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FILOSOFIA (CLASSI QUINTE) Johann Gottlieb Fichte (parte terza)

Indice: 1. La conoscenza. 2. Limmaginazione produttiva. 3. La realt del non-io e la conoscenza. 4. I gradi della conoscenza. 5. Lio come attivit conoscente. 6. Lidealismo etico. 7. Linfinito come ideale etico. 8. La societ. 9. Il dotto. 10. Il perfezionamento morale delluomo. 1. La conoscenza. La conoscenza (definita da Fichte rappresentazione) deriva cos come lazione morale dallattivit reciproca dellIo e del non-io: lIo pone il non-io e questultimo agisce sullIo, dando luogo alla rappresentazione (la quale si configura, pertanto, come unattivit riflessa del non-io). , in definitiva, possibile definire Fichte nello stesso tempo come idealista (poich antepone lIo al non-io) e come realista (poich il non-io agisce sullIo). 2. Limmaginazione produttiva. Il non-io si configura come qualcosa che segue lIo (un effetto dellIo); tuttavia, esso viene inteso come qualcosa che precede lIo (sussistendo in modo autonomo e indipendente dallIo). LIo si pone, pertanto, come causa di una realt della quale non consapevole; tale contraddizione risolta da Fichte con il ricorso allimmaginazione produttiva, attraverso la quale secondo il filosofo si produce la materia, loggetto della conoscenza (e non soltanto la forma di essa, cos come in Kant). 3. La realt del non-io e la conoscenza. Fichte giustifica il fatto che limmaginazione produttiva sia inconsapevole affermando che essa d luogo alla creazione delloggetto, non limitandosi a recepirne lesistenza (potrebbe prendere coscienza delloggetto soltanto se lo avesse gi davanti a s). Il filosofo osserva che il non-io non apparente (cos come si potrebbe affermare guardando alla derivazione di esso dallIo), ma reale; il non-io destinato ad agire sullio empirico, determinando in tal modo la conoscenza. 4. I gradi della conoscenza. Luomo giunge a riappropriarsi del non-io attraverso cinque gradi della conoscenza: I) sensazione (lio empirico percepisce loggetto come posto al di fuori di s); II) intuizione (loggetto riceve una collocazione secondo coordinate spazio-temporali); III) intelletto (le percezioni spazio-temporali vengono categorizzate); IV) giudizio (attuazione di una sintesi intellettiva, produzione di un concetto); V) ragione (facolt di astrarre da ogni oggetto in generale, corrispondente al livello pi elevato di conoscenza).

5. Lio come attivit conoscente. La conoscenza si configura, in Fichte, come unazione del non-io sullio (entrambi finiti); il non-io esercita, pertanto, uninfluenza sullio (realismo), ma contemporaneamente si configura come un prodotto dellio (idealismo): per tale motivo Fichte si definisce, nello stesso tempo, realista e idealista. Lesistenza di un io conoscente (finito) resa possibile dal fatto che lIo (infinito) pone il non-io; ma tutto ci non contribuisce, in definitiva, a spiegare perch lIo pone il non-io, qualificandosi come attivit conoscente. 6. Lidealismo etico. Fichte ritiene che la giustificazione di tale fatto consista nella possibilit di agire propria dellio, in quanto attivit conoscente. , questa, una motivazione di carattere pratico (inerente alla sfera dellazione morale): gli uomini, secondo il filosofo, conoscono per poter agire (lio pratico si pone come la ragione stessa dellio teoretico) e il mondo rappresenta esclusivamente lambito delle azioni umane. Tali affermazioni motivano la definizione riferita al pensiero fichtiano di idealismo etico. 7. Linfinito come ideale etico. Lagire umano possiede, per Fichte, un carattere morale perch corrisponde a un imperativo: lattivit pratica tende a far s che la virt (liniziativa, lattivit) prevalga sul vizio (linerzia, la passivit); essa implica, in altri termini, laffermarsi dello spirito sulla materia. La tendenza propria dellIo a costituirsi come attivit morale corrisponde allo sforzo continuamente attuato di superare il limite imposto dal non-io: mediante tale sforzo lIo tende verso linfinito (il quale, pertanto, si configura come ideale etico). 8. La societ. Il fine dellesistenza umana , per Fichte, la libert (intesa come libera attivit dello spirito e come processo infinito della conoscenza); tale finalit non deve essere riferita dalluomo soltanto a se stesso, ma anche agli altri uomini (il dovere morale richiede la partecipazione di tutti gli io finiti). Luomo deve compiere una missione sociale: egli [] ha la missione di vivere in societ, in vista della completa unit di tutti i suoi membri (J.G. Fichte, Lezioni sulla missione del dotto, 1794). 9. Il dotto. Fichte ritiene che le maggiori responsabilit in riferimento alla societ e ai fini che essa si propone spettino al dotto (lintellettuale); a tale figura sono dedicate le Lezioni sulla missione del dotto (1794). Il dotto deve rappresentare una guida per la societ (non deve agire su di essa se non con mezzi morali, afferma il filosofo): a lui affidato il compito di istruire gli uomini sulle loro necessit e sugli strumenti da adottare affinch esse siano soddisfatte. Egli , per sua destinazione, il maestro del genere umano. 10. Il perfezionamento morale delluomo. Il dotto deve tendere al perfezionamento morale delluomo (fine supremo di ogni singolo uomo, come della societ tutta intera). dovere del dotto di mirare sempre a questo fine ultimo e di tenerlo presente in tutta la sua attivit sociale. Ma non potr mai lavorare con successo per il perfezionamento morale chi non , per conto suo, un uomo buono... Perci il dotto, considerato per quest'ultimo riguardo, deve essere l'uomo moralmente migliore del suo tempo.

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