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TUMOR DEL RENE E DELL'URETERE 1339

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Antone||a Amod|o, Francesca Oont|
Tumor| de| rene e de||`uretere
1339
Tumori del rene
I. Epidemiologia
A. Incidenza. Il carcinoma renale costituisce il 2-3% delle neoplasie maligne,
con circa 30.000 nuovi casi diagnosticati ogni anno negli USA e 27.000 casi
in Europa. L`incidenza maggiore nell`America del Nord, in Scandinavia e
in altri Paesi del Nord Europa (circa 12 casi/100.000 abitanti), pi bassa nel
continente africano ed asiatico; in Italia vengono diagnosticati 4.000 nuovi
casi l`anno. Negli ultimi due decenni, nei Paesi in cui queste neoplasie sono
pi frequenti, si registrato un lento ma progressivo aumento dell`incidenza,
solo in parte correlato al miglioramento delle tecniche diagnostiche.
B. Sesso. Predilige il sesso maschile (rapporto maschi/femmine: 2/1).
C. Et. Pur potendo interessare tutte le fasce di et (inclusa la prima infanzia),
questa neoplasia si presenta prevalentemente in individui di et superiore ai
40 anni, con un picco di incidenza nella settima decade di vita. Le forme
ereditarie vengono di solito diagnosticate nei giovani.
D. Razza. Negli USA questa neoplasia pi frequente nella razza nera rispetto
a quella bianca, essendosi registrato negli ultimi anni un pi evidente incre-
mento dell`incidenza nella popolazione di colore.
E. Molteplicit. Carcinomi renali sincroni o metacroni si osservano in circa
il 3% dei casi. L`incidenza di neoplasie multiple notevolmente maggiore
nella sindrome di von Hippel-Lindau (VHL).
II. Etiologia. Sono stati individuati fattori genetici correlati al carcinoma renale; il
fumo di sigaretta, l`obesit e l`ipertensione arteriosa sono i principali fattori di
rischio, almeno in parte responsabili dell`incremento di incidenza della neoplasia
nei Paesi ad alto tenore di vita.
A. Fattori genetici
1. Storia familiare. I parenti di primo grado dei pazienti affetti da carcinoma
renale hanno un rischio 4 volte superiore rispetto alla popolazione generale
di sviluppare questa neoplasia.
2. Carcinoma renale ereditario. Oltre alla forma sporadica, che rappresenta
di gran lunga il tipo pi frequente, sono stati identifcati tre quadri di
carcinoma renale ereditario. Il carcinoma papillare ereditario asso-
ciato a mutazioni del protooncogene MET, localizzato sul braccio lungo
del cromosoma 7. La sindrome di VHL, ereditata in modo autosomico
dominante, caratterizzata dall`insorgenza di neoplasie multiple a carico
di vari organi (reni, emangioblastomi a carico della retina e/o del sistema
nervoso centrale, feocromocitomi, tumori a cellule insulari del pancreas);
il 35% circa dei portatori di questa sindrome sviluppano carcinomi renali
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a cellule chiare mono- o, pi frequentemente, bilaterali. Nei tumori asso-
ciati alla sindrome di VHL vi una mutazione a carico di entrambe le
copie del gene oncosoppressore VHL, che localizzato in corrispondenza
del braccio corto del cromosoma 3. Un`altra forma di carcinoma renale
familiare rappresentata dal carcinoma a cellule chiare non associato
alle altre manifestazione della sindrome di VHL. Anche in questo
caso la mutazione a carico del cromosoma 3p. Nell`ambito delle forme
ereditarie, va infne ricordata l`aumentata frequenza di carcinomi renali,
prevalentemente a cellule chiare, in pazienti affetti da sclerosi tuberosa.
B. Patologie renali
1. Malattia cistica acquisita. Il 40% circa dei pazienti con insuffcienza
renale sottoposti ad emodialisi vanno incontro allo sviluppo di cisti renali
multiple, il cui epitelio pu presentare le caratteristiche dell`iperplasia
papillare. Tali alterazioni rappresentano probabilmente una fase precoce
della trasformazione neoplastica e il carcinoma renale risulta 30 volte pi
frequente rispetto alla polazione generale.
2. Nefropatia da analgesici. Alcuni studi suggeriscono che la nefropatia
associata all`abuso di fenacetina predisponga allo sviluppo di carcinoma
renale.
3. Altre patologie. stata segnalata un`associazione tra rene policistico,
glomerulopatia familiare, rene a ferro di cavallo e neoplasie renali.
C. Ormoni. Anche se gli estrogeni possono indurre la formazione di carcinomi
renali in animali da laboratorio, non vi sono chiare dimostrazioni di un`analoga
attivit nell`uomo. La terapia estrogenica sostitutiva, in base ai risultati di un re-
cente studio, non incrementa il rischio di carcinoma renale; il ruolo protettivo dei
contraccettivi orali estroprogestinici limitato alle donne che non fumano.
D. Obesit. L`obesit un fattore di rischio soprattutto per le donne, nelle quali
vi una relazione lineare tra incremento del peso corporeo e frequenza di
neoplasie renali.
E. Ipertensione arteriosa. Recenti studi suggeriscono che l`ipertensione arte-
riosa si associ ad un aumentato rischio di carcinoma renale; tale associazione
sembra essere pi evidente nel sesso femminile. L`assunzione di diuretici non
sembra, invece, un fattore di rischio indipendente e la maggiore frequenza
di carcinoma renale in individui che assumono tali farmaci deve essere ri-
condotta alla concomitante ipertensione arteriosa.
F. Dieta. Il tipo di alimentazione, cos come l`assunzione di alcool e caff, non
incidono in modo sostanziale sul rischio di carcinoma renale. Tuttavia, una
dieta ricca di frutta e vegetali pu risultare protettiva, mentre la cottura ad
alte temperature della carne rossa pu determinare la formazione di amine
eterocicliche cancerogene.
G. Tabacco. Il fumo di sigaretta aumenta la probabilit di carcinoma renale
con un rischio relativo pari a 2. Vi una correlazione tra numero di sigarette
fumate e rischio di sviluppare una neoplasia. Dieci-quindici anni dopo la
sospensione del fumo si ha una riduzione del rischio del 25-30%.
H. Fattori occupazionali. Diversi studi hanno suggerito una correlazione tra
esposizione all`asbesto, cadmio, derivati del petrolio, alcuni solventi quali il
tricloroetilene e il percloroetilene e lo sviluppo di carcinoma renale. Tuttavia,
nessuna di queste sostanza pu essere considerata un fattore di rischio certo
per questa neoplasia.
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III. Biologia molecolare
Nelle forme familiari e nell`85% circa delle forme sporadiche di carcinoma
di tipo convenzionale vi una mutazione a carico di un gene oncosoppressore
localizzato in corrispondenza del braccio corto del cromosoma 3. Cellule di
carcinoma renale che presentano mutazioni a carico del gene VHL producono,
indipendentemente dallo stato di ossigenazione, elevati livelli di hypoxia-indu-
cible mRNAs, tra i quali VEGF mRNA. Per effetto della mutazione, viene meno
l`azione inibitoria del prodotto del gene VHL che impedisce l`interazione tra
l`attivatore della trascrizione Sp1 e una specifca proteinchinasi che promuove
la sintesi di VEGF. Secondo un`altra ipotesi, l`interazione tra il prodotto del
gene VHL e la proteinchinasi sarebbe diretta. Nel carcinoma renale di tipo con-
venzionale pu esservi, inoltre, un`aumentata espressione di TGF-D e di EGFR,
nonch mutazioni a carico del braccio corto del cromosoma 17 e del gene p53.
Queste ultime alterazioni sono correlate ad un comportamento pi aggressivo
delle neoplasie. Nel 50-90% dei carcinomi sporadici vi sono, infne, mutazioni
a carico dell`oncogene myc, mentre non sono univoci i dati relativi all`espres-
sione di HER2-neu e fos. Nella forma familiare di carcinoma papillare e in una
parte delle forme sporadiche, la mutazione a carico del protooncogene MET,
localizzato in corrispondenza del braccio lungo del cromosoma 7, il cui prodotto
un potente mitogeno per le cellule epiteliali renali. Altre mutazioni frequenti
nel carcinoma di tipo papillare sono la trisomia dei cromosomi 7, 16 e 17 e la
perdita del cromosoma Y.
