unione
stessa e, in particolare, alla tutela di una serie di habitat e di specie animali e vegetali
particolarmente rari indicati nei relativi Allegati I e II.
Nel Parco Naturale dei Laghi di Suviana e Brasimone è stata proposta un’area di importanza
comunitaria (SIC) che comprende una superficie di 1.902 ha e intressa il comune di Camugnano.
Il sito è ubicato nella fascia sub-montana e montana del settore centrale dell'Appennino bolognese,
a ridosso del confine con la Toscana, comprende le zone sorgentifere del rio Torto e del torrente
Brasimone e la parte del contrafforte che da Monte Calvi, presso il confine regionale, si estende
verso Nord fino ai balzi del Cigno. Il sito è scarsamente antropizzato e la copertura vegetale è
costituita prevalentemente da boschi di latifoglie, per lo più cedui in conversione all’alto fusto, con
castagneti e rimboschimenti di conifere, da aree a vegetazione arbustiva di ricolonizzazione di ex-
coltivi e da alcune praterie. Il sito è totalmente incluso nel Parco Regionale e un'ampia porzione di
esso, 1.533 ha, ricade nell'Oasi di protezione della fauna "Abetina-Coroncina".
Un habitat di interesse comunitario prioritario copre il 3% della superficie del sito: formazioni
erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia)
con stupenda fioritura di orchidee.
Recenti ricerche indicano la presenza anche dei seguenti habitat di interesse comunitario:
formazioni a Juniperus communis su lande o prati calcicoli, percorsi substeppici di graminacee e
piante annue dei Thero-Brachypodietea, praterie con Molinia su terreni calcarei, torbosi o argilloso-
limosi (Molinion caeruleae), praterie magre da fieno a bassa altitudine (Alopecurus pratensis,
Sanguisorba officinalis), pareti rocciose silicee con vegetazione casmofitica, rocce silicee con
vegetazione pioniera del Sedo-scleranthion o del Sedo albi-Veronicion dillenii, foreste di Castanea
sativa.
Nessuna specie di interesse comunitario. E' tuttavia presente una ricca flora comprendente specie di
interesse conservazionistico perché rare o minacciate, in parte protette dalla legislazione regionale.
La scheda Natura 2000 riporta un elenco di 52 specie.
Tra i mammiferi è regolarmente presente il Lupo (specie prioritaria di interesse comunitario).
Presenti anche due piccoli nuclei di Rhinolophus ferrumequinum e Rhinolophus hipposideros,
Chirotteri di interesse comunitario legati agli ambienti di grotta.
Sono presenti almeno 10 specie di interesse comunitario di uccelli di cui 5 regolarmente nidificanti:
Falco pellegrino, Falco pecchiaiolo, Succiacapre, Tottavilla, Averla piccola. Tra le specie nidificanti
rare e/o minacciate a livello regionale vi sono Quaglia, Torcicollo e Pigliamosche.
Viene segnalatala Salamandrina dagli occhiali Salamandrina terdigitata, specie di interesse
comunitario molto rara nel sito.
Segnalate inoltre quattro specie di invertebrati di interesse comunitario: il Gambero di fiume
Austropotamobius pallipes e i Coleotteri Lucanus cervus, Cerambix cerdo, Osmoderma eremita,
specie prioritaria.
Obiettivi e strategie
La prossima adozione e approvazione del Piano Territoriale del Parco permetterà di avviare
l’attività venatoria all’interno dell’area contigua. Il Regolamento di settore si atterrà ai seguenti
indirizzi, finalizzati al necessario raccordo degli stessi con la pianificazione faunistico-venatoria
provinciale, nonché ad una maggiore coerenza della gestione faunistica fra l’area protetta e il
territorio circostante: la durata del regolamento dovrà essere tale da garantire la coerenza con la
scadenza temporale del Piano Faunistico Venatorio Provinciale.
