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LUIGI FIRPO



Il metodo nuovo. Praefatio alla Philosophia sensibus demonstrata di Tommaso
Campanella, Rivista di filosofia, XL, 1949, pp. 182-205.










Comprende: introduzione (pp. 182-183), trad. del testo e note.
Estratto: Milano, Comunit, 1949, pp. 24.
Lintroduzione rifusa in: Tommaso Campanella, Tutte le opere, 1954, pp. XXXI-XXXV.

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Le pagine seguenti accolgono la versione integrale della Praefatio che il Campanella
ventiduenne dett in Napoli, nel 1590, per presentare al pubblico il primo suo lavoro
a stampa, quelle otto disputationes a difesa delle dottrine telesiane, che il tipografo
Orazio Salviano diede in luce ai primi dellanno seguente col titolo di Philosophia
sensibus demonstrata. Lopera precocissima, dettata nel piccolo convento di
Altomonte nel primo semestre dell89, ha attirato in passato ben scarso interesse:
vuoi per la rarit dellunica edizione (di cui conosco appena nove esemplari, quattro
dei quali accentrati alla Nazionale di Napoli), vuoi per lostico latino del dettato, ora
irto di faticose preziosit, ora rilassato in scolastiche sciatterie, vuoi per gli
argomenti cosmologici e metafisici sui quali spesso lautore ritorn nei grandi testi
della maturit, i pi fra gli storici han creduto di poter sorvolare sulle pagine
polemiche del filosofo ventenne. Solo di recente il Corsano (T. Campanella, Milano-
Messina, 1944, pp. 1-29) ha sottilmente analizzato i genuini interessi speculativi della
prima giovinezza campanelliana, orientati da un lato allindividuazione di una
metodologia, che assicurasse critica coerenza allembrionale motivo sensistico
germinato dalla ribellione ai verbalismi della logica scolastica: dallaltro ad una
organica interpretazione del reale di integrale portata, tale cio da coordinare
fisiologia e cosmologia, metafisica e teologia in una sintesi che facesse salvi insieme
e concordi i dati dellesperienza sensibile e della dogmatica cattolica. Le dure
mutilazioni sofferte dallopera giovanile del Campanella ci privano di gran parte dei
testi in cui questo sforzo speculativo era stato documentato: in particolare, in sede
metodologica non possediamo il De investigatione rerum (1587-1590), e in sede
ontologica, perduti lExordium novae metaphysicae e il De rerum universitate (1590-
1592), solo ci restano le pagine discontinue e deformate dal turgore polemico della
Philosophia sensibus demonstrata. Ma i motivi pi schietti dellopera, insieme a quelli
metodologici del parallelo De investigatione smarrito, sono adunati e quasi riassunti
nella pungente prefazione, che gli uni e gli altri ravviva col calore della confessione
autobiografica.
Ancora dichiaratamente ostile allastrologia, scarsamente influenzato dalloccultismo
dellaportiano, non tcco dagli interessi politico-religiosi che presto si faranno
assorbenti nellanimo suo, non invasato ancora dallorgoglioso messianesimo
personale e dallincontenibile impulso allazione riformatrice, abbiamo qui un
Campanella avanti lettera, gi focosamente battagliero, ma assorto ad un tempo in
una contemplazione del mondo e delluomo tanto immediata e genuina da rinnovare

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in lui la ingenua, presocratica purezza, che rischiara le pagine del suo idolatrato
maestro, Telesio. Per questo la giovanile Praefatio campanelliana pu dirsi
documento capitale per intendere la crisi estrema della decadente scolastica e lansia
profonda di verit che stava schiudendo le porte alla nuova scienza; a questo precoce
messaggio risponderanno Cartesio e Galileo.
LUIGI FIRPO


Gli scrittori sacri e profani stabiliscono il dovere di abbracciare la verit e quasi di
anteporla alla vita stessa, quandanche essa fosse da tutti respinta, e ci non solo per
lintima nostra natura, ma con molte ragioni ed esempi: essa tale difatti che dun
tratto, per la volont illuminante del sommo Iddio, da cui deriva, anche se contro
giustizia trovasi a forza tenuta celata, emerge dalle tenebre e si impone ad ognuno e
galleggia al di sopra di tutte le cose
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, di guisa che coloro, i quali per avventura
lavessero occultata, se ci fecero con prava intenzione, si rivelano avversi a Dio ed
agli uomini e grandemente odiosi, se agirono invece per mancata intelligenza,
appaiono degni di biasimo e di emendazione.
Essendo dunque la verit una cognizione delle cose adeguata allanima senziente ed
intelligente e che dalle cose stesse procede, le quali furono create ed esistono e sono
disposte dal sommo Fondatore delluniverso in quella guisa appunto in cui debbono
essere e venire comprese, ne risulta doversi ricavare dalle cose stesse conosciute dai
nostri sensi tutto ci che ad esse ha riguardo quanto ad origini, quantit, forme,
propriet, aspetti e mutazioni, s che esse vengano dichiarate tali quali sono per
lappunto e non quali ce le fa credere la nostra ragione, tanto mutevole per le discordi
considerazioni di variabili oggetti e pei diversi processi proprii dello spirito
intelligente. Per questo conclusi che nellindagare la natura delle cose ci si deve
affidare al senso, al quale essa si offre immediata cos come in realt e come Iddio
volle che fosse; e ritenni che lattitudine a comprenderla non fosse per certo
manchevole nella mente umana, ma piuttosto vi fosse stata soffocata, in quanto Iddio
ha creato ogni cosa, e delle cose create si prende cura, e non v altro Dio allinfuori
di Lui. Giunsi a tal conclusione dopo una lettura assidua, nel corso di ben cinque

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Appunto sul frontespizio della Philosophia sensibus demonstrata campeggia unallegorica vignetta,
nella quale una sfera simboleggiante la verit galleggia sul mare, mentre i venti soffiano invano per
sommergerla; un monaco immerso fino alla cintola muove per raggiungerla e intorno corre il motto:
Verum quod sponte recepto submergi haud potuti.

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anni
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, dei libri dei filosofi antichi, specie dei Peripatetici e dei Platonici, nonch di
quegli altri che mi potei procurare: lettura non solo poco soddisfacente, ma
contraddicente alle mie esperienze sensibili, ragion per cui riuscii sempre in odio ai
maestri dellOrdine, sotto la cui guida poco seguita daltronde mossi i primi passi,
visto che non intendevo farmi seguace dei sommi Aristotelici, che i maestri stessi
comprendevano a stento, pur ritenendoli infallibili, e visto che allontanavo da quella
via anche i condiscepoli
3
.
Riconobbi adunque le altrui dottrine ben lontane dalla verit, il che ritenni ed accertai
derivare dal fatto che i posteri non appresero le scienze attraverso lesperienza dei
proprii sensi, ma gi elaborate e dagli antichi tramandate secondo il giudizio loro,
cosicch erano estremamente involute, in guisa che qualche isolato a mala pena, o
pochi erano in grado di possederle appieno tutte quante. parsa perci gran cosa agli
uomini il poter imparare dai loro simili, e non dalla natura, il cui studio appariva tanto
arduo, e lesser in grado poi di tramandare ad altri quellinsegnamento; cos essi,
procacciandosi riputazione per tale lor fatica di espositori fra gente che
dellesposizione si accontentava senza rifarsi ai testi e senza giudicare lesattezza
dellinterpretazione, non seguirono pi la verit obbiettiva, si fecero seguaci devoti
degli antichi ed abbracciarono le sentenze altrui: senza mai volgersi a scrutare la
natura delle cose, studiarono invece i detti, e neppur quelli dei filosofi, ma degli
interpreti soltanto. Tanto si aggrav questo malanno fra gli uomini, da indurre a scusar
volentieri gli errori tramandati dagli antichi, quasi si fosse vincolati ad essi, e da
rinnegare piuttosto la propria esperienza sensibile. Principal causa di ci furon certi
libri, detti di dialettica perch in parte hanno per argomento i vocaboli, libri che fanno
gran confusione con nomi astratti e termini oscuri e che hanno significati diversi nelle
varie lingue da cui ci pervenirono e diversi anche in seno ad un medesimo idioma.
Stimando dunque certuni di farsi un nome studiando a fondo queste cose e mettendosi
in grado di disputarne con altri, ci si buttan su a corpo morto, senza avvedersi chesse
ripugnano al naturale buon senso, poich le parole soltanto sono complicate, non le
cose in se stesse.

