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Nietzsche
Dicembre 2013 Anno - Numero uno Direttore: Sebastiano Caputo Caporedattore: Lorenzo Vitelli
II Suicidio deII'Occidente
www.lintellettualedissidente.it
opo la resa del nazi-fascismo e il crollo
dell'Unione Sovietica "l'impero del
Male, come veniva definito dalla
propaganda statunitense -,
l'intellettuale di regime Francis Fukuyama
annunci al mondo intero in un articolo pubbli-
cato nel 1992 dal titolo "The End of the History
and the Last Man, che la storia era finita per
sempre.
La democrazia doveva essere intesa come
"terra promessa di tutti i popoli e di tutte le
nazioni del mondo. La Storia invece, concepita
hegelianamente, come una linea retta con un
punto d'inizio e un punto di arrivo.
Forte della sua convinzione messianica e
civilizzatrice, l'Occidente si autoproclamato il
"migliore dei mondi possibile, ha deciso di
estendere il suo Apostolato, di colonizzare
culturalmente ed economicamente il mondo
arabo-musulmano, poi il continente sudameri-
cano, ed infine quello africano ed asiatico.
Quello stesso Occidente pieno di contraddizio-
ni, che si regge su una percentuale ridicola di
votanti, dove i politicanti rubano, si attaccano
alle poltrone, per poi essere ugualmente
nominati dai padroni di turno, dove la sinistra
economicamente pi a destra della destra,
dove gli schieramenti estremisti vengono
condannati eccetto se israeliani, dove i deputati
"democraticamente eletti girano con la scorta
per paura di essere aggrediti, dove il progresso
borghese ha distrutto la storia, dove esistono
cittadini di prima e di seconda categoria, dove lo
Star System passa dai reality Show al Parla-
mento, o dal Parlamento ai reality Show. Dove
chi contesta il Potere viene collocato nella
categoria "populisti dell'albo d'oro della demo-
crazia. Dove i manager guadagnano 163 volte
pi degli operai, dove la stampa cosiddetta
"libera in mano a potentati economici (lobby,
partiti, multinazionali), dove si esporta la pace
con le bombe della Nato, dove tutti parlano dei
diritti delle minoranze abbandonando la
maggioranza al proprio destino, dove gli uomini
di destra fanno i militaristi con le armi degli
americani, dove gli immigrazionisti sono idioti
utili del Capitale che necessita di nuovi schiavi,
dove i radical chic difendono la vita degli animali
per poi si dichiararsi apertamente abortisti,
dove gli anti-razzisti e i "cittadini del mondo con
la loro retorica filantropica legittimano
l'omologazione culturale dell'umanit, dove gli
affaristi e gli speculatori organizzano le campa-
gne di beneficienza, dove le donne "rifatte
sono pi libere delle donne velate.
Dove ci si riempie la bocca con parole come
"crescita, "progresso e "sviluppo, dove tutti
parlano di spread, Pil e percentuali della Borsa
mentre le imprese chiudono, le famiglie perdo-
no potere d'acquisto, i giovani non trovano
lavoro.
L'Occidente dei Lumi troppo arrogante per
tornare indietro. Preferisce suicidarsi sul suo
binario morto piuttosto che guardarsi attorno e
capire che esistono altre realt sociali e cultura-
li. Saltare dal treno o farlo implodere dall'interno
per salvare il salvabile. Fuggire o ribellarsi.
Sebastiano Caputo
LA FUGA O LA RIBELLIONE
di Lorenzo ViteIIi

er interpretare il paradigma
in cui viviamo - l'Occidente
post-moderno necessa-
rio servirsi di una chiave di
lettura che sintetizza due criteri
interdipendenti. L'Occidente pu
riassumersi secondo un quadro
spazio-temporale in cui dialogano
dialetticamente la sfera o il luogo
della produzione e quella del
consumo. Se vero che tutta la
Storia pu essere soggetta ad una
simile scomposizione, ci sembra ad
ogni modo utile analizzare le
perverse derive del rapporto che
queste due sfere hanno instaurato,
dopo il 1945, con s stesse e con
l'individuo.
Sembra ovvia, in un primo momen-
to, la perversione in luogo del
consumo, all'interno della quale
l'attivit consumistica, da che era
semplice soddisfacimento dei
bisogni naturali, divenuta ciclico
annientamento accompagnato
dall'immediata rinascita del
desiderio. Questo movimento a
spirale in cui convogliano le passio-
ni insaziabili dell'umanit, ha come
conseguenza un'alienazione, prima
inesistente in questa sede, dell'indi-
viduo nell'atto del consumo.
L'oggetto - risultato del lavoro
accumulato nel processo di produ-
zione esso stesso alienante nel
suo uso e interviene, sempre di pi,
a mediare la realt tramite gli
strumenti della tecnologia. Ogni
evento, di portata anche minima-
mente fuori dall'ordinario, separa-
to dalla percezione sensoriale
attraverso smartphone e telecame-
re, reso condivisibile e cos del tutto
ordinario proprio perch banaliz-
zato, ripetuto all'ordine del giorno.
Le ultime innovazioni tecniche sono
gli oggetti totalizzanti del consumo,
in cui si condensa la possibilit
generalizzata ed indiscriminata di
accesso al temporaneo soddisfaci-
mento di qualsiasi desiderio
(comunicativo, sessuale, di
accumulazione). L'uomo aliena s
stesso, esce dalla sua individualit,
ragiona come l'oggetto e diviene
oggetto di una realt mediata,
virtuale, sempre pi interconnessa,
sempre pi social, ma meno socia-
le.
L'epoca industriale era invece
caratterizzata dall'alienazione
dell'individuo nel solo luogo di
produzione. L'alienazione della
forza lavoro in cambio di un salario
era atta, secondo l'analisi marxista,
a creare un rapporto alienante con
s stessi e con l'oggetto: che non
rappresenta pi il risultato del
proprio operare, ma la sola oggetti-
vazione del s nella catena di
montaggio. L'uomo diviene oggetto
secondo un determinato contratto
che definisce le modalit di uso e di
abuso della sua forza lavoro. Egli
merce tra le merci.
Ora dobbiamo dire che le dinami-
che odierne dell'alienazione
all'interno del processo di produzio-
ne sono cambiate con la terziariz-
zazione dell'economia e la flessibili-
t dei rapporti che legano salario e
Capitale. Entrambe cause degli
sviluppi del libero mercato, della
concorrenza e della globalizzazio-
ne, queste modificazioni strutturali
dei modi e dei rapporti di produzio-
ne intervengono per rispondere
rapidamente alle esigenze della
Domanda, si organizzano secondo
il criterio di flessibilit, che si
conclude inevitabilmente, una volta
smantellato lo stato sociale, con la
precariet. L'individuo si aliena
nella sua condizione di precario
dal latino "che prega, essenzial-
mente per qualcosa che non ha
ovvero in una condizione di
mancanza. Si contano cos, oggi, in
talia, 3 milioni di "schiavi salariati a
tempo determinato che alienano
non solo la loro forza lavoro, ma
anche il loro futuro, nell'incapacit
di costruire progetti a lungo
termine, quindi del tutto vittime dei
capricci del Capitale, apolide,
sregolato, globale. l Capitale,
dunque, estrae il suo plus-valore,
questa volta, dallo statuto allarman-
te della "crisi - gonfiato dai media
che diviene topos di incertezza, di
paura e sacrificio, che fa in modo
che il precario preghi per alienare,
nello schema descritto, la sua forza
lavoro e la sua individualit
nell'accettazione, addirittura felice,
delle clausole arbitrariamente
imposte.
Produzione e consumo sono
dunque due sfere chiuse secondo
un modus operandi categorico che
descrive esaustivamente il funzio-
namento dell'ordine organico
Occidentale. L'individuo
post-moderno, vincolato al confor-
mismo sociale e al contratto preca-
rio, sembra destinato
all'alienazione di orwelliana memo-
ria. l declino dell'Occidente dal
latino "occidere, appunto, "tramon-
tare il tramonto dell'Uomo,
atrofizzato nel dialogo tra produzio-
ne e consumo, che segnano, in un
rapporto degenerato,
l'appiattimento totalitario di ogni
esistenza annessa, per forza di
cose, a questo schema. Esso, in
tutta la sua teorizzazione, si rivela
dispoticamente immanente al reale.
Da societ iIIuminata, toIIerante, Iibera, rispettosa dei diritti umani, i
posteri Ia ricorderanno come Ia pi grande tirannia che a differenza
deIIe aItre, non ha mai firmato i suoi crimini
ItaIia
"l governo Aspen talia
di FIaminia CamiIIetti
pag. 2
Esteri
"L'ran, un Paese libero, democratico e pacifista
di AIessio Caschera
pag. 4
Economia&Europa
"l gioco perverso del Meccanismo Europeo
di Stabilit
di Kirios Di Sante
pag. 6
Societ
"$ Factor: il Talent show come
ultima umiliazione dell'arte
di Rfr
pag. 11
D
P
Produzione e consumo La diaIettica deIIo spirito post-moderno
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Dicembre 2013
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II governo Aspen ItaIia
5 miIioni di poveri. Dove sono Ie istituzioni?
Di queste organizzazioni se ne parIato soIo da quando stato avviato I'esperimento tecnocratico di Mario Monti
di FIaminia CamiIIetti
Aspen nstitute talia, la
versione italiana di
un'associazione gi
esistente negli Stati Uniti
dagli anni Cinquanta, quando fu
fondata per "incoraggiare le leader-
ship illuminate. Nasce per
"l'approfondimento, la discussione,
lo scambio di conoscenze, informa-
zioni e valori. un'associazione
privata, indipendente, apartitica e
senza fini di lucro. Cos recita il sito
online ufficiale. L'Aspen nstitute
approda in talia grazie a Giulio
Tremonti nel 1984 ed , in sostan-
za, un centro d'intelligence con
sede a Roma e Milano che opera
per influenzare la politica e il gover-
no del nostro Paese.
l "metodo Aspen, infatti, privilegia
il confronto ed il dibattito "a porte
chiuse, perch lo scopo
dell'associazione non quello di
trovare risposte unanimi e rassicu-
ranti, ma di mettere insieme quei
valori che possano "ispirare
(influenzare?) una leadership
moderna. Questo quanto recita
l'organizzazione stessa. n pratica
si cerca di dettare l'agenda dei
governi delle rispettive nazioni di
appartenenza e lo si dice senza
remore nel "chi siamo del sito .
Dicono di privilegiare il dibattito a
porte chiuse, come mai? Se si tratta
di un'associazione che vive per il
dibattito, l'approfondimento, la
discussione, lo scambio di
conoscenze, informazioni e valori,
a cosa serve discutere "a porte
chiuse? Da qualche mese a
questa parte giovani giornalisti
rampanti, ma non solo, hanno
cominciato a parlare e a scoprire
che da secoli si tengono riunioni
come quella del club Bilderberg,
ormai sulla bocca di tutti, che
esistono associazioni ambigue, per
usare un eufemismo, come la
Commissione Trilaterale o il Forum
Ambrosetti. Ormai sono infatti
tantissime le inchieste, gli articoli di
giornale, i servizi televisivi che
parlano di queste "organizzazioni
no profit.
Se ne parla almeno da due anni,
dall'inizio dell'esperimento tecno-
cratico in talia, avviato con Monti
dallo stratega Giorgio Napolitano.
Questo perch questi gruppi segreti
e meno segreti
sono venuti
allo scoperto.
Non c' pi
bisogno di
nasconder si ,
ormai gli avver-
sari sono stati
fatti fuori per
mezzo di ricatti
o per elimina-
zione diretta o dei loro mezzi. Sono
infatti i mezzi a fare la differenza;
l'Aspen nstitute raccoglie intorno a
s personaggi legati o rappresenta-
tivi del potere economico e politico
occidentale. Abbiamo, tra i nomi pi
celebri: Gianni Letta, Enrico Letta,
Luigi Abete, Lucia Annunziata,
Francesco Caltagirone, Fedele
Confalonieri, Umberto Eco, Franco
Frattini, Emma Marcegaglia, Paolo
Mieli, Romano Prodi, Giuliano
Amato, Mario Monti, Tommaso
Padoa Schioppa, Corrado Passera,
John Elkann e chiaramente Giulio
Tremonti che ne anche Presiden-
te. Ovviamente la lista non finisce
qui, questi sono solo alcuni dei
nomi pi rappresentativi.
Nomi che ci dovrebbero far capire
che inutile stare ad accapigliarsi
per capire chi vincer le prossime
elezioni, se la destra o la sinistra,
perch la "destra e la "sinistra
lavorano insieme, fanno parte della
stessa combriccola ed cos da
anni, solo che lo si sa soltanto
adesso.
Preme poi sottolineare che la
maggior parte delle persone che
fanno parte dell'Aspen nstitute
almeno hanno avuto a che fare
anche con il Gruppo Bilderberg, la
Commissione Trilaterale, il Forum
Ambrosetti e cos via. Questo
perch se fai parte della cerchia del
potere, entri dappertutto.
Gli schieramenti non servono pi a
nulla se non a vendere dei prodotti
(vedere Matteo Renzi o i falchetti di
Berlusconi) al popolino che ancora
crede di essere utile a qualcosa
andando a votare quel partito
piuttosto che quell'altro.
Non da meno per il Movimento 5
Stelle dato che anche Casaleggio si
recato a Cernobbio. Che
l'organizzazione di Grillo sia un
mezzo manipolato per incanalare la
protesta ed il dissenso popolare?
l complottista, o fascista del terzo
millennio che dir si voglia, secon-
do la terminologia benpensante,
uno sfigato nerd che passa la
nottata davanti al computer a
guardare siti che parlano di avvista-
menti Ufo.
Possibilmente questo accade in
una cantina buia e il personaggio in
questione spesso tutto fuorch
avvenente (sic).
Figurarsi che "complotto anche
diventato un insulto da stadio.
Quindi spesso il complottista viene
raffigurato come quella persona
che fugge la realt ridisegnandola a
modo proprio. Un malato di mente
insomma. Un po' come Ezra Pound
filosofo americano che parlando di
"usurocrazia gi negli anni trenta ,
fu rinchiuso nei Quaranta in un
manicomio statunitense per pi di
dieci anni.
Nei centri di ascoIto Caritas, neI primo semestre deI 2013, oItre 40 miIa persone hanno chiesto aiuto
L'Aspen Institute Italia, la versione
italiana di un'associazione gi esistente
negli Stati Uniti dagli anni Cinquanta,
quando fu fondata per "incoraggiare le
leadership illuminate".
di Maria PaoIa Frajese
ono ormai quasi 5 milioni gli
italiani che vivono in uno
stato di povert assoluta, in
un solo anno, secondo
l'ultima indagine stat, si sono
aggiunti un milione e mezzo di
nuovi poveri. Nei centri di ascolto
Caritas, nel primo semestre del
2013, oltre 40 mila persone hanno
chiesto aiuto, tra questi sono
sempre pi numerosi gli italiani.
Sono le cifre di un dramma che
dilaga, ma meglio dei numeri
parlano le storie, storie di un ceto
medio che sta scivolando
nell'indigenza, per ritrovarsi ai
margini della societ.
A Torino, citt industrializzata, che
pi di altre simboleggia la crisi,
Sonia, 49 anni, rappresenta, tra
tanti, la nuova povert. Una donna
con una preparazione professiona-
le era un'imprenditrice e adesso
una disoccupata. Per i suoi negozi
le cose sono andate sempre
peggio, fino a quando stata
costretta ad arrendersi.
A Torino chiudono dieci negozi al
giorno, si vedono saracinesche
abbassate, cartelli con scritto
"Affittasi e "Vendesi. Non facile
accettare di aver toccato il fondo,
Sonia si sentita affranta e smarri-
ta, sul punto di perdere la propria
dignit. Anche i suoi due figli,
vivono con vergogna e paura
questa situazione familiare, e Sonia
passa le notti con gli occhi rivolti al
soffitto, domandandosi come far
se il Comune non le assegner una
casa popolare, come far se
rester senza un tetto?
C' chi un lavoro fisso ce l'ha, ma
non riesce lo stesso a permettersi
una casa, una vita dignitosa, come
tanti padri separati. Alessandro con
il suo stipendio, pagate le spese
per l'ex compagnia e le figlie, resta
con 350 euro al mese. Dorme in un
alloggio collettivo, ma l non pu
portare le figlie quando il fine
settimana ha la possibilit di
passare un po' di tempo con loro.
Si rivolto alla Caritas che ha
messo a disposizione di Alessan-
dro e di altri pap in situazioni
simili, un appartamento caldo,
accogliente, dove poter portare i
propri figli d'inverno, quando fuori
fa freddo e c' bisogno di
quell'abbraccio che solo la famiglia
sa dare.
Reggio Calabria un'intera citt in
ginocchio per la crisi. Giovanni
faceva il manovale, ma anche al
Sud le imprese di costruzioni
stanno chiudendo e Giovanni, non
avendo raggiunto l'et della pensio-
ne, un esodato. Dopo un interven-
to per problemi cardiaci per lui ora
impossibile trovare un lavoro,
anche provvisorio, nessun'azienda
vuole rischiare. Fatica a tirare
avanti con poche centinaia di euro
al mese, con la moglie, anche lei
disoccupata e i tre figli. Pippo vive a
Roma, ha visto fallire la sua attivit
di commerciante, ma era tardi per
ricominciare, era gi in et di
pensione.
Ma quale pensione? 300 euro al
mese. Ha dovuto lasciare la casa,
si trovato a dormire in macchina,
proprio in quell'inverno in cui, a
Roma, ha addirittura nevicato. Ama
i libri e passava le sue giornate
nelle biblioteche, nei musei, un
rifugio dalla strada. Poi, finalmente,
ha ricevuto aiuto: la Caritas ha
messo a sua disposizione uno degli
alloggi che sono previsti per le
persone in difficolt, e cos Pippo
ora vive l e ha organizzato una
biblioteca, dove tanti come lui
possono passare ore serene.
A Milano, c' un'altra citt, dimenti-
cata, che vive nelle storie buie dei
senza tetto. Sono ovunque, alla
stazione, nelle gallerie. Franco
anche lui un "nuovo povero. Ha
visto fallire la sua societ e si
ritrovato a dormire nei vagoni dei
treni. La gente lo guardava male,
alla sua et in mezzo a una strada,
forse era un drogato, un alcolizzato.
Ma lui non si lasciato andare:
seppure con la difficolt che incon-
tra ognuna di queste persone, un
tempo indipendenti e benestanti, a
dover ammettere di non farcela pi,
dopo un mese ha trovato la forza di
chiedere aiuto ed stato accolto al
rifugio Caritas, dove ha potuto
dormire, lavarsi e presentarsi, in
quelle giornate piene di nulla, sotto
le occhiate sprezzanti, il freddo
pungente, a cercare un modo per
ricominciare.
Ha bussato a tutte le porte e ha
finalmente trovato un lavoro e un
piccolo appartamento. Franco,
forse pi di chiunque altro, ha
conosciuto il significato della parola
speranza e ha saputo lottare, senza
mai arrendersi.
Queste storie sono un pezzo di
talia, queste storie riguardano tutti
noi.