IV. Patologia e storia naturale
A. Aspetti macroscopici. Nella maggior parte dei casi il tumore localizzato
in corrispondenza della corticale renale e solo tardivamente si estende verso
la pelvi. Una pseudocapsula fbrosa separa la neoplasia dai tessuti limitrof
e, al taglio, l`aspetto spesso variegato in relazione a frequenti emorragie,
necrosi e calcifcazioni intratumorali. Il carcinoma di tipo convenzionale,
che l`istotipo pi frequente, ha comunemente un colore giallo dorato per
l`abbondante contenuto lipidico intracitoplasmatico.
B. Aspetti microscopici. Una nuova classifcazione morfologica delle neoplasie
epiteliali renali, risultato del lavoro congiunto di esperti della Mayo Clinic e
dell`Universit di Heidelberg, consente di identifcare diverse entit patolo-
giche cui corrispondono, nella maggior parte dei casi, specifche mutazioni
genetiche (Tabella 51.1). Dall`attuale classifcazione scompaiono i cosiddetti
istotipi 'sarcomatoide e 'granuloso. In realt, aspetti di tipo sarcomatoide e
un grado variabile di granularit del citoplasma possono essere rappresentati
pressoch in tutti gli istotipi. Il carcinoma di tipo convenzionale origina dalle
cellule del tubulo prossimale. Nel 50% circa dei casi ha un pattern di crescita
omogeneo di tipo solido o acinare, mentre negli altri casi possono coesistere
aree di tipo cistico, tubulare, sarcomatoide, pseudopapillare. I tumori pi dif-
ferenziati sono prevalentemente di tipo acinare, mentre le aree sarcomatoidi
devono essere considerate ad alto grado. Le cellule sono per lo pi cuboidali
o poligonali; nella maggior parte dei casi coesistono cellule con citoplasma
chiaro, che hanno un grading nucleare prevalentemente ben differenziato e
cellule con citoplasma granulare-eosinoflo. Una variante rara del carcinoma
di tipo convenzionale con un comportamento biologico probabilmente beni-
gno, il carcinoma cistico multiloculare che caratterizzato dalla presenza
di cisti multiple in assenza di componenti di tipo solido, rivestite da cellule
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tumorali ben differenziate. Nel carcinoma papillare, la cui prognosi pi
favorevole rispetto al carcinoma di tipo convenzionale, cellule di forma per
lo pi cuboidale o colonnare formano strutture papillari con un asse fbro-
vascolare comunemente infltrato da macrofagi schiumosi. Il carcinoma a
cellule cromofobe, che ha un comportamento biologico piuttosto indolente,
ha un`architettura di tipo solido, anche se possono coesistere aree tubulari,
trabecolari, cistiche e sarcomatoidi. Le cellule, che originano probabilmente
da quelle intercalate dei dotti collettori, hanno membrane prominenti, un
citoplasma fnemente reticolato per la presenza di microvescicole e un alone
chiaro perinucleare. positiva la colorazione con ferro colloidale. Oltre
alle cellule tipiche, in questo istotipo presente una piccola popolazione di
cellule eosinofle poligonali. Il carcinoma ad origine dal dotto collettore
(del Bellini) localizzato nella midollare renale e le cellule tumorali sono
circondate da uno stroma desmoplastico. Il comportamento clinico sembra
essere aggressivo. Recentemente stata descritta una nuova variante del
carcinoma renale, il carcinoma midollare, costituito da cellule scarsamente
differenziate organizzate in nidi solidi o tubuli irregolari. Colpisce individui
in et giovanile africani o americani affetti da anemia falciforme. Il 6-7% dei
carcinomi renali non rientrano nelle categorie indicate e vengono pertanto
defniti non classihcabili. Tra i tumori benigni il pi comune l`oncocitoma
che si presenta come una massa non capsulata di colore prevalentemente
marrone, che si estende nel tessuto adiposo perirenale nel 20% dei casi e nel
5% dei casi presenta invasione vascolare. La popolazione cellulare prevalente
costituita dagli oncociti che hanno una forma rotondeggiante-poligonale,
nucleo regolare, citoplasma eosinoflo. Possono coesistere cellule con mag-
giore rapporto nucleo-citoplasmatico e nuclei ipercromatici (oncoblasti).
Nel carcinoma renale l`esame immunoistochimico mostra reattivit per i
marcatori di tipo epiteliale. In base alle dimensioni del nucleo, prominenza
nucleolare ed irregolarit della membrana nucleare, si identifcano quattro
gradi di differenziazione (grading secondo Furhman). Questo tipo di clas-
sifcazione si applica al carcinoma di tipo convenzionale, mentre la sua utilit
incerta nel papillare e a cellule cromofobe.
Tabella 51.1. Classifcazione delle neoplasie epiteliali renali
Istotipo Frequenza (%)
Tumori maligni
Carcinoma di tipo convenzionale
Carcinoma papillare
Carcinoma cromofobo
Carcinoma ad origine dal dotto collettore
Carcinoma midollare
Non classifcabile
Tumori ad incerto comportamento maligno
Carcinoma cistico multiloculare
Tumori benigni
Oncocitoma
Adenoma papillare-tubulare

60-62
7-14
6-11
<1
<1
6-7
2-4
7-10
<1
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C. Storia naturale. Il carcinoma di tipo convenzionale origina prevalentemente
dall`epitelio del tubulo prossimale. All`intervento chirurgico l`interessamento
del tessuto adiposo periviscerale e/o dei linfonodi regionali presente all`in-
circa nel 33% dei casi, mentre la vena renale risulta infltrata solo raramente.
In un caso su tre la neoplasia viene diagnosticata quando ha gi dato metastasi
a distanza. Sono stati riportati casi nei quali le lesioni metastatiche si sono
presentate dopo pi di dieci anni dall`asportazione del tumore primitivo.
1. Modalit di diffusione. La diffusione avviene prevalentemente attraverso
le seguenti modalit:
a. Estensione diretta Il tumore pu infltrare i tessuti limitrof e la vena
renale. Il trombo neoplastico che si viene a formare nella vena renale
principale, pu estendersi fno alla vena cava inferiore ed occasional-
mente fno all`atrio destro.
b. Diffusione linfatica. Interessa prevalentemente i linfonodi ilari e le
stazioni lomboaortiche. Da queste, attraverso il dotto toracico, possono
essere raggiunti i linfonodi cervicali.
c. Diffusione ematogena. I siti pi comunemente interessati sono i
polmoni, l`osso (prevalentemente il bacino, i femori, ma anche lo
sterno, le scapole e le ossa di mani e piedi), il fegato, i surreni, il rene
controlaterale, l`encefalo. Il carcinoma renale pu dare metastasi anche
in siti inusuali, quali, ad esempio, il pancreas e la tiroide. Metastasi
ematogene sono presenti nel 30% dei casi alla diagnosi.
V. Diagnosi
A. Segni e sintomi. La presentazione clinica pu essere estremamente variabile.
Il sintomo d`esordio pi comune rappresentato dall`ematuria (50-60% dei
casi), seguito dal dolore e dalla presenza di una massa addominale palpa-
bile. La 'triade classica, costituita dall`associazione di questi tre sintomi,
rappresenta il quadro clinico d`esordio solo nel 10-15% dei casi. Possono
essere presenti, inoltre, calo ponderale e cachessia, astenia, anemia ipocro-
mica, febbre.
B. Sindromi paraneoplastiche. Frequenti sono le manifestazioni cliniche
defnite paraneoplastiche: policitemia, secrezione ectopica di ACTH e pro-
lattina, amiloidosi, ipercalcemia, aumento della renina, sidrome di Stauffer.
Quest`ultima, caratterizzata da epatosplenomegalia reversibile con alterazione
della funzionalit epatica, febbre, astenia e calo ponderale, si associa ad una
prognosi particolarmente sfavorevole.