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Sono i cinque anni trascorsi nellOrdine domenicano dal 1583 al 1588.
3
Un complice della congiura di Calabria, fra G. B. da Pizzoni, depose nel 1599 di aver conosciuto il
Campanella in Nicastro (1585-1588) come: omo... contradicente ad ogni cosa e particularmente alli
lettori sui; ed un giorno, contradicendo al Fiorentino [Padre maestro dei novizi], ebbe a dire:
Campanella, Campanella, tu non farai bon fine! (cfr. L. AMABILE, Fra T. C., la sua congiura ecc.,
Napoli, 1882, vol. III, p. 199).

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Ed affrontando poi la filosofia della natura, che Aristotele costru di proprio arbitrio e
con simili artifizi verbali, senza rifarsi alla realt, costoro, quasi avessero giurato che
al lume della logica la filosofia aristotelica divina, o forse non fidandosi ad indagare
da soli nella realt la natura delle cose, suppongono vere le sue sentenze,
incontrovertibili i suoi princpi, e stimano perci che non si debba neppur discutere
con quelli che dissentono da Aristotele, gente da cui si deve rifuggire. parso a
costoro bastevole riuscire ad impossessarsi di tutte le sue sentenze, e in pochi sono
giunti a leggerlo tutto, ansiosi non di possedere la verit, ma di mettersi in grado di
interpretare Aristotele al prossimo, guadagnandosi fama di conoscerlo a fondo e di
saper avvincere i contradditori con lautorit delle sue citazioni, sicch non hanno mai
conseguito il vero. Cos fra loro disputano di ogni argomento, mai per della verit,
poich la mortificano sotto i detti aristotelici, chessi mostrano di non aver compreso
affatto, con sottigliezze fantasiose, del tutto incuranti del senso vero e delle proprie
contraddizioni, solo intenti alla interpretazione peregrina e lontana dalla coerenza in
guisa da parere raffinatissima. Se poi per caso trattano una questione reale e sensata,
non hanno occhi per realt, ma per quel che trovano scritto nelle pagine di Aristotele,
con quello argomentano e con quello ribattono, e se la natura stessa delloggetto si
rivela ai loro sensi recalcitranti ed ostili davvero contraria alla definizione aristotelica,
sostengono che egli non pu avere errato e rappezzano con molte chiacchere di logica
vane e fallaci le fallacissime sentenze di Aristotele; come ultima risorsa pretendono
che lintelletto compongono infatti di molti e contrastanti elementi lanima, ch
invece un tutto unico ci ammaestri in modo diverso dal senso e stimano pi nobile il
sapere intellettivo, quasi lintelletto appartenesse ad una diversa ed infallibile
sostanza, o fosse in grado di accogliere alcunch senza il tramite dei sensi, o
Aristotele non avesse detto ch assurdo abbandonare il senso per dar fede ai
raziocinii e predicato che ogni scienza dal senso si genera e dalle cose per esso
percepite o simili. Disprezzano perci ogni dato sensibile che li accusi di essere in
contraddizione con Aristotele e con se stessi, mentre quelli che cercano di metterne
daccordo due o pi non lo fanno senza sommo danno delluno o dellaltro e
sovvertimento delle leggi naturali. Rifuggendo perci la conoscenza delle cose,
sciupano il tempo a discuter fra loro circa i soggetti delle scienze secondo Aristotele,
la loro nobilt, il massimo e il minimo, le consequenzialit, le forme, le entit, i
concetti, il primo dato di conoscenza, la denominazione, la sostanza, laccidente, il
soggetto, il predicato, il sillogismo, i categorici, gli istanti: ed ancora circa il

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linguaggio di Aristotele, se vero che qui dimostra, l avanza unipotesi, qui
generalizza e l argomenta a priori, qui una causa agente e l efficiente: e tutte
queste cose ed altri artifici ancora manipolano attraverso le parole di Aristotele
anzich nella realt. Per questo mai ho veduto un di loro, vivaddio, osservare le cose,
recarsi in campagna, al mare, ai monti, per studiare la natura, n lo fanno in casa loro,
e solo badano ai libri di Aristotele sui quali passano le giornate. Va a finire cos che
non capiscono pi neppure le sottigliezze con cui rispondono agli argomenti avversi
nel corso di una disputa e a stento coloro che per primi le hanno escogitate sono in
grado di ribattere in loro vece, luno ripetendo le parole dellaltro, ragion per cui ad
ogni sensato quesito van discorrendo: Per s e per accidente, in potenza ed in atto,
sotto laspetto logico e sotto quello fisico, in primo luogo intenzionalmente ed in
secondo formalmente e virtualmente; e a chi sostiene linconsistenza di siffatta
risposta proclamano: Il tale autore dice cos, punto curandosi di far scaturire dalle
cose stesse la loro intima verit.
Questo considerando, pensai che la scienza riguarda le cose, non le parole, n si fonda
sulle sentenze di Aristotele, sulla sua mentalit e le sue tendenze: ritenni perci
chessa debba estrarsi dalle cose medesime ed avviai per tal via la ricerca. Decisi
allora di esporre un metodo dindagine delle cose pel tramite del senso e
dellesperienza, nel quale non si trattasse di vocaboli e di oscure locuzioni, bens delle
cose, per mezzo di termini non inventati, ma suggeriti dalle cose stesse; in quel
libretto
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si illustra in qual guisa debbasi condurre lindagine delle cose attraverso il
loro naturale agire, il loro aspetto, le loro similitudini e coincidenze, in qual modo si
pu cadere in errore in queste osservazioni, in qual modo sopratutto si debbano ad
esse attribuire quelle caratteristiche, che ben loro si addicono sebbene ne siano prive a
prima vista, e si debbano invece spogliare da quelle altre che sembrano possedere, ma
che non hanno in realt: qui sta infatti la fonte dellerrore. Cominciai a porre in carta
lesposizione di questo metodo, che mi ero prescelto e che mi aveva consentito di
scoprire quel tanto di vero che alluomo concesso, quando non ero uscito ancora dal
mio diciannovesimo anno, col proposito di far palese dallora innanzi quel frutto della
mia ricerca, che solo a pochi avevo cominciato a rivelare fino a quel giorno.
Paventavo infatti con giovanile trepidazione di venire ripreso, se avessi accusato di
errore gli autori del passato (si consideri che quattordicenne ancora mi ero

4
il De investigatione rerum, iniziato a Nicastro nel 1587 e compiuto nei suoi tre libri a Napoli nel
1590. Il Campanella lo perdette a Bologna due anni dopo e non lo ricuper pi.

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assoggettato allobbedienza nellOrdine domenicano
5
), specie pel fatto che quelli cui
aprivo siffatti pensieri andavano a riferirli ad altri pi autorevoli, sicch subivo non
pochi rabbuffi per essere il solo a respingere le sentenze dei cosidetti grandi filosofi:
alle mie ragioni non prestavano orecchio e, quando li mettevo con le spalle al muro,
inveivano contro di me con male parole. Questo subii verso i miei diciottanni ed
anche prima. Ma col passar del tempo la verit si faceva in me pi ardente e pi non
poteva essere costretta nellintimo; vedendomi biasimato per la mia mentalit deviata
come quella di un tal Bernardino Telesio da Cosenza, che contraddiceva a tutti i
filosofi e specialmente ad Aristotele, sommamente mi rallegrai per aver trovato un
compagno o una guida cui attribuire i miei detti, s da poterli riferire con la
giustificazione che erano stati pronunciati da altri. Recatomi a Cosenza, famosa citt
dei Bretti nella Calabria inferiore, detta Brettia un tempo, richiesi il libro del Telesio
ad un suo seguace, ottima e distinta persona, che di buon grado me lo rec
6
. Cominciai
a percorrerlo con sommo interesse e, lettone il primo capitolo, dun subito compresi
quanto negli altri si conteneva fino alla fine, prima di averli letti. Certo mi trovavo
tutto orientato verso quei princpi, sicch in un sol tratto abbracciai col pensiero ogni
loro conseguenza; in lui infatti tutto deriva dai suoi princpi, e non gi, come accade
in Aristotele, quel che segue contrario ai princpi o manca dogni dipendenza da
essi. E poich, mentre soggiornavo col, il sommo Telesio venne a morte e non mi fu
dato di ascoltare dal suo labbro le sue dottrine n di vederlo in vita, ma solo quando fu
portato in chiesa defunto potei scoprirgli il volto, contemplarlo con ammirazione ed
affiggere al suo sepolcro molti versi a lui dedicati
7
, recandomi ad Altomonte per
ordine dei superiori, mi parve doveroso studiare a fondo col lopera di questo
filosofo prima di dare in luce il mio libretto sul metodo di indagine e il frutto dei miei
ritrovati. In tal guisa, disponendo del tempo necessario, riconobbi che non il Telesio,
ma gli altri tutti avevano una mentalit deviata, e giudicai chegli debba venire
anteposto a chicchessia, come colui che desume la verit dalle cose esaminate col
senso e non dalle chimere, ed ha riguardo alle cose in s, non alle parole degli uomini:
questo mi apparve manifesto.