S
L'
Disagio sociaIe
Lobby
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Dicembre 2013
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L'ItaIia deIIe Iobby, dei mezzi-uomini e deIIe macchiette
Come BruxeIIes annega Ia tradizione ittica deI Mediterraneo
RipuIire Ia nostra coscienza, ammettendo Ie proprie coIpe e rifiutando Io scendere a compromessi
di Pier PaoIo Corsi
l mondo del lavoro una
giungla. Un incrocio di
liane, di rampicanti, di
animali velenosi e predato-
ri, di master "che fanno curriculum,
di stage pagati da chi ne usufruisce
e su cui pende maestosa ed ineso-
rabile la scure della precariet. l
messaggio dunque che in questo
mondo del lavoro non c' posto per
nessuno, che sia laureato, che sia
masterizzato, che abbia la terza
media (in quanto ormai rientrante
nel vincolo dell'istruzione obbligato-
ria) ognuno dovr lottare allo
stremo delle sue forze, accettando
qualsiasi sopruso, qualsiasi clauso-
la vessatoria in contratti che non
esistono, per poter aspirare al
futuro estatico ed etereo del posto,
nemmeno fisso, ma perlomeno
retribuito degnamente.
Eppure qualcosa non convince,
anche perch un'economia di
questo tipo non solo risulterebbe
sterile ma si estinguerebbe in poco
tempo, per il semplice fatto che non
produrrebbe lo sbocco del flusso di
capitali (un'impresa con soli
dirigenti, per dirne una, come una
squadra di calcio con undici allena-
tori) che la caratterizzano e i servizi
necessari, che nella realt dei fatti
sono accessibili solo ai pochi, non
sarebbero forniti affatto.
Dunque deve esserci qualcuno
che, ad oggi, abbia ancora un
lavoro vero, cui accede direttamen-
te, senza corsi e corsetti e stage.
Quel qualcuno rientra essenzial-
mente in due categorie:
l'eccellenza (che essendo appunto
caratteristica di pochi non pu
assolutamente essere presa a
metro di giudizio e discriminante
per l'ingresso nel mondo lavorativo)
ed il lobbysmo.
Mentre, nel primo caso si parla di
una barriera all'entrata dai criteri
troppo restrittivi e tendenti alla
(troppo) frequente rielaborazione in
chiave moderna del famoso
paradosso di Epimenide, per cui "si
offre lavoro solo a chi abbia
esperienze pregresse e poi le
esperienze pregresse non te le fa
avere nessuno, nel secondo la
questione si fa pi fine poich si
entra in un mondo bistrattato e
disprezzato da tutti, quello delle
lobby, degli oligopoli, della Masso-
neria. Le lobby, logge, societ
segrete e chi pi ne ha pi ne
metta, sono innanzitutto proibite
dall'art. 18 della Costituzione
(quello sulla libert di associazione)
ma soprattutto rappresentano il
gradino pi basso di un'ipotetica
scala di valori sociali in merito al
corporativismo ed alle associazioni
di categoria, rappresentano in
pratica quanto di
male c' in questo
pianeta. Andrebbe,
per, ammessa a
questo punto una
replica, se non
giusta almeno legitti-
ma.
Quanti si sono mai
visti respingere nelle
proprie domande di
lavoro con risposte facenti
riferimento alla non necessit di
personale all'interno di quella data
impresa?
E quanti invece, conoscendo quel
tizio che gi inserito in quel
determinato settore si sono visti
aprire di fronte uno spiraglio di
prospettiva?
Non si parla in questo caso della
raccomandazione, quella meglio
lasciarla al settore pubblico,
presupponendo infatti essa, come
condizione necessaria, la presenza
di un meccanismo capace di
scavalcare selezioni concorsuali
predisposte o almeno la costruzio-
ne di canali ad hoc ed ex-lege per
permettere l'ingresso. Si fa
riferimento piuttosto a quel mecca-
nismo bonario e dai modi grossola-
ni, per cui chiunque "aiuterebbe un
amico presentandolo al proprio
superiore, portando la sua lettera di
presentazione sulla scrivania che
conta.
E' un modo come un altro per
mostrare il proprio spirito altruistico,
la propria riconoscenza nei
confronti di qualcuno che in un
certo momento aveva fatto gi
altrettanto. un comportamento
adottato da molti, moltissimi (non
tutti, ma quasi). Perci basterebbe
in fin dei conti un minimo di onest,
quel poco per rimanere onesti con
se stessi, evitando di fare i paladini
della meritocrazia ed ammettendo il
proprio operato da membri di lobby,
se non cos potenti, almeno capaci
di rendere dignitosa una vita.
Sono tristi i mezzi-uomini, quelli
dell'talia godereccia, che vogliono
"la botte piena e la moglie ubriaca,
che proclamano il giustizialismo
cadendo in uno sterile autoreferen-
zialismo da talk-show. Le comiche,
di quelli come il Ministro Cancellieri
o dei cari vecchi giudici di "Mani
Pulite, dei Presidenti della Repub-
blica che giocano a fare i sovrani
illuminati, dei segretari che inneg-
giano ai giovani e ai venti di
cambiamento (che poi si rivelano
fastidiose correnti o spifferi), sono
superate, i loro discorsi sono
macchiette degne dei pi recenti
"cinepanettoni. Sarebbe bello se
un giorno ci si svegliasse di mattina
presto, con l'aria cristallina, e si
ripulisse la nostra coscienza,
ammettendo le proprie colpe e
rifiutando lo scendere a compro-
messi.
II Mediterraneo non soIo Ia cuIIa deIIa civiIt. Per moIti europei deI Sud anche una miniera bIu
I mezzi-uomini, quelli dell'Italia
godereccia, che vogliono "la botte
piena e la moglie ubriaca", che
proclamano il giustizialismo cadendo
in uno sterile autoreferenzialismo da
talk-show.
l Mediterraneo non solo la
culla della civilt. Per molti
europei del Sud anche
una miniera blu. Uno dei
pochi mezzi di sostentamento che
ha attraversato tre ere diverse:
quella legata alla glaciazione,
quella legata all'industrializzazione
e quella legata alla stagione delle
guerre. Ma c' un'era che sembra
quasi fatale, ormai, per il Mar
Mediterraneo. E' l'Era di Bruxelles.
Messa in ginocchio da restrizioni
irrazionali, le economie ittiche di
Regioni come la Sicilia e la Calabria
stanno attraversando il momento
peggiore della loro esistenza
millenaria. n ginocchio sono finiti i
pescatori di sarde e acciughe in
Sicilia. Questa tipologia di pescato
comincia a scarseggiare perch
preda preferita dei tonni. Questi
sono in sovrannumero a causa
delle direttive europee che hanno
ristretto la pesca del tonno a solo
un mese l'anno. Alcune
aziende di trasforma-
zione cominciano ad
avere problemi, tanto
che acquistano grosse
partire di sarde e acciu-
ghe provenienti dal
Tirreno o dall'Adriatico
o addirittura da Spagna
e Francia, con un
considerevole aumento dei costi.
Altre ditte hanno chiuso preferendo
delocalizzare la produzione in
Tunisia, Algeria e Marocco, Paesi
che, esenti da restrizioni burocrati-
che, pescano forfettariamente e
rivendono altrettanto forfettaria-
mente sul mercato. Loro sono i
nuovi leader della pesca grossa,
quelli che dettano legge senza
farsene dettare. Sull'altra sponda
del Mar Nostrum, chiedono aiuto i
pescatori di Sciacca (Ag), marineria
specializzata nella pesca di sarde e
acciughe, che hanno chiesto soste-
gno al governo della Regione
Siciliana. "l mare di Sciacca
pieno di tonni, anzi tutto tonno
dice Gaspare La Rocca, armatore
non c' pi pesce azzurro, da due o
tre anni, quando l'Ue ha deciso di
limitare a un mese all'anno la pesca
del tonno, questi sono aumentati in
maniera esponenziale. Sciacca
famosa per avere una tradizione
nell'industria ittica, nata proprio
perch il Mediterraneo sempre
stato molto pescoso. Fino a cinque
anni fa c'erano 40 aziende con in
media 60-80 dipendenti, oggi ne
sono rimaste una ventina. Questo
il feedback dei pescatori siciliani
che recentemente, in occasione del
meeting milanese per la promozio-
ne del prossimo Expo, sono stati
"riconosciuti come esempio positi-
vo di pesca intelligente ed avanza-
ta, come il porto di Mazara del
Vallo, vero faro della speranza nel
settore e avanguardia della
tradizione ittica dell'sola. numeri
ce li d la Guardia Costiera: dal
2001 a oggi le quote di pescato
sono state drasticamente diminuite
del 55%. Lenta e inesorabile
progressione burocratica
post-Maastricht. Ma per la Sicilia,
tutt'oggi, la pesca rappresenta da
sola il 40% del profitto medio annuo
della popolazione con 3300
pescherecci (il 24% della flotta
nazionale). Numeri che galleggiano
sul tavolo del Governo Crocetta e
dell'Assessore Cartabellotta che
pi volte ha ripreso Roma per la
mancata imposizione nei confronti
dei gerarchi europei. Ma chi sono
questi nemici d'Oltralpe? Sono i
burocrati formatisi tra le leve della
destra nuova europea, quella
filo-ambientalista, abituata a consi-
derare le nostre tradizioni troppo
macabre. Ma la mattanza del
tonno, il vero fulcro della cultura
popolare sicula lontana dalle lupare
e dai vari set di Coppola, si estinta
neanche vent'anni fa, a riprova di
come la pesca del tonno, lentamen-
te e tristemente, abbia praticamen-
te sfumato le luci che illuminavano
da secoli le tradizioni ittiche del
Mediterraneo.
l problema che i nostri mari non
sono freddi e non sono "oceanici
che basta spostarsi per trovare
merluzzi e tonni gialli.
Qui si campa con poco e i confini
nazionali, soprattutto nel sud
dell'Europa, sono tangibili pi che
mai. Nel mare africano, infatti, non
si pu pescare. Mentre invece
sappiamo come i pescatori danesi
si spingano fino all'slanda per
riprendere le loro ricche nasse. Qui
si lavora nello stretto, per usare un
paragone calcistico e mentre i
siciliani devono fare i conti con le
leggi europee, a poche miglia i
pescatori tunisini se la ridono e
pescano senza criterio tutte le
taglie di pesci. Basta andare a
Malta, isola anglofona lontana dagli
aliti europei, per rendersi conto che
l, l'ittiofauna, sfruttata ai limiti del
buon senso. Pensate la frustrazio-
ne di chi quei mari li conosce e li
naviga da decenni. Un tempo il
Giappone pagava a peso d'oro i
nostri tonni. Oggi il primo Paese
importatore di tonni rossi fa affari
con Malta e con Tunisi. Grasse
pernacchie ai siciliani. All'inganno
si aggiunge la beffa. Nelle nostre
coste i tonni trovano riparo e non
potendo essere pescati aumentano
di numero e si mangiano i pesci pi
piccoli, quelli azzurri, di cui i pesca-
tori locali ci vivono. Una pesca
distrutta, rasa al suolo in tutti i suoi
schemi. l nostro mercato ha
iniziato a importare tonni dal
Mozambico per poterli consumare!
La debole iniziativa della De Girola-
mo, a giugno, ha appena scalfito
questo sistema che non riguarda
solo i tonni rossi ma anche il pesce
spada, per esempio. La stessa
Guardia Costiera italiana ci ha
confidato sottovoce, che loro
spesso a malincuore sequestrano
quantit tali di pescato da parte dei
"nuovi bracconieri del mare, che
altri non sono se non i nostri vecchi
padri stremati e delusi, prossimi a
un'amara conclusione del loro
viaggio nel mare pi bello del
mondo. Questo perch la balena
bianca ha trovato riparo tra gli
incartamenti dei burocrati di Bruxel-
les, Acab e smaele sono ormai in
pensione e Pirandello si dato alla
politica.
di Santi CauteIa

"
#$%&'%
Mercato deI Iavoro
SiciIia
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Dicembre 2013
!
"#$%&'
L'Iran, un Paese Iibero, democratico e pacifista
"Guantnamo is kiIIing me". II faIso mito deIIa democrazia statunitense
Un'aura di fondamentaIismo retrogrado, affibbiatogIi daII'Occidente senza una ragione deI tutto chiara, forse soIo per spirito di superiorit
di AIessio Caschera
ascesa sciita in alcuni Paesi
chiave del Medioriente sta
ridimensionando i rapporti
di forza nello scacchiere
regionale: il vento cominciato a
cambiare dal 2006, anno
dell'elezione di Al Maliki a primo
ministro iracheno e anno della
vittoria di Hezbollah su sraele,
nella seconda guerra del Libano.
Si assistito a quella che molti
hanno definito "la rivincita Sciita.
Minoranza nel mondo musulmano,
perseguitati, considerati eretici,
spesso oggetto di veri e propri
pogrom, i seguaci di Ali, cugino
prima e genero poi del profeta
Maometto, sono riusciti in un'
impresa quasi impossibile, diventa-
re potenti in un mondo in cui sono
sempre stati una minoranza.
Questa rinascita, tuttavia, non
sarebbe stata possibile senza
l'ran, che a partire dal 1979, anno
della rivoluzione islamica guidata
dall'Ayatollah Khomeini, riuscito a
trasformarsi in una nazione forte, in
grado di intimorire i vicini e i loro
alleati. Questa sua forza, per, ha
contribuito ad alienargli le simpatie
di gran parte del mondo occidenta-
le, Stati Uniti in testa.
La tensione con Washington ha
infatti origine proprio negli anni
della rivoluzione khomeinista,
culminata con la cacciata dello Sci
e l'assalto all'ambasciata america-
na a Teheran.
Questo eccesso di tensione e la
paura diffusa in buona parte
dell'opinione pubblica occidentale
nei confronti dell'ran, ha portato lo
scontro a livelli altissimi. L'apice
della tensione si raggiunto nel
2005, con l'elezione di Ahmadi-
nejad alla presidenza iraniana,
interpretato dagli avversari come
un chiaro gesto provocatorio. Ma
nell'estate del 2013, accade
qualcosa di nuovo: a diventare
presidente il "moderato Hassan
Rohani, ex capo negoziatore per il
nucleare. La notizia che il vento
cambiato arriva anche a Washing-
ton e al presidente Obama, grande
sconfitto nella partita mediorientale,
che vede nel tentativo di amicizia
con il nuovo "moderato di Teheran,
un possibile riscatto.
L'ran di Rohani appare un Paese
diverso, libero da quell'aura di
fondamentalismo retrogrado,
affibbiatogli dall'Occidente senza
una ragione del tutto chiara, forse
solo per spirito di superiorit e
anche un po' di ignoranza. Artefice
della nuova politica che ha portato
a un lento disgelo senza dubbio la
guida suprema Ali Khamenei,
consapevole che solo con un
accordo con lo storico nemico si
pu far respirare il Paese strozzato
dalle sanzioni. n questo clima
festoso e di riconciliazione, qualco-
sa per andato storto, i comporta-
menti da mogli gelose tenuti da
Arabia Saudita e sraele nei
confronti di Washington hanno
rallentato il riavvicinamento,
portando a un nuovo stallo,
riflesso nei faticosi negoziati
di Ginevra sul nucleare.
Al di l dei presunti "tweet
del neo presidente, delle
aperture al mondo giovanile,
con Rohani qualcosa per
sembra veramente cambia-
ta; se a livello istituzionale
l'ultima parola spetta
sempre alla guida suprema,
depositaria del messaggio
rivoluzionario di Khomeini,
le aperture verso l'esterno
del nuovo presidente fanno
ben sperare, anche se la
"paura nei confronti di
Teheran ancora tanta. La
vera sfida ora far capire
agli occidentali che non si deve
aver timore dell'ran.
l problema di questi ultimi
trent'anni nelle relazioni tra Teheran
e i suoi nemici storici, stata
proprio la mancanza di comunica-
zione: entrambi schierati spesso su
posizioni intransigenti, hanno
rifiutato qualsiasi tipo di contatto,
scambiandosi accuse reciproche.
La vera rivoluzione di Rohani dovr
essere non tanto una rivoluzione
sugli stili di vita, l'attuale regime
politico del Paese, infatti, non
frutto dell'imposizione del clero
sciita bens di un referendum
popolare, quanto una rivoluzione
comunicativa per far conoscere
davvero la Repubblica slamica,
che sicuramente avr i suoi limiti
ma che non certo quel "mostro
che quotidianamente ci viene
presentato: un Paese barbaro,
violento e base per i terroristi di
tutto il mondo. n realt in ran sono
riconosciuti i diritti della persona, le
elezioni sono libere e regolari, le
minoranza religiose hanno diritto di
rappresentanza all'interno del
Parlamento, possono partecipare
con propri partiti politici e le donne
hanno libero accesso alle cariche
pubbliche. Certo, in ran vige la
legge islamica, cos lontana da noi
e per questo "medioevale, oscuran-
tista e antidemocratica, ma chi ci
d il diritto di giudicare cosa sia
"democratico o "antidemocratico?
Se prendiamo in considerazione le
caratteristiche base della "demo-
crazia minima, le ritroviamo, con
sorpresa di alcuni, benpresenti nel
panorama politico iraniano. Con
tutti i suoi limiti, dovuti anche
all'eccessivo conservatorismo di
alcune delle sue elite, l'ran si
dimostrato in diverse occasioni pi
umano, democratico e pacifista (in
mille anni di storia non ha mai avuto
mire espansionistiche bens ha
sempre subito le offensive stranie-
re) di tante realt impegnate in
lezioni di libert e democrazia,
diventate stucchevoli e poco
credibili, quelle stesse realt che
finanziano senza vergogna le
petromonarchie del Golfo e i jihadi-
sti in Siria.
I prigionieri conducono un'esistenza priva di dignit, vittime di un regime che professa aI mondo Ia Iibert
di FiIippo Benincampi
na delle rappresentazioni
pi spietate dello pseudo
mito della democrazia
nordamericana si trova a
Guantnamo, una baia situata nella
punta Sud Est di Cuba, un luogo
divenuto celebre pi per le atrocit
perorate dalle forze statuitensi
nell'omonimo campo di prigionia,
piuttosto che per la sua meraviglio-
sa natura.
prigionieri si ritrovano alienati in un
paradiso caraibico, e conducono
un'esistenza priva di dignit, vittime
di un regime che professa insisten-
temente massime evangeliche
come l'uguaglianza e la libert.
L'individualismo che piace tanto
all'America, si trasforma in una
collettivit di dolore e ingiustizia nel
quale l'uomo dimentica se stesso e
tace.
E intanto l'Occidente si trova nel
solito impasse emotivo e non
presta orecchio a niente, se non
alla voce del potente.
Come fiore all'occhiello della guerra
al terrorismo, l'11 gennaio del 2002,
l'amministrazione Bush decise di
aprire il campo di prigionia finalizza-
to alla detenzione dei prigionieri
catturati in Afghanistan e ritenuti
collegati ad attivit terroristiche, il
quale sarebbe stato diviso in tre
campi: il "Camp Delta, il "Camp
guana e il "Camp X-Ray
(quest'ultimo oggi chiuso).
l presidente repubblicano, nel
discorso che sanc l'apertura della
prigione, sottoline che il campo
sarebbe stato circoscritto al "the
worst of worst ossia il peggio del
peggio dell'umanit, eppure la
maggior parte dei detenuti sono
rinchiusi senza aver subito un
processo e senza aver ricevuto
accuse specifiche.
Non mancano di certo geni del
male, come ad esempio alcuni
vicini di Bin Laden presunti respon-
sabili dell'attentato dell'11 settem-
bre, ma di certo il criterio con cui i
prigionieri sono stati e sono tuttora
deportati in questo campo sono
alquanto superficiali e lungi
dall'essere il frutto di un preciso
studio dell'intelligence americana.
