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Appunti di Gnoseologia I

2010-2011

CENTRO DI ALTI STUDI SAN BRUNO, VESCOVO DI SEGNI

APPUNTI DI GNOSEOLOGIA I
ANNO ACCADEMICO 2010 2011 PROF.: P. MARCO MIKALONIS, IVE

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SOMMARIO INTRODUZIONE PRIMA PARTE LE CORRENTI PRINCIPALI DELLEPISTEMOLOGIA I. LO SCETTICISMO II. LEMPIRISMO III. IL RAZIONALISMO IV. LIDEALISMO V. IL REALISMO PARTE SECONDA NOZIONI FONDAMENTALI VI. LA CONOSCENZA VII. LA VERIT VIII. LA CERTEZZA IX. LEVIDENZA X. LERRORE

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INTRODUZIONE

Schema 1. Accenni storici 2. Il problema della conoscenza 3. Presupposti 4. Il nome di questa scienza 5. Metodo 6. Necessit dello studio della conoscenza 7. Critica e metafisica

1. Accenni storici a. La filosofia e il problema della conoscenza Cominciamo col domandarci che posto occupa la gnoseologia nel contesto della storia della filosofia. Forse qualcuno potrebbe affermare che la filosofia della conoscenza, in quanto studio filosofico della conoscenza umana, cominci con i filosofi chiamati moderni, cio, da Cartesio in poi. Non difficile mostrare la falsit duna affermazione di questo genere, almeno se la si prende in tutta la sua estensione. Basti ricordare che gi gli antichi, come Platone o Aristotele, hanno studiato la conoscenza umana. Aristotele, per esempio, lo ha fatto nei suoi De Anima e De sensu et sensato. Pi tardi, nel Medioevo, San Tommaso dAquino commenter questi libri di Aristotele, ed studier pure la conoscenza in altri luoghi come la questione De Veritate o la stessa Summa theologiae. Ci che s se potrebbe accettare il fatto che con i cosiddetti filosofi moderni la filosofia della conoscenza diventa, per prima, il centro e linizio di tutta la filosofia (come per esempio, per Cartesio e Kant), e che poi, tutta la filosofia si confonde con una certa filosofia della conoscenza (come per Hegel). Afferma Roger Verneaux:
Dopo Kant, nella scuola idealistica, il problema della conoscenza non solo il primo, ma lunico problema che il filosofo deve considerare, ed naturale poich, se il pensiero che pone lessere, si 1 tratta soltanto di sapere quando e a quali condizioni la sua affermazione sia obiettiva .

b. Tendenze della scuola tomistica Il termine scuola, intesso come una linea de pensiero omogeneo, non sembra del tutto adeguato per riferirsi allinsieme dei pensatori che dicono di seguire il pensiero di San Tommaso. In tanto, per farci capire, diciamo che in questa scuola, principalmente nel ventesimo secolo, possiamo trovare tre tendenze principali. Alcuni cercarono di conciliare San Tommaso con i moderni. Tra quelli che cercarono questa conciliazione con Cartesio, Verneaux annovera autori come il cardinale Mercier (Critriologie), Mons. Nol (Notes dpistmologie thomiste e Le Ralisme immediat), il p. Picard S.I. (Le

Roger VERNEAUX, Epistemologia generale, Paidea editrice, Brescia 1967, 12.

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Problme critique fondamental e Rflexions sur le problme critique fondamental) e il p. RolandGosselin O.P. (Essai dune critique de la connaissance). Linflusso di Kant, invece, domina nel p. Marchal S.I. (Le thomisme devant la philosophie critique)2. Altri autori, come tienne Gilson, rifiutano ogni possibilit daccordo, e pugnano per un ritorno puro a San Tommaso. Verneaux collega alla posizione di Gilson quelle del p. de Tonqudec S.I. (Critique de la connaissance) e di Y. Simon (Introduction lontologie du connatre)3. In quest ambito, interessante almeno accennare il giudizio sul realismo critico che Gilson fa nel suo libro Le realisme methodique4. La filosofia moderna, afferma Gilson, critica la neoscolastica come un realismo ingenuo:
Ci che gli avversari della Scolastica le rimproverano, quando si degnano di occuparsene, o di non essere in alcun modo una filosofia a causa delle contaminazione teologiche di cui essa soffre, o di essere un dogmatismo e un realismo ingenuo che, non avendo avuto il minimo sospetto di ci che 5 poteva essere lidealismo critico, si sono fermati sulla soglia della filosofia vera .

Alcuni neoscolastici rispondono con un realismo che si pretende critico, accettando la posizione del problema della filosofia in termini idealisti. Gilson per, rifiuta come inadeguata questa risposta: Non si pu partire da Cartesio per arrivare a San Tommaso. Vediamo alcuni testi di Gilson:
In altre parole, chi inizia come idealista finir necessariamente come idealista, perch lidealismo non si fa smentire da di dentro. Era illogico pretendere di ottenere dallidealismo il proprio autotrascendimento, perch gi la storia faceva capire che la cosa non era possibile. Il cartesianismo consiste nel ragionare cos: Cogito, ergo res sunt; e questa lantitesi esatta di ci che viene 6 considerato come il realismo scolastico, e la causa della sua rovina . Non perci sorprendente che coloro che si impegnano su questa via si imbattano presto o tardi in serie difficolt. Al pari delle teorie che lhanno preceduto, il realismo immediato arriva allo strano paradosso di pretendere che il metodo di Descartes, dal quale deriva ogni forma di idealismo, porti a costruire una metafisica realistica [...]. No, non possibile, e se davvero la sorte del realismo dipende dalla risposta a quella domanda [Nol: o non possibile raggiungere le cose mettendosi dal punto di vista del cogito?], la sua sorte segnata; nessun cogito giustificher mai il realismo di Tommaso dAquino. [...] Il problema di costruire un realismo critico in s contraddittorio come la nozione di un 7 cerchio quadrato .

Ci che occorre un realismo metodico, dove laccetazione della realt cos come data diventa il metodo del filosofare. Si tratta di un ritorno allatteggiamento proprio dei greci e dei medioevali, che erano realisti senza saperlo. In poche parole: accettare levidenza della realt. Questo ritorno rafforzato dallo studio del fracasso evidente della filosofia idealista:
Di conseguenza, per restituire al realismo scolastico il suo senso vero bisogna ritornare in primo luogo allatteggiamento filosofico dei pensatori del Medioevo, dopo aver adeguatamente criticato quello degli idealisti. [...] Il realismo tomistico [...] si fonda sullevidenza dei suoi principi e si giustifica per una
2 Cfr. Ivi, 12-13. Per una conoscenza del giudizio di Fabro su questi autori rimandiamo agli indici dei nomi dei volumi Fenomenologia della percezione e Percezione e pensiero. Acceniamo soltanto che i due autori con i quali pi si confronta Fabro sono Marechal e Roland-Gosselin, allontanandosi sostanzialmente da essi. 3 4

Cfr. Ivi, 14.

Cfr. tienne GILSON, Il realismo. Metodo della filosofa (Edizione italiana a cura di Antonio Livi), Casa editrice Leonardo Da Vinci, Roma 2008.
5 6 7

Ivi, 45. Ivi, 48. Ivi, 54.

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critica allidealismo, ossia con la quale si dimostra che con questa dottrina non si pu costruire una 8 filosofia valida . Il rimedio allidealismo non dovrebbe dunque essere cercato lungo la via dellidealismo; il solo rimedio concepibile di cambiare metafisica. Non si pu superare lidealismo opponendovisi dal di dentro, 9 perch facendo cos ci si sottomette, ma dispensandolo di esistere .

Cornelio Fabro scriver: Che la filosofia moderna sia sorta da un falso problema? Questo appunto il problema dei problemi10. Finalmente, come terza tendenza della scuola tomista, Verneaux segnala altri autori che, in diversi modi, cercano di servirsi dai problemi e delle domande poste dai moderni per sviluppare per evoluzione omogenea11 il pensiero di San Tommaso dAquino. Questa sarebbe la posizione dautori come Maritain (Les degrs du savoir), mons. Jolivet (Le thomisme et la critique de la connaissance) e Verneaux stesso. Il pensiero di Cornelio Fabro sembra si possa avvicinare a questo terzo versante pi che a quelle due precedenti. 2. Il problema della conoscenza Ogni filosofare comincia da un problema, o da una domanda. Domandiamoci quale sarebbe il problema della conoscenza, o problema critico, per cominciare a precissare loggetto del nostro studio. Abbiamo gi segnalato come, secondo Fabro e Gilson, la filosofia moderna parte da un falso problema, e come laccettazione di questo non pu essere mai il punto di partenza per una metafisica che si pretenda realistico-tomista. La conoscenza va accettata come un fatto evidente. Non possiamo domandarci se conosciamo o no. un assurdo mettere in dubbio la nostra conoscenza dal momento che si pone la domanda sulla conoscenza. Gilson distingue tra critica della conoscenza e critica delle conoscenze: Il realismo non si sottrae alla critica delle conoscenze; esso laccetta, la reclama: ma rifiuta ogni critica della conoscenza condotta con criteri stabiliti a priori12. Ancora Gilson:
Solo allora che il realista, essendosi rifiutato di legarsi a una critica preliminare della conoscenza, sar libero molto pi libero dellidealista di dedicarsi a una critica delle diverse conoscenze, 13 commisurando ciascuna di esse al suo specifico oggetto .

Fabro precisa la natura da dove sorge questo falso problema: la scissione nel pensiero moderno fra percezione e pensiero operata da Cartesio quando costui pens di opporre materia e spirito, corpi composti ed enti semplici spirituali14.

8 9

Ivi, 56. Ivi, 60. Cornelio FABRO, Percezione e pensiero (Opere complete 6), EDIVI, Segni 2008, 13. Roger VERNEAUX, op. cit., 14. Etienne GILSON, op. cit., 123-124. Ivi, 144-145. Cfr. Cornelio FABRO, op. cit., 5.

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Verneaux, da parte sua, dir che il problema critico consister, principalmente, nel determinare il valore della conoscenza:
Quale formula dobbiamo allora proporre? Non ne vediamo una migliore di questa: qual il valore della conoscenza umana oppure: dare un giudizio di valore motivato sulle diverse forme della conoscenza umana. Questa formula abbastanza generale per includere tutte le forme di conoscenza e tutti i problemi che si pongono nei loro riguardi. Non pregiudica alcuna soluzione, ma presuppone soltanto i 15 dati del problema strettamente indispensabili .

Fabro sostiene cha da una fenomenologia pura (concetto che spiegheremo un po pi avanti) nascono tre problemi: il problema psicologico, il problema critico e il problema metafisico:
Il problema psicologico studia le funzioni ed i gradi della assimilazione delloggetto da parte del soggetto; quello critico, le condizioni per la determinazione dei valori di realt degli oggetti; quello 16 metafisico, la struttura dellessere in quanto essere .

In un altro testo Fabro spiega un po di pi la portata di ciascuno di questi problemi:


Il problema metafisico quello che considera la realt in s, secondo contenuti e rapporti di valore assoluto: lessere in quanto essere. Il problema psicologico quello del divenire conoscitivo, nei suoi princip soggettivi ed oggettivi, nelle sue fasi e nei suoi piani. Il problema critico quello del valore di presenza degli oggetti che vengono assimilati, che quindi il valore di realt. Il problema metafisico ricerca una esplicitazione analitica, cio assoluta e sistematica, di questa realt 17 che data .

Segnaliamo ancora come Il problema critico, secondo Fabro, si collega col determinare il valore di realt (oggettivit) delle nostre conoscenze:
Per problema critico della percezione sintende la determinazione del valore di realt da attribuire ai contenuti percettivi, i quali possono essere considerati tanto assolutamente, quanto nellatto sintetico della percezione; ed in ambedue i momenti si pone il problema delloggettivit: qual il grado di realt 18 dei contenuti percettivi? quale, quello della sintesi sensoriale? .

3. Presupposti19 Il problema della conoscenza, quindi, non un problema assoluto. Afferma con risoluzione Verneaux:
Non vi e non pu nemmeno esservi un problema assoluto: una nozione intrinsecamente contraddittoria. Infatti, un problema deve avere necessariamente dei dati, altrimenti non pu esistere. 20 Un punto interrogativo sopra un foglio bianco non ha alcun senso .

In altre parole, non e non pu essere la critica della conoscenza linizio della filosofia. Lo affermava pure tassativamente Gilson: Quello che bisogna fare, dunque liberarsi prima dalla ossesione dellepistemologia come condizione preliminare della filosofia21. Che cosa si richiede per fare della buona metafisica? Risponde Cornelio Fabro.

15 16 17 18 19 20 21

Roger VERNEAUX, op. cit., 17. Cornelio FABRO, op. cit., 297. Ivi, 391. Cornelio FABRO, op. cit., 347. Cfr. Roger VERNEAUX, op. cit., 20-23. Ivi, 21. Etienne GILSON, op. cit., 58.

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Per fare della buona metafisica si richiede uno spirito sano e disciplinato nei sensi e nellintelligenza, e nulla pi: non certamente un laboratorio scientifico, e neppure le astruserie di raffinate analisi; i cospicui contributi della fenomenologia contemporanea servono solo ad una penetrazione pi intima 22 del suo oggetto, supposto gi presente .

Verneaux afferma, quindi che ci sono certe condizioni previe necessarie che rendono la critica possibile come scienza o studio della conoscenza. Queste condizioni sono sia formali che materiali. Condizioni formali sono la logica; lintelligenza, come facolt innata per distinguere il vero dal falso; e anche unidea della verit, in rapporto alla quale si potr giudicare il valore delle conoscenze. Le condizioni materiali, ovvero loggetto di studio della critica in quanto scienza della conoscenza, saranno, appunto gli atti diretti di conoscenza. Se ogni scienza una certa riflessione, ci deve essere per prima qualcosa sulla quale riflettere (tornare):
Pretendere di riflettere prima di conoscere, dice Hegel, che per una volta d prova di buon senso, altrettanto assurdo della saggia precauzione di quello scolastico, che voleva imparare a nuotare prima 23 di arrischiarsi di andare in acqua .

Verneaux afferma che questa conoscenza, oggetto della critica, non pu essere mai una conoscenza vuota al modo cartesiano. Citiamo ancora alcune espressioni di Verneaux, per ribadire quanto si detto sul problema della conoscenza e la percezione come punto di partenza dello studio gnoseologico:
Gli atti di conoscenza sono dunque il punto di partenza della critica. [...] Non pu essere il cogito, vale a dire il pensiero puro, che il dubbio ha vuotato da ogni oggetto. [...] Non vi pensiero senza oggetto, 24 e sopprimere ogni oggetto sopprimere il pensiero e la coscienza stessa .

Gilson, nel suo Vademecum del realista principiante, confrontando realismo e idealismo, distingue tra pensiero e conoscenza:
Occorre poi usare con cautela il termine pensiero. In effetti, la differenza pi grande tra il realista e lidealista che lidealista pensa, mentre il realista conosce. Per il realista pensare vuol dire solamente organizzare delle conoscenze o riflettere sul loro contenuto; a lui non viene in mente di fare del pensiero il punto di partenza della sua riflessione, perch lui sa che un pensiero possibile solo se prima ci sono state delle conoscenze. Ora, lidealista, visto che procede dal pensiero alle cose, non pu sapere se quello da cui parte corrisponde o meno a una cosa; e quando egli domanda al realista come si possono raggiungere le cose partendo dal pensiero, il realista deve rispondere subito che ci non possibile, e che proprio in questo sta il motivo principale per non essere idealisti. Il realismo infatti parte dalla conoscenza, cio da un atto dellintelletto che consiste essenzialmente nel cogliere un oggetto; quindi per il realista la domanda dellidealista non pone un problema insolubile ma solo un 25 pseudo-problema, che una cosa ben diversa .

Perfino il pensiero logico, secondo Fabro, quello che pu sembrare pi vuoto o lontano dalla realt, sar sempre un pensiero delle cose:
La Logica pensiero, ed il pensiero, ogni pensiero, fatto per le cose, per esprimere le cose, non per delirare o fantasticare. E se la logica riferisce direttamente i rapporti che hanno i concetti fra loro, essa si riferisce indirettamente alle cose, in quanto pensiero del pensiero delle cose: questo riferisce lordine delle cose, la logica lordine che nella mente prende il pensiero delle cose. Laccusa quindi sbaglia completamente il segno, come si detto: la Logica a dipendere dalla metafisica non

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Cornelio FABRO, op. cit., 468. Roger VERNEAUX, op. cit., 22. Ibidem. Etienne GILSON, op. cit., 132.

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viceversa, cio sono i contenuti e i rapporti logici ad essere estratti e modellati su quelli metafisici e 26 non al contrario, come si vuol far credere .

Tornando sulla distinzione messa in evidenza da Gilson, concludiamo quindi, che oggetto e punto di partenza della nostra gnoseologia non tanto il pensiero quanto la conoscenza:
Sarebbe una vera liberazione se tutti noi prendessimo coscienza di questa verit elementare: che loggetto della filosofia della conoscenza non il pensiero (coscienza di una conoscenza) ma appunto 27 la conoscenza (possesso intenzionale di un oggetto) .

4. Il nome di questa scienza28 Quale il nome pi adeguato per la nostra scienza? Non esiste, risponde Verneaux, un nome appropriato per indicare lo studio della conoscenza. Un nome adatto dovrebbe indicare ci che specifico di questa scienza. Diversi nomi sono stati proposti: criteriologia, epistemologia, gnoseologia e critica, per esempio. Tra questi, Verneaux preferisce lultimo: critica. Criteriologia troppo ristretto, perch indica soltanto lo studio dei criteri di verit. Epistemologia anche stretto giacch spesso viene riferito allo studio della scienza, ma questa non lunico modo di conoscenza. Gnoseologia sarebbe un termine eccellente, ma poco usato. Allontanandosi dal modo kantiano di fare critica della conoscenza, Verneaux afferma che non ci sono inconvenienti nelladottare questo termine. Etimologicamente criticare significa scegliere e quindi giudicare: giudicare il valore di una cosa in funzione di una regola o di un ideale. In questo senso, una critica della conoscenza, o delle conoscenze, comporterebbe un giudizio di valore del conoscere in rapporto al vero. 5. Metodo29 Il metodo critico che si pretenda seguire dipender dal modo nel quale si imposti il problema della conoscenza. Abbiamo accennato gi, e lo ribadiamo ancora, come per pensatori come Gilson e Fabro, la filosofia moderna sorge da un falso problema che non va accettato come punto di partenza del filosofare. In questa linea, Verneaux rifiuta pure i metodi che seguono questa posizione del problema: il dubbio cartesiano, lanalisi psicologica - mera introspezione - di Locke, lanalisi trascendentale di Kant o lanalisi riflessiva dautori come Lachelier o Brunschvicg. Secondo Verneaux, un metodo realista si muove in tre momenti: descrizione e valutazione delle conoscenze, e spiegazione - non dimostrazione - dellevidenza. Approfondiamo questo approccio metodologico, con alcune idee presse da Cornelio Fabro. Sembra che secondo Fabro, si pu affermare che il nostro metodo gnoseologico si svolge cominciando da un punto di partenza, per svilupparsi come una ricerca in due momenti.
26

Cornelio FABRO, Esegesi Tomistica, Libreria editrice della Pontificia Universit Lateranense, Roma 1969, 290. La presente citazione appartiene ad un articolo pubblicato con anteriorit ristampata nel volume citato: Cornelio FABRO, Logica e metafisica, in Acta Pont. S. Thomae Aquinatis, Torino-Roma 1946, vol. XII (N.S.), 129-150.
27 28 29

Etienne GILSON, op. cit., 125. Cfr. Roger VERNEAUX, op. cit., 17-18. Ivi, 18-20.

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Quale il nostro punto di partenza? Il fatto della percezione. Cos lafferma esplicitamente Fabro: il punto di partenza sia quindi il fatto della percezione30. Dal fatto della percezione, quindi, deve cominciare la nostra ricerca, che si svilupper in due momenti: uno analitico, laltro sintetico. Il primo momento, quello che chiamiamo analitico, principalmente descrittivo o fenomenologico. Ad esso corrisponde porre i problemi. Al momento sintetico o metafisico, corrisponder cercare una risposta o interpretazione ai problemi messi in evidenza dal primo. Vediamo due testi di Fabro:
A mio avviso le due opere [La fenomenologia della percezione e Percezione e pensiero] si hanno da completare a vicenda e certamente la seconda perder molta forza nelle sue istanze speculative se lasciata a s; come anche la prima apparir troppo complessa ed ardua se si vuol prescindere dalle finalit che mi sono proposto di realizzare nella seconda. Nella mia prima intenzione, le due opere dovevano formare due volumi di ununica opera; sono stati in seguito separati nellintento di curare maggiormente la presentazione dei due distinti momenti della ricerca, i quali sotto molti aspetti possono rimanere ciascuno a s distinto ed anche sufficiente dal punto di vista, analitico o sintetico, 31 che lo ispira . La fenomenologia descrittiva certamente indispensabile alla posizione dei problemi, ma da sola non ne risolve alcuno: o meglio essa acuisce il vero interesse dei problemi, prospetta litinerario da 32 seguire, ma non lo pu percorrere perch ci oggetto dinterpretazione e non pi di descrizione .

importante segnalare come intende Fabro il compito della fenomenologia, particolarmente per distinguere la sua concezione da altre fenomenologie della prima met del ventesimo secolo. Per il momento sia sufficiente far vedere che Fabro chiama la sua fenomenologia pura, e spiega in questo modo lutilizzazione di questi termini:
Indichiamo, in via problematica, lo studio di questo processo al pensiero moderno come Fenomenologia pura, dando al nome il senso di descrizione del modo di apparire immediato degli oggetti e allaggettivo il senso che tale descrizione ha da esser fatta allinfuori di ogni presupposto teoretico, in guisa che lapparire ha da informarci non soltanto dellesistenza delloggetto, ma anche 33 del modo di apparire e perfino del modo di essere delloggetto stesso .

A modo di esempio, e per introdurre un nuovo termino nel nostro studio, vediamo brevemente che cosa intende Fabro per percezione? La percezione, considerata in se stessa un certo incontro o passaggio tra soggetto e oggetto:
Daltra parte il fatto stesso che nella percezione, e nella conoscenza in generale, soggetto ed oggetto sono detti incontrarsi e passare luno nellaltro, tale incontro e tale passaggio potrebbero contenere, per una coscienza vigile e una mente ordinata, assieme ai contenuti anche i criter di valore ed i 34 princpi per la stessa interpretazione teoretica a cui si vuol arrivare .

Se la si considera da parte delloggetto, la percezione si manifesta come lapprensione di un oggetto unificato, di un complesso configurato, di un oggetto qualificato:
Si sa infatti che lalbero un tale oggetto; esso consta di un tronco che sorretto dalle radici; esso si espande in rami i quali, se la stagione lo comporta, sono coperti di foglie ed anche di fiori o di frutti. E si noti che questa complessit di contenuti, entro un unico oggetto di percezione, invece di nuocere,

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Cornelio FABRO, La fenomenologia de la percezione (Opere Complete 5), EDIVI, Segni 2006, 28. Ivi, 23. Cornelio FABRO, Percezione e pensiero, op. cit., 6. Cornelio FABRO, La fenomenologia della percezione, op. cit, 49. Cornelio FABRO, Percezione e pensiero, op. cit., 7-8.

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rafforza la persuasione che ho di trovarmi di fronte ad un oggetto ben determinato, di percepire un albero, non un gatto od una gallina. Possiamo dire allora che la percezione lapprensione di un oggetto unificato. Lalbero consta di tronco, rami, foglie... Lalbero, che ora percepisco, ha una propria configurazione, pi o meno simmetrica ma caratteristica della sua specie. La configurazione di una quercia non quella di un salice o di un pioppo. Ed una propria configurazione lhanno pure il tronco, i rami, le foglie della quercia, che non la configurazione del tronco, dei rami e delle foglie di un salice o di un pioppo, ed per questo che posso rendermi conto di trovarmi di fronte ad una quercia e non a qualsiasi altro albero. La percezione pertanto lapprensione di un complesso configurato. Ma non potrei mai percepire la configurazione di un albero e delle sue parti, se lalbero nel suo complesso e ciascuna sua parte non mi apparissero cariche di determinato tono di colore o di ben appropriate variazioni cromatiche: poich locchio non vede che colori, o figure colorate se si vuole, mai figure pure, e tanto meno oggetti puri. La percezione allora anche lapprensione di un 35 oggetto qualificato .

Invece, la percezione, da parte del soggetto chiamata da Fabro un pensiero vissuto:


Allora si pu concludere che la percezione una certa qual sintesi di sensibilit e di pensiero. Meglio ancora, pi che parlare di una sintesi che sa troppo di estrinsecit, diciamo che la stessa percezione un pensiero, non puro astratto per, ma in quanto oggettivato immediatamente nei contenuti sensibili; un pensiero che incorpora a s lesperienza. Per questo stato giustamente detto che il momento essenziale nella percezione la incorporazione del significato (Michotte). La percezione pertanto non n sensazione pura, n pensiero puro; ma piuttosto essa un pensiero 36 vissuto... .

6. Necessit dello studio della conoscenza (critica e metafisica) Perch necessaria una teoria della conoscenza? Cornelio Fabro risponde cos: la teoria della conoscenza stata introdotta per fondare laffermazione ed il valore di realt, come realt, onde render possibile la metafisica37. Perci, pu essere utile considerare il problema del rapporto tra gnoseologia e metafisica, considerando pure il luogo che la fenomenologia deva occupare rispetto ad ambedue. Inanzitutto, il rapporto tra gnoseologia e metafisica pone, al meno, due problemi: quello della priorit e quello della specificit di ciascuna38. Il problema della priorit si potrebbe esprimere cos: c qualche precedenza di alcuna di queste scienza riguardo allaltra? In altre parole: la critica, anteriore alla metafisica? O la metafisica che anteriore alla critica? Quello della specificit si domanda, invece, se questi due rami della filosofia costituiscano scienze realmente (specificamente) diverse e autonome, cio con oggetti diversi, giacch le scienze si diversificano dai loro oggetti. Vediamo alcune affermazioni degli autori che abbiamo citato fino adesso (Verneaux, Gilson, Fabro) riguardo a questa problematica. Vernaux precisa in questo modo il problema della priorit: si tratta di sapere se una critica della conoscenza in generale, o dellintelligenza, della ragione, preliminare alla metafisica39.
35 36 37 38

Ivi, 6-7. Ibidem. Cornelio FABRO, Fenomenologia della percezione, op. cit., 50. Cfr. Roger VERNEAUX, op. cit., 24.

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Risponder che il rapporto tra ambedue reciproco: la critica insieme posteriore e anteriore alla metafisica40:
Diciamo che la critica anteriore alla metafisica, che la metafisica stessa che dubita di s e riflette sulle sue origini. Forse non il suo primo passo, ma non ha importanza alcuna che sia il secondo o lultimo: essa non sar fondata, dal punto di vista critico, se non quando si sar criticata. In altri termini, la critica logicamente anteriore alla metafisica quando ci si pone dal punto di vista critico, ma 41 il punto di vista critico posteriore al punto di vista metafisico .

Riguardo al problema della specificit, affermer Verneaux:


vero che la metafisica ha per oggetto lessere, e la critica la conoscenza, ma la conoscenza essa pure un essere, poich tutto essere, di modo che sotto questo aspetto rientra nelloggetto della metafisica [...]. Parlare dellessere e delle sue propriet, delle sue leggi, delle sue forme, non la stessa cosa che parlare del modo in cui possiamo conoscerli. [...]. Il primo movimento diretto e ad esso conviene il nome di Metafisica, [...]; il secondo riflesso e noi ci permettiamo di chiamarlo critico. Ma un riflessione sulla conoscenza dellessere, non pu essere fatta che dallintelligenza che conosce lessere, ragione per cui noi manteniamo la specificit della critica pur dichiarandola interiore alla 42 metafisica .

Passiamo adesso ad alcune affermazioni di Gilson:


Quello che bisogna fare, dunque liberarsi prima dalla ossessione dellepistemologia come condizione preliminare della filosofia. [...] Non si tratta, per questo, di rinunciare a ogni teoria della conoscenza. Ma bisogna che la filosofia della conoscenza non pretenda di essere una condizione dellontologia ma si sviluppi in essa e con essa, essendo insieme atta a spiegare e a essere spiegata, sostenendola ed essendo sostenuta da essa, come si sostengono mutuamente le parti di una filosofia vera. Ricordo di aver sentito Alfred North Whitehead che diceva ai suoi studenti dellUnivesit di Harvard questa frase che mi sembra molto profonda: Quando c nella vostra teoria della conoscenza qualcosa che non funziona, vuol dire che c qualcosa che non funziona nella vostra metafisica. Da parte mia, a questo principio aggiungerei la constatazione che nellidealismo non c 43 solo qualcosa che non funziona, non funziona nulla .

Finalmente, alcuni di testi di Fabro, sul rapporto tra fenomenologia e metafisica:


Quello che importa non il luogo che ad essa [a la fenomenologa] compete nel novero delle scienze, ma che essa sia di fatto condotta a termine prima della elaborazione sistematica dei problemi. Ho affermato prima che essa non era estranea alla filosofia classica, come lo per molte filosofie moderne: qui da ricordare lesempio insigne di Aristotele proprio nel capitolo di introduzione alla Metafisica e nellultimo capitolo del libro degli Analitici Posteriori, che non solo forniscono una giustificazione storico-critica al mio procedimento, di alto valore, ma mi hanno suggerito la stessa 44 trama essenziale della ricerca . Allora se la coscienza il criterio supremo per una fenomenologia fondamentale del conoscere, e se questa fenomenologia una propedeutica indispensabile alla posizione di qualsiasi problema speculativo, come credo si possa convenire con la filosofia contemporanea, si devono accettare i responsi di coscienza sia quanto al contenuto degli oggetti, sia quanto al modo di apparire ed alle 45 condizioni dellapparire che essa pu rilevare degli oggetti stessi . Perci la Fenomenologia, quale teoria generale della percezione, un prolegomeno della fondazione stessa della metafisica in genere, come dei problemi metafisici in ispecie. La posizione fenomenologica dei problemi metafisici non pretende di darne in anticipo la soluzione, ma piuttosto di suggerire con la sua forma di struttura, nella quale la molteplicit fenomenale appare unificata, la possibilit e la direzione di quellunificazione intelligibile comprensiva ch la soluzione metafisica. La
39 40 41 42 43 44 45

Ivi, 25. Cfr. Ibidem. Ivi, 25. Ivi, 26. Etienne GILSON, op. cit., 58.59-60. Cornelio FABRO, La Fenomenologia..., op. cit., 58. Cornelio FABRO, Percezione..., op. cit., 296.

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Fenomenologia e la Metafisica, cos intese, si corrispondono come lesterno e linterno di un medesimo edificio: per noi, che possiamo penetrare la realt soltanto dal di fuori, la fenomenologia 46 fornisce un primo ed indispensabile punto di appoggio per linterpretazione metafisica del reale .

Non si pu fare, quindi, gnoseologia al di fuori di una metafisica, al punto che Gilson chiamer lo studio della conoscenza, metafisica della conoscenza. Ancora di pi. Da questo confronto tra gnoseologia, fenomenologia, e metafisica, si vede in modo pi chiaro la necessit dello studio della conoscenza. Per dirla con parole di Fabro, questo studio per noi come scopo pi importante il raggiungere un punto sicuro per la fondazione della metafisica realista47. I problemi di una gnoseologia elementare del conoscere umano, scrive Fabro, sono i problemi di questa interpenetrazione fra il mondo ed il soggetto48. *** Questo corso di Gnoseologia avr due momenti: nel primo, piuttosto storico, si cercher di mettere in rilievo ci Gilson chiama il fracasso di tre secoli didealismo per confrontarlo con quanto si dir dopo; e il secondo, pi sistematico, nel quale si cercher di studiare la conoscenza e alcune nozioni fondamentali ad essa colleggate, secondo linsegnamento di San Tommaso dAquino e guidati nella nostra lettura dellAquinate dagli studi di Cornelio Fabro.

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Ivi, 452-453. Cornelio FABRO, La Fenomenologia della percezione, op. cit., 60. Ivi, 390.

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PRIMA PARTE LE CORRENTI PRINCIPALI DELLEPISTEMOLOGIA Non possibile classificare tutte le posizioni che sono state prese nel corso della storia sul problema della conoscenza. Le ridurremo a cinque principali1. La prima questione sapere se lo spirito umano possa raggiungere la verit, se ha certezze legittime. Se non si ha alcuna speranza di raggiungere la verit in nessun campo, si scettici. Contrariamente, ci che Verneaux chiama dogmatismo afferma che la verit pu essere conosciuta ed in alcuni casi raggiunta. Se abbracciamo lidea scettica non ci sono gi problemi. Altrimenti, si pongono due nuovi problemi. Il primo problema questo: con quale mezzo, cio con quale facolt, possiamo conoscere la verit? Lempirismo risponde: con lesperienza; unica fonte delle nostre conoscenze. Con la ragione risponde il razionalismo, poich lunica facolt che pu afferrare verit necessarie e universali. Il secondo problema riguarda loggetto conosciuto: che cosa possiamo conoscere, quali specie di cose ci sono accessibili? Lidealismo risponde che lo spirito chiuso in s stesso e che pu conoscere solo le proprie idee. Il realismo invece sostiene che possiamo conoscere il reale, cio, lessere esistente in s, fuori del nostro spirito.

Cfr. Roger VERNEAUX, op. cit., 30-31.

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I. LO SCETTICISMO

Schema 1. Nozione 2. Autori 3. Argomenti 4. Lo scetticismo metodico

1. Nozione Lo scetticismo una tentazione costante per lo spirito umano che riflette e abbandona il terreno fermo delle certezze del senso comune. Lo scetticismo consiste nel sospendere ogni giudizio su tutte le cose (epoch). una manifestazione dellinquietudine congenita delluomo e della sua eterna insoddisfazione. Ma, spingendo linquietudine al limite estremo e erigendola in una specie di assoluto, termina in una disperazione intellettuale. Lo conclusione dello scettico non io non so nulla ma piuttosto io mi astengo (dal giudicare). Si tratta duna indifferenza totale o dubbio universale. Lo scetticismo potrebbe chiamarsi anche una sorta di scoraggiamento intellettuale. Afferma Antonio Livi: Il soggetto pensante, sulla scorta di successive e deludenti esperienze di fallibilit, si sente sempre meno capace di assenso, di certezza1. Lo stesso autore definisce lo scetticismo come il rifiuto sistematico della verit come possibilit del pensiero2, e fa notare come nel suo inizio si trova un atto volontario, latto volontario di dubitare di tutto (Descartes: Volo dubitare de omnibus), come anche latto volontario di praticare la e.poch,3 universale (Husserl)4. In altre parole, si vuole affermare che non c modo di sapere che cosa sia la verit, ossia che di nessuna ipotesi possiamo pensare che sia vera5. Si possono distinguere, secondo quest autore, diverse forme di scetticismo. Da una parte, uno scetticismo moderato, che implica la la coscienza dei limiti della conoscenza, sia riguardo allesistenza delle cose [...] sia riguardo alla loro essenza6. Questo scetticismo non sarebbe incompatibile con il senso comune. C anche uno scetticismo forte, che pu essere prescrittivo (che prescrive ladozione di criteri pratici, sia razionali che irrazionali, in sostituzione delle certezze del senso comune7) o

1 2 3

Antonio LIVI, Verit del pensiero, LUP, Roma 2002, 227. Ibidem.

Epoch: atteggiamento della filosofia scettica consistente nel non accettare n rifiutare, nel non affermare n negare qcs. per raggiungere l'imperturbabilit (Dizionario italiano De Mauro).
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Antonio LIVI, Verit del pensiero, op. cit., 227. Ibidem. Ivi, 228.

Avvertiamo che per lautore che stiamo citando, lespressione senso comune ha un significato tecnico ben preciso, che non deve confondersi con il senso comune intesso come senso interno. Senso comune, per Livi, sulla scia di Gilson, linsieme di evidenze primarie riguardanti loggetto dellesperienza umana universale e necessaria, che si trovano alla radice dei diversi processi del pensiero, e che sono espresse come giudizi desistenza non fondati su altri giudizi. Questi giudizi originari e primari possono ridursi a cinque affermazioni: laffermazione dellesistenza e divenire di enti molteplici, lemergenza del soggetto, lanalogia dei soggetti

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teoretico (che separa nettamente la prassi da ogni possibile certezza riguardo alla realt: il mondo, i valori morali, Dio). Particolarmente questultimo razionalmente insostenibile8. 2. Autori9 Tutta la storia della filosofia occidentale unoscillazione tra il dogmatismo e lo scetticismo: ai filosofi naturali greci si oppongono i sofisti; ai pensatori medioevale, lo scetticcismo di Montagne; alla pretesa critica di Kant, il positivismo; al hegelianismo, lesistenzialismo. Per conoscere lo scetticismo si deve risalire agli scettici greci, perch non si fatto nulla di meglio e tutti gli altri dipendono da loro. Lo scetticismo greco presenta quattro forme principali. La sua forma estrema si d in Pirrone. Il suo ideale era non credere niente, astenersi dal giudicare, diffidare perfino delle impressioni sensibili. Si propone di vivere una vita apatica o indifferente (atarassia o apatia). Il suo sforzo era unascesi, il cui scopo era lestinzione della coscienza, spogliare luomo, spogliarsi dellumanit. LAccademia Nuova (Arcesilao e Carneade) professa il probabilismo: nessuna rappresentazione evidente, non siamo mai certi di essere nella verit. Alcune rappresentazioni sono verosimili o probabili, e questo basta per la vita. Lo scetticismo classico (Enesidemo) un fenomenismo. Consente di credere nelle apparenze, qualora siano immediatamente presenti alla coscienza e le siano imposte, ma si astiene dal giudicare sulla realt. Ho freddo; di questo non posso dubitare. Invece se mi domando: fa freddo?, non c modo di saperlo. Lultima tappa lempirismo (Sesto Empirico), sviluppo logico del fenomenismo. Se si ammettono i fenomeni, nulla impedisce di osservarli e se si osservano, si notano certi rapporti constanti delle successioni regolari, che permettono di prevederli e di agire su di essi. Lo scetticismo per non cosa del passato. Nei nostri tempi si fa presente nel pensiero di diversi autori. Abbiamo cos, per esempio, il problematicismo di Ugo Spirito, discepolo di Giovanni Gentile10; il razionalismo critico di Karl Popper11; il pragmatismo di Hilary Putnam12; o il pensiero debole o ontologia decadente di Gianni Vattimo13. Finalmente, si pu segnalare lo scetticismo etico-politico di autori come Jrgen Habermas o Gian Paolo Prandstraller, i quali sostengono che luomo contemporaneo luomo senza certezze, e che questo prelude a un

o intersoggettivit, lesistenza di un ordine morale, lesistenza di Dio. (Cfr. Antonio LIVI, Metafisica e senso comune, Casa editrice Leonardo da Vinci, Roma 2007, 17-18).
8 9

Antonio LIVI, Verit del pensiero, op. cit., 228. Cfr. Roger VERNEAUX, op. cit., 32-43. Cfr. Antonio LIVI, Verit del pensiero, op. cit., 228. Cfr. Ivi, 229. Cfr. Ivi, 230. Cfr. Ivi, 235.