C. Esami diagnostici. L`esame clinico, con palpazione bimanuale, pu con-
sentire di rilevare neoplasie localizzate in corrispondenza del polo inferiore
e del terzo medio del rene. In una piccola percentuale di pazienti di sesso
maschile pu rilevarsi varicocele, prevalentemente a sinistra, quale conse-
guenza della trombosi della vena spermatica. Nelle neoplasie renali non vi
indicazione ad effettuare l`agobiopsia, in considerazione del rischio di disse-
minazione neoplastica associato all`esame e del limitato potere diagnostico
della metodica. La tipizzazione istologica viene pertanto effettuata mediante
esplorazione chirurgica (esame istologico estemporaneo, possibilmente
sull`intera massa la cui natura deve essere accertata). I soli casi in cui pu
essere indicata la biopsia allorch la neoplasia che deve essere tipizzata
ha gi dato metastasi a distanza o per la diagnosi differenziale tra un tumore
primitivo del rene e metastasi in un paziente affetto da altra neoplasia. Li-
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mitato, per la bassa sensibilit , infne, il potere diagnostico della biopsia
allorch una cisti complicata deve essere differenziata da una neoplasia
renale. Gli esami strumentali maggiormente utilizzati per la valutazione
della natura e dell`estensione di una massa renale sono l`ecografa, la TC
e la RM. La crescente diffusione dell`ecograha, consente di diagnosticare
incidentalmente neoplasie renali asintomatiche. Essa in grado di differen-
ziare una massa solida da una cistica, mentre non utile per lo studio delle
stazioni linfonodali retroperitoneali. L`ecodoppler consente di valutare la
vascolarizzazione di una massa renale e l`interessamento della vena renale
e della cava inferiore. La TC attualmente considerata l`esame diagnostico
non invasivo pi attendibile nel valutare la natura di lesioni renali, soprattutto
se di piccole dimensioni, e l`estensione della neoplasia. Limitata invece la
specifcit della TC per la valutazione dello stato linfonodale. La RM con
mezzo di contrasto endovenoso particolarmente utile per la defnizione
del coinvolgimento della vena renale o della cava inferiore avendo, a tal
fne, un`accuratezza diagnostica sovrapponibile a quella della cavografa
inferiore (sensibilit 80-100%). Tuttavia, poich l`invasione della vena re-
nale un evento raro se il tumore presenta un diametro d 4 cm, la RM non
considerata un esame essenziale per la stadiazione di tumori di piccole
dimensioni. La PET ha una bassa sensibilit ma un alto potere predittivo
positivo per la valutazione di lesioni metastatiche da carcinoma renale. Le
indicazioni all`arteriograha renale sono attualmente limitate ad alcuni casi
in cui si vogliano studiare lesioni di piccole dimensioni o per la valutazione
anatomica preoperatoria. L`urograha una metodica scarsamente sensibile
e specifca, raramente utilizzata per la valutazione iniziale di neoformazioni
renali e per l`esame funzionale del rene controlaterale in pazienti candidati
alla chirurgia. La presenza di calcifcazioni, soprattutto a localizzazione
centrale, deve far sospettare la presenza di una neoplasia maligna. La scin-
tigraha renale con DTPA viene utilizzata nei casi in cui sia programmata
una chirurgia conservativa o in presenza di neoplasie bilaterali, per valutare
lo stato funzionale del parenchima renale non interessato dalla neoplasia.
Per la valutazione dell`estensione della malattia pu essere indicata la
scintigraha dello scheletro e una radiograha o una TC del torace. Tra
gli esami di laboratorio, oltre alla valutazione della funzionalit renale,
vanno considerati l`ematocrito, la calcemia, la fosfatasi alcalina, l`LDH, le
concentrazioni plasmatiche di renina ed eritropoietina, che risultano talvolta
elevate in relazione alla presenza di sindromi paraneoplastiche.
D. Diagnosi differenziale. La diagnosi differenziale deve essere posta tra il
carcinoma renale ed altre lesioni renali benigne o maligne. La diagnostica
radiologica consente generalmente di identifcare cisti renali semplici, angio-
miolipomi e altre lesioni benigne; tra le lesioni maligne vanno differenziate
dal carcinoma renale, i carcinomi a cellule transizionali, i sarcomi, le lesioni
metastatiche. Pu essere diffcile differenziare un carcinoma renale da una
cisti complicata. Per defnire un approccio diagnostico razionale, stata
proposta la classifcazione delle cisti in diverse categorie: oltre alle cisti con
franche caratteristiche di benignit, vi sono cisti minimamente complicate
che richiedono un follow-up stretto (3-6 mesi e un anno) e cisti defnite
complicate per la presenza di pareti ispessite, calcifcazioni, setti, per le quali
indicato un approccio chirurgico.
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VI. Prevenzione. Pazienti ad alto rischio di neoplasie renali (sindrome di von
Hippel-Lindau o altre forme di carcinoma renale ereditario) dovrebbero essere
sottoposti periodicamente ad esami che consentano una diagnosi precoce
della malattia. Pu essere indicato effettuare, con cadenza annuale, un esame
delle urine e un`ecografa renale o TC.
VII. Stadiazione
A. Sistema di stadiazione secondo Robson. Utilizzato soprattutto negli USA,
rappresenta una modifca al precedente sistema di Flocks e Kadesky e non
d, secondo alcuni, una rappresentazione accurata della diversa prognosi
in funzione dello stadio. In particolare, vengono raggruppate nel III stadio,
condizioni cliniche estremamente eterogenee per decorso clinico.
1. Stadio I: Tumore confnato entro la capsula renale.
2. Stadio II: Tumore che infltra la capsula renale ma confnato entro la
fascia di Gerota.
3. Stadio IIIA: Infltrazione della vena renale o della cava inferiore.
4. Stadio IIIB: Metastasi ai linfonodi regionali.
5. Stadio IIIC: Invasione sia della vena renale o della cava inferiore, sia
dei linfonodi regionali.
6. Stadio IV: Invasione degli organi adiacenti, oltre il surrene omolaterale
(IVA), o metastasi a distanza (IVB).
B. Stadiazione pTNM. anch`essa oggetto di alcune osservazioni critiche. In
uno studio giapponese, il limite di 7 cm di diametro non risultato utile per la
defnizione della prognosi in tumori confnati entro la capsula renale, mentre
un cutoff di 5.5 cm sembrerebbe pi appropriato come fattore predittivo della
sopravvivenza (Tabella 51.2).
VIII. Prognosi. Lo stadio patologico rappresenta il principale fattore prognostico in
pazienti con carcinoma renale. La sopravvivenza a 5 anni varia dal 65% al 95%
per lo stadio I di Robson, dal 45% all`80% per il II stadio, dal 15% al 35% per il
III stadio (in alcune casistiche la sopravvivenza a 5 anni per pazienti allo stadio
IIIA sottoposti ad asportazione del trombo neoplastico, raggiunge il 50%), mentre
non supera il 10% per il IV stadio. Anche se il signifcato prognostico del diametro
tumorale controverso, la maggior parte degli autori concorda nel riconoscere
un aumentato rischio di metastasi a distanza per tumori di diametro maggiore.
Altri possibili fattori prognostici sono l`aspetto istologico, il grading nucleare, la
ploidia, l`espressione della p53. La prognosi migliore per tumori diagnosticati
accidentalmente piuttosto che per tumori sintomatici. Nella malattia metastatica
i fattori che devono essere considerati per la stratifcazione dei pazienti in base al
rischio sono lo stato di validit secondo Karnofsky (<80%), i livelli di LDH (>1.5
il limite superiore della norma), l`anemia, la calcemia, la precedente nefrectomia
(valutazione prognostica sec. Motzer). Hanno una prognosi favorevole pazienti
che non presentano alcuno di questi fattori di rischio (sopravvivenza mediana 20
mesi), prognosi intermedia pazienti con 1 o 2 fattori di rischio (sopravvivenza
mediana 10 mesi), prognosi sfavorevole quelli con t 3 fattori di rischio (soprav-
vivenza mediana 4 mesi). Il comportamento clinico inoltre meno aggressivo
quando vi un lungo intervallo tra la nefrectomia e la diagnosi di metastasi a
distanza o quando i polmoni sono il solo sito metastatico.
IX. Terapia
A. Chirurgia
1. Carcinoma renale clinicamente localizzato
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a. Indicazioni. La chirurgia la sola modalit terapeutica potenzialmente
curativa e viene effettuata per via transaddominale o retroperitoneale.
La nefrectomia eseguita in laparoscopia deve essere considerata spe-
rimentale.
