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PARCO DEL TICINO

Il Parco del Ticino si estende dal lago Maggiore alla confluenza del Po (loc. Ponte della Becca), è
lungo circa 120 km. e si estende su una superficie complessiva pari a 91.140 ettari, così suddivisi:

22.000 ettari sono a spiccata vocazione naturale (costituiscono gli ultimi lembi della foresta planiziale
che duemila anni fa ricopriva quasi per intero la Pianura Padana);
49.400 ettari sono dediti allo svolgimento di attività agricole (sono le aree da indirizzare sempre più
verso un’attività agricola compatibile);
21.740 ettari sono urbanizzati (sulla cui gestione il Parco è chiamato a dare indicazioni di compatibilità
negli strumenti urbanistici).

Si estende su tre provincie Varese, Milano, Pavia che comprendono 47 comuni.

....un po’ di storia

E’ stato il primo parco regionale d’Italia istituito nel ’74 su spinta di un movimento ecologista nato
nel’67 principalmente per contrastare il processo di antropizzazione senza regole del territorio.

Notiamo che già agli albori il parco si colloca in un territorio altamente antropizzato, dopo un
trentennale lavoro sia pratico che di comunicazione, nel 2002 viene inserito nel circuito mondiale
MAB Man and Biosphera; ovvero viene riconosciuto patrimonio UNESCO della biosfera per
l’equilibrio che si è creato tra disturbo antropico e salvaguardia del territorio.

Molti parchi naturali sono mantenuti incontaminati con disturbo antropico quasi assente per essere
utilizzati come modelli scientifici di evoluzione degli ambienti altri dove attività umane sono ormai
radicate nel territorio come modello dove sperimentare un equilibrio tra disturbo antropico;
sfruttamento delle risorse e la salvaguardia del territorio. E’ chiara l’importanza di questo modello
cui si dovrebbe idealmente tendere come monito sulla possibile realizzazione di questi delicati
equilibri.

Geologia e idrologia

Tornando sul piano più prettamente naturalistico è trascorso ormai molto tempo da quando i pesci e i
crostacei affollavano il mare tropicale che nel periodo geologico denominato Triassico (circa 180
milioni di anni fa) ricopriva questo territorio. Si sono susseguite ere che modificarono il territorio e il
pleistocene (da 1,8 milioni di anni fa) diede la conformazione morfologica attuale. In questo periodo
geologico si susseguirono fasi glaciali a interglaciali. zona rifugio Durante il Pleistocene i ghiacciai che
scendevano lungo le vallate alpine e prealpine raggiungevano la pianura erigendo importanti edifici
morenici e modellando in tal modo le forme del paesaggio (molti laghi tra cui quelli della vicina
Brianza, per fare un esempio, sono di origine glaciale, occupano cioè delle zone dove maggiormente si
è esercitata l'azione erosiva del fenomeno glaciale).

La "pianura fluvio-glaciale", alluvionale, che andava depositandosi durante i periodi interglaciali, ha


avuto la sua genesi a causa dei torrenti glaciali alimentati dalle acque di fusione, che preso in carico il
materiale morenico (ciottoli, ghiaia e sabbia), lo depositavano a valle formando delle vere e proprie
stratificazioni di materiale, secondo una serie di fasi deposizionali.
Inserito in questo quadro geologico, scorre il Ticino che si è dovuto scavare una via attraverso le grandi
masse di detriti depositate durante le glaciazioni, iniziando un'opera di erosione, trasporto e
sedimentazione dei materiali accumulando verso valle ciò che erodeva a monte.

Il Ticino è un fiume molto meandrizzato caratterizzato da sabbioni e isolotti che si trovano al centro
del fiume che mutano rapidamente aspetto dopo le piene.

La colonizzazione delle sponde, con le conseguenti attività economiche legate alla presenza dell'uomo,
ha portato a modificare il tracciato naturale del corso del Ticino sia ad opera degli scavi in alveo, oggi
per fortuna scomparsi, sia a causa delle arginature costruite per limitare gli effetti dei processi erosivi
dove essi possono costituire dei problemi.