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nuovo tipo di impegno sociale, pi pragmatico e produttivo da una parte, e dallaltra parte al riparo dalla illusioni utopistiche e dai fanatismi aggressivi14. 3. Argomenti a. Premessa Passiamo adesso ad esaminare gli argomenti con i quali gli scettici pretendono di sostenere la loro teoria. Diciamo innanzitutto, a modo di premessa, che una confutazione teoretica profonda dello scetticismo chieder da noi chiarire nozioni fondamentali come verit, evidenza, certezza, ed errore, cosa che faremo nella seconda parte di questo corso. Un primo passo in questanalisi potrebbe essere il verificare che in realt, lo scetticismo pratico semplicemente non esiste. Non ci sono uomini che vivano la loro vita di tutti i giorni senza alcuna certezza, anche se elementare. Si pu dire, ricordando parole gi citate di Gilson, che quelli che pretendo di pensare come scettici, pensano come realisti non appena si dimenticano che stano svolgendo un ruolo. un fatto desperienza che ogni uomo ha delle certezze, come lafferma Fabro nel seguente testo:
Quando dico Io vedo un albero, la casa, il cielo... mi riferisco ad un fatto noto a tutti e che ciascuno in grado di realizzare per suo conto quando voglia: giovani o vecchi, europei o papuasici, filosofi o uomini della strada. Esso era un fatto noto ai tempi della preistoria, non diversamente di quanto lo oggi e di quanto lo sar per i secoli dei nuovi lumi da venire: alla sera gli uomini tornavano, tornano e torneranno alla caverna, alla capanna, alla casa ospitale e non le scambieranno come non le scambiamo noi, n la scambiarono coloro che ci hanno preceduti con gli alberi o con il cielo o con qualsiasi altro oggetto. Si vuol dire che gli oggetti si segregano in modo autonomo nel campo dellesperienza e per ogni coscienza matura, in ogni forma di civilt, essi sono allo stesso modo ci 15 che sono una volta per sempre .

Adesso s, consideriamo brevemente gli argomenti dello scetticismo teorico. Abbiamo gi letto laffermazione di Verneaux: Se vogliamo conoscere lo scetticismo, dobbiamo sempre risalire agli scettici greci, perch non si fatto nulla di meglio e tutti gli altri dipendono da loro16. Senza nessuna pretessa di confutare i loro argomenti, per il momento, vedremo i dieci tropi di Enesidemo e i cinque tropi di Agrippa. b. I dieci tropi di Enesidemo I dicie tropi di Enesidemo sono una raccolta degli argomenti o tropi (tropoi) con cui gli scettici sostenevano la necessit di sospendere lassenso a ogni forma di conoscenza e quindi il giudizio. Ecco la lista completa17:
1. Le differenze di sensazioni, gusti e piacere tra gli animali rispetto allo stesso oggetto;

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Ivi, 239. Cornelio FABRO, Percezione..., op. cit., 8. Roger VERNEAUX, Epistemologia generale, op. cit., 33. Cfr. Batista MONDIN, Storia della Metafisica (Volume 1), ESD, Bologna 1998, 438.

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2. Analoghe differenze tra gli uomini, che provano piacere o disgusto in maniera differente per le stesse cose; 3. Differenze di temperamenti o idiosincrasie, 4. Variet di umori tra gli uomini; 5. Differenza di cultura, istituzioni, leggi, religione; 6. Cambiamenti e mescolanze di oggetti, poich nessuno oggetto cade sotto i nostri sensi di per s solo; 7. Variazione di percezione di oggetti dovuta a distanza o a condizioni atmosferiche: ad es. il sole diverso quando sorge e quando tramonta; 8. Effetti diversi dovuti alla velocit diversa degli oggetti; 9. Mutazioni delle impressioni secondo che si provano frequentemente o di rado; 10. Divergenze causate dalla posizione (a destra o a sinistra, in alto o in basso ecc).

Per tutti questi motivi, tanta discordanza v nelle cose che noi non potremo affermare quale sia nella realt loggetto, ma solo quale esso appaia in rapporto a questo criterio, a questa legge, a questo costume e in rapporto a ciascuno degli altri fatti18. c. I cinque tropi di Agrippa Il filosofo scettico Agrippa, vissuto nella seconda met del I secolo d.C., non rimase soddisfatto della tavola dei dieci tropi redatta da Enesidemo e ne formul una nuova, composta da cinque tropi. Leggiamo un testo di Sesto Empirico19 nel quale questo spiega questi cinque tropi:
Gli scettici pi recenti [i seguaci di Agrippa] invece, tramandano questi cinque modi della sospensione del giudizio: 1) quello che dipende dalla discordanza; 2) quello che rimanda allinfinito; 3) quello che dipende dalla relazione; 4) lipotetico; 5) il diallele. Il modo che dipende dalla discordanza, quello per cui troviamo che intorno a una cosa proposta esiste una discordia indirimibile nella vita e nei filosofi; onde, non essendo in grado n di preferire n di respingere nessuna opinione, finiamo col sospendere il giudizio. Il modo per il quale si cade nellinfinito, quello in cui ci che ri reca a prova della cosa proposta, noi diciamo che ha bisogno, a sua volta, di prova, e questo, a sua volta, di unaltra prova, allinfinito; talch, non avendo noi onde cominciare unargomentazione, ne consegue la sospensione del giudizio. Il modo che dipende dalla relazione, come abbiamo detto sopra, quello in cui diciamo che loggetto ci appare cos o cos, in rapporto al giudicante e al resto che insieme con esso oggetto viene percepito, e ci asteniamo dal giudicare quale esso sia realmente.

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SESTO EMPIRICO, Schizzi I, 163. Citato da MONDIN.

Cfr. Batista MONDIN, Storia della Metafisica, op. cit., 438: [Sesto Empirico] visse tra il 180 e il 230 d. C. lultimo esponente riconosciuto dello scetticismo, nonch la fonte pi importante per la conoscenza dello scetticismo antico. Fu chiamato empirico (empeiriks) perch come medico preferiva rifarsi alla sua esperienza personale piuttosto che alle teorie dei medici pi celebrati. Sono andati perduti i suoi scritti di medicina, mentre sono giunte integre a noi le sue opere filosofiche: Schizzi pirroniani, in tre libri; Contro i dogmatici, in cinque libri; Contro i matematici, in sei libri.

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Si hal il modo ipotetico, quando i Dogmatici, rimandati allinfinito, cominciamo da qualche cosa che essi non concludono per via di argomentazione, ma pretendono di assumere, cos semplicemente, senza dimostrazione, per una concessione. Nasce il diallele, quando ci che deve essere conferma della cosa cercata, ha bisogno, a sua volta, di essere provato dalla cosa cercata: allora, non potendo assumere nessuno dei due per concludere 20 laltro, sospendiamo il giudizio intorno ad ambedue .

4. Lo scetticismo metodico Anche rifiutando lo scetticismo come teoria, resta la domanda posta da alcuni pensatori (Montaigne, Pascal) se non sia lo scetticismo un metodo valido per arrivare alla conoscenza della verit. Questi pensatori pensavano che lo scetticismo, umiliando la ragione, fosse lo strumento migliore per preparare il cuore alla fede. Cartesio, e ai nostri giorni Husserl, hanno pensato che esso il solo mezzo per fondare una filosofia veramente scientifica. Per quanto riguarda la fede, lo scetticismo pu forse dare luogo ad un atto cieco, che costituirebbe un atto di forza della volont. Sarebbe una fede di tipo luterano, non una fede di tipo cattolico, poich questo non affatto una movimento cieco del cuore (cfr. fideismo21) ma un assenso razionale (cfr. la definizione di fede che da San Tommaso22). Sul piano filosofico, mettere in dubbio levidenza racchiude definitivamente nello scetticismo, poich non si trover mai nulla di meglio, nessun motivo migliore daffermare. Mettere tra parentesi lesistenza, un mero artificio tipografico, un nuovo atto di forza della volont. A modo di conclusione Trascriviamo alcune affermazioni di Verneaux:
Lo scetticismo uno dei tentativi dello spirito umano per giungere lassoluto, e per questo non privo di seduzione. Vedendo limpossibilit di giungere ad un assoluto positivo, che sarebbe la divinit stessa, lo scettico si spinge pi avanti possibile sulla via della rinuncia verso un termine che costituirebbe un assoluto negativo. Non si pu negare infatti che lo scettico perfetto non sia infallibile e impassibile, come voleva Pirrone, ma ci accade perch egli si spogliato della sua umanit senza sostituirla con niente. La 23 seduzione dello scetticismo in ultima analisi quella del nulla .

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SESTO EMPIRICO, Schizzi pirroniani, I, 141-144. Cfr. Carmelo LACORTE et al. [ed.], Teoretica I in Ugo SPIRITO [ed.], Storia antologica dei problemi filosofici, Sansoni editore, Firenze 1965, 285.
21 22

Il fideismo stato esplicitamente condannato dal Concilio Vaticano I.

Cfr. San TOMMASO DAQUINO, Summa theologiae, II-II, q. 2, a. 1, co: Invece l'atto del credere ha un'adesione ferma a una data cosa, da questo lato chi crede nelle condizioni di chi conosce per scienza o per intuizione; tuttavia la sua conoscenza non si compie mediante una percezione evidente: e da questo lato chi crede nelle condizioni di chi dubita, di chi sospetta e di chi ha un'opinione. E sotto questo aspetto proprio del credente il cogitare con assenso: ed cos che l'atto del credere si distingue da tutti gli atti intellettivi che hanno per oggetto il vero o il falso.
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Roger VERNEAUX, Epistemologia generale, op. cit., 43.

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II. LEMPIRISMO

Schema 1. Nozione 2. Correnti e autori 3. Gli argomenti dellempirismo

1. Nozione1 un movimento filosofico che non ammette pi che un mezzo di conoscenza valido: lesperienza sensibile. Accettati per i suoi principi, arriviamo allo scetticismo. Lesempio pi rinomato dempirismo quello delle palle di bigliardo (Cfr. David Hume). La palla bianca si scontra con la palla viola. Cosa vediamo? Vediamo forse che la palla bianca muove la viola? No, vediamo - afferma Hume - semplicemente la palla viola che si muove dopo la palla bianca. Ma il rapporto di causalit non si vede. Se non si vede, non si pu affermare che esista. importante ribadire che lempirismo (come tante altre dottrine della conoscenza) dogmatico, in quanto non parte da un fatto desperienza, ma da un pregiudizio. un dato desperienza che davanti ad un albero io vedo un albero, e non soltanto dei colori o delle figure. Quello il fatto desperienza: vedo colori, vedo una figura, e vedo anche un albero. Se si afferma che vedo soltanto colori e figure, e che lalbero non visto bens soltanto inventato dal soggetto, quello deve dimostrarsi. Se una cosa evidente, c bisogno di dimostrazione per negarla, non per affermarla. 2. Correnti e autori La storia presenta un lungo dialogo tra lempirismo ed il razionalismo. Lempirismo ha preteso dampliare ed approfondire la sua base per trovare in alcune esperienze un accesso alla metafisica. a. I greci Eraclito fondandosi sui dati dei sensi sosteneva che lessere puro cambiamento. Tutto cambia, niente rimane. Comunque, per arrivare al vero pensiero dEraclito, e giudicare quanto in realt assoluta, o no, la sua affermazione del puro cambiamento, si dovrebbe pure studiare la nozione eraclitiana di logos. Il suo discepolo, Protagora, notando che la sensazione relativa alla costituzione dei nostri sensi, aggiunge un po di pi: luomo la misura di tutte le cose. Epicureo celebre per la morale del piacere che una conseguenza della teoria della conoscenza. Luomo pu conoscere soltanto ci che i sensi presentano; di conseguenza il bene delluomo sensibile.

Cfr. Roger VERNEAUX, Epistemologia, op. cit., 44-54.

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b. Nominalismo Dallempirismo si cade facilmente nel nominalismo. Non c esperienza delle essenze: io non vedo un albero, ma soltanto un insieme di colori, al massimo vedo delle figure, alle quali quando sono somiglianti do uno stesso nome. In questa linea di pensiero possiamo includere il nominalismo di Ockam. La sua tesi centrale dice che nella mente non esistono concetti astratti e universali che rappresentano lessenze, ma solamente dei termini o dei nomi, il cui senso consiste nellindicare degli individui dati dallesperienza. c. Lempirismo inglese I filosofi principali di questa corrente sono Locke, Berkeley e Hume. Nel punto seguente approfondiremo un po di pi lanalisi del pensiero di questi autori. d. Lesistenzialismo Esso consiste nellutilizzazione di certe esperienze, cui viene accordata una portata metafisica: sono esperienze di ordine affettivo, poich il sentimento considerato come pi penetrante e pi rivelatore dei sensi o dellintelligenza. A questa corrente appartengono autori come Heidegger (angoscia), Jasper (scacco), Sartre (nausea). 3. Gli argomenti dellempirismo Analizziamo alcune idee di questa corrente gnoseologica, studiando con Fabro, gli argomenti principali dei suoi maggiori esponenti: Locke, Berkeley e Hume. Non vogliamo fare qua una rifiutazione di questi autori. Ci serva questo breve analisi del loro pensiero per conoscere i punti principali del medesimo, e per prospettare a quali punti della dottrina tomista della conoscenza essi si oppongono. a. Le radici cartesiane dellassociazione Prima dandare avanti per, pu esserci utile fermaci a considerare ci che Cornelio Fabro chiama le radici cartesiane dellassociazione2. Partendo dai principi empiristi facilmente si arriva, a modo di logica conseguenza, a ci che in gnoseologia riceve il nome di associazionismo. Lassociazionismo spiega la percezione servendosi della seguente formula: P = Sn + A. Dove P pu significare sia la percezione, o le idee o le emozioni. Mentre che Sn la somma delle sensazioni, immagini, affezioni che sono interessate, ed A la forza associativa che hic et nunc le tiene unite in questa complessione che attualmente esperimento3. Fabro afferma che la prima forma dellAssociazionismo, inteso come teoria esplicativa integrale della conoscenza, dagli storici, di solito, riferita a Hume. Hume, per presenta la

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Cfr. Cornelio FABRO, La fenomenologia della percezione, op. cit., 63-69. Ivi, 64.

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propria posizione come la continuazione logica, o meglio come la reductio ad absurdum dellopera dei suoi predecessori, di Locke e Berkeley. Quindi, conclude Fabro, lopera del grande scettico non che la maturazione inevitabile dei princpi che sono allaurora del pensiero moderno, vale a dire la posizione cartesiana della conoscenza4. Seguendo questa linea di pensiero sembra conveniente quindi, prima daddentrarsi nel pensiero empirista, dire con Fabro due parole sul pensiero di Cartesio. In primo luogo cercheremo di riassumere il giudizio di Fabro su questautore, per passare in un seconodo momento alla lettura di alcuni testi dello stesso Descartes, alla luce della critiica di Fabro. - Giudizio di Fabro Secondo Fabro, Cartesio affermava per il suo meccanicismo, che il corpo del tutto fuori dellanima, lanima veniva ristretta alla sola sfera della coscienza5. Perci, lanima non pu essere conscia di alcuna affezione della materia, n laffezione dellorgano pu assomigliare alloggetto esterno dal quale stata causata. Fabro riassume cos la posizione di Cartesio:
Lultima modificazione organica [limpressione] non quindi che loccasione nella quale, sotto linflusso dellAutore della natura gran punto oscuro del Cartesianesimo lanima specificamente determinata a rappresentarsi loggetto esteriore. [] La rappresentazione mentale delloggetto esterno ci che propriamente detto idea .
6

Dalla critica che Fabro fa a Cartesio possiamo segnalare due idee principali. La prima, che Cartesio, per il suo gi accennato meccanicismo, dovette negare ogni interferenza reale e complementarit fra i due mondi [fisico e spirituale]. Dallo quale si segue che veniva tolta, con la continuit reale (causale), ogni continuit intenzionale7. La seconda, ci che Fabro chiama il principio dellidea-oggetto, vale a dire, il fare dellidea loggetto per s del conoscere. Questo un punto fondamentale. Cos, sembra potersi affermare che lidea chiara e distinta diventa essa stessa la realt. Da questo fondo gnoseologico e metafisico, afferma Fabro, sorgeranno, come vegetazione parassitaria, gli sviluppi, le angustie e le disfatte del problema moderno della percezione. Dalla idea-concetto o dalla ideaimmagine si apriranno le direzioni capitali del pensiero moderno: lEmpirismo ed il Razionalismo8.

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Ivi, 65. Ivi, 66. Ivi, 67. Ivi, 69. Ibidem.

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- Testi di Descartes9 * Dai Princpi della filosofia Criteri della conoscenza (che cosa una percezione chiara e distinta; che essa pu essere chiara senza essere distinta, ma non viceversa):
Vi sono anche delle persone, che, in tutta la loro vita, non percepiscono nulla como necessario per ben giudicarne. Poich la conoscenza sulla quale si vuole stabilire un giudizio indubbio devessere non solo chiara, ma anche distinta. Io chiamo chiara quella che presente e manifesta ad uno spirito attento: come noi diciamo di vedere chiaramente gli oggetti, quando, essendo presenti, agiscono abbastanza fortemente, e i nostri occhi sono disposti a guardarli. E distinta, quella che talmente precisa e differente da tutte le altre, da non comprendere in s se non ci che appare manifestamente a chi la considera come si deve. Per esempio, quando cualcuno sente un dolore cocente, la conoscenza che egli ha di questo dolore chiara a suo riguardo, e non per questo sempre distinta, poich egli la confonde ordinariamente col falso giudizio che fa sulla natura di quello che crede essere nella parte ferita, che egli crede simile alla idea o alla sensazione del dolore che nel suo pensiero, bench non percepisca chiaramente nullaltro che la sensazione o il pensiero confuso che in lui. Cos la conoscenza pu essere chiara 10 senza essere distinta, e non pu essere distinta senza essere chiara per lo stesso mezzo .

Sul rapporto di anima e corpo (come si prova che lanima non sente che in quanto nel cervello):
E si pu facilmente provare che lanima non sente in quanto in ogni membro del corpo, ma solo in quanto nel cervello, dove i nervi, coi loro movimenti, le riportano le diverse azioni degli oggetti esteriori, che toccano le parti del corpo nelle quali essi sono inseriti. Poich, in primo luogo, vi sono molte malattie, che, bench non offendano che il cervello soltanto, tolgono, nondimeno, luso di tutti i sensi, come fa anche il sonno, come sperimentiamo tutti i giorni, e, tuttavia, esso non cambia nulla che nel cervello. Di pi, bench non vi sia nulla di mal disposto n nel cervello, n nelle membra dove sono gli organi dei sensi esteriori, se solo il moto di uno dei nervi, che si estendono dal cervello fino a queste membra, impedito in qualche luogo dello spazio ch fra loro due, questo basta per togliere la sensazione alla parte del corpo dove sono le estremit di questo nervo. E oltre di ci, sentiamo qualche volta del dolore, come se esso fosse in qualcuna delle nostre membra, di cui la causa non in quelle membra dove esso si sente, ma in qualche luogo pi vicino al cervello, per cui passano i nervi che ne danno allanima la sensazione. Il che potrei qui provare per mezzo di molte esperienze, ma mi contenter qui di metterne una manifestissima. Si era soliti bendare gli occhi ad una giovinetta, quando il chirurgo veniva a curarla da un male chessa aveva alla mano, poich essa non ne poteva sopportare la vista, e la cancrena avendo attaccato il suo male, si fu costretti di tagliarle fino alla met del braccio, ci che si fece senza avvertirnela, poich non la si voleva attristare; e le si attaccarono molte bende legate luna sullaltra nel posto di quello che si era tagliato, di modo che essa rest molto tempo dopo senza saperlo. E quello ch notevole in questo che essa non cessava intanto di avere molti dolori, che pensava fossero nella mano che non aveva pi, e di lamentarsi di ci che sentiva ora nelluna delle sue dita e ora nellaltra. Del che non si potrebbe dare altra ragione, se non che i nervi della sua mano, che finivano allora verso il cubito, vi erano mossi nello stesso modo in cui avrebbero dovuto esserlo prima nelle estremit delle sue dita per fare avere allanima nel cervello la sensazione di simili dolori. E ci mostra evidentemente che il dolore della mano non sentito dallanima in quanto 11 essa nella mano, ma in quanto nel cervello .

* Dalle Meditazioni metafisiche Delle cose che si possono revocare in dubbio:


Gi da qualche tempo mi sono accorto che, fin dai miei primi anni, avevo accolto come vere una quantit di false opinioni, onde ci che in appresso ho fondato sopra princpi cos mal sicuri, non poteva essere che assai dubbio ed incerto; di guisa che mera duopo prendere seriamente una volta

9 Tutti i testi di Cartesio che citeremo in questo punto sono pressi da: Carmelo LACORTE et al. [ed.], Teoretica II, in Ugo SPIRITO [ed.], Storia antologica dei problemi filosofici, Sansoni Editore, Firenze 1968, 118-184. 10 11

Ren DESCARTES, I principi della filosofia, I, nn. 45-46. Ivi, IV, nn. 196-198.

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in vita mia a disfarmi di tutte le opinioni ricevute fino allora in mia credenza, per cominciare tutto di nuovo dalle fondamenta, se volevo stabilire qualche cosa di fermo e di durevole nelle scienze. Ma poich questimpresa mi sembrava grandissima, ho atteso di aver raggiunto unet cos matura, che non potessi sperarne dopo di essa unaltra pi adatta; il che mi ha fatto rimandare cos a lungo, che, ormai, crederei di commettere un errore, se impiegassi ancora a deliberare il tempo che mi resta per 12 agire .

La natura dellio, il pensiero, pi facile a conoscersi che il corpo:


La meditazione che feci ieri mha riempito lo spirito di tanti dubbi, che, oramai, non pi in mio potere dimenticarli. E tuttavia non vedo in qual maniera potr risolverli; come se tutta un tratto fossi caduto in unacqua profondissima, sono talmente sorpreso, che non posso n poggiare i piedi sul fondo, n nuotare per sostenermi alla superficie. Nondimeno io mi sforzer, e seguir da capo la stessa via in cui ero entrato ieri, allontandomi da tutto quello in cui potr immaginare il menomo dubbio, proprio come farei se lo riconoscessi assolutamente falso; e continuer sempre per questo cammino, fino a che non abbia incontrato qualche cosa di certo, o almeno, se altro non m possibile, fino a che abbia appreso con tutta certezza che al mondo non v nulla di certo. Archimede, per togliere il globo terrestre dal suo posto e trasportarlo altrove, domandava un sol punto fisso ed immobile. Cos io avr diritto di concepire alte speranze, se sar abbastanza fortunato da trovare solo una cosa, che sia certa e indubitabile. Io suppongo, dunque, che tutte le cose che vedo siano false; mi pongo bene in mente che nulla c mai stato di tutto ci che la mia memoria, riempita di menzogne, mi rappresenta; penso di non aver senso alcuno; credo che il corpo, la figura, lestensione, il movimento ed il luogo non siano che finzioni del mio spirito [chimerae]. Che cosa, dunque, potr essere reputato vero? Forse niente altro, se non che non v nulla al mondo di certo. Ma che ne so io se non vi sia qualche altra cosa, oltre quelle che test ho giudicato incerte, della quale non si possa avere il menomo dubbio? Non v forse qualche Dio, o qualche altra potenza, che mi mette nello spirito questi pensieri? Ci non necessario, perch forse io sono capace di produrli da me. Ed io stesso, almeno, sono forse qualche cosa? Ma ho gi negato di avere alcun senso ed alcun corpo. Esisto, tuttavia; che cosa, infatti, segue di l? Sono io talmente dipendente dal corpo e dai sensi, da non poter essistere senza di essi? Ma mi sono convinto che non vi era proprio niente nel mondo, che non vi era n cielo, n terra, n spiriti, n corpi; non mi sono, dunque, io, in pari tempo, persuaso che non esistevo? No, certo; io esistevo senza dubbio, se mi sono convinto di qualcosa, o se solamente ho pensato qualcosa. Ma vi un non so quale ingannatore potentissimo e astutissimo, che impiega ogni suo sforzo nellingannarmi sempre. Non v dunque dubbio che io esisto, segli minganna; e minganni finch vorr, egli non sapr mai fare che io non sia nulla, fino a che penser di essere qualche cosa. Di modo che, dopo avervi ben pensato ed avere accuratamente esaminato tutto, bisogna infine concludere, e tener fermo, che questa proposizione: Io sono, io esisto, necessariamente vera tutte le volte che le pronuncio, o che la concepisco nel mio spirito. Ma io non conosco ancora abbastanza chiaramente ci che sono, io che son certo di essere []. Ma che cosa, dunque, sono io? Una cosa che pensa. E che cos una cosa che pensa? una cosa che dubita, che concepisce, che afferma, che nega, che vuole, che non vuole, che immagina anche, e che sente. Certo non poco, se tutte queste cose appartengono alla mia natura. Ma perch non vi apparterrebbero esse? Non sono io ancora quel medesimo, che dubito, quasi di tutto, che, nondimeno, intendo e concepisco certe cose, che assicuro ed affermo quelle solo essere vere, che nego tutte le altre, che voglio e desidero conoscerne di pi, che non voglio essere ingannato, che immagino molte cose, qualche volta anche contro la mia volont; che molte cose sento come se mi venissero attraverso gli organi del corpo? V qualcosa in tutto ci che non sia tanto vero, quanto certo che io sono ed esisto, quandanche dormissi sempre, e colui che mha dato lessere si servisse 13 di tutte le sue forze per ingannarmi? . Ora io chiuder gli occhi, mi turer le orecchie, distrarr tutti i miei sensi, canceller anche dal mio pensiero tutte le immagini delle cose corporee, o almeno, poich ci pu farsi difficilmente, le riputer vane e false; e cos intrattenendo solamente me stesso e considerando il mio interno, cercher di rendermi a poco a poco pi noto e pi familiare a me stesso. Io sono una cosa che pensa, cio che dubita, che afferma, che nega, che conosce poche cose, che ne ignora molte, che ama, che odia, che
12 13

Ren DESCARTES, Meditazioni metafisiche, Prima meditazione. Ivi, Seconda meditazione.

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vuole, che non vuole, che immagina anche, e che sente. Poich, come ho notato prima, sebbene le cose che sento ed immagino non siano forse nulla fuori di me ed in se stesse, io sono tuttavia sicuro che quelle maniere di pensare, che chiamo sensazioni ed immaginazioni, per il solo fatto che sono modi di pensare risiedono e si trovano certamente in me. Ed in quel poco che ho detto, io credo di 14 aver riportato tutto ci che so veramente, o, almeno, tutto ci che fin qui ho notato di sapere .

b. La frammentazione delloggetto (Locke) - Giudizio di Fabro15 Tre sono i punti del pensiero di Locke che vogliamo considerare: la nozione lockiana di idea, la sua distinzione tra idee semplici e idee complesse, e la distinzione tra qualit primarie e qualit secondarie. Contro Cartesio, Locke afferma che le idee non possono essere innate, un puro prodotto dello spirito, ma che devono essere piantata nellesperienza. Cosa intende Locke per idea, e per percezione? Fabro riassume cos: lidea una immagine sensibile, e la percezione non si distingue realmente dalla sensazione. Comunque, fa notare Fabro, Locke coincide con Cartesio nel fare dellidea loggetto ed il termine del conoscere. La conoscenza implica per, secondo Locke, un reale processo di sviluppo, che in Cartesio era assente. Questo sviluppo si d nellambito dellesperienza immediata, che si svolge in due momenti: la sensazione e la riflessione. Questa esperienza immediata non presenta allo spirito qualcosa unitaria, ma certi complessi di idee che rappresentano essere particolari. Lo spirito, secondo Locke, pu scoprire (il termine non di Locke, ma nostro), in questo complesso le idee semplici che lo compongono. E, dallapparizione delle idee semplici lo spirito pu passare alla formazione di quelle complesse, tra le quali si possono elencare, per esempio, idee come quelle di sostanza, modo, relazioni. Le qualit primarie e le qualit secondarie di Locke si potrebbero avvicinare (al meno per avere una prima nozione di esse) a ci che nel realismo viene chiamato sensibili comuni e sensibili propri. Locke affermer la priorit gnoseologica, e anche metafisica, delle prime, dicendo che solo le qualit primarie esistono realmente nei corpi, mentre che le qualit secondarie non esistono nei corpi. Fabro dice che abbiamo qua un ultimo contatto con il realismo, anche se si inverte il rapporto di oggettivit aristotelico fra i sensibili propri e comuni. - Testi di Locke16 Tutti i testi che citeremo appartengono al Saggio sullintelleto umano di Locke. Delle idee in generale e della loro origine:
Supponiamo dunque che al principio lo spirito sia quel che si chiama un foglio bianco, privo di ogni carattere, senza alcuna idea. In che modo giunger esso a ricevere le idee? Donde e come ne
14 15 16

Ivi, Terza meditazione. Cfr. Cornelio FABRO, La fenomenologia della percezione, op. cit., 70-73. Cfr. Carmelo LACORTE et al. [ed.], Teoretica II, op. cit., 435-492.

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acquista quella quantit prodigiosa che limmaginazione delluomo, sempre allopera e senza limiti, le offre con una variet quasi infinita? Donde ha tratto tutti questi materiali della ragione e della conoscenza? Rispondo con una sola parola: dallesperienza. questo il fondamento di tutte le nostre conoscenze; da qui esse traggono la loro prima origine. Le osservazioni che facciamo sia intorno agli oggetti esteriori e sensibili, sia intorno alle operazioni interiori dellanima nostra, che percepiamo e sulle quali noi stessi riflettiamo, forniscono la nostra intelligenza di tutti i materiale del pensiero. Sono queste le due sorgenti da cui discendono tutte le idee che abbiamo, o che possiamo avere naturalmente. E anzitutto, i nostri sensi, venendo in rapporto con particolari oggetti sensibili, ci fanno entrare nellanima molte percezioni distinte delle cose, secondo le maniere diverse in cui tali oggetti agiscono sui nostri sensi. cos che acquistiamo le nostre idee del bianco, del giallo, del caldo, del freddo, del duro, del molle, del dolce, dellamaro, e di tutto ci che chiamiamo qualit sensibili. Dico che i nostri sensi fanno entrare tutte queste idee nellanima nostra, intendendo con ci che, dagli oggetti esteriori, essi fanno passare nellanima ci che vi produce queste percezioni. E poich questa grande fonte della maggior parte delle idee che abbiamo dipende interamente dai sensi, e si comunica allintelligenza per mezzo loro, io la chiamo sensazione. Laltra sorgente da cui lintelligenza viene a ricevere, per esperienza, delle idee, la percezione delle operazioni che lanima nostra compie dentro di s sulle idee che ha ricevute mediante i sensi: operazioni che, diventando loggetto della riflessioni dellanima, producono nellintelligenza unaltra specie di idee, che gli oggetti esterni non le avrebbero potuto fornire: e tali sono le idee di ci che si chiama percepire, pensare, dubitare, credere, ragionare, conoscere, volere, e tutte le diverse azioni della nostra anima, dellesistenza delle quali essendo pienamente consapevoli, perch le troviamo in noi stessi, riceviamo per loro mezzo delle idee altrettanto distinte quanto quelle che sono prodotte in noi dai corpi quando vengono a colpire i nostri sensi. Questa una fonte di idee che ogni uomo ha interamente in s; e sebbene questa facolt non sia un senso, poich non ha niente a che fare con gli oggetti esterni essi vi si avvicina di molto, e non le converrebbe male il nome di senso interno. Ma, poich laltra sorgente delle nostre idee la chiamo sensazione, questa la chiamer riflessione, poich per suo mezzo lanima riceve soltanto le idee che essa acquista riflettendo entro se stessa sulle proprie operazioni. Perci appunto vi prego di osservare che, nel seguito del presente discorso, per riflessione intendo la conoscenza che lanima acquista delle proprie diverse operazioni, e dei loro procedimenti: conoscenza, per mezzo della quale lintelligenza viene ad acquistare le idee di quelle operazioni stesse. Questi due, a mio avviso, sono i soli princpi da cui traggono origine tutte le nostre idee: le cose esterne e materiali, che formano loggetto della sensazione, e le operazioni interiori del nostro spirito, che formano loggetto della riflessione. Uso qui la parola operazione in senso ampio, non solo per indicare quelle azioni dellanima che riguardano le sue idee, ma ancora certe passioni che sono prodotte talvolta da queste idee, come il piacere o il disagio causati da un qualunque 17 pensiero .

Qualit primarie e qualit secondarie:


Chiamo idea tutto ci che lo spirito percepisce in se stesso, o che limmediato oggetto della percezione, del pensiero o dellintelligenza; e chiamo qualit di un oggetto il potere o capacit che essa ha di produrre una certa idea nello spirito. Cos chiamo idee la bianchezza, la freddezza e la rotondit, in quanto siano percezioni o sensazioni che troviamo nellanima, e in quanto essi si trovino in una palla di neve, che pu produrre in noi queste idee, le chiamo qualit. E se qualche volta parlo di queste idee come se esse fossero nelle cose stesse, bisogna ricordare che intendo con ci le qualit che si riscontrano negli oggetti che producono in noi quelle idee. Ci posto, bisogna distinguere nei corpi due specie di qualit. Anzitutto, quelle che sono interamente inseparabili dal corpo, in qualunque stato esso sia, in modo che esso le conserva sempre, quali che siano le alterazioni e i cambiamenti che il corpo viene a subire o la forza che si eserciti sopra di esso. []. Queste qualit del corpo, che non possono venirne separate, le chiamo qualit originali o primarie, e sono la solidit, lestensione, la figura, il numero, il movimento o il riposo; esse producono in noi delle idee semplici, come ognuno, credo, pu accertarsi da se stesso. In secondo luogo, vi sono delle qualit che nei corpi non sono effettivamente nientaltro che la capacit di produrre in noi diverse sensazioni per mezzo delle loro qualit primarie, ossia per mezzo

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John LOCKE, Saggio sullintelligenza umana, II, I, nn. 2-4.

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della grandezza, figura, struttura e movimento delle loro parti insensibili, e saranno ad esempio 18 sensazioni di colori, di suoni, di sapori, ecc. A queste do il nome di qualit secondarie .

I gradi della conoscenza:


Poich tutta la nostra conoscenza consiste, come ho detto, nella visione che lo spirito ha delle proprie idee, che costuisce la suprema luce e la maggior certezza da cui noi, con le nostre facolt e col nostro modo di conoscere, siamo capaci, non sar fuori luogo considerare un poco i gradi della sua evidenza. La diversa chiarezza della nostra conoscenza mi sembra stia nel diverso modo di percezione, che lo spirito possiede, della concordanza o discordanza fra le sue idee, quali che siano. Poich, se rifletteremo sulle maniere del nostro pensare, troveremo che talvolta lo spirito percepisce la concordanza o discordanza fra due idee, per se stesse e immediatamente, senza lintevento di alcunaltra: e penso che questa potremo chiamarla conoscenza intuitiva. Poich, in questo caso, la spirito non d alcuna pena di provare o esaminare, ma percepisce la verit come fa locchio con la luce, per il solo fatto di dirigersi verso di essa. Cos, lo spirito percepisce che bianco non nero, che un cerchio non un triangolo, che tre sono pi di due e sono uguali a uno pi due. Tali specie di verit la mente percepisce alla prima vista delle idee unite assieme, per mera intuizione, senza lintervento di alcunaltra idea: e questa specie di conoscenza la pi chiara e pi certa di cui sia capace lumana fralezza [fragilit]. Questa parte della conoscenza irresistibile, e, come la chiara luce del sole, ci costringe immediatamente a percepirla, non appena la mente volga lo sguardo da quel lato; e non lascua luogo a esitazione, dubbio o ulteriore esame, bens la mente senzaltro riempita dalla chiara luce di essa. Da questa intuizione dipende tutta la certezza ed evidenza di tutta la nostra conoscenza; certezza che ognuno trova essere talmente grande, che non pu immaginare, n quindi esigerne, la maggiore; poich uno non pu concepirsi capace di una certezza maggiore di quella che consiste nel sapere che una qualunque idea che ha nella mente quale egli la percepisce; e che due idee, tra le quali percepisce una differenza, sono diverse e non esattamente identiche. Chi domanda una certezza maggiore di questa, non sa che cosa domandi, e solo dimostra di volersi atteggiare a scettico, senza tuttavia riuscirvi. La certezza dipende cos interamente da questa intuizione, che, in quel grado successivo della conoscenza che chiamo dimostrativo, questa intuizione necessaria in tutte le connessioni delle idee intermedie, e senza di essa non possiamo raggiungere n conoscenza 19 n certezza .

c. Linteriorit assoluta delloggetto come idea e la critica alle idee astratte (Berkeley) - Giudizio di Fabro20 In primo luogo, Berkeley nega le qualit primarie e afferma, con Locke che le qualit secondarie, le uniche che restano in piedi, sono soltanto nella mente. Secondo punto della dottrina del vescovo irlandese che ci interessa accennare la sua critica alla teoria della astrazione. No general ideas, sostiene Berkeley. Secondo Fabro, per Berkeley [...] ammetter questo [lastrazione] lo stesso che voler dividere una cosa da se stessa: se il conoscere termina allidea in quanto attualmente presente, non si pu spogliarla della sua attualit, senza perci stesso sopprimerla21. Perci, troviamo gi in Berkeley la prima forma didealismo moderno22, per la sua affermazione dellinteriorit assoluta del reale23.

