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Fischi di carta

Settembre 2013 Numero 9

Poesia di cinque giovani fischianti

Illustrazione di Sara Traina

Fischi di Carta

Editoriale
E scusate lo sfogo!
Dopo le vacanze estive ci si riprende e si riparte, semplicemente. Voi - se non la prima volta che ci incrociate - noterete delle differenze, fin da subito. Dopo lungo dibattere ci siamo decisi e l'abbiamo fatto: per una volta vi trovate a vedere davvero (e non a vedere leggendola) un'immagine sul nostro piccolo fascicolo. Dobbiamo un grazie sincero alla nostra amica Sara che si adoperata per questa copertina che noi, con gioia, vi mostriamo. Vedrete inoltre altre novit aggiunte in questo numero: le poesie dei lettori si sono duplicate e ad esse segue un articolo del buon Mantovani che speriamo possa suscitare il vostro interesse. Poi, se qualcuno si chiede il perch del disegno in copertina, se sia solo uno sfogo dell'autrice o se nasconda un qualche significato intrinseco, sfogliate e leggete, non vi sar difficile capirne il perch. Sono davvero contento di questa nostra evoluzione che sicuramente un'evoluzione piccola, ma su cui abbiamo lavorato con amore. Dopo avervi parlato di questi nostri passetti - che hanno senso perch voi, leggendoci, ce lo date avrei voglia di trattare una questione che saltuariamente mi tocca ma lo fa sempre in modo discretamente intenso, una questione ovviamente relazionata alla cosa che facciamo. Visto che non desidero dissertare partendo da verit che siano solo mie, decido di partire da definizioni comunemente condivise e su cui non ci sia proprio nulla da dire. Partirei dal lemma poeta che vi riporto direttamente da lo Zingarelli 2012: il primo significato dice molto stringatamente "Chi compone poesie". Molto bene. Il secondo invece narra cos: "(est.) Persona dotata di grande sensibilit e immaginazione, che ricerca e coltiva ci che bello, nobile, ideale" e, poco pi avanti, "(iron.) persona priva di senso pratico, che persegue ideali utopistici". Il terzo dice Indovino, vate ma non tange il discorso che sto per farvi, quindi non lo tratteremo. Partiamo da queste prime due definizioni e proseguiamo. Ora mi rivolgo a chi scrive a partire dai miei quattro amici e colleghi: vi hanno mai definiti poeti? E vi siete mai sentiti etichettati? Parte di un gruppo ristretto e spettacolare non meno di una fiera selvaggia? Ecco, ora io vi chiedo: quella parola, quel poeta, stata usata caricandola di qualcosa pi simile alla prima o alla seconda accezione che vi ho riportato pi in alto? Ora vi dico la mia: ho sempre avuto la percezione che quella parola fosse usata con la seconda accezione, forse addirittura con un ampliamento di ci che dice il vocabolario, prevalentemente con la parte (est.) buttandoci un malcelato pizzico di (iron.), talvolta utilizzato addirittura in modo non ironico. Ecco. No. Mi spiego meglio. No perch personalmente odio essere inserito in una immagine del poeta stereotipata e che marcia, scusate se mi permetto, su ideali romantici e pedanti. Preferirei non sentirmi dare le botte di poeta che, pur raramente, sento darmi. Preferirei sentirmi poeta in modo sincero e senza aura o vanto, semplicemente perch scrivo poesie, proprio come il maratoneta tale perch corre nelle maratone, il fruttivendolo perch vende frutta ed il postino perch consegna la posta, ovvero secondo il primo significato. Sia chiaro, non sto dicendo che il vocabolario sbagli: ci che dice, basandosi appunto sull'uso comune, non pu che essere esatto ( un vocabolario dell'uso, non ci sono puristi qui!)ma inevitabilmente ricade nello stereotipo e lo stereotipo, in quanto tale, non pu che essere sbagliato. E so bene che sarei cieco se comunque non mi rendessi conto del valore ideale della parola poeta, d'altronde esiste la prosa poetica, e non tale per questioni tecniche (prosimetro e prosa ritmica sono altre cose) bens perch c' un certo stile, tristemente standardizzato, che rimanda alla poesia. D'altronde uno stile un modo di fare le cose, e, se si vuole scrivere, il modo in cui lo si fa fondamentale, e pi si ha carattere pi si sar mossi da questioni ideali. Per dico: non facciamoci accecare dagli stereotipi! Diamo alle parole il proprio peso oggettivo e impariamo - col nostro sincero impegno di scoprire - cosa si portano dietro, non accettiamo passivamente le strutture preconfezionate che si legano in automatico ad esse! Brevemente: siamo critici e sempre sinceri con noi stessi! E scusate lo sfogo! Federico Ghillino

