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Progettazione d’interventi di miglioramento ambientale per il

Falco tinnunculus L. nel Parco dei Laghi di Suviana e


Brasimone
Lucchetta V., Tinti M.
INQUADRAMENTO TERRITORIALE

DESCRIZIONE GEOGRAFICA

Il progetto si inserisce all’interno dell’area del Parco Naturale dei Laghi di Suviana e Brasimone.

Coordinate geografiche: Latitudine: 44°05'28"-44°08'58"N,


Longitudine: 11 °01'50"-11°08'34"E
Descrizione geografica: provincia di Bologna, interessa i comuni di Camugnano, Castel di
Casio e Castiglione dei Pepoli, e la Comunità Montana Alta e Media
Valle del Reno.
Altitudine: dai 468 ai 1.283 m (monte Calvi) slm
Estensione complessiva: 3.329,86 ha, di cui: 414,43 ha zona B -> zona di riserva orientata
1.681,96 ha zona C -> zona di riserva parziale
1.233,47 ha area contigua

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condizione che questa nota sia riprodotta e sia citata la fonte.
Descrizione
Il Parco si estende nel settore centrale della montagna bolognese, intorno a
due ampi bacini realizzati a scopo idroelettrico dai primi del Novecento,
Suviana e Brasimone. Dal crinale la dorsale formata dal monte Calvi e dal
monte Stagno si prolunga separando le valli dei torrenti Brasimone e
Limentra di Treppio, principali immissari dei due laghi.
Boschi misti di querce, faggete e rimboschimenti di conifere rivestono
quasi per intero i versanti e le arenarie dei principali rilievi nella parete
occidentale della dorsale e a valle del bacino del Brasimone, formando il
fronte dei Cinghi delle Mogne. Nei boschi sulle pendici più dolci si aprono
vaste radure un tempo lasciate al pascolo e vecchi coltivi riconquistati dalla
vegetazione spontanea. Folti castagneti si incontrano intorno a Mogne e a
Porranceto; negli ultimi decenni la diminuita presenza umana ha favorito
l'incremento della fauna selvatica, tra cui spiccano per importanza i cervi.
Oggi l'area compresa all'interno del Parco si presenta decisamente molto
più boscata e più ricca di fauna rispetto a trent'anni fa. I profondi
mutamenti del paesaggio tutt'ora in corso sono ad un punto cruciale e
vanno guidati attraverso scelte gestionali corrette, per non compromettere il patrimonio
faunistico attualmente presente.

Genesi del territorio e caratteristiche geomorfologiche


L'ossatura geologica delle montagne del Parco si può leggere osservando l'orografia: il confine tra
rocce di natura diversa si manifesta con nitidi passaggi morfologici e notevoli mutamenti
nell'assetto generale del paesaggio.
I rilievi più meridionali comprendono parte del crinale tosco-emiliano e le dorsali di Monte Calvi e
Monte Gatta: hanno versanti molto ripidi, rivestiti dai boschi, e sono incisi da valli profonde, con
tratti dirupati dove emergono tra la rada vegetazione rocce arenacee nitidamente stratificate.
Scendendo a quote più basse i versanti diventano meno acclivi, con un netto gradino morfologico a
cui si accompagna un allargamento della sezione della valle. Al termine dei pendii arenacei un
mosaico di appezzamenti coltivati e arbusteti riveste con continuità i versanti, a tratti segnati da
incisioni calanchive e lunghe lingue di frana, dove affiorano grigie rocce argillose punteggiate da
frammenti più chiari. In questi pendii le condizioni di stabilità dei versanti sono precarie, e solo gli
insediamenti storici aiutano a riconoscere le aree più stabili. I maggiori centri abitati della zona
(Badi e Castiglione dei Pepoli) sono localizzati ivece in prossimità del passaggio tra arenarie e
argille, dove esistono terreni abbastanza stabili, acque sorgive al contatto tra le permeabili rocce
arenacee e le impermeabili argille, possibilità di coltivare i pendii più dolci e sfruttare i boschi
soprastanti.
Le rocce argillitiche che affiorano nella fascia sottostante alle arenarie sono riferite alla Formazione
di Ponte della Venturina, compresa nell'Unità di Sestola-Vidiciatico, mentre più a nord, oltre il
Monte di Baigno, i terreni argillosi appartengono alla antichissima coltre rocciosa tradizionalmente
nota con il nome di "Argille Scagliose", che si estende lungo le vallate bolognesi da queste altitudini
sino alle zone pedecollinari. In entrambe queste unità si osserva un insieme di rocce diverse che
hanno origine dalla sedimentazione su fondali marini profondi, in corrispondenza e ai margini di
un'antica area oceanica che si aprì tra la fine del Giurassico e il Cretacico (140-80 milioni di anni
fa) chiamato Oceano Ligure. Nel corso dell'orogenesi appenninica che avuto inizio con la chiusura
dell'oceano, queste successioni sedimentarie hanno subito uno spostamento di oltre 100 km rispetto
alle aree di origine, scompaginandosi e deformandosi profondamente. In queste unità la matrice
prevalente, formata da argilliti e argille, avvolge frammenti di calcari e arenarie ai quali si
aggiungono, nelle "Argille Scagliose", anche ofioliti, la più diretta testimonianza dell'antico oceano.

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Lungo il crinale tra Limentra e Brasimone, in prossimità di Serra del Zanchetto, se ne può ammirare
un interessante affioramento che si estende verso la sella di Poranceto. Si tratta di rocce dai toni
scuri, che vanno dal nero al blu-azzurrognolo delle serpentiniti, fino al verde acqua delle porzioni
tenerissime e untuose al tatto per l'abbondanza di talco. In questo particolare affioramento si
incontrano ammassi di dimensioni variabili dove spiccano, come in un insolito manto maculato, due
minerali diversi: pirosseno e plagioclasio, che formano il gabbro eufotide, formato a partire da un
magma basico che si solidificò molto lentamente sotto le antiche dorsali che attraversavano
l'Oceano Ligure.
La maggior parte delle montagne del Parco è modellata nelle arenarie, come si può osservare lungo
gli affioramenti più estesi che caratterizzano le pendici occidentali del Monte Calvi e di quello di
Stagno, in cui si notano segni di erosione selettiva che incide con maggiore rapidità i livelli meno
cementati. Si tratta di rocce sedimentarie risalenti al Miocene medio (23-17 milioni di anni fa),
quando al posto della attuale catena si trovava un modesto corrugamento al cui fianco si sviluppava
un profondo e allungato bacino marino chiamato avanfossa. Le arenarie che affiorano nel Parco
appartengono alla Formazione delle Arenarie del Monte Cervarola e la composizione dei granuli
che le compongono ha mostrato che essi provengono dall'erosione di rilievi alpini: la fonte che
alimentava le torbide durante il Miocene erano dunque gli ambienti costieri ai piedi delle montagne
che chiudevano a nord l'avanfossa appenninica.

Climatologia
Il clima dell'Emilia-Romagna è di tipo prevalentemente sub-continentale con inverni rigidissimi ed
estati afose e calde.
In inverno sono presenti precipitazioni nevose che dalla montagna possono estendersi fino alla
pianura e nebbia abbastanza frequente, dove si raggiungono temperature rigide con giornate di gelo
e nebbia che non riesce a dissolversi, mantenute spesso prossime allo zero. Durante la notte può
scivolare al di sotto dello zero, sviluppando talvolta estese gelate.
In estate l'afa la fa da padrona e le temperature sono molto alte, vi sono elevati tassi di umidità, in
particolare nelle zone pianeggianti, mentre nelle zone montuose il caldo risulta meno opprimente;
tuttavia durante tale periodo soleggiato si possono sviluppare temporali anche di forte entità.
L'autunno è molto umido, nebbioso e fresco fino alla metà di novembre;con il procedere della
stagione diventa via via più freddo fino ad avere caratteristiche prettamente invernali.
La primavera rappresenta la stagione di transizione per eccellenza, fredda o per contro un anticipo
d'estate, ma nel complesso mite. La piovosità è concentrata in primavera e in autunno su livelli
inferiori rispetto alle regioni a nord del Po: ciò determina un regime idraulico a carattere
prevalentemente torrentizio con periodi siccitosi che possono prolungarsi fino ad autunno inoltrato.
L'Emilia-Romagna ha fondamentalmente due climi, che poi possono essere divisi: il padano e il
montano. Il clima risulta pertanto essere influenzato da tre fattori: il continentale, decisamente il più
presente, quello lieve del Mare Adriatico che mitiga solo le aree costiere, e quello appenninico.
Il clima della fascia montana è fortemente influenzato dall'altitudine, ma anche dall'esposizione al
sole e al vento. Generalmente ha inverni molto più freddi della pianura, con minime costantemente
sottozero nei mesi più freddi e temperature minime che possono raggiungere i -15°, -20°. La neve
cade da novembre a marzo, ma spesso alcune spolverate sui rilievi più alti avvengono anche in
ottobre e in aprile. In un anno cade almeno un metro di neve anche a quote inferiori ai 700 mt., che
arriva anche a 1,5 m a 800 mt. Ha temperature estive gradevoli, con media delle massime sui 25-
28° in luglio, ma punte di 30-35° e minime sui 10-15°. L'estate è in generale breve e l'autunno inizia
già a settembre, diventando freddo dopo la metà di ottobre; anche la primavera è breve e fresca,
inizia in aprile e termina in giugno.