18 19 20 21 22 23

Ivi, II, VIII, nn. 8-10. Ivi, IV, II, n. 1. Cfr. Cornelio FABRO, La fenomenologia della percezione, op. cit., 73-78. Ivi, 77. Cfr. Ivi, 73. Ivi, 78.

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- Testi di Berkeley24 Critica delle idee generali astratte:


Se ci siano altri che abbiano questa meravigliosa potenza di astrarre le loro idee, potranno dirlo loro meglio di chiunque. Per conto mio, oso asserire positivamente che io non lho: mi accorgo in realt desser capace di immaginare, ossia di rappresentarmi, le idee di quelle cose particolari che ho percepite, unendole fra loro e dividendole in vario modo. Posso immaginare un uomo con due teste, ovvero il busto dun uomo congiunto al corpo dun cavallo. Posso considerare la mano, locchio, il naso ciascuno per conto suo, astratto ossia separato dal resto del corpo: per, qualunque sia la mano o locchio che immagino, deve avere una forma ed un colore determinato. Del pari, lidea di un uomo che compongo, deve essere idea dun uomo bianco o nero ovvero brunastro, diritto ovvero storto, alto o basso ovvero di statura mezzana. Non posso, per quanti sforzi di pensiero faccia, concepir lidea astratta come lho descritta pi sopra. Mi altrettanto impossibile formare lidea astratta di movimento distinto dal corpo che si muove, e che non sia n rapido n lento, n curvilineo n rettilineo. E si pu dir lo stesso di qualsivoglia altra idea generale astratta. Per spiegarmi meglio: riconosco di esser capace di astrarre ma in un solo senso, cio quando prendo a considerare certe parti specifiche ovvere certe qualit peculiari separate da altre quando possibile che le prime esistano realmente senza queste ultime bench si ritrovino unite in qualche oggetto. Ma nego di poter astrarre luna dallaltra, ossia di poter concepire separatamente quelle qualit che non possono realmente esistere isolate in questo modo; nego desser capace di formare una nozione generale astraendo nel modo sopra descritto dai particolari: e sono questi due i significati esatti del termine astrazione. C buona ragione di credere che moltissimi tra gli uomini riconosceranno di trovarsi nelle mie condizioni. La grande maggioranza, gente semplice ed incolta, non pretende mai daver nozioni astratte. Si dice che esse sono difficili e che non possono venir conseguite senza studio e fatica: potremo quindi concludere con ragione che, se pure esistono nozioni astratte, sono un privilegio riservato alle sole 25 persone dotte .

Lesse delle cose un percipi:


evidente per chiunque esamini gli oggetti della conoscenza umana, che questi sono: o idee impresse ai sensi nel momento attuale; o idee percepite prestando attenzione alle emozioni e agli atti della mente; o infine idee formate con laiuto della memoria e dellimmaginazione, riunendo, dividendo o soltanto rappresentando le idee originariamente ricevute nei [due] modi precedenti. Dalla vista ottengo le idee della luce e dei colori, con i loro vari gradi e le loro differenze. Col tatto percepisco il duro ed il soffice, il caldo ed il freddo, il movimento e la resistenza, ecc., e tutto questo in quantit o grado maggiore o minore. Lodorato mi fornisce gli odori; il gusto mi d i sapori; ludito trasmette alla mente i suoni in tutta la loro variet di tono e di combinazioni. E poich se vede che alcune di queste sensazioni si presentano insieme, vengono contrassegnate con un solo nome, e quindi, considerate come una cosa sola. Cos, avvendo osservato, per esempio, che si accompagna un certo colore con un certo sapore, un certo odore, una certa forma, una certa consistenza, tutte queste sensazioni sono considerate come una cosa sola e distinta dalle altre, indicata col nome di mela; mentre altre collezioni di idee costituiscono una pietra, un albero, un libro e simili cose sensibili che, essendo piacevoli o spiacevoli, eccitano in noi i sentimenti damore, di odio, di gioia, dira, ecc. Ma oltre a questa infinita variet di idee, o di oggetti della conoscenza, v poi qualcosa che conosce o percepisce quelle idee, ed esercita su di esse diversi atti come il volere, limmaginare, il ricordare, ecc. Questo essere che percepisce ed agisce ci che chiamo mente, spirito, anima, io. Con queste parole io non indico nessuna mia idea, ma una cosa interamente diversa da tutte le mie idee e nella quale esse esistono, ossia dalla quale esse vengono percepite: il che significa la stessa cosa perch lesistenza di una idea consiste nel venir percepita. Tutti riconosceranno che n i nostri pensieri n i nostri sentimenti n le idee formate dallimmaginazione possono essistere senza la mente. Ma per me non meno evidente che le varie sensazioni ossia le idee impresse ai sensi, per quanto fuse e combinate insieme (cio, quali che siano gli oggetti composti da esse), non possono esistere altro che in una mente che le percepisce. Credo che chiunque possa accertarsi di questo per via intuitiva, se pensa a ci che significa la parola esistere quando viene applicata ad oggetti sensibili. Dico che la tavola su cui scrivo esiste, cio che la vedo e la tocco; e se fossi fuori del mio studio direi che esiste intendendo dire che potrei percepirla se fossi nel mio studio, ovvero che c qualche altro spirito che attualmente la percepisce. Cera un
24 25

Cfr. Carmelo LACORTE et al. [ed.], Teoretica II, op. cit., 680-718. George BERKELEY, Trattato sui princpi della conoscenza umana, Introduzione, n. 10.

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odore, ci era sentito; cera un suono, cio era udito; ecco tutto quel che posso intendere con espressioni di questo genere. Perch per me del tutto incomprensibile ci che si dice dellesistenza assoluta di cose che non pensano, e senza nessun riferimento al fatto che vengono percepite. Lesse delle cose un percipi, e non possibile che esse possano avere una qualunque esistenza fuori delle 26 menti o dalle cose pensanti che le percepiscono .

Qualit primarie e qualit secondarie:


Alcuni fanno distinzione fra qualit primarie e qualit secondarie: con le prime indicano lestensione, la forma, il moto, la quiete, la solidit o impenetrabilit, ed il numero; con le seconde, denotano tutte le altre qualit sensibili, quali i colori, i suoni, i sapori, ecc. Essi riconoscono che le idee che abbiamo di queste ultime non sono similitudini di cose che esistano fuori della mente, ossia non percepite; ma sostengono che le nostre idee delle qualit primarie sono esemplari o modelli di cose che esistono fuori della mente, in una sostanza priva di pensiero che essi chiamano materia. Quindi per materia dovremmo intendere una sostanza inerte e priva di senso, nella quale sussitirebbe attualmente lestensione, la forma, il movimento, ecc. Ma da ci che abbiamo gi dimostrato risulta evidente che la estensione, la forma ed il movimento sono soltanto idee esistenti nella mente, e che unidea non pu essere simile ad altro che ad una idea. Quindi, n le idee primarie n i loro archetipi possono esistere in una sostanza che non percepisce. Di qui chiaro che la nozione stessa di ci che vien chiamato materia o sostanza corporea, importa una contraddizione. E perci non riterrei proprio necessario sciupar altro tempo a mostrarne lassudit: ma poich laffermazione dellesistenza della materia sembra aver presa cos salda radice nelle menti dei filosofi e porta tante cattive conseguenze, preferisco che mi si giudichi prolisso e tedioso piuttosto di omettere qualcosa che possa giovare a scoprire ed estirpare completamente questo pregiudizio. []. Insomma, se uno esamina quegli argomenti che si crede provino ad evidenza che i colori, i sapori, ecc., esistono soltanto nella mente, trover che gli stessi argomenti possono venir addotti a provare lo stesso per lestensione, la forma ed il movimento. Tuttavia, si deve riconoscere che questo processo dargomentazione non prova proprio che non esistano estensione, colore, ecc., in un oggetto esterno, ma piuttosto che non conosciamo col senso quale sia la vera estensione o il vero colore delloggetto. Sono invece le argomentazioni precedenti che mostrano chiaramente come sia impossibile che un colore qualunque o una qualunque estensione o qualsivoglia altra qualit sensibile possa esistere in un soggetto che non pensa, fuori della mente, ed anzi che esista qualcosa che sia un oggetto 27 esterno .

Cause delle idee lo spirito:


Tutte le nostre idee, sensazioni, nozioni ossia le cose che percepiamo, con qualsivoglia nome vogliamo indicarle, sono evidentemente inattive: esse non comprendono nessuna forza e nessun agente. Cossich nessuna idea od oggetto del pensiero pu produrre un qualunque cambiamento in un altro oggetto. Per esser certi della verit di questo, basta soltanto osservare le nostre idee. Dato infatti che esse e ogni parte di esse esistono soltanto nella mente, ne consegue che in esse v soltanto ci che viene percepito; ma chiunque osservi le sue proprie idee, siano esse dovute al senso ovvero alla riflessione, non trover in esse nessun potere o attivit. Nulla di tutto questo dunque compresso in esse. Basta un poco dattenzione per riverlarci che la stessa natura dellidea importa passivit e inerzia, tanto che impossibile ad unidea far qualcosa, ossia, parlando propriamente, esser causa di qualcosa; n essa pu esser la similitudine o la riproduzione di un qualunque essere attivo, come evidente per ci che s detto nel 8. Di qui consegue logicamente che lestensione, la forma e il moto non posson essere la causa delle nostre sensazioni. Quindi, dire che queste siano effetto di forze risultanti dalla forma, dal numero, dal movimento, dalle dimensioni, ecc. di corpuscoli, sar certamente falso. Noi avvertiamo una successione incessante di idee: alcune sono suscitate di nuovo, altre sono mutate ovvero scompaiono del tutto. Esiste dunque una causa di queste idee, una causa dalla quale esse dipendono e che le produce e le muta. Da quanto s detto nella sezione precedente, evidente che questa causa non pu essere una qualunque qualit o una qualunque idea o combinaizone di idee. Deve dunque essere una sostanza: ma poich si provato che non esiste sostanza corporea o materiale, non resta, come causa delle idee, che una sostanza incorporea e attiva, ossi lo spirito. [].

26 27

Ivi, nn. 1-3. Ivi, nn. 9.15.

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Io trovo di poter suscitare a piacere idee nella mia mente, variando e mutando la scena tutte le volte che lo credo opportuno. Basta volere, ed ecco subito che questa quellaltra idea sorge nella mia fantasia; e dallo stesso potere viene cancellata e lascia il posto a unaltra. Questo fare e disfare idee rende appropriato qualificare la mente come attiva. Tutto questo certo e fondato sullesperienza: mentre quando parliamo dagenti che non pensano ovvero di idee suscitate indipendentemente dalla volont, non facciamo altro che giocar con le parole. Ma qualunque sia il potere che o ho sui miei propri pensieri, trovo che le idee percepite attualmente dai sensi non dipendono nello stesso modo dalla mia volont. Quando apro gli occhi alla piena luce del giorno, non posso scegliere di vedere o di non vedere, n fissare quali oggetti se si debbano precisamente presentare alla mia vista, e lo stesso accade per ludito e per gli altri sensi: le idee impresse ad essi non sono creazioni della mia volont. V dunque qualche altra volont ossia un altro 28 spirito che le produce .

d. Il problema della causalit (Hume) - Giudizio di Fabro29 Quale il problema della causalit? Sembra di non essere, al meno nel suo inizio, una critica alla causalit in se stessa, quanto una critica alla possibile fondamentazione filosofica di questo principio. Hume si rende conto che non possibile giustificare a priori la causalit, cercher quindi se nellesperienza c qualcosa che li permetta di fondare questo principio:
[Hume] Non riuscendo a risolvere il problema per pure considerazioni a priori (relazioni filosofiche), lo fa scendere dal piano speculativo puro a quello psicologico: perch noi diciamo che certe particolari cause devono avere di necessit certi particolari effetti? .
30

Fabro sostiene che non si tratta, la critica di Hume, duna negazione della causalit: come uomo ordinario, egli [Hume] resta sempre persuaso che quel nesso esiste di fatto, desidera soltanto di poter giustificarlo in sede filosofica31. Per capire la posizione del problema bisogna conoscere la gnoseologia humiana, e il rapporto che in essa si stabilisce tra idea e impressione, e anche, quale la nozione humiana dimpressione, che sembra in gran parte quella del Berkeley, vale a dire, una sensazione attuale. Per questo, Fabro afferma: il problema di Hume allultima sua tappa [...] affinch sia giustificata la nozione di causa, si chiede e pretende che venga mostrata unimpressione corrispondente32. Ancora Fabro: nella gnoseologia di H. per la riduzione legittima, poich come lidea in tanto vale in quanto pu esser riferita ad una impressione corrispondente33. Due sono i passi per trovare una risposta al problema posto da Hume. Il primo, capire bene quale il problema: si pu inoltre cercare, seguendo passo passo lo svolgersi del problema, di penetrarne il senso e di discernere le esigenze reali del medesimo da

28 29 30 31 32 33

Ivi, nn. 25-25.28-29. Cfr. Cornelio FABRO, Percezione..., op. cit., 431-443. Ivi, 431. Ivi, 432. Ivi, 433 Ivi, 431

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quelle fittizie34. Il secondo, cercare una risposta metafisica, non solo fenomenologica: Ognuno vede che una risposta adeguata al problema, posto da Hume, pu esser data soltanto risalendo immediatamente ai princpi gnoseologici e metafisici che ne comandano la soluzione35. Sembra che Fabro sia daccordo nellaccettare che il principio della causalit non possa sostenersi a priori senza un qualche ricorso allesperienza: per un intelletto radicalmente passivo com il nostro, non sono derivabili senzaltro da queste per via analitica: devono quindi sorgere a posteriori, cio dalla esperienza36. Possiede luomo - si domanda Fabro - unesperienza reale della causalit, dellattivit e della passivit?37. La risposta sar affermativa, anche se non si tratta duna esperienza al modo richiesto da Hume. Cerchiamo di rintracciare il ragionamento di Fabro. In primo luogo, si afferma che nella vita ordinaria ciascuno di noi incontra di continuo forme di attivit e passivit38. E si analizza un esempio:
Osserviamo: sto preparando la lezione e voglio fissare le mie idee in maniera da poterle comunicare. Potrei limitarmi ad ordinarle nella mia mente con alcuni minuti di riflessione; ma siccome temo che laffidarmi alla sola memoria del momento mi possa giocare qualche sorpresa, mi decido a prender 39 penna e carta per appuntare in modo ordinato le mie riflessioni, e scrivo .

Per il soggetto che agisce assai evidente, anche in sede esperimentale, che il suo agire dipenda in qualche modo da s: Questo esercizio di attivit non impersonale, ma va unito alla persuasione di esserne NOI i responsabili, perch autori, e dicendo NOI sintende il soggetto concreto particolare40; sono per certissimo che il movimento attuale della mia mano che scrive dipende unicamente dalla mia volont e posso sospenderlo o continuarlo a mio piacere41. Questa esperienza, anche se semplice e ordinare, pu servire come punto di partenza per lo studio della causalit: Pare che questo complesso sperimentale della vita ordinaria sia sufficiente per servire di base e di giustificazione al contenuto della nozione di causa, tanto sotto laspetto dellattivit come di quello della passivit, senza ricorrere esplicitamente ad esperienze privilegiate42. Occorre per precisare bene a quale tipo di esperienza si fa riferimento. Non una intuizione in senso stretto: la percezione della causalit non si limiti a constatare una successione regolare lurto delle palle da biliardo n consiste in una penetrazione diretta dello svolgersi delle forze naturali allinterno delle sostanze43. analoga a quella esperienza che si potrebbe avere
34 35 36 37 38 39 40 41 42 43

Ivi, 432-433. Ivi, 432. Ivi, 433. Ivi, 434. Ivi, 434. Ivi, 436. Ivi, 435. Ivi, 436. Ivi, 437. Ivi, 441.

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dellessere: La causalit, che diffonde lessere, troppo profonda perch ne possiamo avere un contatto sperimentale: ha infatti la sua radice nel principio stesso dellessere44. chiaro pure che non si tratta nemmeno duna sensazione della causalit:
Per la filosofia realista, non si pu dare una sensazione della causalit, come si d una sensazione di rosso, di caldo, di freddo...; per questo abbiamo sempre parlato di percezione dellattivit e 45 passivit e mai di sensazione o dintuizione in senso stretto .

Riassumendo, sembra che possiamo dire, seguendo Fabro, che c una certa esperienza reale della causalit, dellattivit e della passivit, non per al modo richiesto da Hume (cfr. il rapporto per H. fra impressione ed idee). Corrisponder alla metafisica lanalisi di questa esperienza, lo studio dellorigine della nozione di causalit, il contenuto di essa, ecc. - Testi di Hume46 Impressioni ed idee:
Tutte le percezioni dello spirito umano si possono dividere in due classi, chio chiamer impressioni e idee. La differenza fra esse consiste nel grado diverso di forza e vivacit con cui colpiscono il nostro spirito e penetrano nel pensiero e nella coscienza. Le percezioni che penetrano con maggior forza e violenza, le chiamiamo impressioni: e sotto questa denominazione io comprendo tutte le sensazioni, passioni ed emozioni, quando fanno la loro prima apparizione nella nostra anima. Per idee, invece, intendendo le immagini illanguidite [indebolite] di queste sensazioni, sia nel pensare che nel ragionare [Nota, di Hume: Adopero questi termini di impressione e idea, in un senso diverso dallordinario, e spero che mi sar concessa questa libert tanto pi chio credo di restituire, cos, alla parola idea il suo significato originario, dal quale Locke lallontan chiamando idee tutte le nostre percezioni.]. Ma c unaltra divisione della nostre percezioni da non trascurare, la quale comprende tanto le impressioni quanto le idee: quella delle percezioni in semplici e complesse. Le percezioni semplici, impressioni o idee, son quelle che non permettono nessuna distinzione o separazione: le percezioni complesse, al contrario, posson essere distinte in parti. Bench, ad esempio, un particolare colore sapore e odore siano qualit unite insieme in questa mela, facile vedere che non sono le stesse, s 47 che posson esser distinte luna dallaltra .

Sensazione e riflessione:
Le impressioni possono dividersi in due specie: quelle di sensazione e quelle di riflessione. Quelle della prima specie nascono nellanima originariamente, da cause ignote. Quella della seconda derivano in gran parte dalle nostre idee, nellordine che ora si espone. Unimpressione colpisce dapprima i nostri sensi e ci fa percepire il freddo o il caldo, la sete o la fame, un qualsiasi piacere o dolore. Di questa impressione una copia resta nello spirito, ed quella che chiamiamo idea. Questidea di piacere o di dolore, quando torna a operare sullanima, produce nuove impressioni di desiderio o di avversione, di speranza o di timore, che possono giustamente esse chiamate impressioni di riflessione, perch da essa derivano. Queste vengono, da capo, riprodotte dalla memoria e dallimmaginazione, e diventano idee, le quali possono, a loro volta, dar origine ad altre impressioni e idee. Cosicch le impressioni di riflessione sono anteriori soltanto alle loro idee 48 corrispondenti ma posteriori alle idee di sensazione, e derivano da queste .

Dellassociazione delle idee:


Dato che tutte le idee semplici possono essere separate dallimmaginazione, e di nuovo unite nella forma che pi le piace, le operazioni di questa facolt sarebbero inesplicabili se non fosse guidata da
44 45 46 47 48

Ivi, 442. Ivi, 443. Cfr. Carmelo LACORTE et al. [ed.], Teoretica II, op. cit., 718-752. David HUME, Trattato sulla natura umana, Libro primo, I, I, passim. Ivi, I, II.

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un principio universale che la renda in certa misura uniforme in tutti i tempi e luoghi. Se le idee fossero interamente slegate e sconnesse, soltanto il caso potrebbe congiungerle; ma impossibile che le stesse idee semplici si raccolgano regolarmente in idee complesse (come di solito accade) senza un legame che le unisca tra loro, senza una propriet associativa, s che unidea ne un introduca unaltra naturalmente. Questo principio di unione fra le idee non deve essere considerato come una connessione indissolubile: ch questa gi labbiamo esclusa dalla immaginazione; n, quindi, dobbiamo conchiudere che senza questo principio lo spirito non possa congiungere due idee: ch non c niente di pi libero di quella facolt. Noi dobbiamo considerarlo semplicemente come una dolce 49 forza che comunmente simpone, ed la causa, fra laltro, che le lingue hanno tanta corrispondenza tra loro: la natura par che indichi a ognuno le idee semplici pi adatte ad essere riunite in idee complesse.

Le propriet che danno origine a questa associazione e fan s che la mente venga trasportata da unidea allaltra, sono tre: di somiglianza, di contiguit nel tempo o nello spazio, di causa od effetto50. Critica delle idee astratte:
Una questione molto importante stata sollevata intorno alle idee astratte o generali: se esse siano generali o particolari nellatto con cui la mente le concepisce. Un grande filosofo, il dottor Berkeley, ha contestata lopinione invalsa a questo proposito, ed ha affermato che tutte le idee generali non son altro che idee particolari congiunte a una certa parola che d loro un significato pi esteso e occorrendo, fa s che ne richiamino altre individuali simili a loro. Poich questa scoperta io la considero uno delle maggiori e pi importanti che siano state fatte in questi ultimi anni nella reppublica delle lettere, cercher di confermarla qui con alcuni argomenti che spero la metteranno fuori dogni 51 dubbi e controversia .

Sul principio di causa:


Tutti i ragionamenti relativi a materie di fatto sembrano fondati sulla relazione di causa ed effetto. Soltanto per mezzo di questa relazione possiamo andare al di l dellevidenza della memoria e dei sensi. Se chiedete ad una persona perch crede a qualche fatto, che non presente, per esempio che un suo amico si trova in campagna o in Francia, vi dar una ragione; e questa ragione sar qualche altro fatto, come una lettera ricevuta da parte dellamico o la conoscenza di sue risoluzioni e promesse precedenti. Un uomo che trovasse un orologio o unaltra macchina in una isola deserta, concluderebbe che in quellisola una volta vi sono stati degli uomini. Tutti i ragionamenti riguardanti fatti sono della stessa natura; in essi si suppone sempre che ci sia una connessione fra il fatto presente e quello che da esso viene inferito. Se non ci fosse nulla che li legasse insieme, linferenza sarebbe del tutto precaria. Ludire una voce articolata e un discorso razionale al buio, ci assicura della presenza di qualche persona: perch? Perch questi sono gli effetti della struttura della fabbrica umana strettamente connessi con essa. Se anatomizziamo tutti gli altri ragionamenti di tale natura, troveremo che sono fondati sulla relazione di causa ed effetto e che questa relazione vicina o remota, diretta o collaterale. Il calore e la luce sono effetti collaterali del fuoco, ed uno di questi effetti pu, appunto per questo, essere inferito dallaltro. Se, dunque, vogliamo metter capo a una spiegazione soddisfacente intorno alla natura dellevidenza che ci assicura dei fatti, dobbiamo ricercare come arriviamo alla conoscenza di causa ed effetto. Oser affermare come proposizione generale che non ammette eccezioni che la conoscenza di questa relazione non si consegue in alcun caso mediante ragionamenti a priori; ma nasce interamente dallesperienza quando troviamo che certi particolari oggetti sono costantemente congiunti tra loro. Presentiamo un oggetto ad una persona di capacit ed abilit razionali forti quanto si voglia; se quelloggetto le del tutto nuovo, essa non riuscir, collesame pi accurato delle qualit sensibili di esso, a scoprire qualcuna delle sue cause o dei suoi effetti. Adamo, anche se si supponga che le sue facolt razionali fossero, fin dallinizio, assolutamente perfette, non avrebbe potuto inferire dalla fluidit
49

Cfr. Cornelio FABRO, La fenomenologia della percezione, op. cit., 83: La forza gentile lASSOCIAZIONE. E anche Cornelio FABRO, Percezione e pensiero, op. cit., 426: D. Hume, dopo la sua demolizione critica, pur abbandonando con rammarico gli studi speculativi, aveva fatto ritorno e si era affidato con fiducia al pensiero spontaneo che scorre dolcemente spinto dalla gentle force del Custom o Belief e riusciva a consolarsi, alla fine, che lAutore della natura, in materia tanto importante, non ci avesse lasciato in bala dei nostri poveri ragionamenti, ma avesse posto nella nostra mente un principio infallibile, per il quale il corso delle nostre idee procedeva sincrono, in piena uniformit, come per unarmonia prestabilita, con quello della natura.
50 51

Ivi, I, IV. Ivi, I, VIII.

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e trasparenza dellacqua che questa lo poteva soffocare, o dalla luce e dal calore del fuoco che questo poteva ridurlo in cenere. Nessun oggetto manifesta, per mezzo delle qualit che appaiono ai sensi, n le cause che lo hanno prodotto, n gli effetti che sorgeranno da esso; n la ragione pu mai, senza laiuto dellesperienza, trarre alcuna inferenza riguardante esistenze reali o materia di fatto. Questa proposizione che cause ed effetti si possono scoprire non per mezzo della ragione, ma per mezzo dellesperienza sar ammessa facilmente per quanto riguarda gli oggetti dei quali ricordiamo che in passato ci sono stati del tutto sconosciuti, giacch dobbiamo essere consci dellassoluta incapacit in cui allora ci trovavamo di predire che cosa sarebbe venuto da essi. Presentate due pezzi levigati [lisci] di marmo ad uno che non abbiamo nemmeno uninfarinatura di filosofia naturale; egli non scoprir mai che essi aderiranno luno allaltro in maniera di richiedere molta forza per separarli in linea retta, mentre oppongono scarsa resistenza ad una pressione laterale. Eventi tali, che hanno poca analogia col comune corso della natura, vengono conosciuti, lo si ammette facilmente, soltanto per mezzo dellesperienza: n qualcuno immagina che lesplosione della polvere da sparo o lattrazione della calamita potrebbero essere scoperte per mezzo di argomenti a priori. Allo stesso modo, quando si ritiene che un effetto dipenda da un intrincato meccanismo o segreta struttura di parti, non facciamo difficolt ad attribuire tutta la nostra conoscenza di esso allesperienza. Chi asserir di poter dare la ragione ultima per cui il latte o il pane sono nutrimento adatto per un uomo, non per un leone o per una tigre? La stessa verit per pu non apparire, a prima vista, fornita della medesima evidenza in relazione ad eventi che ci siano divenuti familiari fin dal nostro primo apparire al mondo, che abbiano una stretta analogia con lintero corso della natura e che si ritenga dipendano dalle semplici qualit degli oggetto, senza alcuna segreta struttura di parti. Noi siamo inclini a pensare che potremmo scoprire questi effetti per mezzo delle semplici operazioni della ragione, senza esperienza. Noi immaginiamo che se fossimo portati allimprovviso in questo mondo, potremmo fin dallinizio inferire che una palla di bigliardo sarebbe in grado di comunicare movimento ad unaltra in seguito ad impulso; e che non avremmo bisogno di attendere levento per pronunciarci con certezza intorno ad esso. tale linflusso della consuetudine che questa, dove pi forte, non soltanto nasconde la nostra ignoranza della natura, ma anche cancella se stessa, e sembra che non esista, soltanto perch presente nel pi alto grado. Ma per convincerci che tutte le leggi di natura, e tutte le operazioni dei corpi senza eccezione, vengono conosciute soltante per mezzo dellesperienza, basteranno, forse, le seguenti riflessioni. Se vi presentasse un oggetto, e vi si chiedesse di pronunciarvi intorno alleffetto che ne risulter, senza consultare delle osservazioni passate, in quale maniera, vi prego, dovrebbe procedere la mente in una simile operazione? Dovrebbe inventare o immaginare qualche evento, da ascrivere alloggetto come suo effetto; ed chiaro che questinvenzione dovrebbe essere del tutto arbitraria. Non possibile che la mente trovi mai leffetto nella supposta causa, nemmeno con lindagine e con lesame pi accurato, perch leffetto totalmente differente della causa, e per conseguenza non pu venire scoperto in essa. Il movimento nella seconda palla di bigliardo un fatto del tutto distinto dal movimento nella prima; non c nulla che suggerisca nelluno il pi piccolo cenno dellaltro. Una pietra o un pezzo di metallo sollevato in aria e lasciato senza sostegno, immediatamente cade; ma a considerare la materia a priori, v forse qualcosa che noi si scopra in tale situazione e che possa generare lidea di un movimento allingi, piuttosto che quella di un movimento allins o di qualche altro movimento, nella pietra o nel metallo? E come la prima immaginazione o invenzione di un particolare effetto, in tutte le operazioni della natura, arbitraria, se noi non consultiamo lesperienza, cos dobbiamo considerare arbitrario il supposto legame o connessione fra causa ed effetto che li unisce insieme e rende impossibile che qualche altro effetto possa risultare dallazione di quella causa. Quando vedo, per esempio, una palla di bigliardo che si muove in linea retta verso unaltra, anche supponendo che il movimento nella seconda palla mi venga accidentalmente suggerito come risultato del loro contatto o impulso, non posso forse io concepite che cento diversi fatti possano egualmente seguire da tale causa? Non potrebbero forse entrambe quelle palle arrestarsi e rimanere in posizione di quiete assoluta? Non potrebbe forse la prima palla tornare indientro in linea retta o rimbalzare dalla seconda in una qualsiasi linea o direzione? Tutte queste supposizioni sono coerenti e concepibili. Perch dovremmo dare la preferenza ad una che non pi coerente o concepibile delle altre? Nessun ragionamento a priori riuscir mai a giustificare questa preferenza. In una parola, dunque, ogni effetto un fatto distinto dalla sua causa. Non potrebbe, dunque, venire scoperto nella causa e la prima invenzione o concezione di esso, a priori, deve risultare del tutto arbitraria. Anche dopo esse stato suggerito, la congiunzione delleffetto colla causa apparir egualmente arbitraria, poich ci sono sempre molti altri effetti che alla ragione apparirano egualmente

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del tutto coerenti e naturali. Invano, dunque, pretenderemo di determinare qualche singolo fatto, o di 52 inferire qualche causa o qualche effetto, senza laiuto dellosservazione e dellesperienza . Quando si presenta qualche oggetto naturale o qualche evento, ci impossibile, con qualunque sagacia o penetrazione, di scoprire, o anche solo di congetturare, prescindendo dallesperienza, quale evento deriver dal primo, o di spingere la nostra previsione al di l delloggetto che immediatamente presente alla memoria e ai sensi. Anche dopo un caso o un esperimento in cui abbiamo rilevato che un evento particolare tien dietro ad un altro, non siamo autorizzati a formare una regola univesale, o a predire quello che accadr in casi simili, poich si pensa giustamente che sia imperdonabile temerit il giudicare dellintero corso della natura da un singolo esperimento per quanto accurato o certo. Ma quando una specie particolare di eventi stata congiunta con unaltra sempre, in tutti i casi, non abbiamo pi alcuno scrupolo di predire luna in base allapparire dellaltra, n di adoperare quel ragionamento che unico pu darci sicurezza in qualunque questione di fatto o di esistenza. Allora noi chiamiamo un oggetto causa e laltro effetto. E supponiamo che vi sia qualche connessione fra di essi, qualche potere nelluno, con cui esso produce infallibilmente il secondo ed opera colla maggiore certezza e colla pi forte necessit. Risulta allora che questidea duna connessione necessaria fra eventi sorge da un numero di casi simili in cui si verifica la costante congiunzione dei detti eventi, mentre quellidea non pu mai esser suggerita da qualcuno solo di questi casi, anche se considerato in tutte le luci e le posizioni possibili. Ma in un certo numero di casi non c nulla di diverso da quello che c in ciascun caso singolo, che si suppone sia esattamente simile agli altri, eccetto soltanto che, dopo il ripetersi di casi simili, la mente viene spinta dallabitudine, in base al presentarsi di un evento, ad attendere levento che di solito lo accompagna ed a credere che esso si verificher. Questa connessione, dunque, che noi sentiamo nella mente, questo passaggio che limmaginazione in base alla consuetudine compie da un oggetto a quello che di solito lo accompagna, il sentimento o limpressione da cui formiamo lidea di potere o di connessione necessaria. Nulla pi di questo, nel nostro caso. Considerate il soggetto da tutti i lati; non troverete alcunaltra origine di quellidea. Questa la sola differenza fra un solo caso, dal quale non possiamo derivare lidea di connessione, ed un numero di casi simili, dal quale essa ci vien suggerita. La prima volta che un uomo osserv la comunicazione del movimento per mezzo di impulso, come per mezzo dellurto di due palle di bigliardo, non pot dire che lun evento era connesso, ma soltanto che era congiunto con laltro. Dopo aver osservato parecchi casi di questa natura, dichiara che essi sono connessi. Quale modificazione intervenuta a far sorgere questa nuova connessione? Nessuna allinfuori che ora egli sente che questi eventi sono connessi nella sua immaginazione e pu facilmente predire lesistenza delluno dallapparire dellaltro. Quando diciamo, perci, che un oggetto connesso con un altro, intendiamo soltanto che i due oggetti hanno acquistato una connessione nel nostro pensiero, che conducono a quellinferenza, per cui divengono prova luno dellesistenza dellaltro; conclusione, questa, alquanto fuori dellordinario, ma che pare fondata su una sufficiente evidenza. N questevidenza sar indebolita da qualche generale diffidenza dellintelletto, o da qualche sospetto scettico nei confronti dogni conclusione nuova e straordinaria. Nessuna conclusione pu essere pi gradita allo scetticismo di questa che fa scoperte intorno alla debolezza ed ai limiti 53 ristretti della ragione e della capacit delluomo .

Chiudiamo questo capitolo sullempirismo con un paragrafo di Cornelio Fabro:


La realt in quanto si pone di fronte al pensiero ci che sta in s (An sich bestehen): ora ci che sta in s, in senso pieno, la sostanza. La filosofia moderna ai suoi iniz ha una manipolazione propria della nozione di sostanza, la quale responsabile non poco delle riduzioni successive sia ontologiche (Spinoza, Leibniz), sia gnoseologiche (Locke, Berkeley, Hume e infine Kant). Nelle riduzioni gnoseologiche la sostanza segue le sorti della realt, come essenza; e cos doveva essere, poich in tanto possibile concepire una sufficienza nel campo ontologico reale, in quanto dato un nucleo di sufficienza reale in quello ontologico formale. Lempirismo ha soppresso questunit formale profonda quando ha negato le idee astratte; perduto cos il principio di ogni consistenza nozionale e reale, per la smania di ridurre tutto alla evidenza di percezione, si ridusse come tocc, per la sua confessa testimonianza, a Hume a distruggere i fondamenti della stessa percezione. Noi conosciamo solo le apparenze, le propriet esteriori; la sostanza, che le sostiene dallinterno, ci resta sconosciuta. Locke afferma, con Aristotele, che le nostre idee vengono dallesperienza, e conserva ancora tutta la terminologia tradizionale, ma il contenuto dei termini allultimo limite di depauperamento. Berkeley passa alla negazione esplicita delle idee astratte, ma
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David HUME, Ricerca sullintelletto umano, IV, I, passim. Ivi, VII, II, passim.

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ritiene per incongruenza ancora la persuasione sulle sostanze, almeno in quelle spirituali, dellanima e di Dio. Tocc a Hume di raccogliere i frutti della coerenza piena riducendo la sostanza alle propriet dellesperienza attuale, cio al fascio delle impressioni ed idee di percezione secondo che 54 lAssociazione le riunisce in gruppi fenomenali di una certa consistenza .

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Cornelio FABRO, Percezione e pensiero, op. cit., 406.

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III. IL RAZIONALISMO

Schema 1. Nozione 2. Autori 3. Il dualismo gnoseologico di Kant

1. Nozione la tendenza opposta allempirismo. Afferma che la verit soltanto pu essere raggiunta dalla ragione. Se qualche volta lascia un posto allesperienza sensibile, le riduce il valore1. Il razionalismo afferma che quanto c dordine e duniversale nella nostra conoscenza viene dallo spirito. Perci, il processo del conoscere non un processo dastrazione dun universale partendo dai singolari, quanto una certa illuminazione dellesperienza a partire delle verit che si trovano gi nello spirito. Fabro lo spiega cos:
[Il Razionalismo] suppone che luniversale ed ogni ordine e struttura nella conoscenza sono di natura immediata e data, non costruibile dal basso; per questo non sono i processi inferiori la ragione dei superiori, ma piuttosto i primi non si attuano che in seguito e in dipendenza dei secondi. Lo sviluppo gnoseologico qui avviene nella direzione dallalto in basso: allora non pi il caso di parlare di sviluppo, quanto invece di regressione, di degradazione dellintelligibile nel sensibile, delluniversale nel particolare, della appercezione luminosa delle verit immutabili e della proiezione delle medesime 2 nelle oscure intuizioni dei sensi .

