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Foibe: per non dimenticare

Memoria e Ricordo sono due parole quasi simili nel significato eppure ci sono due giornate, distinte e separate, loro dedicate. La "Giornata della Memoria" universalmente conosciuta e viene celebrata il 27 Gennaio in memoria delle vittime dell'olocausto nazista . Una tragedia da condannare e che fa vergognare l'umanit intera di fronte alla brutalit con la quale si voleva eliminare il popolo ebreo. In Italia, con legge n. 92 del 30 marzo 2004, meglio nota come "Legge Menia", stata istituita la "Giornata del Ricordo" che permette sin da allora di celebrare la memoria di quella tragedia nazionale che rappresentata dalle Foibe e che per troppi anni restata fuori dai libri di storia. Furono circa 15mila le vittime dei partigiani comunisti jugoslavi, comandati da Tito, tra la popolazione giuliano-dalmata che abitava quel pezzo d'Italia che di punto in bianco, e dopo secoli e secoli, all'Italia era stata nuovamente tolta. Fino a non molti anni fa se si cercava la parola Foibe ci si ritrova di fronte ad una descrizione che parlava di depressioni carsiche presenti in Venezia Giulia. Sulle migliaia di vittime che giacevano al loro interno nemmeno una parola. Eppure degli infoibati che erano stati fatti cadere al loro interno sapevano tutti ma fino a quando la Jugoslavia stata governata da Tito non si poteva parlare di quella tragedia ed anche dopo la morte del Maresciallo nessuno osava parlare. Nelle Foibe morirono tutti quelle persone che avevano l'unica colpa di essere italiani, venivano messi in fila davanti a quelle piccole aperture presenti sul terreno e con i piedi legati tra loro con del ferro. In questo modo bastava uccidere il primo della fila che, cadendo all'interno della Foiba, trascinava dietro di se tutti gli altri. Una morte atroce che per alcuni avveniva anche dopo giorni di agonia all'interno di quei precipizi che erano destinati non solo ad essere la loro tomba ma anche un muro invisibile che li avrebbe tenuti nascosti per decenni. Una tragedia che fu amplificata da quell'esodo Istriano che port quasi 300mila esuli ad emigrare in tutta Italia e all'estero per cercare di ricostruirsi una vita dopo che tutto ci che avevano, sia negli affetti che nei beni materiali, gli era stato tolto. Oggi le Foibe hanno conquistato una piccola visibilit sui libri di testo ma la percentuale degli Italiani che a conoscenza di questa tragedia ancora bassa, troppo bassa, e sono troppo le voci che in un giorno come questo cercano di avanzare teorie negazioniste o revisioniste. Anche i media e le istituzioni riservano poco spazio a questa pagina della nostra storia recente che ha bisogno di essere divulgata maggiormente per costruire una coscienza nazionale davvero unitaria e che non guardi pi alle divisioni del passato ma pensi ad un futuro da affrontare insieme. Le Foibe, nome con cui in Venezia Giulia si indicano i profondi pozzi ed inghiottitoi carsici tipici della regione, furono la tomba di 10 000 vittime italiane, massacrate nell'ambito di una efferata "pulizia etnica". Oggi si ricorda quell'eccidio.

Esistono concetti, come quello di etnia, usati troppo spesso a sproposito; non solo nel mondo della disinformazione odierno, ma anche in tempi lontani dal nostro, per lo pi in maniera strumentale, al fine di plasmare le masse, aizzarle alla violenza, spingerle all'odio verso un ipotetico diverso che di diverso non

ha nulla, essendo egli stesso frutto di questa terra, forse del medesimo dio, comunque unito dall'identico destino di essere parte dell'umanit. Il caso delle foibe ne espressione in maniera netta ed evidente, con tutto il lungo articolarsi di eventi storici che hanno portato al tragico epilogo, semplicemente riassunto dal drammatico numero di 10 000 vittime, inghiottite dalle cavit carsiche che si contano a centinaia in Istria. S, perch c' stato un tempo, pressappoco fino ai primi decenni del XIX secolo, in cui in tutta l'aera della Venezia Giulia, della Dalmazia e dell'Istria, popolazioni di lingua, cultura e religione differente convivevano tra loro: pacificamente o meno, qualunque tipo di piccolo conflitto nascesse non affondava le radici in ideali quale il nazionalismo, dal momento che, semplicemente, l non esistevano nazioni separate. ITALIANI E SLAVI Un concetto come quello di popolo , in verit, non un'identit statica