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Francesco Lamendola

Agosto crudele
Ogni anno si pensa che qualcosa cambier, che diventeremo tutti un poco pi maturi, che impareremo qualcosa dagli errori del passato; e invece - puntualmente - ogni anno, ad agosto, la societ del benessere mostra il suo volto crudele. Da un lato, la fuga generale verso il miraggio delle ferie, del divertimento, del piacere (anche se il numero di quelli che possono farlo, ma solo a causa della crisi, diminuisce sempre pi); dallaltro, lesercito di quelli che restano soli e abbandonati: anziani, malati, esauriti. I due movimenti avvengono simultaneamente, per cui quelli che restano si sentono abbandonati dai propri figli, dai propri amici, dai propri vicini, non per altra ragione che per andarsi a divertire: e il loro senso di disagio e di umiliazione cresce ancora di pi. Non rimangono soli per caso o per necessit; rimangono soli perch il mondo li considera un inutile fardello e non disposto a rinunciare ad inseguire la propria ricerca egoistica della spensieratezza, per nessuna ragione al mondo. Chiude la bottega sotto casa, in cui fare la spesa; chiude ledicola ove comprare il giornale; chiude la farmacia, chiude il medico, chiude perfino la chiesa, per mancanza di sacrestani o perch il prete in montagna con i giovani della parrocchia. Oppure, semplicemente, perch non ci si fida pi di nessuno e troppi malintenzionati entrano nelle chiese non per pregare, ma per rubare o magari per insozzare. Chiude, in un certo senso, anche la televisione, ultima ancora di salvezza per migliaia e milioni di anziani e di malati: ad agosto, non rifila altro che programmi inguardabili, sceneggiati ormai replicati innumerevoli volte, film peggiori luno dellaltro (e magari qualcuno di buono lo manda in onda nelle ore impossibili della notte o del primo mattino, quasi per consumare una beffa altamente raffinata). Tanto, chi se ne frega di quei disgraziati che sono rimasti a casa, che non vanno in ferie, che non fanno girare la ruota delleconomia? Perch mai la R. A. I. o, a maggior ragione, le televisioni commerciali, dovrebbero sprecarsi a programmare qualcosa di decente per loro? Perfino le soap opera vanno in ferie, ad agosto: sospendono la programmazione sul pi bello, cos, di punto in bianco; fine e arrivederci, se ne riparla dopo ferragosto o magari a settembre. E non si venga a dire che queste sono, in fondo, delle cose di poco conto. Non sono cose di poco conto, per coloro i quali vedono gi restringersi sempre pi, per ragioni anagrafiche, sociali o di salute, il proprio orizzonte esistenziale. Per luomo o la donna sani, giovani e attivi, sono certamente delle sciocchezze; ma per un anziano, per un malato, si tratta di cose serie, specialmente considerato che, ad agosto, tendono a sommarsi. Va in ferie la politica, va in ferie lamministrazione. Provate ad avere bisogno di qualche servizio pubblico, di qualche documento, di qualche informazione. Non c niente da fare: caschi il mondo, le ferie di agosto non si toccano. Del resto, si obietta, le fabbriche chiudono ad agosto: non logico che tutto il resto della societ si adegui? Forse lo era al tempo delleconomia industriale; ma non lo pi nellera presente, quella del terziario avanzato. La cosa pi triste che anche gli amici se ne vanno in vacanza, ad agosto: la loro assenza, il loro silenzio, pesano come macigni sul cuore di chi rimasto isolato, magari in un grande condominio desolatamente vuoto. Quante volte coloro che rimangono si mettono a sedere accanto al telefono muto, sperando di sentirlo squillare da un momento allaltro; quante volte scendono a guardare nella casetta della 1