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FITOCENOSI E ZOOCENOSI

Querceti e castagneti
Dalle quote più basse del Parco fino a 800-900 m si incontrano boschi misti di latifoglie in estese
formazioni, soprattutto sui versanti settentrionali, dove le pendenze elevate e le condizioni
climatiche più fresche e umide hanno in passato limitato i disboscamenti. Questi boschi, da sempre
sfruttati dall'uomo, hanno sviluppo modesto, con numerose ceppaie ceduate e isolati alberi ad alto
fusto di buone dimensioni.
Fra gli alberi prevalgono roverella, orniello e carpino nero, quest'ultimo dominante sui suoli poveri
e nei boschi molto sfruttati; sui substrati argillosi invece la quercia più diffusa è il cerro; le
formazioni più ricche comprendono anche acero campestre, ciliegio selvatico, olmo campestre,
sorbo domestico, ciavardello e maggiociondolo. Nel sottobosco crescono arbusti di biancospino,
corniolo, berretta da prete, nocciolo, madreselva pelosa e liane come l'edera e il caprifoglio;
frequenti sono anche le basse macchie sempreverdi di laureola. In primavera, dopo le fioriture
giallo-verdastre degli ellebori, sulla lettiera risaltano quelle di viole, primula, polmonaria, erba
trinità, mentre in estate spiccano le orchidee Dactylorhiza maculata e le più rare Orchis mascula e
Cephalanthera rubra.
In passato molti boschi misti del Parco sono stati sostituiti da castagneti da frutto che hanno svolto
un ruolo fondamentale nell'economia montana di un tempo; oggi queste formazioni sono in gran
parte abbandonate o convertite in cedui e si presentano ricche di alberi e arbusti tipici dei boschi
limitrofi. Nel Parco, tuttavia, esistono ancora alcuni castagneti da frutto, come quello intorno a
Poranceto: esemplari ad alto fusto ombreggiano un sottobosco ripulito periodicamente per
agevolare la raccolta dei frutti, nel quale crescono radi arbusti e piante erbacee tra cui la
comunissima felce aquilina, la ginestra dei carbonai e il brugo, caratteristiche di suoli acidi o a
scarsa fertilità.

Boschi di faggio
Gran parte dei versanti montani sono rivestiti da boschi di faggio che risalgono fino alle cime più
elevate. Alle quote più basse si mescolano ad alberi e arbusti tipici dei querceti sottostanti: sui
substrati arenacei è facile incontrare boschi misti di faggio e castagno, derivati da vecchi castagneti
da frutto abbandonati, nei quali si stanno gradualmente ripristinando condizioni più naturali. A
partire dai 900 m di quota il faggio, favorito dal clima più fresco e dagli intensi tagli di ceduazione
di un tempo, tende a formare boschi puri in cui solo di rado trovano posto altre specie arboree come
acero di monte e sorbo montano. Fra gli arbusti compaiono il maggiociondolo alpino e il nocciolo,
che lungo le sponde dei rii convive con salice rosso e salice ripaiolo. Nel corso della primavera e
fino alla tarda estate nel sottobosco si susseguono le fioriture di numerose erbacee tipiche delle
faggete appenniniche: anemone dei boschi, dentaria minore, geranio nodoso, acetosella, euforbia
delle faggete, lattuga dei boschi, garofanino di montagna e l'orchidea Epipactis helleborine. Più di
rado si incontrano erba crociona, mercorella, pigamo colombino, aquilegia scura e sigillo di
Salomone maggiore. A volte il sottobosco è molto povero e prevale l'erba lucciola, simile a una
graminacea, che segnala le formazioni più degradate. Le faggete più fresche ospitano anche diverse
felci, tra cui i grandi cespi di felce maschio e felce femmina, la piccola Gymnocarpium dryopteris,
la felce dolce e la rara lingua cervina.

Arbusteti e rimboschimenti
I boschi del Parco si alternano spesso a radure, in parte arbustate e in parte occupate da
rimboschimenti, derivate da passati disboscamenti per ricavare prati, pascoli o, più di rado,
seminativi. Solo vicino agli insediamenti abitati e nelle aree più facilmente raggiungibili rimangono
praterie da sfalcio, spesso recintate. Gran parte delle radure prative sono state invece abbandonate e
gradualmente ricolonizzate da una vegetazione pioniera che ha dato vita ad arbusteti più o meno
fitti, in evoluzione verso formazioni più ricche e complesse.

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Dove il suolo è argilloso prevalgono rose selvatiche, ginepro, perastro, citiso, biancospino e
prugnolo, spesso avvolti da rovo e vitalba. Su terreni di natura arenacea è invece diffusa una
vegetazione pioniera adattata all'acidità del substrato dove domina la felce aquilina con estese e fitte
praterie, accompagnata da brugo, ginestra dei carbonai e camedrio scorodonia.
Nel territorio del Parco si incontrano estesi rimboschimenti di conifere, generalmente monospecifici
e coetanei, eseguiti sia per stabilizzare versanti con l'impianto di specie pioniere come pino nero e
pino silvestre, sia per produrre legname da resinose pregiate come abete bianco, abete rosso e abete
di Douglas; per consolidare pendici e scarpate viene impiegato anche l'ontano napoletano,
originario del meridione. Nei rimboschimenti adulti le chiome ravvicinate oscurano la spessa
lettiera di aghi, sulla quale crescono isolati arbusti e poche erbacee che invece si accalcano ai
margini degli impianti. Nei rimboschimenti giovani o più diradati invece il sottobosco vegeta
rigoglioso e comprende piante acidofile e altre tipiche delle praterie aride come ononide spinosa,
caglio zolfino e la rara genziana minore.

Piante rupestri
Gli ambienti rocciosi del Parco, per quanto poco estesi, rivestono un grande interesse botanico
poichè ospitano una vegetazione non influenzata dalle attività antropiche. Isolati esemplari arborei
dallo sviluppo stentato indicano le zone di affioramento roccioso in cui si accumula un sottile strato
di suolo, mentre nei tratti più scoperti e accidentati la povertà del substrato, la forte insolazione e la
prolungata aridità consentono la crescita solo a pochi arbusti e piante erbacee. La roccia appare
spesso colorata licheni crostosi e fogliosi. Tra le piante appena più esigenti prevalgono le specie
xerofile: frequente è il brachipodio, una graminacea che forma spesso sugli affioramenti di roccia
lembi di prateria; lo accompagnano ononide spinosa, camedrio comune ed erica arborea, tutti
arbusti a distribuzione mediterranea. Sulla roccia sono frequenti anche l'elicriso, il timo, la stellina
purpurea, l'eliantemo maggiore e varie borracine succulente. Gli affioramenti rocciosi del Parco
custodiscono anche piccole piante rupicole ritenute rare in ambito regionale: la Saxifraga
paniculata dalle rosette di foglie coriacee bordate di bianche secrezioni calcaree e il Sempervivum
arachnoideum, le cui rosette di foglie succulente sono rivestite da un fitto feltro di peli.