Per quanto concerne gli ungulati la scelta delle specie cacciabili deriverà non solo dall’analisi delle
carte di vocazione agro-forestale, ma, ovviamente, anche dall’andamento dei dati dei censimenti e
da quello dei danni. Non è previsto, almeno nel prossimo quinquennio, l’inserimento di ulteriori
specie nell’elenco di quelle cacciabili. I periodi di prelievo venatorio dovranno coincidere, di
norma, con quelli previsti negli ATC contermini al Parco in quanto i tempi di prelievo venatorio
devono perseguire la tutela della singola specie. Le modalità di prelievo dovranno essere volte a
ridurre l’impatto dell’attività venatoria, prediligendo nel caso della specie cinghiale la tecnica della
girata e/o del tiro selettivo.
La LR 6/05 all’art. 38 prevede che la pressione venatoria nell’area contigua debba essere inferiore a
quella dei relativi territori cacciabili contermini. Il Parco valuterà se rendere la previsione normativa
ancora più stringente. Si opererà affinché i carnieri e le densità venatorie degli istituti faunistici
limitrofi al Parco vengano coordinati con quelli indicati nel regolamento del Parco. La dimensione
dell’eventuale prelievo in caccia di selezione di ungulati diversi dal cinghiale e in caccia di
selezione e/o in forma collettiva del cinghiale, sarà definita dall’Ente di gestione del Parco, sentito
preventivamente l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. La gestione del cervo, specie simbolo
del Parco, continuerà in forma coordinata con gli altri soggetti coinvolti, attraverso la
partecipazione alla Commissione di Coordinamento del Comprensorio ACATE. Per l’attuazione dei
censimenti al bramito, da svolgersi simultaneamente su tutto il comprensorio, il Parco continuerà ad
avvalersi della collaborazione del mondo venatorio, attraverso la sottoscrizione di apposite
convenzioni.
Cervo: obiettivi e indicazioni gestionali
Il cervo necessita nel Parco di particolari azioni gestionali: è necessario innanzitutto garantire il più
possibile condizioni di tranquillità al cervo, specialmente nei momenti più critici del ciclo annuale
(parti e accoppiamenti). Va quindi individuata un’areale centrale corrispondente all'area più
frequentata dalla specie, nel massiccio di monte Calvi, in cui assicurare una protezione più rigorosa.
Proseguire con i miglioramenti ambientali in grado di offrire habitat più rispondenti alle necessità
della specie e di diminuire l'eventuale pressione di pascolo su colture. Necessità di continuare in
forma standardizzata i censimenti al bramito, indispensabili per tenere sotto controllo l'evoluzione
della popolazione, ai quali associare i censimenti al “primo verde” per individuare la struttura di
popolazione. Valorizzare e gestire in modo intelligente l’interesse naturalistico del cervo sotto
l’aspetto fruitivo. Data la grande mobilità del cervo e gli ampi spazi vitali tipici della specie, è
necessario elaborare per il cervo strategie globali e di prevedere momenti di confronto tra i diversi
soggetti istituzionali coinvolti.
La densità obiettivo individuata è stata ottenuta considerando la carta delle vocazioni faunistiche
della Regione Emilia Romagna e le condizioni di uso agricolo del territorio, giungendo a valori che
consentano di conservare le specie oggetto di gestione a livelli coerenti con lo spirito di un’area
protetta ma anche con le attività antropiche ivi presenti. Per il cervo si ipotizza una densità obiettivo
di 3,5 capi/100 ettari.
Cinghiale: obiettivi e indicazioni gestionali
Il problema è sostanzialmente limitare i rischi di danno da cinghiale nelle aree esterne a vocazione
agricola. In termini concreti un obiettivo gestionale praticabile può consistere: nel ridurre la
Regno: Animalia
Phylum: Chordata
Classe: Aves
Ordine: Falconiformes
Famiglia: Falconidae
Genere: Falco
Specie: Falco tinnunculus
(Linnaeus 1758)
Distribuzione e fenologia
Regioni paleartica, etiopica ed orientale. In Europa è presente ovunque, tranne che in Islanda; in
Italia è cosmopolita. Le popolazioni nordiche ed orientali sono migratrici: sverna nel Centro e Sud
d'Europa ed in Africa. Migratrici regolari, le popolazioni dell’Europa settentrionale e dell’area
sarmatica svernano nel bacino del Mediterraneo e in Africa. Essenzialmente sedentario altrove. La
migrazione autunnale va da agosto a novembre, quella primaverile da febbraio a maggio.
