N on ci si pu sottrarre alla insistente domanda della gente di trovare protezione e sicurezza e mi sem- brerebbe anche importante tentare di offrir- ne letture meno semplificate di quelle nor- malmente circolanti, indicando strade da per- correre un po pi promettenti di quelle che paiono riscuotere unanimi consensi. Cos Franca Olivetti Manoukian si rivolgeva agli operatori sociali allindomani dei recenti esiti elettorali, che avevano premiato le forze poli- tiche mostratesi pi convincenti nel promet- tere tolleranza zero per far fronte allemer- genza sicurezza. Un invito fermo a tutto il la- voro sociale a non banalizzare la domanda di sicurezza che sale dai territori e che rischia di trasformare i problemi sociali in problemi di ordine pubblico. Da quellarticolo apparso su Animazione Sociale di maggio, dal titolo La domanda di si- curezza pu non investire i servizi?, scaturito un vivace dibattito (1) tra gli operatori sociali, segno che la domanda interroga e agita il vasto mondo del lavoro sociale ed educativo. Un mondo che si ritiene a buon diritto pro- duttore di sicurezza, perch offre sostegno a chi in difficolt e aiuta la societ a stare in- sieme e riprodursi, ma che sente di avere sem- pre meno consenso in una societ spaventata che invoca forze dellordine, non servizi e po- litiche sociali. In una societ cos impaurita e in cerca di soluzioni dautorit, i servizi sociali in senso lato (ossia tutti i servizi che hanno mandato di lavorare su problematiche sociali) stanno rischiando seriamente la residualit se non prendono sul serio la domanda di sicurezza della gente. Ma cosa vuol dire fare questo? Ota de Leonardis, autorevole sociologa che da anni lavora e fa ricerca nel mondo dei ser- vizi e delle politiche sociali, si esprime senza ambiguit, consapevole che il momento de- licato. Prendere sul serio la domanda di si- curezza dice significa prendere in carico i territori. In questi anni i servizi sono stati as- senti dai territori. Si sono concentrati sulla presa in carico di casi individuali con unim- postazione fondamentalmente clinica. Unim- postazione che prevede la sottrazione della persona dal suo ambiente di vita e il tratta- mento del suo problema a prescindere dal suo INTERVISTA A OTA DE LEONARDIS A CURA DI MATTEO FIANI DA LUOGHI DI CURA ALLA CURA DEI LUOGHI I servizi sociali di fronte alla domanda di sicurezza La crescente domanda di sicurezza che investe i territori sta mettendo seriamente in discussio- ne il futuro di tutti i servizi che portano nella loro denominazione il prefisso socio-. Cittadini sempre pi impauriti stentano a riconoscere gli operatori sociali come figure che rendono sicuro un territorio e preferiscono rivolgersi alle forze dellor- dine, ora anche allesercito. I servizi non possono non interrogarsi su quanto sta accadendo. In particolare su quanto poco abbiano preso in carico i territori in questi anni, su quanto poco siano stati con le persone nei loro contesti di vita. (1) Il dibattito pubblicato sulla rivista disponibile sul sito: http://animazionesociale.gruppoabele.org. Di sicu- rezza e lavoro sociale si discuter il 21 novembre a Tori- no in un incontro tra gli operatori sociale e Franca Oli- vetti Manoukian (informazioni nel retro di copertina). contesto. Non un caso allora se oggi i cit- tadini chiedono territori pi sicuri. Sono esattamente quei territori, dice, quei conte- sti di vita trascurati dallimpianto base su cui servizi e operatori hanno impostato i loro in- terventi sulle persone. tempo insomma che gli operatori socia- li escano dagli uffici, dai setting specialistici, e mettano insieme le loro competenze al servi- zio del territorio. questo il luogo dove oggi si gioca la partita sulla sicurezza. Una partita decisiva non solo per il futuro dei nostri ser- vizi di welfare, ma per la qualit civile della nostra convivenza. Se la sicurezza cercata nei soldati Domanda. Partiamo dalla questione che ha motivato lavvio della discussione. Oggi la do- manda di sicurezza pu non investire i servizi? Risposta. La questione individuata da Fran- ca Manoukian mi sembra assolutamente cru- ciale. Oggi i servizi sociali (con sociali intendo tutti i servizi che hanno mandato di lavorare su problematiche sociali) devono misurarsi con la crescente domanda di sicurezza. Se non lo fanno, corrono il rischio di essere percepiti come irri- levanti dallopinione pubblica. E questo po- trebbe innescare se non lo ha gi fatto una spirale verso una loro ulteriore residualit. Rispetto alle questioni avvertite come cru- ciali, i