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Marcellino e Pietro sulla Labicana
Parte III – di Gabriella Cetorelli Schivo (Febbraio 2009) Fotografie ed apparato
iconografico di Alfredo Corrao
Il mausoleo dell’Augusta Il mausoleo di Elena si presentava come un edificio a pianta centrale
preceduto da un vestibolo rettangolare, situato in posizione obliqua di m. 20.40 per 9.50, e costituito
da una rotonda coperta a cupola il cui diametro esterno misurava m. 27.74. Sui restanti tre lati la
rotonda era circondata da un muro con portici. La struttura del mausoleo, sia all’interno che
all’esterno, appariva estremamente movimentata nella sue linee architettoniche. Esse, infatti, si
articolavano in una sovrapposizione di zone di cui quella inferiore, alta m. 9.60, era costituita da una
serie di nicchie sormontate da una zona a finestre, di m. 5.74, sulla quale si impostava la cupola, alta
m. 10.08, cosicché tutto l’edificio raggiungeva, complessivamente, l’altezza di m. 25.42. La prima
zona era costituita, internamente, da quattro nicchie curvilinee e da tre nicchie rettilinee, situate
sugli assi principali, mentre quella posta sul lato occidentale venne adoperata come entrata. Tutte le
nicchie presentavano una larghezza di circa m. 4.90, ad eccezione della nicchia di fronte
all’ingresso, che aveva una ampiezza di m. 5.50, ed era, molto probabilmente, quella destinata ad
accogliere il grande sarcofago di porfido che conteneva le spoglie di Elena. Anche nelle altre
nicchie dovettero probabilmente essere collocati dei sarcofagi. Una scala, posta a sinistra della
nicchia maggiore, e coperta “alla cappuccia”, permetteva l’accesso ad un ambulacro esterno situato
all’altezza delle finestre. All’interno tutte le nicchie erano inquadrate da strutture verticali,
verosimilmente pilastri, e da archivolti. Esternamente la zona delle nicchie risultava liscia e non
suddivisa; essa terminava all’altezza dei parapetti delle finestre con una serie di grosse mensole in
pietra. Al di sopra di queste, la parete diminuiva di spessore presentando, all’esterno, una serie di
otto nicchie poco profonde con finestre arcuate che si aprivano in corrispondenza delle nicchie
inferiori interne. Le finestre avevano un’ampiezza di m. 3.403.57 mentre gli archi che le
chiudevano verso l’alto erano profondi m. 0.80. Un’altra serie di mensole chiudeva la zona delle
finestre al di sopra delle quali si impostava la cupola costruita in opus signinum. Essa risultava
articolata in una duplice serie di nervature poste nella parte superiore a partire dall’imposta della
cupola[1]. Nella parte inferiore di essa, sopra l’appoggio interno della volta, erano inserite
verticalmente due file di anfore (pignatte), a giri concentrici, che hanno dato il nome all’edificio. Il
loro compito era quello di alleggerire il peso della copertura e contemporaneamente di facilitare
l’asciugamento del calcestruzzo all’interno delle masse murarie[2]. Internamente l’edificio non
presentava due piani, ma un’unica aula spaziosa di m. 20.18 di diametro, sormontata da una calotta
che nella parte inferiore è attualmente conservata fino ad un terzo della sua altezza. Deichmann e
Tschira hanno potuto ricostruire, in base alla posizione dei fori per i perni, il sistema di decorazione
interna del monumento. In tal senso è stato possibile stabilire che la rotonda era coperta, fino
all’imposta della cupola, da incrostazioni marmoree policrome.
Sulla volta sono ancora visibili le tessere di un mosaico in pasta di vetro che probabilmente ne
ricopriva tutta la superficie. Sappiamo inoltre che il Bosio, nella cavità delle nicchie, scorse ancora
ai suoi tempi un mosaico con figure di santi nimbati, di cui oggi non rimane traccia. Cornici in opus
sectile dovettero essere utilizzate per rifinire la linea di imposta delle finestre. Esternamente
l’edificio era invece tutto intonacato. Interessante è anche l’analisi del vestibolo del mausoleo.
