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Ottava catechesi Terzo loghismos, che io leggo nel rapporto con le cose, viene chiamata avarizia.

Evagrio: Il mare non si riempie mai, pur ricevendo un gran

numero di fiumi. Allo stesso modo la brama dellavere non mai saziata. Le ricchezze sono duplicate, ed, ecco, desidera ancora che raddoppino, non smette mai di moltiplicarle, finch la morte non lo sottrae a questa interminabile preoccupazione. La terza passione, vedete, quella dellavarizia, designata da Evagrio con il termine filarghyria (filos, amore, arghyria, per il denaro). I padri lhanno riferita per, pi in generale, al

rapporto delluomo con le cose, che possono diventare beni, possesso, ma prima di analizzare pi da vicino questo loghismos mi pare importante osservare un dato che ci deve far riflettere. Se la tradizione ha inteso lavarizia come un vizio privato, riconosciuto che negli ultimi secoli, almeno in Occidente, essa ha assunto il carattere di uno stile socialeeconomico collettivo. Questa la novit! Fino al secolo scorso, cera qualcuno che era ricco, e che dunque era avaro. Adesso, noi siamo in grado di un sentire collettivo. Questa una cosa recente, avvenuta nel XX secolo. Ormai noi, ad esempio, sentiamo che i nostri Stati, i membri del G8, hanno delle ragioni per avere di pi, per possedere di pi. E abbiamo un sentimento: siamo i primi otto paesi per importanza economica, e quindi noi abbiamo un sentire, non pi un vizio privato. Basti pensare, insomma, ve lho gi detto laltra volta che il 20% dellumanit, un quinto dellumanit, noi, consumiamo l80% delle risorse disponibili. Questi sono dati dellONU. Approfondendo quanto abbiamo gi detto della libido possidendi, possiamo notare come questo amore per i beni una brama disordinata che si manifesta come bisogno impellente dellavere, una smania insaziabile di accumulo, insomma, quella bramosia che si pu posare sul cibo, si pu posare sul corpo degli altri, si pu posare anche sulle cose. Il possesso diventa una necessit assoluta, tutto viene predisposto per giungere a questo scopo, senza tenere conto di limiti, a partire dal limite costituito dagli altri. Lavarizia un vizio che si insinua lentamente nel cuore delluomo: si inizia col trattenere per s quello che pu essere condiviso con gli altri, si prosegue con laccumulare, dandoci dei traguardi: Arriver a questo numero di soldi, poi basta, e quando si giunge, si fa il traguardo pi in l, e poi pi in l, e poi, guardate sembra che non si sia mai soddisfatti. La logica che muove i comportamenti quella, mortifera,

del tutto e subito, ma sempre pi devastante e ossessiva. Quella dellavere diviene progressivamente una vera e propria schiavit. Diventa una preoccupazione permanente per salvaguardare ci che si ha e a cui ci si aggrappa, e per aumentare ci che si ha acquisito. Gregorio Magno, il grande Papa, ha descritto molto bene, con finezza psicologica questo vizio, dice: Lavaro aspira innanzitutto ad accumulare le cose desiderate.

Poi, quando ha ammassato tante cose nel ventre dellavarizia, una volta saziato, si tormenta. Quando, infatti, cerca ansiosamente come conservare i beni accumulati, la sua stessa saziet lo angustia. Lanima dellavaro, che prima cercava riposo nellabbondanza, poi travagliata da una pena pi grande, per conservare ci che si ha. Ed proprio cos.

Galimberti ha scritto un bel libro qualche anno fa sui vizi capitali: Vizi capitali e nuovi vizi, Feltrinelli; chiama lavaro un condannato alla vita mortificata, un autocondannato, e, secondo la Bibbia, lavaro un decreatore, uno che porta attentato alla creazione, perch storna i beni della creazione dalle loro destinazioni, dal loro uso, li accumula, li conserva per s, li sottrae agli altri. Basilio, in una splendida omelia, mette anche lui come ironia lassurdit dellavaro: Lo splendore delloro ti procura grande