servizi sociali, le politiche sociali stanno infatti rischiando di diventare del tutto residuali. Residuali anche dal punto di vista dellinvesti- mento pubblico, politico e strategico. E questo molto grave. Credo che una riflessione su que- sto terreno sia oggi assolutamente indispensa- bile e strategica. Domanda. Nel dibattito seguito su Anima- zione Sociale, gli operatori hanno rivendicato di essere anche loro produttori di sicurezza. Non solo le forze di polizia o lesercito, inviato dopo lestate dal governo per le strade delle citt. Ma questa loro funzione oggi poco percepita dal- lopinione pubblica. Come mai? Risposta. Oggi in corso una metamorfosi della domanda di sicurezza. Dal terreno delle protezioni sociali la domanda si spostata su quello dellordine pubblico. Gli individui insi- curi della nostra societ cercano protezione nella polizia, nei carabinieri, nellesercito. Non la cer- cano pi nei servizi, nelle politiche sociali o nei sistemi di welfare. Questo trascina con s, ine- vitabilmente, un effetto di svalutazione e di ri- duzione allirrilevanza del ruolo dei servizi, delle politiche, degli interventi sul terreno sociale e sanitario, come dice la Manoukian. Sono daccordo anche con la chiave inter- pretativa proposta, che risale ai lavori di Robert Castel. Castel ha riflettuto molto sullo slitta- mento della questione sicurezza dal piano so- ciale a quello dellordine pubblico, che lui chia- ma della sicurezza civile. La causa nelle di- namiche della globalizzazione, che hanno ac- cresciuto e tendenzialmente stanno genera- lizzando condizioni di insicurezza esistenzia- le. Basti pensare alle possibilit che gli indivi- dui hanno di controllo sulla propria vita, che si sono notevolmente ridotte. O a quanto sia di- ventato difficile progettarsi un futuro, nella pre- cariet che caratterizza molte vite. Insomma, la globalizzazione ha messo in di- scussione limpianto su cui si basava il nostro sistema di protezione sociale. In primis il lavo- ro, su cui per anni si sono costruite le garanzie collettive: la previdenza, le tutele contro ma- lattia e infortuni, un reddito che bastava a una famiglia... Un tempo le protezioni sociali erano saldamente ancorate alla condizione di lavo- ratore dipendente a tempo indeterminato. Oggi il lavoro fattosi instabile, precario, regolato da contratti individualizzati non genera pi diritti, ma insicurezza. Credo che questa messa in discussione delle basi di protezione sociale vada considerata come un fattore cruciale nellemergere di domande di ordine pubblico. Le persone, non sentendosi pi protette dai sistemi di welfare, scivolano verso una condizione generale di insicurezza. Temo- no il futuro ed esprimono un bisogno di prote- zione; un bisogno che per oggi, a differenza di anni fa, viene riletto in termini di difesa indivi- duale dai rischi della convivenza sociale. Anmazone Socae = Ottobre oo8 nt e r v s t a nt e r v s t a Anmazone Socae oo8 Ottobre < Trentanni vissuti in difesa Domanda. In effetti pi facile trasferire il sentimento di minaccia sullimmigrato o sul po- vero, che sono l visibili per la strada, piuttosto che prendersela con le invisibili dinamiche della globalizzazione. Ma come siamo arrivati a que- sto punto? Risposta. Ho limpressione che in questi ul- timi 30 anni la metamorfosi del welfare sia stata vissuta per lo pi passivamente. Non si pro- dotto un ripensamento collettivo su come creare nuove basi di protezione sociale alla luce dei pro- cessi di trasformazione delleconomia e della societ. La metamorfosi del welfare stata vis- suta troppo a lungo difensivamente, arroccan- dosi su quello che rimaneva. Senza ripensare, o ripensare abbastanza, come ridefinire forme e possibilit di protezione sociale. A questo mancato ripensamento, a mio pa- rere, ha contribuito lassetto istituzionale dei ser- vizi sociali, ossia il modo tradizionale in cui hanno funzionato i servizi. Dico questo perch da quando mi occupo di servizi sanitari e so- ciali, da quando mi occupo di welfare e me ne occupo da prima che questi processi si pro- ducessero e diventassero vistosi ho rilevato nellorganizzazione standard dei servizi sociali una scarsa responsabilizzazione rispetto a com- piti che andassero al di l della presa in carico individuale. Per essere pi esplicita, ho notato una scarsa assunzione di responsabilit rispetto a compiti di costruzione di coesione sociale. Coesione sociale un termine che indica la capacit di un tessuto sociale di essere inte- grante. Oggi una delle parole guida dei pro- grammi e