Le coppie riproduttive sono tendenzialmente sedentarie, eventualmente dispersive in inverno con
erratismi verticali condizionati dal grado di copertura nevosa. I migratori transitano soprattutto in
marzo/aprile e a fine-settembre/inizio-ottobre. Da novembre a febbraio, in particolare in certi
distretti favorevoli della pianura e della bassa collina, le densità aumentano per la presenza del
contingente svernante.
Habitat
Ambienti aperti di ogni genere; anche in paesi e città. Fino ai 3000-3500 m., nel Caucaso.
Estremamente adattabile, è diffuso praticamente in ogni tipo di ambiente aperto: coltivi, pascoli,
brughiere, garighe ecc., dal livello del mare fino ad oltre 3000 m. Evita invece le grandi estensioni
forestali. Si adatta facilmente anche ad ambienti urbani e sub-urbani: se tollerato, sopporta anche la
stretta vicinanza dell’uomo e può insediarsi stabilmente all’interno di paesi e città.
Alimentazione
Si ciba soprattutto di piccoli mammiferi, rettili e grossi insetti, raramente anfibi; può catturare anche
uccelli fino alle dimensioni di un passero.
Riproduzione
Nidifica in cavità e anfratti su pareti rocciose, nel cavo di alberi, in vecchi nidi abbandonati da altre
specie, in particolare corvidi; in ambienti più urbanizzati si può trovare su edifici e casolari
abbandonati, torri ecc. Accetta di buon grado anche cassette nido appositamente installate, collocate
su pali, alberi o tralicci, purchè sufficientemente distanti dal suolo e poco disturbate.
Alle nostre latitudini, la deposizione avviene da fine marzo a metà-maggio: su un campione di 75
coppie seguite in Provincia di Bologna, circa il 74% dei casi, in aprile (D. Martelli ined.); età della
prima deposizione 1 anno. L'incubazione è di 27-29 giorni, svolta generalmente dalla femmina.
L’involo dei giovani è riportato da fine giugno per un periodo di 30 giorni; diventano indipendenti a
circa 2 mesi d'età. I giovani di piumaggio sono simili alla femmina. Muta post-riproduttiva
completa tra maggio e l’autunno.
Le coppie riproduttive sono tendenzialmente sedentarie, eventualmente dispersive in inverno con
erratismi verticali condizionati dal grado di copertura nevosa. I migratori transitano soprattutto in
marzo/aprile e a fine-settembre/inizio-ottobre. Da novembre a febbraio, in particolare in certi
distretti favorevoli della pianura e della bassa collina, le densità aumentano per la presenza del
contingente svernante.
Popolazione
Complessivamente diminuito per le persecuzioni sull'intera area
europea. Fluttuante anche per cause naturali (risorse alimentari).
Ancora localmente abbondante, in aumento da protetto. In Italia
viene stimata una popolazione nidificante di 10.000-20.000
coppie.
Status
Copyleft@2009 Tinti Marco 15
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Specie non minacciata a livello regionale.
Grado di protezione:
- Convenzione di Berna Allegato II;
- Classificata da BirdLife International come “SPEC 3”: specie con status di conservazione
sfavorevole e popolazione non concentrata in Europa.
- Classificata nelle Liste Rosse dell'IUCN come categoria “LC, least concern”: a basso rischio.
Distribuzione locale
Appare ancora discretamente diffuso e comune, tuttavia si rilevano notevoli fluttuazioni numeriche
legate anche all'andamento meteorologico invernale. Mentre l’areale distributivo europeo può
essere considerato stabile, è stato rilevato un decremento numerico generalizzato.
In Italia, dove nidificava regolarmente in molte città, è fortemente diminuito a partire dal secondo
dopoguerra e attualmente è probabilmente ancora al di sotto delle potenzialità ambientali. Le cause
sono attribuibili alle persecuzioni, agli abbattimenti nel periodo di caccia e ai cambiamenti nella
conduzione agricola dei terreni. E’ possibile che anche l’agricoltura chimicizzata abbia influito
come fattore limitante, ma la documentazione scientifica è carente in tal senso.
Attualmente la popolazione italiana viene stimata in 10-20.000 coppie.
In Emilia Romagna è presente come nidificante, migrante e svernante.
