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NONA CATECHESI Sesto loghismos, siamo al grande tema dellacedia.

Lacedia una cosa


seria perch un tedio, unansiet del cuore affine alla tristezza, ma un sentimento molto pi profondo, molto pi invasivo della tristezza. Akedia significa esattamente assenza di cura, c la privativo, assenza di dedizione. E una tentazione che viene a chi soprattutto fa una vita spirituale. Evagrio: Il demone dellakedia, che viene chiamato anche

demone di mezzogiorno -nel salmo 90, il demonio del mezzogiorno- di tutti i demoni il pi opprimente: attacca (il monaco) verso lora quarta -le dieci- accerchia la sua anima fino allora ottava soprattutto -le due del pomeriggio- dapprima fa s che il sole sembra lento a muoversi o sia immobile, che lungo il mattino e d limpressione che il giorno abbia cinquanta ore. Poi, costringe (il monaco) a fissare continuamente le finestre e a balzare fuori dalla sua cella, e a osservare il sole per vedere quanto sia ancora distante dallora nona -insomma a guardare lorologio, noi non abbiamo pi bisogno di guardare dalla finestra- poi a guardare intorno se per caso passa o arriva qualcuno dei fratelli per andare a chiacchierare. Inoltre, gli ispira avversione per il luogo, per il suo stato di vita, per il lavoro manuale. Gli suggerisce che non c pi carit nella vita comune, che non c nessuno a consolarlo, e, se, per caso, in quei giorni qualcuno ha contristato il monaco, il demone si serve anche di questo per accrescere in lui lavversione, lo porta a desiderare altri luoghi in cui possa trovare il necessario per vivere, esercitare un mestiere meno gravoso, e aggiunge che lessere graditi a Dio non legato a un luogo; ovunque - detto- si pu adorare Dio. Unisce a ci anche il ricordo dei parenti e della vita passata, gli prospetta la lunga durata della vita, gli mette davanti le fatiche della vita monastica e mobilita, per cos dire, tutto il suo armamentario, affinch il monaco abbandoni la cella, fugga da quello stadio in cui combatte e raggiunga di nuovo la vita secolare. Ora, a questo demone non segue immediatamente nessun altro demone, anzi,

dopo la lotta possono subentrare nellanima un certo stato di pace e una gioia indicibile, se lo si riesce a vincere.. Ecco, questa caratterizzazione
monastica dellacedia contiene delle verit innegabili, e una malattia che riguarda ogni persona. Oggi sono in molti a chiedersi se lacedia non sia il male del nostro tempo, quella che tocca luomo contemporaneo; Galimberti convinto di questo, Natoli lo dice costantemente e lo scrive, e molti psicologi non a caso, ve lo dicevo, sono arrivati a formulare lidea che la nostra una societ depressa. Soprattutto gli psicologi e i sociologi francesi ormai da anni continuano a dire questo. Possiamo comprendere questa verit ricorrendo ad alcuni sinonimi dellacedia che suonano pi famigliari ai nostri orecchi: lacedia sconforto, svogliatezza, tedio; un nome veramente tra quelli che dovremmo usare di pi il tedio, disgusto, torpore che si manifesta a volte in certe persone come costante sonnolenza, in altri in agitazione che li fa assolutamente costantemente muovere. Evagrio la definisce bene: atonia dellanima, atonia psychs, e Giovanni Climaco la chiama paralisi dellanima, paresis psychs. Lacedia sempre nutrita di superficialit, di mancanza di resistenza, mancanza di profondit, di perseveranza, in ogni luogo e in ogni lavoro. E il male di chi non sa concentrarsi, di chi non sa prendere le cose pi sul serio, di chi non sa andare fino in fondo e portare a compimento quello che lui ha intrapreso. Molto vicina alla tristezza, la malattia che nega il qui e ora. Chi subisce questo demone sempre altrove, e in radice unincapacit a dedicarsi, akedia, ad avere cura. Dice Evagrio che chi malato dacedia arriva addirittura a fare delle cose buone che non gli possono in realt portare niente di bene, perch non sa assolutamente n intraprenderle con assunzione, n terminarle. Evagrio dice: Ci son quelli che ogni tanto

