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Francesco Lamendola

Chi ha portato lodio fra gli Italiani?


Chi ha portato lodio fra gli Italiani?, si domanda un blog che, in questi giorni, prende spunto dalla aggressione subita a Milano dal presidente Berlusconi. Una domanda mal posta e tendenziosa, in verit, poich sembra suggerire che, fino a ieri o allaltro ieri, lodio non avesse cittadinanza, nel Bel Paese dove fioriscono i limoni e dove ogni scontro, pubblico o privato, finisce allegramente a tarallucci e vino. In parte, questa retorica e questa ipocrisia nascono da un vecchio vizio della nostra gente: quello dellautocelebrazione smaccata, inevitabile rovescio della medaglia di una sistematica e pertinace autodenigrazione. Gli Italiani, per ragioni storiche che rimontano molto addietro, come popolo non si stimano; semmai si stimano come individui. E un popolo che non ha stima di s, non forma una vera nazione: come si visto l8 settembre del 1943, una data che non mai stata veramente superata, una ferita che non si mai rimarginata nel nostro tessuto nazionale. Inoltre, chi non ha stima di s, non si vuole veramente bene: per questo si compiace di parlar male di se stesso, anche davanti agli altri, anche davanti agli stranieri (tratto caratteristico degli Italiani e non riscontrabile negli altri popoli dellEuropa occidentale). Per, siccome cosa dura sopportare un perenne disprezzo di se stessi, chi possiede un basso livello di autostima va improvvisamente soggetto, a scatti e in tempi imprevedibili, a violenti soprassalti di autoesaltazione, quasi di furore, che nascono dallorgoglio ferito in cerca di rivalse. Si pensi alla disfida di Barletta; si pensi al Se voi suonerete le vostre trombe, noi suoneremo le nostre campane di Pier Capponi; si pensi a Balilla che, nella Genova del Settecento, prende a sassate gli occupanti austriaci (e piemontesi, ma questo la storia edulcorata ad uso patriottico non lo dice); si pensi, soprattutto, alla vuota retorica degli Italiani brava gente, creata dal cinema e dalla letteratura sulla seconda guerra mondiale, forse per compensare il disprezzo di s da parte di un popolo che ha vissuto lignominia dell8 settembre Tutto questo si lega con lemotivit degli Italiani, specialmente quelli del Sud: basta confrontare le scene di un funerale in un paese della Sicilia, con quelle analoghe di un paese del Friuli o di uno del Nord Europa (dove il secondo assomiglia molto di pi al terzo che al primo). Lemotivit mancanza di senso della misura, ma si traduce anche in scoraggiamenti ingiustificati e in ventate di euforia altrettanto fuor di luogo. Manca la saldezza di propositi, mancano la tenacia e la perseveranza. Dunque, diciamolo tranquillamente: oltre che un polo di santi, di poeti, di artisti e di navigatori, gli Italiani, n pi n meno di qualunque altro popolo, sono sempre stati anche un popolo di buoni odiatori, specializzati nellodio politico, particolarmente contro i potenti del giorno prima. Il trattamento riservato a Cola di Rienzo, a Mussolini, a Craxi travolto dal ciclone Tangentopoli (quando parlamentari leghisti agitavano il cappio nella Camera dei deputati) sono episodi sufficientemente rappresentativi in proposito. Non vi era dunque la necessit che qualcuno portasse loro i germi dellodio, perch un tale sentimento - specie, lo ripetiamo, a livello politico - esisteva gi, ed sempre esistito nel nostro Paese. I giorni di Caino del 1945, quando, dopo la fine delle ostilit, migliaia di persone sono state massacrate nelle case e per le strade, spesso senza aver commesso alcun crimine, per puro odio politico, dovrebbero bene aver insegnato qualcosa riguardo a ci, sfatando il mito narcisista del popolo dal cuore grande cos.