Sin da subito furono sollevate
pesanti accuse circa il modo in cui
venivano trattati i detenuti, al limite
del disumano.
Se le celle potessero parlare, ci
racconterebbero storie di torture, di
nutrizione imposta, di violenza
inaudita.
Purtroppo non essendo ci possibi-
le, le testimonianze riportate dagli
avvocati di Reprieva
(organizzazione che si occupa dei
diritti dei detenuti in generale e
degli orrori di Guantnamo nello
specifico) squarciano il silenzio
degli "innocenti, riportando storie
tremende, come quella di Samir
Naji al Hasan Moqbel, yemenita di
nascita e catturato nel 2001 in
Afghanistan mentre
stava cercando lavoro, in
sciopero della fame
insieme a molti altri
detenuti, descrivendo
quanto fosse stato
orribile nutrirsi via tubo
nasale dopo essere stato
legato ad una sedia.
Oggi gli scioperi della fame stanno
crescendo, i detenuti hanno deciso
di rischiare la vita ogni giorno pur di
richiamare l'attenzione del mondo,
che sembra piegarsi alle continue
archiviazioni statunitensi.
Alla fine del 2008, il neoeletto
Obama manifest la sua intenzione
di chiudere il campo di Guantna-
mo e il 21 gennaio 2009 firm
l'ordine di "chiusura del carcere
(ma non della base militare). Ma
rimasero parole scritte sull'acqua.
Oggi il lager ancora l, con i suoi
171 detenuti, che non vengono n
processati n giustiziati, in un limbo
che conduce dritto all'inferno. Tutto
tace fuori da quel campo.
Gli Stati Uniti, autoreferenziali,
paladini del rispetto della giustizia,
che si attribuiscono la facolt di
esportare i diritti umani, sventolano
fieri il vessillo della libert, contrad-
dicendo in modo lampante i principi
"sacri, o almeno presunti tali, dei
loro padri fondatori.
Ed a questo proposito, a suggellare
questo inspiegabile paradosso dei
nostri tempi, ci interroghiamo
leggendo il pi celebre passo della
"Dichiarazione d'indipendenza del
1776, nel quale si legge "all men
are by nature equally free and
independent.
Le altre nazioni, relegando la
coscienza sotto terra, chiudono gli
occhi e si perdono in un triste
silenzio, ma da quel campo un
timido sussurro irrompe come un
tuono: "Guantnamo is killing me.
U
L'
Se le celle potessero parlare, ci
racconterebbero storie di torture,
di nutrizione imposta,
di violenza inaudita.
Medioriente
Nordamerica
onostante per quasi mezzo
secolo le relazioni interna-
zionali tra Paesi siano state
condotte anche in campo
energetico, la causa della sicurezza
energetica passa spesso in secon-
do piano quando si tratta di analiz-
zare un evento internazionale,
privilegiando invece i fattori
politico-militari e territoriali.
La sicurezza energetica, intesa
come accesso alle risorse energeti-
che, invece un elemento chiave
attorno al quale si sono dispiegati i
principali sconvolgimenti geopolitici
degli ultimi cinquant'anni. l proble-
ma energetico si imposto per la
prima volta a livello globale nei
primi anni settanta, a seguito
dell'improvvisa interruzione dei
flussi di petrolio da parte dei Paesi
dell'OPEC, come conseguenza
della guerra del Kippur.
n quell'occasione le maggiori
potenze occidentali capirono che la
loro eccessiva dipendenza energe-
tica dai Paesi arabi sarebbe stata
troppo rischiosa e che improvvise
interruzioni dei flussi di risorse,
prime fra tutte i combustibili fossili,
avrebbero provocato gravissime
destabilizzazioni economiche a
livello globale.
Di conseguenza, la
corsa per il petrolio
occup in breve
tempo le prime
posizioni all'interno
delle agende nazio-
nali e la garanzia
dell'accesso e del
controllo diretto di
tale risorsa fu consi-
derata come un
elemento indispen-
sabile per acquisire
stabilit economica e
forza militare sul
piano internazionale.
Attualmente la
sicurezza energetica
rientra di diritto
all'interno delle strategie di sicurez-
za nazionale e di intelligence di
ogni Paese.
n primo luogo, basti pensare al
fatto che molti dei recenti conflitti
sono scoppiati pi per ragioni
legate all'acquisizione di risorse
energetiche che per scopi politici (le
cosiddette resources wars). n
secondo luogo, accanto ai tradizio-
nali conflitti militari si sviluppata
una vera e propria energy
cyberwarfare. Per destabilizzare un
Paese nemico sempre meno
necessario investire ingenti quanti-
t di denaro ed eserciti da inviare
sul suo territorio, ma sufficiente
un computer.
Non pi necessario puntare
direttamente al rovesciamento delle
istituzioni governative, ma basta
attaccare le sue infrastrutture
energetiche (rete elettrica, centrali
nucleari, ecc...).
La sicurezza energetica dunque
strettamente collegata alla geopoli-
tica quando il fabbisogno energeti-
co di uno o pi Stati
dipende da forniture
provenienti da Paesi
produttori terzi
(come, ad esempio, il
caso dell'Europa).
Lo scacchiere della
contesa geopolitica
per l'energia senza
dubbio l'Asia centra-
le, da cui partono la
gran parte dei riforni-
menti energetici
verso i maggiori
Paesi occidentali e in
cui la competizione
delle grandi potenze
si ravvisa in molteplici
investimenti in Paesi
come il Kazakistan o
il Turkmenistan. La
Russia il principale
esportatore asiatico di gas naturale
verso l'Europa, scarsamente dotata
di risorse energetiche e perci
fortemente vincolata dai flussi
provenienti dall'estero.
Anche gli Stati Uniti dipendono
fortemente dalle importazioni di
petrolio e per evitare ulteriori shock
petroliferi come quelli degli anni
Settanta hanno preferito assicurare
la maggior parte delle importazioni
da Paesi vicini (Canada, Venezue-
la, Messico e Colombia).
Le restanti forniture invece proven-
gono da produttori diversificati
nell'area del Golfo persico (prima
fra tutti l'Arabia Saudita): attraverso
importanti accordi energetici con
questi Paesi, gli Stati Uniti sono
riusciti anche ad estendere la
propria area di interesse strategico
nel continente asiatico.
L'accesso e il controllo delle risorse
energetiche non pone quindi esclu-
sivamente dei problemi in termini di
conflitti territoriali, ma costituisce
soprattutto una questione di
sicurezza nazionale, rendendosi
necessario per gli stati proteggere
le proprie infrastrutture energetiche
critiche, estremamente vulnerabili
ed esposte a qualsiasi tipo di
attacco, armato o cyber che sia.
di Ludovica CoIetta
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GeopoIitica deII'energia
Dumping sociaIe. L'aItra faccia deIIa questione migratoria
Per capire iI mondo iI fattore energetico importante quanto queIIo poIitico-miIitare e territoriaIe
NeI nome deIIa Iibera circoIazione e deIIa toIIeranza i migranti sono asserviti a stipendi bassi e condizioni di Iavoro inumane
L'accesso e il controllo delle risorse
energetiche non pone
esclusivamente dei problemi in
termini di conflitti territoriali, ma
costituisce soprattutto una questione
di sicurezza nazionale, rendendosi
necessario per gli Stati proteggere le
proprie infrastrutture energetiche
critiche, estremamente vulnerabili ed
esposte a qualsiasi tipo di attacco,
armato o cyber che sia.
di Edoardo Arrigo
a crisi in corso con le sue
pesanti conseguenze
ripropone il tema delle
politiche sociali nei Paesi
subordinati alle leggi del capitali-
smo, dagli Stati Uniti all'Europa.
n questo quadro vale la pena di
provare a formulare qualche
riflessione sullo stato attuale
dell'Unione, cercando di rispondere
alla domanda: a che punto
l'Europa sociale?
Viste le differenze salariali e
l'offerta di lavoro resa disponibile
dai vari Paesi dell'Unione sembra
che questo progetto sia molto
indietro. Anzi sembra che si faccia
ben poco per la tutela del singolo
lavoratore e tutto ci che ne conse-
gue. Ogni anno migliaia di migranti
s'inseriscono nel nome della libert
economica e della libera circolazio-
ne nel mercato del lavoro degli Stati
europei con stipendi bassissimi e
condizioni inumane. nuovi schiavi
del XX secolo.
Da qui nasce l'espressione
dumping sociale che interiorizza
molteplici aspetti di una comune
matrice problematica: la delocaliz-
zazione e lo sfruttamento dei
lavoratori.
Un processo che ormai tipico
dalla maggior parte delle multina-
zionali, per minimizzare i costi e
rendere il prezzo finale del bene pi
competitivo. il fenomeno per cui
migliaia di persone hanno protesta-
to a Bruxelles contro quest'Unione
Europea cieca di fronte ai bisogni
dei lavoratori provenienti da tutta
Europa. Un fenomeno questo che
oltre a sfavorire il singolo lavoratore
e creare sempre pi forti distanze
sociali, tende a favorire quei Paesi
con una fiscalit favorevole.
Guarda caso la Germania
accusata giorno dopo giorno di
concorrenza sleale.
Alcuni Paesi per non hanno aspet-
tato inutili direttive europee ma
hanno trovato soluzioni interne.
n Norvegia in vigore un piano
governativo per la lotta al dumping
sociale, per contrastare un fenome-
no ricorrente soprattutto nel
settore dell'edilizia, dov'
diffuso il ricorso ad agenzie di
lavoro temporaneo che
distaccano lavoratori stranie-
ri. l piano prevede che ai
lavoratori stranieri siano
applicati gli stessi standard
normativi e salariali previsti
per i lavoratori norvegesi e
che il rispetto degli standard
sia garantito da autorit
nazionali dotate di poteri
ispettivi. n Danimarca invece
in vigore un accordo
anti-dumping che impone
l'obbligo di appaltare attivit
solo a imprese che applichino
i contratti collettivi, obbligo sanzio-
nabile con ricorso al giudice. Si
potrebbe continuare cos per ore. l
fatto che oltre che combattere
prepotentemente l'evasione fiscale,
queste misure comportano un
miglioramento delle condizioni
individuali dei lavoratori e, nel
susseguirsi degli anni, anche un
aumento della ricchezza reale
all'interno del Paese.
Questo ragionamento porta inevita-
bilmente a cercare una soluzione
non solo al livello nazionale ma in
ambito europeo. Si pu dire che in
un sistema che
ambisce a diven-
tare pi integrato
la mancanza di
direttive europee
sul lavoro contri-
buisce a
deresponsabiliz-
zare le ammini-
strazioni nazio-
nali e a rendere il problema sempre
pi centrale.
n un mercato sempre pi globale
con regole diverse nazione per
nazione, vi la necessit di stabili-
re regole chiare e sanzioni precise,
in vista anche dell'entrata dei Paesi
dell'Est Europa nell'Ue (ma forse
proprio questa la ricchezza dei
tecnocrati).
Normative europee in materia di
lavoro sarebbero la base per la
creazione di contratti collettivi
transnazionali per garantire ad ogni
lavoratore dell'Unione gli stessi
diritti sociali ed economici. Un
grande passo avanti che ad oggi
rappresenta un sogno irrealizzabi-
le. L'talia, per esempio, abbando-
nata dall'Ue al proprio destino nella
gestione dei costanti e massicci
flussi migratori che condannano i
"viaggiatori della speranza, ad
accettare condizioni di lavoro
disumane, talvolta nella criminalit
organizzata, antico cancro del
nostro Paese.
Per creare un'Unione Europea
unita non si pu passare non per il
lavoro e per tutto ci che ne conse-
gue. Una condicio sine qua non
senza la quale non potrebbe
nascere una vera e sociale Europa
dei popoli.
L'integrazione del mercato non pu
avvenire senza porre rimedio alla
disintegrazione dei diritti. l lavoro
deve essere una priorit.
L
N
"#$%&'
In Danimarca in vigore un accordo
anti-dumping che impone l'obbligo di
appaltare attivit solo a imprese che
applichino i contratti collettivi, obbligo
sanzionabile con ricorso al giudice.
ReIazioni InternazionaIi
GIobaIizzazione
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"#$%$&'()"*+$,(
II gioco perverso deI Meccanismo Europeo di StabiIit
L'Unione Europea e i suoi nemici: gIi Stati a moneta sovrana e iI deficit positivo
SaIvare gIi Stati? I prestiti deI MES avranno un tasso di interesse, dato che I'istituzione si prefigge I'obiettivo deI profitto
di Kirios Di Sante
i sono parole che segnano
epoche, accostamenti di
lettere in grado di sintetiz-
zare quadri storici meglio di
frasi, pagine, libri o intere enciclo-
pedie.
Se si dovesse scegliere una parola
ad hoc per il decennio appena
iniziato (si, siamo solo all'inizio),
non si dovrebbe cadere in banali
tentazioni quali crisi o recessione.
Cos come giusto tenersi a distan-
za da inglesismi a carattere mitolo-
gico, spread in primis. Quello a cui
tutti anelano, dagli esecutivi alle
banche centrali (ammesso e
concesso che siano organi differen-
ti), la stabilit. Governo della
stabilit, legge di stabilit; addirittu-
ra il meccanismo europeo di stabili-
t, meglio conosciuto (se conosciu-
to) come MES. l MES
un'istituzione intergovernativa con
capitale sociale pari a 700 miliardi
(aumentabile), versato da 17 Stati
membri. La quota partecipativa
dell'talia di 125 miliardi, di cui 15
di anticipo.
soldi per l'aumento dell'va? No,
quelli non c'erano. Cos come non
ci sono neanche quelli per l'anticipo
del MES, il che ci costringer a
chiederli a credito (almeno una
buona parte). l meccanismo vessa-
torio questo: indebitarsi, per
accumulare un capitale dal quale
attingere nei
momenti di massi-
mo debito.
E non finisce qui: i
prestiti del MES
avranno un tasso
di interesse, dato
che l'istituzione si
prefigge l'obiettivo
del profitto. Ma vi
sono cose pi
spaventose del
tasso di interesse:
oltre a "salvare gli
Stati agendo di
fatto come un
prelievo forzoso
(l'importante che
si chiama diversa-
mente), esso potr
dar vita
a l l ' e n n e s i m a
ricapitalizzazione
delle banche.
Essendo i soldi del
MES pubblici, ecco svelata un'altra
collettivizzazione delle perdite del
settore creditizio.
La quota massima di risanamento
delle perdite sar per di 70 miliar-
di, ergo una eventuale restante
parte sarebbe, ancora una volta, a
carico pubblico.
inoltre necessario, prima di ricapi-
talizzare una banca in perdita, uno
sforzo autonomo dello Stato per
riportarla nei parametri di sicurezza
fissati dagli accordi Basilea.
Questa analogia svela bene
l'assurdo che si cela dietro: come
se, stipulando un'assicurazione
(onerosa), a seguito di un danno
subito dalla propria vettura e coper-
to dal contratto assicurativo, uno si
impegna ad aggiustare parte della
carrozzeria autonomamente e a
spese proprie riportandola ad un
livello estetico che sfiori la decenza.
Vediamo di seguire il viaggio che
l'euro fa prima di non arrivare nelle
nostre tasche: la BCE lo elargisce
ad un tasso di interesse bassissimo
(recentemente decurtato ulterior-
mente, raggiungen-
do il minimo storico
dello 0, 25%) alle
banche commerciali
che lo prestano a
tassi usurai alla
cittadinanza.
Tramite i contribuiti,
parte dei soldi
recepiti dai cittadini
finir nel MES, e
verr loro prestato
(in caso di necessit) ad un tasso di
interesse sicuramente superiore
allo 0,25%.
La domanda verr spontanea
anche ai non addetti all'aritmetica:
non sarebbe meglio se la BCE
finanziasse direttamente gli Stati in
difficolt ad un tasso di interesse
minore di quello del MES?
L'intermediazione, cari lettori,
profitto. Ma solo per gli intermediari.
Senza contare che, prima di appel-
larsi al MES, lo Stato membro
dovr seguire precisi diktat meglio
conosciuti come direttive europee:
in pratica, per accedere al capitale
da noi versato e "appesantito da
un tasso di interesse che rappre-
senta profitto per terzi, dobbiamo
vendere pezzi di sovranit facendo-
ci dettare le manovre economiche
da Bruxelles. Manovre caratterizza-
te da privatizzazioni e vendita dei
beni demaniali, svelando a pieno la
matrice liberista dell'Europa e la
sua avversione verso lo Stato, reo
di distorcere la concorrenza salva-
guardando i diritti dei suoi cittadini.
necessario fermare tutto questo
anche se sembrerebbe ormai
troppo tardi, dato che il Meccani-
smo Europeo di Stabilit stato gi
ratificato dal Parlamento e, prima
ancora, dal Consiglio Europeo.
NeI 1992 con iI trattato di Maastricht, i Paesi firmatari hanno accettato di rispettare aIcuni parametri di convergenza
di Manfredi Zichichi
al primo gennaio del 2002
l'talia, insieme ad altri
undici Paesi europei, si
privata della possibilit di
stampare moneta ed immetterla
nella propria economia,
realizzando il "sogno
della moneta unica,
l'Euro. Questa decisione
ha inciso fortemente sulla
crisi finanziaria ed econo-
mica che ancora oggi
stiamo vivendo in tutta
l'Eurozona. Nel 1992 con
il trattato di Maastricht, gli
Stati firmatari hanno
accettato di rispettare
alcuni parametri di
convergenza: rapporto deficit/Pil
non superiore al 3%; rapporto
debito/Pil non superiore al 60%;
tasso d'inflazione non superiore
dell'1,5% rispetto a quello dei tre
Paesi pi "virtuosi dell'Eurozona.
Parametri che ancora oggi sembra-
no essere la condizione fondamen-
tale per un'economia forte e in
crescita ("ce lo chiede l'Europa!),
vengono privilegiati dai governi
nazionali a scapito delle priorit
sociali dei cittadini (occupazione,
abbassamento della pressione
fiscale, ecc.). Per comprendere il
danno che gli Stati dell'Eurozona si
sono autoimposti bisogna analizza-
re bene il processo di emissione
monetaria dei Paesi a moneta
sovrana (Giappone, USA, nghilter-
ra ad esempio). Nel momento in cui
uno Stato deve far fronte a una
spesa pubblica, se non ha soldi in
cassa ha due possibilit: o emette-
re titoli di stato che consentano al
cittadino che li sottoscrive di avere
una rendita con un tasso di interes-
se vantaggioso rispetto a quello
che gli offrono le banche, o stampa-
re moneta e immetterla
nell'economia del Paese. l debito
pubblico di uno Stato a moneta
sovrana si autofinanzia con
l'emissione di moneta facendo
crescere la quantit di valuta in
circolazione, e quindi aumentando
il valore dell'economia (crescita del
Pil nominale). L'unico aspetto
negativo l'inflazione, ma non di
certo un male assoluto, anzi. Se
l'talia deve far fronte ad una spesa
pubblica, ha invece oggi tre possibi-
lit che sono diversamente
disastrose per la propria economia
e per il benessere dei cittadini: la
prima quella di tagliare altre
spese (riducendo spesso e volen-
tieri l'istruzione, la ricerca, la sanit)
e far fronte al fabbisogno di cassa
internamente; la seconda consiste
nell'aumentare il cuneo fiscale,
andando ad affossare l'economia
delle famiglia; la terza invece
quella di chiedere un prestito alle
banche o ai cittadini, per in questo
caso il valore del debito da
tenere sotto controllo perch
non potendo autofinanziarsi
l'talia rischia il default
(questa parola tanto usata
nell'accezione inglese signifi-
ca non riuscire a restituire i
soldi). Proprio per questo
motivo il tasso di interesse
che l'talia deve promettere
agli investitori cresciuto
enormemente, tant' che il
nostro Paese paga il 4,5% di
interessi/Pil.