posta, per vedere se giunta finalmente quella sospirata lettera, o magari una semplice cartolina, che porterebbero loro un sollievo immenso. E invece niente, mai niente. Pare ad essi che potrebbe capitare loro qualsiasi cosa, che potrebbero anche venire ricoverati durgenza allospedale, o perfino morire; e nessuno se ne accorgerebbe, nessuno avrebbe un pensiero per loro. Che dire di una societ in cui, oltre allattenzione verso i meno fortunati, se ne vanno in ferie anche i sentimenti pi importanti, quelli che rendono la vita degna di essere vissuta: lamicizia, lamore, la solidariet, laltruismo, lascolto, la delicatezza? E tutto questo per la smania di correre al mare, di mettersi in autostrada, di prendere laereo e dare lassalto agli alberghi, alle spiagge, alle discoteche; tutto questo non per riposarsi dopo le fatiche del lavoro e per ritrovare un poco se stessi, ma per ubriacarsi di folla, di rumori, di confusione, di consumismo. triste; e non si dica che stiamo facendo del moralismo. Viene il momento in cui si ha il dovere di guardarsi in faccia e di vedere se si capaci di sostenere il proprio sguardo con tranquilla coscienza, senza arrossire: se no, vuol dire che qualcosa non va come dovrebbe andare, che stiamo barando al gioco della vita. Stiamo barando al gioco della vita? Probabilmente s. Inseguiamo costosi e distruttivi miraggi di benessere, ma siamo sempre pi vuoti e insoddisfatti; e ci, mentre sacrifichiamo i nostri doveri nei confronti del prossimo, di coloro i quali avrebbero bisogno di noi. Lindifferenza con cui lasciamo al loro destino i nostri amici e parenti ammalati, la stessa con cui abbandoniamo in autostrada il cane che ci sarebbe dimpaccio per andare in ferie; la stessa con cui provochiamo gli incendi che ogni anno, ad agosto, divorano quel che resta dei nostri boschi, delle ultime aree verdi; ed la stessa con cui gettiamo ogni sorta di rifiuti nelle discariche abusive, bruciamo la plastica, irroriamo lorto di sostanze velenose. Non vogliamo bene agli altri perch non vogliamo bene a nessuno, tranne che a noi stessi; per, a ben guardare, non vogliamo bene nemmeno a noi stessi. Se realmente ci volessimo bene, avremmo pi rispetto di noi e del mondo che ci circonda: uomini, animali, piante e paesaggio. Volersi bene non concedersi piaceri e distrazioni, ma coltivare gelosamente le virt attraverso le quali si esprime la parte migliore di se stessi; riconoscere la parte divina che giace in fondo alla propria anima. Una filosofia esistenzialistica ispirata al materialismo vorrebbe che noi non siamo nullaltro che le nostre azioni, nel singolo istante in cui le compiamo; questo significa negare completamente che in ogni essere umano vi un resto, un qualche cosa daltro, un elemento irriducibile al presente, al qui ed ora, alla dimensione dellimmediatezza. Se noi fossimo solo la nostra immediatezza, se ci identificassimo, senza residui, nella nostra fattualit, allora saremmo inchiodati alle nostre limitazioni, crocifissi alle nostre impotenze, alle nostre manchevolezze; e per noi non vi sarebbe alcuna speranza di redenzione. Nulla ci riscatterebbe dalla banalit dellesistenza, dalla transitoriet del nostro essere, dalla insignificanza del nostro vivere e del nostro morire. Ogni filosofia materialista, esistenzialismo compreso, una filosofia della disperazione: essa ci consegna tutti interi alla nostra finitudine e alla nostra inadeguatezza e spegne lanelito verso linfinito che fa parte della nostra struttura ontologica. Luomo non solamente un essere, ma anche e soprattutto un poter essere: egli vale non solo per quello che , ma per quello che potrebbe essere e che, forse, almeno in parte, riuscir ad essere. Negare la sua spinta alla trascendenza, allautotrascendimento, significa condannarlo allinfinita presunzione di credersi Dio, oppure allinfinita mortificazione di sentirsi un nulla, meno di un verme che striscia nel fango. 2