dei finanziamenti europei. LEuropa tra i suoi imperativi ha la coesione sociale. Ma preoccuparsene ora potrebbe essere tardi. come chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati. Forse la manutenzione della stalla cio delle condizioni di coesione sociale, di con- vivenza civile, di capacit di costruzione di con- testi integranti... forse tutto questo andava pensato nellambito dellassetto istituzionale del welfare. Andava pensato cio prima che il wel- fare si riducesse e la sua riduzione producesse effetti di disgregazione sociale. Andava pensa- to prima che la residualizzazione del welfare lo rendesse marginale anche rispetto alle proble- matiche montanti della sicurezza. Con ci non intendo puntare il dito sui ser- vizi. La riflessione critica e autocritica non pu essere operata a livello di servizi. Non una questione semplicemente di buona volont o di buona organizzazione di singoli servizi. Non basta un diverso orientamento dei singoli ope- ratori. qui che forse il mio sguardo diverge da quello di Franca Manoukian. Per me anzi- tutto una questione di architettura istituzionale, di disegno delle politiche pubbliche sulle mate- rie sociali. a questo livello che pongo la que- stione. Ed qui che mancata lintelligenza del potenziale che i servizi hanno nel produrre con- dizioni di coesione sociale. Lassenza dei servizi dal territorio Domanda. Se ho ben capito: le politiche so- ciali avrebbero dovuto mettere al centro la ne- cessit di prendere in carico i contesti sociali. Ma non lo hanno fatto. In assenza di questo indiriz- zo chiaro, il lavoro dei servizi si attestato sulla presa in carico dei casi individuali. cos? Risposta. S. compito, o avrebbe dovuto essere compito, delle politiche pubbliche sulle materie sociali investire risorse per costruire coesione sociale. Ossia contesti sociali capaci di sopportare, e supportare, contraddizioni, dif- ferenze e problemi insolubili. Questo non av- venuto, non si investito abbastanza sulla coe- sione sociale. E cos oggi rischiamo di ridurre un problema di coesione sociale a un problema di legge e ordine. Il punto critico stato che le politiche hanno costruito modelli, forme di intervento e relati- ve competenze nella chiave del lavoro sulle per- sone come tali, come casi. E la presa in carico di casi individuali ha seguito limpostazione di na- tura fondamentalmente clinica del trattamento di cura. Unimpostazione che prevede la sot- trazione della persona dal suo contesto e il trat- tamento del suo problema a prescindere dal contesto. Perch dico che stato un punto critico? Perch, se ci fa caso, oggi il tema della sicurez- za civile uso lespressione di Castel mette al centro proprio il contesto di vita della persona. Esattamente quel contesto di vita trascurato dal- limpianto base su cui servizi e operatori hanno impostato i loro interventi sulle persone. La presa in carico delle persone implica infatti la loro dislocazione dentro un setting specialisti- co, separato dal contesto di vita della persona. mancata insomma nellimpianto stan- dard, tradizionale del sistema dei servizi una presa in carico del contesto della persona come elemento pertinente alle ragioni del suo star male e come fattore potenziale da valorizzare per consentire alla persona stessa di modifica- re le proprie condizioni di vita. Non un caso se la domanda di sicurezza civile oggi d centralit alla sicurezza territo- riale, al territorio come territorio sicuro. Mi rendo conto che dico una cosa molto forte, ma credo che questo sia un esito indiretto e per- verso finch si vuole molto connesso alla fin qui scarsa presa in carico del territorio da parte dei servizi di welfare. Detto in modo pi esplicito, vedo nel modo in cui hanno finora funzionato i sistemi di ser- vizi in ambito sociale un fattore attivo nel ride- finire il territorio come il luogo dove oggi si pone una grande questione di sicurezza. Le citt oggi si stanno disarticolando Domanda. Effettivamente le forze politiche che oggi crescono nei consensi, pur in un tempo di disaffezione dalla politica, sono proprio quel- le che si pongono come sindacati del territorio, secondo la felice definizione data dai mass media. Risposta. Non c dubbio che noi ora ci tro- viamo di fronte a una domanda di sicurezza che vede la chiave della propria rassicurazione nel territorio: nella sua delimitazione, nel suo con- trollo, nella costruzione di barriere di prote- zione, in forme a volte anche esasperate. Noi ormai abbiamo sufficienti elementi di ricerca per riconoscere che sono in atto