piacere, ma non senti quanto forte il grido del povero dietro a te. Sei inflessibile e implacabile, vedi ovunque oro, oro, sempre oro, lo vedi, lo sogni quando dormi, lo desideri quando sei sveglio. E pi facile che ti accorga del denaro, che non del sole che splende. Che cosa non faresti per accumulare oro? Ma quale vantaggio ti portano, queste ricchezze che poi tu tieni al chiuso? S, i ricchi sono simili a quello che, andato a teatro, ha voluto che tutti gli altri non potessero entrare. Una volta entrato, riservando solo a s quello che offerto a tutti, si chiede: Ma perch solo io godo di questo spettacolo? E cos lavaro alla fin fine ha questa
logica. La cupidigia, lattaccamento al denaro generano una sorta di identificazione con quello che si possiede. Questo lo dice la psicologia. Al punto che, perdere qualcosa di quel che si ha, equivale a perdere qualcosa di se stesso. E chi in preda a questa malattia giunge fino a considerare la dimensione dellavere come prevalente su quella dellessere: Io sono ci che ho. Ecco, se non si lotta contro tale ossessione, questa perverte i desideri non soddisfatti; questi fantasmi finiscono per possedere il nostro cuore, gli impediscono la pace, la gioia, finiscono per portarlo alle soglie della depressione. Giovanni Climaco dice: Al mare non mancano mai

le onde, a chi ha tanti beni non mancano mai lira e la tristezza. Anche le

radici di questa pulsione affondano certamente nellinconscio e possono risalire allet infantile. Nessun determinismo, per, in tale constatazione. Lavarizia poi devessere affrontata e ordinata, perch, in caso contrario, accompagna un uomo per tutta la vita. Per questo Paolo ha potuto scrivere che lavarizia la radice di tutti i mali, 1 Tm 6,10, perch quando il cuore di un uomo conosce questa malattia un cuore che si ripiega su di s, un cuore che si fissa sullavere, ed un cuore che si impedisce la comunicazione, lo scambio, il dare e il ricevere. Ges ha detto: Vi pi gioia nel dare che nel ricevere, ma non c nessuna gioia nellaccumulare per s, proprio nessuna, anzi, la tristezza. Chi posseduto dalla passione della filarghiria, pone nei beni il suo cuore: dove c il tesoro, l c il tuo cuore, ha ammonito Ges, e si sottrae allamore, allincontro con i fratelli. E questo, di nuovo, Paolo la chiama in Col 3,5 idolatria, perch implica unadesione fiduciosa a ci che si possiede, piuttosto che a Dio. Noi dobbiamo comprendere, in questo senso, i precisi ammonimenti di Ges: Nessuno pu servire a due padroni: o odier uno e amer laltro, o

preferir uno e disprezzer laltro; voi non potete servire a Dio e alla ricchezza, il denaro che, tra laltro, voi sapete, viene chiamato con un semitismo, mamon. Mamon un termine che c solo a Qumran, per indicare il denaro di iniquit, mamon tov il denaro di iniquit. Ges usa

questa espressione quasi per dire che lui non ha la stessa visione del denaro che avevano in Israele i Farisei e i Sadducei! E mamon, un idolo, una potenza! In realt, laccumulo dei beni diventa poi, per noi credenti, un peso, rallenta la nostra corsa verso il Regno. Evagrio dice: Come una nave sovraccarica, affonda nella tempesta, il Cristiano che ha molti beni. Ma poi, aver molti beni mina i rapporti con gli altri, perch chi accumula per s davvero si isola, non condivide, non vuole dipendere da nessuno. Certo, scrive Evagrio, lavarizia fa intravedere una lunga vecchiaia, la debolezza delle mani, lincapacit a lavorare, le paure e le malattie della vecchiaia, e come sia vergognoso ricevere dagli altri ci di cui si ha bisogno. E cos, si mette tutta la propria fiducia nel possedere, nellaccumulo. Lavarizia adorare gli idoli, figlia della mancanza della fiducia di Dio, che ci ha chiesto di non preoccuparci del domani, perch Dio fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, Dio provvede il cibo agli uccelli dellaria; tanto pi a noi! Chi accumula, cerca garanzia per il domani in