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YAWP
Un giorno, un giorno scoprii la Vita e mi frastorn come il tuono reboante, per caso, senza rendermene conto; passai lungo tempo col volto prostrato guardando a terra dolorante e confuso. Fu come un'ogivale punta di lancia che, inaspettata, mi fora la schiena, fu il pi violento scontro, le prime linee degli [eserciti in corsa, fu l'ariete che scardina, la mazza che ammacca, la spada che, truculenta, si conficca. Poi mi risvegliai con una nuova fede insieme a pochi altri veri furoreggianti e come bibbia mi fregiai degli incensati libri dei [Poeti! Fu la mia scelta. Dopo la muta: cambiai forma, ne assunsi la corrosa di Poeta ed il cambiamento esteriore fu pari a quello [profondo: mondo mi cinsi di giunco, piegato all'immondo subire la Vita dell'Uomo. Ora lo capisco: siamo un rumore rutilante, di lame sugli scudi un TARATAT ed abbiamo tanta voglia di urlare! Avanti, proseguiamo, noi siamo i Poeti! Non un sasso che frange lo stagno ma il terremoto che squassa la massa marina. Abbiamo l'umanit da affrontare, e lo faremo: siamo i Poeti! Ci armiamo: la ferita da aprire profonda! Siamo la manopola fregiata nello scontro: l'uomo affrontiamo che oggi decade nel buio, nel bavoso poltrire, nel morire inetto, combattiamo col favore della forza di esserci saputi alzare ed inclinato il volto guardarci attorno e poi sferrare il colpo: UN COLPO, ancora un colpo ed il sangue della gente che ci prende ci sporca e ci rende esseri multiformi levigati dalle esistenze. Noi Poeti possiamo urlare al tempio dell'Oblio che, S!, la Vita c' dopo la Morte ed il furore nostro nell'eterna memoria dalla dardania daga antica all'odierno nostro svelarci e abbiamo da affrontare una fatica iraconda perch puntiamo in alto per vedere il mondo, puntiamo a sfiorare col capo il moto ancestrale. Allora, solo allora forse ci potremo cullare ma ora il momento di URLARE! NOI SIAMO I POETI! Affronteremo il dolore e l'inerzia dell'uomo [moderno. Poi dopo la notte ci eleveremo al giorno ancora col rimbombo dell'urlo nei nervi, col gusto del sangue nella bocca e impareremo il sudore di chi affronta l'Oblio e [conquista l'Eterno coi segni in alto del firmamento e nelle palme quelli, sanguigni, delle unghie. Federico Ghillino

Poscritto: leggendo la poesia si potr pensare facilmente che io mi contraddica rispetto a quanto detto nell'editoriale, me ne rendo conto. Tuttavia credo nella figura del poeta come colui che fissa su carta parole che possono essere un tacito e duraturo urlo, e nella mia poesia posso avere esagerato, ma alla fine anche noi, nel nostro piccolo, proviamo a farlo fischiando.

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Periferia
Ricordi il tremolio triste arrugginito dei lampioni? ero solo, eri lontana; un'ombra sottile a sorridere e sfuggire osservare e scomparire. Ricordo la neve rumorosa, piove dagli schermi dei bar: si posa sul resto, sul dolce profumo d'alcol, di notte. Non una stella, stasera, intorno, un pianoforte distante. C' il vetro arrogante di bicchieri troppo pieni, pieni del ronzio, sordo, di quei volti molli, simili al tuo, gi dimenticati. Emanuele Pon (da Dalla Parte della Notte)

Passeggeri
Il fumo soffoca la nebbia viva, appesantito da quei passi sordi: osservo da una panchina arrugginita soltanto volti che non ricordo mai. Bramano tutto, cercano nulla, forse il buio: bruciano ricordi nella spazzatura di ventiquattrore lasciate indietro sulla strada, appoggiate, cadute. Lontano dal loro fetore di plastica in fiamme superano con un salto, sorridendo la striscia di sole annerito, negli occhi nuove stelle: pregano di strapparle ad altri quando il treno li inghiotte infinito, nel suo ronzio di fondo. Emanuele Pon (da Dalla Parte della Notte)