Tabella 51.2. Stadiazione TNM del carcinoma renale
Tumore primitivo: T
TX
T0
Tumore primitivo non defnibile
Tumore primitivo non evidenziabile
T1
T1a
T1b
Tumore della dimensione massima di 7.0 cm, confnato al rene
Tumore d 4 cm
Tumore > 4 cm e d 7 cm
T2 Tumore > 7 cm, confnato al rene
T3
T3a
T3b

T3c
Tumore che invade le grosse vene o la ghiandola surrenale o i tessuti perirenali, ma non
oltre la fascia di Gerota
Tumore che invade la ghiandola surrenale o il tessuto perirenale ma non si estende oltre
la fascia di Gerota
Tumore che invade macroscopicamente la vena renale o la vena cava al di sotto del
diaframma
Tumore che invade macroscopicamente la vena cava al di sopra del diaframma
T4 Tumore che invade oltre la fascia di Gerota
Linfonodi regionali: N
NX
N0
I linfonodi regionali non possono essere defniti
Non linfonodi regionali metastatici
N1
N2
Metastasi in un singolo linfonodo regionale
Metastasi in pi linfonodi regionali
Nota. i linfonodi regionali sono quelli ilari, addominali paraaortici e paracavali. La
lateralit non incide sull`N
Nella classifcazione pTNM, per la defnizione di pN0 la linfoadenectomia regionale
deve includere t 8 linfonodi
Metastasi a distanza: M
MX La presenza di metastasi a distanza non pu essere defnita
M0 Assenza di metastasi a distanza
M1 Presenza di metastasi a distanza
Raggruppamento in stadi
Stadio I
Stadio II
Stadio III
Stadio IV
T1 N0 M0
T2 N0 M0
T1
T2
T3
N1
N1
N0,1
M0
M0
M0
T4
Ogni T
Ogni T
N0,1
N2
ogni N
M0
M0
M1
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b. Procedure
(1) Nefrectomia semplice. Trova indicazione in pazienti con malattia
metastatica in buone condizioni di validit o, con sole fnalit
palliative, per il controllo dell`ematuria e del dolore.
(2) Nefrectomia radicale. attualmente ritenuta la tecnica chirur-
gica di scelta. Consiste nell`asportazione della fascia di Gerota e
quindi di rene, surrene, tessuto adiposo perirenale. Viene inoltre
comunemente effettuata una linfoadenectomia regionale che
include la scheletrizzazione dei grandi vasi omolaterali. Per
tumori di grandi dimensioni (>T1) con interessamento linfono-
dale dimostrato all`intervento chirurgico, pu essere indicata la
linfoadenectomia retroperitoneale completa con scheletrizzazione
della vena cava inferiore e dell`aorta. La linfoadenectomia pu
essere invece omessa nel caso di tumori molto piccoli trattati
con chirurgia conservativa. In assenza di studi randomizzati con
casistiche omogenee per stadio ed istotipo, l`utilit terapeutica
della linfoadenectomia rimane incerta. La valutazione patologica
dello stato linfonodale fornisce comunque importanti informazioni
prognostiche e sembra possa avere un impatto favorevole sulla
prognosi in pazienti con malattia micrometastatica. Controverso
anche il ruolo della surrenectomia che, secondo alcuni autori,
potrebbe essere riservata a pazienti con tumori del polo superiore
del rene. Il surrene risulta infatti infltrato dalla neoplasia solo
in una piccola percentuale di casi (4%) e prevalentemente per
estensione diretta.
(3) Nefrectomia parziale. Un`indicazione assoluta alla nefrecto-
mia parziale, ove praticabile, rappresentata dalla presenza di
neoplasie in pazienti monorene o di carcinomi renali bilaterali.
L`esperienza clinica ha dimostrato che, in questi pazienti, la so-
pravvivenza non dissimile da quella di pazienti allo stesso stadio,
sottoposti a chirurgia radicale. In considerazione di ci, alcuni
autori ritengono indicato effettuare una chirurgia conservativa
anche in pazienti con normale funzione del rene controlaterale,
portatori di neoplasie piccole (diametro< 3-4 cm) e polari.
2. Carcinoma renale con interessamento della vena renale e della cava
a. Indicazioni. In assenza di lesioni metastatiche, vi indicazione ad
effettuare l`asportazione chirurgica del trombo neoplastico, in quanto
ci si traduce in un prolungamento della sopravvivenza.
b. Procedure. Se l`infltrazione neoplastica limitata alla vena renale,
quest`ultima viene legata distalmente al trombo ed escissa. Nei casi
in cui il trombo si estende alla cava inferiore, soprattutto se vi in-
fltrazione della parete del vaso, pu essere necessario effettuare la
resezione di un tratto della vena. L`asportazione di trombi neoplastici
estesi in senso craniale oltre il livello delle vene epatiche comporta
un approccio chirurgico impegnativo, con bypass cardiopolmonare ed
arresto cardiaco ipotermico. Anche in centri altamente specializzati
tale procedura gravata da una mortalit operatoria non inferiore al
5%.
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3. Recidiva locale
a. Indicazioni. Il trattamento chirurgico di un carcinoma renale reci-
divato nel letto tumorale deve essere preso in considerazione solo
in pazienti con buon PS e dopo un`accurata stadiazione. In consi-
derazione del fatto che alla recidiva locale spesso si accompagna
una ripresa della malattia in altri siti, alcuni autori suggeriscono di
ripetere la stadiazione a distanza di 3-6 mesi, prima di procedere
ad una chirurgia che spesso demolitiva e gravata da importante
morbilit.
4. Carcinoma renale con metastasi a distanza
a. Indicazioni. In casi selezionati, l`asportazione chirurgica di lesioni
metastatiche pu trovare indicazione quale mezzo terapeutico poten-
zialmente curativo. Recentemente stato rivalutato anche il ruolo della
nefrectomia nella malattia metastatica.
(1) Metastasectomia. I pazienti che hanno maggiori probabilit
di trarre benefcio dalla metastasectomia sono quelli che hanno
una sola lesione secondaria, soprattutto se polmonare, metacrona
rispetto al tumore primitivo, con un lungo intervallo dalla ne-
frectomia (maggiore di un anno). La sopravvivenza a 5 anni dopo
metastasectomia pari al 25-34%.
(2) Nefrectomia. Il ruolo della nefrectomia nella malattia metastatica
uno dei temi pi controversi nella terapia del carcinoma renale.
I sostenitori di tale approccio ritengono che la nefrectomia possa
rappresentare una sorta di chirurgia citoriduttiva, che consenta di
rimuovere una trappola per linfociti circolanti e ridurre una massa
tumorale potenzialmente immunosoppressiva. L`asportazione di
una possibile fonte di dolore ed emorragia pu inoltre determinare
un miglioramento del PS con conseguente migliore tolleranza
all`immunoterapia. In passato l`asportazione del rene veniva
eseguita anche con l`intento di promuovere la regressione delle
lesioni ripetitive. Due studi randomizzati pubblicati nel 2001 han-
no valutato l`impatto della nefrectomia che preceda un trattamento
adiuvante con IFND-2b in pazienti con buon PS. In entrambi si
evidenziato un vantaggio statisticamente signifcativo in termini
di tempo alla progressione e sopravvivenza mediana derivante
dalla nefrectomia.
B. Radioterapia
1. Radioterapia preoperatoria. Le esperienze cliniche fnora riportate in
letteratura non consentono di valutare in modo defnitivo il ruolo della
radioterapia preoperatoria.
2. Radioterapia adiuvante. Nella fase postoperatoria la radioterapia do-
vrebbe essere considerata in pazienti con neoplasia infltrante la fascia di
Gerota o con linfonodi regionali positivi. In casi con notevole estensione
locoregionale, infatti, l`aggiunta del trattamento radiante potrebbe mi-
gliorare il controllo locale, anche se non sembra avere un impatto sulla
sopravvivenza. I risultati negativi degli studi randomizzati nei quali
stato valutato il ruolo della radioterapia adiuvante non possono essere
considerati dirimenti, in quanto prevedevano piani di terapia subottimali.
In fase postoperatoria il trattamento prevede la somministrazione giorna-
TUMOR DEL RENE E DELL'URETERE 1349
liera di 180-200 cGy fno a raggiungere una dose totale di 4500 cGy. Il
campo di trattamento comprende il letto tumorale, i linfonodi paraaortici e
paracavali; alcuni radioterapisti, inoltre, ritengono opportuna l`inclusione
della cicatrice chirurgica.
3. Radioterapia nella fase metastatica. La radioterapia pu comportare un
benefcio clinico soprattutto in pazienti con metastasi ossee o cerebrali.
Vengono somministrate dosi giornaliere di 200-250 cGy fno a raggiungere
una dose totale di 4000-5000 cGy.