5
Campanella aveva pronunciato i voti nel convento di Placanica nella primavera del 1583 e comp i
15 anni a settembre.
6
Come chiarir pi innanzi, Campanella ebbe allora in visione la prima edizione del trattato telesiano
(Roma, 1565), in due libri soltanto; solo pi tardi, a Napoli, ebbe agio di percorrere ledizione
definitiva dell86 in nove libri.
7
Si tratta di avvenimenti dellottobre 1588; lelegia latina dettata dal Campanella per la morte del
Telesio non ci pervenuta.

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Accadde infine che mi venne a trovare Giovan Francesco Branca di Castrovillari,
eccellente dottore in medicina e chiaro filosofo, che rifuggiva dalle menzogne dei
Peripatetici, accompagnato da un altro medico considerato superiore a molti per
acutezza dingegno, che ha nome Plinio Rogliano del paese di Roggiano
8
, ed insieme
discorremmo dei princpi della filosofia e della verit delle cose: costoro si strinsero a
me di grande affetto e di piena intimit, con frequenza venivano a conversare, e
rimasero talmente compenetrati della verit rivelata da Bernardino Telesio, da
proclamare lui solo degno di lode tra i filosofi, sicch mi invitarono a dare in luce
quanto mi ero proposto. Da essi ricevetti copia di doni cortesi, essi mi recarono i libri
dei Platonici e dei Peripatetici, di Galeno, di Ippocrate e degli altri, onde far s che la
difesa del Telesio da me concepita fosse convalidata dalle pi antiche sentenze. Era
allora priore in quel convento un certo invidioso, che pi di una volta, e sempre
invano, si rivolse al molto reverendo Padre Pietro Ponzio da Nicastro
9
, maestro di
teologia e degnissimo Provinciale di Calabria a quei tempi, nonch agli altri superiori,
accusandomi di falsa dottrina e di troppo frequente conversazione con gente estranea
al chiostro: quanto alla dottrina, possono qui giudicarla le persone dingegno, non
certo lui, ch uno zuccone. Ma i personaggi che mi frequentavano erano tutti buoni e
nobili: era fra essi il molto illustre Muzio Campolongo barone dAcquaformosa
10
, che
mi gratificava quasi mio malgrado di copiosi benefici, mi difendeva contro tutti,
nonch dal livore di quel maledetto uomo, ed altri favori mi avrebbe concesso sol che
lo avessi voluto: dassai gli sono debitore. Cera pure Giovan Paolo Gualtieri
11
,
giureconsulto non oscuro, che, tornato da Napoli in patria, mi fu carissimo sia per la
sua eccellenza ed integrit, sia perch mi strinse vieppi a don Luigi Brescia da

8
Gio. Francesco Branca, nato in Castrovillari verso il 1557, si addottor in Napoli in filosofia e
medicina ed esercit in patria la professione; la moglie Alessandra Dionisia gli diede tre figlie.
Facoltoso e dotto, lasci un saggio inedito sullinvasione di locuste del 1600, dedicato al Campanella.
Morendo il 24 agosto 1621 leg libri e manoscritti alla locale biblioteca dei Minori Conventuali, poi
dispersa. Di Plinio Rogliano si sa solo chera nato nel 1566 e che nel 1641 era gi morto; spos una
Antonia, da cui nel 94 ebbe la figlia Fulvia; risiedeva con molti altri dello stesso nome a Roggiano,
ma aveva beni ad Altomonte.
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Frate di grande autorit e rigore, fu Provinciale di Calabria dal 1587 all89, suscitandosi molti
nemici, che nel 1595 lo fecero uccidere da un tal Pietro Blasco di Catanzaro, scampato poi in Turchia.
Un suo omonimo nipote, intimo amico del Campanella, fu tra gli esponenti pi in vista della congiura
di Calabria.
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Cittadino di Altomonte, ma residente a Cosenza, doveva la sua baronia alla giurisdizione da lui
posseduta sulle cause criminali e miste del paesello di Acquaformosa, quasi esclusivamente abitato da
Albanesi. Documenti del 1603-4 rivelano il suo carattere autoritario e prepotente.
11
Nativo di Altomonte, scrisse pi tardi apprezzati lavori giuridici: una Praxis tutelaris (Napoli,
1601; rist. 1621) ed una Practica criminalis instrumentaria (Napoli, 1619).

9
Badolato
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, giurista di grande acume, a nessuno secondo nellarte mnemonica, legato a
me fin dai teneri anni di non comune amicizia, la cui opera in questioni gravissime ed
in tempi estremamente difficili mi fu utile non solo, ma necessaria addirittura. Proprio
questa mia cerchia di personaggi distinti eccitava la furia di quellinvidioso; non
riferisco queste cose avventatamente, ma che Dio lo perdoni. Per parte mia avevo
concepito un trattato rivolto a illustrare la filosofia Telesiana e a difenderla da tutte le
sentenze dei Peripatetici, capace altres di renderne chiara la dottrina, che a quelle
colte persone pareva alquanto oscura.
Capit dunque nelle loro mani un certo libro dun saccente Peripatetico, Giacomo
Antonio Marta
13
, che si vanta dottore in diritto civile e canonico, in teologia ed in
filosofia, ma ignaro dogni verit, libro che sintitola Baluardo dAristotele, ma che
meglio avrebbe potuto chiamare Deformazione dAristotele, tante sono le
incongruenze che vi accumula, rivelandosi in pi luoghi in contraddizione con se
stesso come dimostrer , con Aristotele e con i principali Peripatetici, avverso
sempre al senso ed alle leggi della natura. Mi diedi perci, insieme agli altri, a
demolire le sue calunnie e le sue vuote parole contro il Telesio, principe dei filosofi,
obbedendo alla volont delle persone che ho nominate: e lo feci non perch
quellometto meritasse desser citato nelle filosofiche dispute, ma solo perch i
Peripatetici, constatando che non rispondevamo neppure a costui, non riprendessero
animo e non andassero latrando, com lor costume, che basta lultimo dei Peripatetici
a smantellare la dottrina di Telesio. Imparino cos che la loro logica verbale nulla pu
contro le nostre leggi naturali e, contemplando la verit sensibile finalmente rivelata
da Telesio, rendano grazie siccome insegn loro Aristotele. Anche Alessandro
dAfrodisia, ch fra i loro maestri, disse che non si deve seguire Aristotele perch
egli sia infallibile, ma perch quello che pi si avvicina alla verit: ed Ammonio,
unaltra delle loro autorit, ha affermato: Le sentenze di Aristotele e degli altri non si
devono accogliere come se promanassero dal tripode di Apollo e sono da respingere a
mente libera per quanto contraddicono allesperienza sensibile
14
.
Ora, se si trova qualcuno che pi si sia accostato alla verit e che, a mente libera,
abbia messo in luce gli errori di Aristotele, gli si deve il massimo rispetto: non odio

12
Noto solo per questo accenno e per lepigramma elogiativo, da lui composto di sei distici latini,
premesso alla Philosophia sensibus demonstrata del Campanella.
13
Nato a Napoli nel 1559, fu giurista, teologo e filosofo devotissimo ad Aristotele; peregrin per varie
citt come lettore di diritto e mor dopo il 1628.
14
Cfr. AMMONIUS Hermae F., In Porphyrii Institutionem Aristotelis, Categorias et librum De
interpretatione, I. B. Rosario interprete, Venetiis, apud V. Valgrisium, 1569, col. 80, lin. 26-30.