vanno a trovare i malati, e si alzano e dicono: Andiamo a trovare i malati! , e si alzano e dicono: Facciamo unopera di carit, poi vanno, poi non la fanno pi per un mese, poi di nuovo, quando gli piglia lacedia, vanno. In
realt, cercano la propria soddisfazione, non cercano la cura dellaltro. E voi sapete che Sartre nella Nausea dice che lacedia quella che lui

chiama nausea. La nausea del non senso, e il non senso a volte ci assale. Noi ci facciamo sovente, non tutti, ma qualche volta, in certi momenti della vita, ci facciamo la domanda: Chi ce lo fa fare?. E un inizio di acedia. Se il pensiero arriva sempre, da quando ci alziamo: Chi me lo fa

fare di alzarmi alle 6:30?, Chi me lo fa fare di andare alla preghiera?,


Chi me lo fa fare di mettermi di nuovo alla lectio divina?. Al lavoro. Sono pensieri che ci vengono abbastanza spesso. Ma, se noi non li uccidiamo, questi pensieri, se loro si impossessano di noi, la vita diventa intollerabile per un monaco, e per un prete, fate il parallelo, il lavoro, la famiglia non devo farvelo io: Chi me lo fa fare di dir messa tutte le mattine, sovente per quattro vecchi?, Chi me lo fa fare adesso di fare di nuovo una predica?, Chi me lo fa fare?. Vedete, noi che facciamo tante cose, da cui non traiamo direttamente un guadagno, come il lavoro, le opere che gli altri fanno nella vita, insomma lacedia diventa una dominante prepotente che si insinua molte volte. E, come la tristezza si manifesta soprattutto come un cattivo rapporto col tempo, lakedia un cattivo rapporto con lo spazio. Chi ha lakedia, lo sapete, assolutamente non riesce a stare fermo! Chi stato vicino a persone malate di schizofrenia per lungo tempo, che la depressione nella sua parte terribile, avr visto la akatestia. Lo schizofrenico malato di akatestia. Non riesce a stare fermo, e ovunque lo portiate lui vuole uscire, vuole cambiare spazio, non ce la fa a stare fermo, ma allinterno della akedia la stessa cosa; ecco perch, ad esempio, i Padri insistevano di stare in casa, perch indubbiamente lakedia lincapacit a stare fermo, usciamo, andiamo, iniziamo un lavoro, poi non lo finiamo, cio ci si stordisce soprattutto cambiando lo spazio. Dove non c un orario, non c un imprenditore sopra, non bolliamo il cartellino, a volte ci sono delle vite che dal mattino alla sera uno non si sa bene cosa fa, ma cambia costantemente, esce, parla con uno, va da unaltra parte, va dallaltra, parla con laltro, poi magari tutto questo la si giustifica; ma lakedia, questa specie di ansia che ci piglia, non ci fa star fermi al tavolo. Ci sono

persone che sono incapaci a leggere, a star fermi al tavolo, a pensare, ma sovente anche questa akedia. Oppure escono costantemente, o devono pigliar la macchina. Anche la preghiera, come nella tristezza, impossibile, perch se uno non sa raccogliersi, se uno non sa dare pace, se uno non sa collocarsi qui e ora, impossibile! C un testo che ve lo voglio leggere, che vi dice esattamente una forma che prende lacedia ci son due forme; una che quella proprio dellastenia fino alla pigrizia, ma c laltra invece dellattivit, dellattivismo sfrenato. Giovanni Climaco dice: Il