qualcosa che diventa davvero fonte, in realt, di esclusione degli altri. Certo, antidoto allavarizia la conversione dei desideri, esercizio per giungere a recidere alle radici la brama di possesso e ristabilire il primato dellessere sullavere. Lavarizia non una questione di quantit di beni posseduti. Noi abbiamo assolutamente bisogno, per rinunciare allavarizia, di esercitarci alla condivisione fraterna. Non c altra via, e la condivisione fraterna, ricordatevi, il vero nome della povert cristiana: chi si esercita a condividere, conosce sempre di pi la gioia che si esperimenta nel donare, conosce sempre di pi la gioia della comunione, e conosce la libert di non avere nulla di proprio. Non facile, questo, ma, anche qui, credo che sia importante, dovrebbe essere importante lesempio di Francesco dAssisi. Francesco dAssisi, non a caso, viene assimilato da tutta la tradizione alla povert, ma alla gioia, la perfetta letizia. Sono strettamente connesse luna allaltra. Le persone che hanno tanti beni sono persone che non conoscono la gioia. Allora non dobbiamo davvero essere attratti dalla ricchezza. A parole tutto questo dice poco! Uno deve provare nella vita; deve provare a dare, a condividere tutto quello che ha, e, poco per volta, sente la leggerezza, sente che le cose lo lasciano libero, che lui non cerca di avere qualcosa per s, ma tutto quello che ha condiviso. Questa una gioia senza fine, a parte che, poi, tutto questo causa unamicizia, perch dove c il dare, c il ricevere, c lo scambio, c la gioia del dare e dellavere. Questo crea unamicizia enorme. Io credo che Ges, quando ha detto, pigliandolo sul serio, che chi lascia casa, campi a causa del Vangelo e riceve il centuplo di qui, lo indicava proprio in questi termini: una fraternit moltiplicata. Uno perde una sorella, un padre, una madre, ma in quella libert di chi non ha nulla di proprio, ma ha moltiplicati i padri, le madri, le sorelle, i fratelli, le possibilit di questo scambio del dare e del ricevere, del donare e dellaccogliere si moltiplicano da ogni parte . E lunico antidoto allaccumulare soldi dare. Non contiamoci storie! Non basta dire preghi di pi. No, uno pu pregare finch vuole, ma lunico antidoto allavarizia donare, donare, avere sempre questo senso, questo esercizio: Ci che ho buono, ed ancor pi buono nella misura in cui io lo condivido Questa una grande gioia; una grande gioia il poter dire che uno ha niente per s e che tutto condiviso con gli altri: una grande gioia. Universale destinazione dei beni: per tutti! Questa lunica maniera che in una

societ di beni come la nostra, in cui la povert non possibile noi non finiamo per avere un rapporto feticistico con i beni e le cose. molto importante la libert; non unascesi: subito pu spaventare, ma d una grande libert. Non sto a insistere, ma la Chiesa, ogni tanto, chiede che ci sia davvero la lontananza da questo peccato dellavarizia. Persone accumulano: ma prima di condannarle vanno capite: la solitudine, lincertezza, il non essere amati. Certo, a ciascuno di noi la responsabilit di combattere la filarghyria, perch poi un accumulo assurdo. Ma se noi mettiamo nei soldi ci che noi non abbiamo, se non c una vita in cui si d e si riceve, se non c una vita in cui c la gioia del condividere, anche molto pi facile, a un certo punto, che diventa una forma di sicurezza laccumulare. Laccumulo sintomo di poca fede Elemosina!!! Il quarto loghismos individuato dai padri la collera, lira ci che si accende nel rapporto con gli altri. Dice Evagrio: La collera una passione

velocissima, detta infatti bollore, detto vulcano, movimento dellanima contro chi ci ha arrecato torto. Nel corso di tutto il giorno la collera amareggia lanima, ma durante la preghiera soggioga la mente, rappresentando il volto di chi ci ha rattristato. Quando essa persistente, si trasforma in risentimento. Orgh si dice in Greco, Cassiano traduce despirituire. Orgh quella passione che ci assale come

un vento impetuoso, emerge come un bollore improvviso dal nostro cuore e divampa come fuoco divorante. E, per eccellenza, un vizio visibile, che sfigura chi ne preda. E voi sapete che la collera, lo dicevano gi gli antichi, produce effetti psicosomatici molto facilmente. Pensate che in Ebraico collera significa perdere il fiato. Le persone che vanno in collera perdono il fiato, finiscono per avere una situazione di soffocamento, e la collera la reazione pi visibile che noi condividiamo con gli animali, i quali manifestano subito la collera quando si sentono aggrediti. Ebbene, se non riusciamo a dominare tale moto istintivo, giusto o sbagliato che sia sul momento, esso rischia di tramutarsi in un risentimento permanente, come dice Evagrio, e nella memoria prende laspetto di unoffesa mai perdonata, che ci chiede di realizzare la vendetta. Daltronde, bisogna ricordarsi che c anche una sorta di collera positiva, necessaria alla vita umana e allo sviluppo della personalit, una sorta di zelo, un impeto positivo che necessario per dire la propria