10
dunque, ma venerazione merita Bernardino Telesio, se vogliamo seguire la verit, non
badando alle chimere umane ed alle fallaci parole. Quanto a coloro che in pubblico
blaterano contro di lui, provino a leggere attentamente i suoi scritti ed a confrontarli
come si conviene col senso e colla natura, e se giungeranno a conclusioni diverse
dalle nostre, allora lo disprezzino pure. Infatti, che giudici mai sono quelli che
emanano la sentenza senza aver udita la parte avversa o che, se lhanno udita, senza
aver esaminato la bont delle sue tesi, pensano solo a respingerle, o non vagliano nel
proprio intimo luna e laltra ragione? A ben leggere tutti gli scritti di Aristotele,
lasciando in disparte gli espositori che inventano per lui, egli non sembrer poi tanto
coerente con la verit e con se stesso da esser giudicato cos grande e simile a un dio.
Se infatti si considera quanto ha scritto sulle cose divine, si mostrer empio ed
ignorantissimo, poich nega che Dio abbia creato luniverso, che possegga
lonnipotenza di creare o di annichilare alcunch o di generare dal nulla; esclude
altres la provvidenza divina dal nostro mondo inferiore e, pur ritenendo chEgli
superi lintelligenza di qualunque essere, non ammette che possa comprendere tutte le
cose; ancora, insegn che Dio agente necessario, non libero, e lo avvinse al primo
cielo perch lo muovesse, e gli neg la possibilit di cessare di muoverlo o di agire in
via immediata col produrre alcunch al di fuori del moto che imprime al cielo;
tuttavia, per questa funzione di motore, da Lui dipende, il cielo e la natura ed Egli a
tutti, tramite il moto, dispensa lesistenza, poich, se il moto cessasse, tutto cadrebbe
distrutto; dunque per Aristotele Dio causa agente, ma non produttiva dal nulla n
realmente attiva, ma soltanto conservativa. Gli pose accanto inoltre partecipi della
stessa eternit, quasi di secondi, le intelligenze ed il mondo, ai quali Dio non
superiore per durata, ma solo perch nel loro moto debbono imitarlo come primo
modello; e tuttavia impose loro, a regolarne il moto, un criterio che non
dimitazione, ma di contraffazione, poich dichiar che queste intelligenze si
muoverebbero da occidente ad oriente, ma sono soverchiate e trascinate dal primo
motore in senso contrario: esse non sono dunque ministre ed esecutrici delle sue
opere, ma muovono soltanto i cieli, uno per ciascuna, in senso contrario al primo
motore. Ha fatto dunque queste intelligenze sventurate come Sisifo ed il cielo pi
imperfetto duna formica, se non pu muoversi e vivere da solo (eppure d la vita, nel
che a ben considerare c contraddizione), mentre quella lo pu; ed ha posto il sole,
che del cielo testimonio, privo danima e di moto proprio, quantunque a tutti
dispensi e moto ed anima. Chi tanto sciocco da assentire? E se le idee platoniche

11
non agiscono sui corpi, comegli sostiene
15
, come possono le intelligenze incorporee
agire per lui sopra il cielo, tanto diverso dai corpi nostri, i quali Aristotele vuole siano
mossi da unanima incorporea attraverso lestensione e la contrazione del caldo e del
freddo, nonch dei nervi, come dice parlando di questo argomento? Nega che il cielo
abbia luce e calore, e immagina, che quel calore e quella luce, che noi ci vediamo
giungere dal sole, siano generati da un attrito dellaria provocato dal sole e dalle
stelle. Quale follia! Sostiene che il cielo di natura diversa dallaria, immune da
qualsiasi contatto e tale che nessuna qualit gli pu essere attribuita, e tuttavia
pretende che il sole, situato nel quarto cielo, possa disgregare laria ed incendiarla per
attrito ed in essa generare il proprio lume, sebbene non abbia contatto n attitudine ad
esercitare veruno influsso mediato, e tanto meno attrito e divisione, visto che tali
azioni non gli si possono attribuire. La pi completa discordia regna a questo
proposito fra gli stessi Peripatetici: alcuni infatti respingono radicalmente la sua
dottrina, alcuni in parte, altri la difendono, e certo egli meno contraddice alla Chiesa
di Dio ed alle Sacre Scritture dettate dal Signore dove parla di Dio e degli angeli, di
quanto non faccia sullargomento del cielo. Dio infatti, parlando a Mos dalla colonna
di fuoco, disse: Ho parlato dal cielo, e nellinno si canta: Gi linfuocato sole
tramonta
16
, e lo chiamano cielo empireo ed igneo: ma di questo tratter nei miei
discorsi, specie in quelli teologici
17
.
N merita scusa pel fatto che queste cose non possono venir comprese col solo lume
naturale, poich tutti gli antichi, e Platone che gli fu maestro, ben altro concetto
ebbero di Dio, degli angeli e dei cieli, e tutti concordano, come Pitagora, Archita,
Platone, Ermete, Anassagora, Cleante ed infiniti lor seguaci; ci non ostante
Aristotele volle insistere per apparire grande e pare soltanto grosso. E se err riguardo
alle cose divine, che sono le conclusioni di quelle naturali, nelle quali risiedono i
princpi, di pi err nelle cose naturali da cui prese lavvio: comegli stesso afferma,
una conclusione falsa rivela la falsit del principio, e a questo riguardo spesso in
contraddizione con se stesso. Avendo inoltre appreso da Platone che ciascun uomo ha
in s unanima immortale, egli a tutti ne attribu una mortale, ed a ciascuno poi

15
Una nota marginale rinvia al Lib. de cau. mot. anim., ma nel De animalium motione aristotelico
manca il riscontro; forse allude al De anima, I, 3 (407).
16
La prima citazione tratta a memoria da Exod. XX, 22; la seconda riferisce il primo versetto
dellinno dei Vespri del sabato nellordinario dellUfficio.
17
Il CORSANO (T. Campanella, Milano-Messina, 1944, p. 30) ha creduto di ravvisare qui un progetto
di opera teologica, che forse il Campanella aveva gi concepita a quel tempo. A me par tuttavia pi
verisimile che i menzionati discorsi siano quelli della medesima Philosophia sensibus demonstrata,
nei quali con frequenza ricorrono discussioni di questioni teologiche.