medico visita i malati al mattino, lacedia visita i malati verso mezzogiorno. Delizia dellacedia il ricevere ospiti, e suggerisce di lavorare molto per guadagnare molto e darlo in elemosina, gli suggerisce di visitare i malati sussurrandogli le parole di Ges Ero malato e mi avete visitato, lo eccita a correre a confortare gli afflitti e i pusillanimi, proprio lei che ne ha poco. Mentre sta in preghiera, gli richiama alla mente un cumulo di cose da fare, tutte necessarie. Tre ore prima del pasto il demonio dellacedia gli fa venire i brividi e il mal di testa, e prima ancora le vertigini. A mezzogiorno, laccidioso prende un po di fiato e quando pronta la tavola balza gi dal letto; ricominciando per la preghiera gli si aggrava di nuovo il male; mentre sta in preghiera lacedia lo immerge nella sonnolenza e con goffi sbadigli gli svia la via dei versetti dei Salmi. Avete mai visto quanti
nelle preghiere o riunioni dormono durante? E una forma di akedia. Soprattutto le persone che si danno attivit durante la giornata perch non san stare fermi, e quindi si muovono, si muovono, poi, obbligati ad arrivare a star fermi, come si siedono, dormono. Allora noi dobbiamo sapere che lakedia ci vuol fare distrarre e che ci porta soprattutto a questa grave situazione, in cui poco per volta si spegne la fede, non si crede pi, si fanno le cose meccanicamente ma senza pi una vera e propria partecipazione. Lakedia crea questa schizofrenia tra quello che facciamo e quello che noi siamo. San Benedetto nella regola lo dice: il mens concordet voci, perch il vero problema quando uno prega proprio che la mente concordi con quello che diciamo, che noi aderiamo,

ma se siamo altrove addio! C una bellissima affermazione di un poeta portoghese straordinario, il quale dice: Valse la pena? E la domanda di chi soffre di acedia. Ma vale la pena?. E la sua risposta : S, vale la

pena, se lanima non piccola. Allora bisogna avere grandezza danimo,


anche qui. Settimo loghismos, vanagloria, kenodoxia, de spiritu vanae gloriae secondo Cassiano, e questo riguarda il nostro rapporto con il fare, con loperare, con lagire. Avete capito la dinamica? Siamo partiti dalle cose pi quotidiane, la gastrimarghia, se volete le pi carnali, e, man mano che ci si muove verso lalto, le tentazioni sono sottili. Lordine dato da Evagrio e da Cassiano molto importante. E la vanagloria una tentazione sottilissima, difficile da discernere; un vizio multiforme, che ci attacca da ogni parte, perch sorge insieme alla virt e non si allontana finch non abbia reciso la forza della virt. Eppure, la sua natura in radice chiarissima, spinge ad attribuire pi importanza al fare che allessere. Lavarizia dava pi importanza allavere da cui dipendeva, qui il senso della nostra vita e la riuscita della nostra vita dallapplauso altrui, dal consenso. Mettiamo il nostro io al centro del mondo, come fa il bambino che esige lattenzione su di s, gli sguardi di tutti su di s. Allora, in tempi di sfrenato attivismo e di ricerca ossessiva di autoaffermazione come il nostro, occorre lottare veramente in modo duro contro questo loghismos, perch la posta in gioco capitale. Le persone vanno considerate per ci che sono, non per ci che fanno. Ogni essere umano un volto e un nome, non un participio o una macchina. Noi tendiamo sempre a vedere gli uomini come participio e macchina, siamo in un mondo cos, oggi, e noi crediamo che gli altri ci valutino per quello che facciamo, e dunque ci comportiamo di conseguenza, finendo per imporre loro la nostra visione delle cose. Noi esigiamo il riconoscimento altrui, pretendiamo di essere stimati, e non si pensi che alla base di questo comportamento ci sia una volont particolarmente perversa; a volte ci che scatena lansia di emergere, a volte, semplicemente, soprattutto per le persone insicure, un goffo desiderio di essere amati. La vanagloria si manifesta dunque in una sorta di angoscia del fare. Per essere apprezzati dagli altri, si giunge a compiacerli in ogni modo, anche a costo di compiere il lavoro dello schiavo,