Mammiferi
Tra i mammiferi la specie più rappresentativa è senza dubbio il cervo, tornato ad abitare queste
montagne da alcuni decenni. Gli esemplari osservabili nel Parco derivano dai pochi cervi liberati
dal Corpo Forestale dello Stato nel 1958 e nel 1965 nell'alto Pistoiese, all'interno della foresta
demaniale dell'Acquerino: si tratta di una popolazione di ottima qualità, con maschi di grande taglia
dotati di palchi ben ramificati. Il territorio del Parco rappresenta la porzione principale dei quartieri
degli amori del cervo sul versante emiliano dell'areale di distribuzione. Piuttosto comune è un altro
ungulato, il cinghiale, che lascia quasi ovunque le inconfondibili tracce del suo passaggio: grufolate,
trottoi, insogli. Più raro ed elusivo è il capriolo, qui legato soprattutto ai cespuglieti e ai cedui fitti. Il
daino, una specie estranea alla fauna originaria, è avvistabile con una certa facilità solo nella fascia
più periferica del Parco.
Degna di nota è la comparsa sporadica del lupo, tornato ad abitare l'Appennino settentrionale solo
dagli anni '80 e irregolarmente richiamato nel territorio del Parco dalla presenza di buone densità di
ungulati selvatici. Altri carnivori sicuramente presenti sono volpe, tasso, faina e donnola.
Tra i micromammiferi terrestri non mancano roditori come scoiattolo, ghiro, moscardino, topo
selvatico e arvicola rossastra, e insettivori come talpa e crocidura minore. Nelle aree aperte, con un
po' di fortuna, si può osservare la lepre. Agli inizi degli anni ‘90 ha fatto la sua comparsa una specie
piuttosto insolita, l'istrice, a prevalente diffusione africana ma presente anche in Italia centro-
meridionale e in netta espansione verso nord negli ultimi decenni. Grotte e vecchi castagni ospitano,
infine, alcune importanti specie di chirotteri, animali rari e particolarmente bisognosi di tutela.

Uccelli
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Nel territorio del Parco, oltre alla maggior parte delle specie del basso e medio Appennino, sono
presenti soprattutto durante le migrazioni, anche uccelli tipici delle zone umide: cormorani,
gabbiani comuni e reali, svassi maggiori e anatre come il germano reale. Essi trovano infatti,
soprattutto nel lago di Suviana, un luogo di alimentazione e sosta durante il superamento
dell'Appennino: nel medesimo lago è facilmente osservabile, e probabilmente nidificante, il martin
pescatore. Altre specie osservabili intorno ai due bacini e lungo i principali corsi d'acqua sono la
ballerina gialla, poco diffusa, la ballerina bianca e il merlo acquaiolo, abbastanza frequente sulle
sponde del Limentra.
Tra i rapaci, oltre a specie come gheppio, poiana, sparviero e allocco, è da segnalare la nidificazione
regolare del falco pecchiaiolo. Come in altre zone dell'Appennino settentrionale l'aquila reale, per
quanto non nidificante, è di comparsa più o meno regolare con individui immaturi.
Tra le specie di maggiore interesse spiccano codirosso, pigliamosche, picchio muratore, torcicollo,
rampichino, picchio rosso maggiore e picchio verde, tutti localizzati nelle poche zone con castagneti
maturi che offrono cavità per la nidificazione. Particolarmente diffuse e numerose sono invece le
specie legate ai boschi cedui, tra le quali spiccano il colombaccio, molto raro come nidificante in
Emilia-Romagna, e la bigia grossa, segnalata sino agli inizi degli anni '90; molto abbondanti sono la
tortora, soprattutto nei boschi giovani di querce, e il succiacapre, su prati e cespuglieti radi.
L'espansione dei cespuglieti, in seguito all'abbandono di seminativi e pascoli, ha favorito specie
tipiche di questi ambienti come zigolo nero, sterpazzola, sterpazzolina e, quando i cespuglieti si
trasformano in boscaglie, prispolone, canapino e luì bianco. Nelle praterie rimaste, oltre alla
comune allodola, sono presenti la tottavilla e la quaglia, specie difficile da osservare allo scoperto
ma della quale è facile udire il canto monotono del maschio.
La maggior ricchezza specifica è rintracciabile nelle situazioni ecotonali, ben rappresentate
nell'area centrale del Parco presso il Monte Calvi: qui la presenza di un mosaico di ambienti,
dall'incolto erbaceo al bosco ceduo invecchiato, al rimboschimento di conifere, al felceto,
all'arbusteto, garantisce un'elevata eterogeneità ecologica con effetti positivi sulla comunità
ornitica. Visto nel suo complesso, il popolamento di uccelli nidificanti nel territorio del Parco
appare abbastanza ricco di specie: 67 accertate e 7 potenziali da verificare.

Anfibi e rettili
Tra gli anfibi del Parco spicca la salamandra pezzata, una specie rara e localizzata lungo il crinale
appenninico che frequenta i boschi di faggio solcati da limpidi ruscelli. Del tutto terricolo è anche il
geotritone, strettamente legato agli umidi ambienti del suolo, nelle cui cavità depone le uova e trova
riparo: nel Parco è diffuso soprattutto nelle zone boscose caratterizzate da affioramenti rocciosi
intensamente stratificati e fessurati. Gli altri urodeli osservabili nel Parco sono i tritoni crestato,
punteggiato e alpestre, che abitano pozze, abbeveratoi e piccole raccolte d'acqua anche temporanee.
Tra gli anuri sono presenti la rana italica, tipica di torrenti e ruscelli appenninici, e la rana agile, che
preferisce boschi e prati, e depone in raccolte d'acqua stagnante dove vive abitualmente anche la
rana verde. Ancora meno dipendenti dall'acqua sono il rospo comune e l'arboricola raganella, diffusi
in tutta la fascia collinare e in pianura.
Tra i rettili, amanti in genere degli habitat ben soleggiati, ricchi di vegetazione e poco disturbati
dall'uomo, sono presenti tutte le specie tipiche della fascia alto collinare e montana. I sauri più facili
da osservare sono lucertola muraiola e ramarro, mentre decisamente più elusivo è l'orbettino.
Biacco e biscia, o natrice dal collare, sono gli ofidi più frequenti. Meno facili da scorgere sono il
colubro di Esculapio e la vipera comune; quest'ultima, l'unica a rappresentare un pericolo per
l'uomo, è ben riconoscibile per le movenze lente, il corpo breve e tozzo e l'aspetto squadrato del
muso.

Pesci
Tra i pesci la presenza più tipica nei torrenti del Parco è la trota fario, perfettamente adattata alle
fredde e ben ossigenate acque montane, ma soprattutto alle quote più basse sono presenti specie di

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minori dimensioni come vairone e ghiozzo. Alcuni ruscelli ospitano ancora consistenti popolazioni
di gambero di fiume, indicatore di acque incontaminate che negli ultimi decenni è andato via via
scomparendo in molti corsi d'acqua appenninici.

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SCHEDA TECNICA

Provvedimento di istituzione
Parco istituito nel 1995 con la Legge Regionale del 14 aprile, n.38/95
Disciplinato e gestito in base alla Legge Regionale del 17 febbraio, n.6/95.

Finalità
In attesa dell'approvazione del Piano territoriale del Parco, le finalità sono quelle individuate dalla
legge istitutiva:
1. la conservazione, la tutela e il ripristino degli ecosistemi naturali con particolare riferimento
alle rupi, ai giacimenti fossiliferi e mineralogici, alle specie floristiche e faunistiche rare per
il territorio appenninico bolognese e loro habitat, ai boschi di maggior pregio ecologico e
ambientale;
2. la qualificazione e la promozione dell'attività economica sociale e culturale della
popolazione residente anche al fine di un migliore rapporto uomo - ambiente;
3. la promozione di attività educative, formative e di ricerca scientifica;
4. lo sviluppo e la valorizzazione delle attività culturali, ricreative e turistiche collegate alle
funzioni ambientali e compatibili con esse.

RETE NATURA 2000

Rete Natura 2000 trae origine dalla Direttiva dell'Unione Europea n. 43/92 denominata "Direttiva
Habitat" finalizzata alla conservazione della diversità biologica presente nel territorio dell'Unione
stessa e, in particolare, alla tutela di una serie di habitat e di specie animali e vegetali
particolarmente rari indicati nei relativi Allegati I e II.

Nel Parco Naturale dei Laghi di Suviana e Brasimone è stata proposta un’area di importanza
comunitaria (SIC) che comprende una superficie di 1.902 ha e intressa il comune di Camugnano.