Si prenda in mano la novella Libert di Giovanni Verga, ove si narrano gli eventi di Bronte del 1860: si scoprir che i contadini siciliani dellepoca garibaldina non avevano nulla da imparare, in quanto ad efferatezza contro uomini inermi, donne e bambini innocenti, dai sanculotti della Parigi giacobina del 1793. E quella storia, non letteratura: con buona pace del populismo, del progressismo e di cento altri ismi politicamente corretti, che vorrebbero sempre i popolani miti e compassionevoli, e i nobili o i ricchi borghesi, sempre stupidi e crudeli. Detto ci, possiamo domandarci non chi abbia portato lodio politico fra gli Italiani, ma perch e come la presente stagione politica sia particolarmente inquinata dal sentimento dellodio: pi, ad esempio, di quella degli anni della ricostruzione e del boom economico; ma, certamente, non pi di quella del terrorismo e degli anni di piombo. Perci, la domanda corretta dovrebbe essere: posto che la presente stagione politica sia una stagione particolarmente avvelenata dallodio, come e perch ci accaduto? Meglio ancora: chi, come e perch ha soffiato sul fuoco di un odio che gi esisteva, allo stato pi o meno latente, nellanimo di moltissimi Italiani? Innanzitutto, bisogna sgombrare il campo da una semplificazione inaccettabile: cio che odiare e passare alla violenza fisica siano una sola e medesima cosa; e che, per evitare che la gente incominci a scagliare statuette in faccia agli avversari politici, o, peggio, a sparare loro addosso, sia necessario sopprimere, rimuovere, sradicare interamente il sentimento dellodio. Se non si fa questa distinzione, si finisce dritti dritti per autorizzare metodi repressivi da psicopolizia, degni del Grande Fratello orwelliano: vale a dire, baster dichiarare di odiare qualcuno, o essere sospettati di odiare qualcuno, per essere trattati automaticamente da pericolosi criminali. Finiranno per metterci un microchip in testa, per spiare i nostri pensieri e sentimenti, e gettarci in gattabuia se scopriranno che fra essi vi anche un sacrosanto e comprensibile odio. Il che, sia detto per inciso, probabile che accadr entro breve tempo, visto che perfino le aberrazioni immaginate da Orwell sono diventate un ghiottissimo reality televisivo, seguito da milioni di persone entusiaste in tutto il mondo. Lodio, dunque, gi esisteva: ed era tanto pi profondo, quanto pi gli Italiani sembrano eternamente rassegnati (ed questa una delle cose che maggiormente colpiscono losservatore straniero) a subire loccupazione del territorio e il saccheggio delle ricchezze nazionali, da parte di una classe dirigente - dirigente, e non solo politica - che non ha eguali, in Europa occidentale, per avidit, corruzione, cinismo, amoralit e sfrontatezza. L'Italiano medio odia la politica e, soprattutto, odia i politici. Per lui, i signori del Palazzo sono tutti uguali, senza distinzioni di destra, sinistra e centro: li vedrebbe volentieri tutti quanti trascinati via in catene, per non dire peggio; non qui il caso di stare a discettare se ci sia frutto di inveterato qualunquismo o ne sia, invece, la causa; n se sia nato prima l'uovo della classe politica cialtrona, o la gallina del popolo asociale e menefreghista. Di tanto in tanto, quasi per una reazione fisiologica, scoppiano improvvisi innamoramenti fra l'Italiano medio e un determinato uomo politico, il quale, chiss come, viene percepito come vendicatore dei suoi diritti conculcati e della sua frustrata sete di giustizia; seguiti, con matematica regolarit, da altrettanto repentine esplosioni di furore. Oggi il salvatore della Patria viene osannato da oceaniche folle plaudenti, domani sar trascinato a Piazzale Loreto, appeso per i piedi e dileggiato, sputacchiato, qualcuno giunger ad orinargli addosso Emotivit, certo; ma anche qualcos'altro: una strutturale, fisiologica incapacit di partecipare in modo maturo alla vita politica; di scegliersi rappresentanti degni; di uscire dalla mentalit del suddito per entrare in quella del cittadino; di esercitare un controllo su coloro ai quali si espressa fiducia, ma non si firmata alcuna cambiale in bianco; di distinguere il piano della politica da quello dello spettacolo, finendo per credere alla realt di cartapesta evocata dallo stesso immaginario collettivo, salvo andare poi a sbattere contro le pi amare disillusioni. I politici italiani sanno tutto questo; sanno, in particolare, di non essere amati; ma sanno anche che, per atavica pigrizia e pusillanimit, l'Italiano medio li sopporter con pazienza infinita; che tollerer le loro malversazioni, le loro ruberie, la loro arroganza quotidiana; perdoner perfino i loro 2