reazione di fronte al male Di fronte allingiustizia, di fronte alla sofferenza della vittima, noi abbiamo la reazione della collera. Ed proprio la collera che provata da Ges, e che testimoniata dai Vangeli: Ges, di fronte a quelli che lo vogliono accusare perch lui di sabato opera il bene, quando risana nella sinagoga luomo che ha la mano paralizzata, dice Marco Allora guard quegli scribi con orgh, met orgh, con collera li guard. Anche in Mc 1, 41, di fronte al lebbroso, alla sua situazione, Ges prova una collera: mosso a compassione! Cio, lui di fronte al male, Ges sovente ha questo sentimento di collera. Una animosit umana, che non solo legittima, ma quella che fa dire santa collera, una buona collera. E gli uomini che hanno convinzione, che hanno passione, che hanno forza certamente sanno manifestare questa buona collera, ma sono anche i pi facili a far s che la collera si capovolga in questa passione. S, c una indignazione, una collera, unanimosit umana che positiva, giusta collera, ma i padri ricordano che ci vogliono tre condizioni perch la collera sia santa, giusta: Primo, che sia suscitata da un sentimento di giustizia, di fronte alla vittima, di fronte allingiustizia uno pu andare in collera. Secondo: che la collera abbia una retta intenzione; si vuol denunciare lingiustizia, si vuol dire no allingiustizia Terzo: che sia una reazione proporzionata. Dunque, la collera non pu mai essere ingiusta, non pu mai pigliare laspetto vendicativo, non pu mai essere smisurata. Paolo ha una buona esortazione in Ef 4,26, che ripiglia il Salmo 4, quando dice: S! Andate in collera, ma il sole non tramonti sulla vostra collera!. Cio, c una possibilit di collera che d gloria a Dio, Salmo 76, ve lo ricordate: Anche le collere delluomo ti danno gloria. La collera diventa male, quando diventa un sentimento un atteggiamento verso gli altri, quando diventa segno di disprezzo, di odio, di inimicizia. Qui bisogna essere molto chiari: Ges ha giudicato addirittura il sentimento della collera un omicidio. Vi ricordate nel discorso della montagna in Matteo 5, 21-22: Se uno va in collera con suo fratello ha gi commesso omicidio. Per questo, lapostolo Giacomo dichiara che la collera non realizza la giustizia di Dio Chi nella

collera offende il fratello, non deve pensare di sostituirsi in tal modo a Dio nel giudizio.. E la collera poi, sovente, tende a diventare un habitus;
un qualcosa che sta sempre dentro di noi, che diventa quasi una maniera di

essere nei nostri rapporti con gli altri. Jean Paul Sartre diceva che la collera genera il pensiero che gli altri sono linferno, e si finisce, ogni volta che c davanti a noi il differente, il diverso, chi noi non sentiamo omologato a noi stessi, e allora andiamo in collera. Henry Nowen dice che nella vita contemporanea, caratterizzata da compulsioni, la collera una delle dominanti nelle singole persone. E dice soprattutto che la collera quasi una sorta di vizio professionale della vita contemporanea. Chiunque ha da fare con molta gente la tentazione della collera facile, perch, effettivamente, la gente sovente ci chiede costantemente dei servizi, ci chiede cose che noi non dovremmo forse dare loro, ci chiedono delle supplenze, ci soffocano, e, quando uno dal mattino alla sera molto soffocato, davvero a un certo punto come munto, ha la reazione allora della collera. Allora, vero, qua e l si vedono personaggi che son sempre arrabbiati, rispondono sempre arrabbiati, qualunque cosa gli si domanda, dal mattino alla sera grugniscono. E il carattere di una vita che una vita frustrata, le frustrazioni causano la collera, causano lira. Quando uno frustrato, facilmente non si d pace, facilmente non ha tranquillit. In questo senso, la solitudine, il silenzio, sono un momento di ricaricarsi, il prendere le distanze. Quanto alla lotta con questa passione, fermo restando che il segno di una vita scarsamente umana, non sufficientemente ritmata dal riposo, dalla solitudine, dalla preghiera, lo strumento migliore quello di darsi pace, di acquisire la pace, quasi oserei dire di rincorrere la pace, e nella pace porci la domanda: Chi laltro per me?. Vedete, il primo loghismos riguardava la nostra sessualit, il secondo il corpo; questo riguarda soprattutto gli altri, il rapporto con gli altri. La domanda decisiva : Chi laltro per me?. E una persona con cui entrare in relazione, di cui sono custode, o una persona da dominare, una persona da strumentalizzare, che io tengo nel mio orizzonte perch mi serve, perch non posso farne a meno? Paolo d una bella indicazione, in 1 Cor 8,11, quando dice: Laltro per il Cristiano deve esser visto come un fratello per cui Cristo morto. E se Cristo morto per laltro mio fratello, allora il mio atteggiamento verso di lui devessere un altro. Il contrario di questa collera, di questa ira, la dolcezza e la mitezza, le caratteristiche che Ges diceva di s: Guardate, venire a me, che sono mite e umile di cuore. Se c mitezza, gli altri vengono a voi, se siete nervosi, gli altri vi fuggono, vengono solo