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Legenda:

SIC SIC e ZPS limite sito limiti altri


ZPS individuato siti

Il sito è ubicato nella fascia sub-montana e montana del settore centrale dell'Appennino bolognese,
a ridosso del confine con la Toscana, comprende le zone sorgentifere del rio Torto e del torrente
Brasimone e la parte del contrafforte che da Monte Calvi, presso il confine regionale, si estende
verso Nord fino ai balzi del Cigno. Il sito è scarsamente antropizzato e la copertura vegetale è
costituita prevalentemente da boschi di latifoglie, per lo più cedui in conversione all’alto fusto, con
castagneti e rimboschimenti di conifere, da aree a vegetazione arbustiva di ricolonizzazione di ex-
coltivi e da alcune praterie. Il sito è totalmente incluso nel Parco Regionale e un'ampia porzione di
esso, 1.533 ha, ricade nell'Oasi di protezione della fauna "Abetina-Coroncina".
Un habitat di interesse comunitario prioritario copre il 3% della superficie del sito: formazioni
erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo (Festuco-Brometalia)
con stupenda fioritura di orchidee.
Recenti ricerche indicano la presenza anche dei seguenti habitat di interesse comunitario:
formazioni a Juniperus communis su lande o prati calcicoli, percorsi substeppici di graminacee e
piante annue dei Thero-Brachypodietea, praterie con Molinia su terreni calcarei, torbosi o argilloso-
limosi (Molinion caeruleae), praterie magre da fieno a bassa altitudine (Alopecurus pratensis,
Sanguisorba officinalis), pareti rocciose silicee con vegetazione casmofitica, rocce silicee con
vegetazione pioniera del Sedo-scleranthion o del Sedo albi-Veronicion dillenii, foreste di Castanea
sativa.
Nessuna specie di interesse comunitario. E' tuttavia presente una ricca flora comprendente specie di
interesse conservazionistico perché rare o minacciate, in parte protette dalla legislazione regionale.
La scheda Natura 2000 riporta un elenco di 52 specie.
Tra i mammiferi è regolarmente presente il Lupo (specie prioritaria di interesse comunitario).
Presenti anche due piccoli nuclei di Rhinolophus ferrumequinum e Rhinolophus hipposideros,
Chirotteri di interesse comunitario legati agli ambienti di grotta.
Sono presenti almeno 10 specie di interesse comunitario di uccelli di cui 5 regolarmente nidificanti:
Falco pellegrino, Falco pecchiaiolo, Succiacapre, Tottavilla, Averla piccola. Tra le specie nidificanti
rare e/o minacciate a livello regionale vi sono Quaglia, Torcicollo e Pigliamosche.
Viene segnalatala Salamandrina dagli occhiali Salamandrina terdigitata, specie di interesse
comunitario molto rara nel sito.
Segnalate inoltre quattro specie di invertebrati di interesse comunitario: il Gambero di fiume
Austropotamobius pallipes e i Coleotteri Lucanus cervus, Cerambix cerdo, Osmoderma eremita,
specie prioritaria.

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PIANO FAUNISTICO VENATORIO
(tratto dal documento programmatico del PFV 2007-2012 della provincia di Bologna)

Obiettivi e strategie
La prossima adozione e approvazione del Piano Territoriale del Parco permetterà di avviare
l’attività venatoria all’interno dell’area contigua. Il Regolamento di settore si atterrà ai seguenti
indirizzi, finalizzati al necessario raccordo degli stessi con la pianificazione faunistico-venatoria
provinciale, nonché ad una maggiore coerenza della gestione faunistica fra l’area protetta e il
territorio circostante: la durata del regolamento dovrà essere tale da garantire la coerenza con la
scadenza temporale del Piano Faunistico Venatorio Provinciale.
Per quanto concerne gli ungulati la scelta delle specie cacciabili deriverà non solo dall’analisi delle
carte di vocazione agro-forestale, ma, ovviamente, anche dall’andamento dei dati dei censimenti e
da quello dei danni. Non è previsto, almeno nel prossimo quinquennio, l’inserimento di ulteriori
specie nell’elenco di quelle cacciabili. I periodi di prelievo venatorio dovranno coincidere, di
norma, con quelli previsti negli ATC contermini al Parco in quanto i tempi di prelievo venatorio
devono perseguire la tutela della singola specie. Le modalità di prelievo dovranno essere volte a
ridurre l’impatto dell’attività venatoria, prediligendo nel caso della specie cinghiale la tecnica della
girata e/o del tiro selettivo.
La LR 6/05 all’art. 38 prevede che la pressione venatoria nell’area contigua debba essere inferiore a
quella dei relativi territori cacciabili contermini. Il Parco valuterà se rendere la previsione normativa
ancora più stringente. Si opererà affinché i carnieri e le densità venatorie degli istituti faunistici
limitrofi al Parco vengano coordinati con quelli indicati nel regolamento del Parco. La dimensione
dell’eventuale prelievo in caccia di selezione di ungulati diversi dal cinghiale e in caccia di
selezione e/o in forma collettiva del cinghiale, sarà definita dall’Ente di gestione del Parco, sentito
preventivamente l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. La gestione del cervo, specie simbolo
del Parco, continuerà in forma coordinata con gli altri soggetti coinvolti, attraverso la
partecipazione alla Commissione di Coordinamento del Comprensorio ACATE. Per l’attuazione dei
censimenti al bramito, da svolgersi simultaneamente su tutto il comprensorio, il Parco continuerà ad
avvalersi della collaborazione del mondo venatorio, attraverso la sottoscrizione di apposite
convenzioni.
Cervo: obiettivi e indicazioni gestionali
Il cervo necessita nel Parco di particolari azioni gestionali: è necessario innanzitutto garantire il più
possibile condizioni di tranquillità al cervo, specialmente nei momenti più critici del ciclo annuale
(parti e accoppiamenti). Va quindi individuata un’areale centrale corrispondente all'area più
frequentata dalla specie, nel massiccio di monte Calvi, in cui assicurare una protezione più rigorosa.
Proseguire con i miglioramenti ambientali in grado di offrire habitat più rispondenti alle necessità
della specie e di diminuire l'eventuale pressione di pascolo su colture. Necessità di continuare in
forma standardizzata i censimenti al bramito, indispensabili per tenere sotto controllo l'evoluzione
della popolazione, ai quali associare i censimenti al “primo verde” per individuare la struttura di
popolazione. Valorizzare e gestire in modo intelligente l’interesse naturalistico del cervo sotto
l’aspetto fruitivo. Data la grande mobilità del cervo e gli ampi spazi vitali tipici della specie, è
necessario elaborare per il cervo strategie globali e di prevedere momenti di confronto tra i diversi
soggetti istituzionali coinvolti.
La densità obiettivo individuata è stata ottenuta considerando la carta delle vocazioni faunistiche
della Regione Emilia Romagna e le condizioni di uso agricolo del territorio, giungendo a valori che
consentano di conservare le specie oggetto di gestione a livelli coerenti con lo spirito di un’area
protetta ma anche con le attività antropiche ivi presenti. Per il cervo si ipotizza una densità obiettivo
di 3,5 capi/100 ettari.
Cinghiale: obiettivi e indicazioni gestionali
Il problema è sostanzialmente limitare i rischi di danno da cinghiale nelle aree esterne a vocazione
agricola. In termini concreti un obiettivo gestionale praticabile può consistere: nel ridurre la