proces- si di segregazione spaziale. Le citt, ad esempio, si stanno disarticolando in zone separate le une dalle altre. Le popolazioni pi marginali ven- gono segregate in aree degradate, periferiche delle citt. Stiamo costruendo di nuovo quelle che Castel, riprendendo una figura classica della prima modernit, chiama le classi pericolose. La segregazione spaziale lesito di una dina- mica di insicurezza, ma paradossalmente non spegne le paure, le moltiplica. Quando i ragazzi delle famose banlieue pa- rigine la domenica pomeriggio invadono il cen- tro di Parigi, una percezione di invasione quel- la che i buoni cittadini parigini vivono. E que- sto sottolineato dal grande dispiegamento di forze dellordine alle uscite dei metr, per con- trastare questinvasione, per tenerla sotto con- trollo. Perch vero che i buoni cittadini di Pa- rigi hanno bisogno dei giovani delle banlieue come consumatori dei centri commerciali delle zone tipo Les Halles, nel cuore di Parigi, da una parte. Ma dallaltra percepiscono larrivo dei giovani banlieusards come uninvasione. Domanda. Anche Daniel Pennac nel suo ul- timo libro cita proprio questo esempio. Mi vien da dire che si tratta di fenomeni visibili ormai anche ai non specialisti. Risposta. Basta abitare a Parigi per un po per rendersene conto. Ma solo un esempio, perch lo stesso fenomeno lo vediamo nelle no- stre scuole. Una percentuale crescente di figli di immigrati frequenta le scuole a tutti i livelli. Le scuole etnicizzate sono ritenute una minaccia. Anche questa considerata uninvasione. Il quadro di come stanno cambiando i ter- ritori si completa se includiamo anche i proces- si di autosegregazione spaziale. La domanda di sicurezza non d infatti luogo solo a una ten- denziale espulsione in aree degradate dei grup- pi sociali pi deprivati e potenzialmente pi problematici con lesito paradossale di crea- re condizioni per cui quei gruppi sociali accre- scono il loro potenziale di minaccia, diventano realmente pi minacciosi. Ma d luogo anche Anmazone Socae Ottobre oo8 nt e r v s t a nt e r v s t a Anmazone Socae oo8 Ottobre alla tendenza dei ceti medi, appena possibile, di autosegregarsi in zone protette. Anche in Italia si moltiplicano intorno alle citt formule di in- sediamenti residenziali chiusi. Sono le cosid- dette gated communities. Con recinzioni, forti- ficazioni, polizie private, barriere allaccesso, check points. C da dire che quello che noi vi- viamo in Italia o in genere in Europa da questo punto di vista ancora nulla rispetto a quello che vediamo in giro per il mondo. Per il trend analogo, veramente analogo. Ora io credo che tutto questo spazzi via, renda irrilevante in prospettiva lopera di ser- vizi e politiche sociali. Il lavoro sociale diventa irrilevante anche perch questo processo si ac- compagna a processi di privatizzazione. Ogni gruppo sociale che si autoprotegge dentro aree spaziali circoscritte, infatti, si organizza i pro- pri sistemi di servizi sociali, le proprie scuole, i propri servizi sanitari, e via discorrendo. Que- sta un po la linea di tendenza. Urge prendere in carico i territori Domanda. La sua lettura pone una provoca- zione intelligente agli operatori sociali: quanto la richiesta di avere territori sicuri oggi conse- guenza dellirrilevanza che ha avuto il territorio, inteso come contesto di vita delle persone, nel- limpianto standard delle politiche e dei servizi sociali? Ma anche un invito a tornare nei ter- ritori. cos? Risposta. Se non troppo tardi, le politiche sociali dovrebbero essere fortemente investite del compito di prendere in carico i territori, di andare nei territori. Lassenza di servizi dai ter- ritori va in qualche modo contrastata. E questa evidentemente una questione che riguarda il livello delle politiche, non riguarda la buona vo- lont del singolo servizio o della singola qui- pe. un problema di disegno delle politiche, un problema di come si debba riconsiderare lintervento su problematiche sociali e i suoi obiettivi. Stante lassetto attuale delle politiche, non credo che questo sia possibile. Credo che i servizi debbano veramente as- sumere la questione della sicurezza civile nei territori. Se davvero i servizi si devono prende- re in carico i problemi emergenti delle perso- ne, non possono non prendere sul serio la do- manda di sicurezza della gente. Devono riflette- re seriamente sugli effetti di desertificazione dei territori, di disarticolazione delle citt, di com- partimentazione degli spazi che si sono andati producendo, anche a partire dal loro modo