mascherando un enorme super-io sotto le spoglie della generosit. Si entra cos, voi capite, in un vortice pericolosissimo: se gli altri non ci riconoscono ci che a nostro parere dovrebbe esser riconosciuto, diventano ingrati, nemici, persone contro cui fare guerra. La kenodoxia tanto grave quanto sottile perch facile dissimularla dietro a parvenze di bont e santit. Noi siamo abilissimi nel trovare giustificazione per celare la vanagloria, proprio mentre coltiviamo in noi con massima cura questo vizio. E il rischio estremo causato da questa passione consiste nel metter su una maschera. Metter su una maschera, perch gli altri non vedano le nostre debolezze, i nostri limiti. La pi grande lotta dovrebbe essere quella di impedire che mettiamo la maschera, perch la tentazione pi grande di uno perch ci armiamo con una maschera e apriamo la grande voragine dellipocrisia, il fare come se, la grande maschera. Vorremmo apparire, per gli altri, santi, bravi, virtuosi, non vogliamo accettare lombra che c in noi, i limiti, i difetti, e che per essere amati bisogna anche saper mostrare le nostre debolezze; quelli che non le mostrano sono ammirati, ma non sono amati. Noi vogliamo lammirazione dagli altri o lamore? Se vogliamo lamore, non dobbiamo celare le nostre debolezze, e non ostentarle, ma se gli altri si accorgono di qualche nostra debolezza, non un disastro, ci conoscono nella verit! E possibile un rapporto tra persone vere e autentiche, ma tra persone che hanno la maschera Eppure, guardate che sono tante le circostanze che inducono a assumere la maschera. Sembra sia necessario. ESEMPIO. Se chiedo a un uomo normale dopo pranzo: Che cosa fai adesso? e, ammesso che lui vada a dormire, mi dice: Vado a dormire, a volte lo si chiede a un religioso, a un prete: Vado a coricarmi quei due minuti, per pigliar le forze e dire il Rosario. Questa la tipica risposta di chi vuole avere una maschera, e teme che non gli sia riconosciuto. Ma, se ti piace dormire, va a dormire, non si vede perch no! Quel tanto da aver la forza e dire subito dopo il Rosario. Soprattutto, poi, tutto questo un vizio che si aggrappa facilmente, trova il suo humus quando uno si affaccia alla vita, quindi tra i 15 e i 25 anni. Perch, quando uno si affaccia alla vita, va in mezzo agli altri e questo succede in quellet, allora uno il momento che deve mostrare la sua soggettivit. Allora la mostra nella sua verit nuda o labbellisce. E lo stesso motivo per cui le donne a quellet l si