Questo aveva la forma di un’aula rettangolare, lunga quanto era larga in tutto la basilica alla quale si
addossava, con pareti di m. 0.75 di spessore. Venendo dalla basilica, la rotonda era accessibile solo
attraverso questo atrio, che secondo il Deichmann, comunicava originariamente con il nartece della
chiesa tramite una triplice arcata, mentre il Guyon, in base alla localizzazione delle tombe dislocate
sul pavimento della basilica, ha avanzato l’ipotesi che tale comunicazione dovette avvenire mediante
un’unica porta larga all’incirca m. 3.00. Mentre la conformazione del mausoleo ci è nota in tutti i
particolari, l’alzato del vestibolo può essere ricostruito solo ipoteticamente, dal momento che la
parte occidentale del mausoleo, in cui esso si apriva, è andata completamente distrutta. In tal senso
è possibile supporre che il vestibolo raggiungesse la zona delle finestre, come ha ipotizzato il
Deichmann in seguito all’analisi strutturale dell’edificio .
Trovandosi ad essere elemento indispensabile di raccordo tra due costruzioni successive, l’atrio
presentò all’inizio una sorta di copertura definita dal Tolotti “un dispositivo costruttivamente
criticabile”. Ed infatti la parete del vestibolo veniva a toccare, su una lunghezza di m. 30, il tetto del
nartece, che si inclinava contro di essa in modo tale da implicare una “soluzione di ripiego” per il
deflusso delle acque. Successivamente l’attacco venne mutato per poter porre rimedio alle
infiltrazioni di acque meteoriche in corrispondenza dei punti più delicati della copertura. A tale
proposito, nel nartece, in prosecuzione delle pareti della navata centrale, furono posti dei pilastri in
muratura che, secondo Deichmann, furono eretti per sostenere i muri mediante i quali detta nave fu
prolungata fino a raggiungere l’atrio del mausoleo. In tal modo la linea del tetto del vestibolo veniva
a corrispondere a quella della basilica. Probabilmente in questa fase di ristrutturazione il vestibolo e
le navate prolungate vennero collegati tramite una grande apertura simile ad un arco trionfale.
Modifiche vennero apportate anche al mausoleo, dove si rialzò il cilindro murario e si coprirono i
preesistenti gradoni circolari, posti alla base dell’estradosso della cupola, mediante un manto di
calcestruzzo opportunamente sagomato. Purtroppo non è stato possibile stabilire in quale periodo
sia avvenuta tale ristrutturazione dell’edificio, che si presenta come un intervento troppo vasto per
poter essere messo in relazione ai lavori di restauro dei papi Vigilio e Adriano di cui parlano le
fonti. I documenti storici datano il mausoleo all’età costantiniana. Tale attribuzione è suffragata
dalla scoperta di un bollo laterizio, trovato nella copertura della scala interna, databile al 320 circa,
e dalla tecnica muraria dell’edificio. Inoltre una moneta, coniata a Roma fra il 324 ed il 326,
rinvenuta nella malta del muro interno del mausoleo, confermerebbe questa datazione, specie se si
accetta l’ipotesi del Deichmann secondo cui vi sarebbe stata posta durante l’applicazione delle lastre
marmoree. La posizione e la grandezza del mausoleo hanno trovato concordi tutti gli studiosi
nell’affermare che si tratta di una costruzione imperiale, ed in particolare che questo sia il mausoleo
romano, costruito da Costantino il Grande ancor prima della fondazione della nuova capitale
d’Oriente.
Ed infatti, dal punto di vista architettonico, l’edificio si presenta come un’opera della tarda età
imperiale, ponendosi come elemento di realizzazione intermedia tra la serie degli edifici rotondi
pagani e quella dei monumenti centrali cristiani. La sopravvivenza del significato cultuale della
rotonda, nell'altomedieo, è testimoniata dalla presenza di numerose sepolture poste nelle immediate
vicinanze del monumento. La posizione della tomba di Elena, ed il perdurare delle pratiche
devozionali, furono infatti la causa per cui si continuò a seppellire in questa zona anche dopo la
distruzione della basilica e la traslazione delle altre reliquie in città. In tal senso la caducità del
mausoleo è da mettere in relazione con il trasporto delle spoglie di Elena in Aracoeli, avvenuto sotto
il Pontificato di Innocenzo II [3]. In età tardomedievale i ruderi della rotonda furono trasformati in