di lavorare, troppe volte separato dai contesti di vita delle persone. La loro separatezza dai ter- ritori stata, lo ripeto, un fattore attivo nel pro- durre la disarticolazione e desertificazione dei territori. Certo, ci sono altri fattori, altre spinte, altri processi che hanno influito su questo, e tutto- ra influiscono. Ma lassenza dei servizi dai luo- ghi in cui vivono le persone di cui si occupano un fattore che ha contribuito ad alimentare la percezione di insicurezza. E francamente non vedo finora in giro molte controtendenze, molti tentativi che contrastino questa assenza. Certo ci sono i servizi di assistenza domici- liare; ma i servizi di assistenza domiciliare si li- mitano a spostare lintervento nellabitazione della singola persona. Il servizio si attiva nel mo- mento in cui la porta dellappartamento si apre e si tratta di lavare lanziano, somministrargli il farmaco e via discorrendo. Istituendo, possia- mo dire, nellappartamento della persona gli stessi rituali che sono propri di un setting spe- cializzato. Ma nel 90 per cento dei casi manca una presa in considerazione, per esempio, di dov questo appartamento, di come la perso- na vi sta, se ha rapporti nello stabile in cui vive, con il quartiere in cui risiede, con i negozi di cui si serve... Non c nessuna considerazione di ci che la persona vive nella sua vita quoti- diana, di quali legami ha. Ci che loperatore, il servizio fa in casa sua, nel 90 per cento dei casi non si rapporta con lambiente di vita della persona. Stare con le persone nei loro contesti Domanda. Eppure si parla molto di territo- rializzazione dei servizi, delle politiche... Risposta. vero, se ne parla molto. Ma io credo che la territorializzazione dei servizi non significhi semplicemente aprire strutture de- centrate o sportelli. Significa spostare i servizi, cio spostare il fare, le pratiche, le azioni dei servizi, dalla cura della persona alla cura del con- testo della persona. Se le condizioni di salute di una persona, come tutti sanno, hanno a che fare con labita- re, con lavere una vita attiva, magari anche con il lavorare, con il contare su una rete di legami affettivi, familiari, amicali di supporto, ecco se queste sono le condizioni reali su cui si costruisce un benessere o un meglio essere per cos dire delle persone, questa allora la materia di cui i servizi si devono occupare. Labitare, lavere una vita attiva, lavere le- gami sociali sono aspetti fondamentali. Ma per potersene occupare i servizi devono stare con le persone nei loro contesti. Credo che solo un investimento su questo potr forse contrastare se non troppo tardi la domanda di sicu- rezza e di ordine, di sicurezza civile e di ordine pubblico. Solo la ricostruzione di condizioni di protezione sociale nei contesti di vita potr forse contrastare la domanda di protezione fisica. Fatta di mura, separazioni, fortificazioni, armi, polizia, addirittura lesercito... Domanda. Lei ha ripetuto spesso se non troppo tardi.... Come se si fosse perso tempo pre- zioso e fosse difficile ora invertire la rotta. dav- vero troppo tardi? Risposta. Non lo so. Tempo prezioso stato perso, questo s. Io ad esempio ho memoria di una fase nella quale la domanda di sicurezza e in genere il tema della sicurezza parliamo di 3-4 anni fa era gi molto presente. Le ammi- nistrazioni locali e gli enti locali ai vari livelli co- minciavano a occuparsene. In Lombardia, per esempio, in quel periodo si prodotto tutto il programma di trasformazione dei vigili urbani in polizia locale. E ricordo grazie anche a una ri- cerca condotta da un collega, Massimo Brico- coli, che and a vedere sul campo come i vigili urbani stavano ri-definendo le proprie funzio- ni alla luce della domanda di sicurezza come nella maggior parte delle situazioni i vigili ur- bani fossero impegnati a rispondere a doman- de di sicurezza sociale prima che civile. Se i vigili fanno gli assistenti sociali Erano perlopi situazioni di tensione tra condomini, che i vigili stessi riconoscevano es- sere il prodotto di problematiche di immiseri- mento e di emarginazione sociale. Nelle ten- sioni tra condomini, tra vicini di casa, si con- densava una condizione di marginalit da en- trambe le parti. E i vigili, in molti casi, svolge- vano compiti che sarebbero spettati ai servizi, supplivano allassenza dei servizi nei territori. Quando lassistente sociale non esce dal suo uf- ficio, non si smuove dalla sua scrivania, poi il vigile urbano che sta sulla strada a fare la fun- zione di operatore sociale sulla strada. Non so