per chiedervi piaceri, questo s, finiscono poi per sfruttare anche voi, perch anche voi non date mai loccasione a loro di esser davvero dei partner di dialogo, di comunicazione. Beati i miti, perch possederanno la terra. Cio, avranno da parte della Terra un riconoscimento. Papa Giovanni in procinto alla morte, vedendo linteressamento del mondo, dice al suo segretario, a Capovilla: S, io ho cercato di essere un mite, ma adesso sembra che la Terra abbia capito che volevo essere mite. E veramente molto bello, la mitezza, vedete, da acquisire. E laltra cosa molto importante, una virt che nel Nuovo Testamento sovente invocata la macrotymia, voi capite cos il termine: macro grande, tymia sentire, sentire in grande; viene tradotto normalmente con magnanimit o longanimit, per ci parla molto di pi pensarla, la macrotymia, come il sentire in grande, esercitarci a sentire in grande. In modo da vedere, dove sovente ci sono condizioni che ci manderebbero in collera, avere uno sguardo pi di Dio che nostro, e la macrotymia diventa sempre hyponom, questa altra grande virt, la pazienza, il metterti sotto allaltro per sostenerlo. Infine, proprio perch la collera ci che impedisce la preghiera, quando siete in collera potete andare a Messa e non sapete perch siete andati e cosa avete ascoltato, e pregate, non sapete cosa avete detto. Perch la collera un sentimento che ci impedisce assolutamente ladesione a quello che noi diciamo con le labbra. E allora molto importante anche attraverso la preghiera, rimettere questa pace dentro di noi, in modo che la collera non sia ci che ci domina, ma noi riusciamo a dominarla, anzi la riusciamo a dominare a tal punto che sia per noi loccasione per manifestare la santa collera, la collera contro lingiustizia, la collera a difesa dei piccoli, delle vittime, la collera come sentimento di sdegno di fronte al male. La santa collera di Ges, dei profeti, che testimoniata, ma che non diventa mai la collera con cui si uccide il fratello. Allora siamo giunti al quinto loghismos secondo Evagrio e Cassiano, lyp in Greco, de spiritu tristitiae in Latino, Cassiano dunque. E un male che nasce dal rapporto che noi uomini abbiamo con il tempo. Voi sapete che il rapporto tra noi e il tempo un rapporto difficile, non un rapporto che va da s, automatico, un rapporto che bisogna instaurare, che bisogna per cos dire disciplinare, e occorre un esercizio perch ci sia un rapporto sano tra noi e il tempo. Questo lha capito soprattutto lEbraismo, che ha

voluto pi unarchitettura del tempo che dello spazio. Ma anche il Cristianesimo ha sentito che il tempo qualcosa che ha unimportanza capitale, non solo perch nel tempo che avviene la salvezza, ma perch il nostro tempo il tempo della salvezza. Pensate, ad esempio, alla formulazione del kairs, il tempo opportuno, tipico del Nuovo testamento, pensate allespressione che Paolo forgia: riscattare il tempo, chiede ai Cristiani di riscattare il tempo, pensate addirittura allespressione che noi troviamo nella prima lettera di Pietro: affrettare il tempo, domanda che viene fatta dal Signore perch noi possiamo affrettare il tempo della venuta. C un rapporto tra noi e il tempo che rapporto di salvezza. Il rapporto col tempo estremamente importante e la tristezza, lyp, proprio un abbattimento dellanima che avviene per un cattivo rapporto con il tempo. Cominciamo a dire qualcosa della tristezza. Paolo, dando inizio a una lunghissima tradizione spirituale in merito dice che c una

tristezza secondo Dio, che produce pentimento irrevocabile che porta alla salvezza, ma che c una tristezza mondana, che produce la morte, 2 Cor