e immune dal tempo, bens un'idea estremamente fluida e mutevole; popolazioni sono state create ad hoc, molto spesso, per favorire interessi economici e strategici. Quando in Europa iniziarono a sorgere i sentimenti nazionalisti, gli equilibri che reggevano le sorti di una convivenza tutto sommato pacifica, non poterono non iniziare a scricchiolare; si aggiunga a questo, la volont di dominio sul mare Adriatico, conteso secolarmente tra oriente ed occidente, ed ecco che, lentamente, si crea quella che comunemente si definisce una polveriera. Nacquero cos rivendicazioni territoriali basate su presupposti per lo pi inesistenti, dal momento che, in quel piccolo territorio fino a poco tempo prima, non si era in grado di stabilire un eventuale confine della diversit. Si separarono, cos, inevitabilmente, due identit nette, scoprendosi acerrime nemiche. Gli italiani, che nei territori della Venezia Giulia, della Dalmazia e dell'Istria costituivano, per lo pi, l'lite istruita e facoltosa, si trovarono contrapposti agli slavi che rivendicavano diritti culturali e politici. La miccia fu accesa nel XIX secolo e, guardando allo svolgersi della prima parte del '900, non difficile comprendere come situazioni assai simili si verificarono anche in altre aree del vecchio continente. FOIBE, IL MASSACRO Mentre imperversava in Europa e nel mondo il II conflitto mondiale, mentre in Italia si firmava quell'armistizio dell'8 settembre del 1943 che mutava improvvisamente il volto e la strategia della guerra, in quella piccola regione (come accadde su tutti i fronti in cui si trovavano i soldati italiani che, improvvisamente ed inconsapevolmente, avevano cambiato nemici ed alleati) si cre lo scompiglio tra le truppe disorientate che, tuttavia, finalmente vedevano profilarsi dinanzi il miraggio di abbandonare quei territori: in questo clima confuso, furono enormemente agevolate le milizie Jugoslave del maresciallo Tito nel prendere possesso dell'area. Segu una prima ondata di violenza cieca: l'italiano divenne l'invasore da cacciare, come se un colpo di spugna avesse improvvisamente cancellato i secoli trascorsi gomito a gomito sullo stesso suolo. Crudeli esecuzioni, che ancora fanno rabbrividire, seguivano gli imprigionamenti o erano l'alternativa dei campi di concentramento Jugoslavi; nelle Foibe si finiva dopo essere stati uccisi ma anche da vivi, come hanno testimoniato i ritrovamenti, legati con il filo di ferro dopo essere stati posti sul margine di una cavit, trascinati gi dal peso del compagno di morte. IL GIORNO DEL RICORDO Nel 2004 una legge istitu il 10 febbraio come giornata dedicata alla commemorazione delle vittime delle Foibe e, in generale, del massiccio esodo che riguard i territori giuliano-dalmati. Si trattato del frutto di un lavoro congiunto di tutte le parti politiche e, proprio per questo, andrebbe interpretato come un'occasione, guardando ad un passato di cui nessuno vuole pi il ritorno, per iniziare a costruire un futuro in cui nessun tipo di classificazione, quale quello etnico, possa costituire, nuovamente, l'occasione per i pi potenti di mettere al proprio servizio masse spinte verso la cieca violenza. Nel ricordare i nostri connazionali barbaramente massacrati, guardiamo ad essi come vittime di miserabili logiche del potere e del denaro e, soprattutto, della barbarie umana che mai si stanca di ricevere sacrifici alla sua divinit: facciamo uno sforzo per liberarci dalle etichette etniche o nazionaliste che il passato ci ha affibbiato. Solo in questo modo, quando smetteremo di indicare l'altro in tutta la sua negativit per designare la nostra assoluta purezza, avremo offerto a quelle 10 000 vittime innocenti il ricordo pi sincero e commosso, cominciando a costruire un mondo in cui, in alcun luogo, si ripeta qualcosa di anche lontanamente simile. Le vicende storiche in generale. Il dramma delle foibe istriane e triestine ha origini fin dal 1918 quando l'Italia riceve a seguito della vittoria nella guerra del '15-'18 tutta l'Istria con circa 500 mila slavi senza il loro consenso. Questo creer negli anni