C. Chemioterapia. La spiccata resistenza alla chemioterapia, tipica del carcinoma
renale, probabilmente in gran parte correlata ad un`elevata espressione della
Pgp-170. Studi che prevedevano la somministrazione di agenti revertanti la MDR
in associazione a vinblastina hanno per dato risultati deludenti. Da una revisione
degli studi con vari schemi di chemioterapia (63 con monochemioterapia, 20 con
polichemioterapia) pubblicati tra il 1983 e il 1993, risulta che la percentuale di
risposte obiettive in 4093 pazienti valutabili pari al 6%. La durata mediana
della risposta peraltro molto breve. Le associazioni polichemioterapiche non
infuenzano la percentuale di risposte obiettive e risultano pi tossiche rispetto
alla monochemioterapia. Nessun agente chemioterapico pu essere considerato
standard. I risultati incoraggianti ottenuti nei primi studi con la vinblastina alla
dose di 4-6 mg/m
2
/sett, non sono stati confermati nelle successive sperimenta-
zioni. Attualmente si ritiene che questo farmaco abbia una modesta attivit nel
carcinoma renale con risposte obiettive nel 5% circa dei casi. Inattivi sono risultati
gli altri alcaloidi della vinca. Le percentuali pi alte di risposta sono state ripor-
tate con il 5-fuorouracile e soprattutto con la foxuridina in infusione continua
(risposte obiettive nel 10-20% circa dei casi). L`infusione cronomodulata, rispetto
all`infusione non modulata in base al ritmo circadiano, risulta meno tossica a
parit di effcacia. Una certa attivit antitumorale nel carcinoma renale sembra
essere posseduta dalla gemcitabina che recentemente stata utilizzata anche in
associazione con 5-fuorouracile in infusione continua o con la capecitabina con
risultati di un certo interesse.
D. Ormonoterapia. Studi preclinici che risalgono ai primi anni `50, hanno di-
mostrato un ruolo degli estrogeni nella cancerogenesi renale. Nei criceti, alte
dosi di progesterone o la chirurgia ablativa (surrenectomia e orchiectomia)
possono, inoltre, inibire la crescita tumorale. Queste osservazioni, unita-
mente alla identifcazione di recettori ormonali sulla superfcie delle cellule
del carcinoma renale, hanno indotto ad utilizzare l`ormonoterapia. L`agente
ormonale maggiormente utilizzato stato il medrossiprogesterone acetato;
l`esperienza clinica ha per dimostrato che esso privo di attivit antitumorale
nel carcinoma renale (risposte nell`1-2% dei casi) e produce solo un certo
benefcio sintomatologico. Recenti linee di ricerca mirano a valutare il ruolo
del medrossiprogesterone acetato in associazione ad immunoterapia in consi-
derazione della dimostrata capacit di questo agente di modulare la liberazione
di citochine. Anche il tamoxifene stato utilizzato nel carcinoma renale, pre-
valentemente ad alte dosi (100-150 mg/m
2
/die), sia come agente singolo, sia in
associazione con citochine. I risultati riportati non incoraggiano ad utilizzare
ulteriormente questo farmaco nel trattamento di questa neoplasia, essendo
in grado di produrre risposte solo occasionali. Vi sono infne segnalazioni di
una possibile modesta attivit del toremifene, del testosterone propionato e
dell`antiandrogeno futamide.
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 1350
E. Immunoterapia. Il carcinoma renale pu avere un comportamento clinico
imprevedibile, con lunghi intervalli liberi da progressione e, talvolta, anche con
regressioni spontanee. Ci induce a ritenere che le difese immunitarie possano
avere un ruolo importante nel modifcare la storia naturale della malattia. Que-
ste osservazioni, unitamente ai risultati deludenti riportati con le altre modalit
di terapia medica, hanno indotto ad utilizzare ampiamente i modifcatori della
risposta biologica, che attualmente rappresentano il trattamento di scelta nel
carcinoma renale metastatizzato. In un recente studio retrospettivo che ha valu-
tato la sopravvivenza mediana in pazienti sottoposti ad immunoterapia o ad altri
trattamenti medici non comprendenti l`immunoterapia, la sopravvivenza mediana
risultata maggiore per i pazienti trattati con modifcatori della risposta biologica
indipendentemente dalla categoria di rischio pretrattamento (27 vs 15 mesi per
i pazienti con prognosi favorevole, 12 vs 7 mesi per il rischio intermedio, 6 vs
3 mesi per l`alto rischio). Alcuni autori suggeriscono che la valutazione della
risposta terapeutica all`immunoterapia debba seguire criteri diversi rispetto a
quelli utilizzati per gli antiblastici: la cinetica della risposta mediata dal sistema
immunitario pu, infatti, essere pi lenta e ad un iniziale aumento dimensionale
delle lesioni valutabili pu far seguito la regressione delle stesse.
1. Immunoterapia adiuvante. Allo stato attuale delle conoscenze non vi
sono indicazioni ad effettuare un trattamento adiuvante nel carcinoma
renale. Sono stati fnora pubblicati i risultati di tre studi randomizzati
nei quali il trattamento postoperatorio con diversi tipi di interferone
(IFND-2a, IFND-2b, IFN linfoblastico) stato confrontato con la sola
osservazione. In nessuno di essi si evidenziato un vantaggio associato
con il trattamento adiuvante e in uno studio italiano emerso che la
somministrazione di IFND-2b alla dose di 6 MU s.c. tre volte a settima-
na per 6 mesi, pu avere un impatto negativo nei pazienti con linfonodi
istologicamente negativi. Al contrario, nel piccolo sottogruppo di pazienti
con esteso interessamento linfonodale (pN2, pN3), il trattamento sembra
poter conferire un vantaggio in sopravvivenza libera da malattia. Natural-
mente questi risultati vanno confermati in sperimentazioni con adeguato
potere statistico. Molto limitati sono anche i dati relativi al trattamento
adiuvante con interleuchina-2. L`immunoterapia attiva specifca con
vaccini attualmente in fase di studio. In un ampio studio randomizzato
nel quale stato valutato l`impatto del trattamento con lisato di cellule
tumorali rispetto alla sola osservazione, la terapia vaccinica ha determi-
nato un vantaggio statisticamente signifcativo in sopravvivenza libera da
malattia.
2. Carcinoma renale metastatico.
a. Interferone. L`attivit antitumurale degli interferoni stata ampiamente
documentata in numerosi studi preclinici e clinici. L`interferone D2a/b
quello maggiormente utilizzato, con percentuali di risposte oggettive
del 10-15% e durata mediana della risposta di circa 6-10 mesi. In una
piccola percentuale di pazienti si possono avere remissioni complete
della malattia, la cui durata pu essere anche lunga. Il tempo alla rispo-
sta mediano di 3 mesi. Non vi una chiara relazione dose/risposta ma
il miglior indice terapeutico si osserva con dosi complessive settimanali
comprese tra 20 e 40 MU. Anticorpi anti-interferone D2a sono stati
rinvenuti nel 14-63% dei casi nel siero di pazienti in trattamento con
TUMOR DEL RENE E DELL'URETERE 1351
tale citochina; resta da defnire se tale reazione anticorpale infuenzi la
risposta terapeutica. Fattori predittivi di risposta all`interferone sono
un buono stato di validit, una massa tumorale limitata, la presenza di
lesioni ripetitive polmonari quale unico sito metastatico. Soprattutto
in sottogruppi di pazienti con queste caratteristiche il trattamento
con interferone pu comportare un signifcativo miglioramento della
prognosi. Recentemente sono stati pubblicati due studi randomizzati
che hanno confrontato IFN-D2a vs medrossiprogesterone acetato e
l`associazione di IFND-2a e vinblastina vs vinblastina. In entrambi,
il trattamento con interferone ha determinato un vantaggio statistica-
mente signifcativo in termini di sopravvivenza mediana.Alcuni studi
sono stati condotti anche con interferone E e J; sono state osservate
risposte obiettive, rispettivamente, nel 6-20% e 0-15% dei casi. Il
sinergismo d`azione tra interferone e retinoidi, evidenziato in alcune
sperimentazioni in vitro, ha indotto ad utilizzare l`associazione di
acido 13-cis retinoico ed interferone D con l`intento di incrementare
l`attivit antitumorale di questa citochina. I risultati degli studi clinici
fnora condotti sembrano indicare una maggiore durata della risposta
a spese, per, di una peggiore qualit della vita.
b. Interleuchina-2 (IL-2). L`interleuchina-2 stata utilizzata nel carcinoma
renale con vari dosaggi e diversi schemi di somministrazione (Tabella
51.3). Allo stato attuale delle conoscenze, non possibile individuare
un regime di trattamento che possa essere considerato standard. Da una
revisione degli studi con questa citochina come agente singolo o in as-
sociazione con cellule LAK o con interferone, risulta che la percentuale
di risposte oggettive pari al 16%. I primi studi sono stati condotti con
IL-2 ad alte dosi in bolo, secondo uno schema che prevedeva la som-
ministrazione di 600.000-720.000 UI/kg e.v. ogni 8 ore nei giorni 1-5 e
15-19, per un massimo di 28 dosi, ripetute ad intervalli di 6-12 settimane.