12
unaltra incorporea sopravveniente dallesterno, chegli chiama intelletto agente,
immateriale entelechia, siccome espongono i Greci e gli Arabi. A questo proposito ha
pi opinioni mutevoli e i commentatori sono discordi. Pose inoltre tre princpi
naturali, uno passivo e due attivi contrari fra loro, nobile luno, detto forma, ignobile
laltro, detto privazione, ma chiam poi non-ente la privazione, facendola perci non
agente, ed ammise quindi con Platone un solo principio attivo, sebbene quegli con gli
altri antichi ne avesse prima posti due con miglior ragione. Ma venendo poi a spiegare
i princpi attivi, torn a considerarli entrambi, dimenticando quel che aveva detto
prima, e ne aggiunse anzi due nuovi, portandoli a quattro, cio il calore ed il freddo, ai
quali affianc lumidit e la secchezza; questi ora definisce attivi, ora passivi, quasi
che la natura, specie nei primi enti, non sia dovunque uguale a se stessa. Questo
sostenne per ammettere lesistenza dei quattro elementi individuati dagli antichi, ai
quali Aristotele fuor del suo costume si accosta, ma senza convinzione di attingere
cos i veri enti primi. Quel che sorprende che egli, dopo aver proclamato che i
princpi debbono dare origine e generare tutte le cose, nonch reciprocamente se
stessi, quantunque constati che acqua ed aria non hanno virt attiva, che il fuoco
sublunare non produce alcunch e neppure se stesso, li ammetta tuttavia come
princpi. Trascura invece il sole, che tutto produce e informa del suo calore. Proprio
lui, che ha dichiarato che il calore ed il freddo prosciugano e inumidiscono, generando
secchezza e umidit, considera poi come princpi il secco e lumido, che da quegli
altri derivano. In ogni ente mescola quattro elementi contrari, insegnando che
limitandosi a vicenda si frammischiano e compongono, quantunque mai li si veda
venire a combinarsi e ad agire. In due sostanze sommamente contrarie, quali il fuoco e
la terra, dichiara sussistere la medesima natura, vale a dire la secchezza, carattere
tipico incompatibile con luno e con laltra non meno dei suoi aspetti esteriori, vale a
dire la densit, laridit e la durezza. E pi e pi volte in contraddizione con se
stesso nella medesima frase, e si scorda di quanto ha detto, come Telesio ha
dimostrato e i discorsi che seguono renderanno manifesto.
Non fu dunque un oceano di memoria, n un forte carattere, n un ingegno
sottilissimo, n uno scrutatore dei segreti della natura, ma un diffusore di menzogne;
non fu un contemplatore di Dio, ma uno che deformava le cose divine ed umane, come
colui che, ponendosi a gara con la sapienza e la potenza di Dio, aveva architettato gli
enti naturali ben diversamente da come Dio li cre ed aveva sostenuto che essi
debbono essere in tuttaltro modo; non fu puro di mente, egli che ord insidie, come

13
testimonia Plinio, contro Alessandro Magno e medit di avvelenarlo, quantunque
fosse stato da lui colmato dogni beneficio ed innalzato al di sopra dei numi
18
; non fu
costumato, se di lui scritto che per sfrenata libidine si sottomise come cavallo da
sella ad una donnicciuola chera serva di Alessandro e compi altri gesti che
offenderebbero la mente e lorecchio dei lettori, se qui li scrivessi, e che son tali da
umiliare la mia penna. Neppure questo infatti avrei posto in carta, se Marta il
filosofastro non lo innalzasse come un dio con le pi ampie lodi, a ciascuna delle
quali ad una ad una ho voluto contrapporre i dati della realt. I libri aristotelici sugli
animali li ho riscontrati tutti zeppi di errori, e specialmente quel chegli dice delle
parti degli animali e della loro generazione fu totalmente confutato da Galeno con
dissezioni sperimentali. Peggiori sono i suoi libri morali, come Telesio dimostra nel
nono libro. E se vero che per grazia divina, come si va dicendo, tale fu Aristotele da
non poter errare, sicch disputano se la natura possa produrre un altruomo simile a
lui, non superiore, limitando cos le forze della natura e di Dio, e si misurano col
Signore, asserendo chegli non crea pi, n sa, n lo potrebbe, soggetti pi valenti di
Aristotele: perch di grazia una pi alta mente non viene suscitata fra i Cristiani, ai
quali dato adorare il vero Dio e lintera pienezza della grazia stata elargita? Stolti
si mostrano dunque costoro e sconsiderati, non meno di quegli altri che dichiarano di
voler trascurare la natura delle cose, da cui si illumina la verit, per seguire lintelletto
di Aristotele (pi oscuro, a ben guardare, della natura), che pure ha sbagliato come e
pi degli altri. Ma dunque per loro la verit ladeguarsi delloggetto allintelletto,
oppure di Aristotele allintelletto? Sono costoro odiosi anche al Signore, siccome
quelli che non indagano n meditano le cose e le opere Sue, dalle quali risplende
glorificazione di Dio, ammirazione e conoscenza, ma le parole di Aristotele e delle
creature.
Non si dica che non si deve abbandonare Aristotele, visto che lo si seguito per tanti
anni: molte stte fallaci e perfino avverse alla verit cristiana ebbero fortuna per molti
anni e prosperano tuttora. Che c da meravigliarsi? E se fu lecito a lui biasimare tutti
gli antichi, ed anche a torto, fin nelle cose divine, circa le quali egli stesso in errore,
come i suoi seguaci dimostrano e specie Simplicio, donde si ricava che egli debba
essere immune da rimproveri se ha sbagliato? Metterlo sotto accusa non una novit:
rivelano infatti le sue menzogne i Platonici, come Plotino, Proclo, Giamblico,
Bessarione, Alcionio, il Ficino ed altri che vennero dopo di lui; lo stesso fecero

18
Cfr. appunto PLINIO, Nat. Hist. XXX, 53.

14
Galeno con parecchi medici, Algazel, Avicenna e molti Arabi, luno e laltro Pico fra i
Latini e numerosi scrittori in vari luoghi. Fin gli stessi Peripatetici, non sentendosi di
sostenere le menzogne di Aristotele, le attaccano da diverse parti; tutti i Latini e molti
Greci sul tema delle cose divine, altri sul calore del cielo, altri sugli elementi, sul
vuoto, quasi su ogni passo dei suoi scritti, sicch non c una frase che da qualcuno di
costoro non sia stata confutata. Cos tutti i Peripatetici sono discordi e disputano circa
la vera opinione di Aristotele: che testimonianza rendono dunque alla sua dottrina?
Bisogna pure che i testimoni siano concordi, se ha da essere efficace la loro
deposizione, per il che le lor sentenze si rivelano frutto di invenzione, non consone
con la natura immutabile, ma con gli intelletti loro molteplici. Ecco perch non
comprendono le sue parole prive di ogni fondamento di verit: la verit chiara di per
se stessa. Inoltre, dove occorrerebbe, comessi confessano, la pi ampia spiegazione,
Aristotele sorvola con due parole e dove non occorre imbottisce parecchi fogli: perci
sembra a costoro gran cosa sorreggere le invenzioni aristoteliche con artificiose
sottigliezze e della realt non si curano.
Causa determinante di questo suo gran sguito fu il non essere pervenuti a noi Latini i
libri degli antichi: disperando di recuperarli, si fecero suoi seguaci, e non ammisero
pi che quelle dottrine, apprese da Aristotele con tanta fatica, fossero rese inutili e
venissero spregiate, perch non ne ridondasse biasimo alla loro supina soggezione.
Solo di recente a Firenze ricomparvero numerosi i libri di Platone, trascritti dagli
originali greci, ed oggi a Ferrara vengono pubblicamente commentati
19
, ma i nostri
vecchi si vergognano ora di aderire a Platone o a Telesio: pure il tempo ci dar
ragione. Tutti i pi antichi (come afferma Cicerone nelle Tusculane
20
) riconobbero in
Platone il migliore dei filosofi e lo seguirono, e quelli fra i Latini che si distinsero per
ingegno abbandonarono Aristotele, come apparir chiaro ai lettori. Ma van dicendo:
S. Tommaso, il santo Dottore, ha commentato Aristotele e su questa base i nostri
teologi indagarono le cose divine. Questo non ha importanza. Vedendo il mondo tutto
dedito alle dottrine aristoteliche, dalle quali era impossibile distoglierlo, quel Santo,
dato che Aristotele risultava in contrasto con la fede cristiana, per timore che la gente
traesse da lui occasione di errare o di combattere la verit cristiana, come altri
avevano fatto, quali Averro, Simplicio e parecchi con loro, volle impedire che per

19
Allude a Francesco Patrizi da Cherso (1529-1597), lerudito anti-aristotelico che nel 1578, fu
chiamato a Ferrara a leggervi la Repubblica e vi tenne per quattordici anni la cattedra di filosofia
platonica, finch Clemente VIII, nella primavera del 92 non lo chiam alla Sapienza.
20
Cfr. CICERONE, Tusculanae disp. I, 17, e II, 3.