seguenti un movimento irredentista slavo al quale l'Italia non sapr opporre un'intelligente politica di coinvolgimento. Gli errori italiani, in sintesi, sono i seguenti: a) arrivo di una amministrazione pasticciona, con la nostra solita burocrazia. Teniamo presente che eravamo stati preceduti da una amministrazione austro-ungarica efficiente, elastica ed onestissima, con una secolare tradizione di amministrazione su popoli diversi nel composito impero asburgico; b) compressione degli usi e costumi slavi con ostacoli anche all'uso della stessa lingua: un fatto eclatante quello narrato in un libro in cui si racconta che ai tempi dei bombardamenti alleati fu colpita Muggia e gli abitanti dovettero chiedere alle autorit della RSI il permesso di cantare, durante i funerali in chiesa, i canti religiosi in sloveno dato che tale lingua non era ammessa; in sostanza la nostra presenza dopo il 1918 fu vista dai locali piuttosto male. c) La situazione economica generale risentiva delle difficolt dell'epoca (crisi del '29) sulle quali l'Italia aveva responsabilit relative. Non dimentichiamo che fino al 1918 alle spalle di Trieste e di Fiume c'era un grande impero di cui Trieste e Fiume erano i porti principali. L'arrivo dell'Italia coincise con la decadenza sopratutto di Trieste come del resto noto. Nel complesso gli istriani e giuliani di lingua slovena si sentirono degli occupati e rimpiangevano l'AustriaUngheria. Non parliamo poi della toponomastica e dei nomi dei paesi e citt dove le tradizioni locali vennero piuttosto ignorate. Gli eventi della Seconda Guerra Mondiale acuirono ancora la situazione specie con lo sviluppo delle resistenza armata degli slavi contro gli italiani ed tedeschi, con conseguenti rappresaglie. Da tenere presente che in sostanza gli slavi o almeno la parte preponderante dei loro combattenti era composta da comunisti, il che condizion ancora di pi le scelte degli italiani residenti col. E' certamente vero che la fuga degli italiani avvenne proprio anche per non cadere sotto un regime comunista. Ne esce male anche il CLN italiano che, bench avvisato di quello che poteva succedere ed invitato dai tedeschi e dai fascisti a fare fronte comune contro il calare delle bande slave, non accett, finendo cos in parte nelle foibe, anche se i pi scapparono a Venezia per sfuggire alla mattanza. Di certo la politica italiana, tra il 1918 ed il 1945, non brill certo per lungimiranza. Diversi sono gli episodi che videro i nostri militari autori di violenze, devastazioni e incendi. Tra l'altro la quasi totalit delle condanne a morte comminate dal Tribunale Speciale negli anni '25-'41 in Italia, riguard al 90% irredentisti slavi. Si tratta, in sostanza, di vicende disgraziate, frutto molto delle sistemazioni territoriali seguite alla Prima Guerra Mondiale, dove il nostro intervento a fianco degli alleati fu compensato regalandoci nient'altro che dei contenziosi con mezzo mondo mentre questi ultimi si prendevano le colonie tedesche e si spartivano il bottino. Le prime foibe: autunno 1943. Il fenomeno inizi nell'autunno del '43, subito dopo larmistizio, nei territori dellIstria, abbandonati dai soldati italiani che li presidiavano e non ancora sotto il controllo dei tedeschi, quando i partigiani delle formazioni slave, ma anche gente comune, per lo pi delle campagne, fucilarono o gettarono nelle foibe centinaia di cittadini italiani, bollati come "nemici del popolo". Il numero delle vittime non quantificabile con precisione. Comunque dovrebbero essere un migliaio tra infoibati, caduti nelle zone costiere, dispersi in mare. Le foibe del 1945. Le foibe, per, ebbero la loro massima intensit nei quaranta giorni dell'occupazione jugoslava di Trieste, Gorizia e dell'Istria, dall'aprile fino a met giugno '45, quando gli anglo-americani rientrarono a Trieste occupata dalle milizie di Tito. Tra marzo e aprile, anglo-americani e jugoslavi si impegnarono nella corsa per arrivare primi a Trieste. Giunse per prima la IV armata di Tito che entr in citt il 1 maggio alle 9:30. Come scrive Gianni Oliva, gli ordini di Tito e del suo ministro degli esteri Kardelj non si prestavano a equivoci: Epurare subito, Punire con severit tutti i fomentatori dello sciovinismo e dellodio nazionale. Era il preludio alla carneficina, che non risparmi nemmeno gli antifascisti di chiara fede italiana, nemmeno membri del Comitato di liberazione nazionale. Ci fu una vera e propria caccia all'italiano, con esecuzioni sommarie, deportazioni, infoibamenti. In quel periodo solo a Trieste furono deportate circa ottomila persone: solo una parte di esse potr poi far ritorno a casa. I crimini ebbero per vittime militari e civili italiani, ma anche civili sloveni e croati, vittime di arresti, processi farsa, deportazioni, torture, fucilazioni. La mattanza si protrasse per alcune settimane, sebbene a Trieste e a Gorizia fra il 2 e il 3 maggio fosse arrivata anche la seconda divisione neozelandese del generale Bernard Freyberg, inquadrata nellVIII armata britannica. Fin il 9 giugno quando Tito e il generale Alexander tracciarono la linea di demarcazione