Questo schema stato approvato nel 1992 dalla Food and Drug Admini-
stration statunitense per il trattamento del carcinoma renale metastatico.
Un recente aggiornamento dei risultati ottenuti in 255 pazienti arruolati
in 21 diverse istituzioni, ha riportato una percentuale di risposte pari al
15% (7% di risposte complete); il dato pi interessante quello relativo
alla durata della risposta, la cui mediana di 54 mesi (20 mesi per le
remissioni parziali, non ancora raggiunta, con un range di 7-107+ mesi
Tabella 51.3. Interleuchina-2 r IFND o LAK nel carcinoma renale metastatico
RC= Risposta completa; i.c.= infusione continua. (Modifcata da: Figlin RA, J Urol, 1999)
Agente terapeutico N pazienti % Risposta % RC
IL-2
Endovena bolo
Endovena i.c.
Sottocute
IL-2 + IFND
IL-2 + LAK
733
789
190
1411
461
11.3
10.9
14.7
16.2
14.8
5.2
2.7
3.2
4.4
6.3
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 1352
per le risposte complete). Risposte sono state osservate in tutti i siti e
anche in pazienti con masse tumorali di grandi dimensioni. La tossicit
del trattamento, che richiede ricovero in reparti di terapia intensiva ed
un`attenta selezione dei pazienti, ha indotto a sperimentare schemi di
somministrazione alternativi. Presso il National Cancer Institute stato
condotto uno studio di confronto tra alte e basse dosi di IL-2 in bolo
endovenoso (720.000 UI/kg vs 72.000 UI/kg ogni 8 ore); un terzo braccio
di trattamento con basse dosi di IL-2 sottocute, stato aggiunto in una
seconda fase della sperimentazione. La percentuale di risposte obiettive
risultata pi elevata nei pazienti trattati con le alte dosi (21% vs 13%
per le basse dosi di IL-2 e.v., vs 10% per le basse dosi di IL-2 s.c.) ma
non vi differenza in sopravvivenza mediana. La durata della risposta
e la sopravvivenza dei pazienti che hanno raggiunto una remissione
completa con le alte dosi sono maggiori rispetto ai pazienti in remissione
completa dopo un trattamento con le dosi pi basse di IL-2. In altre
sperimentazioni, nelle quali stata utilizzata IL-2 per via sottocutanea,
le percentuali di risposta si attestano intorno al 18%. La breve emivita di
IL-2 ha indotto numerosi ricercatori a somministrare questa citochina per
infusione continua a dosi variabili da 9 a 18 MUI/m
2
/die. L`infusione
continua di alte dosi di IL-2 ha prodotto risultati sovrapponibili a quelli
delle alte dosi in bolo, sia in termini di percentuali, che di durata della
risposta. Anche se la tossicit di questo tipo di trattamento comunque
rilevante, essa appare pi maneggevole.
Tra i fattori predittivi di risposta ad IL-2, il pi importante lo stato di
validit; le metastasi epatiche, la presenza di multipli siti di malattia,
un intervallo tra la nefrectomia e l`inizio del trattamento minore di 6
mesi o la non avvenuta nefrectomia sono ritenuti fattori sfavorevoli.
In assenza di studi randomizzati, non possibile valutare l`impatto
di IL-2 sulla sopravvivenza, anche se la lunga durata delle risposte a
questa citochina fa ritenere probabile un prolungamento della soprav-
vivenza in alcuni sottogruppi di pazienti.
c. Interleuchina-2 e interferone. Numerosi studi hanno valutato l`attivit
dell`associazione di IL-2 ed interferone D, entrambi utilizzati a vari
livelli di dose e con diverse modalit di somministrazione. In oltre
1.200 pazienti trattati, la percentuale di risposte si attesta intorno al
20%. Per confrontare l`attivit dell`associazione delle due citochine
con quella del solo interferone D o della sola IL-2 in infusione continua,
stato condotto uno studio randomizzato nel quale sono state riportate
risposte obiettive, rispettivamente, nel 18.6%, 7.5% e 6.5% dei casi,
con sopravvivenza mediana sovrapponibile nei diversi bracci di trat-
tamento. Un possibile potenziamento dell`attivit di IL2 e IFNDpu
derivare dall`associazione con istamina. L`istamina, legandosi ai re-
cettori H2 presenti sulla superfcie di monociti e macrofagi, determina
inibizione del rilascio di radicali liberi dell`ossigeno e potenziamento
dell`attivit delle cellule NK e dei linfociti T, che sono i principali
mediatori dell`attivit di IL-2 e IFN (Fig. 51.1).
d. Immunoterapia adottiva. La somministrazione di cellule LAK con
IL-2 non ha migliorato i risultati rispetto a quelli riportati con la sola
IL-2. Studi randomizzati hanno, infatti, dimostrato che l`aggiunta
TUMOR DEL RENE E DELL'URETERE 1353
delle LAK non comporta un benefcio in termini di risposte e di so-
pravvivenza, mentre si associa ad una maggiore tossicit polmonare.
Ancora in fase di valutazione il ruolo dei linfociti T citotossici isolati
da masse neoplastiche primitive o metastatiche (TILs) ed attivati in
vitro in presenza di cellule neoplastiche autologhe e IL-2.
e. Trapianto allogenico di cellule staminali con regime di condizio-
namento non mieloablativo. una forma di immunoterapia adottiva
che agisce mediante un meccanismo di tipo graft vs tumor. Le risposte
sono spesso ritardate e sono associate, ma non dipendenti, alla GVHD.
Tale approccio terapeutico stato utilizzato in tumori solidi refrattari
ad altri tipi di trattamento e le maggiori esperienze sono state riportate
proprio nel carcinoma renale. In questa patologia l`allotrapianto rappre-
senta sicuramente una delle opzioni terapeutiche pi promettenti e nei
primi studi clinici sono state ottenute risposte obiettive nel 12-42% dei
casi, con risposte complete di lunga durata. Pazienti che erano andati
in progressione con IFN prima del trapianto sono risultati responsivi
alla stessa citochina al momento della progressione dopo il trapianto.
Il principale limite di questa metodica consiste nel fatto che pu essere
applicata solo in una minoranza di casi.
f. Chemio-immunoterapia. La dimostrazione di un sinergismo in vitro tra
interferone ed alcuni farmaci antiblastici (doxorubicina, ciclofosfamide,
fuorouracile, vinblastina) ha indotto a sperimentare tali associazioni. I
risultati di questi studi sono stati deludenti, con percentuali di risposta
quasi sempre sovrapponibili a quelle riportate con il solo interferone e,
comunque, senza alcun prolungamento della sopravvivenza. Anche l`as-
sociazione di IL2/IFND stata utilizzata con l`aggiunta della chemiote-
rapia. Un`elevata percentuale di risposte obiettive (40%, con l`11% di
risposte complete) stata riportata inizialmente da Atzpodien et al. con
la combinazione di IL2, IFNDe 5-fuorouracile. In un recente studio
randomizzato che ha confrontato l`associazione IFND + vinblastina vs
IFND + IL 2 + 5-fuorouracile acido 13 cis-retinoico, stato rilevato
un vantaggio statisticamente signifcativo in sopravvivenza mediana
per i bracci di trattamento comprendenti IL2 e 5-fuorouracile.