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mobilità verso il fondovalle, cercando di trattenere il più possibile gli animali all'interno dell'area
protetta nel breve e medio termine attraverso l'apertura dei cosiddetti "campi di dissuasione" e nel
lungo termine attraverso miglioramenti strutturali del bosco (conversioni a fustaia con conseguente
aumento della produttività) nel contenere la popolazione nell'area contigua mediante prelievi
venatori e interventi di controllo. Programmi di contenimento numerico all'interno del Parco vero e
proprio sotto forma di controllo sono in linea teorica ammissibili, ma devono rivestire il carattere di
assoluta eccezionalità, data l'esigenza primaria di garantire tranquillità e riparo a diverse specie
animali di pregio. Il contenimento numerico del cinghiale, un obiettivo generale comune a tutta la
fascia di gestione attiva provinciale, deve comunque essere qui modulato considerando la specificità
di questa area protetta, la vocazionalità del territorio per il cinghiale e il ruolo ecologico che riveste
in loco la specie.
La densità obiettivo individuata è stata ottenuta considerando la carta delle vocazioni faunistiche
della Regione Emilia Romagna e le condizioni di uso agricolo del territorio, giungendo a valori che
consentano di conservare le specie oggetto di gestione a livelli coerenti con lo spirito di un’area
protetta, in relazione anche al ruolo ecologico che questa specie riveste nei confronti di una specie
di interesse conservazionistico quale il lupo, ma anche con le attività antropiche ivi presenti. Per il
cinghiale si ipotizza una densità obiettivo di 5-7 capi/100 ettari.
Capriolo: obiettivi e indicazioni gestionali
Uno degli obiettivi gestionali dei prossimi anni potrà consistere nel favorire la ripresa del capriolo,
quale specie autoctona a basso impatto potenziale sulle colture agricole. La ripresa del capriolo è
attuabile soprattutto attraverso un aumento della diversità strutturale degli ambienti e dell'offerta
alimentare (ripristino dei pascoli montani, apertura di radure interne al bosco, sfalci dei prati,
piantumazione di arbusti da bacca ecc). E' certo che un aumento della sorveglianza, frenando il
bracconaggio e il randagismo canino, contribuirà al recupero di questa specie.
La mancanza di dati certi sulla densità attuale, non permette di ipotizzare densità obiettivo; peraltro
si può assumere come obiettivo nel medio periodo l’incremento numerico della popolazione di
capriolo.
Daino: obiettivi e indicazioni gestionali
Per il daino, specie alloctona a impatto potenziale sulle colture agrarie, si prospetta un
congelamento degli areali attuali con contenimento delle densità. L'obiettivo gestionale del Parco
riguardo il daino consiste nel tenerlo sotto monitoraggio, con l’eventualità di programmi di
controllo numerico in caso di infiltrazione nell'area centrale del Parco vero e proprio. Il rischio
infatti è di assistere a quanto già accade in altri comprensori, con il daino in competizione trofica e
spaziale con cervo e capriolo che, grazie alla grande flessibilità comportamentale e alimentare,
gradualmente aumenta la propria densità a spese delle specie autoctone. Il Parco dovrà continuare
gli interventi di recupero delle aree aperte a favore della biodiversità e delle popolazioni di ungulati,
tra cui principalmente il Cervo. La programmazione realizzata nell’ultimo quinquennio ha seguito
in linea di massima quanto si era proposto per migliorare le condizioni ambientali delle aree aperte.
Sulla base di quanto evidenziato fino ad ora, ed avendo avuto come obiettivo principale il recupero
e il mantenimento delle aree aperte attraverso il controllo e la riduzione della felce, è possibile
individuare 3 categorie principali di intervento per i prossimi anni:
1) Gli interventi che favoriscono il mantenimento e la sostenibilità economica e ambientale delle
attuali attività agricole presenti nel Parco;
2) Gli interventi che favoriscano il mantenimento delle nuove aree aperte create con gli interventi di
ripristino dal 2002 al 2004;
3) La realizzazione di eventuali nuovi interventi di ripristino ambientale di aree aperte e di controllo
della felce.
Per quanto riguarda il mantenimento delle attività agricole presenti nel Parco, è evidente che
l’agricoltura rappresenta un aspetto importante per la salvaguardia delle attività antropiche, sociali e
umane presenti nel Parco, nonché delle caratteristiche paesaggistiche, della biodiversità e della
capacità portante faunistica del territorio. A tal fine dovrebbero essere favoriti quanto meglio i

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rapporti di collaborazione tra gli agricoltori e le attività del Parco, ridotti per quanto possibile i
contrasti (determinati ad esempio dagli eventuali danni causati dai selvatici alle coltivazioni
agricole) e favorite le occasioni e le possibilità di sovvenzione nei confronti di quegli agricoltori che
mantengono o adottano sistemi di produzione a basso impatto ambientale o con finalità
naturalistico-ricreative.

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DESCRIZIONE DELLA SPECIE INTERESSATA DAL PROGETTO

Descritte le caratteristiche, geomorfologiche e della biocenosi del contesto esaminato, inquadreremo


ora, la specie direttamente interessata al miglioramento ambientale e l’area in cui lo stesso verrà
inserito.

IL GHEPPIO: FALCO TINNUNCULUS

Regno: Animalia
Phylum: Chordata
Classe: Aves
Ordine: Falconiformes
Famiglia: Falconidae
Genere: Falco
Specie: Falco tinnunculus
(Linnaeus 1758)

Aspetto e caratteristiche generali


Dimensioni: 32-35 cm; apertura alare 71-80 cm.
Peso medio: 150-280 g. Il peso delle femmine, superiore a quello dei maschi, varia a seconda del
periodo: durante la deposizione delle uova arrivano a pesare anche 300 grammi. Le femmine più
pesanti sono normalmente più fortunate nella cura dei piccoli nel nido.
Specie politipica: 6 sottospecie descritte per il paleartico occidentale.
Il nome latino, tinnunculus, rimanda probabilmente al suo verso, che tradotto letteralmente significa
che risuona, che tintinna.Vocifero soprattutto in periodo riproduttivo, il richiamo più comune è un
"ki-ki-ki" squillante e ripetuto.
Il gheppio è un rapace di piccole dimensioni, agile e leggero, presenta in volo la tipica silhouette dei
falconi, con ali lunghe e appuntite e coda lunga. In entrambi i sessi la coda è arrotondata, poiché le
sue penne sono più corte di quelle mediane; negli adulti le punte delle ali raggiungono la fine della
coda. Le gambe sono giallo chiare, gli artigli sono neri. Pelle cerata e anello attorno agli occhi, che
sono gialli negli adulti, mentre nei giovani vanno dall'azzurro al verde giallastro.
Vola con battiti poco profondi alternati a scivolate. Caratteristica peculiare è la posizione in volo a
“spirito santo”, durante la quale si mantiene totalmente fermo in aria con la coda aperta a ventaglio,
sfruttando il vento per mantenersi stabile con piccoli battiti d'ali, e poter osservare le prede dall'alto.
E’ facilmente osservabile, anche perchè abbastanza confidente, mentre vola controvento, o posato
su cavi elettrici, rami secchi o altri posatoi da cui scruta il terreno.
Come tutti i Falconiformi è dotato di 15 vertebre del collo, che gli consentono di girare il capo di
180° ed ossservare le prede da grandi distanze.
I gheppi mostrano più che altre specie un acceso dimorfismo sessuale.
La caratteristica più notevole è che i maschi hanno la testa di colore grigio chiaro, le femmine
invece sono uniformemente di colore rosso mattone.
I maschi hanno le ali di colore rossastro e sono caratterizzati da alcune macchie scure. Il
fondoschiena e la coda, il cosiddetto fascio, è di colore completamente grigio chiaro con una
bordatura bianca e un trattino nero finale; la parte inferiore è di color crema chiaro con strisce o
macchie marroncine. La parte inferiore del ventre è invece totalmente bianca.
La femmina adulta è bordata di scuro nella schiena. Il fascio è marrone e mostra diverse strisce
laterali; anche la parte inferiore è più scura che nel maschio e mostra una pezzatura più forte.
I piccoli assomigliano nel piumaggio alle femmine; tuttavia le loro ali sembrano più rotonde e più

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corte che negli adulti, inoltre le punte delle ali mostrano margini più chiari.

Distribuzione e fenologia
Regioni paleartica, etiopica ed orientale. In Europa è presente ovunque, tranne che in Islanda; in
Italia è cosmopolita. Le popolazioni nordiche ed orientali sono migratrici: sverna nel Centro e Sud
d'Europa ed in Africa. Migratrici regolari, le popolazioni dell’Europa settentrionale e dell’area
sarmatica svernano nel bacino del Mediterraneo e in Africa. Essenzialmente sedentario altrove. La
migrazione autunnale va da agosto a novembre, quella primaverile da febbraio a maggio.
Le coppie riproduttive sono tendenzialmente sedentarie, eventualmente dispersive in inverno con
erratismi verticali condizionati dal grado di copertura nevosa. I migratori transitano soprattutto in
marzo/aprile e a fine-settembre/inizio-ottobre. Da novembre a febbraio, in particolare in certi
distretti favorevoli della pianura e della bassa collina, le densità aumentano per la presenza del
contingente svernante.

Habitat
Ambienti aperti di ogni genere; anche in paesi e città. Fino ai 3000-3500 m., nel Caucaso.
Estremamente adattabile, è diffuso praticamente in ogni tipo di ambiente aperto: coltivi, pascoli,
brughiere, garighe ecc., dal livello del mare fino ad oltre 3000 m. Evita invece le grandi estensioni
forestali. Si adatta facilmente anche ad ambienti urbani e sub-urbani: se tollerato, sopporta anche la
stretta vicinanza dell’uomo e può insediarsi stabilmente all’interno di paesi e città.