fortezza. Fu probabilmente in questo periodo che, nella parete della nicchia rettangolare a sud, fu
praticata un’apertura che dava sulla strada, mentre le altre nicchie furono usate come abituri. Nel
XVII secolo, sulle rovine dell’edificio, furono costruite, ad opera del Capitolo lateranense, una
chiesa ed una casa parrocchiale. Del mausoleo rimane oggi solo la parte inferiore della metà nord
nei suoi elementi costruttivi tipici del IV secolo; nessun resto medievale è invece attualmente
visibile. In alto e a destra: Mausoleo di Elena particolare della muratura e delle pignatte Pianta della
Basilica dei ss Marcellino e Pietro e del Mausoleo di Elena
La basilica dei SS. Marcellino e Pietro Il luogo di fondazione della basilica dei SS. Marcellino e
Pietro era già stato individuato dal Marucchi nel 1898[4]. Tuttavia fu solo in seguito agli scavi
effettuati da Deichmann e Tschira nel 1956 che fu possibile individuare i resti di questo monumento
e del complesso di cui faceva parte, costituito da alcuni mausolei[5] tra cui quello di Tiburzio
dalla rotonda di Elena e da un’antica cinta muraria. Gli scavi del Deichmann e dello Tschira, e quelli
seguenti del 1974[6] e del 1978[7] hanno permesso di stabilire l’anteriorità di queste mura di
recinzione rispetto alla basilica, cosicché la prima costruzione sul posto dovette consistere in un
grande recinto a pianta rettangolare. La raffigurazione del Bosio[8], che probabilmente vide ancora
gli angoli dell’antica cinta, lascia supporre che essa fosse chiusa sui quattro lati da portici con
colonne o pilastri, e che formasse inoltre, a sud della basilica, una sorta di atrio. Tuttavia non è stato
possibile verificare tale ipotesi, come pure non si può provare che il recinto racchiudesse mausolei
più antichi, anche se, secondo il Krautheimer[9] l’attuale cappella di S. Tiburzio, che è fuori asse e
perciò evidentemente anteriore alla basilica, deponga a favore di tale supposizione. La basilica, che
venne ad inserirsi nel recinto, era un grande edificio lungo m. 65 e largo m. 29[10]. Essa era
preceduta da un nartece nel quale a sud si apriva un ingresso ad arco, largo circa m. 4. All’interno
l’edificio era diviso in tre navate coperte con travature lignee, le quali comunicavano con il nartece
mediante una triplice arcata. Le navate minori, la cui lunghezza era circa la metà di quella della
navata centrale[11] formavano, nel congiungersi, un deambulatorio la cui esistenza, secondo il
Krautheimer, troverebbe conferma anche dalla pianta del Bosio, nella quale l’esedra sporgente dal
muro di recinzione dovrebbe corrispondere proprio al muro esterno di tale deambulatorio. Il Bosio
riporta inoltra una fila di pilastri situati all’interno di questo muro, i quali avevano evidentemente la
funzione di separare l’abside dal prolungamento delle navate laterali. Interessante è pure l’ipotesi,
formulata sempre dal Bosio, secondo cui proprio al centro del muro absidale esterno doveva trovarsi
una grande apertura, definita dall’autore “ingresso all’atrio”, fiancheggiata da due piccole nicchie.
Secondo il Krautheimer[12] tale apertura potrebbe essere del tipo di quelle che si aprivano lungo il
muro del deambulatorio della basilica maior di S. Lorenzo. L’ingresso principale della basilica
dovette essere quello ad arco ricavato nel muro del nartece, al quale si accedeva tramite un
diverticulum della Labicana. Un altro ingresso si apriva probabilmente al centro del muro orientale
dello stesso nartece; questo muro, tuttavia, venne distrutto quando il mausoleo di Elena fu addossato
alla basilica, rendendo così impossibile la verifica di tale dato. Altri ingressi, secondo il
Krautheimer, furono forse aperti nel lato nord
del deambulatorio; in questo caso l’accesso ad essi sarebbe avvenuto tramite un secondo diverticolo
proveniente dalla Labicana. All’interno della basilica una serie di finestre poste lungo il perimetro
della navata centrale aveva il compito di illuminare l’edificio. I numerosi resti di stucchi colorati
rinvenuti nel corso degli scavi, fanno ritenere che i muri dell’alzato della basilica fossero intonacati
e decorati con una sorta di finta incrostazione marmorea. Nessuna traccia è stata trovata del
pavimento originario dell’aula di culto, costituito probabilmente da lastre tombali[13]. Rifacimenti