Per il razionalismo il problema della percezione ha poca importanza. Il suo grande problema cercare di spiegare lorigine di queste strutture a priori della conoscenza. Perci Fabro arriva ad affermare che nel contesto dello studio della conoscenza lo studio del razionalismo non ha molto interesse:
Il problema intrinseco ad ogni Razionalismo diviene allora quello di spiegare al contrario di quanto si verifica nellEmpirismo come il soggetto sia un puro soggetto cio un inerte ricettacolo o depositario di quei contenuti intelligibili, i quali ripetono la propria origine e la propria presenza, non dalle energie apprensive del soggetto particolare, ma dallattuarsi che si ha nei soggetti particolari di un Intelletto, Spirito, Coscienza o Attivit universale. In questa direzione speculativa tutto linteresse vlto alla spiegazione della natura dei primi contenuti universali e della maniera nella quale lIntelletto universale li pu comunicare ai soggetti particolari (Innatismo, Armonia prestabilita, Ontologismo, Tradizionalismo, Idealismo...). Il problema della percezione o vi completamente trascurato, od, al pi, considerato come un epifenomeno che accade alla mente, quando per soddisfare alle esigenze particolari della vita, deve mettersi in contatto con il flusso caleidoscopico dellesperienza 3 sensibile. E per questo non c ragione che ci occupiamo pi direttamente del Razionalismo .

2. Autori Possiamo dire che il primo tra i razionalisti stato Parmenide. Secondo lui, solo la ragione conduce il saggio al cuore della verit: la via dellesperienza porta solo allerrore. La prima verit per lintelligenza : lessere , il non essere non . Da questo principio Parmenide deduce una

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Cfr. Roger VERNEAUX, op. cit., 55-68. Cornelio FABRO, La fenomenologia della percezione, op. cit., 39. Ivi, 39-40.

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metafisica monistica, che nega intrepidamente il cambiamento e la diversit degli esseri, affermando lunit e limmobilit dellessere. La morale stoica riposa su una metafisica di questo tipo. Il saggio deve diventare indifferente, insensibile al piacere ed al dolore e cos estirpare le passioni, perch le passioni appartengono al mondo del sensibile. La felicit risiede nella virt e la virt consiste nel vivere secondo la ragione. La filosofia moderna, con Cartesio, d luogo al razionalismo moderno. Il razionalismo di Cartesio si esprime soprattutto nellidea della matematica universale e nella teoria delle idee innate. La matematica per Cartesio il tipo della scienza, perch rigoroso e progressiva. Una conoscenza scientifica deve svilupparsi a priori da idee chiare e distinte afferrate per intuizione, e dedurre la verit per ordine, come la serie dei teoremi della geometria. Lesperienza serve in quanto da un indice di esistenza alle conclusioni dedotte a priori dai principi. Lesperienza non fornisce alcun oggetto alla scienza. Riguardo allorigine dellidee, Cartesio ammette che molte idee sono avventizie, come le sensazioni, ed altre fittizie, come limmaginazione; ma queste idee non sono chiare e distinte e di conseguenza non possono servire di base per le scienze. Solo le idee innate sono chiare e distinte, specialmente lestensione, che loggetto della geometria. Altri pensatori come Spinoza, Wolf e Leibniz continueranno questo indirizzo di ricerca di una matematica universale. Con Kant il razionalismo si approfondisce. Nel punto seguente approfondiremo la dottrina di questo autore. 3. Il dualismo gnoseologico di Kant Come si gi segnalato in precedenza, non vogliamo fare in questi capitoli una rifiutazione completa del pensiero dei pensatori studiati. Una rifiutazione incompleta, o al meno in principis, vorrebbe essere il frutto del confronto tra le dottrine dei filosofi moderni e gli insegnamenti di San Tommaso, che studieremo pi avanti guidati da Fabro. A Cartesio ci siamo gi riferiti, perci cerchiamo di dire adesso qualcosa sul pensiero di Kant. a. Giudizio di Fabro A Kant si pu concedere il merito daver tentato di superare tanto lempirismo quanto il razionalismo, o almeno, daver proclamato linsufficienza di ambedue teorie per rispondere in modo adeguato al problema della conoscenza. In questo senso, Kant, propriamente parlando, sarebbe al di l del razionalismo in senso stretto. Per la sua affermazione della necessit di una certa continuit tra sensibilit e intelligenza per arrivare ad una conoscenza oggettiva Fabro chiama Kant il pi aristotelico dei pensatori del suo tempo. Ecco il testo di Fabro che stiamo commentando:
stato Kant a proclamare nellet moderna il carattere fittizio di ambedue i metodi isolati introducendo per primo, nella filosofia del suo tempo, il principio metodologico che una teoria adeguata della conoscenza umana devessere quella non di unintelligenza pura, n di una pura sensibilit, ma di unintelligenza che insieme legata intrinsecamente, nel suo attuarsi completo, alla sensibilit. Kant introduceva cos il Dualismo, in gnoseologia, come soluzione per un sapere che sia ad un tempo

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valido, cio necessario ed oggettivo, cio riferibile ai contenuti desperienza (problema dei giudiz sintetici a priori). E fin qui si pu riconoscere che Kant obbediva ad un urgente bisogno di raggiungere una teoria del conoscere che fosse al di l dei punti stagni dellEmpirismo e del Razionalismo, ed in questo si pu ben dire chegli si avvicinato alla forma mentis aristotelica pi di qualsiasi pensatore 4 del suo tempo .

Non ostante le sue buone intenzioni, Kant, prigioniero dei principi della filosofia moderna, rimasto chiuso nellisolamento proprio di una dottrina che non riesce a spiegare la continuit tra il mondo spirituale e quello materiale. Fabro riassume cos il fallimento kantiano:
Comunque la cosa sia, va segnalato il fatto che il sistema kantiano, contrariamente alla persuasione del suo Autore, non stato che un punto di partenza per una rielaborazione originale che ha portato a quelle stesse forme pi ardite del filosofare contro le quali egli stesso era insorto. Segno questo che nel suo sistema il senso e lintelletto, lesperienza e la ragione, la cosa in s e il fenomeno... erano 5 rimasti, nonostante il tentativo di avvicinarli, estranei lun allaltro .

Largomento centrale del kantismo si pu riassumere cos: ci che ordina lesperienza non pu essere dato dallesperienza. Allora, spezzata la connessione vitale della quale parla Fabro, pure il kantismo condannato a naufragare nellidealismo. Leggiamo un breve testo di Fabro:
Largomento centrale era il principio ci che ordina lesperienza non pu essere dato dallesperienza; di qui la deprecata separazione di una materia tutta a posteriori e di una forma tutta a priori che, non solo Kant, ma tutti i kantiani non sono riusciti a riparare, ed hanno dovuto naufragare 6 nellidealismo .

Da questo si segue quale sia il punto debole del kantismo, come lo chiama Fabro: Ma il punto pi debole del Kantismo sta nella doppia distinzione di intuizione e pensiero, di materia e forma: cos come stanno in Kant, esse spezzano una connessione vitale7. Facciamo un breve accenno alla gnoseologia kantiana8 a partire di questa doppia distinzione. Alla sensibilit dato un caos od una polvere di elementi sensibili, indistinta ed informe nel contenuto. Kant accetta integralmente la nozione humiana dellesperienza sensoriale. Fabro insiste su questa dipendenza di Kant della nozione humiana di percezione nel suo volume Percezione e pensiero. Per esempio:
La posizione di Kant, vista da questo angolo, non regge e va riveduta perch il suo punto di partenza, lanalisi humiana della percezione, tuttaltro che indiscutibile; e se Kant la accett con un 9 acquiescente come Hume ha dimostrato, ci non depone a favore del suo acume critico . La psicologia moderna ha da liberare la teoria della conoscenza da non poche superstizioni, che molti si ostinano a credere intangibili. La principale la distinzione kantiana di materia e forma nella percezione sensoriale: la dottrina che lordine nelle percezioni sensoriali dipenda essenzialmente da 10 forme a priori, non ha altra base che il concetto humiano della percezione .

Ci che si da alla sensibilit quindi, la chiamata materia della conoscenza. Ed una pura materia, tutta a posteriori e senza nessun ordine. Forma della conoscenza invece la struttura che ricevono questi dati informi. Questa formazione opera della spontaneit del
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Ivi, 40. Ibidem. Ivi, 56. Ivi, 53. Cfr. Cornelio FABRO, Percezione..., op. cit., 194-196. Ivi, 407. Ivi, 412.

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soggetto (e per questo tutta a priori) secondo le sue categorie e ha due tappe: una nel campo sensoriale dellintuizione, laltra nel campo della ragione con la sintesi categoriale. Lo stesso Kant si rende conto che a questo punto non ancora giustificata loggettivit della conoscenza. Vediamo un piccolo testo di Kant citato da Fabro: Le categorie senza intuizione sono vuote e la esperienza da sola cieca, onde la conoscenza oggettiva valida soltanto nellapplicazione di una categoria ad un contenuto desperienza intuitiva o sussunzione di questa in quella (B, P. II, lib. I, 26, 151-152). Il problema sorge dalla disparit tra categorie e intuizione empiriche che non possono entrare in contatto. Ancora alcune affermazioni di Kant: i concetti puri dellintelletto paragonati alle intuizioni empiriche (anzi sensibili, in generale) sono affatto eterogenei e non possono trovarsi mai in una qualsiasi intuizione. Or com possibile la sussunzione di queste sotto di quelli, e quindi lapplicazione delle categorie ai fenomeni? (B, 159). Da questa problematica nasce la teoria kantiana degli schemi: qui che Kant, con profondo intuito, escogit lo schema quale terzo termine che devessere omogeneo da un lato con la categoria, e dallaltro col fenomeno, onde sia possibile lapplicazione di quella a questo. Tale rappresentazione intermedia devessere pura (senza niente di empirico) e tuttavia, da un lato, intellettuale, dallaltro sensibile. Tale lo schema trascendentale. Lo schema pi importante quello del tempo. Si possono aggiungere altri esempi di schemi: Kant esemplifica: il numero lo schema puro della quantit; lo schema della sostanza la permanenza del reale nel tempo: sostrato che perci rimane, mentre tutto il resto muta; lo schema della causa il reale a cui, una volta che esso sia posto, segue sempre qualche altra cosa: esso consiste adunque nella successione del molteplice, in quanto sottoposta ad una regola (B, 163). b. Testi di Kant11 Le due fonti della conoscenza, sensibilit e intelletto, e la loro dottrina, estetica e logica:
La nostra conoscenza scaturisce da due fonti principali dello spirito, la prima delle quali la facolt di ricevere le rappresentazioni (la recettivit delle impressioni), la seconda quella di conoscere un oggetto mediante queste rappresentazioni (spontaneit dei concetti). Per la prima, un oggetto ci dato; per la seconda esso pensato in rapporto con quella rappresentazione (come semplice determinazione dello spirito). Intuizione e concetti costituiscono, dunque, gli elementi di ogni nostra conoscenza; per modo che, n concetti, senza che a loro corrisponda in qualche modo una intuizione, n intuizioni, senza concetti, possono darci una conoscenza. Entrambi sono puri o empirici. Empirici, quando contengano una sensazione (che suppone la presenza reale delloggetto); puri, invece, quando alla rappresentazione non sia mescolata alcuna sensazione. La sensazione si pu dire materia della conoscenza sensibile. Quindi una intuizione pura contiene unicamente la forma in cui qualcosa intuito, e un concetto puro solamente la forma del pensiero dun oggetto in generale. Ma solo le intuizioni e i concetti puri possibili sono a priori, gli emprici soltanto a posteriori. Se chiamiamo sensibilit la recettivit del nostro spirito, la facolt di ricevere rappresentazioni quando esso in qualunque modo modificato, lintelletto invece la facolt di produrre da s rappresentazioni, ovvero la spontaneit della conoscenza. La nostra conoscenza cosiffatta che lintuizione non pu essere mai altrimenti che sensibile, cio non contiene se non il modo in cui siamo modificati dagli oggetti. Al contrario, la facolt di pensare loggetto dellintuizione sensibile lintelletto.

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Cfr. Carmelo LACORTE et al. [ed.], Teoretica II, op. cit., 1034-1148.

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Nessuna di queste due facolt da anteporre allaltra. Senza sensibilit nessun oggetto ci sarebbe dato, e senza intelletto nessun oggetto sarebbe pensato. I pensieri senza contenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti sono cieche. quindi necessario tanto rendersi sensibili i concetti (cio aggiungervi loggetto nellintuizione), quanto rendersi intelligibili le intuizioni (cio ridurle sotto concetti). Queste due facolt o capacit non possono scambiarsi le loro funzioni. Lintelletto non pu intuire nulla, n i sensi nulla pensare. La conoscenza non pu scaturire se non dalla loro unione. Ma non perci si devono confondere le loro parti; ch, anzi, si ha grande ragione di separarle accuratamente e di tenerle distinte. Per questo noi distinguiamo la scienza delle leggi della sensibilit 12 in generale, lestetica, dalla scienza delle leggi dellintelletto in generale, la logica .

Lintelletto, divisione della logica trascendentale in analitica e dialettica trascendentale:


In una logica trascendentale noi isoliamo lintelletto (come sopra, nella Estetica trascendentale, la sensibilit), e rileviamo, di tutta la nostra conoscenza, soltanto la parte del pensiero, che ha la sua origine unicamente nellintelletto. Ma luso di questa conoscenza pura si fonda su ci come sua condizione: che ci vengano dati nellintuizione oggetti, ai quali possa essere applicata. Giacch senza intuizione ad nostra conoscenza manca loggetto, ed essa allora rimane affatto vuota. La parte, dunque, della logica trascendentale che espone gli elementi della conoscenza pura dellintelletto e i principi senza i quali nessun oggetto pu essere assolutamente pensato, lanalitica trascendentale, e insieme una logica della verit. Infatti, nessuna conoscenza pu contraddire ad essa senza perdere insieme ogni contenuto, cio ogni rapporto a un oggetto qualsiasi, e quindi ogni verit. Ma, poich molto secudente e pieno di attrattiva servirsi di queste conoscenze intellettuali e principi puri da soli, e anche oltre i limiti dellesperienza, la quale solamente, per altro, pu fornirci la materia (gli oggetti) a cui quei concetti puri dello intelletto possono essere applicati; cos lintelletto corre il rischio di fare, con vani sofismi, un uso materiale di quelli che sono soltanto principi formali dellintelletto puro, e di giudicare indifferentemente di oggetti, che non ci sono punto dati, anzi probabilmente non possono esserci dati in alcun modo. Poich dunque essa propriamente non pu essere altro che un canone di giudizio nelluso empirico, se ne abusa se la si fa valere come organo di uso generale ed illimitato, e ci si arrischia, col solo intelletto puro, a pronunziar giudizi sintetici, ad affermare e a decidere sopra oggetti in generale. Luso infatti dellintelletto puro sarebbe in tal caso dialettico. La seconda parte della logica trascendentale, perci, deve essere una critica di questa apparenza dialettica, e si chiama dialettica trascendentale, non quasi unarte di suscitare dommaticamente una tale apparenza (arte 13 purtroppo corrente, di svariate ciurmerie metafisiche), ma come critica dellintelletto e della ragione rispetto al loro uso iperfisico, a fine di svelare lapparenze fallace delle sue conoscenze, che essa si 14 illude di ottenere merc principi trascendentali, al semplice giudicamento dellintelletto puro e al suo 15 preservamento dalle illusioni sofistiche .

Il principio dellunit sintetica dellappercezione:


Il molteplice delle rappresentazioni pu esser dato in una intuizione che puramente sensibile, ossia che non altro che recettivit; e la forma di questa intuizione pu trovarsi a priori nella nostra facolt rappresentativa, senza tuttavia esser altro che la maniera, in cui il soggetto modificato. Ma lunificazione (coniunctio) di un molteplice in generale non pu mai venire in noi dai sensi, e nemmeno perci essere contenuta immediatamente nella pura forma dellintuizione sensibile; perch essa un atto della spontaneit dellattivit rappresentativa; e poich questa occore chiamarla intelletto per distinguerla dalla sensibilit, cos ogni unificazione [Verbindung], - ne abbiamo noi o no coscienza, e sia unificazione del molteplice nellintuizione, o di molteplici concetti, e nel primo caso, del molteplice dellintuizione sensibile o dellintuizione non sensibile, - una operazione dellintelletto, che possiamo designare colla denominazione generale di sintesi, anche per far in tal modo rilevare che noi non possiamo rappresentarci nulla come unificato [verbunden] nelloggetto, senza averlo prima unificato gi noi, e che tra tutte le rappresentazioni lunificazione la sola, che non data dagli oggetti, ma pu essere prodotta solo dal soggetto, essendo un atto della sua spontanea attivit. Qui facilmente si scorge che questo atto deve essere originariamente unico e valevole ugualmente per ogni unificazione, e che la divisione (analisi), che sembra essere il suo opposto, lo presuppone tuttavia

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Immanuel KANT, Critica della ragione pura. Logica trascendentale. Introduzione, I. Ciurmare: v.tr. BU pop. raggirare, ingannare; OB proteggere con mezzi magici da pericoli o mali (Dizionario italiano De Mauro). Merc : 5. prep., per causa di, per merito di, grazie a (Dizionario italiano De Mauro). Immanuel KANT, Critica della ragione pura. Logica trascendentale. Introduzione, IV.

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sempre; giacch, se lintelletto nulla ha prima unificato, non pu nulla dividere, poich soltanto per 16 opera di esso possibile che allattivit rappresentativa sia stato dato qualcosa come unificato .

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Immanuel KANT, Critica della ragione pura. Analitica dei concetti, 15-17.

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IV. LIDEALISMO

Schema 1. Nozione 2. Autori 3. Lidealismo di Hegel

1. Nozione Vi una stretta affinit tra il razionalismo e lidealismo e come una inclinazione naturale del primo verso il secondo, poich il miglior mezzo per ottenere un reale che sia razionale evidentemente quello di ammettere che il reale costituito dalla attivit della ragione. Tuttavia, non possibile identificare puramente e semplicemente le due correnti. Il problema al quale rispondono non lo stesso: per una il mezzo di conoscenza, per laltra la sua portata. Anche perch la storia presente combinazioni diverse: razionalismo realistico, per esempio in Cartesio, e un idealismo empiristico, per esempio, in Berkeley. Lidealismo parte dal affermare il fatto di che la conoscenza un atto immanente. Perci un al di l del pensiero impensabile (Le Roy) 1. Nel suo Vade-mecum du dbutant raliste (Qualche consiglio per chi vuole essere realista, traduce Livi) Gilson offre un interessante confronto tra il pensiero idealista e la conoscenza realista:
3. Occorre poi usare con cautela il termine pensiero. In effetti, la differenza pi grande tra il realista e lidealista che lidealista pensa, mentre il realista conosce. Per il realista pensare vuol dire solamente organizzare delle conoscenze o riflettere sul loro contenuto; a lui non viene in mente di fare del pensiero il punto di partenza della sua riflessione, perch lui sa che un pensiero possibile solo se prima ci sono state delle conoscenze. Ora, lidealista, visto che procede dal pensiero alle cose, non pu sapere se quello da cui parte corrisponde o meno a una cosa; e quando egli domanda al realista come si possono raggiungere le cose partendo dal pensiero, il realista deve rispondere subito che ci non possibile, e che proprio in questo sta il motivo principale per non essere idealisti. Il realismo infatti parte dalla conoscenza, cio da un atto dellintelletto che consiste essenzialmente nel cogliere un oggetto; quindi per il realista la domanda dellidealista non pone un problema insolubile ma solo un pseudo-problema, che una cosa ben diversa. 6. Cos come non dobbiamo passare dal pensiero alle cose (sapendo che limpresa impossibile), nemmeno ci dobbiamo domandare se un al di l del pensiero sia pensabile. Pu darsi in effetti che un al di l del pensiero non sia pensabile, ma sicuro che ogni conoscenza implica un al di l del pensiero. Il fatto che questo al di l del pensiero ci sia dato nel pensiero (attraverso la conoscenza) non impedisce di considerarlo un al di l; ma lidealista confonde sempre lessere che ci dato nel pensiero con lessere che ci dato mediante il pensiero. Per chi fa filsofia a partire dalla conoscenza, un al di l del pensiero totalmente pensabile: anzi, questa concezione del pensiero proprio quella 2 che presuppone un suo al di l .

Secondo Fabro lidealismo, che egli chiama filosofia dellidentit, avrebbe posto a proprio fondamento, in senso capovolto per, lo stesso principio attribuito a Democrito: il simile si conosce con il simile3. Afferma pure che il soggettivismo idealista proprio dello spirito germanico4, e
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Cfr. Roger VERNEAUX, op. cit., 69-86. Cfr. Etienne GILSON, op. cit., 131-146. Cfr. Cornelio FABRO, Percezione e pensiero, op. cit., 37-38, nota 5. Cornelio FABRO, La fenomenologia della percezione, op. cit., 364.

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richiama un altro principio, caratteristico della logica monista degli idealisti: il principio dellinternalit assoluta delle relazioni5. La prima opposizione tra realismo e idealismo non sta nella negazione della realt, ma nel modo di concepire questa realt. Leggiamo un testo di Fabro che consideriamo fondamentale:
Lopposizione, almeno iniziale, fra realismo e idealismo non verte propriamente sullaffermazione o negazione di realt, ma sulla determinazione della realt. Si vuol dire che ambedue le filosofie ammettono sia che la metafisica si d e si deve dare, sia che la metafisica ha per oggetto una realt in s; differiscono nella posizione della realt, se questa sia da porsi e dissolversi nel pensiero o ne possa esser riconosciuta indipendente. Lindipendenza espressa egualmente, nel nostro caso, sia che si parta dal rigido dualismo di fenomeno noumeno (Platone e Kant), sia che si assorba dialetticamente luno nellaltro (fenomenismo e idealismo). Il problema allora quello della funzione che compete allesperienza per latto di conoscenza, che infine il problema dellimmanenza e della trascendenza: il noumeno immanente o trascendente al fenomeno? Ci che va detto 6 assolutamente estraneo a ci che appare, e viceversa?

Fabro afferma pure che questo nuovo concetto di realt, proprio del pensiero moderno in quanto ribellione contro il realismo classico, ha la sua radice in un nuovo concetto di esperienza e di coscienza che segue la linea Cartesio-Locke-Berkeley-Hume. Ecco il testo completo:
Ricercando le ragioni della ribellione fatta al realismo classico, esse sono state individuate in un nuovo concetto di esperienza e di coscienza, da cui sorto il nuovo concetto di realt. Le leggi della realt in astratto, come laffermazione di realt in generale e la stessa metafisica come sistema del reale, non sono contestate, n in s mutate. Ci che mutato il concetto iniziale di realt ed esso, storicamente, risulta mutato, a partire dallo sviluppo Cartesio-Locke-Berkeley-Hume, per via 7 dellanalisi della percezione .

A partire di queste ultime affermazioni di Fabro si potrebbe prospettare la discussione sullimportanza del rapporto tra analisi della percezione e concetto di realt. 2. Autori Lidealismo una dottrina moderna; a volte si attribuisce a Platone la paternit del movimento, ma questo non corretto. In Platone lidea qualcosa di reale, pi reale delle cose sensibili. a. Dal razionalismo allidealismo Il padre dellidealismo moderno Cartesio, anche se sarebbe un errore pensarlo come un idealista, perch le conclusioni del suo sistema si pretendono realistiche. Egli sparge i germi dellidealismo, principalmente tre: il dubbio metodico, col quale respinge lesistenza dellessere extramentale; il cogito come principio primo della sua filosofia; laffermazione della esistenza nello spirito di idee innate, che sono gli oggetti stessi della conoscenza. Afferma Verneaux che dopo Cartesio, questo si manterr come una costante in tutta la modernit: non sono le cose che determinano il nostro pensiero, ma il nostro pensiero il criterio

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Ivi, 365. Cornelio FABRO, Percezione e pensiero, op. cit., 392. Cornelio FABRO, La fenomenologia della percezione, op. cit., 48.

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per giudicare cosa c in realt. Fabro va pi in fondo. Chiama questo principio il principio dellinteriorit assolut del reale8. Abbiamo gi visto come Fabro afferma che dalla negazione della distinzione tra qualit primarie e qualit secondarie, sostenuta ancora da Locke, con Berkeley sorta la prima forma di idealismo moderno9. Kant chiama il suo sistema un idealismo trascendentale o critico: afferma che non possiamo conoscere le cose come esse sono in s, bens come ci appaiono in virt della nostra costituzione soggettiva. b. Idealismo dialettico (Hegel) Secondo la linea hegeliana, lopera della filosofia consister nel costruire una sistema di categorie. Perch un sistema di categorie una filosofia compiuta? evidente: le categorie, nel senso kantiano, sono le leggi del pensiero e quindi sono anche leggi dellessere, dellessere pensato, indubbiamente, poich non ve ne un altro per noi. Hegel chiama il suo metodo dialettica, ed per questo che questa forma di idealismo in generale chiamata idealismo dialettico. c. Idealismo critico (Fichte) Secondo la linea di Fichte, lopera della filosofia unanalisi riflessiva dello spirito. Lunico compito della filosofia quello di conoscere lo spirito e perci il solo metodo possibile consiste nel risalire dagli atti di conoscenza scientifica ai principi che li spiegano. Lanalisi scopre cos le leggi o forme dello spirito e pi profondamente lattivit che lo spirito stesso. E siccome la scienza non mai compiuta, e le sue scoperte sono imprevedibili lo spirito stesso appare in ultima analisi come pura spontaneit o come libert creatrice. Questa forma di idealismo, che pensa di essere la sola fedele allo spirito del kantismo, si chiama idealismo critico. 3. Lidealismo di Hegel a. Giudizio di Fabro Lopera di Hegel monumentale e difficile. Qui vogliamo soltanto segnalare alcuni riferimenti che Fabro fa al pensatore tedesco nelle sue opere La fenomenologia della percezione e Percezione e pensiero. Fabro si impegna nel precisare il contenuto di ci che Hegel chiama fenomenologia dello spirito, per distinguerla dalla propria fenomenonologia. Secondo Fabro, Hegel fa della sua fenomenologia la storia delle tappe successive, delle approssimazioni e delle opposizioni per le quali lo spirito si eleva dalla sensazione individuale fino alla ragione universale. Fa notare Fabro

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Ivi, 78. Ivi, 75.

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che la fenomenologia dello spirito in Hegel ha un significato preciso, cio sistematico che non pu esser accettato in sede fenomenologica10. Si pu convenire con Hegel, dice Fabro sul fatto che la fenomenologia costituisca il primo momento della scienza la quale ha da cominciare con la presentazione del sapere apparente. Fabro cita due testi di Hegel, con i quali non si pu convenire, perch in essi si rende evidente la riduzione sistematica della realt alla coscienza11. Presentiamo questi testi come citati da Fabro:
Ora, poich questa presentazione ha per oggetto soltanto il sapere apparente, sembra chessa stessa non sia la libera scienza moventesi nella sua figura peculiare: anzi, da questo punto di vista, pu venir considerata come il cammino della coscienza naturale, la quale urge verso il vero sapere; la F. il cammino dellanima percorrente la serie delle due formazioni come stazioni prescrittele dalla sua natura perch si rischiari a spirito e, mediante la piena esperienza di se stessa, giunga alla conoscenza di ci che essa in s e per s (HEGEL, Die Phnomenologie des Geistes, 70-71). La F. diventa cos la scienza della esperienza della coscienza, in quanto la coscienza in generale il sapere di un oggetto, sia esteriore che interiore (Philos. Propdeutik, Phnomenologie, 6).

Questa fenomenologia, perch pretende dessere formale sostituisce di fatto in Hegel sia la teoria esplicita della conoscenza, sia la stessa metafisica12. Compito di questa fenomenologia hegeliana descrivere le tappe che percorre lo spirito verso lIdea:
Per Hegel infatti la concretezza si muove dal limite estremo della indeterminatezza e la sua Fenomenologia dello spirito ha appunto il compito di descrivere le tappe che percorre lo spirito che parte dalla certezza sensibile iniziale legata allindividuale e al determinato che fuori di s, e si ritrova a traverso la negazione di questo immediato nella conquista di se stesso in quanto ci che massimamente universale e indeterminato quale Idea. Perci una teoria della percezione interessa vitalmente ogni teoria della conoscenza, ed ogni teoria della conoscenza interessata vitalmente in ogni teoria della percezione. Qui si dibatte certamente il pi grave problema che 13 occupi il pensiero umano, e noi vorremmo che non ci sfuggisse .

La fenomenologia di Hegel si sviluppa per gradi. Anche Fabro ammette la esistenza di gradi, che egli chiamer funzionali, nella sua fenomenologia pura. La differenza tra entrambe fenomenologia sta nel fatto che in quella hegeliana questi gradi si riducono a momenti della coscienza, mentre che nella fenomenologia di Fabro i gradi affettano simultaneamente loggetto ed il soggetto. Cos si esprime Fabro:
Anche per HEGEL la Fenomenologia pu essere detta svilupparsi per tre gradi, secondo la diversit delloggetto: in quanto tratta delloggetto come tale (Gegenstand), delloggetto posto allIo (Objekt) o dellIo stesso (Philos. Propdeutik, Phnomenologie, 9). Nella nostra posizione i gradi non sono momenti della coscienza, ma affettano ad un tempo loggetto (Erscheinung) ed il soggetto 14 (Funktion) .

Afferma anche Fabro che si trovano gi in Hegel una critica essenziale allassociazione e lesigenza dellunificazione intellettiva. Mentre afferma questo, Fabro ci offre un piccolo acceno di gnoseologia hegeliana:

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Ivi, 49. Ivi, 50. Cfr. Ivi, 51-50. Ivi, 402. Ivi, 59 nota 31.

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In primo luogo, evidentemente, non sono idee, ma immagini quelle che vengono associate; poi, quei modi di realizzazioni (fra le immagini) non sono affatto leggi, ma indicano piuttosto larbitrio e laccidentalit e quindi la mancanza di pensiero. Lessere infatti ossia il presentificarsi del conoscere nel processo associativo (H. dice: Il trovarsi determinato Das Sich-bestimmt Finden dellintelligenza) appiccicato alla rappresentazione, cos che vi si distingue ancora rappresentazione e pensiero, contenuto e forma. Estrinseca ovviamente deve risultare in questo processo lastrazione (Abstraction), o produzione di rappresentazioni generali (allgemeine Vorstellungen) come il cadere casuale, puramente estrinseco perch privo di concetto, di molte immaginazioni che pretende soppiantare il concetto (Enc. d. philos. Wiss. 455. Nel Zusatz della Grande Enciclopedia si distingue fra la reproductive Einbildungskraft che d la pura riproduzione delle immagini, e la associirende Einbildungskraft in cui si ha che le immagini assumono connessioni e rapporti fra loro che Hegel riduce a rapporti di spazio e tempo. ed. Boumann, Berlin 1845, t. VII, 2, p. 331 ss.). Comunque per Hegel come per S. Tommaso, ma con movimento inverso limmagine assume significato soltanto in quanto sussunta nellunita dellintelligenza (Intelligenz) nel gioco dei 15 simboli, allegorie, esempi... di cui la fantasia riveste ed estrinseca il pensiero ( 456) .

Finalmente, vediamo un po come Fabro si riferisce al rapporto tra Hegel e Aristotele. Esiste un entusiasmo hegeliano per il grande Greco. Anzi, esiste anche un punto ove le due mentalit si possono incontrare, e questo : lidentit intenzionale di conoscente e conosciuto16. Pure il giudizio di Fabro su Hegel in questo punto si mostra equilibrato. Fabro non nasconde che c un aprezzamento da parte di Hegel della teoria della sensazione di Aristotele17. Neanch ha scrupoli Fabro nellaffermare che le dichiarazioni di Hegel sullintenzionalit aristotelica sono profonde, al solito, ed istruttive18. Si leggano le seguente affermazioni di Fabro per vedere un po come costui apprezzava il filosofo dellIdea:
Hegel ha voluto seguire con scrupolosa attenzione la teoria aristotelica, a cui riconosce a differenza dei moderni che trovano egualmente facile criticare Hegel ed Aristotele il merito daver gettato profondi sprazzi di luce sulla natura della coscienza. Il filosofo dellIdea non s lasciato sfuggire 19 la radicazione metafisica che ha la gnoseologia aristotelica .

Alla fine del primo capitolo di Percezione e pensiero20 Fabro presenta una piccola analisi sullesegesi di Hegel ad Aristotele21, particolarmente per quanto riguarda la sensazione, lintenzionalit della conoscenza e lunit tra conoscente e conosciuto. Fabro sembra accettare la interpretazione hegeliana del principio aristotelico22 che dice: La sensazione la recezione delle forme sensibili senza la materia, cos la cera accoglie in s soltanto il segno del sigillo doro, e non gi loro stesso, ma soltanto la forma di esso. Fabro cita in estenso la spiegazione di Hegel:
Infatti la forma loggetto in quanto universalit; e nei riguardi teoretici noi ci comportiamo non come un che dindividuale e di sensibile, ma precisamente come un che di universale. Altrimenti stanno le cose quando ci conduciamo praticamente, nel qual caso lazione presuppone appunto il reciproco contatto di ci che materiale: perci anche, come Aristotele ricorda, le piante non sentono. Invece nella recezione della forma, il materiale scompare; infatti essa non una relazione positiva con
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Ivi, 394-395 nota 28. Cornelio FABRO, Percezione e pensiero, op. cit., 63. Cfr. Ivi, 51. Ivi, 61. Ivi, 62. Cfr. Ivi, 61-65: Limmanenza aristotelica secondo Hegel. Ivi, 51 nota 37. Cfr. ARISTOTELE, De Anima, II, 12.

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questultimo, che non pi cosa da offrire resistenza. Se adunque si vogliono chiamare in generale impressioni sensibili le sensazioni, ci si arresta alla grossolanit del paragone; e da esse poi passando allanima, ci si ripara dietro rappresentazioni, che in parte sono indeterminate, in parte non sono concetti. Si afferma allora che tutte le sensazioni sono impresse nellanima soltanto dalle cose esteriori, allo stesso modo che la materia del sigillo agisce sulla materia della cera; e poi si pretende che questa sia filosofia aristotelica!... Cos accade del resto alla maggior parte dei filosofi: quando essi adducono un esempio, ognuno lo capisce e prende il contenuto del paragone in tutta la sua estensione, come se tutto quello ch contenuto in questo rapporto sensibile potesse valere anche per lo spirituale. Non dobbiamo adunque attenerci rigorosamente a questo modo di rappresentarci le cose, ch soltanto unimmagine nella quale il paragone devessere considerato solo nel senso che il passivo della sensazione nella passivit soltanto per quel che concerne la pura forma; che soltanto questa forma accolta nel soggetto senziente ed nellanima, senza tuttavia trovarsi in essa nel rapporto in cui si trova la forma con la cera, n come in chimica una cosa compenetra laltra materialmente. Sicch viene trascurata proprio la circostanza principale che costituisce la differenza tra questa immagine e il comportarsi dellanima. Di fatto la cera non assume la forma: questimpressione resta figura e conformazione esterna in essa, senza essere una forma della sua essenza, ch, in questo caso, essa cesserebbe di essere cera. Non si riflette infatti che in tal modo viene a mancare nellimagine appunto la recezione della forma nellessenza. Invece lanima assimila questa forma con la propria sostanza per lappunto perch essa in s in certo modo tutto il sentito (...). Il suddetto paragone adunque non significa altro, se non che soltanto la forma perviene allanima; non si riferisce dunque al fatto che la forma e resta esteriore alla cera, n vuol significare che lanima, come cera, non abbia forma in se stessa. Lanima non affatto cera passiva, n riceve le sue determinazioni dallesterno. Aristotele ha voluto dire piuttosto... che lo spirito respinge da s la materia e si premunisce contro di essa, entrando in relazione soltanto con la forma. Senza dubbio nella sensazione lanima passiva, ma il suo ricevere non come quello della cera, anzi a un tempo lattivit dellanima: infatti dopo aver patito il senziente supera questa passivit e se ne libera. Cos lanima trasforma la forma del corpo esterno nella sua propria, ed identica con questa qualit 23 astratta soltanto perch essa stessa questa forma universale .

Hegel, e con lui la filosofia moderna hanno seguito Aristotele fino certo punto, per poi allontanarsi dal maestro greco24. Evidenziamo soltanto i punti che Fabro critica della esegesi hegeliana di Aristotele: - il modo di concepire la natura dellalterazione che si ha nel primo momento del sentire25; - il volere che lattuazione sensoriale sia propria dellanima e sorga in modo autoctono dalle profondit della medesima26; - laccentuazione dellinteriorit a scapito del riferimento allesteriorit (intenzionalit), certamente un effetto dei preconcetti di Hegel27; - il modo di capire il principio dellunit, nellatto del sentire, tra il sensibile ed il senziente, toccato da Hegel con molto acume ma con palese tendenziosit28. Appunto questo principio dellunit un principio fondamentale, su cui s fermato Hegel. Vediamo come Fabro espone questo principio in Aristotele, per capire un po che cosa non ha detto Hegel:
In A. lessere reale proprio del sensibile e del senziente, e cio il sensibile in potenza ed il senziente in potenza, sono diversi: ma il sensibile in atto ed il senziente in atto formano un unico e medesimo atto.
23 24 25 26 27 28

HEGEL, Vorlesungen, 352-354. Cos citato da Fabro. Cornelio FABRO, Percezione e pensiero, op. cit., 53. Ibidem. Cfr. Ivi, 54. Cfr. Ivi, 63. Cfr. Ibidem.

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Qui Aristotele, come anche nella Metafisica (IV, 5, 1010 b, 32) fa supporre chiaramente che il sensibile pienamente in atto (solo) nella facolt apprensiva di cui oggetto, mentre nella primitiva esposizione della teoria (Cat. 7 b, 36, 8 a, 12) egli riteneva che il sensibile antecede la sensazione e non vien distrutto con la distruzione di questa. Lultima teoria certamente pi metafisica ed anche gnoseologicamente pi matura: essa mostra fino a qual punto, nellultima fase del suo pensiero, il 29 Filosofo si sia consapevolmente accostato al realismo naturalistico di Democrito .

b. Testi di Hegel Definizione della Realt:


La Realt lUnit, divenuta immediata, dellEssenza e dellEsistenza, cio dellInterno e dellEsteno. LEstrinsecazione del Reale il Reale stesso, nel senso che il Reale, nellEstrinsecazione, anche 30 essenziale, ed essenziale solo nella misura in cui nellEsistenza esteriore immediata .