Alimentazione
Si ciba soprattutto di piccoli mammiferi, rettili e grossi insetti, raramente anfibi; può catturare anche
uccelli fino alle dimensioni di un passero.

Riproduzione
Nidifica in cavità e anfratti su pareti rocciose, nel cavo di alberi, in vecchi nidi abbandonati da altre
specie, in particolare corvidi; in ambienti più urbanizzati si può trovare su edifici e casolari
abbandonati, torri ecc. Accetta di buon grado anche cassette nido appositamente installate, collocate
su pali, alberi o tralicci, purchè sufficientemente distanti dal suolo e poco disturbate.
Alle nostre latitudini, la deposizione avviene da fine marzo a metà-maggio: su un campione di 75
coppie seguite in Provincia di Bologna, circa il 74% dei casi, in aprile (D. Martelli ined.); età della
prima deposizione 1 anno. L'incubazione è di 27-29 giorni, svolta generalmente dalla femmina.
L’involo dei giovani è riportato da fine giugno per un periodo di 30 giorni; diventano indipendenti a
circa 2 mesi d'età. I giovani di piumaggio sono simili alla femmina. Muta post-riproduttiva
completa tra maggio e l’autunno.
Le coppie riproduttive sono tendenzialmente sedentarie, eventualmente dispersive in inverno con
erratismi verticali condizionati dal grado di copertura nevosa. I migratori transitano soprattutto in
marzo/aprile e a fine-settembre/inizio-ottobre. Da novembre a febbraio, in particolare in certi
distretti favorevoli della pianura e della bassa collina, le densità aumentano per la presenza del
contingente svernante.

Popolazione
Complessivamente diminuito per le persecuzioni sull'intera area
europea. Fluttuante anche per cause naturali (risorse alimentari).
Ancora localmente abbondante, in aumento da protetto. In Italia
viene stimata una popolazione nidificante di 10.000-20.000
coppie.

Status
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Specie non minacciata a livello regionale.
Grado di protezione:
- Convenzione di Berna Allegato II;
- Classificata da BirdLife International come “SPEC 3”: specie con status di conservazione
sfavorevole e popolazione non concentrata in Europa.
- Classificata nelle Liste Rosse dell'IUCN come categoria “LC, least concern”: a basso rischio.

Distribuzione locale
Appare ancora discretamente diffuso e comune, tuttavia si rilevano notevoli fluttuazioni numeriche
legate anche all'andamento meteorologico invernale. Mentre l’areale distributivo europeo può
essere considerato stabile, è stato rilevato un decremento numerico generalizzato.
In Italia, dove nidificava regolarmente in molte città, è fortemente diminuito a partire dal secondo
dopoguerra e attualmente è probabilmente ancora al di sotto delle potenzialità ambientali. Le cause
sono attribuibili alle persecuzioni, agli abbattimenti nel periodo di caccia e ai cambiamenti nella
conduzione agricola dei terreni. E’ possibile che anche l’agricoltura chimicizzata abbia influito
come fattore limitante, ma la documentazione scientifica è carente in tal senso.
Attualmente la popolazione italiana viene stimata in 10-20.000 coppie.
In Emilia Romagna è presente come nidificante, migrante e svernante.

La distribuzione nota in periodo riproduttivo interessa il 59% del territorio (98 tavolette), con
nidificazione accertata nel 44,5% (74 tavolette). L’areale riproduttivo comprende gran parte della
fascia appenninica fino a circa 1.500 m di altitudine, mentre appare più raro in pianura. La
popolazione nidificante viene stimata in 500-800 coppie, stabile e con produttività nella norma; i
contingenti migratori sono alcune migliaia di individui, quelli svernanti alcune centinaia.
Nel territorio della Provincia di Bologna la specie è sedentaria, migratrice e svernante; nel periodo
1995-1999 è stata stimata, sulla base di censimenti in aree campione, una popolazione nidificante di
180-250 coppie. Nidifica dal crinale alle quote inferiori, con le massime concentrazioni entro la
fascia collinare e in alcune zone adatte della pianura centro-orientale. Complessivamente è presente
con bassa densità: 1,2 coppie/kmq in un’area di 200 kmq del basso Appennino bolognese. La
colonizzazione dell’ambiente planiziale è un fenomeno dell’ultimo decennio, iniziato con
l’occupazione progressiva dei bacini di bonifica, secondo un gradiente di densità decrescente in
senso est-ovest.
Da una decina di anni è localmente in espansione, soprattutto per la diminuzione degli abbattimenti.

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Il gheppio è una pecie di interesse ecologico, a livello provinciale sembra essere in leggero
aumento. Nel Parco la presenza è inferiore alle aspettative (un paio di coppie), nonostante la
presenza di pareti adatte e di ruderi.
La progressiva chiusura del bosco con rapida scomparsa di chiarie e prati, rende sempre più rara la
presenza di specie legate agli ambienti aperti sia per la nidificazione sia per l'alimentazione.
La ripresa della vegetazione tende a rendere sempre meno ricettivi anche gli incolti erbacei, le
praterie e i coltivi della fascia settentrionale del Parco. E' quindi necessaria una strategia volta al
recupero delle antiche radure e dei prati abbandonati o degradati a felceto. Una buona
gestione delle aree aperte può avere ripercussioni importanti sulle comunità di uccelli legati
a questi ambienti, quasi tutte specie di rilevanza conservazionistica, alcune in drammatico
regresso in tutta Europa.
L'installazione di alcuni pali nelle zone a prato potrà favorirne la presenza.

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OBIETTIVI GENERALI E SPECIFICI DEL PROGETTO

Una delle conseguenze più evidenti dovuta all’abbandono dei terreni agricoli e pastorali è la
contrazione degli habitat aperti, soprattutto di prato e pascolo nelle aree marginali. Tale progressiva
“chiusura” è una delle cause di riduzione della biodiversità in questi territori, in particolare nei
confronti di alcune specie vegetali. “Il forte abbandono della montagna verificatosi a partire dal
secondo dopoguerra è da ritenersi alla base di importanti cambiamenti ambientali, con la
rarefazione dei campi e dei prati-pascoli e lo sviluppo di praterie arbustate, boscaglie e boschi di
varia composizione “(Ponzetta et al. 2007).
Il grande valore ecologico e faunistico delle aree aperte che comprendono fasce di ecotono è
testimoniata da un’elevata ricchezza floristica in queste zone di transizione. Questa complessità
vegetazionale attira la presenza di animali che scelgono tali aree come zone di alimentazione e
riproduzione. Durante il processo di successione secondaria che segue l’abbandono dei terreni dalle
pratiche agro-silvo-pastorali, le specie ecologicamente più specializzate tendono a scomparire in
favore di specie più competitive. Queste superfici sono spesso invase principalmente da rovo,
ginestra dei carbonai, cardi, cardine e la felce aquilina (Pteridium aquilinum), specie
particolarmente invadente che può determinare un rapido peggioramento delle condizioni
ambientali e di produttività degli habitat aperti e abbandonati dei territori marginali di collina e
montagna.
I primi risultati di uno studio realizzato nel Parco Regionale dei Laghi di Suviana e Brasimone
(BO), hanno confermato lo scarso valore naturalistico, pabulare e faunistico delle aree invase dalla
felce. Questa pianta deprime notevolmente la diversità floristica rendendo eccessivamente
omogenei e poveri gli ambienti infestati.
Nel territorio del Parco Regionale dei Laghi di Suviana e Brasimone, versante bolognese
dell’ACATE, è in corso un’interessante progetto di ricerca (Ponzetta et al. 2007) realizzato
in collaborazione tra il CIRSEMAF (Centro Interuniversitario di Ricerca sulla Selvaggina e sui
Miglioramenti Ambientali a fini Faunistici) e l’ex INFS. Questo progetto si collega ad un
programma di interventi di miglioramento ambientale che hanno portato all’individuazione di tre
aree idonee, all’interno delle quali, si attua il taglio andante della vegetazione mediante sfalcio e
trinciatura con l’utilizzo di idoneo mezzo meccanico. La ripulitura del terreno prevede il
mantenimento di tutte le piante arboree e della vegetazione arbustiva costituita da essenze
utili dal punto dell’offerta trofica: Prugnolo (Prunus spinosa L.), Biancospino (Crataegus
monogyna Jacq.), Rosa canina L., ecc. Sono state effettuate semine di essenze erbacee
autoctone: Festuca spp., Ginestrino (Lotus corniculatus L.), Erba medica (Medicago sativa L.),
Trifoglio (Trifolium spp.), Sulla (Hedysarum coronarium L.). Queste lavorazioni si rendono
necessarie per il contenimento della Felce.
Una buona gestione delle aree aperte può avere ripercussioni importanti sulle comunità
ornitiche legate a questi ambienti, quasi tutte specie di rilevanza conservazionistica, alcune in
drammatico regresso in tutta Europa.
In particolare il gheppio possiede grandi capacità diadattamento, ma i luoghi di caccia che predilige
sono le zone aperte, anche antropizzate, dove si nutre di piccoli mammiferi, pipistrelli, insetti,
lucertole, molti invertebrati ed uccelli di piccole e medie dimensioni. Come tutti i Falconiformi è
dotato di 15 vertebre del collo, che gli consentono di girare il capo di 180° ed osservare le prede da
grandi distanze; caccia in volo esplorativo o da posatoio, spesso preferenziale, e le prede vengono
generalmente catturate a terra dopo una picchiata a tappe. Queste abitudini di caccia richiedono un
adeguato spazio aperto, e relativi punti d'osservazione.
Il progetto presuppone quindi l'installazione di nidi artificiali montati su pali di castagno venga
attuata in zone di radura boschiva al limitare di spazi aperti. Tale miglioramento sarà volto a
favorire la nidificazione del gheppio comune (Falco tinnunculus), specie poco presente nel Parco,
un paio di coppie, e limitata molto probabilmente dalla mancanza di disponibilità di siti idonei
legati alle risorse alimentari, dalle persecuzioni per abbattimenti nel periodo di caccia, e dai