danno il rossetto e si mascherano, la stessa cosa. Anche quella, vedere donne con il rossetto le ciglia una grande esperienza anche quella, per capire come noi, come noi, soprattutto nella giovane et, ci abbelliamo e ci diamo una maschera. Non a caso, a volte voi dite: Quella donna si trucca tanto, che sembra una maschera. Ma lo facciamo tutti, e dobbiamo capire che una tentazione in noi, vogliamo non essere quel che siamo, vogliamo esser migliori, e tutto questo finisce, paradossalmente, per fare emergere lio autarchico, quello che sogna di poter venire a capo di s senza dover dipendere, senza dover dipendere dallagire affettivo. Quasi che la realt e gli altri impediscano sistematicamente il fiorire del proprio immaginario talento posseduto. Robert Musil un autore tedesco, di questa letteratura mitteleuropea, ma straordinario, io vi posso leggere semplicemente questo, perch Musil ne fa lautodescrizione, di questo personaggio: Labitante di un paese ha almeno nove caratteri: carattere professionale, carattere nazionale, carattere statale, carattere di classe, carattere geografico, carattere sessuale, carattere conscio, carattere inconscio, carattere privato. Li riunisce tutti in s, ma essi scompongono lui, ed egli non in fondo che una piccola conca dilavata da quei rivoli, che ventrano dentro e poi tornano a sgorgarne fuori per riempire insieme ad altri ruscelletti una conca nuova. Perci, ogni abitante della terra ha ancora un decimo carattere, e questo altro non che la fantasia passiva degli spazi non riempiti. Ci sono molte persone che hanno nove caratteri, come uomini, sanno far questo, sanno far quello, ma quello che loro sognano il decimo carattere, che non hanno. Allora dicono: Ah, se io potessi fare questo. Io sono qui, ma qui non sono capito, non sono valorizzato, gli altri non si accorgono di me, ma se avessi un parroco che mi valorizza. Se capisse che valgo se potessi dipingere le icone, sarei un gran pittore, ah se potessi far musica, sarei un grande musicista. Cio, noi abbiamo questa tentazione di esser nove cose, ma di sognare che quella che ci d la felicit, la vera, quella che faremmo bene la decima, che non abbiamo. E il risultato della kenodoxia. E allora, si reagisce contro questo con due maniere: la prima forma lumiliazione, la forma pi raffinata di kenodoxia. Quando uno dice: Ah! Io sono umile. No, il vero problema son le umiliazioni; noi impariamo solo dalle umiliazioni ricevute, umiliazioni che riceviamo da noi, dalla storia, dagli altri; le umiliazioni sono

necessarie, non lumilt, che, anzi, chi la cerca a volte arriva a dire: La cerco talmente, cos sar talmente santo, che andr meglio per me; le umiliazioni! E la seconda cosa lesame di coscienza, spietato e sincero, anche questo, a volte forse si insistito troppo nella vita spirituale cristiana, ma, certo, oggi viene dimenticato; eppure una delle cose pi importanti! Certo, non deve paralizzarci, ma la sera prima di dormire, prima di affidare lanima a Dio, il ripassare la giornata, il vedere le contraddizioni in cui siamo caduti, estremamente necessario, estremamente necessario! Attenzione, lesame di coscienza, non si tratta di fare il bilancio: Allora, ho fatto queste cose bene, ho fatto queste cattive, vediamo se siamo in rosso o no. Questo non cristiano, Dio giudica, ma lavere davanti le contraddizioni pi gravi in cui siamo caduti, per metterle di fronte a Dio, alla sua misericordia, e per avere conoscenza di noi, questo il minimo che possiamo fare in una vita spirituale. Ultimo loghismos lorgoglio, e che riguarda il rapporto con Dio. Vedete, lorgoglio o, come si parla soprattutto in Occidente, di superbia il grande peccato, come dice il Salmo 19,14: Preservami dal peccato dorgoglio, allora sar libero e puro dal grande peccato. E il vertice pi sottile di ogni peccato, ed certamente strettamente legato alla vanagloria: quello che noi vogliamo con gli uomini, sta con lorgoglio nel rapporto con Dio. Chi ne schiavo, non sa riconoscere la grazia di Dio, laiuto da Dio, non sa riconoscere che tutto quel che ha un dono, e pretende, con protagonismo, di essere lui lautore del bene; non sa dire: Io sono un servo inutile, ma la cosa peggiore che perverte il rapporto con Dio, e che finisce per avere nei confronti di Dio la pretesa. E terribile perch davvero il male peggiore, pi profondo della filautia, dellamore di s. C un film che lo dice molto bene: Amadeus. C Salieri, il quale, in una forma di preghiera, dice: Ma dimmi, Signore, io

che sono stato vergine e casto finora; questo sporcaccione di Mozart compone cos bene! Perch hai dato a lui la possibilit di comporre musica cos perfetta, e io invece, che sono vergine e casto per te, non ho il tuo dono?. Guardate che questa una metafora vera, notate che questo peccato dellorgoglio viene chiamato da Evagrio hyperephaneia, sovra-