Per comprendere ancora
meglio che questo periodo di
recessione un sintomo del
rispetto dei parametri da
parte dei governi nazionali e
causato dalla politica monetaria di
Bruxelles, diamo uno sguardo alla
situazione di un Paese a moneta
sovrana che non rispecchia i vicoli
europei: il Giappone. l suo valore
debito/Pil supera il 250% eppure il
primo ministro Shinzo Abe non
sembra preoccupato di ridurlo, ma
deciso a risollevare il proprio Paese
dalla stagnazione economica
(Tokyo a differenza nostra ha un
deficit positivo). Ha intrapreso una
politica monetaria totalmente
diversa: l'acquisto di titoli del debito
nazionale da parte della BoJ
(Banca del Giappone) che
porteranno a raddoppiare la base
valutaria in circa due anni. Questo
con l'obiettivo di portare il Giappone
fuori dalla situazione di deflazione,
giocando al rialzo con l'inflazione
fino ad un valore del 2%. Altra
misura stata la svalutazione del
30% del valore dello yen per
incrementare le esportazioni
(Bruxelles nel nome della stabilit
dei prezzi, non svaluta mai l'Euro e
di fatto non competitiva con le
altre economie). Abe ha inoltre
ridotto la pressione fiscale su
famiglie e imprese ed ha introdotto
altre forme di vantaggio fiscale
nelle aeree economicamente
depresse, come Fukushima.
D
C
Esistono Stati a moneta sovrana
come il Giappone che a differenza
dell'Ue hanno un deficit positivo: il
suo valore debito/Pil supera il
250% eppure il primo ministro
Shinzo Abe non sembra
preoccupato di ridurlo.
Il MES un'istituzione
intergovernativa con capitale
sociale pari a 700 miliardi
(aumentabile), versato da 17 Stati
membri. La quota partecipativa
dell'Italia di 125 miliardi, di cui 15
di anticipo.
Eurocrazia
BruxeIIes
di Guido Rossi
ebbene molti abbiano la
tendenza a dimenticarsene,
l'agricoltura rappresenta,
oltre ad un settore fonda-
mentale della nostra economia, un
bene prezioso e vitale. E piacevol-
mente troviamo un elemento pi
che positivo, essendo, quello
agricolo, l'unico settore in crescita,
con un incremento occupazionale
giovanile del 9%, comprensivo di
figure altamente specializzate (con
un boom di immatricolazioni ad
agraria, aumentate dell'oltre 70%).
Pertanto l'amministrazione, a livello
tanto nazionale quanto europeo,
riesce esclusivamente a penaliz-
zarlo. Con sguardo attento all'talia
possiamo individuare immediata-
mente il tallone d'Achille di tutte le
tipologie d'impresa, agricole in
primis, fatalmente rappresentato
dalla burocrazia, se vero che ogni
imprenditore agricolo perde in
media cento giorni all'anno (!) fra
carte, premessi, normative e
controlli, costringendo
"l'imprenditore a sottrarre tempo e
denaro ai compiti prioritari di
un'impresa (Mario Guidi, presiden-
te Confagricoltura).
A livello comunitario i problemi non
son certo minori, non essendo
soltanto l'Euro un esperimento
fallimentare, ma l'intero mercato
europeo. Si parte infatti dal presup-
posto che per proteggere e
rafforzare quest'ultimo, tutti i Paesi
membri debbano adottare politiche
comuni; ma l'agricoltura (o altro)
non pu e non deve assolutamente
essere inclusa in un mercato
comune come politica integrata.
Pertanto chi ad oggi
innalza il canto del
"ce lo chiede
l'Europa ha due
possibilit, o al
servizio altrui, o
felicemente ottuso.
Non si pu pretende-
re di adottare
politiche uniche per
Paesi completamen-
te diversi, innanzitutto per storia e
costumi, secondo poi per la forte
disparit tra le loro diverse econo-
mie, costo della vita e potere
d'acquisto. La logica alla base della
Pac (Politica Agricola Comune)
oltretutto anacronistica, avendo le
sue radici addirittura negli anni
Sessanta, quando si aveva la
necessit di stimolare la produzio-
ne agricola e mantenere i prezzi ad
un certo livello. Oggi come allora le
conseguenze di questo pensiero
sono devastanti, essendo evidente
che se il beneficio del sostegno ai
prezzi direttamente proporzionale
alla quantit che si produce, ovvio
che a guadagnare di pi saranno le
grandi aziende, alle quali va pi
dell'80% dei fondi comunitari, poco
lasciando alla piccola produzione,
quella sostenibile e di qualit. Si
comincia quindi a capire come mai
questa visione "comune sia danno-
sa soprattutto ad una Nazione
come la nostra, caratterizzata da
imprese per lo pi a dimensione
familiare, molto attente alla qualit
dei propri prodotti.
Quindi seppure sia
aumentata l'occupazione
"agreste, purtroppo
questo sistema lascia la
qualit fuori dal mercato,
inondando oltretutto le
nostre piazze di derrate di
improbabile provenienza,
destinando vergognosa-
mente tonnellate di frutta e
verdura nostrana al
macero.
Va poi considerato che la
s o v r a p p r o d u z i o n e
europea rappresenta un
rischioso disequilibrio con
grandi costi ambientali, tra
i quali l'eutrofizzazione dei
terreni, la contaminazione
dei pesticidi e la perdita di
colture locali. noltre la
mancata cura delle nostre
campagne (essendo
queste abbandonate per
mancanza di mezzi) tra le prime
cause dei tanti dissesti idrogeologi-
ci avvenuti sul nostro territorio, da
ultimo la tragedia della Sardegna.
Sul piano dei rapporti talia-Ue
abbiamo poi altre sorprese, come
l'ormai famigerato patto di stabilit
che non d alle nostre istituzioni
locali alcuna possibilit di interveni-
re direttamente con i fondi a loro
disposizione, perch "dobbiamo
rimanere nei limiti del 3% ed il
nostro debito " troppo alto. n
realt i nostri "concittadini europei
lo conoscono bene il valore del
nostro territorio, visto e considerato
che soltanto prendendo nota dal
2007 ad oggi, sono pi di 17.000 gli
imprenditori agricoli stranieri che
operano in talia. E perseguendo
un'ottica maliziosa ma neanche
troppo- ecco allora che si spiegano
queste manovre volte a destabiliz-
zare i nostri poderi, e a farne conse-
guentemente abbassare il costo.
Ma ora di fare un importante
passo, con sguardo volto
all'indietro e al contempo verso
l'avvenire, tempo di ritornare alla
natura, e di riappropriarci della
nostra terra.
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Dicembre 2013
!
QueIIe terre da saIvare daIIa PoIitica AgricoIa Comune
II concetto d'inefficienza X di Georgescu-Roegen
L'agricoItura I'unico settore in crescita, con un incremento occupazionaIe giovaniIe deI 9 per cento
A differenza deI pensiero neoIiberista, I'economista rumeno auspicava I'utiIit e Ia possibiIit di una decrescita
La logica alla base della PAC
oltretutto anacronistica, avendo le
sue radici negli anni Sessanta,
quando si aveva la necessit di
stimolare la produzione agricola e
mantenere i prezzi ad un certo livello.
l concetto d'inefficienza X e
l'assunto che l'economia
non sia per nulla una scien-
za esatta come allo
stesso modo non sia proprio una
scienza seguendo la corrente
marginalista che vede l'economia
separata dalla matematica poich
materia non a s sufficiente e non
completa, rappresenta forse la pi
grande eredit di Georgescu-
Roegen e allo
stesso tempo
una fondamen-
tale lezione da
apprendere e
valutare nel
nostro sistema
economico alla
luce dei recenti
a v v e n i me n t i
che hanno
compito se non
stravolto il
nostro sistema
e c o n o mi c o .
L'analisi analiti-
ca, infatti, non
pu prescinde-
re dai contenuti
algebrici e
matematici, e
proprio per
questo non
p o s s i b i l e
affermare che
l'economia ne sia diretta dipenden-
te oppure ancora forse in una
maniera maggiormente provocato-
ria che ne tragga diretta origine,
poich ampi sono gli spazi
all'interno di questa materia lasciati
completamente non tanto al caso,
bens al continuo apprendimento
basato sull'esperienza e sugli effetti
delle operazioni messe in atto e dai
risultati da questi attesi. Nell'opera
di Roegen, infatti, lungimirante
quanto forse prematuro stato il
distogliere l'economia dal novero
delle scienze (intese secondo il
concetto ricavato dal pensiero
occidentale cio rigettando il
modello cartesiano e meccanicisti-
co) e tentare di basare le nuove
fondamenta dell'economia
sull'entropia e sulla termodinamica.
vero che tale cambiamento pu
essere ricondotto al mutare
d'opinioni nella dottrina scientifica
degli anni Venti, come altrettanto
vero che - anche da una rapida
lettura - il suo pensiero si pone in
contraddizione poich non salta sul
"treno vincente del pensiero
economico neoliberista mirato
completamente alla produzione, al
vantaggio economico e al profitto,
bens egli auspicava l'utilit e la
possibilit di una decrescita, in
questo modo collegando
l'economia alla scienza (e
all'esigenze?) della vita biologica e
dell'ambiente, azzardo morale ed
intellettuale che probabilmente fu
determinante per la mancata
assegnazione del Premio Nobel.
Per questo si pu comprende come
l'opera di un colosso come il
rumeno Roegen sia di schiacciante
attualit e di grande insegnamento,
richiamando l'attenzione e
sollevando questioni che avanza-
te a cavallo del Ventesimo secolo
possono essere oggi molto utili. Ad
essere attaccati, infatti, sono
proprio quei principi alla base
dell'evoluzione scientifica durati tre
secoli e tuttora dominanti ricavati
dal pensiero cartesiano, quali il
determinismo assoluto, la reversibi-
lit dei fenomeni e la fisica mecca-
nica quale base di ogni analisi
analitica. Ad essere attaccati quindi
sono l'elaborazione di un concetto
partendo dalle sue singole basi per
studiare e capire il tutto, ricondu-
cendo e derivando quindi anche le
leggi della biologia a quelle della
fisica e della chimica.
Se durante l'Ottocento furono le
correnti del vitalismo e
dell'organicismo che cercarono
senza durevoli successi di oppor-
si a questa visione, il suo contesta-
tore novecentesco si pu senza
dubbio riscontrare (anche) in
Roegen, almeno relativamente agli
effetti di questa impostazione
nell'ambito economico. Del resto, la
sua trattazione e dimostrazione
stata analitica e matematica,
proprio per rilevare come
un'economia sganciata da
quest'ancora di verificabilit non
sarebbe potuta essere una scienza
neppure verosimile. Anche se,
tuttavia, proprio quest'ancora che
ha determinato la deriva intrapresa
dall'economia nel tentativo di
assumerla a paradigma infallibile
quale essa non pu essere, al
contrario di quanto il neoliberismo
possa oggi pensare, assumendo
una regola universalmente valida in
tutti i sistemi economici esistenti, o
in quasi tutti. n questo senso,
rilevanti appaiono anche gli echi di
questa visione di pensiero nella
materia costituzionale tra l'autorit
e le regole, tra il diritto positivo e la
consuetudine vivente e "proceden-
te a prescindere da ogni imposizio-
ne positivi.
Se quindi l'inefficienza X quindi
parte da un semplice quanto
preciso presupposto, ossia quello
di (tralasciando le dimostrazioni
matematiche qui non riportabili)
interpretare ogni mancanza di
efficienza come frutto di inefficien-
za, ed ogni agente economico non
perfetto come comporta in s un
inevitabile effetto di tale inefficien-
za, allora ecco crollare anche un
altro importante baluardo
dell'impostazione courniana di fine
Ottocento e imprescindibile baluar-
do dell'economia moderna, ossia la
perfezione del sistema economico
e dei suoi agenti, al pari della loro
razionalit matematica e del loro
cieco determinismo. Tutti effetti la
cui rilettura aiuterebbe a regolarsi in
una situazione critica come quella
in corso tutt'oggi.
di EmanueIe Vincent

S
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PAC
Idee e proposte
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Dicembre 2013
!
"# %&'()(
II Potere II mondo moderno e Ie sue contraddizioni
a cura di
Sebastiano Caputo
e Lorenzo ViteIIi
a Storia un succedersi di
rivoluzioni che sconvolgono
le forme del Potere. Ha
visto epoche in cui i gover-
nanti temevano i governati, in cui i
popoli sovvertivano le istituzioni, ha
visto le masse sollevarsi contro
l'ordine precostituito. Ma non oggi.
La Modernit opera diversamente,
nuove dinamiche, un'altra guerra
in corso, senza il nostro assenso,
senza la nostra bench minima
consapevolezza.
La massa hors du jeu, i popoli
schiacciati, la Moder-
nit la rivoluzione
delle lite. Ad essere
sovversivo oggi il
Potere. Sconvolge le
mentalit, promuove
nuovi sviluppi, fa e
disf fenomeni di
massa, congiura,
cospira, proietta,
dall'alto dei suoi
scranni, una Weltan-
schauung universale.
Siamo in guerra ma
non ce ne siamo
accorti, tanto che,
finalmente, non
sapremo di essere
dei vinti, non ci rende-
remo conto di adulare il nemico, di
accettare il nuovo Ordine rivoluzio-
nario che la Modernit, a nostra
insaputa, ha edificato. Venereremo
la Modernit pi di quanto non lo
stiamo gi facendo.
Carl Schmitt distingueva l'inimicus
colui che ci odia dall'hostis
colui che ci combatte sostenendo
che su queste definizioni concet-
tuali si organizzava la politica.
Tuttavia l'avvento della Modernit
ha generato una depoliticizzazione
e la supremazia della vita economi-
ca intorno a degli
Stati che assomiglia-
no sempre pi, come
affermava il sociolo-
go Max Weber, a
delle "grandi fabbri-
che. Fabbriche di
consenso, di consu-
matori, di profitto.
"Un'idea politica
dice Schmitt viene
compresa solo
quando si riesce ad
individuare la cerchia
di persone che ha un
interesse economico
plausibile a servirsi di
essa a sua vantag-
gio . l potere politico
ha perso ormai da
diversi decenni i suoi
diritti e le sue libert a
beneficio di un'lite invisibile
quella che lo scrittore tedesco
chiama "cerchia di persone che
nel passato ha ribaltato un ordine
prestabilito per imporne un altro
conforme alla sua visione del
mondo. l nuovo Potere si rivolta-
to, ha imposto il suo credo mistico,
si consolidato nelle sfere di
governo delle nazioni egemoni,
"machiavellicamente, ha corrotto,
oppresso, mentito, monopolizzato il
diritto di emettere moneta, ha
esportato subdolamente il suo
modello economico, ha imposto
violentemente dei codici linguistici,
morali, culturali. Ha svuotato gli
Stati della loro sovranit e l'uomo
della sua essenza. l nuovo Potere
ha dichiarato guerra all'umanit
ponendosi come hostis (nemico)
dei popoli e delle nazioni libere
provocando una crisi senza prece-
denti storici.
Una guerra che totale (tutti gli
aspetti della vita ne sono compro-
messi), dominante, rivoluzionaria (
tuttora in corso), universale (tutti
sono coinvolti poich tutti i popoli e
gli Stati devono fondersi in una sola
razza, in un solo popolo e in un solo
Stato), locale (siccome estesa
all'interno delle nazioni stesse che
subiscono il "primato della politica
interna conflittualit di fazioni
politiche, religiose, etniche, sociali
"sull'unit politica lo Stato ed
il rischio costante di una guerra
civile). La vittoria degli anglo-
americani durante il Secondo
conflitto mondiale ha accelerato
questo processo, tuttavia la dichia-
razione di guerra non stata
firmata nel 1945, bens ha origine
ben pi remote. " impossibile
comprenderlo (il consolidamento
del Nuovo Potere, ndr), senza
conoscere almeno alcuni avveni-
menti storici precedenti che segna-
no il ciclo del conflitto scrive Ezra
Pound non si pu comprendere
senza conoscere almeno alcuni
fatti e la loro sequenza cronologi-
ca. necessaria, quindi, una
presa di coscienza. Senza una
rivoluzione culturale, non vincere-
mo, o meglio non sapremo mai di
essere in uno stato di guerra
permanente.
tratto da "Il Potere"
Una delle maggiori mancanze della
societ contemporanea l'assenza
di valori, un problema a cui si aggiun-
gono vari deficit che, sommati uno ad
uno, determinano l'attuale desolante
panorama sociale, culturale, econo-
mico e politico.
Eppure illustri filosofi, intellettuali e
storici nelle loro opere scritte nel XX e
XIX secolo ci avevano avvertito.
Manifesto della decadenza "Il
tramonto dell'Occidente" (titolo
profetico) di Oswald Spengler.
Nonostante ci continuano ad
esserci, basta ben cercare, giovani
validi, preparati e attenti alle logiche e
alle dinamiche che regolano il nostro
tempo. Credo Sebastiano e Lorenzo,
che ho conosciuto inizialmente per la
loro esperienza editoriale
dell'Intellettuale Dissidente, rappre-
sentino questa categoria di persone.
Il progetto di Historica e di tutto il
nostro gruppo editoriale quello di
pubblicare un catalogo eterogeneo,
composto di varie voci ma unito da
un comune progetto di qualit. Dopo
aver letto qualche articolo dei due
autori romani mi sono detto: questi
ragazzi devono entrare a far parte
della nostra squadra. Cos, quando
mi hanno proposto il loro saggio,
dopo averlo letto, non ho potuto che
acconsentire con grande piacere alla
pubblicazione. Condivido gran parte
delle tesi esposte nel libro (non tutte
ma il bello della diversit di opinioni)
e soprattutto credo sia innegabile
l'attenzione e il rigore documentativo
de "Il Potere".
Credo, e Sebastiano e Lorenzo
saranno d'accordo con me, che in
Italia esistono molti giovani che,
giorno dopo giorno, mattoncino dopo
mattoncino, stanno costruendosi un
proprio percorso con dedizione,
sacrificio e tanta tenacia.
Leggendo "Il Potere" non si direbbe
gli autori siano poco pi che ventenni,
invece cos.
I valori sono trasversali e non hanno
et, Sebastiano e Lorenzo sono la
dimostrazione pi evidente.
Francesco GiubiIei, editore
Via Tunisi n.3/a - 00192 Roma
Tel/fax: 06.3972.2159
Per ordinare iI saggio:
info@libreriaeuropa.it
Orario:
Lunedi dalle 15:30 alle 19:30
da martedi a sabato dalle 10:15
alle 19:30
Sebastiano Caputo (21 anni)
Diplomatosi al Liceo Chateaubriand
di Roma entra a soli 18 anni a far
parte della redazione del
Quotidiano Nazionale Rinascita,
dove si occupato principalmente
di politica estera. Attualmente
collabora con "La Voce del Ribelle"
diretto da Massimo Fini.
fondatore dell'Associazione
politico-culturale "Contro Cultura",
ha ideato e assunto la direzione del
quotidiano online L'Intellettuale
Dissidente.