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Hispania
Sullistmo ho preso le conchiglie duna vacanza ancora incolore. Da quel d Per le strade di Tarragona comparsa una tetragona figura in cerca dellambrosia che si assaggia nel viaggio. In sua compagnia seguivo le pietre del selciato romano, masticando le once di sabbia e il tessuto della notte. Il ticchettio duna sveglia antica come la seta della poltrona, su cui ignaro ho investito minuti del giorno, mi ha instradato nel sentiero dun dubbio postumo. Su quegli scogli duro come il marmo, in quelle strade unto d indolenza forse ero io. In vero di quest avventura in anticipo ho scrutato il fondale pregno dindifferenza, perch nelle conchiglie di quellanfratto ho preferito ascoltare il rumore del mare. Andrea Pesce

Playa
A tentoni lungo il porto mi sono perduto nel El Bess e lungo la riva ho spremuto la ferocia d un anno gravitato sulle mie spalle. Gremito era il portafogli prima di perdermi a desinare con la forma dei bicchieri orfani di alcol. Ho visto la realt mutare con il muso intinto di sabbia aspettando il mattino che stentava ad arrivare. Come i miei amici ci siamo fermati alla locanda e senza loste abbiamo contato colmi di divertimento il pasciuto rumore del vuoto. Ho raccolto le pietruzze dei ricordi sbiaditi della notte nellore del pomeriggio, cercando di costruire la ragione dello sballo. Infine ho appreso un altro capitolo dellesistenza: siamo carenti di quello che vogliamo per la paura di averlo davvero in mano. Tutto ci ho imparato a chiamarlo Destino. Andrea Pesce

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Vacanze in Campagna
Sei partita stamattina in un campano estivo mattino di rugiada, il timido sole all'imbarazzo dei suoi raggi. Io ero ancora sopito e non ho sentito i tuoi movimenti: la preparazione della macchina, la trazione dei bagagli, la collocazione, il lieve sudore per il peso, l'accensione; no, io sognavo di qualche mito antico e di una speranza pi lontana delle stelle. Al risveglio solo l'abbacinante luce del sole e un'assenza che sento abbarbicata sulla nuca, la tua presenza asportata come un organo, malato forse, donato ad un tale pi bisognoso. Ma nell'arsura della vita il tormento pi acuto il forzoso silenzio impostomi come condizione di sopravvivenza ai casi dell'esistenza. Sei partita presto questa mattina ed io non ho sentito il mio dolore, forse perch sognavo cos profondamente forse perch mai fosti l veramente. Alessandro Mantovani

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Comandamento numero 0
Non odiare, piuttosto rompi Un fiore e piangine. Ch il pensiero ritorto Come un truciolo di sole Ti torturer, ti brucer. La natura ricrea, perdona. Cosa prova a essere sopra Le cose, torre abbandonata, Gloria di rudere e maceria? Non certo boria, o verde Paura, o vergogna, invidia. I forti sospesi sulle colline Vegliano in assopita fermezza, Sopra la citt, confusa, Di parole polverose, rumori Di felicit, su di noi, su me, Sul mio occhio, fermo, Che s fissato desistere. Silvio Magnolo

De Ferrari
La luce copre met Di questa pagina E il mio ardore si rif D ombra improvvisa. La parola tremer Nel presente, La rosea fontana Che mi bagna la mente, Soave relitto di qualcosa. Silvio Magnolo

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Le poesie dei lettori


Sulla scia delle novit inserite in questo numero abbiamo deciso di arricchire la nostra rubrica! L'idea di Le poesie dei lettori nata dalle richieste di collaborazione che abbiamo ricevuto da amici, conoscenti e sconosciuti che ci hanno fatto pensare ad uno spazio dove raccogliere tutte le loro poesie. Quindi, ringraziando coloro che senza timore si sono mostrati e si mostreranno, speriamo che la nostra idea possa farvi piacere ed invitiamo chiunque sia interessato a scriverci!