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cambiamenti nella conduzione agricola chimicizzata che influisce come
fattore limitante; la documentazione scientifica in tal senso è scarsa.
DESCRIZIONE DEL PROGETTO

Si proporrà l’installazione, nelle zone a prato già interessate dai lavori di


sfalcio e di riapertura, di 6 pali alla cui estremità sarà montato un nido
artificiale: Questo intervento sarà un tentativo, seppur forzato, di ricreare il
contesto naturale a cui questa specie è abituata.
I lavori saranno facilitati dalla pendenza media del terreno circa 10 % e
dalla presenza di idonei accessi per i mezzi meccanici già creati per la
realizzazione dell’interevento del CIRSEMAF.

Sottolineiamo un aspetto utile di tale progetto: la capacità coadiuvante di un incremento di gheppi


sul controllo dei micromammifferi, che potrebbero essere lesivi in relazione alle specie a
produzione ortofrutticole, così come alcune famiglie di ortotteri; ma non solo anche come valido
aiuto per l’agricoltura nella lotta contro gli uccelli, grazie alla pressione predatoria e all’effetto
dissuasivo che questi rapaci operano sull’avifauna.

I nidi artificiali sono importanti per gli studi ornitologici sulla biologia riproduttiva degli uccelli
nidificanti in cavità, con il rilevamento del successo riproduttivo e l’inanellamento dei pulli, tutte
azioni importanti per sviluppo della ricerca scientifica finalità stesse delle aree protette. Si creano le
condizioni, affinché possano essere svolte quelle attività di ricerca applicata che portano risposte di
tipo pratico indispensabili per una globale gestione del parco.
Le basi di una buona ricerca sono necessariamente le attività di monitoraggio standardizzato sia per
l’occupazioni dei nidi stessi sia per il raccoglimento di dati riguardo i cicli riproduttivi.
Il progetto prevede, quindi, una proposta di monitoraggio e manutenzione dei nidi per gli anni
successivi alla realizzazione del progetto stesso.
Un primo immediato risultato sarà la valutazione se la scarsa presenza del Gheppio sia dovuta a
mancanza di siti idonei e relativi ambienti trofici o se cambiamenti ambientali stanno spingendo la
specie stessa a nidificare in zone planiziali. A partire della primavera successiva all'installazione, i
nidi sono da monitorare costantemente per stabilire se siano o meno occupati da questa specie. Il
monitoraggio si concentra nel periodo in cui la nidificazione ha luogo, cioè primavera-estate, ma
anche negli altri periodi dell’anno. Questo consiste nell’osservazione diretta dentro e intorno al nido
con il binocolo e il cannocchiale e l’aiuto di una scala. Si devono raccogliere anche tutti gli indizi di
presenza come piume, borre e resti di preda.

Visto l’esito positivo di progetti simili sia a livello italiano che a livello europeo riteniamo molto
probabile l’aumento di presenze, soprattutto in siti facilmente monitorabili, creando le condizioni
ottimali affinché si possano sviluppare nuovi lavori di ricerca, aumentando il materiale scientifico al
riguardo.
Qui di seguito elenchiamo alcuni progetti realizzata nel territorio italiano che hanno portato tutti un
esito positivo, ovvero un aumento nel numero di specie:

Parco Naturale del Monte San Bartolo


Il progetto portato avanti dal Enta Parco San Bartolo dal 2004 prevedeva l’installazione di 5 nidi per
il Falco pellegrino in tre posti diversi sulla falesia e 11 nidi per il Gheppio tra cui 9 su pali di media
e bassa tensione dell’Enel (dopo aver chiesto l’autorizzazione alla società) e 2 su alberi ha
riscontrato un buon successo sia per quanto riguarda l’incremento delle specie di gheppio e falco
pellegrino sia per gli effetti benefici sulle attività agricole.
Successo che ha spinto l’ente Parco in collaborazione con il comune di Pesaro all’istallazione di
altri 7 nidi di Gheppio. Inoltre il progetto si è sviluppato anche su altre specie benefiche per le

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attività agricole come il Barbagianni (Tyto alba), l’Allocco (Strix alluco), il Gufo comune (Asio
flammeus) e l’Assiolo (Otus scops) ed alcune specie di insettivori, quali il Picchio muratore (Sitta
europaea), la Cinciallegra (Parus major), la Cinciarella (Parus caeruleus), il Torcicollo (Jynx
torquilla) e il Codirosso (Phoenicurus phoenicurus).
Dal 2008 è stato aggiunto un nuovo progetto che prevede l’installazione di Bat Box per
incoraggiare la diffusione e l’ingrandimento delle colonie di Chirotteri che grazie alla loro dieta a
basi di insetti, infatti, svolgono il preziosissimo ruolo di “insetticida naturale”, aiutando nella lotta
biologica contro la zanzara tigre e altri piccoli animali.

Centro di Educazione Ambientale di Carpi-Novi-Soliera in collaborazione con l'Ambito Territoriale


di Caccia MO1 ha porta avanti un progetto di posizionamento di nidi artificiali per gheppi con lo
scopo favorirne il ritorno negli agroecosistemi del comprensorio. L’esito è stato del 50% dei nidi
prontamente occupate dai gheppi e utilizzate già per la prossima cova.

Ornis Italica Associazione Italiana Ricerca Fauna Selvatica: Progetto Ali ed Energia (Roma)
Inizialmente installati 30 nidi su tralicci delle linee dell’alta tensione di ACEA il progetto “Ali ed
energia” Acea ha aumentato il numero di siti di nidificazione utilizzati da rapaci come il gheppio e
l’allocco. Questo intervento è stato molto importante se si pensa che la campagna romana offre
un’ottima disponibilità di prede come topolini, lucertole o cavallette, ma scarsi siti sopraelevati,
idonei per la nidificazione.

Associazione Ornitologi dell’Emilia Romagna


Con l’accordo e il sostegno di Hera Imola Faenza, sta collocando sui tralicci dell’alta tensione per
facilitare la riproduzione del Gheppio. I 5 nidi artificiali, simili ad una cassetta aperta, installati fino
ad ora dai soci di AsOER sono stati posti ad una altezza media di circa 8,5 metri, in un’area di
pianura caratterizzata da coltivazioni intensive con scarse, se non assenti, opportunità di
nidificazione per il Gheppio. I nidi installati saranno periodicamente controllati dai soci
dell’AsOER per monitorare il loro utilizzo da parte del Gheppio.