Spinta alla trascendenza che non significa affatto alienazione da se stesso; ma, al contrario, riconoscimento della sua vera e profonda umanit, realizzazione della sua autentica natura di persona. Solo ammettendo questo resto, questa eccedenza ontologica, possibile vedere nelluomo un essere meritevole di perdono e capace, a sua volta, di perdonare. Se luomo fosse solo ci in cui si esplica il suo agire, come vorrebbe Sartre, allora nulla e nessuno potrebbero trarlo fuori dalla sua assoluta mediocrit, dalla sua cronica miseria. Luomo non amabile in se stesso, ma in ci che pu diventare: e la verit, anche psicologica, di questo enunciato, si misura dallistintiva simpatia con cui ladulto guarda al bambino piccolo: non badando alla sua debolezza, ai suoi difetti e ai suoi limiti (capricci, pianti, bugie), ma al grande mistero che consiste nel suo poter essere. Nessuno ha il diritto di giudicare un bambino, perch il bambino come un quadro appena abbozzato dal pittore. Per la stessa ragione, nessuno dovrebbe giudicare luomo adulto solo in base a quello che effettivamente : al comtrafrio, bisognerebbe sempre ricordare quel sacro mistero che in lui si cela, nelle sue abissali profondit, per cui egli contiene sempre, in atto o in potenza, infinite pi cose di quelle che di lui si vedono e che egli stesso conosce. Sappiamo cos poco degli altri; sappiamo cos poco di noi stessi. Sappiamo cos poco di quella forza possente che agisce in noi, attraverso di noi e per mezzo di noi; di quella forza benefica che scaturisce da un Altrove che coincide, misteriosamente, con il centro ultimo di noi medesimi. Ed ecco che ci stiamo riavvicinando al punto dal quale eravamo partiti: alla crudelt con cui, in agosto, abbandoniamo gli altri, i pi deboli ed esposti, allangoscia della solitudine e alla sofferenza del disamore. Se in noi vi sono molte pi cose di quello che non crediamo e che non sappiamo, allora laltro - e specialmente laltro bisognoso e impotente - un mistero grande, un mistero di salvezza per noi medesimi; allora, e solamente allora, laltro cessa di apparirci come un peso, come una noia, per diventare una opportunit ed una ricchezza. Allora, e soltanto allora, noi sentiamo - perch ne facciamo lesperienza e non perch lo dica questa o quella filosofia - che prenderci cura di lui, stargli accanto, sostenerlo e consolarlo, significa anche prenderci cura di noi stessi, stare accanto alla nostra anima, sostenerla e consolarla: perch lui e noi siamo una sola ed unica realt. Crederci separati, crederci diversi la suprema forma di ignoranza; ed da siffatta ignoranza che derivano linsensibilit, legoismo, la chiusura, lindifferenza. Quando lasciamo il parente anziano senza aiuto e senza appoggio, per inseguire il miraggio del divertimento, noi tradiamo e abbandoniamo noi stessi. Quando anneghiamo una cucciolata di gattini dentro un sacco, perch non vogliamo prenderci la briga di provvedere ad essi, noi affoghiamo la parte pi profonda di noi stessi: uccidendo in noi la compassione, uccidiamo noi stessi. E quando bruciamo la plastica, quando gettiamo rifiuti non biodegradabili nellambiente, quando incendiamo un bosco, noi bruciamo la nostra stessa anima, la gettiamo nei rifiuti, distruggiamo quanto di bello e di nobile v in essa. Tutto quello che facciamo agli altri, lo facciamo a noi stessi. La sofferenza dei cuccioli di foca, scuoiati vivi per fornire la pelliccia a quella signora elegante, si riversa fatalmente su questultima, la assedia con malesseri inspiegabili e con smarrimenti e depressioni improvvisi. Noi non siamo qui per caso. Siamo qui per amare ed essere amati; per perdonare ed essere perdonati. Non possiamo perdonarci da soli; n possiamo amarci, se non amiamo anche lintera creazione di cui siamo parte. Tutto ci lega a tutto, anche i pensieri: siamo una unit armoniosa e solidale. 3

Partire o rimanere, per chi abbia raggiunto questo livello di consapevolezza, non appaiono pi come due alternative inconciliabili. Infatti, che senso ha precipitarsi sulla strada delle vacanze, magari piantando in asso qualcuno che avrebbe bisogno di assistenza, se non si fa altro che spostare nello spazio la propria inquietudine e la propria incapacit di diventare adulti; se non si fa altro che portarsi dietro le proprie contraddizioni e le proprie illusioni? Non sarebbe molto meglio restare e riscoprire, nel rapporto con il tu bisognoso, la parte pi vera e migliore di se stessi?

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