g. Anticorpi monoclonali. Sono stati fnora identifcati diversi anticorpi
monoclonali che mostrano reattivit nei confronti di antigeni superf-
ciali di cellule di carcinoma renale. WX-G250 un anticorpo mono-
Fig. 51.1. Modulazione della risposta immunitaria mediata dall`istamina
Istamina
Recettore H2
Monociti/macrofagi
Radicali
dell`ossigeno
NK/T
nattivit
nrisposta a
IL2/IFN
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 1354
clonale chimerico che si lega ad un antigene presente nel 95% delle
cellule di carcinoma renale di tipo convenzionale. Sono attualmente
in corso le prime sperimentazioni con WX-G250 come agente singolo
o in associazione con IL-2. Di un certo interesse sono i risultati otte-
nuti con bevacizumab, un anticorpo monoclonale anti VEGF: in uno
studio randomizzato, il trattamento con questo anticorpo alla dose di
10 mg/kg ha prodotto un prolungamento del tempo alla progressione
rispetto al placebo. Del tutto deludenti sono, invece, i risultati ottenuti
con cetuximab, un anticorpo monoclonale anti EGFR.
h. Vaccini e terapia genica Strategie di terapia vaccinica sono attualmente
in fase di valutazione. Una delle principali linee di ricerca utilizza lisati
di cellule tumorali o cellule renali autologhe transfettate con i geni che
codifcano per alcune citochine. L`allestimento di vaccini con proteine
dello shock termico, richiede una grossa quota di tessuto tumorale
(circa 7 g): attualmente questo approccio terapeutico viene valutato nel
carcinoma renale nell`ambito di uno studio internazionale di fase III.
i. Agenti antiangiogenetici. La terapia antiangiogenetica rappresenta
uno degli approcci terapeutici concettualmente pi interessanti nelle
neoplasie renali. Nel carcinoma renale di tipo convenzionale, infatti,
la mutazione del gene VHL determina un`alterata regolazione degli
induttori dell`angiogenesi HIF1a e HIF2a, con conseguente alterata
regolazione di VEGF. I principali agenti antiangiogenetici, alcuni
dei quali sono gi entrati in una fase avanzata di sperimentazione nel
carcinoma renale, sono riportati nella Tabella 51.4. La talidomide,
oltre all`attivit antiangiogenetica, ha un`azione immunomodulante
ed antiproliferativa. stata utilizzata come agente singolo (risposte
obiettive comprese tra il 5 e il 10%) o in associazione con IL2 o con
IFN. In base ai risultati di un recente studio randomizzato, l`aggiunta
della talidomide all`interferone D determina un miglioramento signif-
cativo del tempo alla progressione a spese, per, di un peggioramento
della qualit di vita. AE-941 (Neovastat) un agente antiangiogenetico
multifunzionale che agisce inibendo le metalloproteasi della matrice
e l`attivit di VEGF. attualmente in corso uno studio di fase III che
confronta questo agente con il placebo.
j. Analoghi della rapamicina. La rapamicina e i suoi analoghi hanno un
peculiare meccanismo d`azione antitumorale che si esplica mediante
inibizione del mammalian target of rapamycin (mTOR) con conse-
guente arresto del ciclo cellulare nella fase G1. Incoraggianti sono i
risultati dei primi studi con l`analogo della rapamicina CCI-779.
Tabella 51.4. Principali agenti antiangiogenetici nel carcinoma renale
Agente Bersaglio
IFND
Talidomide
AE-941 (Neovastat)
PPK787/ZK222584
SU11248
BAY 43-9006
Bevacizumab
bFGF
bFGF, VEGF, TNFD
VEGF, MMP
VEGFR
PDGFR, VEGFR, KIT, FLT3
PDGFR, VEGFR
VEGFR
TUMOR DEL RENE E DELL'URETERE 1355
IX. Follow-up
A. Linee-guida generali. La strategia di follow-up nel carcinoma renale deve
essere modulata in base allo stadio e al tipo di intervento chirurgico. Se si
escludono pazienti sottoposti a nefrectomia parziale o affetti da malattia
cistica acquisita o con sindrome di VHL, nei quali indicata una stretta
sorveglianza, negli altri casi non necessario eseguire controlli ravvicinati.
Per tumori di diametro <7 cm, confnati al rene, suffciente eseguire una
radioterapia standard del torace e l`esame obiettivo ogni 6 mesi per 3 anni e
successivamente una volta l`anno per 3-5 anni. Opzionale in questi pazienti
l`ecografa o la TC della loggia renale. Per tumori di maggiori dimensioni o
con interessamento linfonodale, l`Rx del torace deve essere eseguito ogni 6
mesi per i primi 3 anni e successivamente ogni 12 mesi per 3-10 anni. Con la
stessa cadenza deve essere effettuata, inoltre, l`ecografa o la TC dell`addome.
Ulteriori esami strumentali, quali la TC dell`encefalo e la scintigrafa ossea
devono essere eseguiti solo in presenza di specifci segni e sintomi.
Tumori della pelvi renale e dell`uretere
I. Epidemiologia
A. Incidenza. I tumori che originano dai calici, pelvi renale ed uretere sono
rari, rappresentando circa il 5% delle neoplasie dell`apparato urinario e meno
del 5% dei tumori renali. L`incidenza invece elevata nella regione dei
Balcani, dove endemica una nefropatia familiare caratterizzata da processi
infammatori ad andamento indolente dell`interstizio renale. Le neoplasie che
insorgono in questa popolazione sono comunemente superfciali e a crescita
lenta. Negli ultimi 20 anni si registrato un aumento dell`incidenza delle
neoplasie ureterali.
B. Sesso. Vi una predilezione per il sesso maschile (rapporto maschi/femmine:
2/1).
C. Et. Il picco di incidenza si ha tra la quinta e la sesta decade di vita.
D. Molteplicit. I tumori a cellule transizionali delle vie escretrici sopravescicali
possono essere multifocali, soprattutto se si tratta di carcinomi in situ. Nei
portatori di tali neoplasie vi , inoltre, un rischio elevato di sviluppare tumori
vescicali sincroni o metacroni; al contrario, pazienti con carcinoma della vescica
hanno una probabilit di sviluppare tumori delle alte vie escretrici non superiore
al 2-3%. Pi alta infne la frequenza di carcinomi in situ della vescica che si
associano in una fase successiva a carcinomi in situ della pelvi o dell`uretere.
II. Eziologia. Il fumo di sigaretta, alcuni analgesici che contengono fenacetina e
fenazone e le attivit lavorative che comportano l`esposizione a sostanze chimiche
quali gli idrocarburi policiclici aromatici, sono considerati fattori di rischio per
le neoplasie delle alte vie escretrici urinarie, cos come per i tumori a cellule
transizionali della vescica. Il fattore etiologico della nefropatia dei Balcani non
noto; si ritiene comunque che nella eziopatogenesi di tale patologia rientrino
fattori ambientali.
III. Biologia molecolare. Studi di genetica molecolare hanno evidenziato nei tumori
a cellule transizionali della vescica, perdita di eterozigosit in corrispondenza
dei cromosomi 11p, 9q, 17p. Si ritiene pertanto che nella patogenesi dei tumori
della vescica e verosimilmente anche nei tumori a cellule transizionali delle alte
vie escretrici, siano implicati geni oncosoppressori. La mutazione pi frequente
nelle neoplasie della pelvi renale e dell`uretere a carico del cromosoma 9.
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 1356
IV. Patologia e storia naturale
A. Istologia. Oltre il 90% dei tumori della pelvi renale e dell`uretere sono car-
cinomi a cellule transizionali, con caratteristiche analoghe a quelli ad origine
dalla vescica. Istotipi rari sono l`adenocarcinoma e il carcinoma squamoso
(7% dei tumori della pelvi renale), che comunemente sessile e si associa
spesso a processi fogistici. Vi sono infne sporadiche segnalazioni di sarcomi,
carcinosarcomi e lesioni metastatiche da primitivo mammario, del colon, del
retto, della cervice uterina, della prostata e della vescica.
B. Storia naturale. I tumori delle alte vie escretrici urinarie possono dare
metastasi per estensione diretta, per esfoliazione, per via ematogena o lin-
fatica. La sede pi frequente di localizzazione secondaria rappresentata
dalle stazioni linfonodali regionali, ma metastasi possono essere riscontrate
a livello polmonare, epatico, osseo e a carico di pressoch tutti gli organi.
V. Diagnosi
A. Segni e sintomi. Il sintomo pi comune l`ematuria che presente nel
70-95% dei pazienti con neoplasie della pelvi e dell`uretere. Il dolore,
che pu presentarsi in forma di colica e irradiarsi verso l`inguine, viene
riferito nell`8-40% dei casi. Talvolta la sintomatologia dolorosa correlata
all`ostruzione della via escretrice. I tumori del tratto terminale dell`uretere
provocano pollachiuria nel 5-10% dei casi. Una massa addominale palpabile
pu essere riscontrata nel 10-20% dei pazienti allorch il tumore raggiunge
un`estensione massiva extrarenale e/o si instaura idronefrosi.