7,10. Cio, vi una tristezza buona, quellafflizione che consiste nella sofferenza della propria lontananza da Dio, e che pu portare addirittura fino alla compunzione, quel sentimento che allinterno dellAntico Testamento viene chiamato spezzamento del cuore, Sal 51, in Latino cor contritum, ecco, un cuore contrito, un cuore spezzato tu non lo disprezzi, Signore. La compunzione, che questo sentimento cos importante nella nostra vita, che una tristezza s che nel cuore, ma che ci vuol far tornare a Dio, tristezza della lontananza da lui, tristezza perch pecchiamo, tristezza perch continuiamo e diventiamo vecchi in uno sforzo che pare mai dare un vero frutto. Ecco, il vizio di cui noi ci occupiamo: quella tristezza che non secondo Dio, che come una specie di ombra che ci paralizza, ci deprime, spegne poco alla volta in noi addirittura la voglia di vivere. C un segno di questa tristezza: lincapacit a piangere. In realt, noi dobbiamo sentire nella nostra vita questa capacit a piangere. Non il pianto psicologico, quello che le donne hanno di pi, noi uomini maschi abbiamo di meno; ma c questa capacit a piangere, credo che nella vita voi lo sentite, e che se vi capita a volte dei lunghi periodi in cui voi non riuscite a piangere per nulla, voi vi rendete conto che in qualche misura c una tristezza di fondo che pare essere incapace a sciogliersi. Solo grazie al dono della compunzione,

delle lacrime, noi possiamo misurare se la tristitia come vizio a un certo punto si pu sciogliere. Cera un oremus per il dono delle lacrime: Dio

onnipotente e di infinita mitezza, che per il popolo assetato hai fatto scaturire dalla pietra una sorgente dacqua viva, fa sgorgare dal nostro cuore indurito lacrime di compunzione, cos che possiamo piangere i nostri peccati e giungiamo per la tua misericordia ad ottenere la remissione.. Ecco, indubbiamente molto importante
percepire che le lacrime son quelle che misurano la nostra capacit di passare da una tristezza mondana a una tristezza secondo Dio. Certamente, noi non dimentichiamo che Ges ha proclamato beati quelli che piangono, e non ha detto beati quelli che sono tristi; estremamente significativo! La tristezza si insinua nel cuore delluomo e lentamente corrode tutta la vita. Come fa la tignola con il vestito, se non viene combattuta, finisce per abitarci come un inquilino stabile, difficilissimo poi da scacciare. Questa tristezza il non piacere per eccellenza, e Evagrio ha ragione di dire: Spoglia di ogni piacere e fa inaridire il cuore. La tristezza a volte alla radice della depressione nervosa, perch conduce al sentimento del non senso della vita, ad uno stato di letargo, in cui la vita appare senza luce, senza speranza, invivibile. Vedete, quando si insinua questa tristezza a volte ci accompagna per mesi, per anni; addirittura nella vita dobbiamo ammettere: E un periodo che vivo nella tristezza. E come un inquilino che sonnecchia dentro di noi, noi la sentiamo, siamo sempre pi incapaci a provare la gioia, ad essere veramente felici e sentiamo questa tristezza di fondo. Nei Salmi ritorna questo versetto: Perch sei triste, anima mia?, Salmo 42 e il Salmo 43. Perch la tristezza permane come unombra nel profondo, un brusio che non cessa di tormentarci. Per capire come la tristezza presente in noi, dovete pensare a una malattia che qualcuno ha, poi se ne va, qualcuno invece ce lha a lungo: il fischio allorecchio. Il fischio allorecchio significativo, vi accompagna sempre e, come smettete qualunque cosa, di parlare, di ascoltare, ritorna impetuoso e indubbiamente d un fastidio, come la tristezza spegne la voglia di vivere. Di volta in volta, sono le sofferenze ingiustamente patite, le contraddizioni reali alla nostra vita, la constatazione della frustrazione dei nostri desideri, anche quelli pi nobili e giusti, a generare in noi la tristezza; ci son ragioni reali, concrete, non che noi non possiamo provare questo sentimento, saremmo insensibili. Ora,