15
colpa del mondo e di quegli uomini mondani i sacri dottori e la fede ricevessero il pur
minimo oltraggio o venissero combattuti con lappoggio della dottrina aristotelica, cui
quelli si attenevano con tanto attaccamento. Considerando pertanto con cautela gli
errori del passato e quelli che sarebbero potuti germinare in avvenire, espose quella
dottrina in modo diverso dagli altri e con interpretazione affatto nuova, piegandola
sempre ad accordarsi con la fede, e cos la offerse alla comprensione del mondo
perpetuamente esposto allerrore. In tal guisa fece di quelle parole alle cose sacre un
presidio, quasi di armi nemiche, e ci fu cagione che quel santuomo si attirasse
immeritamente lodio di quanti non si resero conto di questo, quasi avesse deviato dal
suo vero senso il testo aristotelico, e le sue tesi furono confutate, talora da parte dei
Tomisti medesimi. Ed chiaro che S. Tommaso non si preoccupa della prolissit
dellesposizione, piega il suo autore al proprio indirizzo interpretativo, oppure lo
biasima, dimostrando appunto con testimonianze aristoteliche che Aristotele ha
sbagliato, proprio alla guisa del Telesio, che con parole di lui ne rivela gli errori. Bene
ha fatto dunque S. Tommaso, che non giur sullinfallibilit di Aristotele, ma sostenne
che in nessun caso le sue sentenze possono contrapporsi alla fede cattolica. Non
questo Santo un seguace di Aristotele, ma di Cristo e dei sacri teologi, n la teologia
cristiana, professata dal santo Dottore, aveva bisogno di attenersi ad altro partito; di
ci compresi, altri valenti teologi commentarono Aristotele ed approfondirono la
scienza teologica. Ma Aurelio Agostino, che certo primeggia fra i teologi, si attenne di
pi a Platone e ad altri talvolta, non gi ad Aristotele, mostrando che la verit
cristiana non ha bisogno alcuno delle altrui sentenze. Platonici furono Dionigi
lAreopagita ed Origene e con essi molti teologi greci: dunque alla fede Aristotele non
per nulla necessario. Anzi, quelli che rimasero implicati nelle teorie dei filosofi non
illuminati dalla fede caddero in errore appunto in materia di fede e furono espulsi
dalla Santa Chiesa, come Origene, che in molti riguardi voleva essere Pitagorico, ed
altri per altri rispetti. Ma i puri Peripatetici non son che puri eretici, come si visto.
Per queste ragioni credo che, volendo seguire un filosofo cristiano a nessuno
deliberatamente ostile, ma volto a cogliere dalle cose la verit, si debba fra tutti
preferire il Telesio. Egli indaga affidandosi al senso, non alla logica, come voleva il
saputello, che ora appunto messo con le spalle al muro dallesperienza di Telesio,
non dalla logica aristotelica coi suoi sillogismi in barbara, celarent, ecc. Ma il Marta
lo biasima per aver due volte pubblicato il suo libro, mutato nella seconda edizione e
reso egli crede pi oscuro, s che nessuno lo pu capire. Sostengo invece che

16
occorreva per lappunto pubblicarlo una prima volta per riconoscere quale accoglienza
il pubblico avrebbe fatta alle sue dottrine; dopo che molti filosofi lebbero veduto e i
maggiori lebbero approvato, lo stamp una seconda volta supplendo alle deficienze
della prima edizione, ma senza mutarne lindirizzo; di recente infine diede in luce
lampio volume sulle cose naturali, distribuito in nove libri, nel quale spiegato a
fondo tutto quanto si attiene alla natura
21
. E se tanto oscuro da non poter essere
inteso, come fa a sapere che stato sostanzialmente mutato? Non dica che lha capito
lui solo, cosa che dimostrer falsa: e daltronde, se lha penetrato un rozzo individuo
del suo stampo, sar palese a chiunque. Ma oscuro non se non per gli incolti, gli
ottusi di mente, gli inesperti di filosofia, coloro che non leggono per andare in cerca
della verit, ma per accogliere le altrui chiacchere fallaci. E quei che sono abituati nel
leggere agli artificiosi termini logici, dei quali malgrado lapplicazione assidua non
seppero impadronirsi intimamente, rifuggono da una terminologia dedotta dalle cose,
mostruosit inaudita pei loro sensi depravati. Era opportuno inoltre che un tanto
filosofo discorresse gravemente, ma con chiari concetti, facendo risultare ogni
asserzione fondata sui princpi assunti, e rifuggendo dalloscurit di Aristotele,
verboso nelle quisquilie e stringato, come Pico sostiene
22
, nelle questioni rilevanti:
difetto tanto grave, che non v Peripatetico che intenda se stesso o un suo collega, e
lo stesso Aristotele, in tema di opinioni aristoteliche, non va daccordo con se stesso;
tutti i Telesiani invece sono concordi.
Dice poi il filosofastro, che Telesio parla della natura senza averla vista, senza darne
una definizione e un sillogismo dimostrativo: dunque non sa, poich sapere significa
conoscere per tale via. Oh, quanti vizi hanno menomato lumano senso, usato a
credere alle altrui parole ingannevoli! Si doveva illustrare la natura per via di
definizione logica e di dimostrazione, oppure attraverso il senso semplicemente, per
mezzo del quale Telesio ha dimostrato lesistenza delle nature agenti, cio il calore ed
il freddo, e della natura passiva, cio la massa corporea, ed ha indagato e proposto al
nostro studio i futuri mutamenti delle cose e le loro condizioni? Oh, povero

21
Della sua lungamente meditata opera filosofica il Telesio diede in luce in un primo tempo nulla pi
dei libri primo e secondo (Romae, A. Bladus, 1565) e quelli soltanto ristamp con profondi mutamenti
cinque anni dopo (Neapoli, J. Cacchius, 1570). Solo nel 1586 i nove libri completi venivano impressi
in Napoli da quello stesso Orazio Salviano, che ebbe poco dopo a pubblicare le presenti pagine
campanelliane.
22
Allude allExamen veritatis doctrinae gentium di Giovan Francesco Pico della Mirandola (cfr. lib.
IV, cap. VII, in Opera, Basileae, 1601, vol. II, p. 676: damnatus olim fuit Aristotelis scribendi
modus, utpote qui ea, quae ambigua minime viderentur, multis verbis pluribusque argumentationibus
prosequeretur; quae autem multa egerent cura ut tracterentur et in quibus esset inter doctos aliqua
disputatio, ea paucis absolverit).

17
omiciattolo! se avesse ben ponderate le parole di Telesio, gi avrebbe riconosciuto le
nature reali e non avrebbe inventato fantasticando che i non-enti reali son le nature
delle cose
23
. Non forse vero che in ogni suo testo Aristotele dichiar lesperienza
sensibile maestra della realt? Ad essa diede la preferenza sopra ogni dimostrazione
razionale, poich riconobbe che questa non pu derivare se non da una precedente
cognizione conseguita pel tramite dei sensi: ci infinite volte ribadiscono i migliori
Peripatetici. Ma Telesio dimostra appunto ogni cosa col senso: forse che questo non
sapere? Lomiciattolo invece crede che sapere sia delirare in barocho e
frisesomorum
24
, ecc. E la definizione altro non che un breve discorso illustrativo
delle cose riconosciute dal senso, come il nome indica, ed una riduzione a brevit
significativa: dunque colui che espone tutta quanta la natura, con tutto ci che ad essa
in via assoluta e relativa si riferisce, non tenuto a fornire simili sintesi. Dove mai
Aristotele ha posto le definizioni di tutte le cose? Mancano per certo nei libri sulle
meteore, sul cielo ed in altri.
Pi oltre rimprovera Telesio fuor dogni ragione e con somma ignoranza per aver
attribuito al cielo la natura del fuoco: ma questo saputello quali altre caratteristiche
naturali vede apparire nel cielo, se non quelle del fuoco, cio luce e calore? Forse che
il fuoco ha la durezza e la compattezza della terra, che Aristotele gli attribuisce, e non
invece mollezza e attitudine a disgregarsi? Non c dunque da meravigliarsi se Telesio
lo considera umido, cio rado. Dice poi che Telesio giudica laria fredda, ma
riscaldata dal sole, e lacqua calda, e lo tratta con gran disprezzo. Povero ignorantello,
sopporto di mal animo che tanto onore ti sia fatto nel citarti qui, sia pure per
confutarti: come gli altri si acquistano fama per il loro sapere, cos tu sei reso celebre
per la tua natura inetta e bestiale. Dice infatti Telesio che laria pi calda dellacqua,
ma per contro ed qui che deformi le sue espressioni meno calda del fuoco. Tu ed
Aristotele invece, che attribuite lo stesso calore massimo al fuoco ed allaria, vi siete
forse mai sentiti in compenso scottare da questa come chi ha provato il fuoco? Non
hai vergogna, testolina di rapa, zimbello della gente, di irridere un tantuomo? Eppure
dovrai confessare tu stesso che lacqua nel suo intimo calda, se leggerai quel che ho
scritto e constaterai che essa a causa del freddo si corrompe, indurisce, diventa
ghiaccio, rimane immobile, mentre sotto lazione del calore ritorna pi acqua di prima

23
In margine c il rinvio a Meta. 2 post. in fine, 1 post. in primo. Cfr. Metaphys., XI, 2 (1069 b);
Anal. post., I, 2 (71) e II, 7 (92).
24
A titolo di curiosit si pu leggere la critica campanelliana alla formula di sillogismo in
frisesomorum (indiretto concludente in negativa particolare) e la sua proposta di denominarlo in
frismesorundul nella Dialectica (Parisiis, Dubray, 1637, pp. 385-9).