Lidealismo in generale e lasserzione pura: Io sono ogni realt:


In tal modo, poich adesso lautocoscienza ragione, il suo comportamento fin qui negativo verso lessere-altro si converte in un comportamento positivo. Finora lautocoscienza ha avuto a che fare soltanto con la propria autonomia e libert, e il suo fine stato unicamente quello di salvarsi e di mantenersi per se stessa a spese del mondo oppure della propria realt, proprio mentre luno e laltro le apparivano come il negativo della propria essenza. In quanto ragione, invece, divenuta sicura di se stessa, lautocoscienza lo affronta entrambi con serenit ed in grado di sopportarli, perch adesso certa di se stessa come della realt, ha cio la certezza del fatto che ogni realt non niente di diverso da essa. Il pensiero dellautocoscienza , immediatamente, esso stesso la realt, e nei confronti di questa si comporta dunque come Idealismo [Idealismus]. Quando lautocoscienza si considera come Idealismo, come se il mondo le si offrisse per la prima volta. In precedenza non la ha compreso, ma lo ha desiderato e trasformato col lavoro; poi, ritraendosi da esso entro se stessa, lo ha annientato per s e ha annientato se stessa come coscienza ha annientato sia la consapevolezza che il mondo costituisse la propria essenza, sia la consapevolezza della nullit del mondo. Solo pi avanti, e cio dopo aver perduto il sepolcro della propria verit, dopo aver annientato lo stesso annientamento della propria realt, dopo aver colto la singolarit della coscienza, in s, come essenza assoluta, solo allora lautocoscienza scopre il mondo come il proprio nuovo mondo reale. Adesso nutre interesse verso il carattere permanente del mondo, mentre prima veniva attratta soltanto dal suo dileguare. Adesso, nella sussistenza del mondo, lautocoscienza scorge la propria verit e presenza, e, nella sfera del mondo, cera di fare esperienza unicamente di se stessa. Il concetto della ragione espresso dallIdealismo il seguente: la ragione la certezza, da parte della coscienza, di essere ogni realt. Ora, come la coscienza, quando entra in scena in quanto ragione, ha immediatamente in s questa certezza, cos lIdealismo la esprime in modo altrettanto immediato: Io sono Io [Ich bin Ich]. Questa formula non enuncia pi lautocoscienza in generale, nel quale caso Io sarebbe ancora un oggetto vuoto in generale; n si tratta dellautocoscienza libera, per cui Io si sarebbe soltanto ritirato dagli altri oggetti, e questi, accanto a esso, manterrebbero pur sempre il loro valore. La formula dellIdealismo indica invece che Io mio oggetto unitamente alla consapevolezza del non-essere di qualsiasi altro oggetto: Io, dunque, il mio unico oggetto, ogni realt e presenza. Lautocoscienza, tuttavia, ogni realt non soltanto per s, ma anche in s solo perch diviene 31 questa realt, o meglio, solo perch si dimostra tale lungo lintero cammino gi percorso .

Il vero il Tutto (Das Wahre ist das Ganze):


Secondo il mio punto di vista, che dovr giustificarsi unicamente mediante lesposizione del sistema stesso tutto dipende dal concepire ed esprimere il vero non tanto come sostanza, bens propriamente come soggetto. Al tempo stesso va notato che la sostanzialit include in s tanto luniversale, cio limmediatezza del sapere stesso, quanto anche quellimmediatezza che essere o immediatezza per il sapere. Se concepire Dio come lunica sostanza indign lepoca in cui questa determinazione venne espressa, la ragione di ci risiede, in parte, nella certezza istintiva che in tale concezione lautocoscienza non si affatto conservata, ma sprofondata; daltro canto, per, la posizione
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Ivi, 64. Georg HEGEL, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Rusconi, Milano 1996, 142, 303. Georg HEGEL, Fenomenologia dello spirito, Rusconi, Milano 1995, 333-335.

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contraria, la quale sostiene il pensiero in quanto pensiero, cio luniversalit in quanto tale, affetta dalla medesima semplicit, sostanzialit immobile e indifferenziata; e se poi, in terzo luogo, il pensiero unifica con s lessere della sostanza e concepisce limmediatezza o lintuizione come pensiero, resta ancora da vedere se questa intuizione intellettuale non ricada a sua volta nella semplicit inerte e se non rappresenti la realt stessa in modo irreale. Inoltre, la sostanza vivente costituisce lessere che veramente soggetto, che veramente reale, solo nella misura in cui essa il movimento del porre-se-stessa [dasselbe het], solo in quanto la mediazione tra il divenire-altro-da-s e se stessa. In quanto soggetto, la sostanza la negativit pura e semplice, e proprio per questo lo sdoppiamento del semplice, la duplicazione opponente che a sua volta costituisce la negazione di questa diversit indifferente e della sua opposizione: solo questa uguaglianza restaurantesi, solo questa riflessione entro se stesso nellessere-altro non ununit originaria in quanto tale, n immediata in quanto tale il vero. Il vero il divenire di se stesso, il circolo che presuppone e ha allinizio la propria fine come proprio fine, e che reale solo mediante lattuazione e la propria fine. dunque possibile esprimere la vita di Dio e la conoscenza divina come un gioco dellamore con se stesso. Il vero il Tutto. Il Tutto, per, solo lessenza che si compie mediante il proprio sviluppo. DellAssoluto, infatti, bisogna dire che essenzialmente un risultato, che solo alla fine ci che in verit. E appunto in ci consiste la sua natura: nellessere realt, soggetto, divenire-se-stesso [und hierin eben besteht seine Natur, Wirkliches, Subjekt, oder Sichsebstwerden zu sein]. Per quanto possa sembrare contraddittorio il fatto che lAssoluto devessere concepito essenzialmente come 32 risultato, baster una breve riflessione a togliere questa parvenza di contraddizione .

Il Conoscere in generale:
In generale, questo Processo il Conoscere. In s, nel Conoscere viene rimossa in ununica Attivit lOpposizione, cio lunilateralit della Soggettivit insieme allunilateralit dellOggettivit. Innanzitutto, per, questa Rimozione avviene soltanto in s. Il Processo in quanto tale, pertanto, esso stesso immediatamente gravato dalla Finitezza di questa sfera, e si scompone nel seguente duplice movimento posto come diverso: (1) limpulso a rimuovere lunilateralit della Soggettivit dellIdea mediante la ricezione entro s cio entro la Soggettivit della rappresentazioni e del pensiero del Mondo essente, e a riempire la Certezza astratta di se stesso con un Contenuto che questa Oggettivit veramente valida; e, viceversa, (2) limpulso a rimuovere lunilateralit del Mondo oggettivo il quale Mondo ha qui dunque, al contrario, il valore di essere soltanto una Parvenza, una raccolta di accidentalit e di figure in s nulle -, a determinarlo e dargli forma mediante lInterno del Soggettivo il quale vale qui come lOggettivo veramente essente. Il primo impulso quello del Sapere verso la Verit, il Conoscere in quanto tale, lAttivit teoretica dellIdea. Il secondo limpulso del Bene verso 33 il suo Compimento, il Volere, lAttivit pratica dellIdea . La Finitezza generale del Conoscere implicata in uno dei Giudizi, cio nel presupposto dellOpposizione ( 22), rispetto al quale presupposto lAttivit stessa del Conoscere consiste 34 nellaportare la Contradizzione .

Cosa significa conoscere lo Spirito:


La conoscenza dello Spirito la conoscenza pi concreta, e pertanto la pi alta e pi difficile. Conosci te stesso: n in s, n nel contesto storico in cui stato espresso, questo comando assoluto significa soltanto unautoconoscenza in base alle facolt, al carattere, alle inclinazioni e alle debolezze particolari dellindividuo, ma ha piuttosto il significato della conoscenza della verit delluomo e della Verit in s e per s: significa la conoscenza dellEssenza stessa come Spirito. La Filosofia della Spirito non neppure quel che si chiama conoscenza degli uomini, la quale intenta a esplorare anche le particolarit, le passioni, le debolezze degli altri uomini, le cosidette pieghe del cuore umano; da un lato, questo tipo di cognizioni ha senso soltanto sul presupposto della conoscenza dellUniversale, de luomo, e quindi essenzialemente dello Spirito; dallaltro lato, esso si occupa di

32 33 34

Ivi, 65-67. Georg HEGEL, Enciclopedia delle scienze filosofiche, op. cit. , 225, 400-401. Ivi, 226, 401.

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esistenze spirituali accidentali, insignificanti, non vere, e non si spinge affatto fino al Sostanziale, allo 35 Spirito stesso .

Il fine essenziale della Filosofia dello Spirito:


Gi nellIntroduzione si parlato della pneumatologia, cio della cosiddetta psicologia razionale, come di una metafisica astratta dellintelletto. La psicologia empirica, invece, ha per oggetto lo Spirito concreto. Dopo la rinascita delle scienze, allorch losservazione e lesperienza sono divenute la base principale della conoscenza del Concreto, la psicologia empirica stata esercitata secondo questa modalit; in tal senso, da un lato, quel tratto metafisico stato tenuto fuori da questa scienza empirica e non pervenuto entro s a nessuna determinazione e consistenza concreta; dallaltro lato, la scienza empirica si attenuta alla consueta metafisica intellettiva delle forze, delle diverse attivit, ecc., e ne ha messo al bando ogni considerazione speculativa. Di conseguenza, i libri del De Anima di Aristotele, con le sue trattazioni degli aspetti e degli stati particolari dellanima, restano sempre lopera pi importante sullargomento, o lunica che presenti al riguardo un interesse speculativo. Il fine essenziale di una Filosofia dello Spirito pu essere soltanto quello di introdurre nuovamente il Concetto nella conoscenza dello Spirito, per la qual cosa occore quindi anche riscoprire il senso di 36 quei libri aristotelici .

La limitatezza del contenuto delle sensazioni:


La sensazione la forma della trama oscura dello spirito nella individualit priva di coscienza e dintendimento. Qui ogni determinatezza ancora immediata, posta come non sviluppata tanto secondo il contenuto quanto secondo lopposizione di una oggettivit contro il soggetto, e come appartenente alla peculiarit pi particolare dello spirito, quella naturale. Il contenuto della sensazione 37 limitato e transeunte, dunque allEssere qualitativo e finito .

La certezza sensibile:
Sulla base della concretezza del suo contenuto, la certezza sensibile appare immediatamente come la conoscenza pi ricca, anzi come una conoscenza infinitamente ricca: infatti, non ci sembra possibile perle n un limite esterno, nello spazio e nel tempo in cui essa si dispiega, n un limite interno, nella divisione in parti di un qualisiasi frammento di questa pienezza. Inoltre, essa appare come la conoscenza pi vera, in quanto non ha ancora trascurato nulla delloggetto, ma lo ha piutosto davanti a s in tutta la sua integrit e completezza. Di fatto, per, tale certezza si rivela proprio come la verit pi astratta e pi povera. Il suo sapere si riduce soltanto allenunciazione: esso , e la sua verit 38 contiene unicamente lessere della Cosa .

35 36 37 38

Ivi, 377, 635. Ivi, 378, 635-637. Ivi, 400, 663. Georg HEGEL, Fenomenologia dello spirito, op. cit. , 169.

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V. IL REALISMO
Schema 1. Nozione 2. Autori 3. Il Vademecum del realista principiante di Gilson

1. Nozione Possiamo enunciare alcune tesi fondamentali del realismo in confronto con le diverse correnti epistemologiche studiate fino a questo punto. In opposizione allo scetticismo, il realismo sostiene che noi possiamo cogliere la verit. Concede un posto al dubbio nella vita intellettuale, ma afferma che il dubbio universale la morte dellintelligenza. Neanche nega la possibilit dellerrore considerandolo un incidente, mera anomalia. In sintesi afferma che abbiamo certezze legittime. Il realismo si oppone al razionalismo e allempirismo allo stesso tempo. Con quale mezzo conosciamo la verit? Con la sola esperienza? No. Con la sola ragione? Nemmeno, ma con lesperienza e con la ragione insieme congiunte. Si dice a volte che il realismo la sintesi dellempirismo e del razionalismo. Ma la formula non felice, perch: in primo luogo, lempirismo esclusivo del razionalismo e viceversa, o uno o laltro; secondo, perch sia lempirismo che il razionalismo sono prodotti della decomposizione del realismo. Infine, per quanto riguarda la portata della conoscenza, il realismo si oppone allidealismo. Esso afferma che lo spirito umano pu conoscere lessere in s e che la verit consiste precisamente nella conformit a ci che . Dobbiamo avvertire che il nome di realismo non falso, ma ha linconveniente di darne unidea ristretta, perch la determina solo in rapporto allidealismo, mentre una teoria della conoscenza complessa e completa. Il realismo facile di accettare nel piano del buonsenso perch ogni uomo convinto della sua capacit per conoscere la verit ed inoltre si fida dei suoi sensi, ma il realismo difficile nel piano filosofico perch suppone unantropologia ed una metafisica ardua per lintelligenza. Con le altre posture gnoseologiche succede tutto il contrario. Finalmente, diciamo che il realismo ha un vincolo stretto col dogma cattolico, a tal punto che pu presentarsi come parte della mentalit cristiana, quasi un preambolo della fede1. Allopposizione tra idealismo e realismo ci siamo gi riferiti in precedenza. Leggiamo ancora una volta un testo di Fabro che abbiamo citato del capitolo precedente cercare di prestare pi attenzione questa volta a quanto si dice sul realismo:
Lopposizione, almeno iniziale, fra realismo e idealismo non verte propriamente sullaffermazione o negazione di realt, ma sulla determinazione della realt. Si vuol dire che ambedue le filosofie ammettono sia che la metafisica si d e si deve dare, sia che la metafisica ha per oggetto una realt in s; differiscono nella posizione della realt, se questa sia da porsi e dissolversi nel pensiero o ne possa esser riconosciuta indipendente. Lindipendenza espressa egualmente, nel nostro caso, sia che si parta dal rigido dualismo di fenomeno noumeno (Platone e Kant), sia che si assorba dialetticamente luno nellaltro (fenomenismo e idealismo). Il problema allora quello della funzione che compete allesperienza per latto di conoscenza, che infine il problema dellimmanenza e della
1

Cfr. Roger VERNEAUX, op. cit., 87-100.

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trascendenza: il noumeno immanente o trascendente al fenomeno? Ci che va detto 2 assolutamente estraneo a ci che appare, e viceversa?

Avendo presente che tutto questo corso cerca dessere un introduzione ad una gnoseologia realista non vogliamo allungarci in questa presentazione del idealismo. Presentiamo soltanto alcuni parragrafi di Fabro che pensiamo possano riassumere quale sia lattegiamento realista. In primo luogo, alcune affermazioni da La nozione metafisica di partecipazione:
Abbiamo toccato laspetto pi profondo del realismo tomista, che bisogna tener presente agli inizi stessi della metafisica; la realt talmente domina il pensiero che lo obbliga a prendere in s non solo il suo aspetto formale, ma ad imitare e corrispondere nella struttura astratta a quanto essa 3 in s possiede come realt concreta .

E poi, alcune tesi fondamentali di questo realismo che troviamo nel lavoro di Fabro La fenomenologia della percezione sotto il titolo La posizione realista. Scriveva Fabro:
La terza direzione, oltre lo Psicologismo ed il Logicismo, per uninterpretazione dei rapporti fra loggetto ed il soggetto, il dualismo gnoseologico. Esso prospetta, in generale, il problema della conoscenza nei seguenti punti: a) Nella nostra conoscenza le dualit di contenuto ed atto, di soggetto ed oggetto, di esterno e di interno sono, per ogni coppia, irriducibili. b) Ciascuno dei membri di ogni coppia pu esser considerato essere in due momenti: luno antecedente al conoscere, laltro nel conoscere stesso; essi non sorgono, in altre parole, per una posizione assoluta che sia una creazione immanente allatto del conoscere come atto. c) Il primo momento quello della possibilit di essere conosciuto e di farsi conoscere da parte delloggetto, e del conoscere e di far conoscere da parte del soggetto; il secondo, quello dellessere conosciuto e del conoscere in atto. d) da ammettersi pertanto che loggetto non si riduce allatto, n si pone assolutamente nellatto del conoscere; ma si d prima come possibilit del conoscere, come dato rispetto al medesimo. Parimenti il soggetto non sorge assolutamente per latto, come per il suo costitutivo primo ed essenziale, ma lo precede come capacit reale del medesimo. e) Tutto questo fa supporre che loggetto in quanto un dato da conoscere ed il soggetto in quanto (od ha) una capacit reale del conoscere non sono isolabili: ma luno e laltro, presi insieme, costituiscono la possibilit reale ed adeguata. Latto si d per il passaggio allatto, appunto, di tale possibilit reale. f) Tale possibilit esige da un canto che il dato si faccia conoscere come oggetto; che influisca cio attivamente sul soggetto, cosicch la specificazione di oggettivit sia intrinseca a quella di causalit; dallaltro canto, che il soggetto, una volta che stato fatto passare allatto dallazione del dato, 4 sviluppi la propria azione nella direzione di assicurarsi il dato come oggetto .

2. Autori Possiamo segnalare diversi realismi. Per prima, un realismo classico, che normalmente, come lo fa anche Verneaux, viene ridotto a due tendenze. Una ha come figure pi importanti Platone, SantAgostino e San Bonaventura. Laltra corrente ha come le sue massime figure Aristotele e San Tommaso. La differenza sarebbe innanzitutto metafisica, e toccherebbe lepistemologia soltanto in un secondo momento. Cornelio

2 3

Cornelio FABRO, Percezione e pensiero, op. cit., 392.

Cornelio FABRO, La nozione metafisica di partecipazione secondo San Tommaso dAquino (Opere Complete 3), EDIVI, Segni 2005, 149.
4

Cornelio FABRO, La fenomenologia della percezione, op. cit., 46-48.

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Fabro sostiene uninterpretazione alquanto diversa. In realt, secondo Fabro, il pensiero di San Tommaso una sintesi originale che si serve di alcune elementi platonici e di altri aristotelici5. C pure un realismo immediato che ha voluto essere un primo intento di reazione contro il pensiero immanentistico moderno, con autori come Thomas Reid o William Hamilton6. Il realismo critico deglinizi del 900 ha trovato la sua critica nel realismo metodico di Gilson, come abbiamo accennato allinizio di questo corso. Abbiamo finalmente autori assai singolari, come Cornelio Fabro, il quale a volte annoverato in quel che si chiama il tomismo essenziale. 3. Il Vademecum del realista principiante di Gilson A modo di esempio, leggiamo alcuni paragrafi del Vademecum del realista principiante di Gilson, che troviamo nel suo libro Il realismo. Metodo della filosofia7:
1. Il primo passo sulla via del realismo rendersi conto che si sempre stati realisti. Il secondo passo rendersi conto che, qualunque sforzo si faccia, non si riuscir mai a pensare in modo diverso. Il terzo passo prendere atto che tutti quelli che pretendono di pensare in modo diverso si rimettono a pensare da realisti non appena si dimenticano di star recitando una parte. A questo punto, se uno di questi si domanda il perch, la sua conversione cosa fatta. 2. La maggior parte di coloro che si professano e si ritengono idealisti vorrebbero tanto non esserlo, ma pensano di non averne il diritto. C chi dice loro che non potranno mai uscire dal loro pensiero e che un al di l del pensiero non pensabile. Se accettano la sfida e cercano di rispondere a questa obiezione sono perduti, perch tutte le obiezioni dellidealista al realista sono formulate in termini idealistici. Per questo non sorprende che lidealista risulti sempre vittorioso nelle discussioni. La soluzione idealistica dei problemi gi implicata nel modo con cui lidealista imposta i problemi. Il realista deve dunque convincersi, come prima cosa, di non dover accettare la sfida su un terreno che non il suo, cos come non deve sentirsi in difficolt quando non sa come risolvere dei problemi che in effetti sono senza soluzione ma che lui non ha motivo da porsi. 3. Occorre poi usare con cautela il termine pensiero. In effetti, la differenza pi grande tra il realista e lidealista che lidealista pensa, mentre il realista conosce. Per il realista pensare vuol dire solamente organizzare delle conoscenze o riflettere sul loro contenuto; a lui non viene in mente di fare del pensiero il punto di partenza della sua riflessione, perch lui sa che un pensiero possibile solo se prima ci sono state delle conoscenze. Ora, lidealista, visto che procede dal pensiero alle cose, non pu sapere se quello da cui parte corrisponde o meno a una cosa; e quando egli domanda al realista come si possono raggiungere le cose partendo dal pensiero, il realista deve rispondere subito che ci non possibile, e che proprio in questo sta il motivo principale per non essere idealisti. Il realismo infatti parte dalla conoscenza, cio da un atto dellintelletto che consiste essenzialmente nel cogliere un oggetto; quindi per il realista la domanda dellidealista non pone un problema insolubile ma solo un pseudo-problema, che una cosa ben diversa. 4. Ogni volta che lidealista ci prescrive di risolvere i problemi posti dal pensiero, si pu essere sicuri che egli parla in nome dello Spirito. Per lui, lo Spirito ci che pensa, come per noi lintelletto ci che conosce. Occorre dunque evitare, per quanto sia possibile, di compromettersi con questo termine. Non sempre facile, perch esso ha anche un senso legittimo, ma noi viviamo in un tempo in cui si impone prima di tutto la necessit di ritradurre in un linguaggio realistico tutti i termini che lidealismo ha mutuato da noi e poi ha corrotto. Un termine di tipo idealistico quasi sempre un termine che per il realista designa una delle condizioni spirituali della conoscenza e che invece lidealista considera come generatrice del suo contenuto. 5. La conoscenza di cui parla il realista lunione vissuta e sperimentata tra lintelletto e una realt conosciuta. Ecco perch una filosofia realistica ha sempre come referente questa realt conosciuta
5 6 7

Cfr. Cornelio FABRO, La nozione metafisica di partecipazione, op.cit., 43-120. Cfr. Cornelio FABRO, La fenomenologia della percezione, op. cit., 125-126. Cfr. tienne GILSON, op. cit., 131-146.

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senza la quale non ci sarebbe conoscenza. Le filosofie idealistiche, al contrario, partono dal pensiero e per questo arrivano ben presto a scegliere come loro oggetto la scienza o la filosofia stessa. Lidealista, se pensa veramente da idealista, realizza nella forma pi pura lessenza del professore di filosofia; mentre il realista, se pensa veramente da realista, in perfetto accordo con lessenza autentica del filosofo: perch il filosofo parla delle cose, mentre il professore di filosofia parla di filosofia. 6. Cos come non dobbiamo passare dal pensiero alle cose (sapendo che limpresa impossibile), nemmeno ci dobbiamo domandare se un al di l del pensiero sia pensabile. Pu darsi in effetti che un al di l del pensiero non sia pensabile, ma sicuro che ogni conoscenza implica un al di l del pensiero. Il fatto che questo al di l del pensiero ci sia dato nel pensiero (attraverso la conoscenza) non impedisce di considerarlo un al di l; ma lidealista confonde sempre lessere che ci dato nel pensiero con lessere che ci dato mediante il pensiero. Per chi fa filsofia a partire dalla conoscenza, un al di l del pensiero totalmente pensabile: anzi, questa concezione del pensiero proprio quella che presuppone un suo al di l. 16. Prima di ogni spiegazione filosofica della conoscenza, c il fatto della conoscenza stessa, e c poi il desiderio insopprimibile che tutti gli uomini hanno di arrivare a comprendere la realt. Se la ragione si accontenta troppo spesso di spiegazioni sommarie e incomplete; se essa fa spesso violenza ai fatti, deformandoli o passandoli sotto silenzio quando la intralciano, proprio perch la passione di comprendere prevale sul desiderio di conoscere, o che i mezzi di conoscere di cui essa dispone sono impotenti a soddisfarla. Il realista non meno esposto a queste tentazioni dellidealista, e non vi cede meno spesso. La differenza che quando il realista cede a questa tentazione la fa andando contro i propri princpi, mentre lidealista disposto fin dallinizio a cedervi ben volentieri. Allorigine del realismo c dunque la rassegnazione dellintelletto a dipendere da un essere reale che causa della conoscenza; allorigine dellidealismo c invece limpazienza di una ragione che vuole ridurre lessere reale alla conoscenza, per essere sicura che alla conoscenza non sfugga assolutamente nulla. 23. Dire che la conoscenza consiste nel cogliere una cosa cos com, non vuol dire in alcun modo che lintelletto possa sempre cogliere ogni cosa cos com. Nemmeno si vuol dire che la conoscenza esarurisca in un solo atto il contenuto del suo oggetto. Quello che la conoscenza afferra del suo ogetto reale, ma la realt inesauribile, e quandanche lintelletto ne avesse saputo coglire tutti i particolari, si scontrebbe ancora con il mistero dellesistenza stessa delloggetto. Chi ritiene di afferrare infallibilmente e con una sola intuizione tutta la realt lidealista Descartes; il realista Pascal sa bene che c tanta ingenuit nella pretesa che hanno certi filosofi di intuire i princpi dellessere, e da l arrivare a conoscere la totalit delle cose: pretesa che manifesta una presunzione infinita, proprio come infinita la totalit delle cose che questi filosofi vorrebbero conoscere. La virt propria del realista la moderazione nelle pretese della conoscenza: pu darsi che di fatto egli qualche volta non pratichi questa virt, ma ci non toglie che essa costituisca il suo specifico dovere professionale. 29. Tale la libert del realista; perch non abbiamo altra scelta che dipendere dai fatti e cos essere liberi dal nostro pensiero, o essere liberi dai fatti per poi dipendere dal nostro pensiero. Volgiamo dunque la nostra attenzione alle cose che sono oggetto della conoscenza a al rapporto tra le nostre specifiche conoscenze e il loro specifico oggetto, in modo che la filosofia si adegui sempre meglio alle cose e cos possa di nuovo progredire.

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PARTE SECONDA NOZIONI FONDAMENTALI VI. LA CONOSCENZA

Schema 1. Natura della conoscenza 2. La specie 3. Forme complete del conoscere

1. Natura della conoscenza Secondo Fabro, la conoscenza una presenza1. Questa affermazione ci ricorda un passo del De Veritate di San Tommaso:
Questa la perfezione del conoscente in quanto conoscente, perch una cosa conosciuta dal 2 conoscente secondo che quella stessa cosa in qualche modo nel conoscente .

In questo particolare modo di presenza si possono considerare due momenti: la presenza in atto, come qualcosa gi compiuta, e il farsi di questa presenza. Un esempio utilizzato da San Tommaso pu aiutarci a capire, forse, questa distinzione:
Allo stesso modo che nelle nostre azioni esterne si pu distinguere loperazione stessa e la cosa prodotta, come sarebbe il costruire e ledificio che viene costruito; cos nelle operazioni della ragione si pu distinguere latto stesso della ragione, cio lintendere e il ragionare, da quanto viene costituito 3 da codesti atti .

In altre parole: una cosa il frutto della conoscenza e unaltra il processo che porta a questo frutto. Vediamo un testo di Fabro:
Il conoscere si rivela pertanto nellAristotelismo come un processo di unificazione e di presenza [...] Nella quale si possono considerare due momenti: il conoscere, per cui c la presenza, ed il processo di assimilazione che porta tanto loggetto come il soggetto a muoversi per la realizzazione di questa 4 presenza .

Anche intendendo la conoscenza come presenza, lo stesso Fabro precisa che i paragoni di tipo spaziale che a volte si usano parlando sulla conoscenza (per esempio, quando si dice che loggetto entra nel soggetto) non sono appropriati. Spiega Fabro: tali processi di ordine spaziale non hanno luogo. Ci che ha luogo la crescenza dellanima che si attua in oggetti5.

1 2

Cornelio FABRO, Percezione e pensiero, op. cit., 47.

TOMMASO DAQUINO, De Veritate, 2, 2, co. [Trad. italiana tratta dalla seguente edizione: S. TOMMASO DAQUINO, La verit in Le questioni disputate (Volume I), ESD, Bologna 1992.]: et haec est perfectio cognoscentis in quantum est cognoscens, quia secundum hoc a cognoscente aliquid cognoscitur quod ipsum cognitum est aliquo modo apud cognoscentem.
3

TOMMASO DAQUINO, Summa theologiae, I-II, q. 90, a. 1, ad 2. [Trad. italiana tratta dalla seguente edizione: S. TOMMASO DAQUINO, La Summa theologiae (Volume XII), ESD, Bologna 1991.]: Ad secundum dicendum quod, sicut in actibus exterioribus est considerare operationem et operatum, puta aedificationem et aedificatum; ita in operibus rationis est considerare ipsum actum rationis, qui est intelligere et ratiocinari, et aliquid per huiusmodi actum constitutum.
4 5

Cornelio FABRO, Percezione e pensiero, op. cit, 47. Ivi, 370.

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Dobbiamo quindi sgombrare il terreno affermando che il processo della conoscenza non un processo di movimento locale, tantomeno un mero processo fisico-materiale. giustissimo riferirsi a questo processo del conoscere come ad un processo di assimilazione, allo stesso modo come ha fatto per primo Aristotele. La conoscenza sar, quindi, un modo del tutto particolare di assimilazione. Il processo del conoscere in un certo modo un farsi presente (non fisico, non locale) delloggetto nel soggetto, che implicher qualche assimilazione che avr come conseguenza una (e adesso bisogna introdurre un nuovo termine) alterazione del soggetto. Fabro utilizza ancora unaltra espressione per riferirsi al processo del conoscere: presa di possesso. Vediamo cosa dice lo stesso Fabro: Lattivit gnoseologica nel suo reale sviluppo non un circolo chiuso, ma per essa il soggetto procede gradualmente verso una presa di possesso sempre pi adeguata delloggetto6. Storicamente, prima dAristotele, due filosofi affrontarono il problema gnoseologico. Da una parte il siciliano Empedocle, cui poi seguir Democrito. Dallaltra, Anassagora. Empedocle fonda la sua teoria della conoscenza sul seguente principio: il simile si conosce con il simile. Anassagora affermava invece che per il contrario che si conosce il contrario7. Aristotele comincia paragonando il processo del conoscere con il processo che si ha nella nutrizione e si domanda: Si deve dire che il simile si nutre del simile o il contrario del contrario?. Fabro riassume la sua risposta:
Ambedue le ipotesi, risponde il Filosofo, possono essere buone: tutto dipende dal punto nel quale si vuol considerare lalimento, poich se lo si considera allinizio del processo il cibo certamente dissimile, ed vero che il contrario si nutre del contrario; considerato invece al termine dellassimilazione, quando fatto simile, parimenti esatto il dire che il simile si nutre del simile. Il passaggio che fa lalimento nel processo della nutrizione implica una mutazione interiore che 8 interessa le qualit reali .

Analogamente va considerato il processo dellassimilazione conoscitiva che pu anche essere detta unalterazione qualitativa giacch il soggetto, prima di conoscere, non simile se non in potenza alloggetto: si fa simile alloggetto dopo aver patito (cio essere stato alterato) dal medesimo9. Possiamo illustrare questo primo momento della nostra analogia ricordando un esempio che utilizza Aristotele. La cera riceve in s limpronta, cio la forma dellanello, senza la sua materia: la cera riceve il sigillo aureo o bronzeo, ma come sigillo soltanto, e non come bronzo. Similmente anche il senso subisce lazione e si assimila ci che ha colore, suono10. Da questo esempio possiamo cogliere lanalogia che si pu stabilire tra il sigillo e la conoscenza: la cera alterata

6 7 8 9

Ivi, 166. Cfr. Ivi, 37-40. Ivi, 41. Ivi, 42. Ivi, 59.

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dallanello e riceva la sua figura. Analogamente, il soggetto alterato dallazione delloggetto e assimila, fa proprie, certe attualit o perfezioni proprie delloggetto. Attenzione, per: c una differenza fondamentale tra lassimilazione della nutrizione e quella della conoscenza. La nutrizione una alterazione fisico-corrutiva, propria del divenire corporeo11. Questo modo di alterazione resta essenzialmente una successione di contrari in modo che lapparire del seguente implica la cessazione del precedente12. Fabro afferma che seguendo Aristotele si pu considerare come esempio di questo modo di alterazione lacquisizione della scienza da parte dellindividuo che si trova in potenza rispetto ad essa, cio di colui che pu avere la scienza. Questo passaggio pu implicare una vera alterazione fra contrari, come quando si passa dallerrore alla verit o viceversa. Non cos nellassimilazione conoscitiva: Questa non avviene al termine della vittoria che un contrario riporta sullaltro, ma appartiene allascesa naturale che fa lanima conoscente con lassimilazione oggettiva delle forme13. Perci, lesempio della cera gi ricordato, anche se utile per illustrare quanto Aristotele pretende insegnare, non sufficiente per spiegare lassimilazione propria della conoscenza. Hegel, in un testo citato da Fabro, mostra i limiti di questesempio, approssimandosi, in un certo modo, al concetto dassimilazione conoscitiva come alterazione perfettiva:
Di fatto fa notare il filosofo tedesco la cera non assume la forma: questimpressione resta figura e conformazione esterna in essa, senza essere una forma della sua essenza, ch, in questo caso, essa cesserebbe di essere cera. [] Invece lanima assimila questa forma con la propria sostanza per 14 lappunto perch essa in s in certo modo tutto il sentito .

Il patire proprio della conoscenza implicher un alterarsi del soggetto conoscente in quanto perfezionato per la possessione di nuove forme ed atti diversi dalla propria essenza che la arricchiscono. Perci lassimilazione conoscitiva detta alterazione perfettiva. Finalmente, la conoscenza pu essere anche intessa come un modo di partecipazione, come lafferma Fabro riferendosi allassimilazione conoscitiva:
Pare quindi che il conoscere realizzi in natura il partecipare nel senso pieno del termine. Conoscere assimilare e assimilarsi, lavere latto e la forma di altra cosa in quanto latto e la forma sono e restano dellaltra cosa. [] Per questa modificazione qualitativa, che ha tutta la sua ragione e struttura dalloggetto e che viene ad adergersi e ad emergere sopra lessere del conoscente come un 15 fiore sopra il gambo, si comprende bene che il conoscere proprio un partecipare .

2. La specie Partiamo dalla seguente affermazione: se la conoscenza, come abbiamo detto assimilazione, questa assimilazione non possibile senza la produzione duna certa somiglianza della cosa conosciuta nel conoscente, somiglianza che chiameremo specie16.

11 12 13 14 15 16

Ivi, 43. Ivi, 42. Ivi, 43. HEGEL, Vorlesungen, 352-354. Cos citato da Cornelio FABRO, Percezione e pensiero, op. cit., 62. Cornelio FABRO, La nozione metafisica di partecipazione, op. cit., 270. Cf. Cornelio FABRO, Percezione e pensiero, op. cit., 331.

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Fabro, nel seguente testo, lo afferma riferendosi alla conoscenza intellettuale, dicendo che non c conoscenza intellettuale senza verbum: nella gnoseologia tomista non si d alcuna assimilazione intellettuale senza la produzione di un verbum che sia per lanima lespressione interiore delloggetto conosciuto17. Cerchiamo di spiegare quindi la natura e le caratteristiche di questa specie. In una gnoseologia tomista, la conoscenza intessa come assimilazione: assimilazione intenzionale tra un soggetto conoscente e loggetto conosciuto, nella quale due termini dissomiglianti diventano somiglianti18. Allora, un fatto che loggetto rimane inalterato mentre che il soggetto cambia, passando dalla potenza allatto, dal non conoscere al conoscere. Perci, sar necessario che ci sia nel soggetto qualche somiglianza delloggetto conosciuto. In altre parole: lassimilazione che propria della conoscenza non possibile senza il farsi presente, in qualche modo, delloggetto nel soggetto. Questa presenza delloggetto nel soggetto, spiega Fabro, non si da per identit ma per informazione, vale a dire, per lappropriasi del soggetto della forma delloggetto, o, se vogliamo esprimerci dal punto di visto delloggetto, per il penetrare della forma delloggetto nel soggetto che conosce. Questa informazione sar mediata e non immediata, in quanto loggetto si fa presente non con la sua forma propria nella sua realt fisica, ma con una somiglianza di questa:
E linformazione pu essere doppia: una immediata, come avviene per lessenza divina rispetto allintuizione che hanno i comprensori nella visione beatifica; laltra mediata, in quanto loggetto si fa presente non con la realt, o con la forma fisica, ma con una similitudine di s. Questa similitudine la specie intenzionale, forma vicaria, specie impressa, cio primo principio determinativo del 19 conoscere .

Questa concezione della conoscenza si trova presente nel pensiero di San Tommaso. Per esempio:
Infatti in chiunque intende, per ci stesso che intende, c' qualcosa che procede in lui, che il concetto [o l'idea] della cosa intesa, che sgorga dall'attivit della mente e dalla nozione della cosa 20 intesa .

Da questo si segue che la specie necessaria per garantire loggettivit della conoscenza, giacch in essa, grazie alla sua funzione mediatrice, che si compie lunione attuale tra soggetto e oggetto nellatto conoscitivo. Alcuni filosofi come Hamilton con il suo realismo immediato hanno accusato la specie scolastico-tomista dessere la causa dellidealismo moderno, allontanando lintelligenza dalla conoscenza del concreto per fermarsi sulla conoscenza di pure idee. Fabro risponde mostrando una delle caratteristiche essenziali della specie: la sua intenzionalit. Corrisponde alla natura della

17 18 19 20

Ivi, 258. Cf. Ivi, 477. Ivi, 471.

San TOMMASO DAQUINO, Summa theologiae, I, q. 27, a. 1: Quicumque enim intelligit, ex hoc ipso quod intelligit, procedit aliquid intra ipsum, quod est conceptio rei intellectae, ex vi intellectiva proveniens, et ex eius notitia procedens.

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specie trascendere se stessa, conservando sempre un riferimento attuale alloggetto dal quale fu prodotta:
Se, invece, landare oltre lidea significa precisamente il riferirsi dellidea alla realt, allora landare oltre lidea la natura stessa dellidea, come quella per cui si attua il conoscere. La distinzione fra idea 21 e realt non fuori del conoscere .