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la vita e la realt certamente ci contraddicono in molti modi, ma guai se noi pensiamo di poter vivere in modo dorato, privo di frustrazioni; guai se ci nutriamo di nostalgie immaginarie o di attese impossibili; se invece noi ci esercitiamo ad accettare le contraddizioni quotidiane, prima di tutto facciamo unoperazione di adesione alla realt e se, pur soffrendo, noi sappiamo accogliere ed elaborare le nostre ferite, potremo anche aprirci a quella consolazione che viene dagli altri, dalla comunione con gli altri, dalla presenza di Dio. Scendendo pi in profondit, mi pare che il proprium della tristezza consista nel suo essere una patologia proprio riguardante il rapporto col tempo. Si idealizza il passato, come tempo indiscutibilmente migliore di quello attuale, lo si evoca con accorati accenti di nostalgia, sovente non privi di una certa ottusit. Noi ripetiamo, in sostanza, quel peccato di Israele nel deserto, quando mormorava contro Mos: Fossimo morti per mano del Signore nel paese dEgitto,

quando eravamo seduti presso pentole di carne, mangiando pane a saziet, invece Mos ci ha fatto uscire in questo deserto, per far morire noi e tutta la moltitudine. Oppure, si sogna di realizzare un futuro mitico, che

sempre destinato a cominciare domani, e si teme per assurdo lavvenire, per le incognite. Cio, in qualunque maniera, ci si rifugia in un mondo immaginario, per non aderire alla realt non si coglie il presente, loggi di Dio, non si ha la capacit di discernere il kairs, il momento favorevole, lora irripetuta che ci dato da vivere. Ci sono molte persone o che vivono nel passato, o che si rifugiano nel futuro. Quelle che vivono nel passato ricordano sempre quel che stato, e quelle che vivono al futuro usano sempre il futuro anteriore. A volte, c una frequenza di futuri anteriori con le persone con cui parliamo che a volte mi crea un abisso di vertigine: Quando avr, far, quando. Sempre questo futuro anteriore! E una non adesione alla realt, guardate che linizio se non della depressione, di una forma di schizofrenia, di non adesione alla realt. Comprendiamo allora perch il Nuovo Testamento unisca strettamente la gioia, antidoto principale della tristezza, alla capacit di vivere in modo adeguato il rapporto con il tempo e con il presente. In Avvento, le letture che ci vengono fatte, sia di Paolo, sia di Pietro, son sempre letture sulla gioia: Rallegratevi, ve lo ripeto, fratelli, rallegratevi!; addirittura un comando apostolico, la gioia! Noi pensiamo che la gioia sia il frutto, semplicemente il risultato della nostra vita. E un comando apostolico:

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Rallegratevi! Rallegratevi, ve lo ripeto, rallegratevi! Kairete! Ma tutte le volte che Paolo ne parla, la collega con il tempo: perch vicino il giorno del Signore, rallegratevi!, perch nel tempo presente lora di svegliarvi dal sonno. Insomma, si tratta di cogliere lhic et nunc, queste due parole cos importanti allinterno del Cristianesimo, qui e ora. Le molte nostre
patologie, anche nellacconsentire alle tentazioni son dovute a non aderire alla realt; noi facciamo sempre il proponimento per i giorni successivi: da domanivita nuova. Arriva lagenda, e c la Quaresima, in questa Quaresima aspettiamo un mese che arrivi, questi propositi li scriviamo gi prima. Cio, mi sembra che siamo un po come SantAgostino, quando pregava: Signore, dammi la castit, ma non subito. Noi abbiamo sempre questa volont per il futuro. No, hic et nunc, ora e adesso, in questo momento. Ricordiamoci sempre, se ci fa bene, anche quella parola di Ges nel Vangelo di Giovanni: Ora, ora il giudizio di questo mondo. Ora noi consumiamo il giudizio per ciascuno di noi. Quello che ci sar nel giorno del giudizio lo decido adesso, ora, ora, non domani! E, quindi, molto importante esercitarci in questo comando della gioia, vivere in pienezza il tempo presente, cos da sperimentare che n il passato n il futuro possono dominarci, ma solo loggi di Dio, loggi di Dio. Non un caso che la Chiesa ci fa iniziare ogni preghiera al mattino col Salmo 95: Ascoltate oggi, ascoltate oggi la sua voce. E ricordate come la Lettera agli Ebrei, proprio ispirandosi a questo Salmo, fa un midrash , dicendo che Dio crea ogni giorno un oggi per ciascuno di noi. Noi dovremmo sempre dire: oggi, oggi, adesso, ora, qui. E questo certamente una maniera per stare lontani dalla tristezza, per combatterla. Ci sono, poi, tra i rimedi due cose: la prima certamente linvocazione dello Spirito Santo, che il consolatore, colui che pu testimoniare in noi che Dio asciugher le lacrime sui nostri occhi, colui che ci permette di discernere linvisibile che non si impone, e di restare saldi, fermi di fronte alle contrariet della vita, alle contraddizioni; colui che ci fa togliere labito del lutto e ci d labito di gioia. Nello stesso tempo laltro rimedio estremamente importante contro la tristezza, oltre questa invocazione dello Spirito Santo, quello di riuscire sempre, giorno dopo giorno, a rinnovare uno sguardo positivo sulle cose. I vecchi, sovente, sono tristi; lo sapete, li vedete, basta vedere le foto dei vecchi soli seduti su una sedia e li vedete che normalmente hanno la tristezza. Vecchiezza dei giovani. Allora