Lorenzo Vitelli (21 anni)
Diplomatosi al Liceo
Chateaubriand di Roma
laureando in Filosofia all'Universit
"Sapienza" di Roma. ideatore e
caporedattore del Quotidiano
Online L'Intellettuale Dissidente,
nonch fondatore dell'Associazione
"Contro Cultura". "Il Potere. Il
mondo moderno e le sue
contraddizioni" il suo primo
saggio.
L
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Dicembre 2013
9
Il mondo moderno e le sue contraddizioni
a cura di Diego Fusaro
iamo oggi abitatori della prima forma
sociale e politica che non si contrab-
banda come perfetta, ma che fa
apertamente vanto della propria
imperfezione. Nelle sue forme tradizionali, il
potere tendeva sempre a presentarsi ideologi-
camente come perfetto, e dunque come tale
da non dover essere trasformato, n, tanto
meno, sostituito da altre forme di potere
eventualmente "perfezionate.
Ci appare lampante non appena si consideri,
ad esempio, la forma del potere "assoluto che
ha accompagnato una parte decisiva
dell'avventura storica dello Stato moderno: lo
Stato assoluto, in quanto superiorem non
recognoscens (Bodin), si concepisce come
assoluto e perfetto o, se si preferisce, come
assolutamente perfetto. ben pi che una
semplice metafora la definizione che, nel
Leviatano, Hobbes fornisce dello Stato come
Deus mortalis, come "Dio in terra (definizione
che, come noto, sar assimilata dallo stesso
Hegel).
n forza di quel processo di immanentizzazio-
ne radicale del trascendente con cui si identifi-
ca il moderno, la perfezione divina viene
proiettata nelle regioni terrestri della potenza
statale, nella forma della politische Theologie
codificata da Carl Schmitt.
Con il capitalismo si assiste a una svolta
epocale nel modo di concepire e di praticare il
potere ed questo l'orizzonte critico in cui si
inscrive il saggio di Sebastiano Caputo e
Lorenzo Vitelli, una lucida quanto demistifi-
cante opera di messa a nudo degli arcana
imperii dell'odierno ordine globalizzato.
A differenza dei precedenti regimi disciplinari
del potere, il cosmo a morfologia capitalistica
non pretende di essere perfetto: semplice-
mente nega l'esistenza di alternative, convin-
cendo le menti dei suoi sudditi coatti non delle
proprie qualit, ma del proprio carattere fatale,
intrascendibile e destinale. Di pi, quello che
in altra sede ho qualificato come capitalismo
assoluto-totalitario professa apertamente la
propria imperfezione e, insieme, nega alla
radice la possibilit di perseguire la perfezio-
ne, ossia forme alternative di abitare lo spazio
sociale che non siano quella dell'orizzonte
unico della forma merce e dell'alienazione che
essa produce su scala planetaria.
Di qui il principale comandamento della
religione capitalistica, il monoteismo del
mercato santificato da quella
teologia della disuguaglianza
sociale che l'economia (scienza
dominante e, insieme, scienza del
dominio): "non avrai altra societ
all'infuori di questa!.
La dittatura dei mercati di cui
siamo sudditi si proclama retorica-
mente, in stile popperiano, una
"societ aperta, che riconosce i
propri limiti e le proprie imperfezio-
ni, e, insieme, si configura come la
societ pi chiusa dell'intera storia
umana: essa, infatti, neutralizza la
possibilit di progettare societ
alternative tramite il duplice dispo-
sitivo ideologico dell'assolutismo
mistico della realt e della automa-
tica identificazione tra la critica radicale del
capitalismo e l'approvazione a posteriori dei
totalitarismi novecenteschi.
Testo estratto dalla postfazione de "Il Potere"
L'ideoIogia deII'imperfezione inemendabiIe Postfazione
II vecchio modeIIo ci ha abbandonati, ripensiamo iI nuovo
a cura di CarIo SibiIia
cappare quello che molti giovani
italiani sono stati costretti a fare.
Sebastiano e Lorenzo invece si
sono tuffati con coraggio nelle
contraddizioni del loro paese, che poi sono
quelle dell'intero mondo. E dal mondo, non si
pu scappare. Lo hanno fatto partendo da
lontano. Dalle essenze. Dai punti fermi della
grande storia. Aggiungendo dei dettagli non
da poco che ci aiutano ad "unire i puntini"
guidandoci anche tra fondamentali retroscena
che delineano gli equilibri di potere odierni.
Dunque partiamo dal "Potere" che, come
diceva qualcuno, "logora chi non ce l'ha". Ma
quel qualcuno morto e la gestione del potere
decisamente cambiata. O sta cambiando ad
altissima velocit.
[.] tempi sono mutati, gli strumenti a nostra
disposizione sono mutati. Le fonti di energia
sono mutate. Le fonti d'informazione sono
mutate. La cultura delle persone sta mutando.
Siamo indubbiamente nel momento di crisi pi
profonda e che coinvolge pi settori della
storia del 900. Ma proprio per questo anche in
un momento storico di cruciali opportunit. Si
avete letto bene. Opportunit. tempo di
mettere in dubbio il sistema. La stessa societ
basata sul profitto va messa in discussione.
Lo stesso profitto va ripensato. l profitto
giustifica tutto, ogni forma di potere. La
criminalit organizzata, la vendita del proprio
corpo, i sicari a cinque euro, il fatto di avere un
governo non eletto dal popolo, ma creato a
tavolino.
Bisogna ripensare un nuovo modello.
Bisogna ripensare l'altro modello.
[.]Probabilmente c' un rischio del coraggio-
so gesto di liberarsi dei punti fermi. l
rischio quello di fare la fine di
alcune indagini per certe stragi
italiane. Dove vero tutto e il contra-
rio di tutto.
Prima o poi, dunque, necessario
abbandonare le teorie e passare alla
pratica. Quando si ha una visione,
un disegno, un sogno non si riesce
sempre a delinearne i dettagli e
definirne i contorni. Passare alla
fase dell'azione permette di creare
cultura ed esperienza tangibile.
Dare concretezza e consistenza alla visione.
Allora ridestiamoci, guardiamoci intorno,
cerchiamo chi altri insieme a Sebastiano e
Lorenzo si sta svegliando dal torpore.
Magari scopriremo di non essere soli. Magari
scopriremo che il vecchio modello ci ha gi
abbandonati, ma l'unico modo per lasciarlo
alle spalle quello di costruire, insieme, il
nuovo.
Testo estratto dalla postfazione de "Il Potere"
"S
Diego Fusaro (30 anni)
Diplomatosi al Liceo classico Vittorio
Alfieri di Torino, si laureato in
Filosofia della Storia nel 2005 e,
successivamente, in Filosofia e Storia
delle Idee nel 2007 presso l'Universit
degli Studi di Torino. Ha conseguito un
dottorato di ricerca presso l'Universita
Vita-Salure San Raffaele di Milano in
Filosofia della storia ed ricercatore e
professore presso la stessa.
"L'InteIIettuaIe Dissidente
di propriet della
Associazione Culturale "ControCultura
Direttore
Sebastiano Caputo
Caporedattore
Lorenzo Vitelli
Direzione e redazione centraIe
Roma, via Fratelli Ruspoli 4, 00198
EmaiI
lintellettualedissidente@gmail.com
Corrispondenti daII'interno
Pierpaolo Corsi
Niccol Maria de Vincenti
Maria Paola Frajese
Dario Stefano Lioi
Renato F. Rallo
Flaminia Camilletti
Martina Turano
Luca Barbirati
Carlotta Correra
Guido Rossi
Luca Fattorosi Barnaba
Antonino De Stefano
Francesca Lanzillotta
Ludovica Coletta
Giovanni Pucci
Francesco Chiarizia
Andrea Chinappi
Filippo Benincampi
Emanuele Vincent
Santi Cautela
ppolito Emanuele Pingitore
Edoardo Arrigo
Manfredi Zichichi
Francesco Pietrella
Gabriele Cruciata
Damien Bondavalli
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Kirios Di Sante
Roberto Saverio Caponera
Andrea Petolicchio
Paolo Ciancimina
ResponsabiIe sito internet
Carlo Di Gregori
Stampa
Seregni Roma S.r.l., V.le Ortolani 33-37
Dragona (RM)
Per ricevere una copia o pi copie a casa:
lintellettualedissidente@gmail.com
Carlo Sibilia (27 anni)
Ha conseguito la laurea triennale in
biotecnologie presso l'Universit degli
Studi di Perugia. Eletto nel maggio del
2013 deputato del Movimento 5 Stelle,
diventato segretario della III
Commissione Affari Esteri e
Comunitari.
S
Prefazione
www.lintellettualedissidente.it
Dicembre 2013
!"
#$%&'()
II mito di Giovanna d'Arco neIIa storia europea
Il contesto storico: la Guerra dei Cent'Anni
el 1337 inizi la denominata Guerra
dei Cent'Anni (in realt il conflitto si
protrasse 116 anni dato che si conclu-
se nel 1453) tra nghilterra e Francia
causata da una complessa vicenda dinastica
che port il Re d'nghilterra a rivendicare il
trono di Francia. Ampie parti del territorio
francese vennero occupate dagli inglesi e la
stessa Parigi cadde sotto un regime di
occupazione. Una svolta radicale al conflitto
avvenne con la celebre Battaglia di Azincourt
nel 1415, nella quale il Re d'nghilterra, Enrico
V inflisse una decisiva sconfitta militare ai
francesi. Con il Trattato di Troyes, nel 1420,
Enrico V e il Re di Francia, Carlo V, si accor-
darono per unire le due corone tramite il
matrimonio tra lo stesso Enrico V e la figlia di
Carlo V, Caterina di Valois. Questo Trattato
port alla esclusione dalla Corona del figlio di
Carlo V, il futuro Carlo V. Questo fu
certamente uno dei momenti pi bui della
storia francese da cui nacque, infatti, il tentati-
vo di costruire un unico grande regno domina-
to dagli stessi inglesi. l tentativo, tuttavia,
venne messo subito in crisi dalla prematura
morte di Enrico V e dello stesso Carlo V nel
1422.
La costruzione del mito
Ancora oggi chi si avventura al villaggio
lorenense di Domrmy pu scoprire la casa
natale di Giovanna d'Arco, nata in questa
localit il 6 gennaio 1412.
Giovanna era figlia di contadini, certamente
non agiati ma molto probabilmente neanche
in condizioni di povert. La Lorena, in quel
momento, era teatro di guerra, posta come
era sulla linea del fronte, dato che i borgogno-
ni erano alleati degli inglesi, nella lotta contro
i francesi. Fu qui, a Domrmy, nel 1428, a soli
16 anni, che la tradizione attribuisce a
Giovanna una esperienza mistica. Giovanna
d'Arco, secondo la propria ricostruzione, si
vide attribuire, tramite l'intercessione di figure
quali Santa Margherita, Santa Caterina
d'Alessandria e l'Arcangelo Michele, la
missione divina di liberare la Francia dalla
dominazione inglese. Dopo complesse vicen-
de, Giovanna d'Arco venne ricevuta da Carlo
V (il figlio di Carlo V diseredato dal Trattato
di Troyes del 1420): la Pulzella (come fu
denominata da quel momento Giovanna
d'Arco) convinse il Re a condividere i propri
obiettivi militari e politici. Tali obiettivi sono: la
liberazione della strategica citt di Orleans
dall'assedio inglese e la unzione di Carlo V a
Re di Francia nella Cattedrale di Reims.
credibile questo racconto? possibile che
una giovane contadina sia riuscita a convin-
cere il Re di Francia, ma anche la Corte, della
propria credibilit e bont dei suoi propositi?
La risposta non pu essere univoca, ma
possibile ritenere che il personaggio sia stato,
in un certo senso, costruito politicamente da
persone influenti dell'entourage del Carlo V:
tra queste un ruolo chiave pare sia stato
assolto dalla suocera del Re, olanda
D'Aragona. Anche qui, inoltre, non bisogna
sottovalutare il contesto e l'esperienza
storica: solamente cinquant'anni prima,
un'altra figura femminile, Santa Caterina da
Siena aveva avuto un ruolo centrale nel
ritorno dei papi dall'esilio avignonese nel
1377. A questi fattori politici e storici dobbia-
mo, inoltre, aggiungere la dimensione della
Fede: questa virt teologale, capace
realmente di "spostare le montagne che
anima Giovanna d'Arco.
La Pulzella, ricevuto il mandato da Re Carlo
V, riesce, in poche settimane, a compiere la
sua impresa: Orleans viene liberata
dall'assedio inglese (8 maggio 1429) e Carlo
V unto Re nella Cattedrale di Reims (17
luglio 1429). L'intervento di Giovanna d'Arco
nella Guerra dei Cent'Anni risulta decisivo: da
quel momento gli inglesi inizieranno un lento
ripiegamento che si concluder con la loro
definitiva espulsione dal territorio francese nel
1453, ad eccezione momentaneamente della
citt di Calais. Giovanna d'Arco, dopo altre
imprese militari, tra le quali l'assedio di Parigi,
viene catturata a Compigne dai borgognoni
nel novembre 1430 e successivamente
consegnata agli inglesi. significativo come
gli inglesi abbiano intentato contro Giovanna
d'Arco un processo affidato ad un tribunale
ecclesiastico presieduto dal Vescovo di Beau-
vais, Pietro Cauchon.
La Pulzella fu
accusata di eresia,
scisma, apostasia e
stregoneria: sono
accuse dalle quali
Giovanna si difese
con incredibile
fermezza, abilit e
padronanza delle
questioni teologiche.
l processo si conclu-
der con la condanna
a morte di Giovanna
d'Arco e la sua
messa al rogo il 30
maggio 1431 Rouen.
Le conseguenze politiche
La Guerra dei Cent'Anni pu essere conside-
rata, per certi aspetti, una vera e propria
guerra europea. L'nghilterra abbandoner
per sempre la dimensione terrestre della
propria forza militare per concentrarsi nella
costruzione di una grande potenza marittima
e navale. Una sconfitta, quindi, che si risolta
storicamente nella nascita di un grande
successo politico e militare. La Francia ha
avuto in eredit dalla Guerra dei Cent'Anni la
sua definitiva unificazione a livello politico:
fenomeni autonomistici, come quello rappre-
sentato dalla Borgogna, vengono definitiva-
mente superati ed assorbiti. Dopo la Guerra
dei Cent'Anni, la Francia si afferma come uno
Stato fortemente centralizzato con il suo
cuore nella citt di Parigi. A noi abitanti del
XX secolo rimane il mito di Giovanna d'Arco
(canonizzata da Papa Benedetto XV nel
1920) ad indicarci come un grande ideale, o
una grande Fede, supportati da particolari
condizioni storiche e politiche, possano
sovvertire il mondo.
a cura di Fabio Pizzino
erch Pasolini profeta? Profeta, forse,
proprio perch faceva poesia, ed ogni
poesia, in s, anche un messaggio ai
posteri, una rivelazione, una visione.
Ecco, Pasolini un visionario.
Ci sono quei letterati di cui si sente tutto il peso
del tempo, o quelli che, come Nietzsche,
nascono postumi. Pasolini nasce con il dono
dell'attualit ed , tutt'ora, attuale; lo tanto
pi oggi di quanto non lo fosse ieri. La sua
poesia si prolunga sino a noi del tutto vergine,
con l'innocenza degli occhi di chi ha sempre
visto oltre lo scontro dialettico di ideologie ed
estremismi, oltre le fazioni create e strumenta-
lizzate dal Nuovo Potere, la societ in cui il
motto libertario "produrre e consumare.
Perch finalmente il 68' voleva questo,
l'accesso diretto ed indiscriminato verso il
nuovo paradigma dello Sviluppo: "produrre e
consumare. Perch ogni libert democratica,
una volta superato il buonismo imbellettato
della possibile emancipazione individuale, si
riduce a questo.
E se i sessantottini, nella loro epopea militante
e politica, incastonati nelle ideologie del
tempo, si facevano ancora portatori di ideali e
di speranza, il risultato lasciato ai posteri il
materialismo pi meschino l'antitesi.
E la rivoluzione, cos attuale, che compie
Pasolini un moto di ribellione conservatrice,
un percorso a ritroso nel tempo, che, sia
pure per una poetica nostalgia o una malinco-
nia sincera, oggi si rivela nella sua pi viva
intensit. Prima che nascesse, in questo
secolo controverso, la nuovissima creatura
dell'uomo moderno, Pasolini l'aveva gi
inquadrato: consumatore, omologato, laico,
liberale, moderato, edonista, tollerante,
sradicato. Sono tutti termini che ritroviamo
negli Scritti corsari, una raccolta di articoli
pubblicati sul Corriere
della Sera dal 1973 al
1975 e che assieme a
Lettere luterane uno
dei testi fondanti della
poetica pasoliniana.
E questi stessi concetti li
sentiamo gi in Platone,
quando nella Repubbli-
ca parla dell'uomo
democratico: "vive alla
giornata, soddisfacendo
quell'appetito che urge
al momento; ora si
ubriaca e si diletta al
suono del flauto, ora
beve acqua e segue una
cura dimagrante, ora
compie esercizi ginnici,
ora sta in ozio, incurante
di tutto; ora sembra
interessarsi di filosofia.
Spesso partecipa alla
vita politica e, saltando
su, parla ed agisce a
casaccio; e se mai
intende emulare i
guerrieri, si dedica con
trasporto ad attivit
belliche; se vuole
emulare gli uomini
d'affari, diventa
affarista. Nessun ordine
e nessuna necessit
presiedono alla sua vita;
la chiama dolce vita,
libera e beata, e se la gode, sempre."
Cos Pasolini a questa vita sregolata e liberti-
na, nichilista e dissoluta, edonista e consuma-
trice dell'individuo moderno obbligato, per
sua natura stessa, a dover godere(!) a dover
consumare (!) oppone tutta altra vita, una
vita anti-borghese, anti-sviluppista: quella
rurale e arcaica, materialmente povera ma
ricca di spirito.
Cos il poeta di Casarsa guarda al passato e al
presente, all'talia rustica e agreste, a quella di
borgata e di periferia.
Tra le campagne della prima talia Pasolini
riconosce, ancora intatti, i valori tradizionali e
anti-materialisti di un passato che lascia
sull'individuo e sulla comunit un tenero velo
di innocenza. La fede come primo
collante unitario, i valori della terra
come alternativa e ultimo baluardo di
resistenza ai valori "moderni del
consumo, del profitto, dell'utile,
dell'interesse.
La comunit prima dell'individualismo.
Pasolini coglie con sottile intelligenza il
passaggio, psicologico e sociale, che sta
investendo la penisola da Nord a Sud, uno
scontro di civilt e di mentalit. L'abbandono di
un mondo per un altro: l'avvento ineluttabile
della modernit, di ci che Nietzsche, possia-
mo pensare, chiamava nichilismo. Sono
scomparse le lucciole diceva Pasolini, ed
erano gli anni 60'. Ora si entrati in un nuovo
paradigma. E finalmente anche Pasolini lo
abbiamo collettivamente ed inconsciamente
espiato. Ci siamo fatti perdonare. La sua
critica al mondo moderno si con disinteresse
sostituita ad una triste e redentoria green
economy, al consumo di prodotti biologici, "a
impatto zero, ad una scampagnata in campa-
gna, alla visita guidata come fosse uno zoo
del mondo contadino, e indichiamo con il dito
quegli strani e quasi in via di estinzione
animali con la zappa, che rimangono cos
saggi.
"Ho nostalgia della gente povera e vera che si
batteva per abbattere quel padrone senza
diventare quel padrone."
a cura di Lorenzo ViteIIi
Pasolini aveva gi inquadrato l'uomo
moderno: consumatore, omologato,
laico, liberale, moderato, edonista,
tollerante, sradicato.