L'uomo viene quindi ad essere l'ultimo dei fattori che contribuirono alla variazione delle forme del
paesaggio e all'evoluzione geomorfologica generale; ultimo in ordine di tempo ma non certo per
importanza.

Il Ticino risulta essere un fiume libero di sfogarsi nei rami laterali: il suo corso è per la maggior parte
poco imbrigliato da sponde artificiali questo porta un risparmio nella gestione di circa 1/10 di quanto si
spende per altri fiumi....società utilitaristica

In Ticino vi è una buona gestione territoriale, le escavazioni in alveo sono state compensate, non vi è
cementificazione, glia argini non sono alti in modo che eventi di piena non creino disastri. Negli anni
’80 gli italiani divennero famosi nel mondo per il cemento si cementava ogni cosa per creare ordine. Si
unirono anche molti alvei e argini di fiumi con l’illusione di governare il fiume che al contrario in
eventi di piena assumeva una forza smisurata.

In questo modo il fiume è in un continuo equilibrio dinamico elemento fondamentale per mantenere
l’ecologia delle acque interne. Ecologia caratterizzata da milioni di microorganismi ognuno con un
compito specifico per la pulizia delle acque costituisce il cosiddetto filtro naturale.

Flora e fauna fanno da filtro microfauna trasforma gli inquinanti in biomassa e macrofite che riportano
l’ossigeno in superficie.

I Fontanili

Quindi nella parte terminale fiume meandriforme con vegetazione più sensibile all’apporto di acqua e
con zone umide con ambienti diversificati; mentre nella parte nord incontriamo vegetazione di
transizione per substrati argillosi con fenomeni di fontanili.

Tra Ticino ed Adda esiste una vasta fascia di pianura interessata dalla presenza dei fontanili. Le
precipitazioni montane, dopo un percorso sotterraneo di quasi duecento chilometri, incontrano argille
impermeabili, sgorgano in quest’area, che possiamo inquadrare, dal punto di vista geografico, tra
Cuggiono e Motta Visconti. Nel passato gli agricoltori hanno sfruttato queste vene azzurre, creando
“teste di fontanile” che alimentavano canali irrigui. Le acque di queste sorgenti mantenendo
costantemente la stessa temperatura (tra 9 e 12 gradi centigradi) hanno permesso, nel corso dei secoli,
la coltivazione invernale del foraggio, con la tecnica detta “marcita”. Negli ultimi anni, la costante
siccità ed interventi antropici effettuati a monte, hanno provocato la diminuzione del livello delle acque
dei fontanili, questo è un primo campanello d’allarme: il fiume non può fare a meno di queste acque
fresche e limpide.
Flora

91547 ha superficie totale

20000 ha bosco esclusi pioppeti considerati colture.

○ Nel tratto appena a valle del lago maggiore, il Ticino scorre tra le rive coperte di boscaglia mista
prealpino, in cui dominano la Rovere cui si aggiungono Carpino nero e Castagno.

○ La sponda occidentale del fiume (l’alta pianura del Ticino) è invece caratterizzata da una particolare
vegetazione nota con il nome di brughiera dal Brugo specie principale. Sopravvie ormai in pochi
lembi relitti anche perché la Robinia piante alloctona e infestante americana la ha fatta scomparire. Il
paesaggio della brughiera è costituito da fitte estensioni di brugo, cui si alternano zone ricoperta da
molina e ginestra dei carbonai; gli alberi che crescono nelle aree meno sterili della brughiera sono la
betulla e il pino. Su quest’ultimo è spesso facile trovare i bozzoli di processionarie animale provvisto
aculei urticanti che volano e dedito a mangiare le foglie del pino stesso rallentandone i suoi processi
vitali. Tagli sul pino per raccogliere resina dopo guerra.

○ I boschi di ripa che caratterizzano la parte centro meridionale della valle rappresentano gli ultimi
lembi dell’originaria foresta di latifoglie decidue che ricoprivano un tempo le pianure dell’Italia sett.
Fra essi predomina associazione dei quercocarpineti boschi più ecologicamente maturi del parco: la
Farnia e il carpino bianco dal legno grigio e dalle fronde ombrose da non avere sottobosco sotto di
esso per l’eccessiva ombra che crea.