se mi spiego. Ma ho la sensazione che quella fase sia ormai superata. Non si colto in questo senso si perso tempo che l si giocava una partita deci- siva. Non si preso atto che i vigili, cio un corpo deputato alla sicurezza civile, veniva chia- mato in causa per affrontare questioni che quel corpo stesso riconosceva essere di competenza dei servizi sociali. Ma forse ormai tardi. Per- ch anche i vigili ormai non bastano pi. Quan- do si comincia a dire che ci vuole lesercito per le strade, siamo veramente andati oltre. Non si imparato nulla da quella fase. E anzi il fatto che siano stati i vigili, cio la poli- zia locale, surrettiziamente a esprimere la pre- senza di unistituzione nei territori ha fatto ul- teriormente accelerare la domanda di sicurez- za civile. Io non voglio neanche immaginare, da questo punto di vista, quale ulteriore salto di qualit potr produrre la presenza delleserci- to per la strada. Potremmo consolarci dicendo che sono sol- tanto politiche dellannuncio, fatte per cercar consenso. Ma il punto un altro. Come socio- logi sappiamo che la dimensione simbolica ha poi effetti reali, non si limita a produrre sim- boli. E quei simboli hanno effetti di trasforma- zione concreta dei contesti e delle forme di ce- Anmazone Socae 8 Ottobre oo8 nt e r v s t a nt e r v s t a Anmazone Socae oo8 Ottobre o mento della societ. Non sono pi i legami so- ciali ma la militarizzazione del territorio ci che pu tutelare la convivenza. Serve un mandato diverso Domanda. Proviamo a pensare che non sia troppo tardi e imbastiamo un programma di azio- ne per il prossimo futuro. Da dove cominciamo? Risposta. Ripeto, ho limpressione che la que- stione riguardi il livello delle politiche, prima che loperato dei servizi. anzitutto un pro- blema di assetto, di disegno, di architettura di politiche pubbliche. Partirei quindi da questo livello. Dal ridisegnare le politiche sociali inve- stendole fortemente del compito di prendere in carico i territori. Prendendo unaltra delle pa- role ordine che provengono dallEuropa, biso- gnerebbe integrare tra loro le politiche e i ser- vizi. Questa in teoria sarebbe veramente una buona occasione per recuperare questo ritardo storico, questo vizio dorigine dei nostri sistemi di servizi, autarchici e separati dai contesti. Credo che potrebbe essere davvero unoccasione buona per ripensare lorientamento da dare ai servizi, per farli passare dalla logica dei luoghi di cura alla logica della cura dei luoghi. Questo passag- gio sarebbe ora necessario. Nellargomentazio- ne retorica e nellapparato giustificativo dei pro- grammi europei si possono trovare punti di ag- gancio molto importanti. Dicevamo che c una tendenza alla territo- rializzazione delle politiche. Ebbene, si pensi a un investimento (convergente) di diverse politi- che territorializzate su progetti condivisi di cura e valorizzazione del ben-essere sociale del terri- torio in cui operano. Integrazione, questa la parola dordine europea, per indicare politiche che tendono a integrarsi tra loro, e a integrare servizi e competenze, su obiettivi condivisi, e a coltivare la combinazione di risorse istituziona- li con le risorse sociali dei contesti e dei cittadi- ni singoli e associati, come si dice. Si tratta cio di provare a immaginare un si- stema di servizi non pi improntato sulla compe- tenza specialistica e settoriale relativa alla pro- blematica da trattare. Si tratta di immaginare che i servizi convergano ciascuno a partire dalla propria competenza, per metterla insieme a quel- la degli altri, e trasformare le condizioni di vita delle persone. Lavorare per trasformare i con- testi. Per prendersi cura dei contesti. Per co- struirvi dei legami, delle condizioni di fiducia. Perch lunico modo per contrastare la logica della sicurezza civile e la relativa militarizzazio- ne del territorio ridar vita a un tessuto sociale denso di scambi, che abbia capacit protettiva perch ha capacit integrative. Lespulsione, la segregazione, non fanno che moltiplicare la domanda di sicurezza civile e gli effetti di militarizzazione. Non la polizia che d sicurezza, la presenza sul territorio di un tes- suto denso: denso di attivit di scambi, di luo- ghi di appartenenza, di vita sociale. Bisogna che la gente esca di casa non perch c il poliziot- to che la protegge, ma perch ha qualcosa da fare fuori e sa di andare in un posto dove ogni cosa visibile. visibile non perch ci sono le telecamere, ma perch quel luogo denso di occhi, ci sono tanti occhi, ed il suo territorio, che condivide con