Pier PaoIo PasoIini: Profeta di un'era
P
N
di Rfr
e dovessimo cercare una
speciale caratteristica
che distingua la nostra
epoca, non saremmo
lontani dal vero se dicessimo che
tale caratteristica l'incapacit di
grandezza. Non c' mai stata al
mondo, crediamo, un'epoca cos
grama e meschina. Siamo incapaci
di pensiero profondo, di emozione
intensa, di azione coordinatamente
superiore. Siamo gli artificiali e i
provinciali di noi stessi. Non si
potrebbe descrivere meglio quel
che sta accadendo negli animi e nel
mondo che dandogli il nome di
provincializzazione dell'Europa."
Fernando Pessoa, Il libro del genio
e della follia
Dove l'arte ridotta a mero eserci-
zio riproduttivo di modelli calati
dall'alto.
Dove l'ingegnerizzazione del
prodotto artistico richiede
l'implementazione di macchine
umane sempre pi alienate,
sempre migliori nell'esecuzione, pi
programmabili, pi settorializzate:
statiche macchiette, flat characters.
Si chiama Talent Show, ed uno
dei pi mostruosi dispositivi biopoli-
tici di questi ultimi anni.
E' un format televisivo grazie al
quale in ogni casa arrivano forti e
chiari i canoni che l'industria
culturale ha stabilito per ogni suo
scaffale, dal reparto dischi al banco
dei libri, fino ad arrivare all'angolo
gastronomia e alle frittate, pardon,
omelettes.
l funzionamento molto semplice
e - nella sua follia - lineare: l'arte
viene assolutizzata, immobilizzata,
deportata in mezzo ad uno studio
televisivo, e gli aspiranti artisti le si
avvicinano a turno per vedere chi le
somiglia di pi, in un paradossale
scambio di posizioni dove la critica
non segue pi l'arte ma ontologica-
mente la precede.
Sulle pareti, nel
frattempo, viene
proiettato il solito
circo emozionale: la
lacrima di chi sbaglia
la dose di burro nella
torta; l'espressione
schifata dello scritto-
re di successo
mentre strappa il romanzo di un
concorrente; l'inquadratura stretta
sulla disperazione del ragazzo che
viene eliminato dalla scuola di
teatro. La banalizzazione dell'arte
passa per la reificazione
dell'emozione: l'uso coercitivo della
tecnologia ci condanna alla dittatu-
ra dell'ipotalamo.
Ed proprio
nell'intimo del cervel-
lo che, oltre all'idea
che l'unico modello di
danza sia quello di
Maria de Filippi e
l'unico modo di canta-
re sia quello di
X-Factor, si instilla
anche la paura del
fallimento.
Trionfa chi si attiene
meglio al compitino
assegnato, chi viene
incontro ai giudici, ai
professori, al televo-
to, alla massa.
Vince chi sacrifica la
propria personalit
s u l l ' a l t a r e
dell'omologazione.
Da ci segue la
distruzione di ogni
possibilit di 'genio':
ogni tensione creativa
viene incanalata sui
binari del fruibile,
dell'orecchiabile, del
monetizzabile.
L'arte non avanza, i parametri
rimangono sostanzialmente immo-
bili nella palude del commercio,
salvo alcune variazioni formali
intorno al trend della domanda.
l corto circuito completo: la
massa compra ci che l'artista
produce secondo i criteri
dell'industria che plasma la massa.
Oppure, per gli amanti della costitu-
zione, "la sovranit artistica spetta
al telespettatore, che la esercita
nelle forme e nei limiti stabiliti dal
format.
La trascendenza solo uno scomo-
do ricordo del passato.
Come una tavola dove mangiare,
un letto dove dormire, oggi anche
l'arte finalmente orizzontale.
"Oggi, l'estendersi dell'educazione
e la costante agitazione di problemi
intellettuali producono, diciamo,
dieci uomini di talento per ognuno
che ve n'era anticamente; per cui
concludiamo che siamo superiori.
Ma per ogni cinque uomini di genio
che v'erano un tempo, oggi non ne
produciamo alcuno.
E poich dieci talenti non fanno un
genio, un'epoca di molti talenti non
, n vale, un'epoca di un solo
genio."(ibid.)
www.lintellettualedissidente.it
Dicembre 2013
!!
$ Factor: iI TaIent show come uItima umiIiazione deII'arte
La perversa estetica deI corpo
La voIgarizzazione deII'arte neII'era dei media di massa: I'impossibiIit deI genio, iI trionfo deI taIento
Si sono ribaItati i canoni di beIIezza di cui I'odierno metro di giudizio Ia soIa corporeit voIta aI consumo
La banalizzazione dell'arte passa per
la reificazione dell'emozione: l'uso
coercitivo della tecnologia ci
condanna alla dittatura
dell'ipotalamo.
ome cambiata l'estetica
del corpo? Come si sono
modificati il modo di conce-
pire il piacere
dell'osservazione del prodotto
naturale 'essere umano' e la pura
osservazione estetica?
Negli ultimi anni questi concetti
sono stati capovolti, rigirati, strazia-
ti. Anatomia e arte fin dall'antichit
hanno formato un binomio vincente
che a quanto pare oggi come oggi
appartiene al passato, un passato
che sembra sempre pi lontano.
Dalle proporzioni studiate dai
canoni classici si arrivati ai cartel-
loni pubblicitari di oggi.
Non da considerare solamente
l'intento artistico nella questione
dell'estetica del corpo, perch in
realt qualcosa di pi.
Ci riguarda tutti i giorni e sul fatto
che un' opera di Fidia o di Mirone e
una campagna pubblicitaria con
una modella anoressica non siano
paragonabili non ci sono dubbi.
l confronto viene meno conside-
rando che attualmente non vige
alcun criterio estetico, ma
puramente pubblicitario e consumi-
stico. Tuttavia il collegamento
proprio ci che i due tipi diversi di
icone vogliono rappresentare:
simboli di un ideale da raggiungere,
da ammirare, in cui perdersi, con la
differenza che nel primo caso ci si
perde di fronte alla razionalit
artistica e l'artificio che risulta cos
naturale nell'idea di bello, di propor-
zionato, di sano, mentre nel secon-
do caso ci si perde nel labirinto
della modernit e dei suoi aspetti
pi tetri legati al consumo di cui si
fa troppo spesso un valore.
Dal quinto secolo a.C. con i gi
citati Fidia e Mirone si creano dei
canoni non solo artistici ma quasi
matematici, che avranno un posto
d'onore fino al Neoclassicimo con
Thorvaldsen e Canova fino a met
Ottocento, passando per Michelan-
gelo e Leonardo nel XV e XV
secolo.
Cos come nei bronzi di Riace
(anch'essi databili intorno al v
secolo a.C., culmine della scultura
classica) o nel Discobolo di Mirone
l'anatomia umana
studiata nel dettaglio
affinch sia rintracciabi-
le un rapporto intimo tra
l'arte come prodotto
umano e la sua compo-
nente naturale. l bello
classico un bello
razionale, ed attraver-
so la ragione e la
geometria applicate
all'arte che si ha allo
stesso tempo un'icona
di come l'uomo dovreb-
be essere, e non solo
'fisicamente' parlando,
in quanto il corpo nella
sua dimensione materiale rappre-
senta comunque attraverso lo
studio delle proporzioni le facolt
intellettuali dell'uomo. La compo-
nente razionale sempre pi
difficile da trovare in quanto si
confonde il criterio estetico e artisti-
co con l'utile, con il raggiungimento
di obiettivi legati al mondo del
consumo e al di fuori di ogni logica
se non a quella del mercato.
Oggi il valore genuino del corpo
viene raramente preso
in considerazione,
soprattutto dai giovani,
sia dal punto di vista
estetico sia da quello
salutare.
Dal punto di vista
estetico si pu dire
che si presta attenzio-
ne alla mera apparen-
za, fine a s stessa,
quella che da sola funziona da
metro di giudizio.
Dal punto di vista salutare il 'vivere
in maniera sana' sostituito ad un
principio di autodistruzione del
proprio corpo, attraverso droghe,
protesi di silicone, alcool e tabac-
chi.
l capovolgimento del valore esteti-
co del corpo da attribuire al
mondo consumistico, che si sostitu-
isce troppo frequentemente all'arte
nella vita di tutti i giorni.
Al modello consumistico sono
infatti legate icone di corpi quanto
mai innaturali e artificiosi, che
vengono posti come canoni di
bellezza.
Ci vengono presentati uomini
artificiali, finti, bambolotti di plastica
e modelle con corpi da Terzo
Mondo. Si scambia il valore esteti-
co con il non-valore della ricchezza,
proprio perch chi pi ricco pi
pu consumare.
L'aspetto malato di questo sistema
e il suo trovarsi al di fuori di ogni
schema razionale evidente nel
paradosso per cui il modello di
donna ideale scheletrica, anores-
sica, malsana e lo stesso modello
che razionalmente porta ad un'idea
di miseria e povert viene utilizzato
come simbolo della 'ricca e prospe-
ra' quanto perversa civilt occiden-
tale, consumisticamente parlando.
di Antonino De Stefano
C
"S
"#$%&'(
Il bello classico un bello
razionale, ed attraverso la
ragione e la geometria applicate
all'arte che si ha allo stesso tempo
un'icona di come l'uomo dovrebbe
essere.
TeIevisione
Modernit
www.lintellettualedissidente.it
Dicembre 2013
!"
#$%&'()
Liberi s! Ma di consumare
La rassegnazione di Pier PaoIo PasoIini ne Le ceneri di Gramsci
La societ "Iiquida" caratterizzata da esistenze frenetiche, effimere, incerte, spersonaIizzate
ibert. Non esiste concetto
pi potente nel nostro
vocabolario. Quando si
pronuncia questa parola
non pi possibile discutere.
Si vince. Perch la Libert viene
chiamata in causa come una legge
universale, un testamento; si nasce
liberi e bisogna morire liberi.
Ed eccolo il Capitale, il Sistema, la
sovrastruttura come la chiamereb-
be Marx che approfitta della poten-
za di questo romanticissimo
concetto e lo strumentalizza.
L'individuo post-moderno alla
perenne ricerca di un'identit
essendo divenuto "fluido il conte-
sto che lo circonda: la societ
liquida che il sociologo Bauman
teorizza una societ che si model-
la artificialmente, che non ha pi
una struttura interna, che si adatta
a nuove mode e tendenze.
La libert dell'uomo sta nel poter
smettere ci che per diventare
qualcun' altro; ma per raggiungere
questo obiettivo ha necessariamen-
te bisogno di oggetti che lo aiutino.
L'ansia di "restare indietro di cui
l'uomo moderno soffre ha permes-
so al Capitale di inventare piccoli
rimedi fai-da-te in grado di soddi-
sfare da una parte la sete di novit
e dall'altra la paura di rimanere
"fedeli ad una moda, un accesso-
rio, una tendenza.
Gadget, diete, smartphone vanno a
riempire quell'ansia di soddisfazio-
ne e gratificazione dell'uomo
nuovo, quello che vive nel presen-
te, in cui conta la velocit e la
bravura nel fare e disfare, farsi e
disfarsi, consumare e gettare via.
rapporti inter-personali vanno man
mano indebolendosi a causa di un
senso di competizione che
aleggia sugli individui. La
ricerca di un'unicit spinge
l'uomo a trovare modi e
strategie per essere migliore
e la societ puntualmente
torna ad aiutarlo: consuma-
re.
Ma la corsa all'individualizza-
zione non aperta a tutti; la
"maratona organizzata dal
mercato dei consumi e
alimentata dal terrore dell'in-
dividuo di essere raggiunto
una gara elitaria: per essere
qualcuno nella societ dei
nessuno bisogna avere
soldi, molti soldi. E allora due
sono le categorie di uomini
che la societ dei consumi
produce: buoni consumatori
efficienti e spettatori esclusi
dalla corsa all'individualizza-
zione.
La nuova economia si presenta
come un Dio buono e misericordio-
so che si offre di soddisfare i nostri
desideri; ma il vero motore di
questa economia la mancata
soddisfazione di tali desideri.
Come? Ogni oggetto di consumo
offerto porta in s una carica di
insoddisfazione che il consumatore
riconosce e che fa gi pensare a
qualcos'altro da
desiderare. Due
sono le strategie
per creare
questa insoddi-
sfazione: svalu-
tare prodotti
appena essi
vengono lanciati
e creare nuove
necessit.
L'economia consumista si basa
sull'inganno e sull'ipocrisia:il
prodotto acquistato deve avere vita
breve, non essere all'altezza delle
aspettative, creare nuove speran-
ze. E qui entra in gioco la libert e la
subdola maniera in cui viene
utilizzato questo concetto.
Dal momento che la libert ci
caratterizza come uomini, dal
momento che fa parte di quelle
categorie primordiali che ci appar-
tengono, in una societ in cui il
consumo ci caratterizza come
cittadini dobbiamo essere liberi di
consumare liberamente.
Ma come bisogna essere liberi o
cosa bisogna fare per essere liberi
ci viene quotidianamente imposto;
la pubblicit con i suoi messaggi, i
suoi slogan e le sue immagini
realizza i nostri sogni.
Pensiamo alle ultime pubblicit
della Levis o degli smartphone in
cui il raggiungimento della libert e
della felicit,come della celebrit,
sta nel possedere quel prodotto.
Gli articoli pubblicizzati sembrano
poter realizzarci come singoli
individui: le pubblicit dei profumi
nelle quali il protagonista vive delle
esperienze che sono al di fuori della
vita quotidiana stimolano l'istinto
dell'uomo pigro che si sfoga non
nello spingersi a compiere tali
esperienze ma nell'acquistare il
prodotto nella speranza di rivoluzio-
nare la propria vita.
Ed ecco scoperto il paradosso:
liberi di acquistare un prodotto che
ci illude di renderci unici essendo
comunque acquistabile da tutti.
di Andrea Chinappi
Io stesso PasoIini ad indicarci Ia sua chiave di Iettura: I'ideoIogia e Ia passione
di Luca Barbirati
opera "Le ceneri di
Gramsci" stata pubblicata
per la prima volta nel 1957
e raccoglie undici poemetti,
tutti gi editi in rivista nella prima
met degli anni '50.
Ad una prima lettura emerge netto il
carattere "civile dei versi pasolinia-
ni, dati alle stampe in un momento
particolare della storia del partito
comunista, sostenitore dell'invasio-
ne dell'Ungheria da parte dell'Urss!;
tuttavia non si possono disconosce-
re le precedenti poesie friulane
dove Pasolini - pressapoco venten-
ne - manifesta gi il suo attacca-
mento estetico e religioso per
l'ambiente popolare sin dalla prima
pagina: Fontana d'acqua del mio
paese./ Non c' acqua pi fresca
che nel mio paese./ Fontana di
rustico amore.
Questo testo fondamentale per
avvicinarsi alla poesia del secondo
Novecento e, per comprenderlo
fino in fondo, necessaria la lettura
con una doppia lente, che lo
stesso Pasolini ad indicarci, pur
implicitamente: l'ideologia e la
passione. Nella prima parte del
poemetto omonimo al libro, l'Autore
si rivolge al giovane Antonio
Gramsci (1891-1937), ormai
seppellito nel Cimitero degli nglesi
a Roma, con l'espressione "Tu
giovane tesa ad indicare la sua
purezza di vita e di pensiero, in
contrasto con quanti lo ricordano da
morto solo laicamente e con ipocri-
ta formalit.
Pasolini si sente morire nella morte
di Gramsci in quanto vede il
tradimento dei superstiti, il mancato
passaggio del testimone, l'indiffe-
renza e la perdita dell'originaria
passione.
La scissione che Pasolini vede
manifestarsi nella cultura italiana
ed in particolare in quella comuni-
sta, la ritrova dentro di s: borghese
ma amante del proletariato, ben
vestito ma abitante di strade sudicie
e polverose (con te nel cuore,/ in
luce, contro te nelle buie viscere).
Pasolini si sente vicino al popolo
indigente non per "coscienza o per
"lotta bens per la sua "allegria e la
sua "natura.
Quello di Pasolini un astratto
amore. L'immedesimazione col
ceto rurale, con cui condivide la
speranza e la sofferenza quotidia-
na, solamente intellettuale e lo
stesso pensiero che porta Pasolini
ad una condizione francescana
d'elogio della sobriet, lo schiaccia
immancabilmente nella sua
contraddizione: Ma nella desolante/
mia condizione di diseredato,/ io
possiedo: ed il pi esaltante/ dei
possessi borghesi, lo stato/ pi
assoluto. Ma come io possiedo la
storia,/ essa mi possiede; ne sono
illuminato:/ ma a che serve la luce?.
Nella parte conclusiva Pasolini si
congeda (Me ne vado, ti lascio nella
sera).
La frattura esistenziale irriducibi-
le, lo stato di angoscia lo attanaglia
nel comprendere che la vita del
popolo non pi quella vita
pagano-naturalistica del tempo
preindustriale; ora sembra pi una
sopravvivenza dell'operare
quotidiano.
Ma se il popolo, ansioso di benes-
sere, vive questo abbruttimento con
acquiescenza ed una sorta di
innocente compiacenza, accettan-
do miserabilmente il destino
occidentale, Pasolini no! Scisso al
suo interno, estraniato dalla socie-
t, si rende spettatore del pi
grande suicidio collettivo: la perdita
della dignit umana: Ma io, con il
cuore cosciente/ di chi soltanto
nella storia ha vita,/ potr mai pi
con pura passione operare,/ se so
che la nostra storia finita?.
L'
L
Che bestia bisogna adorare? Che
immagine sacra aggredire? Quali i
cuori che spezzer? E che
menzogna devo sostenere? Dentro
che sangue marciare?
Arthur Rimbaud, Une saison en enfer
SocioIogia
Letteratura
di Martina Turano
Saturnia Regna Virgiliani, l'
El Dorado di Voltaire, la
Bengodi Boccacciana,
sono figli di diverse epoche, che
pure fanno riferimento al mito dell'
aurea aetas, la cui prima rappre-
sentazione letteraria contenuta
ne Le Opere e i Giorni di Esiodo.
Non turbata da necessit, guerre,
pericoli della navigazione, una
stirpe di uomini mortali vive sotto il
regno di Saturno in armonia con
Dei e Natura. L'et aurea seguita
da quattro et che si avvicendano
ciclicamente, determinando il corso
della storia. Nell'et dell'argento,
del bronzo, degli eroi, gli uomini
sopraffatti da odio e guerre, sono
sterminati da Zeus; nell'et del
ferro, l'ultima, l'uomo causa della
sua stessa rovina. E' questa una
concezione della storia che risale ai
popoli pagani antichi e che prevede
la progressiva degenerazione di
ideali condizioni iniziali: l'et
dell'oro corrisponde al comune e
felice passato mitico e primitivo,
nostalgicamente rievocato; ma
corrisponde anche al futuro, al
ritorno della condizione aurea alla
conclusione di ogni ciclo, vaticinato
in un clima di attesa quasi messia-
nica, da Virgilio, nella V ecloga
delle Bucoliche: "E' giunta l'ultima
epoca dell'oracolo di Cuma, nasce
di nuovo il grande ordine dei secoli
(.) ritornano i regni
di Saturno, gi una
nuova stirpe scende
dall'alto del cielo". n
et pi tarda, la
singola et aurea ha
costituito modello
filosofico e letterario
per filosofi come
Bacone, Campanel-
la, Moro; i rispettivi
autori de La Nuova
Atlantide, La citt del sole, L'Utopia,
sviluppano l'idea di una organizza-
zione sociale e statale ideale.
