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Rifkin J.

“In un mondo di produzioni personalizzate, di continue innovazioni e aggiornamenti costanti,


di prodotti con un ciclo di vita sempre più breve tutto invecchia molto in fretta:in una
economia la cui unica costante è il cambiamento, avere, possedere, accumulare ha sempre
meno senso”.

Spiegazione personale

A mio parere l’affermazione di Rifkin J., è un chiaro messaggio- specchio della comprensione della
realtà che viviamo tutti al giorno d’oggi.

Ebbene, siamo protagonisti appunto di “produzioni personalizzate” di qualunque tipo ma tutte con
in comune un filo conduttore: quello del desiderio quasi scheggiante che regna nel nostro tempo,
nell’intimo di tutti noi, di comunicare a chi ci è accanto e non solo, la verità di noi stessi, la parte
nascosta che fino ad oggi abbiamo soffocato, rinnegato, seppellito alla persona che siamo e che
soprattutto per il mondo “rappresentiamo”.

Questo perché in una società come la nostra, dominata dal virtuale e dai “fogli virtuali” presenti in
qualsiasi pagina web, siamo proiettati a mostrare il “vero” che abbiamo dentro senza timore di
essere giudicati perché un foglio web non è davanti ai nostri occhi per darci risposte immediate ed a
volte non accettate, come accadrebbe se fossimo protagonisti di una conversazione dal vivo, bensì
ci aiuta a non sentirci limitati da sguardi, o arresti verbali ma solo un bianco foglio o un silenzioso
sito che silenziosamente.

Ci si ritiene amico di persone che non si conosce veramente, diventando quindi “amici di una foto”
più che di una persona/personalità, per capirci (pensiamo a face book ad esempio): una foto cui solo
il proprietario decide di animare quanto e quando vuole.

Ciò susciterà in noi, assetati di ascolto, una forte ansia di sperimentarsi nella totalità di ciò che si
è:perché una foto non può nuocere come invece può fare una immagine reale che ha voce e
sentimenti e che ha soprattutto un ruolo nella nostra vita.

Emerge, quindi la dimensione della Community come un insieme di legami proficui che vengono
stabiliti all’interno di determinati gruppi caratterizzati da comunanza di interessi, facilitati dall’uso
di internet. La dimensione della rete fa sì che la quantità sia portatrice di valori crescenti: più sono
gli utenti di un certo servizio, più quel servizio assume valore.

Ma ahimè, come ricorda lo stesso Rifkin J., viviamo un “ciclo di vita sempre più breve”, ed infatti il
mio pensiero riguardo ciò è che tutto si consuma sempre più in fretta, quasi si annientano gli “anelli
preziosi” della conoscenza autentica dei sentimenti.

E poi, si corre: per scappare da qualcosa che non sentiamo più appartenerci o verso qualcosa che
vorremmo a tutti i costi appartenesse al nostro a volte non valorizzato, “quotidiano ciclo vitale”.
Così, instancabili, contribuiamo a questo ciclo incessante, che ci ingoia come fossimo in un vortice
e, credendoci consapevoli di ciò che scegliamo, alla fine prediligiamo sempre il passo che ci fa
tornare sui nostri passi, accorgendosi solo alla fine della corsa che esso si rivela lo stesso passo che
ci ha regalato lo “start” per cominciare la marcia.

Siamo vittime e artefici di una economia che ha una costante nel suo evolversi e concentrarsi: il
cambiamento. Biologicamente si cambia continuamente dalla crescita all'invecchiamento con
annessi e connessi, le situazioni politiche cambiano e come non notarlo specialmente se si vive in
Italia. Le vicende sentimentali cambiano anche dando una parvenza di stabilità, il fidanzamento o il
matrimonio si può rompere o perdurare ma è certo che cambierà modalità d'espressione. L'arte
cambia anzi, direi che esprime il mutamento, il tempo cambia e si alternano stagioni e perturbazioni
specialmente in questo periodo. Il testo cambia, nel ritmo con la punteggiatura, nel significato con
le parole.

Tutto cambia continuamente, eppure a volte si ha l'impressione che nulla cambi. Ma siamo immersi
nel tempo (il fiume di Eraclito), non possiamo neppure concepire l'esistenza se non dentro il fluire
del tempo, e l'idea stessa di "fluire" comprende un cambiare continuo. Eppure, ripeto, ci sono cose
contro le quali ci scontriamo sempre uguali - ma è una permanenza relativa ed ogni istante è
diverso.

Ebbene, i valori antichi, quelli che sembravano intramontabili, che ci stimolavano a conservare
giochi di anno in anno in cantina in buffe buste per preservarli.. giochi che avevamo fretta di
riaprire l’anno successivo e poi, l’anno ancora dopo..ecco, dove è finito quel senso di continuità di
se stessi, dell’impronta che siamo e che lasceremo al “nostro sarò”? Dove sia finito mi chiedo..!
Visto che possedere, accumulare, oggetti o ricordi è diventato insensato, cosa sentiamo di destinare
a quanti hanno avuto il piacere di incontrarci lungo il loro cammino e ancor più a chi, potrebbe
conoscerci, solo leggendo attraverso una nostra impronta o attraverso i ricordi che hanno gli altri di
noi??