B. Esami diagnostici. L`esame citologico delle urine, preferibilmente su cam-
pioni prelevati selettivamente nella via escretrice interessata dalla neoplasia,
un esame diagnostico con una buona specifcit ma con una sensibilit
limitata soprattutto per tumori a basso grado di differenziazione. L`urografa
pu evidenziare difetti di riempimento in corrispondenza della pelvi renale o
dell`uretere, idronefrosi, mancata visualizzazione di un uretere. Nei casi in
cui l`urografa non consente la visualizzazione delle vie escretrici urinarie,
pu essere indicata la pielografa retrograda. La tomografa computerizzata
(TC) con software dedicato per lo studio delle vie escretrici urinarie una
metodica estremamente sensibile che si sta sempre pi sostituendo alla pie-
lografa endovenosa. La TC pu consentire, inoltre, di valutare l`estensione
locale e a distanza della neoplasia. L`ureteroscopia, oltre a consentire la
visualizzazione dell`uretere e della pelvi renale, una metodica diagnostica
mediante la quale possono effettuarsi prelievi bioptici. La complicanza pi
temibile dell`ureteroscopia la perforazione ureterale.
C. Diagnosi differenziale. Un difetto di riempimento dovuto ad una neoplasia
della pelvi renale o dell`uretere deve essere differenziato da altre lesioni in-
trinseche delle vie urinarie quali calcoli o coaguli o da lesioni che provocano
compressione estrinseca.
VI. Prevenzione. Per quanto riguarda la prevenzione primaria, va sicuramente
raccomandata l`eliminazione dell`abitudine al fumo di sigaretta e la riduzione
dell`esposizione ai cancerogeni ambientali. Nella popolazione ad alto rischio,
soprattutto in individui cui sia stata diagnosticata in precedenza una neoplasia
a cellule transizionali, pu essere utile effettuare uno screening che consenta la
diagnosi delle neoplasie uroteliali in una fase precoce (citologia urinaria, cito-
metria a fusso).
TUMOR DEL RENE E DELL'URETERE 1357
VII. Stadiazione. Un tipo di classifcazione delle neoplasie pelviche, basato sull`esten-
sione della malattia, stato proposto da Batata e Grabstald: neoplasie allo stadio
0 sono confnate alla mucosa, allo stadio A sono estese fno alla lamina propria,
allo stadio B infltrano la muscolare, allo stadio C si estendono al parenchima
renale o al tessuto adiposo adiacente alla pelvi renale, mentre lo stadio D indica
la presenza di metastasi a distanza. Il sistema di stadiazione pi utilizzato
comunque il TNM (Tabella 51.5).
VIII. Prognosi. I principali fattori determinanti la prognosi sono il grado di diffe-
renziazione e l`estensione del tumore. In particolare, la sopravvivenza a 5 anni
varia dal 56% per tumori ben differenziati al 16% per neoplasie scarsamente
differenziate. Sono considerati a prognosi estremamente favorevole carcinomi
papillari non invasivi (Ta) ben differenziati o moderatamente differenziati; sono
a prognosi intermedia carcinomi T1 o carcinomi multifocali. Infne hanno una
Tabella 51.5. Stadiazione TNM dei tumori della pelvi renale e dell`uretere
Tumore primitivo: T
TX
T0
Tumore primitivo non defnibile
Tumore primitivo non evidenziabile
Ta
Tis
T1
Carcinoma papillare non invasivo
Carcinoma in situ
Tumore che invade il tessuto connettivo subepiteliale
T2 Tumore che invade la muscolare
T3 Pelvi renale: Tumore che invade oltre la muscolare il grasso peripelvico o il parenchima
renale
Uretere: Tumore che invade oltre la muscolare il grasso periureterale
T4 Tumore che invade gli organi adiacenti o il tessuto adiposo perirenale infltrando il
parenchima renale
Linfonodi regionali: N
NX
N0
I linfonodi regionali non possono essere defniti
Non linfonodi regionali metastatici
N1
N2
N3
Metastasi in un singolo linfonodo d 2 cm
Metastasi in un singolo linfonodo > 2 cm e d 5 cm, o metastasi in pi linfonodi d 5 cm
Metastasi in uno o pi linfonodi > 5 cm
Metastasi a distanza: M
MX La presenza di metastasi a distanza non pu essere defnita
M0 Assenza di metastasi a distanza
M1 Presenza di metastasi a distanza
Raggruppamento in stadi
Stadio 0a
Stadio 0is
Stadio I
Stadio II
Stadio III
Stadio IV
Ta N0 M0
Tis N0 M0
T1 N0 M0
T2 N0 M0
T3 N0 M0
T4
ogni T
ogni T
N0
N1,N2,N3
ogni N
M0
M0
M1
ONCOLOGA MEDCA PRATCA 1358
prognosi sfavorevole (sopravvivenza a 5 anni del 25-28%) carcinomi in situ
scarsamente differenziati, che presentano recidive infltranti a breve termine, o
tumori con infltrazione della muscolare.
IX. Terapia
A. Chirurgia. La nefrectomia associata ad asportazione in toto dell`uretere e
della parete vescicale adiacente al meato ureterale il trattamento chirur-
gico di scelta nelle neoplasie delle vie escretrici urinarie sopravescicali. La
preservazione dell`uretere comporta, infatti, un rischio aumentato di reci-
dive vescicali e del moncone ureterale (rilevate nel 30% circa dei pazienti
trattati con chirurgia conservativa), che possono essere causate almeno in
parte dall`impianto di cellule tumorali desquamate durante l`intervento chi-
rurgico. Tale rischio particolarmente elevato per neoplasie scarsamente
differenziate. Una chirurgia conservativa con preservazione del rene pu
essere presa in considerazione nelle neoplasie monofocali del tratto distale
dell`uretere, soprattutto se a basso grado di differenziazione, in quanto un
evento infrequente la disseminazione di cellule tumorali per via canalicolare
ascendente. In questi casi, una chemio o immunoproflassi topica realizzata
mediante nefrostomia, un trattamento sperimentale i cui risultati preliminari
sembrano essere incoraggianti. Altre indicazioni per la chirurgia conservativa
sono la compromissione della funzione renale, la presenza di lesioni bilate-
rali, la nefropatia dei Balcani, o casi selezionati di tumori del terzo medio
o superiore dell`uretere con basso grado di differenziazione ed estensione
limitata. In casi selezionati stato utilizzato anche un approccio percutaneo
o endoscopico per la resezione di neoplasie a basso grado della pelvi renale.
La linfoadenectomia regionale, proposta in particolare per neoplasie della
pelvi renale, non ha un chiaro impatto sulla prognosi.
B. Radioterapia. Studi clinici con casistiche limitate suggeriscono che la ra-
dioterapia adiuvante possa avere un ruolo nel ridurre il rischio di recidive in
neoplasie scarsamente differenziate e particolarmente estese o in presenza
di residuo di malattia dopo l`intervento chirurgico.
C. Chemioterapia. Le neoplasie a cellule transizionali dell`uretere e della pelvi
renale sono sensibili a trattamenti chemioterapici comprendenti cisplatino. Tra
gli schemi pi attivi vanno citati l`associazione di cisplatino e gemcitabina e il
regime M-VAC (metotrexate, vinblastina, adriamicina, cisplatino), che sembra
essere pi attivo nei carcinomi delle alte vie escretrici rispetto alle neoplasie
vescicali. Non vi sono studi controllati che consentano di valutare il ruolo della
chemioterapia adiuvante nel carcinoma dell`uretere e della pelvi renale.
X. Follow up. Non vi sono linee guida defnite per il follow up di pazienti operati
per neoplasie delle alte vie escretrici urinarie. Tuttavia, in considerazione della
frequente molteplicit e multicentricit delle neoplasie a cellule transizionali, pu
essere utile eseguire periodicamente (ogni 3 mesi per i primi due anni, ogni 6 mesi
per i successivi tre anni ed infne con cadenza annuale) l`esame citologico delle
urine, associato ad esami strumentali (TC, ecografa) che consentano di riconoscere
precocemente tumori metacroni, recidive locali o metastasi a distanza.
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