L'unione tra mito e utopia non
certo invenzione moderna: gi
Platone aveva teorizzato ne La
Repubblica, le caratteristiche della
societ ideale, sulla base del mito
dell'et aurea. l tempo definito
invece nel Timeo come "immagine
mobile dell'eternit" determinata
per dal perpetuo succedersi non
pi di cinque, ma di tre et. l
passaggio dalla concezione arcaica
di tempo ciclico, a quella moderna
di tempo lineare, determinata
dall'influsso di Cristianesimo ed
Ebraismo: non gi determinata da
corsi e ricorsi storici, la storia
dell'uomo, a partire dalla creazione,
orientata in direzione
dell'Apocalisse, preannunciata nel
Nuovo Testamento. Non mancano
influenze in senso contrario: l'et
dell'oro pagana di certo ha influito
molto nella rappresentazione del
giardino dell'Eden, luogo della
creazione degli esseri viventi,
collocata nel libro della Genesi.
Le concezioni opposte di linearit e
ciclicit del tempo e dunque della
storia, sono oggetto, nel XV
secolo, di uno straordinario tentati-
vo di pacificazione: il filosofo Gian
Battista Vico, ne La
Nuova Scienza,
riprende la teoria
arcaica e pagana della
ciclicit del tempo
interpretando la storia
come successione di
corsi e ricorsi che
caratterizzano il
succedersi delle tre
et - pur riconnettendo
l'origine di tale teoria
non a Platone quanto
agli Egiziani. Egli
introduce per un
correttivo a questa
sorta di anaciclosi
pagana: la Provviden-
za. Rifiutando l'azione
di caso e fato, l'ordine
provvidenziale che
corrisponde a disegni
divini, indirizza la
coscienza umana,
senza per determinarne necessa-
riamente l'azione: sono garantiti
ordine e libert. n virt di
quest'ultima, molti popoli si sottrag-
gono alla legge temporale del
divenire, conservando la barbarie
originaria; rappresentano cos isole
primitive circondate da tutte quelle
nazioni che presto o tardi, torneran-
no sui passi della propria evoluzio-
ne, per poi nuovamente progredire.
Vico dunque rivoluzionario non
solo in quanto si affranca dalle
direttrici del pensiero cristiano, ma
anche per la sostanziale revisione
del pessimismo del pensiero
pagano ed in particolar modo,
greco: per Vico ogni ciclo non si
conclude con lo scadimento di
perfette condizioni iniziali, quanto
con il progresso e il superamento
della barbarie iniziale.
Definito "genio isolato rispetto al
suo tempo, considerato precursore
del Positivismo, a ragione possi-
bile affermare che rispetto alla
definizione Gramsciana "pessimi-
smo della ragione e ottimismo della
volont", Vico possedeva anche
l'ottimismo della ragione.
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Dicembre 2013
!"
Tempo e divenire: I'et deII'oro da Esiodo a Gian Battista Vico
Beccaria e Ia feIicit perduta
Tutta Ia storia deI pensiero OccidentaIe ha fatto riferimento a questi due termini per interpretare I'evoIuzione deIIa societ
AttuaIizzare un pensiero per recuperare un fine, queIIo deIIa feIicit comune, appannato, neIIa societ deII'individuaIismo
In et pi tarda, la singola et aurea
ha costituito modello filosofico e
letterario per filosofi come Bacone,
Campanella, Moro; i rispettivi autori
de La Nuova Atlantide, La citt del
sole, L'Utopia.
ono passati secoli dal 1764.
Eppure i mali che apparte-
nevano ad un'epoca
remota si sono riversati o
non sono mai stati estirpati, perfino
in un societ che si definisce
moderna. La pena di morte non
scomparsa, i metodi di tortura sono
all'ordine del giorno , il sistema
giuridico estremamente comples-
so e lacunoso, i giudizi sono eterni
e l'infelicit regna sovrana .
Questo lo scenario della societ
da cui Cesaria Beccaria part per la
realizzazione dell'opera Dei Delitti
e delle Pene ed indubbia-
mente tale manoscritto
appare come uno specchio
nel quale si riflette la societ
odierna.
Perci, sebbene l'attualiz-
zazione di un'opera, nel pi
dei casi, sia un'operazione
estremamente artificiosa e
talvolta innaturale, stavolta
un gesto doveroso.
Troppo spesso, per pigrizia
intellettuale e per superficia-
lit, l'opera del Beccaria
stata ridotta unicamente ad
un classico del garantismo
penale. L'attenzione stata
focalizzata sulla condanna
alla pena di morte e all'uso
di torture, senza considera-
re che essa un'opera di battaglia
politica, attraverso la quale si
svolge un'analisi ed una critica pi
ampia della societ, nella sua
concreta ed attuale organizzazio-
ne. n tale situazione caotica e
disastrosa, come sostiene il Becca-
ria, ci si appella al diritto, come
fosse un pharmakon infallibile. l
diritto deve condurci verso la felicit
comune, intesa come la realizza-
zione degli interessi assoluti e
generali dell'uomo e tale felicit
strettamente correlata all'egua-
glianza tra i cittadini.
Ma insito alla societ stessa vi un
paradosso evidente: si professa
un'uguaglianza formale erga
omnes in una societ non ugualita-
ria. E ci non fa altro che evidenzia-
re ancor di pi le disuguaglianze, in
quanto la legge, "eguale per non
eguali, utilizzata da pochi privile-
giati e si abbatte duramente sui
poveri che commettono i delitti "
della miseria e della disperazione.
Dunque l'uomo, fin dal principio ha
rinunziato ad una piccola parte
della propria libert originaria, per
rimetterla al sovrano, non di certo
come dono gratuito, ma in cambio
della "massima felicit divisa nel
maggior numero possibile.
Ma Beccaria intravede nella societ
del suo tempo solo una massa di
bestiame, cavalli, fagiani, cani,
ossia di uomini ridotti allo stato di
animali e per egli non c' libert "
ogni qual volta le leggi permettano
che in alcuni eventi l'uomo cessi di
essere persona e diventi cosa.
La legge affinch svolga il compito
per cui stata emanata, deve
essere estremamente chiara,
semplice ed accessibile a tutti
poich "quanto maggiore sar il
numero di quelli che intenderanno
e avranno fra le mani il sacro
codice delle leggi, tanto meno
frequenti saranno i delitti.
La pena, che necessariamente
deve essere proporzionale al
delitto, dunque legittimata dalla
priorit di difendere il benessere
pubblico ed essa ritrova il suo fine
ultimo nella impossibilit che il reo
possa commettere nuovi reati.
Tutte le leggi che si discostano da
ci non sono giustizia, ma tirannia.
Ma ieri, come oggi, solo l'interesse
personale, l'avidit e l'inerzia del
popolo sembrano governare la
societ, poich quest'ultima non
rivolgendo lo sguardo verso un
benessere generale, da ripartire
per ogni classe sociale, ha dimenti-
cato di essere universale.
n una societ costruita su pensieri,
passioni, necessit differenti come
poter individuare una linea
comune? La risposta del Beccaria
insita sempre nella legge, la
quale necessario che comandi e
giudichi questo caos. Sulla scia di
tale pensiero la coercizione la via
per la realizzazione della libert.
Ed essa non deve essere esercita-
ta dalla moltitudine, che ignorante
ed in preda allo spavento per la
crisi, condurrebbe inevitabilmente
all'errore, poich "la strada del
cuore comunemente aperta, ma
la strada del raziocinio non gi.
Dunque, nell'abisso ombroso, in cui
si muoveva la societ della secon-
da met del Settecento e in cui si
ritrova tutt'ora la societ odierna, la
legge deve imporsi sovrana ed
autoritaria per ristabilire l'ordine e
per impedire che le piccole nobilt
continuino a soddisfare esclusiva-
mente i propri piaceri.
n tale contesto critico Beccaria
sostiene che necessario il despo-
tismo di uno, sostenuto e guidato
dai filosofi per far s che "i lumi
accompagnino verso la libert.
Despotismo visto in un'accezione
positiva, illuminata inteso come "le
opere d'un uomo che agisca da s
e che posso essere un tutt'insie-
me, poich cos come affermava
Machiavelli "Gli assai uomini sono
pi atti a conservare un ordine
buono che a saperlo per loro mede-
simi ritrovare.
n quest'analisi, condivisibile o
meno, il messaggio di Beccaria
risuona salvifico anche per i nostri
tempi: svegliamoci da questa
anestesia della mente e del corpo,
decidiamo ed agiamo, guidati dalla
ragione e dalla speranza per una
giustizia rigorosa, laica e non
arbitraria, per vivere da cittadini
coscienti e concretamente uguali
dinanzi alla legge e per godere di
quella felicit comune, che nel
panorama moderno appare ad i
nostri occhi, solo come un'irrealiz-
zabile utopia.
di CarIotta Maria Correra
S

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Topos
Modernit
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!"
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II Grande Gioco
II carteggio perduto tra ChurchiII e MussoIini
Le tensioni tra I'InghiIterra e Ia Russia neIIa corsa aII'oro suI territorio asiatico
na mattina di giugno del
1842, due prigionieri
avanzano verso il patibolo
della piazza centrale di
Bukara, un piccolo emirato scono-
sciuto d'Asia Centrale perso nelle
steppe senza tempo. Per gli abitanti
di questa citt dalle imponenti mura
di fango, vedere due condannati a
morte non inusuale: l'emiro
regnante noto per la sua feroce
brutalit. C' per qualcosa di
curioso in quei due personaggi: non
sono i soliti briganti o i soliti adulteri,
bens due europei d'origine britan-
nica.
Sono il colonnello Charles Stoddart
e il capitano Arthur Conolly, ufficiali
dell'esercito britannico condannati
all'impiccagione per spionaggio.
Sotto un sole cuocente di mezzo-
giorno, i due affrontano la morte in
un luogo distante sei mila cinque-
cento kilometri da casa loro, colpe-
voli d'aver voluto giocare un gioco
pericoloso: il "Grande Gioco come
lo chiamarono coloro che rischiaro-
no la vita prendendovi parte. ronia
della sorte, fu proprio il capitano
Conolly a lanciare l'espressione,
anche se poi fu lo scrittore Rudyard
Kipling a renderla popolare con il
suo libro "Kim. Stoddart e Conolly
non furono n i primi negli ultimi
attori dell'incredibile intreccio di
avventurieri, diplomatici, tagliagole
e guerrieri che attraversarono tutta
l'Asia Centrale per istituire il loro
controllo sulla regione.
contendenti di questa regione
erano due grandi potenze, la Gran
Bretagna e la Russia. Da una parte,
la Russia degli zar era ansiosa di
annettere alla corona imperiale un
gioiello scintillante: l'ndia e i suoi
tesori. Per arrivare per all'ndia, gli
zar dovevano esplorare, conquista-
re e fare strada in un territorio
ostile, popolato da trib nomadi e
mitici khanati musulmani esplorati
tempi orsono anche da Marco Polo.
Dall'altra parte, i britannici avevano
paura di una possibile discesa
russa in territorio
indiano: la Compagnia
delle ndie Orientali era
abituata a guerreggiare
con piccoli eserciti
primitivi, non con truppe
europee addestrate e
moderne; per questo
motivo gli inglesi dovevano sbarra-
re la strada ai russi in qualsiasi
modo. Seppur ci fosse una rivalit
tra queste due potenze per il
controllo della regione, non vi fu
mai uno scontro diretto tra armate
russe e britanniche n una dichiara-
zione di guerra. nfatti, molti storici
considerano il Grande Gioco come
l'antenato diretto (anche se pi
ristretto) della Guerra Fredda: la
guerra combattuta con tutti i
mezzi a disposizione tranne che
con gli eserciti.
L'ossessione russa per le ndie
Britanniche cominci con la zarina
Caterina e suo figlio Paolo.
britannici all'epoca non se ne
preoccuparono pi di tanto: la
distanza che separava l'mpero
russo dall'ndia britannica era
immensa. Le cose per cambiaro-
no con l'avvento di Napoleone
Bonaparte.
Quando i francesi a partire dal 1801
cominciarono a inviare missioni
diplomatiche fino alla corte degli
Shah di Persia, divenne chiaro per i
britannici che l'ndia era in pericolo.
Quando Napoleone riusc, dopo
aver sottomesso Austria e Polonia,
a battere i russi nella battaglia di
Friedland, le cose si fecero perico-
lose per l'ndia britannica. Napoleo-
ne si alle con lo zar russo dopo
averlo sottomesso, e gli promise
"l'altra met del mondo, di cui
faceva parte l'ndia britannica.
Napoleone come sappiamo bene
non ebbe il successo sperato, ma
persino dopo Waterloo, tutti gli zar
russi non riuscirono a levarsi di
mente l'idea della conquista delle
ndie Orientali britanniche.
cosi che poco a poco le divisioni
di cosacchi russi, questi leggendari
quanto formidabili guerrieri a caval-
lo, cominciarono a valicare le
montagne e i deserti di questo
immenso e sconosciuto territorio.
Conquistarono i khanati di Khiva, di
Bukara (attuale Turkmenistan), del
Kokand, fino alle porte
dell'Afghanistan.
britannici invece annessero dopo
varie guerre parte dell'Afghanistan.
Questa rivalit per non pu essere
ridotta a meri avanzamenti militari:
tutt'intorno, girava un immenso
sistema di spionag-
gio, di ricerca
geografica, di ricerca
scientifica, di
diplomazia e quindi
di avventura. Missio-
ni diplomatiche
enormi e ricche di
regali preziosi, come
quella di Sir Malcolm
verso gli Shah di
Persia che sembra-
va "pi grande di un
reggimento e pi
ricca di una corte
principesca; esplo-
ratori temerari come
Pottinger che,
travestiti da monaci buddisti svolse-
ro il compito di cartografare la
regione ancora sconosciuta; spie
intraprendenti come il giovanissimo
Carl Gustaf Emil Mannerheim
(futuro presidente finlandese
nonch eroe nazionale
dell'indipendenza), che indossando
ancora la divisa da ufficiale russo,
riusc a visitare "Lhasa la proibita,
capitale del Tibet, e incontrare il
Dalai Lama per conto dello zar.
Tutto questo fece parte della
politica di controllo della regione,
che fin con la rivoluzione russa del
1917. Un generale russo dell'epoca
qualific questa "guerra indiretta
come "un torneo di ombre.
Ecco cosa fu il Grande Gioco, una
guerra di ombre combattuta
nell'oscurit. Una storia apparente-
mente senza fine che ancora oggi
trascina nei suoi aspetti pi crudi
guerrieri, giornalisti e avventurieri di
ogni sorta. Le "zone grigie, le
odierne no man's land afghane
dominate dalla paura, dall'oblio,
dall'oppio e dalla guerra, hanno
rimpiazzato le "zone bianche
dell'epoca, i "buchi negli atlanti
della Royal Geographical Society
inglese.
di Roberto Caponera
Un rapporto epistoIare che testimonierebbe di nuove dinamiche dipIomatiche durante Ia seconda guerra mondiaIe
he il Primo Ministro ngle-
se Sir Wiston Churchill
nutrisse una certa ammi-
razione per Benito Musso-
lini cosa certa. nfatti in una
occasione dopo un incontro ebbe
modo di dire: "Non potrei non
rimanere affascinato, come tante
altre persone, dal cortese e sempli-
ce portamento.
Se fossi stato
italiano, sono sicuro
che sarei stato intera-
mente con lui dal
principio alla fine
della sua vittoriosa
battaglia contro i
bestiali appetiti e le
passioni del lenini-
smo. "Cos come cosa certa
l'esistenza di una fitta corrispon-
denza tra i due statisti alla vigilia e
all'inizio del secondo conflitto
mondiale. Si sa per esempio che
Mussolini ne fece dattiloscrivere tre
copie, e che gli originali erano
sempre con lui, nella famosa
valigetta scomparsa, che lo accom-
pagn fino alla fine dei suoi giorni.
A quelle carte il Duce attribuiva
somma importanza, e su cui
confidava per poter giungere, in
pieno 1945, ad una pace onorevo-
le. Altra cosa certa che terminata
la guerra, il carteggio scomparve
nel nulla. Distrutto forse, o finito
nelle mani dell'intelligence di Sua
Maest che impieg nella sua
ricerca non pochi sforzi. A tal propo-
sito vale la pena riportare quanto
sosteneva lo Storico Renzo de
Felice: La documentazione in mio
possesso porta tutta ad una conclu-
sione: Benito Mussolini fu ucciso da
un gruppo di partigiani milanesi su
sollecitazione dei servizi segreti
inglesi. C'era un interesse a far s
che il capo del fascismo non
arrivasse mai ad un processo. Ci fu
il suggerimento inglese: "fatelo
fuori!", mentre le clausole dell'armi-
stizio stabilivano la consegna. Per
gli inglesi era molto meglio se
Mussolini fosse morto. In gioco
c'era l'interesse nazionale legato
alle esplosive compromissioni
contenute nel carteggio che il
premier britannico Churchill avreb-
be scambiato con Mussolini prima e
durante la guerra.
Ma cosa poteva contenere di tanto
importante, questo carteggio?
La tesi pi accreditata quella che
sostiene che il suo contenuto non
fosse altro che l'esplicita richiesta
fatta dal Primo Ministro nglese a
far entrare in guerra l'talia. Questa
tesi ammette la possibilit che
Churchill possa avere, all'ultimo
momento, considerata l'imminente
capitolazione dell'nghilterra, invita-
to l'talia a scendere in guerra, sia
pure come nemica, per poter
usufruire di un suo ruolo da mode-
ratore, nei confronti dei tedeschi, al
tavolo di una pace che si
pensava imminente. Ma fu
veramente questo il vero
obiettivo di Sir Wiston?
Non bisogna essere arguti
strateghi per capire che siamo
lontani dalla verit. L'occulta e
spregiudicata strategia di
Churchill era semplicemente
finalizzata ad allargare e
complicare il conflitto visto che
era da considerarsi logica ed
imminente l'entrata in guerra
dell'talia a fianco del suo
alleato tedesco...
Era quindi questa, per il britan-
nico, una strategia logica, e
neppure troppo complicata
visto che era evidente la sua
impellente necessit sia di
allargare il conflitto e sia di
renderlo irreversibile, proprio
per evitare che, all'interno della
nazione e sotto l'onda delle sconfit-
te subite in quel periodo, prendes-
sero corpo e forma quelle forze che
potevano operare verso una pace o
comunque una soluzione di
compromesso con la Germania.
Nessuna tregua era pensabile e
voluta e nessuna moderazione
italiana veramente richiesta.
Donna Rachele, scrisse nel 1979,
la seguente testimonianza: So,
perch me lo disse pi volte, che il
Duce tenne una corrispondenza
segreta con Churchill prima e
durante la guerra. Ricordo anche
che un giorno, verso il 1943, mi
assicur che avrebbe atteso a pi
fermo l'arrivo degli Alleati qualora
fossero stati vincitori. Mi disse: 'Ho
abbastanza documenti per provare
che hanno spinto l'Italia ad entrare
in guerra. Anche quando comin-
ciata ho cercato di salvare la pace.
Ho le prove: nero su bianco'.
di Francesco Chiarizia de MoIise
C
U
"Caro Benito, ti scrivo"."Caro
Wiston, rispondo con piacere alla
tua ultima dello scorso mese con il
quale mi chiedi di intervenire."