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molto importante ravvivare uno sguardo positivo sulle cose. Se uno si abbandona a questo spirito di tristezza, davvero non solo la vecchiaia triste, ma i rapporti con gli altri si ammorbano, perch i giudizi che ci escono son negativi, son pessimistici su tutto, e spegniamo la gioia! Un anziano chiamato invece, proprio in forza della sua esperienza, della sua sapienza, ad essere sempre uno che piuttosto d speranza, non uccide la speranza, che impara ad avere questo sguardo dovuto alla sapienza, che uno sguardo contemplativo. I padri dicevano che gli uomini sono naturalmente contemplativi fino allet di undici anni, e poi dovrebbero ripigliare la contemplazione a partire da sessanta, perch tra undici e sessanta ci son troppo da fare le cose e uno non ha uno spirito contemplativo, uno spirito di sintesi, rappacificato, che piglia lo sguardo che Dio ha sulle cose, ma nellanzianit s, e bisogna proprio esercitarsi a questo. Voglio leggervi un bellissimo testo che sta nel Pastore di Erma, un testo antichissimo del I-II secolo, in cui c questa esortazione al Cristiano: Cristiano, rivestiti di gioia, luogo, la gioia, in cui Dio si

compiace. Fa della gioia la tua delizia, perch ogni uomo gioioso sa agire bene, sa pensare in modo giusto e, quindi, fa fuggire la tristezza; luomo che triste, al contrario, finisce per agire male: innanzitutto fa male rattristando lo Spirito Santo, che sempre stato dato agli uomini sotto forma di gioia; leco della Scrittura: Frutto dello Spirito la gioia, e,
soprattutto Luca, voi sapete che lega la presenza dello Spirito Santo alla gioia, ogni volta che lo Spirito Santo si fa presente c la gioia. Continua sempre il Pastore di Erma: Poi, luomo triste commette il peccato perch,

nella tristezza, non pi capace di pregare il Signore, perch la preghiera delluomo triste non ha la forza di salire fino a Dio: la tristezza, mescolata alla preghiera, le impedisce di essere unofferta gradita al Signore, come laceto, mescolato al vino, toglie al vino gusto e significato. Cerca allora la gioia, perseguila, esercitati nella gioia, vincerai la tristezza e tu saprai vivere per Dio e per gli altri..
Infine, su questo tema della tristezza, ve lo accenno appena, una forma della tristezza, potremmo dire, linvidia, che Evagrio non contempla, e che invece Gregorio Magno mette in risalto. Gregorio Magno non cha questa tristezza, la sostituisce con linvidia. Giovanni Damasceno scrive: Quattro sono le specie dellafflizione: la tristezza, loppressione, linvidia

e la gelosia. La tristezza unafflizione che causa afonia, loppressione

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accascia, linvidia una afflizione a causa del bene altrui, la gelosia unafflizione a causa dellamore altrui.. Ecco, c una tristezza, voi

vedete, che indubbiamente viene dalla consapevolezza che altri hanno il bene, che altri hanno la felicit, e allora ecco si causa linvidia, una forma della tristezza ed normalmente un sentimento, linvidia, che noi cerchiamo di nascondere. Chiedete a uno se invidioso; vi dir: No, per carit, questo sentimento non lo conosco, perch un sentimento inconfessabile, la tristezza causata dalle cose che gli altri hanno, oppure dagli amori che altri hanno, sotto forma di gelosia.

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