La distribuzione nota in periodo riproduttivo interessa il 59% del territorio (98 tavolette), con
nidificazione accertata nel 44,5% (74 tavolette). L’areale riproduttivo comprende gran parte della
fascia appenninica fino a circa 1.500 m di altitudine, mentre appare più raro in pianura. La
popolazione nidificante viene stimata in 500-800 coppie, stabile e con produttività nella norma; i
contingenti migratori sono alcune migliaia di individui, quelli svernanti alcune centinaia.
Nel territorio della Provincia di Bologna la specie è sedentaria, migratrice e svernante; nel periodo
1995-1999 è stata stimata, sulla base di censimenti in aree campione, una popolazione nidificante di
180-250 coppie. Nidifica dal crinale alle quote inferiori, con le massime concentrazioni entro la
fascia collinare e in alcune zone adatte della pianura centro-orientale. Complessivamente è presente
con bassa densità: 1,2 coppie/kmq in un’area di 200 kmq del basso Appennino bolognese. La
colonizzazione dell’ambiente planiziale è un fenomeno dell’ultimo decennio, iniziato con
l’occupazione progressiva dei bacini di bonifica, secondo un gradiente di densità decrescente in
senso est-ovest.
Da una decina di anni è localmente in espansione, soprattutto per la diminuzione degli abbattimenti.
Una delle conseguenze più evidenti dovuta all’abbandono dei terreni agricoli e pastorali è la
contrazione degli habitat aperti, soprattutto di prato e pascolo nelle aree marginali. Tale progressiva
“chiusura” è una delle cause di riduzione della biodiversità in questi territori, in particolare nei
confronti di alcune specie vegetali. “Il forte abbandono della montagna verificatosi a partire dal
secondo dopoguerra è da ritenersi alla base di importanti cambiamenti ambientali, con la
rarefazione dei campi e dei prati-pascoli e lo sviluppo di praterie arbustate, boscaglie e boschi di
varia composizione “(Ponzetta et al. 2007).
Il grande valore ecologico e faunistico delle aree aperte che comprendono fasce di ecotono è
testimoniata da un’elevata ricchezza floristica in queste zone di transizione. Questa complessità
vegetazionale attira la presenza di animali che scelgono tali aree come zone di alimentazione e
riproduzione. Durante il processo di successione secondaria che segue l’abbandono dei terreni dalle
pratiche agro-silvo-pastorali, le specie ecologicamente più specializzate tendono a scomparire in
favore di specie più competitive. Queste superfici sono spesso invase principalmente da rovo,
ginestra dei carbonai, cardi, cardine e la felce aquilina (Pteridium aquilinum), specie
particolarmente invadente che può determinare un rapido peggioramento delle condizioni
ambientali e di produttività degli habitat aperti e abbandonati dei territori marginali di collina e
montagna.
I primi risultati di uno studio realizzato nel Parco Regionale dei Laghi di Suviana e Brasimone
(BO), hanno confermato lo scarso valore naturalistico, pabulare e faunistico delle aree invase dalla
felce. Questa pianta deprime notevolmente la diversità floristica rendendo eccessivamente
omogenei e poveri gli ambienti infestati.
Nel territorio del Parco Regionale dei Laghi di Suviana e Brasimone, versante bolognese
dell’ACATE, è in corso un’interessante progetto di ricerca (Ponzetta et al. 2007) realizzato
in collaborazione tra il CIRSEMAF (Centro Interuniversitario di Ricerca sulla Selvaggina e sui
Miglioramenti Ambientali a fini Faunistici) e l’ex INFS. Questo progetto si collega ad un
programma di interventi di miglioramento ambientale che hanno portato all’individuazione di tre
aree idonee, all’interno delle quali, si attua il taglio andante della vegetazione mediante sfalcio e
trinciatura con l’utilizzo di idoneo mezzo meccanico. La ripulitura del terreno prevede il
mantenimento di tutte le piante arboree e della vegetazione arbustiva costituita da essenze
utili dal punto dell’offerta trofica: Prugnolo (Prunus spinosa L.), Biancospino (Crataegus
monogyna Jacq.), Rosa canina L., ecc. Sono state effettuate semine di essenze erbacee
autoctone: Festuca spp., Ginestrino (Lotus corniculatus L.), Erba medica (Medicago sativa L.),
Trifoglio (Trifolium spp.), Sulla (Hedysarum coronarium L.). Queste lavorazioni si rendono
necessarie per il contenimento della Felce.