Morgan, che prevedeva due zone di occupazione la A e la B dei territori goriziano e triestino, confermate dal Memorandum di Londra del 1954. la linea che ancora oggi definisce il confine orientale dellItalia. La persecuzione degli italiani, per, dur almeno fino al '47, soprattutto nella parte dell'Istria pi vicina al confine e sottoposta all'amministrazione provvisoria jugoslava. Il racconto di un sopravvissuto Foiba di Vines - Recuperate dal Maresciallo Harzarich dal 16.10.1943 al 25.10.1943 cinquantuno salme riconosciute. In questa Foiba, sul cui fondo scorre dell'acqua, gli assassinati dopo essere stati torturati, finirono precipitati con una pietra legata con un filo di ferro alle mani. Furono poi lanciate delle bombe a mano nell'interno. Unico superstite, Giovanni Radeticchio, ha raccontato il fatto. Riusc a sopravvivere Giovanni Radeticchio di Sisano. Ecco il suo racconto: "Add 2 maggio 1945, Giulio Premate accompagnato da altri quattro armati venne a prelevarmi a casa mia con un camioncino sul quale erano gi i tre fratelli Alessandro, Francesco e Giuseppe Frezza nonch Giuseppe Benci. Giungemmo stanchi ed affamati a Pozzo Littorio dove ci aspettava una mostruosa accoglienza; piegati e con la testa allingi fecero correre contro il muro Borsi, Cossi e Ferrarin. Caduti a terra dallo stordimento vennero presi a calci in tutte le parti del corpo finch rinvennero e poi ripetevano il macabro spettacolo. Chiamati dalla prigionia al comando, venivano picchiati da ragazzi armati di pezzi di legno. Alla sera, prima di proseguire per Fianona, dopo trenta ore di digiuno, ci diedero un piatto di minestra con pasta nera non condita. Anche questo tratto di strada a piedi e per giunta legati col filo di ferro ai polsi due a due, cos stretti da farci gonfiare le mani ed urlare dai dolori. Non ci picchiavano perch era buio. Ad un certo momento della notte vennero a prelevarci uno ad uno per portarci nella camera della torture. Ero l'ultimo ad essere martoriato: udivo i colpi che davano ai miei compagni di sventura e le urla di strazio di questi ultimi. Venne il mio turno: mi spogliarono, rinforzarono la legatura ai polsi e poi, gi botte da orbi. Cinque manigoldi contro di me, inerme e legato, fra questi una femmina. Uno mi dava pedate, un secondo mi picchiava col filo di ferro attorcigliato, un terzo con un pezzo di legno, un quarto con pugni, la femmina mi picchiava con una cinghia di cuoio. Prima dell'alba mi legarono con le mani dietro la schiena ed in fila indiana, assieme a Carlo Radolovich di Marzana, Natale Mazzucca da Pinesi (Marzana), Felice Cossi da Sisano, Graziano Udovisi da Pola, Giuseppe Sabatti da Visinada, mi condussero fino all'imboccatura della Foiba. Per strada ci picchiavano col calcio e colla canna del moschetto. Arrivati al posto del supplizio ci levarono quanto loro sembrava ancora utile. A me levarono le calze (le scarpe me le avevano gi prese un paio di giorni prima), il fazzoletto da naso e la cinghia dei pantaloni. Mi appesero un grosso sasso, del peso di circa dieci chilogrammi, per mezzo di filo di ferro ai polsi gi legati con altro filo di ferro e mi costrinsero ad andare da solo dietro Lidovisi, gi sceso nella Foiba. Dopo qualche istante mi spararono qualche colpo di moschetto. Dio volle che colpissero il filo di ferro che fece cadere il sasso. Cos caddi illeso nell'acqua della Foiba. Nuotando, con le mani legate dietro la schiena, ho potuto arenarmi. Intanto continuavano a cadere gli altri miei compagni e dietro ad ognuno sparavano colpi di mitra. Dopo l'ultima vittima, gettarono una bomba a mano per finirci tutti. Costernato dal dolore non reggevo pi. Sono riuscito a rompere il filo di ferro che mi serrava i polsi, straziando contemporaneamente le mie carni,poich i polsi cedettero prima del filo di ferro. Rimasi cos nella Foiba per un paio di ore. Poi, col favore della notte, uscii da quella che doveva essere la mia tomba".

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