Ultimo aspetto ma non di minor valore,è il valore eco-turistico, con il coinvolgimento delle guide
ambientali e delle scolaresche per l’osservazione diretta dei nidi, vedendo l’educazione ambientale
sia come un introito economico che valorizza le attività sia come mezzo indispensabile per ricreare
quel legame perso negli anni tra uomo e natura.

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MODALITÀ DI REALIZZAZIONE

Nella scelta dei siti è stato fatto in modo che sia prospicente a grandi appezzamenti prativi, meglio
se stabili, poiché c’è più entomofauna e microteriofauna e condizioni idonee per poter cacciare.

Nell’installazione dei nidi bisogna tener conto delle fasi riproduttive della specie.
- Inverno: ispezione del nido da parte degli adulti, generalmente il maschio.
- Tardo inverno/inizio primavera: attività territoriali del maschio con canto e parate nei pressi del
nido, formazione della coppia; ispezione del nido da parte della coppia.
- Primavera : trasporto materiale per imbottire la cavità; frequenti visite mentre l'altro partner cova
le uova; visite più frequenti dopo la schiusa delle uova e la nascita dei pulcini, con trasporto di
insetti nel becco e allontanamento dei sacchi fecali.
- Primavera/estate: involo dei giovani; nutrizione dei giovani fuori dal nido per alcuni giorni prima
dell'indipendenza.
Deduciamo, quindi che un periodo idoneo, soprattutto rispetto al disturbo, potrebbe essere in
autunno/inverno. Individuiamo indicativamente nel mese di dicembre l’inizio dei lavori preliminari
su campo, per giungere nel mese di febbraio all’installazione dei nidi stessi.

L’installazione deve avvenire in luogo riparato e tranquillo che però garantisca una facile
accessibilità: la libera traiettoria è essenziale.
L’altezza di applicazione dovrà essere compresa tra i tre e gli otto metri.
Il nido non deve essere inclinato verso l'alto, ma in posizione parallela al suolo o leggermente
inclinato verso il basso per essere riparato da pioggia e sole. Il supporto deve essere ben saldo e
poco oscillante, e il fissaggio del nido ben sicuro.
L'esposizione più favorevole è verso Ovest oppure SudEst, anche se l’accortezza dev'essere quella
di limitare l’irradiamento diretto dei raggi solari, al fine di creare il minor stress termico ai pulli.
Sul fondo della cassetta verrà lasciato un po’ di materiale assorbente come terriccio, segatura o
sabbia, per facilitare le opere di manutenzione.

Le dimensioni tipo di un nido dovrebbero essere:

Foro d’involo 40 x 22 cm

Altezza foro-pavimento 8 cm

Dimensione pavimento 40 x 30 cm

I nidi potrebbero anche essere realizzati da un falegname professionista di seguito alleghiamo


alcuni progetti di costruzione.
Questo potrebbe ridurre i costi di realizzazione, ma una particolar attenzione deve essere prestata
alle rifiniture e l’isolamento in quanto una corrente di aria influenzerebbe negativamente la
sopravvivenza dei pulli.
Da sottolineare che tutti i modelli proposti sono a fronte aperto, condizione che il gheppio in
particolare predilige. Alcune ditte tedesche, oltre alle indicazioni per la realizzazione,
forniscono su ordinazione il materiale. Tali cassette nido però sono progettate per essere appese, ad

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alberi o edifici; per poterle posizionare su un palo sono utili e necessarie alcune piccole modifiche
strutturali.

Progetto numero 1

Progetto numero 2

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Progetto numero 3

Progetto numero 4

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Progetto numero 5

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MODALITA’ DI GESTIONE DELLE OPERE REALIZZATE

L’obiettivo primario dell’intervento è valutare se il sito è stato occupato e da quale specie.


Il monitoraggio verrà effettuato nel periodo primavera-estate valutando la nidificazione e il
successo riproduttivo. Tale operazione consisterà nell’osservazione diretta attraverso binocolo o
cannocchiale e con l’ausilio di una scala, modalità volte a recare minimo il disturbo.
I monitoraggi proseguiranno a cadenze regolari per tutto l’arco dell’anno per raccogliere indizi di
presenza come borre, resti di preda, piume e delineando un quadro piu completo delle abitudini sia
migratorie che trofiche.
Verranno compilate delle schede in cui si annoterà la presenza catalogando i dati rispetto al numero
del nido al luogo, con particolare attenzione al numero dei piccoli e alle abitudini di alimentazione.
Durante l’autunno si dovranno effettuare le opere di manutenzione e la pulizia.
Si valuterà l’integrità della struttura; si asporterà e rimpiazzerà il materiale assorbente posto alla
base del nido. I nidi devono essere puliti rimuovendo completamente il contenuto e raschiandone le
pareti esterne e interne; non è necessario l'utilizzo di spray o simili, in quanto potenzialmente
tossici. In caso di eccesiva sporcizia o parassiti si consiglia un lavaggio con acqua calda e sapone
neutro. La manutenzione va effettuata con regolarità annuale da settembre in avanti, per evitare il
logorio delle strutture e l'eventuale occupazione da parte di altre specie animali quali insetti e
aracnidi, o ghiri. In certi casi è possibile persino rimuovere temporaneamente il nido.

Pulli di gheppio all'interno di una cassetta nido

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ASPETTI ECONOMICI

PREZZARIO

Apertura buca con trivella meccanica : diametro cm 15-20, profondità cm 40


Nolo di trattore agricolo dotato di attrezzi vari, inoltre carro e lama apripista per il trasporto di
materiale in zone di difficile transito (fino a 59 KW)
ora 40,80 0,04 ore 1,63

Pali di castagno scortecciati (appuntiti)


diametro cm 15-20 lunghezza m 4 cad. 17,07

Installazione di nido artificiale


in legno o materiale composito, per uccelli di taglia medio grande
Operaio specializzato ora 16,64
Nido per uccelli cad. 25,00
Filo in PVC per legature varie kg. 7,00
Viti e Chiodi ?? kg. 3,00

Totale arrotondato (0,01)


Operaio 0,25 ore 4,16
Nido 1 25,00
Filo in PVC 0,10 m 0,70
Totale cad. 29,86

TOTALE arrotondato per unità euro 52,00

TOTALE INTERVENTI 6 x 52 euro 312,00


Eventuali costi di trasporto ipotizzabili in 4 ore x 40,80 euro 163,20
____________________________________________________________
TOTALE (arr.) euro 475,00

NB: il preventivo soprastante è stato redatto calcolando un ipotetico prezzo standard dei nidi
prefabbricati, in base ad una media rispetto ai dati acquisiti. Nel caso di costruzione autonoma o
ordinazione all'estero il prezzo calerà o aumenterà di conseguenza.

Dato il costo contenuto riteniamo che il progetto sia inseribile all’interno del bilancio del parco.
La misura risulterà sicuramente necessaria per valutare se la scarsa presenza del Gheppio sia dovuta
a mancanza di siti idonei e relativi ambienti trofici o se cambiamenti ambientali stanno spingendo la
specie stessa a nidificare in zone planiziali.
Visto l’esito positivo di progetti simili sia a livello italiano che a livello europeo riteniamo molto
probabile l’aumento di presenze, soprattutto in siti facilmente monitorabili, creando le condizioni
ottimali affinché si possano sviluppare nuovi lavori di ricerca, aumentando il materiale scientifico al
riguardo.
La presenza di un maggior numero di rapaci nel territorio avrà una ripercussione positiva sulla
gestione dei terreni agricoli, ovvero si creerà un effetto di mitigazione sui danni ali coltivi.
I rapaci spaventano l’avifauna riducendone la presenza, si nutre di micromammiferi come le
arvicole , la presenza gioverà sicuramente al contadino.
Riteniamo, quindi che attraverso una buona politica di informazione si potranno coinvolgere anche i
comuni interessati, per ampliare il progetto anche verso le zone al di fuori del parco, utilizzando

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come pali su cui installare i nidi artificiali linee telefoniche dismesse riducendo notevolmente il
costo di installazione e amplificando gli effetti di mitigazione.

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BIBLIOGRAFIA

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- www.gruppohera.it/gruppo/societa_territoriali/hera_imola_faenza/pagina372.html
- www.lincstrust.org.uk/factsheets/nestbox/kestrel.php
- www.nabu-siwi.de/index.php?seite=59&inhalt=176
- www.schwegler-nature.com/BirdCare/index.htm
- www.scubla.it
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