voltafaccia repentini, al servizio del potere di turno: e le cronache nostrane sono piene di questi transfughi, non dell'ideale, ma della mangiatoia. Da destra a sinistra e da sinistra a destra: senza dignit, senza pudore, senza un briciolo di coerenza: individui che, in gergo mafioso (si ricordi il don Mariano de Il giorno della civetta), non meritano neanche il nome di uomini, ma, al massimo, di ominicchi, se non proprio di quaquaraqu. I politici italiani sanno tutto questo, ma se ne infischiano e dormono sonni tranquilli: perch sono certi che potranno alzare la posta a loro piacimento, aumentarsi lo stipendio, garantirsi l'impunit assoluta, farsi le leggi smaccatamente ad personam: i mugugni, infatti, non hanno mai ammazzato nessuno, e il popolo bue non andr oltre il mugugno e il brontolio. Sanno benissimo che l'Italiano medio si lamenta, impreca, sbuffa in privato; ma, in pubblico, diventa quieto e paziente come un agnellino, perfino timido, umile, remissivo. E perch lo sanno? Perch l'Italiano medio come la vecchina di Siracusa, che pregava perch gli di conservassero in buona salute il crudele tiranno Dionigi: rassegnato, cio, al cerchio infernale dei pessimi politici, e sente, in cuor suo, che a quelli disonesti, incapaci e prepotenti di oggi, faranno seguito quelli ancor peggiori di domani. Perci, in fondo, tanto vale rassegnarsi, e sfogarsi con qualche battuta da osteria, come: piove, governo ladro. inutile osservare che un popolo cosiffatto, anche se si ritiene (quasi certamente a torto) migliore della propria classe dirigente, in effetti giusto che sia governato da politici di tale sorta: il solo fatto che non creda umanamente possibile averne di migliori, testimonia a sufficienza la bassa opinione che, in fondo, ha di se stesso, e la totale mancanza di orgoglio e di fierezza. Infatti, una legge fondamentale della vita che, in essa, ci vengono incontro le cose per le quali siamo pronti, e non altre: come dire che, se davvero apparissero sulla scena dei politici seri, onesti, disinteressati e competenti, molto probabilmente l'Italiano medio non li vedrebbe neppure, tanto convinto egli che i politici siano, in realt, tutti uguali: tutti ladri, arroganti, inetti, e persino in odore di mafia o di camorra. Dunque, bando alle ipocrisie e riconosciamo con franchezza che, fra gli Italiani ed i loro politici, non vi alcun rapporto di stima, ma solo odio impotente da parte dei primi, disprezzo e bassa demagogia da parte dei secondi. Chi non ha capito questo, o chi non ha l'onest intellettuale di riconoscerlo, si preclude anche la possibilit di capire la nostra storia, compresa quella recente: in particolare, gli anni di piombo e quell'alone di tacito consenso che ha accompagnato, almeno fino al caso Moro, le sanguinarie imprese delle Brigate Rosse. Dicevamo che, ogni tanto, compare un politico che si proclama diverso: un Cola di Rienzo, un Mussolini. Dice di venire dal popolo, e di voler andare verso il popolo: si presenta come il vendicatore delle offese e delle umiliazioni che il popolo subisce da sempre ad opera della classe politica. Sboccia l'amore (non possibile adoperare altra espressione; lasciamo a Gustave Le Bon e agli studiosi della psicologia delle folle di approfondire i meccanismi specifici di esso), basato sul sottinteso, esplicito o implicito, che la colpa di tutto ci che va male degli altri. Lui, il capo carismatico, non sa che i suoi ministri e collaboratori rubano e impazzano; essi lo ingannano; se lo sapesse, li metterebbe a posto Tutti conoscono la barzelletta di Mussolini e del disoccupato. Un giorno un disoccupato, ridotto ormai alla disperazione, decide di rivolgersi al Signore Iddio per chiedergli aiuto, precisamente mille lire. Scrive una lettera, e, non sapendo dove indirizzarla, segna sulla busta: Al Padre Eterno. Il postino legge la scritta e non ha dubbi, la recapita a Palazzo Venezia. Qualche giorno dopo (quella volta la posta arrivava in tempi ragionevoli, due volte il giorno) il disoccupato si vede recapitare una busta contenente cinquecento lire. felice, certo, per i conti non gli tornano; tuttavia, non vuole comportarsi da ingrato, e si affretta a scrivere una letterina di ringraziamento, che cos conclude: Caro Padre Eterno, la prossima volta non mandarmi i soldi per il tramite di quel ladro di Mussolini, che si tenuto cinquecento lire. Bisogna poi aggiungere un'altra considerazione. Il politico, in cuor suo, sa di essere odiato dalle persone comuni, anche se ostenta di credere il contrario; e ricambia il sentimento mettendo, nel proprio modo di agire, una dose supplementare di arroganza, di sfacciataggine, perfino di irrisione: 3