Davide Roccati nasce a Genova nel 1992. Indossa sovente camice turche. Da qualche mese a questa parte si diletta nell'umile mestiere del mimo (potreste averlo gi incontrato e potrete anche in un futuro prossimo) ed attualmente alla ricerca di una propria via. Nel mentre si applica in diverse forme d' arte, tra cui la musica e soprattutto la poesia. Infatti scrive e suona da quando ha sedici anni, ma solo di recente si orienta verso la ricerca di una propria personalit artistica.

CARA X.
Se vero che spero promitto iuro reggono l'infinito futuro ma anche se non Io spero di vivermi un futuro infinitamente grato al presente contingente Il passato ecco a lui sar infinitamente grato quando mi sar passato sin-cero Quindi prometto a chi? A me di non accettarmi una vita inautentica caro Heidegger Giuro al caro Charlie C. che sar solo finch non trover il dono di piacerti cos come sono

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Il secondo autore che vi presentiamo questo mese Dario Carere. Dario nasce a Reggio Calabria nel 1990, e si trasferisce a Genova nel 2001. Da sempre lascia ovunque foglietti pieni di scritte e macchie d'inchiostro. Scrive poesie, racconti, romanzi. Sta per laurearsi a Genova.

Poltergeist
Fossero di moda le apparizioni nei supermercati, o durante i viaggi in treni negletti e ingialliti dansia, o in centri commerciali schiumosi dadolescenti e lusinghe di cantici suasori, direi che mi sei apparsa in un serioso squilibrio dorganza, : e sarebbe come avere un motivo, forse, almeno per oggi, su cui bulinare tripudi e slanci. - per i sabati spesi in fumo e porno per le pance infingarde dimpiegati per le chieriche lustre di partito per il quotidiano schermo/rosario, biondo strale di pizzo la tua linea severa, incesso di neve e nebbia il tuo sguardo senza dolcificanti, poltergeist per cavi palazzi e tasse, uno ad uno lontano e pi lontano scagliante con ripulsa gli aneurismi della noia comune - Fosse di moda piangere e gridare come una Fedra che non costretta a lavare stoviglie a cambiare i piumoni a fare da mangiare a buttare i rifiuti, nobile sarebbe allora il mio grido, e sublime, magari, il convocarti a testimone del mio bolso attendere. Incipit: uso troppo comune della sintassi

Lho fatto APPOSTA per attirare lattenzione: straniera e paranormale, n.d.P.