Una buona gestione delle aree aperte può avere ripercussioni importanti sulle comunità
ornitiche legate a questi ambienti, quasi tutte specie di rilevanza conservazionistica, alcune in
drammatico regresso in tutta Europa.
In particolare il gheppio possiede grandi capacità diadattamento, ma i luoghi di caccia che predilige
sono le zone aperte, anche antropizzate, dove si nutre di piccoli mammiferi, pipistrelli, insetti,
lucertole, molti invertebrati ed uccelli di piccole e medie dimensioni. Come tutti i Falconiformi è
dotato di 15 vertebre del collo, che gli consentono di girare il capo di 180° ed osservare le prede da
grandi distanze; caccia in volo esplorativo o da posatoio, spesso preferenziale, e le prede vengono
generalmente catturate a terra dopo una picchiata a tappe. Queste abitudini di caccia richiedono un
adeguato spazio aperto, e relativi punti d'osservazione.
Il progetto presuppone quindi l'installazione di nidi artificiali montati su pali di castagno venga
attuata in zone di radura boschiva al limitare di spazi aperti. Tale miglioramento sarà volto a
favorire la nidificazione del gheppio comune (Falco tinnunculus), specie poco presente nel Parco,
un paio di coppie, e limitata molto probabilmente dalla mancanza di disponibilità di siti idonei
legati alle risorse alimentari, dalle persecuzioni per abbattimenti nel periodo di caccia, e dai
I nidi artificiali sono importanti per gli studi ornitologici sulla biologia riproduttiva degli uccelli
nidificanti in cavità, con il rilevamento del successo riproduttivo e l’inanellamento dei pulli, tutte
azioni importanti per sviluppo della ricerca scientifica finalità stesse delle aree protette. Si creano le
condizioni, affinché possano essere svolte quelle attività di ricerca applicata che portano risposte di
tipo pratico indispensabili per una globale gestione del parco.
Le basi di una buona ricerca sono necessariamente le attività di monitoraggio standardizzato sia per
l’occupazioni dei nidi stessi sia per il raccoglimento di dati riguardo i cicli riproduttivi.
Il progetto prevede, quindi, una proposta di monitoraggio e manutenzione dei nidi per gli anni
successivi alla realizzazione del progetto stesso.
Un primo immediato risultato sarà la valutazione se la scarsa presenza del Gheppio sia dovuta a
mancanza di siti idonei e relativi ambienti trofici o se cambiamenti ambientali stanno spingendo la
specie stessa a nidificare in zone planiziali. A partire della primavera successiva all'installazione, i
nidi sono da monitorare costantemente per stabilire se siano o meno occupati da questa specie. Il
monitoraggio si concentra nel periodo in cui la nidificazione ha luogo, cioè primavera-estate, ma
anche negli altri periodi dell’anno. Questo consiste nell’osservazione diretta dentro e intorno al nido
con il binocolo e il cannocchiale e l’aiuto di una scala. Si devono raccogliere anche tutti gli indizi di
presenza come piume, borre e resti di preda.
Visto l’esito positivo di progetti simili sia a livello italiano che a livello europeo riteniamo molto
probabile l’aumento di presenze, soprattutto in siti facilmente monitorabili, creando le condizioni
ottimali affinché si possano sviluppare nuovi lavori di ricerca, aumentando il materiale scientifico al
riguardo.
Qui di seguito elenchiamo alcuni progetti realizzata nel territorio italiano che hanno portato tutti un
esito positivo, ovvero un aumento nel numero di specie:
Ornis Italica Associazione Italiana Ricerca Fauna Selvatica: Progetto Ali ed Energia (Roma)
Inizialmente installati 30 nidi su tralicci delle linee dell’alta tensione di ACEA il progetto “Ali ed
energia” Acea ha aumentato il numero di siti di nidificazione utilizzati da rapaci come il gheppio e
l’allocco. Questo intervento è stato molto importante se si pensa che la campagna romana offre
un’ottima disponibilità di prede come topolini, lucertole o cavallette, ma scarsi siti sopraelevati,
idonei per la nidificazione.