La regina indiscussa è la Farnia, albero simbolo della foresta planiziale, sacro alle antiche popolazioni,
associato dai romani per la sua possenza al dio Giove, ora la sua potenza sembra essere scalfita da
molti fattori tra cui la qualità dell’aria ozono e ossidi di azoto gelate tardive che non gli hanno mai fatto
nulla ma ora in questa situazione di difficoltà ne risente e un nematode ora in fase di studio.

○ Più a sud la quercia si associa con olmo pioppo bianco e, dove il terreno è più umido, con l’ontano
nero. Caratteristica di pregio per il parco del ticino e tutelato da UE.

○ Sulla riva del fiume qua e la si erge possente e solitario qualche esemplare di Pioppo Nero
riconoscibile per l’incessante mormorio delle sue foglie che tremano ad ogni alito di vento. Associato
dai romani al brusio del popolo riunito in una piazza.

○ Ma nel bosco sono presenti specie esotiche, quali la robinia e il ciliegio tardivo prunus serotina,
importato nel 1922 da un forestale che voleva coltivarlo essendo l’essenza principale utilizzata per il
suo legno; il progetto falli, il terreno fu venduto agli agricoltori che ignari del fatto che faccia ???? semi
se li tennero li, gli uccelli che ne vanno ghiotti completarono l’opera.

Da segnalare che emette sostanze tossiche per altre specie.

Specie controllate o facendo cordoni sanitari e in via sperimentale come fanno in Galles con un
rododendro che non fa più rinnovare il bosco.

○ Nelle vicinanze della’acqua la vegetazione assume i profili del saliceto pioniere, dove il salice
bianco con le sue foglie argentate sfida le forze del fiume.
○ Un bosco non è fatto solo di alberi di alto fusto: ci sono arbusti e fiori che colorano il paesaggio.
Ecco il vitale Nocciolo con cui, fate e rabdomanti fecero le loro bacchette ma non strumenti per la
cucina perché contiene sostanza tossica. I biancospini profumati Crataegus monogyna ricche di fiori
bianchi e bacche rosse, la spinosa rosa canina da raccogliere dopo la prima gelata e conservare per
tutto l’inverno ricchissima di vitamina C; il ridente Cappello di Prete con le sue bacche ciclamino
arancione che richiama la forma del tricorno ecclesiastico.

In primavera il bosco sfoggia fiori: il profumato Mughetto convallaria majalis, la blu e scintillante
Scilla Bifolia, il Dente di Cane con i fiori rosa ciclamino e la timida acetosella Oxalis acetosella ricca
di ossalato di potassio usata come condimento per insaporire l’insalata.

Anemone dei boschi

Fauna

Il Parco del Ticino comprende una grande varietà di ambienti che lo rendono una delle zone
naturalisticamente più estese e interessanti dell’intera pianura Padana. Convenzione Rio

Si passa da boschi e brughiere a importanti zone umide senza dimenticare i terreni agricoli che, in
molte situazioni, contribuiscono al mantenimento di un’elevata diversità ambientale in particolare
laddove sono stati mantenuti quegli elementi tradizionali del paesaggio, come siepi, boschetti,
alternanza di colture che permettono la permanenza di una fauna ricca in numero e specie.

Nella check list del parco sono state segnalate 2000 specie di invertebrati e 361 di vertebrati, fra cui
numerose specie endemiche o inserite nella lista rossa I.U.C.N. (L' Unione Internazionale per la
Conservazione della Natura, meglio conosciuta con il suo acronimo IUCN, è una organizzazione non governativa (ONG)
internazionale con sede a Gland (Svizzera). Considerata generalmente la più autorevole organizzazione in materia di
conservazione della natura, è stata fondata nel 1948 con la finalità di supportare la comunità internazionale in materia
ambientale svolgendo un ruolo di coordinamento e di scambio di informazioni fra le organizzazioni membre in un'epoca in
cui tale settore era ancora in fase di sviluppo e la maggior parte dei paesi del mondo non possedeva ancora dei processi di
confronto istituzionale per la tutela ambientale. L'unico italiano che ha partecipato alla sua costituzione, in qualità di
presidente dell'associazione ambientalista Pro Natura, è stato l'allora direttore del Parco Nazionale del Gran Paradiso, Renzo
Videsott.); un centinaio di specie di vertebrati sono segnalate nei diversi allegati delle Direttive
Comunitarie (Uccelli e Habitat).