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Un Uomo allo Specchio


di Alessandro Mantovani Una delle novit strutturali della rivista questa riassume il percoso dell'autore divisibile tra due rubrica, spazio mutevole dove tratteremo, di volta poli tematici: il primo, di tempo giovanile, legato in volta, temi e autori che ci possono sembrare appunto alla sua esclusione, all'essere solo e senza interessanti come proposte di lettura. Inauguriamo nessuno -con il contrappeso dell'evasione-; il dunque questo spazio parlando di letteratura turca secondo inerente ai grandi temi della vita e della e presentando la raccolta Un Uomo allo Specchio morte con una forte carica pessimistica. Un uomo di Cahit Stk Taranc (1910-1956) pubblicata dalla allo specchio dunque, ma perch? nei turbolenti casa editrice veneta Lunargento. Ammettendo una anni della giovinezza, tra liceo e universit, certa ignoranza riguardante il panorama nazionale durante i quali il giovane poeta si sente sperso tra della poesia turca contemporanea a Taranc non la moltitudine anonima della folla di Istanbul o intendo addentrarmici, rimando gli interessati alla ingrigito tra le piccole pareti della pensione postfazione del volume che illustra bene questo studentesca, lontano da casa e famiglia, che va rapporto poetico tutto turco di influenze, echi e ricercato l'emergere di questo senso di nondiscordanze. Ma iniziamo questa tentata analisi. La appartenenza a qualunque cosa, un sentirsi ''fuori poesia turca, qui in Italia, spesso -e con giusta di chiave'' solo al mondo e nel mondo; senso che causa- associata al nome di Nazim Hikmet. Dico non smetter di attanagliarlo nemmeno quando si con giusta causa perch la sua opera poetica si trasferir nella sua sognata Parigi. Credo, a mio radica nel contesto sociale turco di quegli anni avviso, che sia proprio il suo primo periodo quello compenetrando e riflettendo a pieno i suoi maggiormente esemplificativo dei nodi tematici problemi: a diciotto anni Nazim passa dalla natia pi rilevanti. Non ci stupiamo perci, alla luce di Salonicco in Anatolia, scoprendo le origini del suo quanto detto, di versi come: ''Corri fra le braccia popolo e le sue lotte. Appoggia l'impeto aperte del tuo letto/ [...] lontano dal ricordo di un d'indipendenza, il sudore e il sacrificio che bisogna giorno duro assai./Negli intimi sussurri e impiegare per vivere, e ancor di pi per vivere nell'amplesso/ lasciate il sonno a dopo, quale un liberi. Non a caso ricordato per le sue Poesie bacio della fine;/ lontani dal ricordo di un giorno d'Amore e di Lotta, Nazim, oltre che l'intimit duro assai.'' (Il Letto) dove il rapporto con il letto dirompente del sentimento umano, scopre e canta anche correlativo di una sessualit frustrata che si le radici di un popolo anaflabeta che combatte con combina con una definizione negativa dello spazio armi preistoriche, insieme a cavalli magri condiviso con altre persone; o ancora: ''mi affaccio soffrendo la fame. Ma dall'altra parte, chi? e vado via./ Non ho chiara dimora, nessuno che io Sull'altro versante sta l'alta societ borghese, quella ami''(Vado via). Percepiamo cos una frustrazione delle Chevrolet americane, di Istanbul, i cui figli relazionata all'incapacit di essere accettato che dabbene compiono gli studi nelle capitali della congela le sue opportunit di vita; oltre che le cultura europea, estraniati in una sorta di grandi assenze ''di provenienza'', come la famiglia, feudalesimo anacronistico e assurdo vivono sempre pi grande si sentir l'assenza separati dai problemi del quotidiano che affliggono ''contemporanea'' della donna, l'amore vanificato, la povera gente dell'Anatolia, baloccandosi in quei l'inanit di ogni tentativo: ''Non ho un amore che sogni decandentisti in un orizzonte puramente senta ci che sento io'' (I Miei Giorni). Ed il soggettivo. E Cahit Stk Taranc proprio uno dei senso di non appartenenza e di esclusione a massimi esponenti della poesia che canta questa generare tutte le tematiche che troviamo nella societ imborghesita e fuori dalla realt. Rampollo raccolta: solitudine, pessimismo, rassegnazione, solitario e di non bell'aspetto Taranc sviluppa una esclusione, estraneit, specchi. Tutti questi sono poesia di disimpegno, strettamente intimista, legata indissolubilmente legati ma mi preme presentare ai suoi personali problemi ma non recettiva di proprio l'ultimo dell'elenco. Lo specchio vissuto altro, chiusa in se stessa e nella sua solitudine. come unico interlocutore della solitudine: ''Chi mi Questo appunto il motore dominante del suo capisce se non il frammento di uno specchio,/nello canto: La solitudine nella mia vita , per l'appunto, sciogliermi come cera in queste nozze senza il titolo della sua prima raccolta datata 1933, faro fine?/Fraterno il soccorso che mi recano gli per questo lavoro non pu essere che Baudelaire i specchi:/senza di loro, che farei mai nella mia cui fiori del male Cahit legge durante gli anni vit?'' (La Solitudine). La solitudine si fa specchio trascorsi al liceo francese. Questa nostra silloge interlocutore, riflesso, salvezza, ma viene anche da