"Ora noi andremo sempre pi a
Nord, per giocare al Grande
Gioco"
Rudyard Kipling, Kim, 1901
L'ossessione russa per le Indie
Britanniche cominci con la zarina
Caterina e suo figlio Paolo.
I britannici all'epoca non se ne
preoccuparono pi di tanto: la
distanza che separava l'Impero
russo dall'India britannica era
immensa. Le cose per
cambiarono con l'avvento di
Napoleone Bonaparte.
Ottocento
Novecento
di Francesco PietreIIa
ggi il calcio fa inevitabil-
mente parte della nostra
esistenza. Che ci piaccia
o no, ne siamo circondati.
Televisioni, giornali, internet. E' un
fenomeno mediatico senza prece-
denti. Ma il problema un altro:
dove nasce questo sport? Chi l'ha
inventato? Chi ha ideato le regole
che vengono utilizzate ancora
oggi? Scopriamolo. Siamo a
Sheffield, agglomerato urbano
situato nel cuore del South Yorkshi-
re, una contea dell'nghilterra. E'
una citt industriale, salita alla
ribalta nella seconda met
dell'Ottocento grazie alla produzio-
ne dell'acciaio e al ruolo egemone
svolto durante la Rivoluzione
industriale. Oltre ad essere la citt
natale dell'estremo difensore
Gordon Banks e degli Human
League anche la sede di quattro
squadre inglesi: lo Sheffield United,
lo Sheffield Wednesday, l'Hallam
FC ed infine lo Sheffield FC, il club
pi antico del mondo. The World's
first Football Club. E' il 24 Ottobre
1857. l Regno d'talia ancora non
esiste, Napoleone ormai un
lontano ricordo e, mentre i neonati
Stati Uniti d'America si apprestano
a costruire il proprio Stato sulle ali
del motto 'e pluribus unum', due
giocatori di cricket, William Prest e
Nathaniel Creswick, fondano lo
Sheffield Football Club. E' l'inizio di
una storia che dura ancora oggi
nonostante siano passati 156
primavere. Nello stesso anno fu
creato lo 'Sheffield Rules', un libro
dove vennero istituite le prime
regole del gioco del calcio: calci
d'angolo, rimesse laterali, rimesse
dal fondo, la durata dei tempi di
gioco, l'offside, l'introduzione della
traversa, i tempi supplementari,
l'obbligo di non usare le mani e
ovviamente l'inserimento in campo
di una figura che garantisse l'ordine
e la correttezza reciproca: l'arbitro.
nizialmente, poich non c'erano
altre squadre con cui confrontarsi,
le partite venivano giocate tra i
giocatori della stessa squadra
finch nel 1860, sempre nella
cittadina di Sheffield, venne fondata
un'altra societ, l'Hallam FC, contro
la quale i 'Maroons' disputarono la
prima partita della storia del calcio,
al Sandygate Road (lo stadio pi
antico del mondo e di propriet
dell'Hallam). Tre anni dopo nacque
la moderna Football Association, la
prima federazione calcistica inglese
ed europea. Verso la fine
del l ' Ot t ocent o
vennero fondate
altre compagini
come l'Aston
Villa e il Notts
County e i
granata dello
Sheffield, non
potendo compe-
tere sia econo-
micamente che
t ecni cament e
con le suddette
societ suggeri-
rono alla Football Association di
creare un torneo per sole squadre
dilettanti e fu cosi che nel 1893
venne inaugurata la FA Amateur
Cup. Ad oggi, esso risulta l'unico
trofeo vinto dalla societ, conqui-
stato nel 1904 grazie ad una vittoria
sull'Ealing. Nel 2004 il club stato
insignito del FFA Order of Merit, il
pi alto riconoscimento assegnato
dalla FFA. Soltanto il pi blasonato
Real Madrid pu vantare
un'onorificenza simile. Nel 2011 la
societ ha rischiato addirittura il
fallimento tant' che il presidente
Richard Tims ha dovuto mettere
all'asta uno dei suoi beni pi prezio-
si, lo 'Sheffield Rules' di cui
parlavamo prima, per 880.000
sterline. Soldi, ingenti capitali,
sponsorizzazioni. Niente di tutto ci
fa parte dell'anacronistica filosofia
dello Sheffield FC.
l calcio moderno non ha ancora
intaccato il prato verde del Coach
and Horses Ground, il quale dal
1857 porta avanti valori importanti
come la passione, la dedizione, il
fine ultimo del gioco del calcio
come puro divertimento. Oggi il
club milita nella Northern Premier
League Division One South,
l'ottava divisione del calcio inglese.
Possiamo imparare molto dalla
storia di questa societ, nata prima
di tutte le altre ma rimasta
nell'ombra non tanto per incapacit
finanziarie quanto per seguire i
dogmi della filosofia calcistica da
loro stessi fondata e portata avanti.
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Dicembre 2013
15
I pionieri deI caIcio: Ia storia senza tempo deIIo SheffieId FC
Qatar 2022: i costi umani deIIo sviIuppismo capitaIistico
Una squadra che non scende a compromessi con iI caIcio moderno, che si mantiene intatta di fronte aIIe ingerenze deI dio denaro
L'Emirato sta progettando infrastrutture faraoniche quanto superfIue per Ia competizione sportiva
Il Regno d'Italia ancora non esiste,
Napoleone ormai un lontano ricordo
e, mentre i neonati Stati Uniti d'America
si apprestano a costruire il proprio Stato
sulle ali del motto 'e pluribus unum', due
giocatori di cricket, William Prest e
Nathaniel Creswick, fondano lo
Sheffield Football Club.
di Sebastiano Caputo
n emirato fondato nel
1971 da un gruppo di
beduini, trasformatosi in
una monarchia assoluta
retta da una famiglia gli al Thani
che regna per diritto divino, meno di
due milioni di anime, una religione
di Stato, l'slam di natura wahabita
(fondamentalismo coranico),
un'emittente televisiva, Al Jazeera.
l Qatar un Paese artificiale,
senza una storia e un'identit, che
nonostante la sua microscopica
superficie riuscito negli ultimi anni
a ritagliarsi un ruolo da protagoni-
sta sul piano diplomatico ed econo-
mico tanto da conquistare una
medaglia dall'establishment
occidentale: l'organizzazione dei
mondiali di calcio del 2022.
Cane da guardia degli Stati Uniti, il
Paese del Golfo riflette perfetta-
mente le conseguenze nefaste
dello "sviluppismo capitalistico in
una penisola, quella arabica, che
per usi e costumi diametralmente
opposta all'Occidente nella sua
accezione negativa e moderna.
sole artefatte, grattacieli e centri
commerciali che si ergono accanto
alle Moschee, i templi hanno
rimpiazzato il Tempio, donne intera-
mente velate che passeggiano,
silenziose, in un contesto che
tutto fuorch arabeg-
giante, dominato
dagli sceicchi,
uomini-ritratto di un
Paese lussurioso,
materialista e
vizioso. E ancora
ristoranti multi-etnici,
il Souq Waqif, il
vecchio mercato che
di vecchio in realt
non ha nulla perch
ristrutturato, ricolorato, arredato,
come se fosse un set cinematogra-
fico. Ed infine una classe compra-
dora e apolide in contrasto con un
esercito di lavoratori-schiavi prove-
nienti da Oriente, giovani migranti
venuti in massa per sostenere gli
ecomostri architettonici che il
governo di Doha sta progettando,
tra questi, i tanti impianti per la
competizione sportiva pi impor-
tante del mondo.
l Qatar, Paese
pi ricco al
mondo per
reddito pro
capite, spender
a questo scopo
l'equivalente di
62 miliardi di
sterline (circa 73
miliardi di euro).
Denaro fittizio
creato dal nulla o
dalle sole
c o n c e s s i o n i
petrolifere da
immettere in un
progetto faraoni-
co, spettacolare
quanto effimero,
perch diventer
superfluo il
giorno dopo la
fine dei mondiali.
Poco importa.
A Doha e dintorni
si respira gi un
clima d'isterismo
di massa.
Attualmente i lavoratori impiegati
per l'organizzazione sono 1 milione
e 200mila, provenienti in gran parte
dal Nepal, dall'ndia e dallo Sri
Lanka, e si prevede che un altro
milione raggiunger l'Emirato per
completare stadi, hotel e infrastrut-
ture destinate all'evento.
risaputo da anni che in Qatar non
esistono leggi a tutela dei diritti dei
lavoratori, non un caso infatti che
l'emirato avrebbe gi le mani
sporche di sangue. Secondo alcuni
studi del sindacato tuc
(nternational Trade Union Confe-
deration) ripresi in un recente
articolo del giornale inglese The
Guardian, nei cantieri qatarioti
morirebbero 12 lavoratori a
settimana e dall'inizio delle opera-
zioni ne sarebbero gi morti 600 e
stando alle previsioni, se non
s'interviene, alla fine le vittime
saranno 4mila.
U
O
Nei cantieri qatarioti morirebbero 12
lavoratori a settimana e dall'inizio
delle operazioni ne sarebbero gi
morti 600 e stando alle previsioni, se
non s'interviene, alla fine le vittime
saranno 4mila.
Storia
MondiaIi di caIcio
Il canto dello sport
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Dicembre 2013
16
di Dario Lioi
n un periodo nero, in cui la
crisi economica attanaglia
famiglie, popoli e Nazioni,
molti di noi troveranno una
ragion d'essere nella celebre
esortazione evoliana a "tenersi in
piedi in un mondo di rovine.
Un aiuto potrebbe giungerci dal
passato, e nel cento cinquantenario
dalla nascita del Vate Gabriele
D'Annunzio, perch non soffermar-
si sulla Carta del Carnaro e su una
comparazione-competizione con la
nostra Costituzione? Promulgata
l'8 settembre del 1920 a Fiume,
questo modello costituzionale
rappresent un'avanguardia
storica, legislativa, culturale e
sociale all'interno del XX secolo.
Fondata su basi sociali e nazionali,
la Carta del Carnaro rappresent e
rappresenta, forse la prima forma
compiuta di sintesi tra capitale e
lavoro all'interno di un ordinamento
giuridico per mezzo di fonti prima-
rie. stitutrice di una forma di stato
Repubblicana, essa garantiva nella
parte generale, composta dai primi
dieci articoli, la difesa e il persegui-
mento degli obiettivi di libert,
indipendenza, sovranit, prosperi-
t, giustizia e dignit morale. Al pari
di qualsiasi democrazia in senso
lato, garantiva l'uguaglianza dei
cittadini senza distinzione di razza,
religione, lingua o
classe; differenza
fondamentale rispet-
to ai principi del
socialismo pubblicati
nel 1848 da Marx e
alle derive della
seconda parte del
Ventennio Fascista (
anche se il dittatore
per sei mesi era
previsto a Fiume). Di
fondamentale importanza la conce-
zione dello Stato e dell'istruzione
pubblica, per non parlare di quella
della propriet privata espressa
nell'Art 6, nel quale trova risalto la
funzione sociale della stessa in
opposizione al privilegio individuale
o al diritto assoluto di liberale
memoria ma riallacciata alla
stessa, e in particolare a Locke, dal
ruolo concessorio del lavoro, consi-
derato l'unico mezzo atto a garanti-
re titolo legittimo di propriet su
qualsiasi mezzo di produzione e di
scambio. Una sintesi superba delle
due vie, innovativa e rivoluzionaria
al tempo stesso. Rivoluzionaria
anche nella normalit della teoria
economica quando istituisce una
Banca Centrale Nazionale control-
lata dallo Stato alla quale deman-
dato in via esclusiva l'incarico
dell'emissione della carta-moneta.
Stiamo parlando dunque di ci che
oggi manca in talia e in Europa
dopo la sciagurata scelta dei nostri
governi di aderire al progetto della
moneta unica europea e di utilizza-
re fino al limite estremo l'articolo 11
con le limitazioni alla sovranit
nazionale. Scelte che oggi appaio-
no immutabili per il popolo, ma che
allora erano per diritto e per legge
dell'ordinamento cicliche. La
costituzione veniva infatti riformata
ogni dieci anni o su iniziativa degli
organi competenti in qualsiasi
momento secondo le direttive
imposte dalla costituzione stessa.
Una scelta saggia, effettuata
secondo la eraclitea concezione
del divenire. Un divenire storico al
quale la legge deve inevitabilmente
adeguarsi per perseguire il bene
comune ma mantenendo intatta la
stella polare dell'identit di un
popolo come guida nei cambia-
menti. Ritroviamo questo concetto
nel convinto e fiero risalto del ruolo
dei comuni. Dalla lega dei comuni
contro il Barbarossa, alla nascita
del capitalismo come modo di
produzione nelle citt autocefale
dell'talia Medievale, l'identit pi
viva di un popolo veniva riconosciu-
ta e sublimata con un'apposita
parte della costituzione dedicata a
questa forma di governo locale. l
tessuto capillare dei comuni e il loro
virtuosismo comunitario in contrap-
posizione agli attuali mostri
burocratici partoriti negli anni 70: le
Regioni. Che dire poi della conce-
zione democratica e legislativa
nata a Fiume.
La riproposizione dell'antico
strumento corporativo, come
superamento della dicotomia
liberalismo-socialismo. Sar
l'incubatore delle svolte mussolinia-
ne, ma l'intero capitolo dedicato
alle corporazioni assieme a quello
dedicato al potere legislativo
rappresentano un alveo futurista
all'interno del quale proiettare
un'idea rivoluzionaria di Stato.
Si tratta della fusione dei concetti di
democrazia, capitale e lavoro.
La creazione di una doppia camera
con potere legislativo, quella dei
Rappresentanti e il Consiglio
Economico, costituiscono un
moderno superamento della stasi
democratica dell'epoca e un fiero
nemico del bolscevismo sovietico.
A ragion dovuta, oggi pi che mai,
potremmo annoverarla anche tra i
fieri nemici dell'immobilismo
incapacitante italiano e del suo
bicameralismo perfetto con sistemi
a navetta impantanati nei gorghi
non pi epici di Cariddi. Pantano
dovuto alla corruzione e alla voraci-
t che pervadono gli istituti demo-
cratici della nazione, e che nel 1920
sarebbero stati perseguiti
dall'art.12 con la revoca dei diritti
politici per i condannati con regola-
re sentenza a pene infamanti o che
vivono parassitariamente a carico
della collettivit.
II carattere rivoIuzionario deIIa Carta deI Carnaro
II coIore deIIa Costituzione
Fiume Redatta daI Vate GabrieIe d'Annunzio Ia Carta deI Carnaro offre oggi uno spunto interessante per superare Ie derive deI IiberaIismo
RepubbIica La Costituzione arriva sino a noi come una promessa non mantenuta, una speranza Iiquidata, un'ideoIogia poIiticizzata
Istitutrice di una forma di stato
Repubblicana, essa garantiva nella
parte generale, composta dai primi
dieci articoli, la difesa e il
perseguimento degli obiettivi di
libert, indipendenza, sovranit,
prosperit, giustizia e dignit morale
opo sessantacinque anni
non abbiamo ancora
capito qual il senso della
nostra Costituzione.
l risultato di quegli sforzi, di quei
sacrifici e di quei compromessi da
cui nacque il testo costituzionale
italiano e dei quali siamo noi tutti
figli, dov' finito? Dov' finito il
rispetto per quei valori e quei princi-
pii imprescindibili decantati a parole
e vilipesi nei fatti? E la loro attuazio-
ne, dove si persa? Dove si
persa la memoria della genesi della
Costituzione e, in definitiva, delle
nostre origini?
Abbiamo perso tutto nella politica
decadente dei Palazzi, dei compro-
messi storici e delle larghe, anzi
larghissime intese. Abbiamo perso
tutto nella gara al voto in pi, al
seggio in pi, alla poltrona in pi; e
abbiamo perso
tutto nelle chiac-
chiere politiche
al bar e da bar,
nelle tifoserie
ideologiche in
cui degenera-
to l'essere di
destra o di
sinistra.
Abbiamo perso
tutto con l'idea -
piuttosto infanti-
le a dire il vero-
di destra e di
sinistra, e con i
b a n d i e r o n i
sventolati con
orgoglio e
convinzione in
piazza prima di
tornare, a sera,
a sedersi
davanti al televi-
sore. Abbiamo perso molto anche
con quelle critiche, trasversali e
onnipresenti, alle iniziative
politiche: critiche spesso avanzate
senza fondamenta e per il semplice
gusto di poter dire che si stava
meglio quando si stava peggio.
Molto abbiamo perso anche in quel
decennio circa in cui per le idee
infantili di cui sopra ci si sparava e
ci si uccideva, alimentati e fomenta-
ti da chi certe idee le predicava solo
per quel voto in pi, per quel seggio
in pi, per quella poltrona in pi, o
da chi a fine giornata recitava una
preghiera al cospetto del proprio
Dio onnipotente nei Cieli ed era a
posto con se stesso.
Abbiamo perso tutto nella totale,
parziale o tardiva mancanza di
applicazione della Costituzione,
trattata come carne dimenticata
dentro il congelatore.
l lascito dei nostri costituenti si
oggi definitivamente perduto, cos
come si son perduti la fiducia e
l'idealismo nella politica stessa.
Si perduto quel lascito che fu
l'insegnamento al compromesso.
Spesso a riguardo si sottolineata,
con un certo tono dispregiativo, la
natura di compromesso della
nostra Costituzione, come se essa
fosse un limite, senza per ricorda-
re la lezione di Hans Kelsen,
secondo cui la democrazia nella
propria stessa definizione compro-
messo tra forze antagoniste.
Ma ecco, quel che peggio la
deriva che tutto questo perdere e
tutto questo dimenticare hanno
avuto.
La deriva stata una tinta. S, una
tinta.
La Costituzione diven-
tata rossa. Come un
panno messo inopportu-
namente in lavatrice, la
nostra Costituzione
stata consegnata in
bianco vergineo ed
stata resa di rosso
stinto, divenendo una
bandiera delle Sinistre, dei Sociali-
smi, a tratti dei rivoluzionarismi:
questa l'offesa maggiore che Le
si potesse perpetrare. Non perch
essa sia nata come Carta di destra
estrema- anzi, per sua natura
condanna gli estremismi - n
(almeno unicamente) di destra
moderata a dire il vero; la realt
che il testo costituzionale dovrebbe
essere apartiticit per eccellenza,
principio generale ispiratore di un
determinato Stato e delle attitudini
della sua intera popolazione.
Dovrebbe imporsi sulla dialettica
politica ed essere l'anima dello
Stato, Legge fondamentale nelle
cui parole tutti possano rispecchiar-
si, riscontrandovi un intimo senso di
appartenenza ai valori propugnati.
Ecco perch, in definitiva, la tinta
applicata alla Costituzione - sia
essa di qualsivoglia colore
rappresenta un'offesa alla Costitu-
zione stessa: perch essa alimenta
un dibattito politico squallido ed
arrivista, a palese scapito dei valori
e delle esperienze collettive di
Resistenza di cui la tinta stessa si
vorrebbe dimostrare essere
portatrice.
E noi, popolo elettore e Sovrano,
abbiamo una grandissima - ma
spesso dimenticata- arma, un
grandissimo scudo a difesa della
Costituzione, dal cui possesso ci
derivano altrettanto grandi respon-
sabilit. Non dimentichiamoci mai
che il tribunale nel quale noi siamo
giudici la cabina elettorale.
di GabrieIe Cruciata
D

Carte Fondamentali
Dov' finito il rispetto per quei
valori e quei principii
imprescindibili decantati a
parole e vilipesi nei fatti? E la
loro attuazione, dove si persa?

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