All’interno del parco si sono portate avanti politiche di conservazione della biodiversità con un
approccio ecosistemico ovvero non concentrandosi sulla singola specie ma sulle intere comunità,
valorizzando quanto più possibile la ricchezza della biodiversità cosciente che l’habitat migliore
conservato sarà quello più ricco di biodiversità. Conservare habitat per conservare biodiversità..

In questa situazione sono stati portati progetti sia di tutela sia di reinserimento.

Purtroppo per errori umani in parte volontari (interessi venatori), il nostro patrimonio di specie animali
è spesso inquinato e messo in pericolo da specie alloctone che creano sia problemi alle specie
competitrice sia all’uomo stesso, agricoltura; monito che anche in natura vige il principio di azione e
reazione.

Passeggiando per i boschi del Ticino potremmo trovare alberi segnati dal cinghiale che cosi si struscia
il pelo per grattarsi con una tale veemenza da scoretecciare l’albero, i caratteristici sentieri in cui
camminano i cinghiali con i piccoli. Il cinghiale era quasi scomparso, ma nel ’74 una fuga di sei
esemplari da un recinto fece si che si riformo un nucleo stabile, occupando l’areale storico fino,
essendo come tutti gli ungulati in optimum riproduttivo, si passo dai 20-25 abbattimenti del 2005 ai
400 del 2008.

Animale inteligentissimo dotato sicuramnete di una sensibilità non indifferente esce di notte va veloce in gruppi

(Il cinghiale è piuttosto comune nell'araldica di alcune zone, come la Germania meridionale e l'Italia settentrionale: esso
rappresenta generalmente la forza ed il coraggio in battaglia. La sua presenza negli stemmi è solitamente associata alla
presenza in tempi passati nella zona di tribù galliche o celtiche, che al cinghiale erano particolarmente devote perché legate
ad esso sia da vincoli religiosi (come già detto in precedenza, il cinghiale era l'animale totemico di molte tribù barbare) che
alimentari, in quanto la caccia al cinghiale era una delle fonti primarie di sostentamento di queste popolazioni (basti pensare
alla saga di Asterix il Gallico, nella quale ogni avventura dei due protagonisti termina con una grande tavolata a base di
cinghiale arrosto).

Gli antichi Romani mutuarono l'utilizzo di questo animale in araldica proprio dalle tribù galliche stanziate nella Pianura
Padana. Almeno tre legioni romane, infatti, avevano per emblema uno di questi animali: Legio I Italica, Legio X Fretensis,
Legio XX Valeria Victrix. La seconda delle tre fu coinvolta nella prima guerra giudaica, e secondo alcune teorie i massacri
e le distruzioni compiuti in Giudea sotto l'insegna del cinghiale sarebbero fra le cause dell'avversione giudea verso tutto ciò
che è suino. Il cinghiale è anche uno dei simboli della città di Milano: come riferito nel libro Emblemata di Andrea Alciano,
edito nel 1584, durante gli scavi per le mura difensive della città venne dissotterrato proprio uno di questi animali[42]. Al di
fuori delle motivazioni leggendarie, si ha motivo di credere che la scelta sia caduta proprio su questo animale poiché la tribù
celtica degli Edui, stanziata nella zona dove sorse la città e probabilmente fondatrice di Milano, aveva come animale
totemico proprio il cinghiale[43]. Il cinghiale raffigurato nello stemma, tuttavia, possiede un inusuale vello lanoso, come
risultato della fusione con l'ariete, animale totemico dell'altra tribù fondatrice della città, ossia quella dei Biturigi)

Alzando la testa potremmo vedere zampettare tra i rami dei pini e delle querce il nostro scoiattolo
rosso, ma molto più probabilmente quel grigio fratello o asiatico o americano, molto più forte e
aggressivo. Lo scoiattolo grigio ha portato inoltre un virus letale per l’autoctono.