in poche parole, provoca. Assume atteggiamenti sempre pi istrionici, sempre pi sguaiati, sempre pi mascalzoneschi: come se volesse vedere fino a dove potr spingere la propria burbanza, e fino a che punto arriveranno la stanchezza e la rassegnazione dei sudditi In breve, si innesca una gara fra lui e loro: lui a rendersi quanto pi odioso possibile, quanto pi invasivo, imponendo il suo faccione sprezzante persino negli spettacoli di variet, come se non bastassero le ore ed ore di presenza sugli schermi televisivi dei programmi seri; loro, sempre pi sdegnati ed esasperati, ma, al tempo stesso, sempre pi inebetiti e rinunciatari. E poi qualcuno finge di meravigliarsi se monta la rabbia; se l'odio lungamente accumulato, alla fine, erompe tutto a un tratto: scomposto, furibondo, irragionevole Come se ne esce? I nostri rappresentanti istituzionali, che auspicano un giro di vite repressivo nei confronti di Internet, della stampa e della stessa politica, fingono di non sapere che negli Stati Uniti dAmerica, da loro continuamente citati ad esempio di democrazia compiuta, si pu tranquillamente inneggiare non soltanto allodio, ma anche alla morte di qualsiasi uomo politico, Presidente in testa; e, di fatto, in quel Paese milioni di persone si augurano la morte di Barak Obama, sia sulla rete informatica, sia nelle manifestazioni di strada, gratificandolo inoltre di epiteti come sporco negro e invitandolo a risalire sugli alberi, a mangiar banane. Lasciamo perdere, in questa sede, lo scomodo interrogativo sulle cause di una cos larga tolleranza da parte delle istituzioni politiche americane nei confronti del (chiamiamolo cos) dissenso: se, cio, essa derivi da un altissimo senso del valore della democrazia, che garantisce libert di espressione anche al peggior nemico (eco del volterriano e insincero: Non sono daccordo con te, ma darei la mia vita perch tu possa esprimere liberamente la tua opinione); oppure, molto pi prosaicamente, da una brama illimitata di pubblicit, di qualunque tipo (anche negativa) e con qualunque mezzo, sul tipo della filosofia da gossip: che parlino male di me, purch ne parlino. Ma noi non siamo gli Stati Uniti d'America, per fortuna o per disgrazia, secondo i punti di vista (per fortuna, secondo il nostro). Da noi, un politico che si sente vilipeso da un comico o da un vignettista di giornale, non esita a querelare il malcapitato. pur vero che, da noi, un vice-ministro pu essere oggetto di una richiesta di arresto - non di indagine, ma di arresto - da parte delle forze dell'ordine, per il pi infamante dei reati: collusione con la criminalit organizzata; e ottenere la solidariet piena e incondizionata del Parlamento, nonch l'immunit. Cosa che, oltre Atlantico (ma anche oltr'Alpe), sarebbe semplicemente inconcepibile, perch laggi sufficiente il sospetto che la moglie di Cesare sia infedele al marito, perch si debba dimettere seduta stante, lasciando l'amatissima poltrona. L'Italia, dunque, non gli Stati Uniti d'America; non nemmeno Europa occidentale, politicamente parlando; ma, al massimo, la Bielorussia o il Montenegro, per non dire la Colombia dei narcos o la Taiwan del capitalismo selvaggio. Tale, almeno, la percezione che il mondo ha di essa, specialmente in questi ultimi anni; con buona pace di quei politici sfrontati che negano siffatta evidenza, accusando chi la menziona di coltivare sentimenti antinazionali. E allora? Il problema non tanto quello di superare la cultura dell'odio politico, ma di superarne le cause, che risiedono in un rapporto viziato e patologico fra il cittadino e i suoi rappresentanti istituzionali. L'odio, in se stesso, non altro che una spia di allarme, come lo la febbre rispetto alla malattia: non certo eliminando i sintomi, che si riconquista la salute. Ma come risalire, controcorrente, secoli e secoli di sfiducia reciproca, di disistima, di rassegnazione, di complicit reciproche fra i politici che predicano bene e razzolano malissimo, e i cittadini che a parole vogliono giustizia, lavoro e pace sociale, ma, in pratica, desiderano impunit per le loro piccole furberie, per gli abusi edilizi, per l'evasione fiscale, per le discariche abusive, per le pensioni d'invalidit fasulle, per i certificati medici truccati? Gira e rigira, si torna sempre al punto di partenza. difficile immaginare una societ che possieda una classe dirigente molto migliore o molto peggiore del livello etico, professionale e culturale del 4

cittadino medio; difficile, per non dire impossibile. Ogni botte d solo il vino che ha: il vino non pu essere n pi buono, n pi cattivo di quella determinata annata. Non resta che sperare nei giovani: nei cittadini e nei politici di domani. Ma certo non saranno migliori di quelli di oggi, se non verranno loro insegnati, e pi con l'esempio che a parole, i valori cardine dell'onest, della sobriet, della competenza, del disinteresse, della dedizione al lavoro, dell'amore per il bene comune. Quello dell'odio , a ben guardare, un falso problema: l'ennesimo polverone per coprire i veri termini della questione. Che sono questi: serve una classe dirigente pi decente; servono una coscienza politica pi matura, un rispetto della legalit pi generalizzato. Serve, soprattutto, che questi valori siano trasmessi dalle famiglie, dai genitori, prima ancora che dalla scuola; magari spegnendo la televisione, ogni tanto. Specialmente quando mandano in onda velenose porcherie come Amici di Maria De Filippi o come Il Grande Fratello: dove tutto si pu imparare, tranne che quei valori.

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