Perci, la specie conserva sempre un doppio aspetto: si tratta dun atto prodotto dal soggetto che lo modifica permettendoli la percezione dun contenuto che trova pure il suo origine nelloggetto che comunica al soggetto questo contenuto:
Cio la specie tomista ha una doppia funzione: una, dinformare come qualit entitativa (ut accidens) lanima; laltra di produrre la conoscenza cio di mettere lanima in relazione alloggetto. la famosa 22 funzione intenzionale della specie, ripresa nei tempi moderni nella Scuola del Brentano .

La specie, quindi, sia quella sensitiva come quella intellettiva, qualcosa prodotta dal soggetto in dipendenza dalloggetto al quale fa riferimento. Questo ci porta ad accennare quale il rapporto esistente tra la specie e loggetto: specie ed oggetto sono uguali in quanto al loro contenuto e diversi in quanto al loro modo dessere.
Per questo si dice nellAristotelismo che alla species come tale compete un modo di essere particolare, lessere intenzionale: la specie che ontologicamente una qualit accidentale dellanima, gnoseologicamente quello che loggetto a cui si riferisce e che riferisce, perch da 23 esso specificata e ne ripete la struttura oggettiva nella facolt e nellanima .

Per precisare ancora la natura della specie conoscitiva dobbiamo introdurre unulteriore distinzione: la distinzione tra specie impressa e specie espressa. Come abbiamo detto, nella concezione tomista della conoscenza la specie porta in s sempre un doppio riferimento: al soggetto (somiglianza metafisica, ut accidens) e alloggetto (somiglianza gnoseologica, ripetizione della struttura oggettiva di ci che conosciuto in essa). Questa doppia somiglianza si pu accettare soltanto, fa notare Fabro, se si ammette che la assimilazione conoscitiva si sviluppa in due momenti realmente diversi, che originano due specie intenzionali diverse, anche se intrinsecamente subordinate luna allaltra. Questi due momenti sono la presentazione delloggetto e la sua contemplazione. Nel primo momento lo spirito si trova come recipiente, come materia che si attua in una forma. Nel secondo, il soggetto esprime esplicitamente a s stesso il contenuto delloggetto e si attua in esso. La specie impressa sar il termine del primo movimento delloggetto al soggetto, termine dellinflusso che il soggetto riceve dalloggetto. La specie espressa, invece, sar il termine della contemplazione, o della penetrazione e pressa di possesso che lanima compie di quel contenuto offerto dalla specie impressa24. La perfezione della conoscenza, cio lapprensione intellettuale delloggetto, si compie propriamente nella produzione della specie espressa alla quale corrisponde in questo caso il nome di verbum o concetto in senso stretto.

21 22 23 24

Cornelio FABRO, Percezione e pensiero, op. cit., 477. Ivi, 472. Ivi, 71-72. Cf. Ibidem.

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Cerchiamo di precisare ancora un po lessenza di ciascuna di queste specie, e il rapporto esistente tra di loro, con alcune espressioni dello stesso Fabro. Ci che abbiamo chiamato specie espressa o verbum quello pi immateriale e perfetto nella nostra vita... prodotta al termine della conoscenza astrattiva25. la pi elevata operazione vitale, che produce lintellezione in atto26. lintermediario e il termine, soggettivo, del contatto27 tra soggetto e oggetto. Conservando sempre il suo carattere intenzionale lobjectum quod della contemplazione intellettuale28. Finalmente, il medium in quo quod29 della conoscenza. La specie impressa, frutto dellastrazione de-individuante30, informa lintelletto possibile31, principio determinativo del conoscere32, intermediario oggettivo per il quale possibile entrare in contatto con loggetto33, e si esaurisce nella presentazione delloggetto34 perch medium quo della conoscenza35. 3. Forme complete del conoscere Fino adesso abbiamo cercato di riferirci alla conoscenza in genere. Occorre per, precisare i diversi modi di conoscenza con i quali ci possiamo trovare. Secondo Cornelio Fabro, esistono due forme complete del conoscere, che anche se non sono le uniche sono quelle che si impongono subito. Queste forme del conoscere sono la percezione e il giudizio:
Una fondazione teoretica del valore della conoscenza non pu essere data che per un esame che lo spirito opera dentro di s sopra gli atti, i contenuti e le forme di conoscenza che egli produce e di cui anche vive. Fra le forme complete del conoscere simpongono subito la percezione ed il giudizio: nelluna si fanno presenti gli oggetti concreti della vita vissuta per una presenza di fatto: nellaltra gli oggetti ed i loro valori rendono esplicita la propria presenza per il riferimento, che in essa opera 36 lintelletto, ai contenuti e princip assoluti dellessere .

Nella percezione, come si afferma nel testo sopracitato, gli oggetti concreti della vita vissuta si fanno presenti per una presenza di fatto. Ad essa sembra corrispondere lassimilazione conoscitiva, che ha due direzioni: lesperienza sensibile e lintelligenza, procedenti non in linea retta o puramente parallela, ma secondo rapporti di convergenza e di mutua complementarit37.

25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37

Cf. Ivi, 331. Cf. Ivi, 470. Cf. Ivi, 479. Cf. Ibidem. Ivi, 481. Cf. Ivi, 331. Cf. Ivi, 470. Cf. Ivi, 471. Cf. Ivi, 478-479. Cf. Ivi, 479. Cf. Ivi, 481. Cornelio FABRO, La Fenomenologia della percezione, op. cit., 27. Ivi, 32.

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Della percezione possiamo dare una prima nozione, iniziale: percepire laccorgersi di qualcosa in concreto, cio in quanto immediatamente dato nella sua presenzialit in atto38. Il giudizio opera dellintelletto ed in esso gli oggetti ed i loro valori rendono esplicita la propria presenza per il riferimento ai contenuti e princip assoluti dellessere. Il giudizio afferma (o nega) lidentit dei termini e dei rispettivi contenuti39. Fabro afferma che il giudizio si pu ridurre ad una forma di astrazione in quanto coglie nella ricchezza di un oggetto, presente nellapprensione percettiva, un particolare aspetto: come quando dico che Pietro un uomo astraggo, e devo astrarre, se sia musico, padre, figlio...40. Che rapporto si pu stabilire tra queste due forme del conoscere? C qualche precedenza duna sullaltra? Fabro afferma che una fondazione critica completa deve abbracciarli ambedue41, e che anche se il giudizio pi importante, si deve cominciare lo studio della conoscenza dalla percezione, perch questo il movimento pi naturale: la realt prima vissuta che classificata ed i contenuti concreti hanno immanenti, sia pur rozzamente, anche gli astratti, mentre non pu esser vero il contrario42. In questo senso, la percezione fonda il giudizio. Ancora di pi: il giudizio pone due problemi, quello del contenuto e quello del valore, che non si possono fondamentare senza una precedente apprensione percettiva43:
Pertanto il vero punto di partenza di una psicologia, ed almeno fino ad un certo punto anche di una critica della conoscenza, quella forma di tutto inizialmente dato alla coscienza nel quale lintelletto possa trovare presenti od in qualche modo adombrati i contenuti ed anche le forme stesse di 44 connessione che saranno poi affermate nel giudizio .

38 39 40 41 42 43 44

Ivi, 43. Ivi, 30. Cfr. San TOMMASO DAQUINO, Summa theologiae, I, q. 85, a. 5: Se il nostro intelletto conosca raffrontando e contrapponendo. Cornelio FABRO, La fenomenologia della percezione, op. cit., 30. Ivi, 27. Ivi, 28. Cfr. Ivi, 30. Ivi, 31.

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VII. LA VERIT

Schema 1. Diverse posture 2. Esistenza e nozione di verit in San Tommaso 3. La determinazione della verit di una proposizione

1. Diverse posture La prima domanda che si pu fare riguardo alla verit se questa esista o no. Come abbiamo gi visto, il cosidetto scetticismo afferm che non ci sono verit, o almeno che non ci possono essere certezze sulla verit. Nei nostri giorni, questo scetticismo si fa presente nel pensiero antimetafisico, che pu prendere diversi nomi1: relativismo, prospettivismo, pragmatismo, fallibilismo, pensiero debole, ecc... Dallaltra parte troviamo diverse posture che, anche se accettano lesistenza della verit, differiscono riguardo alla sua nozione. In ultima istanza, queste diverse posture si riducono al confronto tra idealismo e realismo. Il realismo intende la verit come una certa conformit o corrispondenza tra lintelletto e la cosa, da cui la nozione classica di verit: aedequatio rei et intellectus. Le correnti di taglio idealista invece, concepiscono la verit come coerenza interna del pensiero con s stesso. Senza soffermarci a confutare questa postura, diciamo soltanto che, anche se la coerenza intessa come non contraddizione necessaria affinch ci sia la verit da s non sufficiente per produrre questa verit. Si potrebbe segnalare a parte, per il suo rilievo nel pensiero contemporaneo, la nozione di verit di Heidegger, che pretende riportarla alla nozione pre-socratica di verit. Secondo lui, la verit sarebbe rivelazione dellessere. Antonio Livi afferma: Di conseguenza, dice Heidegger, la verit lessere stesso, ed esistenzialmente consiste nellatto libero con il quale luomo si apre allessere che si manifesta: Lessenza della verit la libert2. Queste posture girano, quindi, attorno a due domande: se esiste la verit, e che cosa sia. 2. Esistenza e nozione di verit in San Tommaso I nostri punti di riferimento saranno due: Somma teologica, I, q. 16, aa. 1-8; De Veritate, q. 1, aa. 1-5. a. Lesistenza della verit evidente San Tommaso ritiene evidente che vi sia una verit in generale. Vediamo alcuni testi al rispetto:

1 2

Cfr. Antonio LIVI, Verit del pensiero, op. cit., 27. Ivi, 28.

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Che esista la verit in generale di per s evidente, ma che vi sia una prima Verit non per noi 3 altrettanto evidente . Non si pu pensare puramente e semplicemente che no vi sia la verit. Si pu pensare che non vi sia alcuna verit creata, come si pu pensare che non vi sia alcuna creatura: infatti lintelletto pu pensare di non esistere e di non pensare, anche se non pu mai pensare senza esistere o pensare; non infatti necessario che tutto ci che lintelletto, pensando, possiede, lo pensi anche, pensando, dato che non sempre riflette su se stesso; e quindi non c inconveniente se pensa che non esiste la 4 verit creata senza la quale non pu pensare . La verit si fonda sullente: per cui, come immediatamente evidente che lente esiste in generale, 5 cos pure esiste la verit .

Levidenza della verit si fonda, quindi, sullevidenza dellente, il quale fonda la verit. da notare per, che in questi testi San Tommaso si riferisce alla verit in termini di verit in communi o simpliciter, quindi, la esistenza di certe verit particolari non necessariamente evidente. b. Aedequatio rei et intellectus Cerchiamo di precisare adesso il significato che hanno per San Tommaso ciascuno dei termini della definizione classica di verit: aedequatio, res, intellectus. Il rapporto di adeguazione che costituisce la verit una corrispondenza tra lintelligenza e il reale, in cui lintelligenza in qualche modo si conforma con la cosa che conosce:
La prima comparazione dellente allintelletto dunque che lente concordi con lintelletto, la quale concordanza detta adeguazione della cosa e dellintelletto, e in ci formalmente si compie la 6 definizione di vero .

Allora, perch se San Tommaso afferma che veritas sopra ens fundatur nella nozione di verit si utilizza il temine res e non ens? Vediamo alcuni testi di San Tommaso:
Essendoci per nella cosa la sua quiddit e lessere, la verit si fonda pi sullessere della cosa che sulla quiddit, come anche il nome di ente viene imposto dallessere; e nella stessa operazione dellintelletto che prende lessere della cosa cos come mediante una certa assimilazione ad esso si 7 compie la relazione di adeguazione, nella quale consiste la nozione di verit . Lessere della cosa la causa della vera valutazione che la mente ha della cosa . Analogamente lessere della cosa, e non la sua verit, che causa la verit dellintelletto .
9 8

San TOMMASO DAQUINO, Summa theologiae, I, q. 2, a. 1, ad 3: Ad tertium dicendum quod veritatem esse in communi, est per se notum, sed primam veritatem esse, hoc non est per se notum quoad nos.
4 San TOMMASO DAQUINO, De Veritate, 1, 5, ad 5: Ad quintum dicendum, quod non potest intelligi simpliciter veritatem non esse; potest tamen intelligi nullam veritatem creatam esse, sicut et potest intelligi nullam creaturam esse. Intellectus enim potest intelligere se non esse et se non intelligere, quamvis numquam intelligat sine hoc quod sit vel intelligat; non enim oportet quod quidquid intellectus intelligendo habet, intelligendo intelligat, quia non semper reflectitur super seipsum; et ideo non est inconveniens, si veritatem creatam, sine qua non potest intelligere, intelligat non esse. 5 6

Ivi, 10, 12, ad 3: Veritas supra ens fundatur. Unde sicut ens esse in comune est per se notum, ita veritatem esse.

Ivi, 1, 1: Prima comparatio entis ad intellectum est ut ens intellectui correspondeat. Quae quiden correspondentia, adaequatio rei et intellectus dicitur, et in hoc formaliter ratio veri perficitur.
7

San TOMMASO DAQUINO, In I Sententiarum, d. 19, q. 5, a. 1: Cum autem in re sit quidditas ejus et suum esse, veritas fundatur in esse rei magis quam in quidditate, sicut et nomen entis ab esse imponitur; et in ipsa operatione intellectus accipientis esse rei sicut est per quamdam similationem ad ipsum, completur relatio adaequationis, in qua consistit ratio veritatis.
8 9

San TOMMASO DAQUINO, In II Metaphysica, lect. 2, n. 298: Esse rei est causa verae existimationis quam mens habet de re. San TOMMASO DAQUINO, Summa theologiae I, q. 16, a. 1, ad 3: Et similiter esse rei, non veritas eius, causat veritatem intellectus.

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Res designa allente in quanto ha unessenza. Il punto di riferimento sempre, quindi, lens. Forse si pu dire che si utillizza res per mettere in rilievo che la totalit della cosa che produce la verit dellintelletto. Perci, nei testi che abbiamo visto, San Tommaso non dice semplicemente res ma insiste nel fatto che lesse rei causa della verit. Come capire intellectus? Sappiamo che secondo San Tommaso, la verit si trova formalmente, per prius, nellintelletto e non nella cosa. Il santo utilizza spesso lanalogia della salute: sano si dice propriamente lanimale, le cose delle quali si predica la salute - il cibo, la medicina, ecc - sono detti sani in senso estrinseco ed improprio, in quanto hanno un certo rapporto con la sanit dellanimale. La verit propriamente soltanto nell'intelletto10, afferma San Tommaso. Allora, glintelletti che possono interessare principalmente al nostro studio sono due: lintelletto divino e quello umano. Abbiamo quindi tre luoghi nei quali la verit si pu trovare, anche se secondo sensi diversi: Dio, la cosa e luomo. A noi, in tanto che stiamo facendo un corso di gnoseologia, ci interessa domandarci come si trova la verit nelluomo. Ci interessa quindi, ci che a volte si chiama la verit logica cos come si trova nellintelletto umano, e allo studio di questa verit ci limiteremo. San Tommaso affermer che nelluomo la verit si trova nellintelletto che compone e divide, cio, nel giudizio. c. ...verum per prius dicitur de compositione vel divisione intellectus...11 Vediamo alcuni argomenti con i quali San Tommaso sostiene questaffermazione. Primo argomento: veritas sopra esse fundatur. La verit si fonda sullessere, ed la seconda operazione che attinger in qualche modo lessere reale della cosa, e non la semplice apprensione che guarda allessenza.
La prima operazione riguarda lessenza della cosa, la seconda riguarda il suo essere. E poich la nozione di verit si basa sullessere, e non sulla quiddit, come si detto, cos la verit e la falsit si 12 riscontrano propriamente nella seconda operazione .

Secondo argomento: aequalitas diversorum est. La verit consiste in unadeguazione. Affinch ci sia unadeguazione necessario che ci siano due cose diverse, perch non si d adeguazione di una cosa rispetto di s stessa. Orbene, soltanto nel giudizio c qualcosa propria dellanima che non nella cosa, perch nella cosa non si trova laffermazione che si trova nel giudizio. Nella semplice apprensione, invece, lanima possiede la similitudine della cosa, che s nella cosa. Pertanto, solo nel giudizio si potr avere ladeguazione dellintelletto con la realt, sempre che il giudizio corrisponda alla realt. Questo non vuol dire che nelle altre operazioni non ci sia qualcosa di verit; in esse c la verit come materialmente; nel giudizio, invece, la verit si trova formalmente:
10 11 12

Ivi, I, q. 16, a. 8, co: Veritas proprie est in solo intellectu. San TOMMASO DAQUINO, De Veritate, q. 1, a. 3, co.

San TOMMASO DAQUINO, In I Sententiarum, d. 19, q. 5, a. 1, ad 7: Prima operatio respicit quidditatem rei; secunda respicit esse ipsius. Et quia ratio veritatis fundatur in esse et non in quidditate, ut dictum est, ideo veritas et falsitas proprie invenitur in secunda operazione.

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Ma lintelletto che forma la quiddit delle cose ha soltanto la similitudine della cosa esistente al di fuori dellanima, come anche il senso in quanto riceve la specie sensibile. Quando invece comincia a giudicare della cosa appresa, allora lo stesso giudizio dellintelletto qualcosa ad esso proprio che non si trova al di fuori nella cosa; e quando si adegua a ci che fuori nella cosa, allora si dice che il giudizio vero; lintelletto poi giudica della cosa appresa quando dice che qualcosa o non , il che proprio dellintelletto componente e dividente: per cui il filosofo dice anche che la composizione e la divisione nellintelletto e non nelle cose. Dunque la verit si trova primariamente nella 13 composizione e divisione dellintelletto .

d. Unit, eternit e immutabilit della verit San Tommaso studia queste tre propriet della verit. Vediamo cosa dice al rispetto. Ricordiamo nel nostro studio ci concentriamo sulla verit logica, cos come si trova nellintelletto umano. Sullunit della verit ci possiamo domandare: c una verit?, o chi possono essere diverse verit? Se pu affermare che ciascuno ha la sua verit? Vediamo che cosa risponde San Tommaso:
Se dunque parliamo della verit in quanto, secondo la sua nozione propria, nell'intelletto, allora, dato che esistono molte intelligenze create, vi sono anche molte verit; e anche in un solo e medesimo 14 intelletto vi possono essere pi verit, data la pluralit degli oggetti conosciuti . Il sedersi di Socrate, che la causa della verit di questa proposizione: Socrate siede, non pu essere considerato allo stesso modo quando Socrate siede e dopo che stato seduto e prima che sedesse. Quindi anche la verit da esso causata presenta aspetti diversi [rispetto al tempo], e si esprime in diverse maniere nelle tre proposizioni: al presente, al passato e al futuro. Quindi non ne viene che, 15 restando vera una delle tre proposizioni, resti ununica verit invariabile .

Si pu parlare di diverse verit in quanto ci possono essere diverse adeguazioni, sia per la diversit delle cose conosciute sia per la diversit deglintelletti creati: un intelletto pu adeguarsi a diverse cose, o diversi intelletti possono adeguarsi alla stessa o diverse cose. Daltra parte, una stessa cosa pu essere conosciuta sotto diversi aspetti, da dove si segue che una stessa cosa pu produrre diverse adeguazioni, e quindi, diverse verit. Sembra che si pu dire che in certo senso ciascuno ha la sua verit in quanto che il proprio intelletto che si adegua alla cosa, e si appropria del suo essere. Comunque, necessario ribadire due cose. La prima, che queste diverse verit non possono essere contraddittorie tra di loro. La seconda, che la causa della verit non lintelletto, ma lessere delle cose, come si visto sopra. Sulleternit e immutabilit della verit, ci domandiamo: pu cambiare la verit? si pu parlare di verit eterne?
13

San TOMMASO DAQUINO, De Veritate, q. 1, a. 3, co: Intellectus autem formans quidditatem rerum, non habet nisi similitudinem rei existentis extra animam, sicut et sensus in quantum accipit speciem sensibilis; sed quando incipit iudicare de re apprehensa, tunc ipsum iudicium intellectus est quoddam proprium ei, quod non invenitur extra in re. Sed quando adaequatur ei quod est extra in re, dicitur iudicium verum; tunc autem iudicat intellectus de re apprehensa quando dicit aliquid esse vel non esse, quod est intellectus componentis et dividentis; unde dicit etiam philosophus in VI metaph., quod compositio et divisio est in intellectu, et non in rebus. Et inde est quod veritas per prius invenitur in compositione et divisione intellectus.
14

San TOMMASO DAQUINO,Summa theologiae, I, q. 16, a. 6: Si ergo loquamur de veritate prout existit in intellectu, secundum propriam rationem, sic in multis intellectibus creatis sunt multae veritates; etiam in uno et eodem intellectu, secundum plura cognita.
15

Ivi, I, q. 16, a. 8, ad 4: Ad quartum dicendum quod sessio Socratis, quae est causa veritatis huius propositionis, Socrates sedet, non eodem modo se habet dum Socrates sedet, et postquam sederit, et antequam sederet. Unde et veritas ab hoc causata, diversimode se habet; et diversimode significatur propositionibus de praesenti, praeterito et futuro. Unde non sequitur quod, licet altera trium propositionum sit vera, quod eadem veritas invariabilis maneat.

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Cominciamo con questa affermazione di San Tommaso: Mutate le cause, mutano gli effetti; ma le cose che sono causa della verit delle proposizioni mutano: dunque muta anche la verit delle proposizioni16. Comunque, questo cambiamento delle cose non assoluto, perch si sa che in ogni cambiamento c qualcosa che cambia e qualcosa che rimane, altrimenti il cambiamento sarebbe impossibile. Ci interessa considerare particolarmente i cambiamenti che pu soffrire una cosa rimanendo se stessa. In questi cambiamenti possono cambiare molte cose, la natura o essenza della cosa rimane invariata. Rimangono pure invariati, quindi, quelle propriet o note della cosa che sgorgano della sua essenza. A questo rispetto, vediamo due testi di San Tommaso sulla immutabilit degli universali:
Che una cosa esista sempre e dovunque pu essere inteso in due modi. O perch ha in s la propriet di estendersi a ogni tempo e a ogni luogo, e in tal senso compete a Dio. Oppure nel senso che non ha in s un elemento che la determini a un punto dello spazio o del tempo [piuttosto che a un altro]: [...]. E in questo senso di ogni universale si dice che dovunque e sempre, in quanto gli universali astraggono dallo spazio e dal tempo. Ma da ci non segue che essi siano eterni se non 17 nell'intelletto, dato che ve ne sia uno eterno . Che luniversale sia perpetuo e incorruttibile, Avicenna lo spiega in due modi: o intendendo che perpetuo e incorruttibile in ragione dei particolari, che non ebbero inizio e non avranno fine, stando allopinione di chi sostiene leternit del mondo, la generazione infatti secondo i filosofi ha lo scopo di salvare la perpetuit dellessere nella specie, dato che non si pu salvarla nellindividuo ; oppure intendendo che perpetuo dato che non si corrompe per s ma accidentalmente, quando si corrompe 18 lindividuo .

Ancora un testo di San Tommaso, nel quale si precisa quale sia questa mutabilit delle verit create:
Come si detto sopra [a. 1], la verit propriamente soltanto nell'intelletto, mentre le cose sono dette vere in rapporto alla verit che si trova in un'intelligenza. Quindi la mutabilit del vero va ricercata in relazione all'intelletto, la cui verit consiste nella conformit con le cose conosciute. Ora, questa conformit pu variare in due maniere, come ogni altro confronto, cio per il cambiamento dell'uno o dell'altro termine. Quindi dalla parte dell'intelligenza la verit cambia se, restando la cosa immutata, uno se ne forma un'opinione diversa; e varier egualmente se, restando invariata l'opinione, cambia la cosa. E in ambedue i casi c' mutamento dal vero al falso. [...] La verit dell'intelletto divino dunque immutabile, mentre quella del nostro intelletto mutevole. Non che essa sia il soggetto di queste mutazioni, ma [si ha il mutamento] a motivo del nostro intelletto che passa dalla verit alla falsit: in 19 questa maniera infatti che sono mutevoli le forme. [...] .

San TOMMASO DAQUINO, De Veritate, q. 1, a. 6, sc:Sed contra, mutatis causis mutantur effectus. Sed res, quae sunt causa veritatis propositionis, mutantur. Ergo et propositionum veritas mutatur.
17

16

San TOMMASO DAQUINO,Summa theologiae, I, q. 16, a. 7, ad 2: Ad secundum dicendum quod aliquid esse semper et ubique, potest intelligi dupliciter. Uno modo, quia habet in se unde se extendat ad omne tempus et ad omnem locum, sicut deo competit esse ubique et semper. Alio modo, quia non habet in se quo determinetur ad aliquem locum vel tempus, sicut materia prima dicitur esse una, non quia habet unam formam, sicut homo est unus ab unitate unius formae, sed per remotionem omnium formarum distinguentium. Et per hunc modum, quodlibet universale dicitur esse ubique et semper, inquantum universalia abstrahunt ab hic et nunc. Sed ex hoc non sequitur ea esse aeterna, nisi in intellectu, si quis sit aeternus.
18

San TOMMASO DAQUINO, De Veritate, q. 1, a. 5, ad 14: Ad tertium decimum dicendum, quod hoc quod dicitur, universale perpetuum esse et incorruptibile, Avicenna dupliciter exponit: uno modo ut dicatur esse perpetuum et incorruptibile, ratione particularium, quae nunquam inceperunt nec deficient secundum tenentes aeternitatem mundi; generatio enim ad hoc est, secundum philosophos ut salvetur perpetuum esse in specie, quod in individuo salvari non potest. Alio modo ut dicatur esse perpetuum, quia non corrumpitur per se, sed per accidens ad corruptionem individui.
19

San TOMMASO DAQUINO, Summa theologiae, I, q. 16, a. 8 co: Respondeo dicendum quod, sicut supra dictum est, veritas proprie est in solo intellectu, res autem dicuntur verae a veritate quae est in aliquo intellectu. Unde mutabilitas veritatis consideranda est circa intellectum. Cuius quidem veritas in hoc consistit, quod habeat conformitatem ad res intellectas. Quae quidem conformitas variari potest dupliciter, sicut et quaelibet alia similitudo, ex mutatione alterius extremi. Unde uno modo variatur veritas ex parte intellectus, ex eo quod de re eodem modo se habente aliquis aliam opinionem accipit, alio modo si, opinione eadem manente, res mutetur. Et utroque modo fit mutatio de vero in falsum. Si ergo sit aliquis intellectus in quo non possit esse alternatio opinionum, vel cuius acceptionem non

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La verit in se stessa non cambia. Essendo una certa relazione per, pu cambiare in quanto cambia alcuno dei suoi termini. Possono darsi due casi. Il primo, che cambiando uno dei termini della relazione cambi pure laltro, e si produca una nuova adeguazione, e quindi, una nuova verit. Questo sarebbe il caso della molteplicit delle verit la quale stata studiata sopra. Il secondo caso sarebbe quando cambiando uno dei termini laltro resta invariato. In questultimo caso, ladeguazione distrutta. Non si tratta, quindi, dun cambiamento della verit, ma dun passo dalla verit alla falsit, come precisa San Tommaso. Ci servano queste brevi riflessioni al meno per far vedere che il nostro realismo e tuttaltro che un realismo ingenuo... 3. La determinazione della verit di una proposizione Consideriamo brevissimamente un altro problema, nel quale si toccano la gnoseologia e la logica materiale: la determinazione della verit di una proposizione. Espressione del giudizio la proposizione. Ci domandiamo adesso: come si fa a mostrare la verit di una proposizione? Quale potrebbe essere la procedura che ci permetta dessere certi della verit duna affermazione qualsiasi? Questo passo ci permette pure di introdurre le lezioni seguenti sulla certezza e levidenza, e vedere il collegamento esistente tra i temi in esse considerati. Per esempio, un autore da noi gi citato risponde alle domande precedenti, in parte, con ci che egli chiama la presupposizione: La presupposizione una operazione logica (di logica aletica [materiale], non formale), e quindi appartiene allessenza della filosofia; il fatto di rilevare i presupposti della filosofia nellesperienza20. E ancora: Intendo dunque per presupposizione lindividuazione di quella caratteristica logica di un discorso per cui esso rimanda a elementi che gli sono (logicamente) anteriori ma che ne costituiscono le condizioni di possibilit21. Ci sembra importante la nota affermazione di San Tommaso della De Veritate 1,1: nelle proposizioni dimostrabili bisogna operare la riduzione a qualche principio per s noto allintelletto22. Si potrebbe aggiungere un altro, anche della De Veritate:
La verit in base alla quale lanima giudica tutto la verit prima: come infatti dalla verit dellintelletto divino fluiscono nellintelletto angelico le specie innate delle cose, secondo le quali [gli angeli] conoscono tutte le cose, cos dalla verit dellintelletto divino procede esemplarmente nel nostro intelletto la verit dei primi principi, secondo i quali giudichiamo di ogni cosa; e poich non potremmo

potest subterfugere res aliqua, in eo est immutabilis veritas. Talis autem est intellectus divinus, ut ex superioribus patet. Unde veritas divini intellectus est immutabilis. Veritas autem intellectus nostri mutabilis Est. Non quod ipsa sit subiectum mutationis, sed inquantum intellectus noster mutatur de veritate in falsitatem; sic enim formae mutabiles dici possunt. Veritas autem intellectus divini est secundum quam res naturales dicuntur verae, quae est omnino immutabilis.
20 21 22

Antonio LIVI, Verit del pensiero, op. cit., 42. Ivi, 43.

San TOMMASO DAQUINO, De Veritate, q. 1, a. 1, co: in demonstrabilibus oportet fieri reductionem in aliqua principia per se intellectui nota.

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giudicare in base ad essa se non in quanto una similitudine della prima verit, cos si dice che 23 giudichiamo di ogni cosa secondo la prima verit .

Il giudizio che si pu fare sulla verit duna proposizione non tanto una dimostrazione quanto una riduzione. La dimostrazione, da s, si fonda sulla verit di alcune proposizioni precedenti. Sembra per non sia sufficiente la dimostrazione per sostenere la verit di un giudizio, giacch se uno si muove solo nel piano della dimostrazione rimane sempre nel piano formale e non si vede quando si fa quel passo necessario che mostrare il contatto - adeguazione - del giudizio con la realt. La determinazione della verit di una proposizione si fonder quindi, su una riduzione che cercher di mostrare la relazione tra questa proposizione e altri principi allintelletto gi evidenti, cio noti, e dei quali non si possa dubitare. Per trovare questi aliqua principia per se intellectui nota abbiamo due punti di riferimento: lesperienza e i primi principi. Possiamo dire, quindi, che per determinare la verit di una proposizione sar necessario mostrare la relazione esistente tra questa proposizione e alcune verit evidenti.

23

Ivi, q. 1, a. 4, ad 5: Ad quintum dicendum, quod veritas secundum quam anima de omnibus iudicat, est veritas prima. Sicut enim a veritate intellectus divini effluunt in intellectum angelicum species rerum innatae, secundum quas omnia cognoscunt; ita a veritate intellectus divini procedit exemplariter in intellectum nostrum veritas primorum principiorum secundum quam de omnibus iudicamus. Et quia per eam iudicare non possemus nisi secundum quod est similitudo primae veritatis, ideo secundum primam veritatem dicimur de omnibus iudicare.

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VIII. LA CERTEZZA

Schema 1. Lassenso 2. Certezza 3. Classi di certezza

I nostri punti di riferimento per la presente lezione saranno i seguenti testi di San Tommaso: De Veritate q. 14, a. 1; Summa theologiae II-II, q. 1, a. 4. Pu essere interessante far notare che in ambedue questi testi San Tommaso studia latto di fede. Quello della De Veritate ha come titolo: Che cosa sia credere; e quella della Summa: Se le cose che si vedono possano essere oggetto di fede. Cercheremo di seguire nella nostra trattazione quanto pi fedelmente sia possibile lo schema generale di San Tommaso in questi articoli. 1. Lassenso a. Natura Come abbiamo gi studiato, la verit nellintelletto umano si trova per prius nel giudizio. Latto proprio del giudizio lassenso, e lassenso la determinazione dellintelletto rispetto ad una verit. La certezza sar una caratteristica di questo assenso, che guarda la sua fermezza. Afferma San Tommaso: diamo lassenso a qualcosa quando aderiamo ad essa in quanto vera1. Con altre parole, assenso la determinazione dellintelletto ad una delle parti della contraddizione2. b. Cause dellassenso Lintelletto, perch passivo, non si muove se non mosso da un altro:
Lintelletto possibile [...] di per s maggiormente indeterminato ad aderire alla composizione piuttosto che alla divisione, o viceversa; ora, tutto ci che indeterminato rispetto a due cose non 3 viene determinato a una di esse se non da qualcosa che lo muove .

Allora, quellaltro che muova lintelletto ad assentire pu essere loggetto o la volont. Loggetto muove in quanto si fa presente (evidente), sia in modo diretto che indiretto (per intuizione o per dimostrazione). La volont muove in quanto ha in s la capacit di muovere tutte le altre facolt dellanima.
Ora, l'intelletto pu assentire a una cosa in due modi. Primo, perch mosso dall'oggetto, il quale pu essere conosciuto o direttamente per se stesso, come avviene per i primi princpi di cui si ha un abito
1 2 3

San TOMMASO DAQUINO, De Veritate, q. 14, 1, co: non enim dicimur alicui assentire nisi quando inhaeremus ei quasi vero. Cf. Ibidem.

Ibidem: Intellectus autem possibilis, cum quantum est de se sit in potentia respecto omnium intelligibilium formarum, sicut et materia prima respectu omnium sensibilium formarum, est etiam quantum est de se non magis determinatus ad hoc quod aheareat compositioni quam divisioni, vel e converso; omne autem quod est indeterminatum ad duo, non determinatur ad unum eorum nisi per aliquod movens ipsum.

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naturale, oppure indirettamente, come avviene per le conclusioni di cui si ha la scienza. Secondo, non perch mosso adeguatamente dal proprio oggetto, ma per una scelta volontaria, che inclina pi 4 verso una parte che verso laltra .

2. Certezza a. Dubbio e opinione Prima dellassenso vero e proprio, lintelletto si pu trovare in diversi modi riguardo alle parti della contraddizione. Ci possono essere lignoranza, il sospetto, il dubbio o lopinione. Fermiamoci soltanto su questi ultimi due, perch sono quelli considerati da San Tommaso negli articoli che stiamo seguendo. Innanzitutto, afferma San Tommaso, che n nel dubbio, n nellopinione c ancora vero assenso:
Chi dubita non ha lassenso, dato che non aderisce a una parte pi che allaltra; similmente neppure 5 colui che opina, dato che la sua recezione di una delle due parti non ferma .

Che cosa il dubbio? Risponde San Tommaso, indicando in che cosa consista il dubbio e quali siano le sue cause:
Talvolta lintelletto non inclinato a uno pi che allaltro, o per difetti di motivo, come in quei problemi nei quali non troviamo ragioni, o per lapparente uguaglianza dei motivi a favore delluna e dellaltra 6 parte, e questa la disposizione di chi dubita, che fluttua fra le due parti della contraddizione .

In modo simile, anche se pi vicino allassenso si trova chi opina:


Talvolta invece lintelletto inclinato a un estremo piuttosto che allaltro, ma tuttavia ci che inclina non muove sufficientemente lintelletto in modo da determinarlo totalmente verso una delle parti. Per cui prende s una parte, ma dubita sempre di quella opposta, e questa la disposizione di chi opina, il 7 quale prende una parte della contraddizione con il timore dellaltra .

b. La certezza Quando, superati sia il dubbio che lopinione, lintelletto aderisce totalmente, pienamente, saldamente, ad una delle parti della contraddizione. Ci troviamo in questo momento davanti allassenso dellintelletto e alla certezza, che la forza con la quale lintelletto abbraccia il suo oggetto. Vediamo come si esprime San Tommaso:
Talvolta infine lintelletto possibile determinato ad aderire totalmente a una parte... ; aderisce certissimamente a una parte ;
9 8

San TOMMASO DAQUINO, Summa theologiae, II-II, q. 1, a. 4, co: Assentit autem alicui intellectus dupliciter. Uno modo, quia ad hoc movetur ab ipso obiecto, quod est vel per seipsum cognitum, sicut patet in principiis primis, quorum est intellectus; vel est per aliud cognitum, sicut patet de conclusionibus, quarum est scientia. Alio modo intellectus assentit alicui non quia sufficienter moveatur ab obiecto proprio, sed per quandam electionem voluntarie declinans in unam partem magis quam in aliam.
5

San TOMMASO DAQUINO, De Veritate, q. 14, a. 1, co: ...dubitans non habet assensum cum non inhaeret uni parti magis quam alteri; similiter etiam nec opinans cum non firmetur eius acceptio circa alteram partem.
6

Ibidem: Quandoque enim non inclinatur ad unum magis quam ad aliud, vel propter defectum moventium, sicut in illis problematibus de quibus rationes non habemus, vel propter apparentem aequalitatem eorum quae movent ad utramque partem, et ista est dubitantis dispositivo qui fluctuat inter duas partes contradictionis.
7 Ibidem: Quandoque vero intellectus inclinatur magis ad unum quam ad alterum, sed tamen illud inclinans non sufficienter movet intellectum ad hoc quod determinet ipsum in unam partium totaliter; unde accipit quidem unam partem, semper tamen dubitat de opposita, et haec esto dispositivo opinantis qui accipit unam partem contradictionis cum formidite alterius. 8 9

Ibidem: Quandoque vero intellectus possibilis determinatur ad hoc quod totaliter adhaereat uni parti. Ibidem: intelligens habet quidem assensum quia certissime alteri parti inahaeret.