18
ed il moto conserva il suo nativo calore, come attestano Alessandro di Afrodisia
commentando il quarto della Metafisica, ed altri, ed Aristotele in quel passo
medesimo
25
.
Pi oltre dici che il sapere non di questo mondo, che il sapere non che conoscere
se stesso, e che Telesio ha ignorato questo assioma perch non aveva letto i libri. Ma,
dico io, se il sapere non di questo mondo, com che ti vanti dessere giureconsulto,
tu, leguleio, che non hai mai capito un libro di diritto? Non conosci n teologia n
Dio, tu che adori quellAristotele, che pecc in modo enorme contro Dio, come hai
veduto, e ti credi filosofo dopo aver letto s e no il commento del Vivoli sui
Predicabili di Porfirio
26
. Anche se sei andato pi in l, nulla hai compreso, come
testimoniano le tue parole in contraddizione con te stesso, con Aristotele e con la
natura, e come vedrai in queste pagine. Ben conobbe se stesso il Telesio, egli che non
confid nelle proprie chimere e nel solo suo ingegno per costruire il mondo per conto
suo, ma lo spiega cos come Dio lo ha fatto e come il senso lo riconosce, senza
mettersi in gara di sapienza e di potenza con Dio alla maniera di Aristotele, come
vedrai nei miei discorsi, se riuscirai a capirli. Hai ragione nel dire che non sta bene
anteporre gli ignoranti ai dotti antichi, ma di qui deriva proprio che non si deve
seguire Aristotele, che confut tutti gli antichi in modo grossolano e falso, con
capziosit logiche, come dimostrer, ora rubando ed ora ritorcendo le loro sentenze;
non cos il Telesio, che punto per punto ed a ragione combatte Aristotele, e per mezzo
del senso e delle sentenze di lui medesimo ne mette in luce acutamente gli errori. Se
poi lometto, come va dicendo, sferrer lattacco contro la restante opera telesiana il
che non far, vivaddio, poich non in grado di intenderla, n pu lumana natura nel
campo filosofico folleggiare con tanti svarioni se non continuer le sue chiacchere
di parassita, senza nulla dimostrare, come fa ora, ebbene ribatter in modo anche pi
pungente le sue follie, s che lometto impari a conoscere se stesso ed a tacere.
In fondo alla lode grossolana che egli recita ad Aristotele soggiunge: Ed ora un tale
Bruzio viene a stuzzicarlo. Visto che questo saccente chiama ora Bruzio ed ora
Calabrese Telesio in tono spregiativo, sappia che la Calabria per eccellenza ed
antichit si distingue sopra tutte quasi le regioni e che nei pressi di Reggio il nipote di

25
Una nota marginale rinvia a 4 Meta. 12 e 13, ma in quei capitoli della Metaphysica manca ogni
riscontro; cfr. invece De part. anim. II, 1 e Meteorolog. I, 13.
26
Francesco Antonio Vivoli, pedestre aristotelico napoletano, docente di logica, mor nel 1613 dopo
aver pubblicato vari Quaesita, una Expositio in primum librum posteriorum (1582), un trattatello sui
Praedicamenta (1596) e la Expositio in quinque Porphyrii voces (1575), cui qui allude Campanella;

19
No Aschenaz
27
cominci ad abitarla dopo il diluvio per la fertilit del sito. Ausonia
fu detta per labbondanza di ogni bene, come oggi Calabria suona copiosa regione,
ed ancora Enotria, Morgezia, Sicilia, Magna Grecia, per distinguerla da quellaltra
Grecia cui questa per ogni riguardo sovrastava. Ed anche fu detta Italia, sicch da lei
lintera Italia, parte dEuropa, ha preso nome. Si veda a questo proposito il libro Sul
sito della Calabria del Barrio
28
, che allega la testimonianza di scrittori antichissimi.
Fu detta anche Brettia dal nome speciale di una sua parte, dove sorge Cosenza patria
di Bernardino Telesio, non Bruzia, che taluni immaginano derivare da una razza di
uomini bruti ivi un tempo raccolta, come qui sembra interpreti questo filosofastro
ignorante. Ebbe invece questo nome da Brento, figlio di Ercole, che vi regn nel
passato, come narrano nelle storie loro gli scrittori antichissimi Stefano, Eustazio ed
Antioco, oppure dalla regina Brettia, secondo Iarnardo nel libro Sui fatti dei Geti
29
.
Quel che deve persuadere chiunque il fatto che su certe antiche monete si vede
scritto in greco #DgJJT<, nome che ricompare nelle opere teatrali di Alessio da
Sibari, poeta comico
30
, e sulle monete incidevano altres un grifone con lelmo e trofei
di vittoria
31
. Ma costoro leggono solo la storia del Calepino alla voce Brutium
32
, e
quegli a sua volta non vide che i moderni. Tralascio gli innumerevoli filosofi
cosentini, visto che il Barrio li enumera tutti. Tutte le discipline e lintera scienza
umana fiorirono fra i Calabresi e quella che ora circola per le scuole da essi ha avuto
origine. Platone infatti e il suo discepolo Aristotele furono allievi dei Calabresi, o
meglio Aristotele lo fu di Platone, che in Calabria venne ammaestrato; Platone invero

postuma usc la Dilucidissima in logica expositio (1625). Cfr. gli sparuti cenni del Tafuri, del
Chioccarelli e del Minieri-Riccio.
27
Ascenez, figlio di Gomer, figlio di Jafet, citato in Gen. X, 3 ed I Par. I, 6; Campanella deforma il
nome in Aschenaz, sulla traccia del BARRIO (pp. 6 e 187) citato nella nota seguente.
28
Cfr. GABRIELIS BARRII Franciscani, De antiquitate et situ Calabriae libri V, Romae, I. de
Angelis, 1571, che cita a sua volta Stefano, Eustazio ed Antioco sotto nominati (pp. 8, 17-18, ecc.).
Sui nomi della Calabria cfr. le pp. 7-10 e 30-31; dei filosofi calabresi dato un elenco alle pp. 339-40
e unampia tavola in fine.
29
Campanella qui mal trascrive il BARRIO, che (p. 30) nomina un Iernandis, deformando a sua
volta il nome di Iornandes, pseudo-vescovo di Ravenna, morto nel 552, che lasci un De origine
actibusque Getarum stampato a Parigi nel 1531 con le Historiae di Zosimo, ivi nell82 in appendice a
Cassiodoro, e riprodotto sovente pi tardi.
30
Conosciamo i titoli di ben 134 commedie di Alessio da Sibari; della sua Brettia, anchessa ricordata
dal cit. BARRIO (p. 31), ci han conservato due frammenti ATENEO (XIV, 6) e STOBEO (Flor. 105,
4).
31
Il cit. BARRIO (p. 31) ricorda appunto monete che hanno da una parte il duce con lelmo e
sullelmo un grifone, simbolo di velocit, e dallaltra la vittoria alata, un trofeo con due scudi, il
martello di Vulcano, il corno dellabbondanza. Si vedano i fac-simili riprodotti in F. CARELLII,
Nummorum Italiae vet. ecc., Lipsiae, 1850, tavole CLXX segg.
32
La prima edizione del vocabolario di Ambrogio Calepino apparve nel 1502; degli abitanti del
Bruttium dice appunto: Dicti sunt quasi bruti, idest tardi, stupidi, obscaeni, ed aggiunge che i
Romani li distrussero per la loro perfidia, sempre trattandoli da schiavi.