altri. Ci sono posti in cui questo si fa. Ne parlo perch so che si pu fare. Si pu fare perch gi si fa Domanda. Per esempio? Risposta. Ho in mente un quartiere di edi- lizia pubblica, molto degradato come spesso sono i quartieri di edilizia pubblica. Al centro c una specie di piazzale, frutto del solito sogno di quegli urbanisti demiurghi che pensano di organizzare la vita sociale semplicemente col mattone. Il quartiere un luogo problematico: il degrado fisico delle strutture segno e mol- tiplicatore del degrado sociale. L si addensano tutta una serie di problematiche, le pi ovvie: un alto tasso di disoccupazione, tensioni tra abi- tanti autoctoni e immigrati, piccola criminalit, dispersione scolastica, problemi sanitari e via discorrendo. Bene, questo il contesto. Il servizio sanitario dellASL locale ha deci- so di andare a vedere da vicino quali sono i pro- blemi delle persone, anche perch sa che que- sti problemi, quando sono incancreniti, si cu- mulano tra loro e finiscono per dar vita a si- tuazioni in cui i famosi bisogni (in questo caso di interventi sanitari) non arrivano neanche pi al servizio. un servizio, questo, che uscito dallo sche- ma a domanda rispondo e che andato a cer- carsi la sua domanda l dove la domanda . Un servizio che si chiesto come mai dal territorio non arrivavano i problemi ed andato di per- sona a vedere. Un servizio che non ha atteso la domanda in ospedale o in ambulatorio, ma si dislocato fisicamente per rispondere al proprio mandato di garantire la salute della sua popo- lazione di competenza, tutta intera. chiaro che unopera difficile, perch la prima reazione degli abitanti del quartiere stata di espulsione. Mi raccontavano che la prima volta che sono andati in questo complesso, gli operatori non potevano attraversare lo spiazzo perch venivano bombardati dai terrazzini o dalle finestre con bottiglie e altri oggetti: An- date via, lasciateci in pace!. Venivano vissuti come unistanza di controllo. Questo lesito della separatezza dei servi- zi. I servizi sono considerati nemici dalle per- sone, dai gruppi pi deprivati, come una forma di polizia sociale, quella che per esempio sot- trae i bambini alle madri problematiche o alle famiglie in cui risultano scarseggiare le capacit genitoriali. La prima reazione stata questa. Quindi non un lavoro semplice, ma il fatto che non lo sia a me dice qualcosa su quanto pesante sia stata lassenza dei servizi dai territori. Alle volte basta un ombrellone un lavoro che va fatto con molta delica- tezza, piano piano. Come si fa infatti a dare aiuto a persone che non si fidano di te, a produrre ascolto quando le persone non ti vogliono dire quali sono i loro problemi? Perch questo il caso: le persone non ti vogliono dire nulla, per- ch hanno paura delle conseguenze, paura che lapertura di un rapporto con un servizio, di uno scambio con un operatore possa tradursi in unazione di controllo sociale, di invalida- zione e di espropriazione dellesperienza. Allora coshanno fatto gli operatori? Era estate, si sono armati di un tavolino, di un om- brellone da spiaggia, giallo, e si sono sistemati nello spiazzo centrale del quartiere degradato. Si sono seduti l. Dopo 3-4 giorni erano le per- sone stesse che andavano a chiedere: Ma voi, che ci fate qui?, perch siete venuti?. Gli operatori si sono posti in una posizione di ascol- to, non in una posizione di controllo preventi- vo di quali potessero essere i problemi sanitari o sociali delle persone di quel quartiere. Hanno adottato cio una strategia che rovesciasse la lo- gica dellintervento e li mettesse, anche simbo- licamente, in una condizione di ascolto. Dando di s unimmagine del tutto estranea a ci che pu essere identificabile come un intervento specialistico di un servizio specialistico. stato uno spiazzamento simbolico, insomma. Da qui si messo in moto un processo di raccolta di storie, anche molto problematiche, ma anche di raccolta di capacit, competenze, po- tenzialit e dunque di risorse per intervenire su quel contesto. Si prodotto un progetto, o molti piccoli progetti di cambiamento della situazio- ne del quartiere, in cui convergono vari servi- zi, di vari settori, pubblici e privati, di cui gli abitanti stessi sono protagonisti. Stando l, in un posto non deputato, con un ombrellone da spiaggia. Ma questo solo uno degli esempi che potrei fare. un altro modo di lavorare Domanda. Spesso questo lavoro sul territorio e con il territorio vissuto dagli operatori come impossibile perch ci vorrebbero pi risorse che al momento non ci