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la certezza pu comportare due cose, cio la fermezza delladesione [...] o anche levidenza di ci a 10 cui si d lassenso .

c. Intelletto, scienza e fede Tre sono dunque, le possibili cause dellassenso: lintuizione, la dimostrazione e la volont. Lintuizione, che implica un certo contatto diretto con la realt conosciuta pu essere chiamata intelletto. Levidenza alla quale si arriva per dimostrazione e propria della scienza. La volont che muove ad assentire coopera a produrre latto di fede - laccettare la testimonianza altrui. Perci pu essere utile paragonare la certezza che producono queste tre cause, per precisare il nostro concetto di certezza, e per vedere come tutte e tre producono, anche se in diversi modo, unautentica certezza. Il seguente testo di San Tommaso pu aiutarci:
La certezza pu comportare due cose, cio la fermezza delladesione, e sotto questo aspetto la fede anche pi certa di ogni intuizione e scienza, poich la verit prima che causa lassenso della fede una causa pi forte del lume della ragione che causa lassenso dellintuizione o della scienza; [la certezza per] comporta anche levidenza di ci a cui si d lassenso, e in questo senso la fede non ha la certezza, che invece hanno la scienza e lintuizione: ed per questo motivo che lintuizione non 11 ha cogitazione .

3. Classi di certezza San Tommaso parte da un principio che prende dAristotele, il quale afferma che non si deve chiedere a tutte le cose la medesima certezza, perch la certezza dipende dalla materia sulla quale versa. Alcune cose sono contingenti, altre sono necessarie. Ci sar quindi una certezza sulle cose necessarie (quella che di solito chiamata certezza metafisica, che San Tommaso chiama certezza dimostrativa) e unaltra sulle cose contingenti (fatti della natura sui quali c certezza fisica; atti umani sui quali possiamo avere una certezza morale). Questi due modi di certezza si distinguano non solo per la materia sulla quale versano, ma anche perch la certezza che versa su cose contingenti (certezza probabile), pu ammettere eccezioni, cosa che non succede con la certezza metafisica. La certezza su materia contingente, insiste San Tommaso, in ogni caso sufficiente, perch uno pu essere sicuro che ci che si afferma sar vero nella maggior parte dei casi. Vediamo alcuni testi di San Tommaso:
Come fa notare il Filosofo [Ethic. 1, cc. 3, 7], non si deve esigere in tutte le materie la medesima certezza. Poich negli atti umani, sui quali vertono i processi e le deposizioni dei testimoni, non si pu avere una certezza dimostrativa, trattandosi di cose contingenti e variabili. Basta quindi una certezza probabile, che raggiunge la verit nella maggior parte dei casi, sebbene talora si scosti da 12 essa .
10 11

Ivi, q. 14, a. 1, ad 7: certitudo duo potest importare, scilicet fimitatem adhaesionis [...] etiam evidentiam eius cui assentitur.

Ivi, 14, 1, ad 7: Ad septimum dicemdum quod certitude duo potest importare, scilicet firmitatem adhaesionis, et quantum ad hoc fides est certior etiam omni intellectu e scientia quia prima veritas quae causat fidei assensum est fortiori causa quam lumen rationis quae causat assensum intellectus vel scientiae; importat etiam evidentiam eius cui assentitur, et sic fides non habet certitudinem sed scientia et intellectus, et exinde est quod intellectus cogitationem non habet.
12

San TOMMASO DAQUINO, Summa theologiae, II-II, q. 70, a. 2 (Se basti la testimonianza di due o tre testimoni), co: Respondeo dicendum quod, secundum Philosophum, in I Ethic., certitudo non est similiter quaerenda in omni materia. In actibus enim humanis, super quibus constituuntur iudicia et exiguntur testimonia, non potest haberi certitudo demonstrativa, eo quod sunt circa contingentia et variabilia. Et ideo sufficit probabilis certitudo, quae ut in pluribus veritatem attingat, etsi in paucioribus a veritate deficiat.

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Secondo Aristotele [Ethic. 1, 3] non si deve pretendere in tutte le cose la medesima certezza. Perci nelle realt contingenti, quali sono i fenomeni fisici e le cose umane, basta la certezza per cui 13 una cosa vera nella maggior parte dei casi, sebbene vi siano delle eccezioni . Come nota il Filosofo [Ethic. 1, 3], non si deve cercare in tutte le cose una certezza assoluta, ma quanta ne permette la natura di ciascuna materia. Siccome dunque la materia della prudenza data dai singolari contingenti, di cui si interessano le azioni umane, la certezza della prudenza non pu 14 essere tale da eliminare ogni sollecitudine . Degli atti umani si pu avere una qualche certezza, anche se non come nelle scienze dimostrative, 15 bens soltanto come comporta tale materia: p. es. mediante la testimonianza di persone idonee .

Ivi, I-II, q. 96, a. 1, ad 3: Ad tertium dicendum quod non est eadem certitudo quaerenda in omnibus, ut in I Ethic. dicitur. Unde in rebus contingentibus, sicut sunt naturalia et res humanae, sufficit talis certitudo ut aliquid sit verum ut in pluribus, licet interdum deficiat in paucioribus. Ivi, II-II, q. 47, a. 9., ad 2: Ad secundum dicendum quod, secundum philosophum, in I ethic., certitudo non est similiter quaerenda in omnibus, sed in unaquaque materia secundum proprium modum. Quia vero materiae prudentiae sunt singularia contingentia, circa quae sunt operationes humanae, non potest certitudo prudentiae tanta esse quod omnino sollicitudo tollatur.
15 14

13

Ivi, II-II, q. 60. a. 3, ad 1: Ad primum ergo dicendum quod in humanis actibus invenitur aliqua certitudo, non quidem sicut in demonstrativis, sed secundum quod convenit tali materiae, puta cum aliquid per idoneos testes probatur.

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IX. LEVIDENZA

Schema 1. Nozione devidenza: ci che per se notum 2. Divisione dellevidenza: secundum se - quoad nos 3. Evidenza e certezza

Ci proponiamo di rintracciare, leggendo alcuni testi di San Tommaso, ci che lAngelico Dottore pensava riguardo a ci che noi chiamiamo evidenza. Non vogliamo fare uno studio intensivo del problema, ma offrire soltanto alcune linee che possano servire per un successivo approfondimento della questione. Dal punto di vista semantico, la parola evidente, in italiano, significa ci che si vede chiaramente, che ben visibile, e ha la sua origine etimologica nellespressione latina evidnte(m), composta di e- con valore intensivo e un derivato di vidre vedere1. Occorre premettere che quando San Tommaso studia levidenza, utilizza spesso lespressione latina per se notum per riferirsi ad essa. Quindi, la nostra ricerca comincer dal cercare di mostrare come intendere questespressione, per poi vedere alcuni testi nei quali il santo distingue tra ci che pu essere evidente in s e ci che pu essere evidente per noi, e finire mostrando il rapporto tra evidenza e certezza. Dobbiamo premettere ancora una seconda premessa. Come sempre, ma particolarmente per quanto riguardo il tema che vogliamo studiare in questa lezione, se vogliamo cogliere il pensiero autentico di San Tommaso si devono leggere i suoi testi nel latino originale. Perci in questa lezione faremmo in un modo un po diverso da quanto abbiamo fatto nelle lezioni precedenti: lasceremmo i testi in latino nel corpo della lezione, e metteremo le traduzioni allitaliano nelle note. 1. Nozione devidenza: ci che per se notum Possiamo cominciare dallanalisi delle parole utilizzate da San Tommaso. Notum significa conosciuto o noto. Il per se sembra aggiungere che certe cose si fanno conoscere, si manifestano, si rendono palese, si fanno vedere, da s stesse. Afferma San Tommaso: Est autem quoddam verum, quod est per se notum, sicut prima principia indemonstrabilia2. Nel seguente testo San Tommaso utilizza altre espressioni come manifestum o notum propter se che sembrano confermare quanto detto nel paragrafo precedente:
Et dicit quod ridiculum est quod aliquis tentet demonstrare quod natura sit, cum manifestum sit secundum sensum quod multa sunt a natura, quae habent principium sui motus in se. Velle autem demonstrare manifestum per non manifestum, est hominis qui non potest iudicare quid est notum propter se, et quid non est notum propter se: quia dum vult demonstrare id quod est notum propter se,

1 2

Cfr. Dizionario De Mauro, Paravia Bruno Mondadori Editori, 2000.

San TOMMASO DAQUINO, In Perihermeneias, lect. 14, n. 199: Ora c un vero che noto di per s: tali sono i primi principi indimostrabili.

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utitur eo quasi non propter se noto. [...]. Et e converso accidit his qui volunt demonstrare naturam esse: quia utuntur notis ut non notis. Naturam autem esse, est per se notum, inquantum naturalia sunt manifesta sensui. Sed quid sit uniuscuiusque rei natura, vel quod principium motus, hoc non est 3 manifestum .

Evidente sarebbe, quindi, ci che si fa conoscere da s stesso. Facciamo notare che nel testo citato San Tommaso collega levidenza con lesperienza sensibile: alcune cose sono per se notum in quanto si manifestano ai sensi. Comunque, ed facile vederlo nei testi che citeremo, levidenza non si si riduce a questo manifestarsi ai sensi, anche se si trova in stretto collegamento con esso. Nel seguente testo San Tommaso afferma che qualcosa pu essere per se notum per due motivi: o perch abbiamo dessa una conoscenza immediata - senza la mediazione di nessun altro -; o perch non la possiamo conoscere indirettamente (per accidens):
Potest enim aliquid dici per se notum dupliciter, vel quia per nihil aliud in eius notitiam devenitur, sicut dicuntur prima principia per se nota; vel quia non sunt cognoscibilia per accidens, sicut color est per 4 se visibilis, substantia autem per accidens .

La radice di questa evidenza, o manifestazione, o conoscibilit, della cosa si trova nella sua attualit. Quindi, quanto pi attualit avr una cosa, tanto pi sar evidente secondo la propria natura. Nel seguente testo San Tommaso spiega perch alcune cose sono pi evidenti (notiora) di altre:
Notandum autem est quod idem dicit nota esse naturae et nota simpliciter. Simpliciter autem notiora sunt, quae secundum se sunt notiora. Sunt autem secundum se notiora, quae plus habent de entitate: quia unumquodque cognoscibile est inquantum est ens. Magis autem entia sunt, quae sunt magis in 5 actu: unde ista maxime sunt cognoscibilia naturae .

Le cose pi evidenti sono due: lente e il principio di non contradizzione, perch fondato sulla prima apprensione dellente:
In his autem quae in apprehensione omnium cadunt, quidam ordo invenitur. Nam illud quod primo cadit in apprehensione, est ens, cuius intellectus includitur in omnibus quaecumque quis apprehendit. Et ideo primum principium indemonstrabile est quod non est simul affirmare et negare, quod fundatur supra rationem entis et non entis, et super hoc principio omnia alia fundantur, ut dicitur in IV metaphys.. Sicut autem ens est primum quod cadit in apprehensione simpliciter, ita bonum est primum 6 quod cadit in apprehensione practicae rationis [] .

San TOMMASO DAQUINO, In II Physica, lect. 1, n. 148: E afferma che sarebbe ridicolo tentar di darne una dimostrazione. infatti evidente alla sensazione che molte cose esistono dalla natura, che cio hanno il principio del movimento in se stesse. Ora cercare di dimostrare cose evidenti servendosi di cose che evidenti non sono proprio di una persona che non pu distinguere tra ci che conoscibile per s e ci che invece non lo : infatti, mentre cerca di dimostrare ci che evidente in se stesso, si serve di ci che evidente per s non . [] E la cosa opposta accade a coloro che vogliono dimostrare che la natura esiste, perch fanno uso di cose evidenti come se non fossero evidenti. Infatti, che esista la natura cosa evidente in se stessa, in quanto le cose naturali sono evidenti ai sensi. Ma che cosa sia la natura di ogni singola cosa, o quale sia il principio del movimento, questo non affatto evidente.
4

San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I, q. 87, a. 1, ad 1: Una cosa infatti pu dirsi conosciuta per se stessa per due motivi: o perch si arriva alla sua conoscenza senza intermediari, come avviene per i primi princpi per s noti, oppure perch non conoscibile per via indiretta [per accidens]: come il colore visibile direttamente, mentre la sostanza visibile per via indiretta [per accidens].
5

San TOMMASO DAQUINO, In I Physica, lect. 1, n.7Per va notato che ci che manifesto secondo natura e ci che semplicemente manifesto sono la stessa cosa. Infatti sono semplicemente pi manifeste quelle cose che sono is se stesse pi manifeste. Ora, sono in se stesse pi manifeste quelle cose che sono maggiormente dotate di essere, poich ogni cosa conoscibile in quanto un ente. Ora, sono maggiormente enti quelle cose che sono maggiormente in atto; per cui queste sono anche le cose che sono massimamente conoscibili per natura.
6

San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I-II, q. 94, a. 2, co: tra le cose universalmente conosciute vi un certo ordine. Infatti la prima cosa che si presenta alla conoscenza l'ente, la cui nozione inclusa in tutto ci che viene appreso. Perci il primo principio indimostrabile che l'affermazione e la negazione sono incompatibili: poich esso si fonda sulla nozione di ente e di non ente. E su questo principio si fondano tutti gli altri, come nota Aristotele [Met. 4, 3]. Ora, come l'ente la cosa assolutamente prima nella conoscenza, cos il bene la prima nella conoscenza della ragione pratica [].

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San Tommaso utilizza lo stesso principio, che noi formuliamo dicendo che una cosa conoscibile in quanto in atto, e quindi a pi attualit corrisponder pi evidenza, per mostrare in quale modo alcune cose siano evidenti, come la materia, il movimento e il tempo:
Et quod quantum ad aliquas res difficultas contingat in cognoscendo veritatem ipsarum rerum ex parte earum, patet. Cum enim unumquodque sit cognoscibile inquantum est ens actu, ut infra in Nono huius dicetur, illa quae habent esse deficiens et imperfectum, sunt secundum seipsa parum cognoscibilia, ut materia, motus et tempus propter esse eorum imperfectionem, ut Boetius dicit in libro 7 De duabus naturis .

San Tommaso si riferisce spesso, come esempio di cose per se notum, ai primi principi. Quindi, i primi principi sono evidenti per San Tommaso. Nel commento al IV libro della Metafisica di Aristotele, quando si studia quali sia il primo tra questi principi, il quale deve essere il pi saldo e certo, se segnalano tre condizioni che costui deve avere, che poi saranno applicate al principio di non contraddizione. Queste condizioni ci servono per caratterizzare le cose evidenti, al meno quelle pi evidenti. Le tre condizioni sono: Manifestum est ergo quod certissimum principium sive firmissimum, tale debet esse, ut circa id non possit errari, et quod non sit suppositum et quod adveniat naturaliter8. Citiamo, in estenso, il testo di San Tommaso:
Ponit ergo primo, tres conditiones firmissimi principii. Prima est, quod circa hoc non possit aliquis mentiri, sive errare. Et hoc patet, quia cum homines non decipiuntur nisi circa ea quae ignorant: ideo circa quod non potest aliquis decipi, oportet esse notissimum. Secunda conditio est ut sit non conditionale, idest non propter suppositionem habitum, sicut illa, quae ex quodam condicto ponuntur. Unde alia translatio habet. Et non subiiciantur, idest non subiiciantur ea, quae sunt certissima principia. Et hoc ideo, quia illud, quod necessarium est habere intelligentem quaecumque entium hoc non est conditionale, idest non est suppositum, sed oportet per se esse notum. Et hoc ideo, quia ex quo ipsum est necessarium ad intelligendum quodcumque, oportet quod quilibet qui alia est cognoscens, ipsum cognoscat. Tertia conditio est, ut non acquiratur per demonstrationem, vel alio simili modo; sed adveniat quasi per naturam habenti ipsum, quasi ut naturaliter cognoscatur, et non per acquisitionem. Ex ipso enim lumine naturali intellectus agentis prima principia fiunt cognita, nec acquiruntur per ratiocinationes, sed solum per hoc quod eorum termini innotescunt. Quod quidem fit per hoc, quod a sensibilibus accipitur memoria et a memoria experimentorum et ab experimento illorum terminorum cognitio, quibus cognitis cognoscuntur huiusmodi propositiones communes, quae 9 sunt artium et scientiarum principia .

Alcune di queste condizioni compaiono in altri testi. Per esempio: naturaliter nobis cognita sunt non solum universalia principia speculativa, sed etiam practica10; nullus potest cogitare
7

San TOMMASO DAQUINO, In II Metaphysica, lect. 1, n. 280: Quanto al fatto che per certe cose si verifichi la difficolt nel conoscere la verit delle cose stesse da parte di esse, questo evidente. Infatti, poich ogni essere conoscibile in quanto un ente in atto, come diremo pi avanti nel Nono libro, di questopera, quelli che hanno un essere fragile e imperfetto sono di per s poco conoscibili, come la materia, il moto e il tempo; ci a causa del loro essere imperfetto; quanto scrive Boezio nellopera Le due nature.

8 San TOMMASO DAQUINO, In IV Metaphysica, lect. 6, nn. 599: dunque evidente che il principio pi certo o pi sicuro devessere tal da non potersi commettere errore su di esso: che non sia una ipotesi e che giunga per via naturale. 9 Ivi, nn. 597-599: Espone quindi, innanzitutto, le prime tre condizioni del principio pi sicuro. La prima che su di esso nessuno possa mentire o cadere in errore. Il che chiaro perch, dal momento che gli uomini non si ingannano se non sulle cose che ignoranno, ne consegue che ci in merito a cui nessuno pu sbagliarsi devessere la cosa pi nota. La seconda condizione che non sia sotto condizione, cio non abbia una formulazione di unipotesi, come per quelle cose che si porgono per una supposizione. Per questo, unaltra redazione reca: E non siano soggetti, ossia non siano assoggettati quelle che sono i principi pi sicuri. Questo perch quel principio che deve possedere chi conosce qualsiasi essere non sottoposto a condizione, cio non unipostesi, ma deve essere noto di per s. Il motivo che, essendo esso necessario alla conoscenza di qualsiasi cosa, bisogna che lo conosca chiunque conosca le altre cose. La terza condizione che non venga acquisito tramite una dimostrazione o in qualche altro modo simile; arrivi in un modo naturale a chi lo possiede: come se sia conosciuto naturalmente, e non per acquisizione. Infatti, i primi principi diventano conosciuti dal lume dellintelletto agente, n si acquisiscono con delle argomentazioni, ma soltanto per il fatto che diventano noti i loro termini. Ci si verifica in quanto dai sensibili si trae la memoria, dalla memoria lesperienza, e dallesperienza la conoscenza dei loro termini: conosciuti questi, si conoscono tali proposizioni comuni che costituiscono i principi delle arti e delle scienze. 10

San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, II-II, q. 49, a. 2, ad 1: poich per natura ci sono noti non solo i primi princpi universali di ordine speculativo, ma anche quelli pratici.

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oppositum eius quod est per se notum ut patet per Philosophum, in IV Metaphys. et I Poster., circa prima demonstrationis principia11. 2. Divisione dellevidenza: secundum se - quoad nos Fino a qui abbiamo cercato di riferirci allevidenza considerata in se stessa, come manifestazione dellattualit della cosa, che la rende pi o meno conoscibile. Allora, fa notare San Tommaso, quando si parla della conoscenza di una cosa, la si pu considerare doppiamente: dal punto di vista della cosa, o dal punto di vista di chi conosce. Cos lo troviamo nel seguente testo:
Respondeo, quod de cognitione alicujus rei potest aliquis dupliciter loqui: aut secundum ipsam rem, aut quo ad nos. Loquendo igitur de Deo secundum seipsum, esse est per se notum, et ipse est per se intellectus [...]. Loquendo autem de Deo per comparationem ad nos, sic iterum dupliciter potest considerari. Aut secundum suam similitudinem et participationem; et hoc modo ipsum esse, est per se notum; nihil enim cognoscitur nisi per veritatem suam, quae est a Deo exemplata; veritatem autem esse, est per se notum. Aut secundum suppositum, idest considerando ipsum Deum, secundum quod est in natura sua quid incorporeum; et hoc modo non est per se notum; immo multi inveniuntur negasse deum esse, sicut omnes Philosophi qui non posuerunt causam agentem, ut Democritus et quidam alii. Et hujus ratio est, quia ea quae per se nobis nota sunt, efficiuntur nota statim per sensum; sicut visis toto et parte, statim cognoscimus quod omne totum est majus sua parte sine aliqua 12 inquisitione .

Da questo si segue che si distingua levidenza della cosa in se stessa considerata, da quanto possa essere evidente per noi. San Tommaso si riferisce con frequenza a questa distinzione. Forse uno dei testi pi conosciuti e quello che troviamo allinizio della Summa, quando San Tommaso si domanda se lesistenza di Dio sia evidente: contingit aliquid esse per se notum dupliciter, uno modo, secundum se et non quoad nos; alio modo, secundum se et quoad nos, e spiega il perch di questa distinzione:
Ex hoc enim aliqua propositio est per se nota, quod praedicatum includitur in ratione subiecti, ut homo est animal, nam animal est de ratione hominis. Si igitur notum sit omnibus de praedicato et de subiecto quid sit, propositio illa erit omnibus per se nota, sicut patet in primis demonstrationum principiis, quorum termini sunt quaedam communia quae nullus ignorat, ut ens et non ens, totum et pars, et similia. Si autem apud aliquos notum non sit de praedicato et subiecto quid sit, propositio quidem quantum in se est, erit per se nota, non tamen apud illos qui praedicatum et subiectum propositionis ignorant. Et ideo contingit, ut dicit Boetius in libro De hebdomadibus, quod quaedam sunt communes animi conceptiones et per se notae, apud sapientes tantum, ut incorporalia in loco non 13 esse .

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Ivi, I, q. 2, a. 1 sc: Nessuno pu pensare l'opposto di ci che di per s evidente, come spiega Aristotele [Met. 4, 3; Anal. post. 1, 10] riguardo ai primi princpi della dimostrazione..
12

San TOMMASO DAQUINO, In I Sententiarum, d. 3, q. 1, a.2, sol: Dalla conoscenza di una cosa si pu parlare in due modi: o secondo la cosa stessa, o in rapporto a noi. Parlando dunque di Dio secondo se stesso, lessere immediatamente evidente, ed egli intesso per s stesso []. Parlando invece di Dio in rapporto a noi, cos ancora lo si pu considerare in due modi. O secondo la sua somiglianza e partecipazione; e in questo caso che egli esiste immediatamente evidente: infatti nulla conosciuto se non mediante la sua verit, che modellata da Dio; ora che la verit esiste immediatamente evidente. Oppure secondo il supposto, cio considerando Dio stesso, secondo che nella sua natura qualcosa di incorporeo; e in questo modo non immediatamente evidente; anzi, si trovano molti che negarono lesistenza di Dio, come tutti i filosofi che non posero la causa agente, come Democrito e alcuni altri. E il motivo di ci che le cose che sono per noi immediatamente evidenti vengono rese note immediatamente dai sensi: come visti il tutto e la parte conosciamo immediatamente, senza alcuna ricerca, che ogni tutto maggiore della sua parte.
13

San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I, q. 2, a. 1 co: Una cosa pu essere di per s evidente in due modi: primo, in se stessa, ma non per noi; secondo, in se stessa e anche per noi. Infatti una proposizione di per s evidente se il predicato incluso nella nozione del soggetto, come per esempio: l'uomo un animale, poich animale fa parte della nozione stessa di uomo. Se dunque a tutti nota la natura del predicato e del soggetto, la proposizione risultante sar per tutti evidente, come avviene nei primi princpi delle dimostrazioni, i cui termini sono nozioni comuni che nessuno pu ignorare, come ente e non ente, il tutto e la parte, ecc. Se per a qualcuno rimane sconosciuta la natura del predicato e del soggetto, la proposizione sar evidente in se stessa, ma non per quanti

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Nel testo precedente San Tommaso argomenta a partire dellevidenza della proposizione. Comunque, questa evidenza si fondamenta sullapprensione di certi termini (ente, non ente, tutto, parte) che nessuno pu ignorare. Troviamo questa distinzione pure, per esempio, nella Contra Gentiles, nella quale San Tommaso si riferisce ad unevidenza simpliciter e unevidenza quoad nos:
Praedicta autem opinio provenit. [...] Partim vero contingit ex eo quod non distinguitur quod est notum per se simpliciter, et quod est quoad nos per se notum. Nam simpliciter quidem Deum esse per se notum est: cum hoc ipsum quod deus est, sit suum esse. Sed quia hoc ipsum quod Deus est mente concipere non possumus, remanet ignotum quoad nos. Sicut omne totum sua parte maius esse, per 14 se notum est simpliciter: ei autem qui rationem totius mente non conciperet, oporteret esse ignotum .

Ancora un altro testo nel quale si spiega questa distinzione dellevidenza:


Est enim dupliciter aliquid per se notum; scilicet secundum se, et quoad nos. Deum igitur esse, secundum se est per se notum; non autem quoad nos; et ideo nobis necessarium est, ad hoc cognoscendum, demonstrationes habere ex effectibus sumptas. Et hoc quidem sic apparet. Ad hoc enim quod aliquid sit per se notum secundum se, nihil aliud requiritur nisi ut praedicatum sit de ratione subiecti; tunc enim subiectum cogitari non potest sine hoc quod praedicatum ei inesse appareat. Ad hoc autem quod sit per se notum nobis, oportet quod nobis sit cognita ratio subiecti in qua includitur praedicatum. Et inde est quod quaedam per se nota sunt omnibus; quando scilicet propositiones huiusmodi habent talia subiecta quorum ratio omnibus nota est, ut, omne totum maius est sua parte; quilibet enim scit quid est totum et quid est pars. Quaedam vero sunt per se nota sapientibus tantum, qui rationes terminorum cognoscunt, vulgo eas ignorante. Et secundum hoc Boetius in Lib. De hebdomadibus dicit, quod duplex est modus communium conceptionum. Una est communis omnibus, ut, si ab aequalibus aequalia demas, etc.. Alia quae est doctiorum tantum, ut puta incorporalia in loco non esse, quae non vulgus, sed docti comprobant; quia scilicet vulgi consideratio imaginationem 15 transcendere non potest, ut ad rationem rei incorporalis pertingat .

Il fatto che una cosa evidente in se stessa non lo sia per noi non si deve a qualche imperfezione della cosa, ma allimperfezione della nostra conoscenza. Il caso pi chiaro quello dellesistenza di Dio: massimamente evidente in se stesso per quanto si detto prima (per la sua assoluta attualit, giacch in Lui sidentificano essenza ed essere) ma non evidente per noi. Citiamo ancora la Contra Gentiles:
Et sic fit ut ad ea quae sunt notissima rerum, noster intellectus se habeat ut oculus noctuae ad solem, ut II Metaphys. dicitur. [...] Nec etiam oportet, ut secunda ratio proponebat, Deo posse aliquid maius cogitari si potest cogitari non esse. Nam quod possit cogitari non esse, non ex imperfectione sui esse est vel incertitudine, cum suum esse sit secundum se manifestissimum: sed ex debilitate nostri

ignorano il predicato e il soggetto della proposizione. E cos accade, come nota Boezio [De Hebdom., proem.], che alcuni concetti sono comuni ed evidenti solo per i dotti: questo p. es.: Le realt immateriali non sono circoscritte in un luogo.
14

San TOMMASO DAQUINO, Summa contra gentiles I, c. 11: E in parte lopinione suddetta deriva dal non distinguere il per s noto in senso assoluto, dal per s noto rispetto a noi. Infatti in senso assoluto lesistenza di Dio per s nota, poich lessenza di Dio coincide con la sua esistenza. Ma proprio perch noi non possiamo concepire intellettualmente lessenza di Dio, ci rimane ignoto rispetto a noi. Che il tutto, p. es., sia maggiore della sua parte per s noto in senso assoluto, ma per uno che non avesse il concetto di tutto, tale principio rimarrebbe ignoto.
15

San TOMMASO DAQUINO, De Veritate, q. 10, a. 12 co: Una cosa infatti di per s evidente in un duplice modo, cio in se stessa e riguardo a noi. Dunque, lesistenza di Dio di per s evidente in se stessa, non per riguardo a noi: e quindi, per conoscerla, ci necessario avere delle dimostrazioni desunte dagli effetti. E ci appare in questo modo: perch una cosa sia di per s evidente in se stessa non si richiede altro se non che il predicato rientri nella nozione del soggetto: allora infatti il soggetto non pu essere pensato senza che appaia che il predicato gli inerente; perch invece [la cosa] sia di per s evidente per noi necessario che ci sia nota la nozione del soggetto nel quale incluso il predicato. E da ci deriva che alcune cose sono di per s evidenti per tutti, quando cio siffatte proposizioni hanno dei soggetti tali che la loro nozione nota a tutti, come [per esempio la proposizione] che ogni tutto maggiore di una sua parte: chiunque infatti sa che cos il tutto, e che cosa una parte; alcune cose invece sono di per s evidenti soltanto per i dotti, che conoscono le nozioni dei termini, mentre le persone comuni le ignorano. E in base a ci Boezio afferma che vi sono due tipi di nozioni comuni: uno comune a tutti, come: se togli quantit uguali a quantit uguali ecc., laltro appartiene soltanto ai pi dotti, come per esempio che le realt incorporee non sono [circoscritte] in un luogo, il che compreso soltanto dai dotti, non dalla gente comune, dato che la considerazione della gente comune non pu trascendere limmaginazione in modo da giungere alla nozione di realt incorporea.

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intellectus, qui eum intueri non potest per seipsum, sed ex effectibus eius, et sic ad cognoscendum 16 ipsum esse ratiocinando perducitur .

Un testo dalla Summa theologiae:


Ad primum ergo dicendum quod nihil prohibet id quod est certius secundum naturam, esse quoad nos minus certum, propter debilitatem intellectus nostri, qui se habet ad manifestissima naturae, sicut oculus noctuae ad lumen solis, sicut dicitur in II Metaphysica. Unde dubitatio quae accidit in aliquibus circa articulos fidei, non est propter incertitudinem rei, sed propter debilitatem intellectus humani. Et tamen minimum quod potest haberi de cognitione rerum altissimarum, desiderabilius est quam 17 certissima cognitio quae habetur de minimis rebus, ut dicitur in XI De animalibus .

Le cose che sono pi evidenti in se stesse non lo sono sempre per noi. Da questo si segue che lordine della nostra conoscenza deva cominciare da ci che pi evidente - pi vicino - a noi, anche se non pi evidente in se stesso: passiamo da ci che pi evidente per noi a ci che pi evidente secondo la propria natura. Cos lo afferma San Tommaso commentando Aristotele, in un testo che abbiamo gi citato:
Ad manifestationem autem primae propositionis, inducit quod non sunt eadem magis nota nobis et secundum naturam; sed illa quae sunt magis nota secundum naturam, sunt minus nota secundum nos. Et quia iste est naturalis modus sive ordo addiscendi, ut veniatur a nobis notis ad ignota nobis; 18 inde est quod oportet nos devenire ex notioribus nobis ad notiora naturae .

Ed per questo che noi arriviamo allesistenza di Dio partendo dai suoi effetti, che sono per noi pi evidenti:
Respondeo dicendum quod duplex est demonstratio. Una quae est per causam, et dicitur propter quid, et haec est per priora simpliciter. Alia est per effectum, et dicitur demonstratio quia, et haec est per ea quae sunt priora quoad nos, cum enim effectus aliquis nobis est manifestior quam sua causa, per effectum procedimus ad cognitionem causae. Ex quolibet autem effectu potest demonstrari propriam causam eius esse (si tamen eius effectus sint magis noti quoad nos), quia, cum effectus dependeant a causa, posito effectu necesse est causam praeexistere. Unde Deum esse, secundum 19 quod non est per se notum quoad nos, demonstrabile est per effectus nobis notos .

Da questo si segue che la conoscenza in certo senso sia difficile, come lafferma anche San Tommaso nel commento alla Metafisica:
Ubi similiter considerandum est, quod in omnibus, quae consistunt in quadam habitudine unius ad alterum, potest impedimentum dupliciter vel ex uno vel ex alio accidere: sicut si lignum non
16

San TOMMASO DAQUINO, Summa contra gentiles I, c. 11: Avviene cos che il nostro intelletto rispetto ai principi pi noti delle cose si trovi nella condizione del pipistrello rispetto al sole, come si esprime Aristotele. [] E neppure segue, come pretendeva il secondo argomento che, ammettendo la possibilit di pensare Dio come non esistente, si possa pensare qualche cosa come superiore a Dio. Infatti la possibilit di pensarlo come non esistente non deriva dallimperfezione, o dalla mancata certezza della sua esistenza, che in s evidentissima; bens dalla debolezza del nostro intelletto, che incapace di conoscere Dio in se stesso, ma deve farlo attraverso i suoi effetti, e giungere cos a conoscerne lesistenza mediante il ragionamento.
17

San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I, q. 1, a. 5 ad 1: Nulla impedisce che quanto di sua natura pi certo sia meno certo relativamente a noi, a motivo della debolezza della nostra mente la quale, al dire di Aristotele [Met. 2, 1], "dinanzi alle cose pi evidenti della natura come l'occhio della civetta davanti al sole". Quindi il dubitare di alcuni circa gli articoli di fede non deriva dall'incertezza della cosa in se stessa, ma dalla debolezza del nostro intelletto. Eppure, nonostante ci, una conoscenza minima che si possa avere delle realt pi alte molto pi desiderabile di una conoscenza certissima di quelle inferiori, come afferma il Filosofo [De part. animal. 1, 5].
18

San TOMMASO DAQUINO, In I Physica, lect. 1, n.7: Per chiarire la prima proposizione, Aristotele fa vedere che non sono le stesse le cose che sono pi conoscibili per noi e quelle che lo sono in senso assoluto, ma quelle che sono pi manifeste secondo natura lo sono di meno rispetto a noi. E poich il nostro modo o ordine naturale di apprendere quello di procedere dalle cose che ci sono manifeste a quelle meno note, necessario che noi giungiamo dalle cose che sono pi note a noi alle cose che sono pi note per natura.
19

San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I, q. 2, a. 2, co: i una duplice dimostrazione. L'una procede dalla [conoscenza della] causa, ed chiamata propter quid: e questa muove da ci che di per s ha una priorit ontologica. L'altra invece parte dagli effetti, ed chiamata dimostrazione quia: e questa muove da cose che hanno una priorit solo rispetto a noi; ogni volta infatti che un effetto ci pi noto della sua causa, ci serviamo di esso per conoscere la causa. Da qualunque effetto poi si pu dimostrare l'esistenza della sua causa (purch gli effetti siano a noi pi noti della causa): dipendendo infatti ogni effetto dalla sua causa, posto l'effetto necessario che preesista la causa. Quindi l'esistenza di Dio, non essendo evidente rispetto a noi, pu essere dimostrata per mezzo degli effetti da noi conosciuti.

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comburatur, hoc contingit vel quia ignis est debilis, vel quia lignum non est bene combustibile; et similiter oculus impeditur a visione alicuius visibilis, aut quia est debilis aut quia visibile est tenebrosum. Sic igitur potest contingere quod veritas sit difficilis ad cognoscendum, vel propter 20 defectum qui est in ipsis rebus, vel propter defectum qui est in intellectu nostro .

Comunque, e se stato gi accennato nei testi citati, ci sono certe cose evidenti per tutti:
Dicitur autem aliquid per se notum dupliciter, uno modo, secundum se; alio modo, quoad nos. Secundum se quidem quaelibet propositio dicitur per se nota, cuius praedicatum est de ratione subiecti, contingit tamen quod ignoranti definitionem subiecti, talis propositio non erit per se nota. Sicut ista propositio, homo est rationale, est per se nota secundum sui naturam, quia qui dicit hominem, dicit rationale, et tamen ignoranti quid sit homo, haec propositio non est per se nota. Et inde est quod, sicut dicit Boetius, in libro De hebdomad., quaedam sunt dignitates vel propositiones per se notae communiter omnibus, et huiusmodi sunt illae propositiones quarum termini sunt omnibus noti, ut, omne totum est maius sua parte, et, quae uni et eidem sunt aequalia, sibi invicem sunt aequalia. Quaedam vero propositiones sunt per se notae solis sapientibus, qui terminos propositionum intelligunt quid significent, sicut intelligenti quod Angelus non est corpus, per se notum est quod non 21 est circumscriptive in loco, quod non est manifestum rudibus, qui hoc non capiunt .

Queste proposizioni evidenti per tutti saranno come una porta aperta attraverso la quale tutti possono arrivare alla piena conoscenza della verit, anche riconoscendo che questo cammino possa essere in certo senso facile allinizio - vale a dire, riguardo alle cose pi evidenti - per poi diventare pi difficile - cio, rispetto alle cose meno evidenti:
... proverbialiter dicitur: in foribus, idest in ianuis domorum, quis delinquet? interiora enim domus difficile est scire, et circa ea facile est hominem decipi: sed sicut circa ipsum introitum domus qui omnibus patet et primo occurrit, nullus decipitur, ita etiam est in consideratione veritatis: nam ea, per quae intratur in cognitionem aliorum, nota sunt omnibus, et nullus circa ea decipitur: huiusmodi autem sunt prima principia naturaliter nota, ut non esse simul affirmare et negare, et quod omne totum est maius sua parte, et similia. Circa conclusiones vero, ad quas per huiusmodi, quasi per ianuam, intratur, contingit multoties errare. Sic igitur cognitio veritatis est facilis inquantum scilicet ad minus istud modicum, quod est principium, per se notum, per quod intratur ad veritatem, est omnibus per se 22 notum .