20
si rec da Atene in Calabria ed apprese ogni cosa da Timeo, Euticrate ed Arione, tutti
Locresi, secondo afferma Cicerone nel quinto libro De finibus, mentre nel primo delle
Tusculane proclama che ogni sua scienza deriva da Timeo
33
. E Filolao da Crotone,
ricordato da Platone nel Fedone, ammaestr Archita di Taranto e Platone stesso, come
ricorda Cicerone nel libro terzo Delloratore
34
, e da costoro a sua volta apprese
Aristotele, maestro dei Peripatetici. Filolao lasci tre libri sulla setta pitagorica, che
Platone acquist dai parenti di lui per diecimila denari, componendo poi sulla loro
traccia le sue opere, come Gellio testimonia e vien narrato da Ermippo riferito da
Laerzio e da Plutarco a proposito di Platone
35
. Molto altres impar Platone da
Ipparco, astrologo di Reggio, da Ippia e da Teeteto, chegli introduce come
interlocutori nei suo dialoghi
36
, e tutto ci che Aristotele ha di buono lha appreso da
Platone, e questi a sua volta da quei Calabresi. Narra infatti Laerzio che Aristotele
compose un intero libro con dottrine di Timeo e di Archita
37
, e certo dallopera di
Ocello Lucano sugli elementi, che ci pervenuta, egli trasse non opinioni soltanto ma
le parole stesse
38
. Anche Pitagora, che con universale consenso chiamato principe
dei filosofi nel Della vecchiezza ciceroniano
39
, fu calabrese e da lui derivarono tutte le
scuole filosofiche; quando la sua setta fu potente a Crotone, da tutto il mondo
convenivano a lui filosofi e sovrani, come svariati scrittori raccontano, e dopo la sua
morte la setta prosper a Locri ed a Reggio sotto diversi capi, in unepoca in cui
innumerevoli filosofi e donne di rara sapienza, tutti autori di molteplici opere,
fiorivano per lintera regione. Spesso di costoro ci d testimonianza Aristotele,
chiamandoli quasi sempre Italiani
40
, perch la Calabria in antico era detta Italia, ed
invero Laerzio, Aristosseno e Teopompo, scrittori di antichit e seriet insigne,
considerano Pitagora calabrese, ma nominato Samio perch suo padre era di Samo;

33
Cfr. CICERONE, De finibus bonorum et malorum, V, 29 (87) e Tusculanae disp. I, 25 (63).
34
Per PLATONE cfr. appunto Phaedo, 61 d-e, e per CICERONE, De oratore III, 34, dove Filolao
detto maestro di Archita, ma non di Platone.
35
Per AULO GELLIO cfr. Noct. Attic. III, 17; per DIOGENE LAERZIO, De vitis clar. philos., III, 11,
9; VIII, 1, 15; VIII, 7, I (Ermippo citato come fonte da Laerzio in VIII, 1, 51, ecc.); per
PLUTARCO manca ogni riscontro; si veda invece GIAMBLICO, Vita Pyth., 31. Lintera citazione
tolta di peso dal cit. BARRIO, p. 340.
36
Due dialoghi sono intitolati ad Ippia, che agisce anche nel Protagora, uno ad Ipparco ed uno a
Teeteto, che compare altres nel Sofista.
37
Manca il riscontro nellopera di Diogene Laerzio.
38
La leggenda poneva Ocello Lucano fra i pi antichi discepoli di Pitagora, ma il suo libretto sulla
natura avidamente letto dal Campanella, che se ne ispir per le dottrine eugenetiche della Citt del
Sole certo una scrittura neo-pitagorica posteriore di qualche secolo ad Aristotele.
39
Cfr. appunto CICERONE, De senectute, VII.
40
Cfr. ARISTOTELE, Metereologicorum, I, 6, 342.

21
molti poi aggiungono che fosse di Locri sulla testimonianza di Plutarco nel Convito
41
.
E non nomino pi di mille filosofi e inventori calabresi. Ho scritto queste cose perch
sappia il saccente con quelli che latrano con lui, che i nostri conterranei non furono
bruti alla sua guisa, e non dico di pi per non offendere altri per causa sua. Se dunque
Aristotele, dopo aver fatto man bassa delle loro dottrine, vuol contrapporsi a tutti i
filosofi che dalla Calabria trassero origine ed ivi si nutrirono di sapienza, nessuno se
la prenda con me, se respingo loltraggio fatto ai miei maggiori. Non deve il nome
Calabrese per lacume degli ingegni suoi riuscire ad altri molesto ed ostile, ma poich
i nostri sovrastano per vigore e sottigliezza di mente, risultano pericolosi, come i pi
nobili fra gli animali lo sono per gli inferiori. Meglio dunque che si inchinino alla
verit ed a coloro che li sovrastano per natura.
Ors dunque, tempo di iniziare le discussioni, dalle quali il mio asserto riuscir
confermato dai sensi e dallautorit degli antichi, tempo di manifestare senza
riguardo gli errori altrui, di difendere i veridici, di respingere i fallaci: solo cos dar
soddisfazione ai miei conterranei, a quelli che mi hanno spinto a questo lavoro, ma
sopratutto, per quanto in me, a Dio, alla natura ed alle loro leggi. Duna cosa per
mi preme che siate avvisati, del fatto cio che ho composto questo libro quando del
Telesio non avevo fra mano altro che il primo testo sulla natura delle cose, quello che
incomincia: Bernardino Cosentino meditava queste cose..., e quello ho difeso dalle
chiacchere del Marta. Isolato comero dalle notizie del mondo
42
, ignoravo la seconda
edizione, ma ho esaminato partitamente la prima, stendendo una difesa completissima
(solo la citazione dei capitoli non concorda con quella del saputello), dato che nei due
libri sono esposte le medesime tesi e la terza edizione, che attentamente ho percorsa,
accoglie la materia delle due precedenti. E visto che il saccente si vanta di aver
profuso sudori per ben sette anni nel controbattere il Telesio, io nello spazio di sette
mesi ho distrutto il suo Baluardo ed ho esposta la nostra dottrina, a partire dal primo
gennaio e fino allagosto 1589, sullo scorcio del mio ventesimo anno
43
.

41
Per DIOGENE LAERZIO, che si rif ad Aristosseno, cfr. De vitis clar. philos., VIII, 1; per
TEOPOMPO il fragm. 67 (Mller) tramandato da CLEMENTE ALESSANDRINO (Strom. I, 352);
quanto a PLUTARCO, si avverta che nel Septem sapientum convivium Pitagora non nominato ed
invece nelle Quaestiones convivales (VIII, 7) che un tal Lucio sostiene lorigine etrusca di Pitagora;
lo stesso PLUTARCO (De plac. philos. I, 24) lo dice di Samo, senza mai accennare a Locri.
42
Nel piccolo, remoto convento calabrese di Altomonte.
43
Doveva compiere i ventanni pochi giorni dopo, il 5 settembre.

22
State sani, lettori, e non percorrete queste pagine col proposito di difendere le tesi di
Aristotele, ma di ricercare la verit, ed essa subito balener ai vostri occhi; se giurate
invece sulle sentenze altrui, non riuscirete mai a raggiungerla. Ed aspettatevi fra
breve, a Dio piacendo, un altro mio trattato Sullinvestigazione delle cose ed un altro
Del senso delle cose
44
.

44
Sul primo scritto cfr. sopra la nota 4; il secondo, composto a Napoli nel 1590 e dedicato al
Granduca di Toscana, and perduto come il precedente nel 1592, ma nel 1604 fu interamente rifatto e
ne possediamo ora sia quella redazione italiana, sia la pi tarda versione latina.

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