Non di rado si sente il picchiettare del picchio e si vedono i buchi sugli alberi. Ve ne’ sono 4 specie
nidificanti: il Picchio Rosso Maggiore, molto comune, il Picchio verde, il torcicollo che d’inverno
migra e il picchio rosso minore. Sentire un cuculo o il cinguettato della cinciallegra.

Se fortunati avvistare magari uscendo un poco dal bosco uno dei 600 esemplari di capriolo reinseriti
con un progetto durato 5 anni dal ’91.

Uscendo definitivamente dal bosco tutti i canali che incontriamo erano popolati dal gambero di fiume;
ora sia per modificazioni ambientali che si ripercuotono su cibo e qualità dell’acqua e per competitori
asiatici e turchi portatori di un fungo è stato quasi sterminato. É attivo un progetto Life del parco della
valle del Lambro.

Nelle risaie introdotta per antichi interessi di pelliccia largamente presente la nutria. Ve ne’sono a
migliaia che danneggiano le giovani piante di mais, vengono fatti abbattimenti solo quando si creano
danni.

Da notare che queste reintroduzioni accidentali sia per cambiamenti climatici e soprattutto per assenza
di predatori lupo hanno creato un disequilibrio tale da essere fronteggiato solo con abbattimenti
controllati.

É ovvio che non vi sono solo specie alloctone tra gli uccelli più difficili da vedere e incontrare
necessari birdwatching; ricordiamo l’airone cenerino, il germano reale, la cicogna bianca e nera per
cui nel centro parco di oriano è attivo un progetto di reinserimento in cattività, anche se sembra che i
giovani rilasciati perdano l’istinto migratorio. Molti i rapaci: notturni l’allocco; diurni: in estate
evoluzioni in volo del Lodolaio che nidifica in vecchi nidi di cornacchia grigia, in estate Poiana e
Sparviero. Il martin Pescatore nidifica in pieno bosco tra le radici degli alberi abbattuti dal vento.

Nelle zone più umide molto più difficili da vedere: la testuggine palustre europea in competizione
con testuggine dalle orecchie rosse liberata dai cittadini dopo che divenivano troppo grosse per i loro
giardini.

Altro impossibile da vedere il Pelobate, anuro autoctono che ha abitudini notturne e vive in cunicoli
del terreno. progetto LIFE natura

Le caratteristiche umide del terreno lo rende ideale per molti anuri come salamandra pezzata, tritone
crestato italiano, tritone punteggiato italiano. Tra gli anfibi: Bufo Bufo, Rana di Lataste, endemica
della pianura padana,Rana Verde e Raganella.

Mammiferi Carnivori: Volpe, Tasso, Donnola, Puzzola e Faina.

Agricolo

Passati fiumi e boschi il Parco si snoda attraverso quella zona di transizione non indifferente circa
50000 ha,1500 aziende agricole, chiamata agricolo, fino ad arrivare alla città. Probabilmente il percorso
dovrebbe essere contrario ma va bene lo stesso.

Per molto anni è restato un buco bianco, non dico lasciato a se stesso ma non valorizzato, ora viene
largamente interessato da una importante politica agricola su piano comunitario uno dei campi più
marcati e da dove arrivano più fondi. Inizialmente i tecnici del parco erano decisamente mal visti dagli
agricoltori locali, quest’ultimi avendo sempre vissuto anche discretamente senza di essi non capivano
bene che ruolo avessero e non capendo la prima cosa che si pensa che siano li per crear problemi.

All’inizio qualche siepe e poi veniva recepito qualche consiglio e si capiva che il rappresentante di
pesticidi non era un tecnico fidato ora i contadini si siedono al tavolo con tecnici e dirigenti parco
soprattutto perché con il parco ci si guadagna in termini economici.