3. Evidenza e certezza Per finire, dobbiamo vedere quale rapporto esista tra evidenza e certezza. chiaro che levidenza fondamenta della certezza. A maggiore evidenza ci sar pi certezza. Ecco alcuni testi nei quali si fa riferimento a questo rapporto:

20

San TOMMASO DAQUINO, In II Metaphysica, lect. 1, n. 279: Qui va analogamente rilevato che, in tutti gli esseri che consistono in un rapporto di uno allaltro, lostacolo pu sorgere da due fattori, o da uno o dallaltro: ad esempio, se la legna non brucia, ci si verifica o perch il fuoco debole, oppure perch la legna non brucia bene; analogamente, locchio viene ostacolato dal vedere un oggetto visibile o perch debole, oppure perch ci che visibile avvolto dalloscurit. Perci, cos pu succedere che la verit sia difficile da conoscere: o per un ostacolo che si trovo nelle cose stesse, oppure per un difetto che c nella nostra intelligenza.
21

San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I-II, 94, 2, co: Ora, una cosa pu essere di per s evidente in due modi: primo, per se stessa; secondo, rispetto a noi. evidente per se stessa infatti qualsiasi proposizione in cui il predicato rientra nella nozione del soggetto: tuttavia per chi ignora la definizione del soggetto tale proposizione non di per s evidente. La proposizione, p. es.: l'uomo un essere razionale di per s evidente nella sua natura, poich chi dice uomo dice essere razionale; ma per chi ignora che cosa l'uomo tale proposizione non di per s evidente. Quindi, come nota Boezio [De hebdom.], alcune formule o proposizioni sono universalmente note a tutti; e sono quelle i cui termini sono conosciuti da tutti. P. es.: il tutto sempre maggiore di una sua parte; cose uguali a una terza sono uguali tra loro. Ci sono invece delle proposizioni che sono di per s evidenti per i soli sapienti, i quali ne comprendono i termini: per chi capisce, p. es., che un angelo non un corpo, di per s evidente che esso non si trova circoscritto in un luogo; ma ci non evidente per un indotto, il quale non lo comprende.
22

San TOMMASO DAQUINO, In II Metaphysica, lect. 1, n. 277: il proverbio recita: negli ingressi, ossia nella parte aperta delle case, chi si sbaglierebbe?. Infatti, difficile conoscere quanto si trova allinterno di una casa; e su ci facile che luomo si sbagli. Ma come sullingresso stesso della casa, che visibile da tutti ed la prima cosa che si incontra, nessuno singanna, cos si verifica pure nellanalisi della verit. Infatti, gli esseri tramite i quali si entra nella conoscenza di altri sono noti a tutti, e nessuno si sbaglia su di essi: sono tali i primi principi noti da natura, come ad esempio quello secondo cui non si pu contemporaneamente affermare e negare che una cosa esiste; e quello per il quale ogni tutto pi grande di una sua parte, e simili. Invece, nellambito delle conclusioni, nelle quali si entra tramite essi come attraverso una porta, lerrore si verifica con frequenza. Quindi, da questo punto di vista, la conoscenza della verit facile poich, almeno, questo poco che il principio noto di per s con cui si entra nella verit da tutti conosciuto di per s.

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Sicut enim scientia importat certitudinem cognitionis per demonstrationem acquisitam, ita intellectus importat certitudinem cognitionis absque demonstratione; non propter defectum demonstrationis, sed quia id de quo certitudo habetur, est indemonstrabile et per se notum. Et ideo ad hoc exponendum, subdit quod scientia demonstrativa nihil aliud est quam certa existimatio immediatae propositionis. Quod autem intellectus sit scientia indemonstrabilis patet ex hoc ipso quod dicit quod est principium scientiae. Cum enim scientia sit necessariorum, et necessaria non concludantur nisi ex necessariis, ut 23 supra probatum est, necesse est quod intellectus, qui est principium scientiae, non sit contingentium . Certissima autem cognitio alicuius esse non potest nisi vel illud sit per se notum, sicut nobis prima demonstrationis principia; vel in ea quae per se nota sunt resolvatur, qualiter nobis certissima est demonstrationis conclusio. Id autem quod de Deo nobis per fidem tenendum proponitur, non potest esse homini per se notum: cum facultatem humani intellectus excedat. Oportuit igitur hoc homini manifestari per eum cui sit per se notum. Et quamvis omnibus divinam essentiam videntibus sit quodammodo per se notum, tamen ad certissimam cognitionem habendam oportuit reductionem fieri in primum huius cognitionis principium, scilicet in Deum, cui est naturaliter per se notum, et a quo omnibus innotescit: sicut et certitudo scientiae non habetur nisi per resolutionem in prima principia 24 indemonstrabilia . Non enim posset esse aliqua firmitas vel certitudo in his quae sunt a principiis, nisi ipsa principia essent firmiter stabilita. Et inde est quod omnia mutabilia reducuntur ad aliquid primum immobile. Inde etiam est quod omnis speculativa cognitio derivatur ab aliqua certissima cognitione circa quam error esse non potest, quae est cognitio primorum principiorum universalium, ad quae omnia illa cognita 25 examinantur, et ex quibus omne verum approbatur, et omne falsum respuitur . Respondeo dicendum ad primam quaestionem, quod cum voluntas sequatur rationem, processus voluntatis proportionatur processui rationis. Ratio autem habet aliquod principium per se notum, ad quod resolvendo, reducit illud cujus cognitionem quaerit: et quando ad illud reducere potuerit, habet certitudinem de re, et sententiat quod ita est; sed antequam ad illud principium reducere possit, movetur aliquibus verisimilitudinibus: et si quidem rationibus illis detineatur tamquam certis, decipitur 26 et errat; si autem illis non detineatur, tunc habet opinionem unius partis cum formidine alterius .

La causa di questa fondazione della certezza da parte dellevidenza, che lintelletto deve assentire necessariamente, naturalmente, a ci che evidente:
Est autem quoddam verum, quod est per se notum, sicut prima principia indemonstrabilia, quibus ex necessitate intellectus assentit; sunt autem quaedam vera non per se nota, sed per alia. Horum autem duplex est conditio: quaedam enim ex necessitate consequuntur ex principiis, ita scilicet quod non possunt esse falsa, principiis existentibus veris, sicut sunt omnes conclusiones demonstrationum. Et huiusmodi veris ex necessitate assentit intellectus, postquam perceperit ordinem eorum ad principia, non autem prius. Quaedam autem sunt, quae non ex necessitate consequuntur ex principiis, ita scilicet quod possent esse falsa principiis existentibus veris; sicut sunt opinabilia, quibus non ex

23 24

San TOMMASO DAQUINO, In I Post Analyt., lect. 44, n. 3.

San TOMMASO DAQUINO, Summa contra gentiles , IV, c. 54: Ora, la conoscenza certissima di una cosa si pu avere, o perch questo oggetto per s noto, come lo sono per noi i primi principi della dimostrazione; oppure perch si rivolge negli oggetti per s noti, come certissima per noi la conclusione di un argomento apodittico. Ma quanto viene a noi proposto come oggetto di fede non pu essere per s noto a noi uomini, poich supera la facolt dellintelletto umano. Quindi bisognava che ci fosse manifestato alluomo mediante colui al quale per s noto. Ebbene, pur essendo ci per s noto in qualche modo a tutti coloro che vedono lessenza divina, tuttavia per averne una conoscenza certissima bisognava risalire al primo principio di tale conoscenza, e cio a Dio, al quale per s noto in forza della sua natura, e da cui viene manifestato a tutti: ossia come la certezza della scienza non si ha che mediante la risoluzione delle sue conclusioni nei primi principi indimostrabili.
25

San TOMMASO DAQUINO, De Veritate, q. 16, a. 2 co: Ed per questo che tutte le realt mutevoli si riducono a qualche realt prima immobile; ed pure per questo che ogni conoscenza speculativa deriva da una qualche conoscenza certissima intorno alla quale non vi pu essere errore, e precisamente dalla conoscenza dei primi principi universali, alla luce dei quali vengono esaminate tutte le altre realt conosciute e in base ai quali ogni cosa vera approvata e ogni cosa falsa respinta.
26

San TOMMASO DAQUINO, In III Sententiarum, d. 17, q. 1, a. 2, sol 1: Dato che la volont segue la ragione, il processo della volont proporzionato al processo della ragione. Ora, la ragione possiede un principio che noto di per s, risalendo al quale essa ricava ci di cui cerca la conoscenza; quando giunta a riceverlo, ha la certezza della cosa e formula il giudizio che cos. Prima per di potersi rifare a tale principio spinta da alcune verosimiglianze: se queste la avvincono come se fossero delle certezze, essa viene tratta in inganno e a volte sbaglia, se invece non rimane imprigionata da quelle parvenze di verit, allora ha lopinione di una parte con la paura dellaltra.

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necessitate assentit intellectus, quamvis ex aliquo motivo magis inclinetur in unam partem quam in 27 aliam . Actus autem proprius fidei, etsi sit in ordine ad voluntatem, ut dictum est, tamen est in intellectu sicut in subiecto, quia obiectum eius est verum, quod proprie pertinet ad intellectum. In actibus autem intellectus differentia est. Quidam enim sunt habitus intellectus, qui important omnimodam certitudinem ad completam visionem eius quod intelligitur, sicut patet de intellectu, qui est habitus primorum principiorum, quia, qui intelligit quod omne totum est maius sua parte, videt hoc, et est certus. Hoc etiam facit habitus scientiae, et sic talis habitus intellectus et scientia, faciunt certitudinem et visionem. Quaedam vero alia sunt, quae neutrum faciunt, scilicet dubitatio et opinio. Fides vero tenet medium inter ista, quia dictum est quod fides facit assensum in intellectu, quod potest esse dupliciter. Uno modo quia intellectus movetur ad assentiendum ex evidentia obiecti, quod est per se cognoscibile, sicut in habitu principiorum, vel cognitum per aliud quod est per se cognoscibile, sicut patet in scientia astronomiae. Alio modo assentit alicui non propter evidentiam obiecti a quo non movetur sufficienter; unde non est certus, sed vel dubitat, scilicet quando non plus habet rationem ad unam partem, quam ad aliam, vel opinatur, si habet quidem rationem ad unam partem, non omnino quietantem ipsum, sed cum formidine ad oppositum. Fides autem neutrum horum dicit simpliciter, quia nec cum primis est sibi evidens, nec cum duobus ultimis dubitat, sed determinatur ad alteram partem, 28 cum quadam certitudine et firma adhaesione per quamdam electionem voluntariam .

Sembra che possiamo dire, per concludere, che la evidenza della cosa, quando presente, si impone allintelletto in modo tale di produrre lassenso, certo e forte, dal quale si segue la adeguazione propria della conoscenza che la verit dellintelletto umano.

27

San TOMMASO DAQUINO, In Perihermeneias, lect. 14, n. 199: Ora, c un vero che noto di per s: tali sono i primi principi indimostrabili, cui lintelletto assente necessariamente; ci sono poi dei veri noti non di per s, bens in forza di altri. Questi [ultimi] possono essere in due modi: alcuni infatti seguono necessariamente dai principi, al punto cio che non possono essere falsi, se i principi sono veri: tali sono tutte le conclusioni delle dimostrazioni. E a questi veri lintelletto assente necessariamente, dopo che ha colto lordine di essi ai principi, ma non prima. Altri veri invece sono tali da non seguire necessariamente dai principi, nel senso cio che potrebbero essere falsi pur essendo veri i principi; tali sono le cose opinabili, alle quali lintelletto non assente necessariamente, anche se per un qualche motivo viene a essere pi incline a una parte che allaltra.
28

San TOMMASO DAQUINO, Super ad Hebreos, c. 11, lect. 1, n. 558: Ora, latto di fede, bench dica ordine alla volont, come stato detto, tuttavia risiede nellintelletto quale suo soggetto, poich il suo oggetto il vero, che propriamente appartiene allintelletto. Ma negli atti dellintelletto c differenza. Infatti ci sono alcuni atti dellintelletto che comportano una assoluta certezza riguardo alla completa visione di ci che conosciuto, come risulta nellintelletto che labito dei primi principi, pioch chi conosce che il tutto pi grande di una parte vede ci e ne certo. Questo lo fa anche labito della scienza, e cos questi due abiti dellintelletto e della scienza danno la certezza e la visione. Mentre ci sono altri abiti che non danno n la certezza n la visione, e cio il dubbio e lopinione. Ora, la fede occupa una via mediana tra questi (abiti), poich stato detto che la fede opera lassenso nellintelletto: il che pu accadere in due modi. Secondo un modo, lintelletto mosso allassenso dallevidenza delloggetto, che conoscibile per se stesso come nellabito dei primi principi, oppure in quanto conosciuto mediante unaltra cosa che conoscibile per se stessa, come accade nella scienza dellastronomia. Secondo un altro modo, d lassenso a qualche cosa non per levidenza delloggetto da cui sia mosso sufficientemente, per cui non certo, ma o dubita, come quando non ha pi ragione da un parte, ma, non acquietandosi interamente, ha il timore del contrario. In senso assoluto la fede non dice nessuno di questi abiti, infatti non condivide con i primi la chiara evidenza, n con gli ultimi il dubbio; ma determinata verso una parte, con una qualche certezza e una ferma adesione grazie a una scelta volontaria.

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X. LERRORE
Schema 1. Nozione 2. Soggetto 3. Cause

Prima di finire questa prima parte del nostro corso di gnoseologia dobbiamo affrontare uno scoglio che sembra possa scuotere le fondamenta delledificio che vogliamo costruire, e questo lerrore. Cos com evidente lesistenza della verit, sembra essere evidente lesistenza dellerrore. Chi di noi pu negare che abbia sbagliato almeno alcuna volta nella sua vita? Chi non ha avuto delle certezze false? Non possiamo, quindi, andare avanti ovviando questo problema. Come lo abbiamo fatto nelle lezioni precedenti, il nostro intento sar quello di conoscere, o meglio ancora di presentare sommariamente, il pensiero di San Tommaso dAquino riguardo a questo tema. Tre sono i punti di riferimenti principali che prenderemo in considerazione: due testi della prima pars della Somma theologiae (lintera questione 17 - La falsit - e larticolo 6 della questione 85 Se lintelletto possa ingannarsi -), e uno della Questione disputata De Veritate (questione 1, articolo 12: Se vi sia falsit nellintelletto). Studieremo tre punti: la nozione derrore o falsit, il suo soggeto, e le sue cause. 1. Nozione Cominciamo, quindi, domandandoci che cosa lerrore o falsit? Afferma San Tommaso che che verum e falsum si oppongono1, e che si oppongono come contrari e non come si possono oppore la affermazione e la negazione2. Verit, come abbiamo gi studiato, dice adeguazione. N la negazione, n la privazione dicono o determinano qualcosa:
Per convincersene si osservi che la negazione non comporta cosa alcuna, n viene a determinare un dato soggetto; e per questo motivo essa pu venire attribuita sia all'ente che al non ente, come p. es. il non vedere e il non essere seduto. E neppure la privazione comporta qualcosa, ma determina un soggetto: poich essa, al dire di Aristotele [Met. 4, 2], una negazione in un soggetto: cieco, p. es., 3 non si dice se non di chi nato per vedere .

Perci n la negazione nella privazione sono contrari alla verit. Invece s il falso, perch falsum aliquid ponit, afferma San Tommaso. Cos precisa San Tommaso la sua nozione di falso:
Ora, il falso comporta qualcosa. La falsit infatti esiste, al dire di Aristotele [Met. 4, 7], perch una data cosa viene detta o creduta essere ci che non , o non essere ci che . E in realt, come il vero
1 2 3

Cfr. San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I, q. 17, a. 1, co. Cfr. Ivi, a. 4, co.

Ibidem: Ad cuius evidentiam, sciendum est quod negatio neque ponit aliquid, neque determinat sibi aliquod subiectum. Et propter hoc, potest dici tam de ente quam de non ente; sicut non videns, et non sedens. Privatio autem non ponit aliquid, sed determinat sibi subiectum. Est enim negatio in subiecto, ut dicitur IV Metaphys., caecum enim non dicitur nisi de eo quod est natum videre.

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comporta un concetto adeguato alla cosa, cos il falso comporta un concetto non adeguato alla cosa 4 stessa .

Lerrore o falsit non , quindi, la semplice negazione o privazione di verit, ma laffermare dire - che qualcosa che in realt non , ovvero dire che non ci che in realt s . Perci, nel commento alla Metafisica, San Tommaso afferma: il falso si riferisce al non essere5. Il seguente testo pu aiutare a vedere meglio questa concezione del falsum:
... il vero si da quando si dice essere ci che , e non essere ci che non ; il falso invece sar, per 6 eccesso, dire essere ci che non ; o per difetto, quando si dice non essere ci che .

2. Soggetto Ci domandiamo adesso, quale sia il soggetto dellerrore. In altre parole, dove o quando ci pu essere lerrore? C falsit nelle cose? E nei sensi? E nellintelletto? Ci pu essere errore rispetto ai primi principi? Largomentazione di San Tommaso poggia su due principi. Il primo che siccome il vero e il falso si oppongono, si trover propriamente il falso li dove si trova propriamente la verit:
Siccome il vero e il falso sono opposti tra loro, e d'altra parte gli opposti riguardano sempre un medesimo soggetto, necessario anzitutto ricercare la falsit dove si trova formalmente la verit, cio 7 nell'intelletto .

Il secondo principio che una potenza non sbaglia riguardo a ci che costituisce il suo oggetto proprio. Per esempio:
Infatti ciascuna potenza ordinata al proprio oggetto per se stessa e quindi, come tale, ha sempre un identico modo di comportarsi. Quindi una potenza, finch perdura, non pu fallire il suo giudizio 8 intorno al proprio oggetto . Come quindi le realt naturali non possono perdere l'essere che hanno in forza della loro forma, ma possono perdere certe qualit accidentali o complementari - p. es. luomo potr non avere pi i due piedi, ma non cessare di essere uomo -, cos la potenza conoscitiva non potr mai venir meno nella conoscenza relativamente alloggetto dalla cui immagine informata, ma lo potr rispetto a quei dati 9 che lo accompagnano o gli si aggiungono .

Da questi due principi possiamo gi anticipare due conclusioni: lerrore o falsit si trover per prius nel giudizio; se ci sar qualche errore in una cosa o potenza rispetto al suo oggetto proprio, questo si dar non per se, ma per accidens.

4 Ibidem: Est enim falsum, ut dicit philosophus, IV Metaphys., ex eo quod dicitur vel videtur aliquid esse quod non est, vel non esse quod est. Sicut enim verum ponit acceptionem adaequatam rei, ita falsum [ponit] acceptionem rei non adaequatam. 5 6

San TOMMASO DAQUINO, In V Metaphysica, lect. 22, n. 1136: falsum pertinet ad non ens.

San TOMMASO DAQUINO, Questiones disputatae De Virtutibus, q. 1, a. 13, co: verum est cum dicitur esse quod est, et non esse quod non est; falsum autem secundum excessum erit, ut dicitur esse quod non est; secundum defectum vero, cum dicitur non esse quod est.
7

San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I, q. 17, a. 1, co: Respondeo dicendum quod, cum verum et falsum opponantur; opposita autem sunt circa idem; necesse est ut ibi prius quaeratur falsitas, ubi primo veritas invenitur, hoc est in intellectu.
8

San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I, q. 85, a. 6, co: Quia ad proprium obiectum unaquaeque potentia per se ordinatur, secundum quod ipsa. Quae autem sunt huiusmodi, semper eodem modo se habent. Unde manente potentia, non deficit eius iudicium circa proprium obiectum.
9

San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I, q. 17, a. 3, co: ... sicut res naturalis non deficit ab esse quod sibi competit secundum suam formam, potest autem deficere ab aliquibus accidentalibus vel consequentibus; sicut homo ab hoc quod est habere duos pedes, non autem ab hoc quod est esse hominem, ita virtus cognoscitiva non deficit in cognoscendo respectu illius rei cuius similitudine informatur; potest autem deficere circa aliquid consequens ad ipsam, vel accidens ei.

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Prima di analizzare lerrore dellintelletto, accenniamo brevemente come possa trovarsi lerrore sia nelle cose, sia nei sensi. Le cose si dicono false o perch non sono o perch apparentano qualcosa che non sono10. Per esempio, se diciamo che il diametro si pu misurare con i lati del quadrato, ci troviamo davanti ad un falso impossibile, che non pu essere e non sar mai, e quindi sar sempre falso. Un altro esempio quello delloro che si dice falso perch ha qualche somiglianza con loro vero. I sensi, rispetto ai loro sensibili propri, non possono sbagliare - perch questi costituiscono il loro oggetto proprio - nonch ci sia qualche difetto dellorgano. Possono sbagliare s rispetto a ci che implica una certa composizione, come il caso dellapprensione dei sensibili comuni o dei sensibili per accidens:
I sensi infatti non si ingannano circa l'oggetto proprio: la vista, p. es., non si inganna sui colori; se non forse per accidens, cio per un impedimento casuale dell'organo. Come il gusto dei febbricitanti giudica amare le cose dolci perch la lingua impregnata di umori cattivi. Sui sensibili comuni invece, ossia nel giudicare della grandezza, della figura ecc., il senso si pu ingannare: come quando giudica, p. es., che il sole ha il diametro di un piede, mentre pi grande della terra. E si inganna anche pi facilmente intorno ai sensibili per accidens, quando p. es. giudica che il fiele sia miele per la 11 somiglianza del colore .

Allora, come si d lerrore nellintelletto? Lerrore si trover nellintelletto che compone e divide. Nellintelletto che conosce le quiddit ci potr essere lerrore soltanto per accidens, in quanto in questa conoscenza venga implicita qualche composizione:
Poich dunque la falsit si trova propriamente nell'intelletto solo quando questo unisce dei concetti [nel giudizio], essa pu trovarsi accidentalmente anche nella semplice apprensione, mediante la quale 12 l'intelletto conosce le essenze, quando vi si nascondono delle composizioni di concetti .

Consideriamo questo intelletto che conosce le quiddit. Lintelletto non pu sbagliare rispetto al suo oggetto proprio. Quale loggetto proprio dellintelletto? L'oggetto proprio dell'intelletto la quiddit o essenza delle cose13, risponde San Tommaso. Quindi, rispetto a queste quiddit, lintelletto sempre vero: per cui, come il senso riguardo ai sensibili propri sempre vero, cos anche lintelletto quando conosce lessenze, come dice Aristotele14. Lintelletto pu fallire soltanto sui dati annessi alla quiddit15, e questo per accidens.

10 11

Cfr. San TOMMASO DAQUINO, In V Metaphysica, lect. 22, n. 1128.

San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I, q. 85, a. 6, co: Sensus enim circa proprium obiectum non decipitur, sicut visus circa colorem; nisi forte per accidens, ex impedimento circa organum contingente, sicut cum gustus febrientium dulcia iudicat amara, propter hoc quod lingua malis humoribus est repleta. Circa sensibilia vero communia decipitur sensus, sicut in diiudicando de magnitudine vel figura; ut cum iudicat solem esse pedalem, qui tamen est maior terra. Et multo magis decipitur circa sensibilia per accidens; ut cum iudicat fel esse mel, propter coloris similitudinem.
12

San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I, q. 17, a. 3, co: Quia vero falsitas intellectus per se solum circa compositionem intellectus est, per accidens etiam in operatione intellectus qua cognoscit quod quid est, potest esse falsitas, inquantum ibi compositio intellectus admiscetur.
13 14

Ivi, ad 3: Obiectum proprium intellectus est quidditas rei.

San TOMMASO DAQUINO, De Veritate, q. 1, a.12: sicut sensus sensibilium propriorum semper verus est, ita et intellectus in cognoscendo quod quid est ut dicitur in III De anima.
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San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I, q. 85, a. 6, co: circa ea quae circumstant rei essentiam vel quidditatem.

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Lerrore pu darsi in due modi: quando si applica ad una cosa una definizione che non li corresponde, o quando si tenta dunire nella definizione due termini che non possono trovarsi mai insieme. Vediamo alcuni testi:
Tuttavia l'intelletto si pu ingannare, per accidens, sulla quiddit, quando si tratta di esseri composti: non gi per causa degli organi [come nel caso dei sensi], poich l'intelletto una facolt che non si serve di organi, ma a causa della composizione che si richiede per formulare una definizione. La definizione di una cosa infatti falsa se applicata a unaltra: la definizione del cerchio, p. es., falsa per il triangolo. Inoltre la definizione pu essere falsa in se medesima se composta di termini incompatibili: quando, p. es., si pretende di definire qualcosa come animale razionale alato. Per cui non ci possiamo sbagliare nel caso di entit semplici, nelle cui definizioni non ci pu essere composizione. Possiamo per mancare non percependo totalmente, come dice Aristotele [Met. 9, 16 10] . Tuttavia accidentalmente si pu avere la falsit, in quanto cio lintelletto compone o divide falsamente, il che avviene in duplice modo: o in quanto esso attribuisce la definizione di una cosa a unaltra cosa, per es., nel caso in cui concepisce animale razionale mortale come definizione dellasino, oppure in quanto congiunge delle parti della definizione che non possono essere congiunte, 17 per es. nel caso in cui concepisse come definizione dellasino animale irrazionale immortale . E ci pu avvenire in due modi: o perch lintelletto attribuisce a una cosa la definizione di unaltra, p. es. se attribuisce alluomo la definizione del cerchio, e in questo caso la definizione di una cosa diventa falsa se applicata a unaltra; oppure perch in una definizione unisce delle parti che non possono stare insieme: e in tal caso la definizione falsa non solo relativamente a quella data cosa, ma in se stessa. Quando, p. es., lintelletto forma questa definizione: animale razionale quadrupede, nel definire cos falso, poich falso quando esprime [in un giudizio] questa unione di concetti: un certo animale razionale quadrupede. Per cui quando si tratta di conoscere delle quiddit o nature 18 semplici l'intelletto non pu essere falso, ma o vero, oppure non conosce assolutamente nulla .

Resta ancora una domanda da fare: ci pu essere errore rispetto ai primi principi? La conoscenza dei principi segue immediatamente la conoscenza delle quiddit:
In un primo modo in quanto si riferisce unicamente a ci che d origine al suo nome, e cos si dice propriamente che intendiamo quando apprendiamo lessenza delle cose, o quando intendiamo ci che immediatamente noto allintelletto una volta che sono conosciute le essenze delle cose, come i primi principi, che noi conosciamo una volta conosciuti i termini, per cui si dice anche che lintelletto labito 19 dei principi .

Quindi, siccome lintelletto non pu sbagliare per se quando conosce le quiddit, neanche pu sbagliare nella conoscenza dei principi. Ecco alcuni testi, per chiudere questo punto:
Come l'intelletto non subisce inganno circa la natura delle cose cos, per la stessa ragione, sempre retto relativamente ai primi princpi. Infatti i princpi di per s evidenti sono quelli che vengono
16

Ibidem: Per accidens tamen contingit intellectum decipi circa quod quid est in rebus compositis; non ex parte organi, quia intellectus non est virtus utens organo; sed ex parte compositionis intervenientis circa definitionem, dum vel definitio unius rei est falsa de alia, sicut definitio circuli de triangulo, vel dum aliqua definitio in seipsa est falsa, implicans compositionem impossibilium, ut si accipiatur hoc ut definitio alicuius rei, animal rationale alatum. Unde in rebus simplicibus, in quarum definitionibus compositio intervenire non potest, non possumus decipi; sed deficimus in totaliter non attingendo, sicut dicitur in IX Metaphys..
17

San TOMMASO DAQUINO, De Veritate, q. 1, a.12. Sed tamen per accidens potest ibi falsitas accidere, in quantum, videlicet, intellectus falso componit et dividit; quod dupliciter contingit: vel in quantum definitionem unius attribuit alteri, ut si animal rationale mortale conciperet quasi definitionem asini; vel in quantum coniungit partes definitionis ad invicem, quae coniungi non possunt, ut si conciperet quasi definitionem asini animal irrationale immortale; haec enim est falsa: aliquod animal irrationale est immortale. San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I, q. 17, a. 3, co: Quod potest esse dupliciter. Uno modo, secundum quod intellectus definitionem unius attribuit alteri; ut si definitionem circuli attribuat homini. Unde definitio unius rei est falsa de altera. Alio modo, secundum quod partes definitionis componit ad invicem, quae simul sociari non possunt, sic enim definitio non est solum falsa respectu alicuius rei, sed est falsa in se. Ut si formet talem definitionem, animal rationale quadrupes, falsus est intellectus sic definiendo, propterea quod falsus est in formando hanc compositionem, aliquod animal rationale est quadrupes. Et propter hoc, in cognoscendo quidditates simplices non potest esse intellectus falsus, sed vel est verus, vel totaliter nihil intelligit.
19 18

San TOMMASO DAQUINO, De Veritate, q. 1, a.12: Uno modo secundum quod se habet ad hoc tantum a quo primo nomen impositum fuit; et sic dicimur proprie intelligere cum apprehendimus quidditatem rerum, vel cum intelligimus illa quae statim nota sunt intellectui notis rerum quidditatibus, sicut sunt prima principia, quae cognoscimus dum terminos cognoscimus; unde et intellectus habitus principiorum dicitur.

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conosciuti non appena ne abbiamo compresi i termini, dato che il loro predicato incluso nella 20 definizione del soggetto . Di conseguenza non pu errare neppure a proposito di quelle proposizioni che si conoscono appena conosciuto il valore dei termini, come nel caso dei primi princpi: dai quali poi deriva infallibilit di verit 21 e certezza scientifica alle stesse conclusioni . E cos chiaro che la definizione non pu essere falsa se non in quanto implica unaffermazione falsa: questo duplice modo di falsit trattato nel libro V della Metafisica. Similmente anche nei primi principi 22 lintelletto in nessun modo si pu ingannare .

3. Cause Riassumendo quanto si detto in questa lezione, cerchiamo di mettere insieme le possibili cause degli errori della nostra conoscenza. San Tommaso, commentando la Metafisica dAristotele, spiega in quale senso si possa affermare che esista luomo falso. Falso luomo, dice San Tommaso, che sceglie e produce opinioni false. Se seguiamo leggendo, troviamo unaffermazione molto interessante: Cos, colui che dice il falso volontariamente, pur essendo moralmente peggiore, tuttavia pi intelligente di chi crede dire il vero, dicendo involontariamente il falso23. Quindi, luomo pu dire il falso volontariamente o involontariamente. In modo analogo, sembra che si possa dire che luomo possa cadare nellerrore, a volte involontariamente, a volte con una certa volontariet. Per affermare che la volont pu esercitare un certo influsso sulla nostra conoscenza, basti ricordare quanto detto nelle lezioni precedenti sulle cause dellassenso, che possono essere due: levidenza delloggetto, o la stessa volont in quanto pu muovere tutte laltre potenze. Lerrore involontario pu venire sia dal confondere le cose che esternamente si somigliano, o dalla corruzione degli organi di senso - si ricordi che la nostra intelligenza nello stato attuale opera sempre in dipendenza della sensibilit -, o da sbagliate composizioni - sia a livello sensitivo che intellettuale. C ancora un testo di San Tommaso, nel quale il santo sembra negare linfalilibilit della conoscenza dei primi principi, ed il seguente:
E ci evidente sia in campo speculativo che in campo pratico. Come quindi in campo speculativo l'errore circa i princpi noti per natura quello pi grave e vergognoso, cos in campo pratico l'agire 24 contro ci che secondo la natura il peccato pi grave e pi turpe .

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San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I, q. 17, a. 3, ad 2: Ad secundum dicendum quod intellectus semper est rectus, secundum quod intellectus est principiorum, circa quae non decipitur, ex eadem causa qua non decipitur circa quod quid est. Nam principia per se nota sunt illa quae statim, intellectis terminis, cognoscuntur, ex eo quod praedicatum ponitur in definitione subiecti.
21

San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, I, q. 85, a. 6, co: Et propter hoc etiam circa illas propositiones errare non potest, quae statim cognoscuntur cognita terminorum quidditate, sicut accidit circa prima principia, ex quibus etiam accidit infallibilitas veritatis, secundum certitudinem scientiae, circa conclusiones.
22

San TOMMASO DAQUINO, De Veritate, q. 1, a.12: Et sic patet quod definitio non potest esse falsa, nisi in quantum implicat affirmationem falsam. Hic autem duplex modus falsitatis tangitur in V Metaph.. Similiter nec in primis principiis intellectus ullo modo decipitur.
23

San TOMMASO DAQUINO, In V Metaphysica, lect. 22, n. 1138: Sicut ille qui dicit falsum voluntarie, licet sit peior secundum morem, est tamen intelligentior eo qui credit se verum dicere, cum falsum dicat non voluntarie.
24

San TOMMASO DAQUINO, Summa Theologiae, II-II, q. 154, a. 12 co: Et hoc apparet tam in speculativis quam in operativis. Et ideo, sicut in speculativis error circa ea quorum cognitio est homini naturaliter indita, est gravissimus et turpissimus; ita in agendis agere contra ea quae sunt secundum naturam determinata, est gravissimum et turpissimum.

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Come mai, dopo aver affermato con tanta forza levidenza e conoscibilit dei primi principi, se possa ammettere la possibilit di sbagliare rispetto ad essi? Ci sembra che per rispondere a questa obiezione possiamo far uso di quanto si detto sullinflusso della volont nella conoscenza. Il legno non si brucia se umido, o se ancora verde, diceva San Tommaso, come esempio di che lazione di una potenza pu essere impedita da unaltra superiore. Si pu dire quindi, che cos come la volont pu muovere allassenso, possa pure impedirlo? Sembra che s, e per affermarlo ci fondiamo nel seguente testo di San Tommaso, nel quale si dice come limpetto delle passioni possono ligare la ragione:
Nella conclusione del particolare da fare accade che in due modi vi sia il difetto. In un modo per la falsit dei principi in base ai quali si sillogizza: e in questo modo nella conclusione si tiene ci che contrario alla verit, e questo un errore della coscienza. In un altro modo in base allimpeto delle passioni che assorbono e quasi legano il giudizio della ragione nel particolare, in modo che non consideri in atto n questo n il suo opposto, ma la volont segue il dilettevole che il senso propone: e 25 questo un errore della scelta, non della coscienza .

Insomma La possibilit derrare reale. Questa per, non nega ma rafforza la nostra convinzione di che lessere umano possa arrivare ad una conoscenza certa della verit, perch una possibilit per accidens, non per s della nostra conoscenza. Questa possibilit non ci fa rinunciare alla verit. Ci costringe per ad avanzare verso di essa con cautela, consapevoli della possibilit di sbagliare, e di cercare di fondare, fino a dove possible, le nostre certezze su evidenze. Resta adesso da studiare come si da quella conoscenza. A questo corrisponder la seconda parte di questo corso. In tanto, chiudiamo questa prima parte con parole di quel gran realista che fu Gilbert Keith Chesterton26: There is one sin: to call a green leaf gray, Whereat the sun in heaven shuddereth. There is one blasphemy: for death to pray, For God alone knoweth the praise of death. There is one creed: neath no world-terrors wing Apples forget to grow on apple-trees. There is one thing is needful everything The rest is vanity of vanities.

25

San TOMMASO DAQUINO, In II Sententiarum, d. 39, q. 3, a. 2 ad 5: Ad quintum dicendum, quod in conclusione particularis agendi dupliciter contingit esse defectum. Uno modo ex falsitate principiorum ex quibus syllogizatur; et hoc modo in conclusione tenetur id quod veritati contrarium est: et hic est error conscientiae. Alio modo ex impetu passionum absorbentium et quasi ligantium rationis judicium in particulari, ut actu non consideret nec hoc nec ejus oppositum, sed voluntas sequatur delectabile quod sensus proponit; et hic est error electionis, et non conscientiae.
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Gilbert CHESTERTON, Ecclesiastes: C un peccato che nel cielo il sole fa tremare: chiamare grigio un foglio verde.

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INDICE GENERALE INTRODUZIONE 1. Accenni storici a. La filosofia e il problema della conoscenza b. Tendenze della scuola tomistica 2. Il problema della conoscenza 3. Presupposti 4. Il nome di questa scienza 5. Metodo 6. Necessit dello studio della conoscenza (Critica e metafisica) PRIMA PARTE LE CORRENTI PRINCIPALI DELLEPISTEMOLOGIA I. LO SCETTICISMO 1. Nozione 2. Autori 3. Argomenti a. Premessa b. I dieci tropi di Enesidemo c. I cinque tropi di Agrippa 4. Lo scetticismo metodico II. LEMPIRISMO 1. Nozione 2. Correnti e autori a. I greci b. Nominalismo c. Lempirismo inglese d. Lesistenzialismo 3. Gli argomenti dellempirismo a. Le radici cartesiane dellassociazione - Giudizio di Fabro - Testi di Descartes b. La frammentazione delloggetto (Locke) - Giudizio di Fabro - Testi di Locke

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c. Linteriorit assoluta delloggetto come idea e la critica alle idee astratte (Berkeley) - Giudizio di Fabro - Testi di Berkeley d. Il problema della causalit (Hume) - Giudizio di Fabro - Testi di Hume III. IL RAZIONALISMO 1. Nozione 2. Autori 3. Il dualismo gnoseologico di Kant a. Giudizio di Fabro b. Testi di Kant IV. LIDEALISMO 1. Nozione 2. Autori a. Dal razionalismo allidealismo b. Idealismo dialettico (Hegel) c. Idealismo critico (Fichte) 3. Lidealismo di Hegel a. Giudizio di Fabro b. Testi di Hegel V. IL REALISMO 1. Nozione 2. Autori 3. Il Vademecum del realista principiante di Gilson

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PARTE SECONDA NOZIONI FONDAMENTALI VI. LA CONOSCENZA 1. Natura della conoscenza 2. La specie 3. Forme complete del conoscere VII. LA VERIT 1. Diverse posture 2. Esistenza e nozione di verit in San Tommaso a. Lesistenza della verit evidente b. Aedequatio rei et intellectus c. ...verum per prius dicitur de compositione vel divisione intellectus... d. Unit, eternit e immutabilit della verit 3. La determinazione della verit di una proposizione VIII. LA CERTEZZA 1. Lassenso a. Natura b. Cause dellassenso 2. Certezza a. Dubbio e opinione b. La certezza c. Intelletto, scienza e fede 3. Classi di certezza IX. LEVIDENZA 1. Nozione devidenza: ci che per se notum 2. Divisione dellevidenza: secundum se - quoad nos 3. Evidenza e certezza X. LERRORE 1. Nozione 2. Soggetto 3. Cause

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