Ultimo aspetto ma non di minor valore,è il valore eco-turistico, con il coinvolgimento delle guide
ambientali e delle scolaresche per l’osservazione diretta dei nidi, vedendo l’educazione ambientale
sia come un introito economico che valorizza le attività sia come mezzo indispensabile per ricreare
quel legame perso negli anni tra uomo e natura.
Nella scelta dei siti è stato fatto in modo che sia prospicente a grandi appezzamenti prativi, meglio
se stabili, poiché c’è più entomofauna e microteriofauna e condizioni idonee per poter cacciare.
Nell’installazione dei nidi bisogna tener conto delle fasi riproduttive della specie.
- Inverno: ispezione del nido da parte degli adulti, generalmente il maschio.
- Tardo inverno/inizio primavera: attività territoriali del maschio con canto e parate nei pressi del
nido, formazione della coppia; ispezione del nido da parte della coppia.
- Primavera : trasporto materiale per imbottire la cavità; frequenti visite mentre l'altro partner cova
le uova; visite più frequenti dopo la schiusa delle uova e la nascita dei pulcini, con trasporto di
insetti nel becco e allontanamento dei sacchi fecali.
- Primavera/estate: involo dei giovani; nutrizione dei giovani fuori dal nido per alcuni giorni prima
dell'indipendenza.
Deduciamo, quindi che un periodo idoneo, soprattutto rispetto al disturbo, potrebbe essere in
autunno/inverno. Individuiamo indicativamente nel mese di dicembre l’inizio dei lavori preliminari
su campo, per giungere nel mese di febbraio all’installazione dei nidi stessi.
L’installazione deve avvenire in luogo riparato e tranquillo che però garantisca una facile
accessibilità: la libera traiettoria è essenziale.
L’altezza di applicazione dovrà essere compresa tra i tre e gli otto metri.
Il nido non deve essere inclinato verso l'alto, ma in posizione parallela al suolo o leggermente
inclinato verso il basso per essere riparato da pioggia e sole. Il supporto deve essere ben saldo e
poco oscillante, e il fissaggio del nido ben sicuro.
L'esposizione più favorevole è verso Ovest oppure SudEst, anche se l’accortezza dev'essere quella
di limitare l’irradiamento diretto dei raggi solari, al fine di creare il minor stress termico ai pulli.
Sul fondo della cassetta verrà lasciato un po’ di materiale assorbente come terriccio, segatura o
sabbia, per facilitare le opere di manutenzione.
Foro d’involo 40 x 22 cm
Altezza foro-pavimento 8 cm
Dimensione pavimento 40 x 30 cm
Progetto numero 1
Progetto numero 2
Progetto numero 4
PREZZARIO
NB: il preventivo soprastante è stato redatto calcolando un ipotetico prezzo standard dei nidi
prefabbricati, in base ad una media rispetto ai dati acquisiti. Nel caso di costruzione autonoma o
ordinazione all'estero il prezzo calerà o aumenterà di conseguenza.
Dato il costo contenuto riteniamo che il progetto sia inseribile all’interno del bilancio del parco.
La misura risulterà sicuramente necessaria per valutare se la scarsa presenza del Gheppio sia dovuta
a mancanza di siti idonei e relativi ambienti trofici o se cambiamenti ambientali stanno spingendo la
specie stessa a nidificare in zone planiziali.
Visto l’esito positivo di progetti simili sia a livello italiano che a livello europeo riteniamo molto
probabile l’aumento di presenze, soprattutto in siti facilmente monitorabili, creando le condizioni
ottimali affinché si possano sviluppare nuovi lavori di ricerca, aumentando il materiale scientifico al
riguardo.
La presenza di un maggior numero di rapaci nel territorio avrà una ripercussione positiva sulla
gestione dei terreni agricoli, ovvero si creerà un effetto di mitigazione sui danni ali coltivi.
I rapaci spaventano l’avifauna riducendone la presenza, si nutre di micromammiferi come le
arvicole , la presenza gioverà sicuramente al contadino.
Riteniamo, quindi che attraverso una buona politica di informazione si potranno coinvolgere anche i
comuni interessati, per ampliare il progetto anche verso le zone al di fuori del parco, utilizzando