Ci si è resi conto che parco e contadini avevano obbiettivi comuni come la difesa del sistema agricolo
dalle minacce derivanti dall’urbanizzazione o dalle infrastrutture..

Il settore agricolo negli ultimi anni, ha rappresentato per il Parco un importante ambito di
sperimentazione di un nuovo modo di intendere il ruolo di tutela ambientale. Anziché attraverso i
vincoli, limitati alle zone di riserva, si è cercato di operare mediante assistenza tecnica,
sperimentazione, divulgazione e concessione di contributi, con un costante dialogo con la Regione
Lombardia, le Amministrazioni Provinciali, le Organizzazioni Professionali Agricole.

Si propongono dei campi sperimentali si sono coltivati con 12 aziende dei campi meta dagli
agricoltori e metà dal parco. Per 11 su 12 aziende si è visto che era più conveniente economicamente
utilizzare meno concime e meno diserbante perché il costo maggiore del concime non era compensato
dall’aumento di produzioni. Viene ribaltato il concetto chi usava meno concime non lo faceva per
inquinare meno ma per guadagnarci.
Da sempre il contadino produce vende il grano, il latte lo consegna nelle mani del mediatore non ne
perde coscienza. Attraverso un processo d’informatizzazione delle aziende una distribuzione di schede
tecniche in modo che il contadino riesca a seguire il suo proprio prodotto ma non chissà per quali etici
motivi ma per aggiudicarsi una fetta maggiore della filiera i motivi etici vengono di conseguenza.

Uno dei concetti da far passare è che il cittadino della città non deve sentirsi totalmente estraneo a tutto
il mondo agricolo, la maggior parte si va al supermercato compra la verdura però non pensa che le
proprie piccole scelte nel locale abbiano conseguenza sull’intero sistema agricolo. La scelta del
consumatore e la sua disponibilità a pagare un prodotto piuttosto che un’altro sono le basi
dell’economia. E così, accade un po’ per il terrorismo sui grassi animali fatto dalle televisioni un po’
per moda che il colore giallo venga associato dai consumatori a grasso che ostruisce le arterie e porta
colesterolo. Quindi quando vanno al supermercato non comprano più formaggi gialli burro giallo;
allora i supermercati vanno dai distributori e dicono non vogliamo più formaggio giallo non vende solo
bianco e cosi via fino ad arrivare al contadino e gli dicono devi darmi solo latte che fa formaggio
bianco. Il contadino sa che l’unico modo parchè questo succeda e non dar più foraggio fresco da
mangiare alle mucche in quanto quest’ultimo contiene carotene che si trasforma e diventa giallo. Allora
si vedono costretti a dare il fieno ma il fieno è meno nutriente e via di schifezze per integrare
l’alimentazione animale.

E i contadini di questa zona ne sanno sul foraggio, una scienza empirica millenaria, ha portato alla
realizzazione di una grandissima opera d’ingegneria agricola: le marcite. Anche Leonardo da Vinci le
aveva progettate e i contadini della valle ancora si tramandano questo sapere tecnico: il terreno viene
mantenuto ad una pendenza per cui da un corso stracolmo d’acqua a monte possa uscire un sottile velo
di acqua che scorrendo faccia si che l’acqua non si congeli e quindi non si abbia l’arresto vegetativo
classico delle gelate invernali. In questo modo si passava da 4-5 falci di foraggio a 9 falci.

É ovvio che bisogna continuamente lavorare i canali di modo che il velo sia tale da non ghiacciare e da
non far marcire il terreno. Solo pochi possono farlo ora si viene pagati dall’UE per mantenerle.

Tutte queste opere e non sono le uniche sono rese possibili da un progetto speciale agricoltura. Il
progetto è disciplinato da un Decreto e da una Circolare della Regione Lombardia che offre a tutti i
Parchi Regionali, una serie di possibilità per coinvolgere le aziende agricole in attività d’interesse agro
ambientale. Al Parco del Ticino, come a tutti gli altri Parchi lombardi, vengono assegnate ogni anno
delle risorse economiche che devono essere destinate per una quota pari ad almeno il 70% direttamente
ad aziende agricole del Parco e per il restante 30% ad attività propedeutiche con ricadute immediate in
ambito agricolo.