manifestazione, iper-epifania, in sostanza, cio noi vogliamo apparire, avere una manifestazione quasi divina, e con Dio finiamo con il patto: Signore, guarda, se tu mi concedi questo, io ti concedo questo, e se poi a un certo punto alcune cose non mi sono concesse, viene un astio con Dio, dicendo: Ma, Dio, tu non mi hai fatto sto dono, nonostante io abbia. Guardate, una malattia terribile, questa, ed forse quella che provoca pi facilmente la schizofrenia. Nasce dal voler emergere. E il sogno di una concorrenza spirituale con gli altri, che si finisce, a un certo punto, di esser preda dellorgoglio, di non saper stare al proprio posto, e di pretendere da Dio un riconoscimento. E terribile. I Padri del deserto dicevano: Se vedi un giovane che sale al cielo con la propria volont e troppo in fretta, prendilo per i piedi e tiralo gi, gli far bene.. (Teodoro di Petra). E come lottare contro questo pensiero ricollocando noi stessi nel proprio posto di fronte a Dio. Questo molto importante: ricordarci che siamo creature, ricordarci che siamo servi inutili, ricordarci che siamo peccatori. La preghiera migliore quella, non a caso, del pubblicano al tempio: Abbi piet di me, che sono peccatore; e, non a caso, il fariseo si vanta: Ti ringrazio, Signore, di non essere come gli altri, i quali sono peccatori, malvagi; io digiuno, io, io, io, io notate, quella parabola davvero unepifania di chi ha questo peccato, e finisce per pretendere da Dio. Ci sono persone frustrate: Io ho dedicato tutta la vita al Signore; non ho avuto riconoscimenti dalla Chiesa. Guardate, succede anche questo, nelle nostre povere vite. Ecco perch importante per noi la sottomissione, quella che Paolo chiede sovente: siate sottomessi gli uni

gli altri, sottomessi come Ges, il quale, attraverso la kenosis, lo svuotamento, si fatto servo, schiavo di tutti.

Ci fermiamo qui, sono andato pi celermente su questi ultimi due. Lultima cosa da dire, labbiamo gi detta prima, ma che vorrei ricordarla, che su tutti questi nostri peccati ci sta la misericordia del Signore. Un Padre della Chiesa russa, prima di morire, ha scritto un testamento, che ha lasciato alla sua comunit, ai suoi fratelli, in cui, in questo testamento: Io vado a Dio, sono ormai vecchio, confesso tutti i miei peccati, notate: fondatore, monaco, uomo santo ormai acclamato, e lui comincia questa lista dicendo: sappiate che io sono grande peccatore, ho commesso

adulterio, non ho vissuto la castit dice- ho commesso peccati anche

contro natura, ho rubato. Gli era stato chiesto un giorno da un suo monaco: Ma, padre, perch tu ti senti tanto peccatore?, e lui ha risposto: Perch a me nessun peccato totalmente estraneo. Ecco, noi abbiamo fato gli otto loghismoi. Io credo che ciascuno di noi possa dire

dentro di s che ciascuno di questi peccati non ci estraneo. Poi, certo, non si tratta di avere una visione negativa a tal punto da dire che allora noi siamo tutti peccatori, per guardate che molto importante latteggiamento di questo grande Santo, lui diceva: Nessun peccato mi estraneo, e su tutti regna la misericordia di Dio.. Ecco, io spero che questo itinerario che abbiamo fatto ci aiuti tutti a confidare di pi nella misericordia del Signore, a imparare di pi a lottare, e io credo anche a fare una vita umana pi felice, pi vera, pi autentica, perch tutto ci che cristiano veramente umano. SACRAMENTI EUCARISTIA, adorata e celebrata e riconciliazione..
(trascrizione e sviluppo da conferenze di Enzo Bianchi)

BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA DAG TESTORE, I vizi Capitali, Citt nuova 2010.

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