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chiedersi il perch dell'ultimo verso: guardarsi allo specchio un'attivit degna di vivere? Forse. Lo specchio viene vissuto in molteplici maniere dal poeta e una di queste proprio l'evasione; nemmeno noi siamo estranei a dei mondi ''negli specchi'', basti pensare all'Alice di Lewis Carroll dove lo specchio diventa strada per un mondo differente e completamente rovesciato, la ragazza entra in una nuova dimensione, fantastica certo, ma in qualche modo connessa con la nostra, l'essere dentro lo specchio fornisce una nuova prospettiva da cui guardare la vita, questa nuova ottica poi popolata da creature strampalate tra le quali degli scacchi che ricordano chiaramente un altro romanzo dal tema affine e cio La scacchiera daventi allo specchio di Massimo Bontempelli dove il bambino protagonista, vedendo il riflesso di una scacchiera nello specchio, intavola una discussione con il re bianco riflesso che lo introduce alla stessa dimensione ''al di l del vetro''. Questo per dire che non una novit il ricercare altro nell'immagine specchiata, un mondo di evasione e forse, per una personalit cos a disagio, anche di comprensione. Se nella dimensione di una poesia in ritardo come quella Sereniana gli specchi sono ciechi (vedi Piazza in Frontiera), non pi atti a riflettere il vuoto che permea le cose, in Taranc essi sono il luogo dell'accoglienza: ''O specchi, specchi, amati specchi,/nessuno quanto voi mi ama e mi capisce./ e quando sar morto, chi come voi/sapr pensarmi e custodire il mio riflesso?/Specchi, specchi, solo voi.''. Comprensione dunque e accettazione paritaria in un consorzio di esistenze ricercata in luoghi sbagliati: gli specchi, le ''quattro mura'' della camera; ''Il soffitto si chinato su di me, come una madre,/i muri mi sono intorno come fossero fratelli,/rivolti ai miei gli occhi misteriosi.//Dire vogliamo, ma la voce non ci esce:/ e batte questo cuore e di chi , il loro o il mio?/ Si mischiano e confondono i sospiri miei e loro.'' (Il Silenzio della mia Camera). La descrizione di una camera non personale, in affitto, provvisoria come l'esistenza contingente che si sta vivendo, non pu che richiamare l'esule Hikmet a Berlino: ''Anche questa mattina mi sono svegliato/ e il muro, la coperta, i vetri, la plastica, il legno/ si son buttati addosso a me alla rinfusa/ e la luce d'argento annerito della lampada// mi si buttato addosso anche un biglietto del tram/ [...] e la camera d'albergo e questo paese nemico/[...] mi sono svegliato anche questa mattina/ e ti amo.'' ma quanto distano tra loro questi due spazi! Entrambi condividono un' intimit sofferta, ma il secondo reagisce ad una condizione oggettiva (l'esilio) con tanta forza quanta l'abbandono del primo al proprio mal de vivre. Non voglio certo con questo, si intenda, negare i risultati pi che apprezzabili dell'intimismo di Taranc, sono semplicemente due piani di sentire differenti. Ma torniamo agli specchi e al gesto di guardarsi, palliativo denudarsi e ripiegarsi su se stessi. Lo specchio assume altre caratteristiche forse pi inquietanti come riflesso di s, della propria persona. Per J.L. Borges lo specchio un elemento deformante perch il dato che riflette non profondo e fugge in spazi metafisici di nulla e vuoto. L'uomo presagisce nel riflesso la stortura interiore a lui, quell'abisso che sente dentro e attorno a se, che non vede riflesso ma che percepisce l, incombente in qualche angolo non remoto del vetro; e se accade che Vitangelo Moscarda in Uno, nessuno e centomila di Pirandello, viene portato sulla strada che gli svela quello ''spontaneo artificio'' che l'autocostruzione umana semplicemente dal guardarsi bene in uno specchio, con Gozzano ci si lamenta che l'essenza vera dell'uomo ''non pu per intelletto esser compresa/da poi che l'io solo con se stesso,/soggetto, oggetto della conoscenza,/come uno specchio vano si moltiplica/inutilmente ed infinitamente/e nel riflesso prigioniero il raggio/di verit che l'occhio non discerne.'' (Ah! Difettivi Sillogismi); cos anche il nostro Cahit percepisce questa inquietudine: ''Quando mi apparto, dagli uomini lontano/ e resto a tu per tu con il mio specchio/quello tace e nel riflesso mi ricorda/che un uomo sono anche io alla fin fine.// il mio specchio mi rivela e dentro e fuori/come un gigante e insieme come un nano,/lo sento quel contrasto e mi spavento'' (La Forma Stretta) o ancora, e meglio, ''Il mio riflesso nello specchio, la mia ombra ed io./Quelli ci sono o non esistono davvero?/Quelli non sanno delle mie tribolazioni;/provi uno di loro al posto mio.'' (Un Mio Istante). Lo specchio dunque come elemento di separazione, estraneit rispetto al mondo -''E invece me ne resto dietro ai vetri'' (In un Clima Lontano)- allo stesso tempo per evasione, conforto e accettazione, sutura di uno strappo tra l'io e gli altri ma riflesso del proprio inesprimibile e non esternabile abisso, custode della storia intima, toccante di un uomo che riflette se stesso e su se stesso, in quel senso di profonda e anonima fragilit che si prova seduti da soli in una stanza a guardare i propri occhi scrutarci da quel mondo pieno di significati non colti al di l del vetro.

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