Il Settore Agricoltura del Parco del Ticino ogni anno programma l’impiego di queste risorse in attività
diverse, volte a diffondere e sostenere le pratiche agricole sostenibili, con l’obiettivo prefissato di
ridurre gli impatti dell’agricoltura sulle risorse naturali, di migliorare il paesaggio agrario e di integrare
il reddito agricolo.

Si delinea un nuovo concetto che l’agricolo viene ad essere un nuovo habitat, sempre più in equilibrio
con l’ecosistema nelle marcite vivono macrobenthos endemico le siepi e filari sono ricchissime di
specie certo non è un bosco ma il conservarlo è conservare una biodiversità. Una biodiversità che si
esplifica anche nelle colture antiche come varietà del Fagiolo Borlotto di Gambolò

A Gambolò nel passato si coltivava una varietà locale di fagiolo borlotto; qualche decina di anni fa.
Le aziende si erano addirittura unite in un apposito Consorzio di Produttori, sciolto però alla fine degli
anni settanta. Con l’aiuto della Coldiretti di Vigevano è stata individuata una delle ultimissime aziende
che ancora oggi produceva fagioli, utilizzando il seme originario. Oggi 13 aziende coltivano il fagiolo
borlotto di Gambolò e lo commercializzano con successo. Il Parco, oltre a coordinare tutta l’iniziativa
insieme alla Coldiretti, ha concesso un contributo a queste aziende per l’avviamento della produzione,
ha creato la “banca del seme” dell’antica varietà mettendola a disposizione per le future aziende
interessate alla coltivazione del fagiolo e, infine, ha istruito la pratica d’iscrizione della varietà
all’Elenco del Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Regione Lombardia.

La Riscoperta della coltivazione della frutta: Il territorio del Parco del Ticino, prima della diffusione
della meccanizzazione agricola negli anni cinquanta sessanta, era disseminato di piccole vigne, frutteti
o filari con piante da frutta: in ogni centro abitato del Parco si possono trovare segni diversi che
testimoniano la storica presenza della frutta e della vite nelle campagne. Sulla base di una positiva
esperienza realizzata in provincia di Varese nell’ambito di un progetto Interreg IIIA, il Parco ha scelto
di predisporre due bandi per aziende agricole per la creazione di piccoli filari con piante da frutta,
piccoli frutti o antiche sistemazioni a piantata.

Recupero sperimentale di un castagneto da frutto

Salvaguardia dell’antica razza bovina Varzese : Fra le razze di animali domestici difese e sostenute
dalla Regione Lombardia, in applicazione di norme comunitarie, c’è la razza bovina Varzese e fra le
zone eleggibili c’è anche il Parco del Ticino nelle Province di Milano e Pavia. Le caratteristiche di
rusticità ed adattabilità della vacca Varzese, insieme ad un crescente interesse per il suo latte e le sue
carni, hanno convinto il consorzio del Parco ad attivare un progetto di salvaguardia di questa razza

Nel pieno rispetto degli orientamenti del Decreto Legislativo 228/01, il Parco considera sempre più le
aziende agricole quali insostituibili partner per la realizzazione di servizi sul territorio. Seguendo tale
formula di coinvolgimento, il Parco ha realizzato anche il “Giardino dei frutti antichi”, localizzato
presso la sede di Cascina Madonnina di Boffalora Ticino (Mi). Dove un melo tardivo su cui, in
quest’inverno, è stato possibile vedere passare un numero inverosimile di uccelli.

L’insieme di tutte queste politiche portano a creare un marchio del parco che danno la sicurezza al
consumatore di acquistare marchi controllati e certificati, riscoprendo in qualche modo come dal
piccolo escano soprattutto in questa fase storica prodotti di ottima qualità saltando molti costi che
devono affrontare le grandi ditribuzioni ad un prezzo contenuto

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