Una delle caratteristiche attribuite alla nostra società è quella di essere sempre più
“complessa”,sempre più articolata, varia e difficilmente riconducibile a schemi. Quelle che un
tempo venivano chiamate “classi” - caratterizzate da omogeneità di condizione lavorativa,
economica e di comportamenti - oggi non sono più, in alcun modo, riconoscibili.

La stessa famiglia ha subito cambiamenti profondi, essendo entrato in crisi il modello, un tempo
indiscutibile, fondato su matrimonio, procreazione e coabitazione, ed essendo praticate ormai,
anche nella non particolarmente dinamica società italiana, le più varie forme di gestione delle
relazioni affettive. Tali forme incidono fortemente sulla vita pratica e la logistica quotidiana,
arrivando ad influenzare anche, molto spesso, gli spazi, i tempi ed i modi del lavoro. Si pensi, ad
esempio, cosa comporta, dal punto di vista abitativo, il crescente ricorso alle separazioni ed alla
creazione di nuove famiglie, così come i cambiamenti di lavoro che costringono uno dei due
componenti di una coppia a cambiare città di residenza.

E poi, i giovani abbandonano la famiglia di origine sempre più tardi, anche diversi anni dopo il
conseguimento del titolo di studio, e questo comporta, per chi sceglie la libera professione, di
svolgere il proprio lavoro a casa dei genitori, un luogo del tutto inadatto, ad esempio, a svolgere una
riunione o incontrare un cliente.
Anche nel lavoro infatti ci sono stati cambiamenti molto profondi: la forma del lavoro dipendente a
tempo indeterminato è una prospettiva considerata poco probabile dai giovani, specialmente se
aspirano ad una professione intellettuale. Più frequente è l’aspettativa di anni di lavoro incerto e mal
pagato, ed anche di cambiamenti radicali. Si può dire che il mondo del lavoro risente, più di ogni
altra attività umana, della dimensione del movimento continuo.

Il tempo è uno degli altri fattori chiave da considerare, per capire la nostra società. Ma più che il
tempo, la sua scarsità. Tanto che ormai viene considerato normale- in questa era che è stata definita
della “attenzione parziale continua”- svolgere come minimo due delle seguenti azioni
contemporaneamente: guidare o camminare, parlare al telefono,leggere, scrivere o ascoltare la
musica.

Ma sono, come ho già accennato in precedenza, le comunicazioni in rete che caratterizzano, più di
ogni altro fenomeno, il nostro tempo. Ciò ha comportato profondi mutamenti nei modi di vivere e
lavorare, che sono sotto gli occhi di tutti, ma che non hanno ancora finito di dispiegare tutte le
proprie potenzialità, essendo la società legata a regole e schemi difficili da cambiare in così poco
tempo.

Concludo ricordando una affermazione dello stesso Rifkin: “Bisogna lavorare per
un’organizzazione sociale in cui l’economia (nel corretto dispiegamento di tutte le sue
fondamentali categorie moderne: iniziativa imprenditoriale, accumulazione, profitto,
finanza e quant’altro) sia una delle dimensioni fondamentali della vita umana,
accanto alle altre, con pari dignità e in corretta relazione con le altre, quali sono
enumerate ad esempio da Marx in un passo dei Manoscritti economico -filosofici del
1844 : «la religione, la famiglia, lo Stato, il diritto, la morale, la scienza, l’arte,
ecc.» Bisogna lavorare, quindi, per un’ organizzazione sociale in cui la divisione del
lavoro non sia più alienazione: non corrisponda più – per dirla in termini attuali – al
cosiddetto “digital divide”, alla divisione tra persone in grado e non in grado di
usare le nuove tecnologie”.
Bisogna lavorare infine per un’organizzazione sociale in cui, d’altra parte, la
divisione del lavoro non sia negata e rifiutata perché divisione del lavoro. Per
un’organizzazione sociale, invece, in cui la divisione del lavoro (che è
necessariamente comportata dalla stessa natura sociale dell’uomo) vi sia, ma sia
fondata sul riconoscimento degli specifici carismi di tutti, nessuno escluso, dal
monaco all’imprenditore, e sull’ utilizzazione dei carismi di tutti – nella loro
interazione e reciproco supporto - in ordine ai veri bisogni umani, che in quanto tali
sono bisogni comuni. Queste, certo, sono cose più facili da dire che da fare. Intanto,
però, si potrebbe cominciare a prenderne, almeno nelle linee generali, una maggiore
consapevolezza, uscendo da confusioni, approssimazioni, rimasticature grossolane di
posizioni ideologiche che hanno pur svolto un grande ruolo di critica e di
mobilitazione, ma in epoche trascorse”.

Annamena Mastroianni

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