interessarono il nartece che fu alterato con l’inserimento di pilastri, i quali continuavano
l’allineamento delle arcate delle navate. Secondo il Krautheimer lo scopo di questi pilastri fu quello
di portare gli archi attraverso la profondità del nartece, dividendolo così in tre vani corrispondenti
alle navate laterali e a quella centrale della basilica. Deichmann e Tschira suggerirono inoltre l’idea
che questi archi a croce avessero la funzione di sostenere alti muri a continuazione di quelli
finestrati della navata centrale. In tal modo, eliminato il nartece, la navata veniva a diretto contatto
con il vano di ingresso al mausoleo di Elena. La comunicazione avvenne probabilmente tramite una
grande apertura creata in sostituzione delle tre arcate precedenti, dando così al complesso un nuovo
centro nella tomba dell’Augusta. Il Liber Pontificalis attribuisce a Costantino ed al pontificato di
Silvestro la costruzione della basilica[14]. Gli scavi eseguiti nel 1956 e quelli successivi hanno
confermato l’attendibilità delle testimonianze storiche, situando l’edificio, dal punto di vista
cronologico, ai primi anni di regno dell’imperatore. Nella seconda metà del IV secolo il complesso
dovette raggiungere la sua massima espansione, come prova il rinvenimento di numerosi mausolei
datati a questo periodo, sorti a nord ed a sud della basilica. Un primo restauro fu apportato al
monumento da Papa Onorio I (625640)[15], ma le traslazioni dei corpi dei santi dalla vicina
catacomba, divenute sempre più frequenti nel IX secolo, fecero sì che la basilica venisse
gradualmente abbandonata. In età medievale sul luogo occupato dalla basilica dei SS. Marcellino e
Pietro sorse un’ area cimiteriale. Gabriella Cetorelli Schivo Parte I Parte II Parte III NOTE [1]
Per giustificare l’esistenza dei possenti pilastri costruiti a sud ed a nord dei muri laterali della
rotonda, il Guyon ha invece proposto che la volta fosse a crociera (Guyon et alii, Basilique, p. 1018).
[2] Si tratta di una tecnica costruttiva ben nota agli architetti romani , che offre notevoli punti di
confronto non solo nel territorio dell’impero, ma anche nella stessa capitale. Essa nasce
dall’esigenza di applicare il sistema romano della volta su grandi costruzioni in cui l’uso di
materiale leggero, oltre a rendere relativamente modesta l’azione di spinta, aveva anche il compito
di semplificare l’enorme armatura su cui veniva a poggiarsi la cupola (Giovannoni, S. Costanza, pp.
213 ss.). Tale procedimento, iniziato con l’impiego di pomici vesuviane nella volta del Pantheon,
avrà larga applicazione durante tutto il
periodo dell’impero (si vedano, ad es., le Terme Stabiane di Ercolano, la c.d. Minerva Medica a
Roma e l’heroon di Romolo sull’Appia) e diverrà frequente nel V secolo, durante il quale prevarrà
l’uso di vasi appositamente costruiti con la punta collegantesi “a bicchiere” con gli elementi
successivi. Questa tecnica sarà continuata e perfezionata anche in ambito bizantino, ove anfore in
argilla saranno usate non solo nei rinfianchi delle volte, ma anche nella costruzione vera e propria di
cupole. [3] [4] Acta Sanct., Augusti III, p. 606. Marucchi, Cripta, p. 192.
[5] Si tratta di una serie di piccoli mausolei che vennero ad addossarsi alla basilica. Tra essi vanno
menzionati un mausoleo rotondo in opus listatum, scavato dallo Stevenson nel 1896 (Deichmann
Tschira, Mausoleum, p. 55) nel quale sono stati rinvenuti i resti di un sarcofago ancora in situ, ed il
mausoleo conservato nell’attuale cappella di S. Tiburzio di cui già il Bosio diede la pianta (Bosio,
R.S., p. 325). [6] [7] [8] [9] [10] Guyon, Recherches, pp. 307323. Guyon et alii, Basilique, pp. 999
1061. Bosio, R.S., p. 323. Krautheimer, Corpus II, p. 201. La lunghezza è calcolata comprendendo il
nartece (DeichmannTschira, Mausoleum, p. 510).
[11] Il Deichmann e lo Tschira stabilirono l’altezza della navata centrale in m. 13.80 e quella delle
navate minori in m. 6.80 (Mausoleum, p. 55). [12] Krautheimer, Corpus II, p. 203. [13] L’ipotesi è
del Krautheimer (Corpus II, pp. 202203). E’ peraltro d’obbligo il riferimento alle altre basiliche
cimiteriali con deambulatorio del suburbio romano, tutte identificate nella loro funzione di
coemetria subteglata. [14] [15] L.P. I, pp. 182183. L.P. I, p. 324.
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