sono. Risposta. Questo un vecchio tema. lar- gomentazione che sento da sempre, giustifica- tiva della non possibilit di cambiare modo di lavorare: Non abbiamo le risorse per farlo. Ma la questione usare diversamente le risorse Anmazone Socae +o Ottobre oo8 nt e r v s t a nt e r v s t a Anmazone Socae oo8 Ottobre ++ che si hanno. Non che un intervento nei con- testi di vita, un intervento che prende in carico la cura dei luoghi, sia semplicemente unaggiunta al solito lavoro che si fa nei luoghi di cura, nel setting specializzato del servizio. un altro modo di lavorare, semplicemente. Non ci vogliono ri- sorse in pi, ma quelle stesse risorse lavorano diversamente. Sto parlando in questo caso di ri- sorse umane, cio delle persone. In pi, il lavo- ro dislocato nei contesti di vita delle persone un lavoro per valorizzare, suscitare, incoraggia- re, coordinare le risorse di quei contesti. Per- ch le persone sono risorse, le persone stesse de- stinatarie degli interventi sono risorse. Faccio un esempio. Stando in quel quartie- re popolare, posso scoprire che unanziana si- gnora vive isolata in casa, in condizioni degra- date (conseguenza dei soliti processi a catena: la signora senza luce e gas perch non ha pa- gato le bollette, denutrita perch oltre ai soldi non ha neanche le energie per andarsi a com- prare il cibo...). La sua domanda, i suoi pro- blemi non arrivano al servizio, se il servizio non va di persona a vedere com la situazione. Alla porta a fianco vive unimmigrata senza lavoro. Vogliamo provare a metterle insieme? E crea- re alla signora immigrata una possibilit lavo- rativa, data dal fatto che lei pu diventare las- sistente domiciliare dellanziana donna mal- concia? Vogliamo provare a pensare che l, poi- ch c anche una cooperativa sociale di tipo B, questa potrebbe essere investita del compito di ristrutturare labitazione fatiscente della signo- ra? Vogliamo provare a vedere con lAzienda per ledilizia residenziale pubblica se ci sono le risorse per organizzare una ristrutturazione fi- sica dellappartamento dando lincarico a quel- la cooperativa sociale? Vogliamo insomma provare a mettere in- sieme tutte queste cose, suscitando in quel con- testo le condizioni per fare da moltiplicatori delle risorse che ci sono, da valorizzatori delle risorse che gi esistono? Certo, non sono risorse de- putate, sono anzi estranee allimmagine stan- dard di ci che risorsa per un servizio. Ma anche questa rappresentazione fa parte di quel- la separatezza in cui sono stati costruiti i siste- mi di servizi. Valorizzare le risorse che gi ci sono Domanda. Il fatto che connettere le risor- se, costruire legami e fiducie nei luoghi, sono la- vori complessi, lunghi. E spesso, a fronte della percezione di delegittimazione crescente del pro- prio lavoro, lo dico da operatore, ci si ripara nel dire abbiamo poche risorse... Risposta. Cominciamo col dire che lopera- tore non lo pu fare fintantoch il mandato che ha non cambia. Secondo: loperatore non lo pu fare da solo, lo pu fare solo in quanto il suo servizio organizzato in modo tale da metter- lo in rapporto con altri operatori e con opera- tori di altri servizi, che magari non sono nean- che sociali, e sostenerlo nel prendere delle ini- ziative insieme. Terzo: ci vuole un processo in cui su questo modo di lavorare tendano a con- vergere diversi servizi e diversi attori. Ci vuole integrazione tra i servizi, come dicevo, e politi- che integrate, che convergono per produrre coesione sociale nei territori. Lavori complessi e lunghi, lei dice... Da quel che ho visto, a essere davvero lungo e complesso il lavoro per cambiare modo di lavorare, per rompere le separatezze tra servizi, per impara- re a riconoscere e valorizzare le risorse dei con- testi e delle persone, e a coinvolgerle per le ca- pacit che hanno, invece di invalidarle per le loro debolezze. Da quel che ho visto, sarebbe fattibile, e gi si fa, qua e l. Ma come dicevo mi resta molto forte limpressione di un gran- de ritardo, del carattere timido e sporadico delle spinte in questa direzione, sia dallalto che dal basso, delle inerzie al livello istituzionale e delle politiche, e di quelle al livello dei servizi. Per non parlare del terzo settore, paradossalmen- te... Di qui lurgenza che ho cercato di tra- smettere: ho anchio la mia percezione di in- sicurezza! Ota de Leonardis - docente di sociologia dei pro- cessi culturali allUniversit di Milano-Bicocca - coor- dinatrice del Laboratorio sulla sociologia dellazione pubblica Sui Generis - e-mail: ota.deleonardis@uni- mib.it